ano VII - numero 70 INSERTO DELLA RIVISTA

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ano VII - numero 70 INSERTO DELLA RIVISTA
Inserto della rivista ComunitàItaliana - realizzato in collaborazione con i dipartimenti di italiano delle università pubbliche brasiliane
Suplemento da Revista Comunità Italiana. Não pode ser vendido separadamente.
ano VII - numero 70
C’era una
volta il
Futurismo
Ottobre / 2009
Editora Comunità
Rio de Janeiro - Brasil
www.comunitaitaliana.com
[email protected]
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Pietro Petraglia
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“Tutte le istituzioni e i collaboratori
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all’elaborazione del presente numero”
STAMPATORE
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ISSN 1676-3220
2
E
C’era una volta
il futurismo
ra il 20 febbraio di cent’anni fa quando il mondo venne
a contatto con un bellicoso scritto programmatico pubblicato sul quotidiano francese “Le Figaro” e firmato da
un letterato italiano, Filippo Tommaso Marinetti: si trattava del
primo manifesto del Futurismo, autentico sasso lanciato nello
stagno della tradizione. Da allora, tanti altri ne seguiranno, nei
campi più disparati. Così come si succederanno le tante, diverse valutazioni date a questo movimento, comunque sia, di
grandissimo impatto internazionale.
Com’è nel suo spirito, Mosaico vuole ricordare questo anniversario per ripensarlo nelle sue tante implicazioni, possibilmente senza pregiudizi di sorta, magari con un occhio di
riguardo alle ripercussioni del Futurismo in ambito brasiliano.
Ci sembra dunque opportuno riportare uno stralcio del primo manifesto, dando così la parola alla storia:
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla
temerità.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno.
Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di
corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano
adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale
attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per
aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come
un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo.
8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il
Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo
già creata l’eterna velocità onnipresente.
9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo,
il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il
disprezzo della donna.
10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni
specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà
opportunistica o utilitaria.
11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla
sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle
capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei
cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di
serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi;
i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un
luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive
dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento
come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta.
È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché
vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii.
Gli Editori
Saggi
Sandra Bagno
Il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti:
dall’Italia l’avanguardia senza periferie
pag. 04
Rafael Zamperetti Copetti
Cento anni fa Marinetti innovava il genere manifesto
pag. 08
Annateresa Fabris
Il futurismo come malattia
pag. 12
Luiz Roberto Velloso Cairo e Aline Fogaça
Relazioni moderniste e futuriste
pag. 15
Patricia Peterle
Ripercussioni futuriste in Brasile: da nord a sud
pag. 18
Andrea Santurbano
Traversie futuriste: Italia Portogallo e Brasile
pag. 22
Mariarosaria Fabris
Un “mondo nuovo”: il cinema secondo i futuristi e i modernisti
pag. 26
Rubrica
Francesco Alberoni
Non serve eliminare il rivale per meritare il suo posto
pag. 30
Passatempo
pag. 31
“Scrittori viaggiatori fra Italia e Brasile”: pubblica il tuo testo!
Mosaico promuove un concorso per studenti universitari
La Redazione di Mosaico Italiano bandisce un concorso riservato agli studenti di università brasiliane sul tema: “Scrittori viaggiatori fra Italia e Brasile”.
Gli interessati devono inviare un articolo inedito, redatto in lingua italiana, di max. 12.000 caratteri
(spazi inclusi), in Word – Times New Roman 12, con titolo, nome dell’autore, istituzione di appartenenza, e-mail ed eventuali note a piè di pagina, entro il 1º dicembre 2009, al seguente indirizzo:
[email protected] .
Gli articoli devono vertere sul tema del viaggio di scrittori italiani o stranieri che abbiano avuto esperienze umane, artistiche o professionali in Brasile; o, viceversa, di scrittori brasiliani o stranieri in Italia.
Il miglior articolo, scelto dal comitato scientifico della rivista, sarà pubblicato su un numero di
Mosaico del prossimo anno, che avrà, appunto, come oggetto il viaggio.
Non saranno presi in considerazione articoli che non rispondano alle esigenze richieste e che presentino errori ortografici, grammaticali o sintattici.
Aspettiamo dunque i vostri testi e ...in bocca al lupo!
La Redazione
3
Il Futurismo di Filippo
Tommaso Marinetti: dall’Italia
l’avanguardia senza periferie
Sandra Bagno
(Università degli Studi di Padova)
G
li approcci alla conoscenza dei grandi nuclei di idee che si sono
tradotti nei principali capitoli
della storia occidentale non
possono in genere prescindere da uno specifico centro
geografico che ne costituisce il
punto nevralgico. L’irradiarsi,
poi, di quelle idee in maniera
diseguale nelle varie aree è
stato spesso letto come conseguente, nella logica centro/
periferia, di una dinamica
dell’innovazione versus quella della conservazione. Anche
laddove l’innovazione si sia affermata al prezzo di sofferenze
e guerre, come è spesso accaduto nella millenaria storia sia
dell’Europa che fuori di essa.
Tralasciando capitoli anteriori come quello delle conquiste coloniali che tanto pesantemente hanno condizionato la
periferia del mondo, chi voglia
delineare quanto dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, oppure della Rivoluzione
industriale, sia giunto in aree
decentrate, deve rivolgere lo
sguardo, innanzi tutto, al centro: ovvero alla Francia e alla
Gran Bretagna del XVIII secolo. Sarà così possibile cogliere,
nella logica centro/periferia
4
e secondo lo schema innovazione versus conservazione,
le differenti ragioni che hanno
rallentato in molte periferie il
propagarsi sia dell’Illuminismo
sia
dell’industrializzazione.
Tuttavia, analogamente alla
Rivoluzione francese, anche la
Rivoluzione industriale, oltre
ad innescare la modernizzazione comporterà per milioni
di persone pure grandi violenze fisiche, morali e materiali.
Violenze e morte, peraltro, che
già dal Cinquecento il colonialismo aveva ampiamente disseminato.
Le risposte a tali violenze
e sofferenze si esprimeranno in un crescendo di altra
violenza, anche verbale.
Come quella cristallizzatasi,
nell’Ottocento europeo, nella
celebre locuzione “dittatura
del proletariato”, inizialmente intesa come libertaria e che
poi si materializzerà, invece,
in un regime politico dittatoriale al quale altri regimi politici dittatoriali si contrapporranno. L’esito di tante dittature contrapposte – alle quali
le periferie non resteranno
estranee – sarà il precipitare dell’umanità, nella prima
metà del Novecento, negli in-
feri della II Guerra mondiale.
Non stupisce pertanto che
anche l’arte, compresa quella
che con la parola si esprime,
abbia manifestato, in particolare tra fine Ottocento e primo Novecento, i tratti di una
violenza che stava divenendo
sempre più consustanziale
dell’identità europea (seppur
non ne fosse affatto prerogativa esclusiva). In questo scenario bellicoso la parola, nell’arte, diviene parola d’ordine di
una militanza tout court, da
esprimersi in ogni campo e in
ogni luogo. Come si legge nel
Manifesto del Futurismo pubblicato da Filippo Tommaso
Marinetti il 5 febbraio 1909
nella Gazzetta dell’Emilia. Ma
subito dopo, il 20 febbraio
1909, anche nel parigino Le
Figaro, affinché, sfruttando
sapientemente il ruolo centrale della lingua francese, i
proclami del Manifesto – che
già sono un decalogo e un
primo modello di una nuova
poetica – si globalizzassero e
raggiungessero pure le periferie apparentemente più lontane e inerti. Le quali invece, in
un incessante lavorio interno,
erano altrettanti incubatori
di identità nazionali pronte,
quando già non lo stessero facendo, a rivelarsi. Come infatti
sarebbe accaduto, dopo l’autodistruzione dell’Europa e del
suo assetto coloniale del mondo, nel corso del Novecento.
A percepire il fermento –
negli incubatori delle periferie del mondo dove guerre e
morte, spesso portate dal colonizzatore, sono state a lungo la normalità – non a caso è
una sensibilità internazionale
e che nasce insieme egiziana e italiana: una sensibilità,
cioè, che per il suo originario
imprinting italo-africano-mediterraneo, incarna il ruolo di
cerniera fra identità culturali,
5
nell’ordine, prima del Sud e
dell’Oriente, e poi del Nord
e dell’Occidente del mondo.
Senza infingimenti quanto
al ruolo della violenza nel
proprio tempo – anche quella della parola – e usando
strumentalmente la centralità
della lingua francese, l’egizio-italiano Marinetti lancia
dall’Italia, ma “pel mondo”,
il “manifesto di violenza travolgente e incendiaria”. Il suo
obiettivo è incitare i “giovani
leoni” ovunque fossero – nel
nome della conquista del loro
futuro inevitabilmente votato
dalla Storia alla velocità della
macchina – alla distruzione
della “fetida cancrena” di un
passato che ancora li imprigionava. Legittimati da un cosmopolita Marinetti a liberarsi
di modelli artistici, e quindi
culturali, imposti da secoli,
gli rispondono numerosi, da
molti paesi e in tempo reale
rispetto ai mezzi dell’epoca, i
6
giovani artisti “nutriti di fuoco,
di odio e di velocità”, dei quali egli si fa spesso generosamente mentore pubblicandone gli scritti. Come dimostra
anche la geografia dell’avanguardia, facilmente desumibile dagli Archivi del Futurismo,
che raccoglie testimonianze
e riscontri provenienti da un
capo all’altro del pianeta. Altre Avanguardie storiche, talvolta coeve del Futurismo ma
frutto, inevitabilmente, di alchimie culturali e dinamiche
più regionali, non saranno
votate alla stessa dimensione
internazionale. Esse nascono nel loro centro e dicono
al loro centro, nell’Europa e
in funzione dell’Europa: non
sono ‘democratiche’ come il
Futurismo che nasce, invece, rendendo subito centrali
le periferie. Il Futurismo sarà
infatti l’unica avanguardia che
parte da un centro, l’Italia, ma
che non ha periferie.
Affidatosi innanzi tutto alla
parola d’ordine della rivoluzione artistica – comunque,
ovunque e a oltranza – il Futurismo sarà subito veicolato,
con l’immediata traduzione in
altre lingue del Manifesto, in
altre culture. Fra le quali quelle
di matrice portoghese, ovvero
giungerà nelle aree accomunate da una lingua che, per la
storia della potenza imperialcoloniale del Portogallo, appartiene insieme sia al centro
cioè all’Europa, sia alle periferie che all’epoca sono ancora
colonie, in Africa e Asia. Ma
giunge anche in America latina, e negli anni in cui un grande
incubatore di una nuova identità nazionale, il Brasile che ha
da poco abolito la schiavitù e
che sta amalgamando nuove
ondate migratorie (comprese
quelle degli italiani in cerca di
lavoro, di libertà, di un futuro
insomma), è ormai prossimo
a celebrare il primo centenario dell’Indipendenza (1922).
Un Brasile che si sta aprendo
alle nuove tecnologie e in cui
il Futurismo, sin dal nome con
tutta la sua potenzialità ideale,
suggerisce nuove vie da percorrere in ogni campo, per il
definitivo affrancamento da un
passato culturale coloniale e la
legittimazione di una propria
identità politica.
L’adesione al Futurismo, di
qua e di là dell’Atlantico, avrà
accenti, come narrano le cronache, tipicamente marinettiani, con reazioni contrastanti
da parte dell’opinione pubblica. Essa porterà, comunque,
alla fondazione di importanti
riviste e alla pubblicazione di
altri manifesti evidentemente
contagiati, ma in chiave locale, dalla poetica futurista; e
vanterà nomi, per citarne solo
alcuni, come quelli di Fernando Pessoa e Almada Negreiros
in Portogallo, e di Oswald de
Andrade e Mário de Andrade
in Brasile. Il Futurismo sarà,
quindi, determinante per la
nascita dei rispettivi Modernismos, movimenti culturali fra i
più significativi nello scenario
internazionale del Novecento. E la loro fondazione, come
nel caso del Modernismo brasiliano, nel febbraio del 1922,
attesta come il nucleo rivoluzionario della poetica futurista
avesse proficuamente attecchito, anche nelle periferie latinoamericane, prima dell’inizio
delle traiettorie politiche che
porteranno l’Italia al Fascismo
e, poco dopo, il Brasile al Varguismo e il Portogallo al Salazarismo. L’adesione di Marinetti al Fascismo, verosimilmente
nell’utopica convinzione che
l’arte dovesse essere l’avamposto pure della politica, divaricherà le strade, spesso (anche
se non sempre) allontanando
fra loro, e da un certo Futurismo piegato alla politica italiana, quanti avevano entusiasticamente aderito all’avanguardia. Ma a quel punto, come i
padri con i figli, il Futurismo
aveva già svolto il suo ruolo
nell’arte tout court, lasciando
l’intero pianeta disseminato di
una poetica di cui il Novecento
gli sarebbe stato debitore.
Chiusosi il secolo della
violenza di matrice europea
portata sino all’autodistruzione, una maggiore ampiezza
prospettica consente di identificare con nitore cosa fu la
politica e cosa l’arte, e quali le
nature delle singole Avanguardie storiche; nature che Achille Bonito Oliva sintetizza nei
seguenti termini: “Insonnia
futurista contro sogno surrealista, vitalismo contro platonismo dell’astrazione, esplosione contro scomposizione
cubista, nichilismo attivo contro anarchia dadaista, euforia
contro lamento espressionista.” Ma allora, dopo cent’anni dalla sua fondazione, “che
cosa è rimasto del Futurismo?”, si chiede Bonito Oliva,
di quei futuristi che “nel loro
campo”, come scrisse Antonio
Gramsci, “nel campo della
cultura, sono rivoluzionari”?
(la Repubblica, “Quel che resta del futurismo”, 14.1.2009).
A questa domanda si cercherà
di rispondere, per quanto riguarda la lusofonia, nel congresso internazionale (9-11.
XI.2009, “100 anos de Futurismo: do italiano e francês ao
português”) che da Florianopolis, nel Brasile meridionale
(e zona di forte emigrazione
italiana), idealmente congiunge le culture e nazioni di lingua portoghese all’Italia in cui
il Futurismo ha inizio e dove
il Manifesto viene pubblicato
in ben sette quotidiani prima
di approdare al francese Le
Figaro, come puntualizza Sebastiano Grasso (Corriere della
Sera, “Futurismo: a Bologna il
Manifesto”, 1.II.2009). All’Italia, e in particolare a Venezia,
alla città, cioè, che nel 1910
i futuristi provocatoriamente
“insultarono” per il suo “passatismo”, e dalla cui Torre
dell’Orologio in Piazza San
Marco, lanciarono i volantini
che definivano le “gondole sedie a dondolo per cretini”; e
per la quale auspicarono l’arrivo della “divina luce elettrica”, a liberarla “dal suo chiaro
di luna da camera ammobiliata”. L’obiettivo, dunque, è
di fare il punto sul lascito del
Futurismo nella lusofonia da
una di quelle sue periferie che
– prima ancora che Marinetti
lanciasse
quell’espressione
che ancor oggi scandalizza
– aveva già vissuto per secoli
sulla propria pelle la “guerra”
come “igene del mondo”. Da
una di quelle periferie, però,
che Marinetti volle, democraticamente, rendere centrale,
che visitò personalmente e
dove ebbe subito successo.
Una periferia dove, analogamente e di più di una “Milano
futurista”, sarebbe cresciuta
nel Novecento la città di São
Paulo, anche all’insegna della modernità preconizzata
da Marinetti. Fare il punto,
quindi, sul Futurismo da una
periferia nella quale una città
come Rio de Janeiro ancora
conserva nella toponomastica riferimenti al Futurismo. E
da una periferia – marchiata
a sangue dalla violenza dello
schiavismo, decentrata dalle
grandi distanze e dalle ataviche subalternità ma contagiata dall’“insonnia”, dal “vitalismo” e dall’“euforia” del
Futurismo di Marinetti – nella
quale il popolo di Bahia, senza con questo voler negare il
proprio amore per le gondole,
subito gli tributò un omaggio:
quello di dare agli autobus –
cioè al mezzo di trasporto che
fu sinonimo nella comune coscienza culturale dell’epoca di
affrancamento e di moderna
velocità – il nome di “marinete”, derivato appunto da Marinetti. Omaggio che, come
attesta il Dicionário Houaiss
da Língua Portuguesa (2001,
p. 1855, “ônibus”), il popolo
di Bahia gli tributa ancor oggi.
7
Cento anni fa
Marinetti innovava
il genere manifesto
Rafael Zamperetti Copetti
(Universidade Federal de Santa Catarina)
I
l 20 febbraio 2009 è stato celebrato il centenario
della pubblicazione, su Le
Figaro, del manifesto di fondazione del Futurismo Italiano, di F.T. Marinetti. Unico
movimento artistico letterario della penisola di rilievo
internazionale sorto dopo il
Rinascimento, il Futurismo
rappresentò l’Italia nell’ambito delle avanguardie storiche
e servì, incluso nel campo
della letteratura, come riferimento per altri importanti
movimenti congeneri che furono ad esso contemporanei
o successivi. Tuttavia, gli studi
relativi al movimento presero
impulso appena alla fine degli anni ‘60 (figura chiave in
questo senso è Luciano de
Maria), anche se in un campo
come la letteratura, per esempio, fin dal decennio anteriore già c’erano iniziative di antologizzazione dei poeti del
futurismo italiano, tali come
quella di Vanni Scheiwiller e
la sua “piccola antologia”.
Probabilmente uno dei
primi grandi tentativi di compilazione di un’ampia gamma
di materiale appartenente ai
così chiamati diversi “generi”
ai quali ricorsero i futuristi è
stato quello di Luciano Ca1
2
8
ruso, che nel 1980 riunì in
quattro contenitori, in formato fac-simile, circa 400 documenti pubblicati dal 1909 al
1944. Tra i documenti riuniti
ci sono proclami, locandine,
volantini, comunicati e numeri speciali di alcune riviste,
oltre ai manifesti, naturalmente. I manifesti riuniti da
Caruso sono più di 300.
Parlando dei manifesti di
questa raccolta, Stelio Martini dice che il “periodo della
massima novità e vitalità del
movimento” futurista può essere identificata fino alla pubblicazione del Manifesto del
tattilismo, nel 19211. Grosso
modo, così come Martini,
molti analisti del movimento
considerano il periodo di più
grande vitalità del movimento
quello che va dal 1909 fino
agli inizi degli anni ‘20. Comunque Martini sostiene che
la lettura dell’insieme di questo materiale mostra “l’indiscussa e indiscutibile centralità di Marinetti, autore del futurismo, e rivela in pari tempo
come ciascuno dei vari autori
si sentisse tenuto a dare il meglio di sé” 2.
Gli argomenti dei manifesti del futurismo italiano
vanno da letteratura, pittura,
cinema, musica, fotografia,
mobilia, scenografia ed altre arti fino alla politica. Si
andava alla ricerca di una
propria “ricostruzione futurista dell’universo”, conforme
propongono Giacomo Balla e Fortunato Depero in un
importante manifesto omonimo che venne alla luce l’11
marzo 1915. Secondo Enrico
Crispolti, il titolo di questo
manifesto può essere inteso
in senso emblematico per sottolineare il carattere di totalità
ricercato dall’intervento creativo dagli anni ‘10 ai ‘30.
In verità, il manifesto in
quanto genere letterario ed
artistico non è un’invenzione
futurista. La sua storia risale
al Romanticismo e fa parte dell’età moderna, ricorda
MARTINI, Stelio. “Letteratura”, in GODOLI, EZIO. Dizionario del futurismo. Torino: Vallecchi, 2001, p. 639.
Idem, ibidem.
Giovanni Lista. Una delle
innovazioni del Futurismo
consiste nell’utilizzarlo come
genere a sé stante, “in quanto strumento privilegiato del
letterato e dell’ artista per inscrivere nella realtà la propria
visione del mondo, la propria
intuizione poetica, il proprio
sogno o semplicemente i
principi teorici per giungere
alla creazione di un’opera”3,
risalta lo studioso. Un altro
lato della stessa questione è
collocato da Marjorie Perloff, quando sottolinea che
“a novidade dos manifestos
futuristas italianos [...] é a sua
atrevida recusa em permanecer no plano expósitorio ou
crítico, e a sua compreensão
de que o pronunciamento de
grupo [...] pode tomar o lugar
da obra de arte prometida”4
[la novità dei manifesti futuristi italiani è il loro testardo
rifiuto di rimanere sul piano
espositorio o critico, e la loro
comprensione per cui il pronunciamento di gruppo può
prendere il posto dell’opera
d’arte promessa].
È interessante ricordare
anche le considerazioni di
Giusi Baldissone, secondo
la quale “né si si può fare a
meno di notare l’impianto
retorico ricorrente, nel primo
come nei manifesti seguenti
[di Marinetti], che in qualche
misura ne convalida la codificazione come un nuovo
genere letterario e riafferma
nello stesso tempo la persistenza di una tradizione oratoria classica, che Marinetti
sapientemente varia e parodia”. Ancora secondo questa
studiosa, “troviamo infatti
quasi sempre presente tutte le
forme canoniche della retorica antica, dall’inventio alla
dispositio, dall’elocutio alla
memoria, all’actio, secondo i
precetti di Quintiliano e della sua Institutio oratoria, ma
secondo anche una personale abilità creativa, capace di
mescolare istanze poetiche
e impianto retorico […]”.In
questa maniera, prosegue la
studiosa, “Marinetti va a proclamare i suoi nuovi principi
raccogliendo in realtà il bagaglio fondamentale di una
cultura che lo ha profondamente formato. Tra il passato
remoto e quello prossimo,
il primo manifesto futurista
inaugura un genere che porterà verso il futuro: anche a
questo serve l’ambientazione,
l’affabulazione, il tono autobiografico e perfino lento con
cui l’incipt inserisce il lettore
nello spazio di casa e poi lo
porta fuori, di corsa, a vivere
l’avventura”.5
Per certi aspetti, un modo
indiretto di lettura che valorizza i manifesti già si trova in
Francesco Flora quando, scrivendo a rispetto di Marinetti,
nell’edizione del 1925 di Dal
romanticismo al futurismo,
dice che “alcuni di questi
sono tra le più essenziali liriche del suo temperamento” e
“che spesso i manifesti di Marinetti [...] sono null’altro che
poesia”6. E aggiunge: “È possibile che un manifesto sia per
gli spiriti mediocri un contenuto grezzo che s’impone per
diventare forma: in Marinetti
è arte; negli altri può essere
materia pratica: in lui è lirica;
negli altri può essere cultura:
in lui è sentimento; negli altri
scuola: in lui vita”.
La questione di fondo che
accomuna le considerazioni
degli studiosi a cui ci siamo
prima riferiti dice a proposito
dell’ “arte di far manifesti”,
alla quale Martinetti si riferisce in una lettera indirizzata
a Gino Severini nel 1913. In
questo documento, il fondatore del futurismo tesse
considerazioni relative ad
un abbozzo del manifesto Le
analogie plastiche del dinamismo, di Gino Severini. Il testo
in questione avrebbe la forma
di articolo-sintesi, e non di
un manifesto vero e proprio.
Marinetti si riferisce con più
precisione agli elementi che
sarebbero stati essenziali per
l’efficacia di un manifesto in
un’altra lettera, questa volta indirizzata al poeta belga Henry Maasen, datata da
Giovanni Lista tra il 1909 ed
il 1910. Elementi essenziali di
un manifesto sono, secondo
quanto si legge nella riferita
lettera, “l’accusa precisa, l’insulto ben definito”.
3
LISTA, Giovanni. “Genesi e analisi del ‘Manifesto del futurismo’ di Filippo Tommaso Marinetti”, in OTTINGER, Didier. Futurismo Avanguardia Avanguaride. Parigi: Éditions du Centre Pompidou/ Milano: 5 Continents Editions, 2009, p.78.
4
PERLOFF, Marjorie. O momento futurista: avant-garde, avant-guerre e a linguagem da ruptura, São Paulo: Edusp, 1993.
5
BALDISSONE, Giusi. Filippo Tommaso Marinetti. Milano: Mursia, 2009, p.59.
6
FLORA, Francesco. Dal romanticismo al futurismo. Milano: Mondadori, 1925, p. 198.
9
Oltre alla proclamazione
della fondazione del 1909, un
altro manifesto di grande rilevanza per la proposta futurista
nel campo della letteratura è il
Manifesto tecnico della letteratura futurista, dell’11 maggio
1912, che rappresenta un’innovazione in relazione a quello che fino a quel momento
era stato proposto dai futuristi
in questo campo. Secondo tali
proposte, negli anni dal 1909
al 1912 ancora era possibile
l’uso del vers livre, la cui diffusione in Italia, in verità, Marinetti già ricercava dal 1905
attraverso la pubblicazione
della rivista Poesia. Attraverso
questa rivista Marinetti avrebbe anche diffuso in Francia
autori italiani, secondo quanto si legge nell’introduzione
ad una recente riedizione in
formato fac-simile della rivista
marinettiana. Sembra quindi
esser stata una strada a doppio
senso. Oltre a ciò, le forme del
linguaggio poetico tradizionale fino a quel momento ancora
non erano state contestate dai
futuristi, come ricorda Maurizio Calvesi. È solo dal 1912,
perciò, che Marinetti, invece di distruggere le relazioni
sintattiche della discorsività
attraverso il recupero dell’analogia, cerca uno strumento
retorico che gli consenta di arrivare ad una specie di gestione analoga del logos, sempre
secondo questo studioso.
Per molto tempo si è creduto che in ambito della stampa la pubblicazione iniziale
del manifesto della fondazione dello stridente movimento
fosse avvenuto nel giornale
parigino Le Figaro, il 20 febbraio 1909. Naturalmente la
scelta di questo giornale da
parte di Martinetti per l’inaugurazione del movimento
non avvenne per caso e tenne conto, dentro di tutta una
10
strategia per la divulgazione e
promozione del movimento,
la capacità di diffusione internazionale che allora possedeva la lingua francese. Inoltre,
vi erano già stati pubblicati
diversi manifesti letterari della belle époque, come per
esempio quello del Simbolismo di Móreas nel 1886 e,
inoltre, Martinetti aveva molta
familiarità con il milieu francese. Il poeta italiano, nato ad
Alessandria d’Egitto, ricevette
istruzione formale dai gesuiti
francesi nella sua città natale
e, al momento del lancio del
Futurismo, viveva a Parigi da
almeno dieci anni ed era un
poeta attuante nel tardo-simbolismo di quel paese.
Un libro propagato in Italia riscatta la questione della
pubblicazione iniziale del
manifesto di fondazione e ricolloca una questione importante in scena, anche se non
del tutto nuova, come ricorda
il suo autore. Si tratta del fatto
per cui ricerche storiografiche
rivelano che anche se il Futurismo è stato ufficialmente
fondato il 20 febbraio, in ambito della stampa non fu del
Figaro la primizia della sua
pubblicazione. Il manifesto fu
pubblicato in Italia un poco
prima, giacché Marinetti aveva “inondato” i giornali italiani del testo del manifesto,
ricorda lo storico e studioso
del futurismo Giordano Bruno Guerri.
Secondo Guerri, i periodici che fecero circolare a
febbraio 1909 il manifesto
di fondazione in Italia sono:
Gazetta dell’Emilia, di Bologna (il 5); Il Pugnolo e Tavola
rotonda, entrambi di Napoli (rispettivamente il 6 e il
14); Gazzetta di Mantova, di
Mantova (il 9); Arena, di Verona (il 9-10 febbraio); Piccolo, di Trieste (il 10); Gior-
no, di Roma (il 16). Oltre a
questi, il manifesto sarebbe
uscito nel giornale rumeno
Democratia prima della pubblicazione parigina (il 16). Il
fatto che si trattava di periodici di stretta circolazione e
di poca risonanza rivelerebbe, secondo quanto annota
Guerri, che i grandi giornali
italiani avevano ignorato il
progetto marinettiano.
Un altro studioso del movimento che riprende questa
problematica nel 2009 è Giovanni Lista, il quale si riferisce
a recensioni che circolarono
in Italia prima della pubblicazione francese, essendo che il
primo giornale a pubblicarle
sarebbe stato L’Unione di Milano, il 4 febbraio.
È importante risaltare,
riguardo alle strategie marinettiane, infine, anche il fatto
per cui oltre alla diffusione
attraverso la stampa, Martinetti fece circolare il programma del manifesto in forma di volantino (in francese
e in italiano) e anche, adesso
nella sua versione integrale,
come prefazione a due libri. Il primo di essi, scritto in
italiano, è Le ranocchie turchine di Enrico Cavacchioli,
il cui titolo allude alla commedia Le rane di Aristofane,
e nel quale l’autore fa la satira di autori come Pascoli e
D’Annunzio con lo stile contestatario che posteriormente avrebbe caratterizzato le
opere futuriste. L’altro libro
a cui Lista si riferisce, questa
volta pubblicato in francese,
è Enquête internationale sur
le vers libre, che raccoglie le
risposte al sondaggio di iniziativa marinettiana, che la
già citata rivista Poesia aveva ricevuto durante i quattro
anni di durata della stessa.
(Traduzione di Anna Palma)
Il futurismo
come malattia
Annateresa Fabris
I
l 6 aprile 1909, il Correio
da Manhã (Rio de Janeiro)
pubblicava la prima notizia sul futurismo in Brasile.
Nella cronaca O futurismo (À
hora do correio), Manuel de
Sousa Pinto presentava il manifesto di Marinetti come una
di quelle tipiche provocazioni dei principi del secolo,
dotata d’una semantica stravagante e d’una “tracotanza
prolissa e aggressiva”. Invece
d’analizzare la proposta di
Marinetti, lo scrittore faceva una parafrasi ironica dei
punti principali: ad immagini
di baldanza fisica si sovrapponeva l’idea d’un gioco inconseguente, ad opera d’un
“gruppo d’artisti incipienti”,
la cui prosa “nichilista ed imberbe” era frutto d’una “terribile indigestione di Nietzsche, Wagner e Savonarola”.
Due mesi dopo, A República (Natal) offriva una traduzione parziale del manifesto –
le undici “volontà” proclamate da Marinetti –, ma neppure
stavolta era fatta un’analisi
delle proposte futuriste. Il testo introduttorio si riferiva genericamente a un movimento
“entusiastico e rivoluzionario”, “violento e incendiario”,
il cui manifesto era pubblicato
“a titolo di curiosità”.
La pubblicazione del 5
giugno non deve aver avuto nessuna ri­percussione, né
suscitato dibattiti se, il 30 dicembre, il Jornal de Notícias
(Universidade de São Paulo)
(Salvador) proponeva una
traduzione integrale del manifesto, preceduta dall’osservazione “Crediamo d’essere
il primo gior­nale brasiliano
ad occuparsi di questo argomento” (Uma nova escola
literária). Almáquio Diniz,
autore della traduzione, elaborava um panorama succinto delle ripercussioni internazionali del manifesto e faceva
cenno ad alcune attività di
Marinetti, oltre a trascrivere
brani di un’intervista.
Posteriormente, Diniz analizzerà il movimento alla luce
della sua “morale naturalista”,
riconoscerà la presenza di alcuni principi positivi (bellezza
della velocità e verso libero),
pur condannandone aspetti come il rifiuto del passato,
l’anarchismo e il dogmatismo.
Difensore dell’arte “più definitiva”, Diniz è critico nei
confronti delle altre proposte
del futu­rismo, considerandolo
un fenomeno passeggero, una
crisi della letteratura, il cui
contrassegno era la negazione
delle tre “più potenti origini
del Bello”: la tradizione, la
donna e l’amore.
Diniz non mantiene sempre lo stesso tono nelle sue
analisi. Dopo aver definito il
futurismo “aborto” o “caso
prematuro”, vi riconosceva
condizioni di vitalità, negate
però nel bilancio finale, in cui
lo presentava come un prodotto del socialismo letterario, invaso dai germi del nichilismo
e dell’anarchismo e soprattutto del disordine. Quest’elemento sembra essere decisivo
nella valutazione conclusiva
del movimento come un fenomeno patologico. Sinonimo di
distruzione, di disaggregazione e di “caratteristica morbosa”, il disordine sminuiva “il
valore del futurismo”.
L’idea del futurismo come
una manifestazione d’interesse più della psichiatria
che dell’arte diviene corrente nell’ambiente intellettuale
brasiliano, come dimostrano
gli argomenti di José Veríssimo e Mário Pinto Serva. Motivato dal libro I poeti futuristi
(1912), l’articolo di Veríssimo
denota le sue intenzioni già
dal titolo, Mais uma extravagância literária (O Imparcial, Rio, 5 set. 1913). Guidato da criteri naturalistici e
positivisti, il critico inseriva il
11
futurismo nell’alveo di quelle
manifestazioni contemporanee che ricercavano la novità
e l’originalità ad ogni costo.
Questa ricerca “malsana”,
che produceva ogni sorta di
“stravaganza”, forme di “vesania” studiate e classificate a
suo tempo dalla medicina, era
in contrasto con le condizioni
che assicuravano l’esistenza
dell’arte: manifestarsi dentro i
limiti dell’umanità e della vita
ed esser frutto d’un cervello
organizzato. L’“anarchia mentale” era invece l’aspetto principale del movimento italiano
i cui sintomi erano individuati
nel Manifesto tecnico della
letteratura futurista, ridotto a
cinque postulati: di­struzione
della sintassi, abolizione
dell’aggettivo, dell’avverbio e
della punteggiatura e adozione dello stile nominale.
Una visione negativa del
movimento è parimenti alla
base della diatribe del Serva, scritta poco prima della
Settimana d’Arte Moderna
(A teratologia futurista, Folha
da Noite, San Paolo, 15 feb.
1922). Anziché un problema
d’estetica, il futurismo era un
fenomeno di “patologia mentale” provocato da uno “stato
morboso”, dallo “squilibrio di
alcuni cervelli” che volevano
imporsi all’opinione pubblica
“senza studio, senza un lavoro
paziente”. “Dominio dell’aberrazione”, il futurismo rappresentava la negazione della
“sostanza dell’arte eterna”, il
“plagio di espressioni esterne
di scuole, di cose dimenticate,
antiquate e distanti”.
Considerare il futurismo
“disaggregazione”
(Diniz),
“vesania” (Veríssimo), “teratologia” (Serva) e opporgli un
modello d’arte definitiva, organizzata e profondamente
personale significava credere
nell’esistenza d’un tipo di ma-
12
nifestazione giusta ed equilibrata, minacciata dalla vi­
rulenza delle avanguardie dei
principi del secolo. Il futurismo
come “malattia mentale” racchiudeva in sé due operazioni
intrinsecamente articolate:
– come disordine, messa
in questione dell’equilibr­io,
era una forma pericolosa di
devianza sociale;
– come manifestazione
“eccessiva”, era simbolo e
rappresentazione d’un fenomeno interno – l’autoespressione d’un carattere ribelle.
Lo schiamazzo, lo scandalo e
l­a violenza del futurismo non
potevano non rapprese­ntare
la forma più perfetta della
malattia – il ribellismo –, se
si ricorda che Bichat aveva
definito la salute il “silenzio
degli organi”.
Nel combattere il futurismo come forma eccessiva i
suoi critici non difendevano
solo un modello d’arte ma
soprattutto un modello di società, di cui l’arte era l’espressione sublimata. In mancanza
d’argomenti persuasivi per
giustificare l’esistenza d’un
universo che la realtà contemporanea rifiutava ad ogni
istante, al fine di negare il
carattere ineluttabile delle trasformazioni sociali, si stigmatizzava l’arte divergente per il
disturbo che arrecava. L’idea
terapeutica implicita in questi
argomenti è una conferma di
quest’ipotesi: l’arte doveva ritrovare il giusto equilibrio, la
giusta gerarchia per debellare
i sommovimenti sociali, per
far sì che gli avvenimenti del
mondo reale tornassero ad esser controllati e portati verso la
diritta via, come dava a capire
la metafora del “socialismo
letterario” proposta da Diniz.
Il tentativo di contestare
l’irreversibilità dei cambiamenti, di non accettare, con
l’epiteto psicologico, le nuove realtà, spingeva i difensori
del bello codificato a concentrare i propri attacchi in
contrapposizioni e in aspetti
negativi sistematicamente ripetuti. “Squilibrio mentale
dell’ora presente” per il poeta
Faria Neves Sobrinho, il futurismo sembrava a Fernando
Callage una “baldoria artistica”, giustificata dall’“assoluta
mancanza di buon senso”,
che bandiva i principi dell’arte, negava l’ordine e l’idea di
ritmo, oltre a non riconoscere
i “sentimenti superiori”. Sicuro della vittoria della “bellezza integrale”, Callage non tralasciava di fare un pronostico
sulle sorti del futurismo: essere solo una “giocosa beffa di
pessimo gusto...” (Futurismo
em arte... Correio do Povo,
Porto Alegre, 23 mar. 1924).
La preoccupazione delle
nuove generazioni di distinguersi dalle anteriori, fonte
dell’originalità, era considerata “esagerazione morbosa”,
“ossessione”, “deplorevole allontanamento dal senso estetico” dal Diário de Notícias di
Porto Alegre (Originalidade,
22 ott. 1925). In questo contesto, il corollario dell’originalità era inevitabilmen­te
l’incapacità di creare, come
si deduce dalle affermazioni
fatte da membri dell’Accademia di Lettere di Alagoas negli anni Venti. Se per Lima Jr.
il futurismo era “una panacea
scoperta dalla medicina letteraria ad uso di coloro che soffrono della malattia incurabile
della ‘mancanza di talento’”,
Demócrito Gracindo sembrava fargli eco quando definiva
la pittura futurista “un’agglomerazione di orrori”. L’equazione con le dottrine politiche
era quasi immediata: il futurismo era al contempo “nebbia
del materialismo che oscura
il nostro tempo”, “anarchia”,
“bolscevismo letterario” e “fascismo nella letteratura”.
Non è difficile capire che
la contrapposizione tra ordine/
buon senso-sentimenti superiori e anarchia/bolscevismomat­erialismo aveva base in
termini perfettamente paralleli
e mutuamente escludenti, per
i quali la società e l’arte erano
fenomeni assoluti e transitori,
rispett­ivamente: giusti, corretti
e quindi eterni i primi; malsani, erronei e perciò passeggeri
i secondi.
Significativa in questo
senso è la lettera indirizzata
dall’Istituto di Architetti di
San Paolo al ministro Francisco Campos (maggio 1931).
O ingresso de professores
futuristas na escola Nacional
de Belas-Artes, firmato tra gli
altri da Cristiano das Neves,
Carlos Ekman e Teodoro Braga, era un libello violento ed
incisivo contro la riforma introdotta da Lúcio Costa nella tradizionale accademia.
Gli architetti non usavano
solo la metafora della malattia per schernire il futurismo
con l’abituale aggettivazione dell’“arte caricata”, della
“nevrosi artistica”, dello “spirito morboso”, dell’“anormalità”. Più raffinati, si servivano delle teorie del dottor
Jean Vinchon per provare il
pericolo inerente agli atteggiamenti della nuova arte.
Le opere degli alienati erano
violente, incoerenti, sbagliate o assurde; la produzione
dei tossicomani esprimeva
alla perfezione le “possibilità
dell’immaginazione lasciata
a se stessa”; i segni del disordine intellettuale” erano
inequivoci in queste opere e,
poiché esse ricordavano immediatamente la pittura e la
scultura futuriste, non c’era
dubbio che l’orientamento
estetico del XX secolo era viziato dalla malattia.
Quando non era un’espressione patologica, il futurismo
era presentato come una manifestazione astrusa, assurda.
Nova escola literária (o futurismo) di João Grave (O Estado
de S. Paulo, 21 lug. 1911) è il
chiaro esempio di una lettura
che in certi momenti ripeteva
e amplificava mimeticamente
il discorso che intendeva criticare. Nel commentare ironicamente il disprezzo di Marinetti
per il passato, Grave adottava
un andante “futurista”, il cui
risultato era una parodia del
linguaggio di Fondazione e
Manifesto del Futurismo:
La rovina che comincia
con la polvere ridurrà la scultura, la pittura e l’architettura
a calcinaccio e polvere, soffocherà il suono della musica, cancellerà il colore e tra
filosofi e moralisti, buon Dio,
nessuno sfuggirà alla sua collera iconoclasta – né Kant, né
Spinosa, né Schopenhauer,
né Novalis, né Novicow, né
Haechel! A più riprese, sulle
macerie fumanti, intonando gloriosamente il suo inno
all’aurora che nasce, chiederà un’altra filosofia come chi
adesso chiede, in questo torrido caldo estivo, un gelato alla
fragola o una granita.
L’uso d’immagini come
calcinaccio e polvere, il paragone fra le aspirazioni della
nuova arte ed elementi liquidi e rapidamente solubili, è
una prova lampante che per
il critico portoghese gli ultimi
movimenti estetici erano manifestazioni effimere e transitorie. Il gioco tra volatilità e
costanza, liquidi e solidi era
una spia evidente del fatto
che il futurismo “non sarà in
grado di formare cristallizzazioni estetiche e filosofiche”.
Se il termine cristallizzazione era il segno inequivoco di
un’idea tradizionale d’arte, la
struttura di contrapposizioni di Grave s’arricchiva d’un
nuovo elemento impalpabile:
il vento che avrebbe portato
lontano gli schiamazzi di Marinetti e dei suoi compagni,
i quali non volevano che si
contemplasse “nessun chiar
di luna di soave bellezza”, né
che si ammirasse la “bellezza
perenne del passato”.
13
Un altro esempio di lettura paradossale è As lições
do futurismo (O Estado de S.
Paulo, 12 lug. 1914) che non
differiva dalla produzione fin
qui analizzata, anzi ne confermava i pregiudizi e la difesa
d’una visione dell’arte messa
in forse dalle nuove realtà del
XX secolo. “Quadri indecifrabili”, una “prosa sconcertante
e folle”, la negazione di tutte
le norme della metrica in poesia: erano questi i contributi
del futurismo ricordati da Ernesto Bertarelli, che proponeva una visione singolare del
rapporto del movimento italiano col passato. La violenza
futurista avrebbe costretto la
società contemporanea a stabilire un nuovo tipo d’approccio: studiare il passato prima
di rinnegarlo, non trasformarlo in un’immagine ideale per
il presente. In questo senso,
l’impetuoso, brutale, paradossale movimento avrebbe potuto essere considerato un fenomeno “logico e benefico”,
poiché favoriva una “contemplazione retrospettiva”.
L’idea del futurismo quale manifestazione patologica
poteva servire anche ad altri
scopi, come dimostrano Sérgio Milliet e Augusto Meyer
nel fare uso della “metafora
della malattia” in una versione abbastanza paradossale.
L’iconoclastia e l’onda anarchizzante del futurismo si trasformavano in “sollievo” nella
lettura di Milliet. Operazione
igienica, il movimento di Marinetti era riuscito a “ripulire
i magazzini della letteratura”, distruggere “il decadente
parnassianismo simbolista”
ed esaudire i voti dell’Europa
dei principi del secolo, “stanca degli zampilli, delle foglie
morte, dell’oppio ed altri ingredienti della poesia dei discendenti maniaci di Baude-
14
Relazioni
moderniste
e futuriste
Luiz Roberto Velloso Cairo e Aline Fogaça
L
laire e Samain” (Tendências.
A Noite, Rio, 15 dic. 1925).
Non era molto diversa
l’analisi di Meyer che all’“ultimo rantolo dell’umanesimo”,
rappresentato da Ernest Renan
e Anatole France, opponeva
l’opera “idealista” dei “barbari”. Se il connubio d’idealismo
e di barbarie può sembrare
incongruente, Meyer disponeva di argomenti di peso per
giustificare un’affermazione
apparentemente assurda. Individuata la falsità dell’umanesimo degli accademizzanti, l’“urlo rosso, meridionale,
scandaloso” dei futuristi rappresentava un tentativo di rianimare il genio latino che languiva nel rispetto della forma.
Meyer auspicava il recupero
della “salute” e dell’“armonia”; ma, consapevole che ciò
sarebbe avvenuto solo dopo la
rimozione degli ostacoli frapposti all’espansione dell’“entusiasmo creativo”, non poteva non vedere sotto una luce
favorevole l’azione di movimenti come il cubismo, il dadaismo e il futurismo che rin-
negavano i “formulari passivi,
senza alcun nesso col momento presente” (A decadência do
humanismo. Correio do Povo,
Porto Alegre, 14 apr. 1926).
Dall’opposizione fra pulizia e decadenza-ta­ra o fra
morte e barbarie si può dedurre che anche la visione positiva del futurismo si fondava
su criteri etici, sociali e non
solo estetici. Il background di
questo tipo di discorso sono
le ragioni della modernità che
l’arte non poteva misconoscere se non voleva mancare
all’appuntamento con la storia. Il gruppo antagonista invece condannava il futurismo
appunto per la sua modernità.
Nell’individuare nella piattaforma di Marinetti l’erosione
delle proprie idee artistiche,
politiche e sociali, sferrava violenti attacchi ad un movimento che sarà d’importanza capitale per la definizione di nuovi cammini per l’arte del XX
secolo, in contrasto con l’immagine d’una manifestazione
effimera che non avrebbe superato la prova del tempo.
(Universidade Estadual Paulista-Assis)
a tenue relazione fra il
Modernismo
brasiliano
e il Futurismo italiano è
già stata oggetto di analisi
di vari studiosi di entrambi i
movimenti, soprattutto a partire dalle figure di Oswald e
Mário de Andrade nel primo
ambito. Ciò che osserviamo
in questi studi è un incrociarsi, ovvio, fra letteratura brasiliana e letteratura italiana, e,
oltre a questo, fra la Letteratura Comparata e gli Studi di
Traduzione. In altre parole, si
può dire che che la traduzione svolge il ruolo di veicolo
conduttore, di ponte, fra queste due culture e offre il dialogo fra i suoi rappresentanti.
Le diverse discussioni
sull’“essere o non essere”
futurista, sia in verso che in
prosa, hanno l’obiettivo di
esplorare le possibilità artistiche, i punti di contatto
e di divergenza fra le due
scuole1. Gli esempi più conosciuti sono il “Prefácio
Interessantíssimo”2,
nel
quale Mário de Andrade rifiuta il titolo di “futurista
de Marinetti”, a lui attribuito dall’amico Oswald de
Andrade. L’affermazione di
Oswald era stata pubblicata
in un articolo intitolato “O
Meu Poeta Futurista”, sul Jornal do Comércio del 25 maggio 1921. Pochi giorni dopo,
anche Mário pubblica un
articolo sullo stesso periodico in risposta alle “accuse”
mosse. Nel frattempo, ancora nel “Préfacio”, lo scrittore rivela che era al corrente
della pubblicazione dell’articolo, dando adito alla voce
che il tutto non sarebbe stato
altro che una combine fra i
due Andrade, con l’obiettivo
di autopromuoversi. Ciononostante, Mário si assume
la responsablità per la ripercussione negativa generata
dalle affermazioni e si duole
di essersi lasciato condurre
dalla vanità.
Le “accuse”, tuttavia,
non si sarebbero fermate lì.
Oswald pubblica ancora un
altro articolo, con l’obiettivo
ora rivolto ai versi di Paulicéia
Desvairada, nei quali tenta di
evidenziare la vena futurista
dell’amico e di giustificare le
sue argomentazioni. Si noti
qui che l’opera appena citata
di Mário sarebbe stata pubblicata solo l’anno seguente. Sarebbe dunque quest’articolo
un ulteriore tentativo di divulgazione di uno dei marchi del
Modernismo brasiliano?
Oltre a questo articolo,
i paragoni con il Futurismo
furono inevitabili durante il
periodo conosciuto come
fase eroica del movimento.
Approfittando dell’euforia del
dopo Settimana di Arte Moderna, i modernisti pubblicano, il 15 maggio del 1922, il
primo esemplare della rivista
Klaxon: mensário de arte moderna, esattamente un anno
dopo la polemica degli articoli scambiati tra gli Andrade.
La preoccupazione principale della rivista era quella di
essere attuale, tuttavia, nella
sua presentazione lascia chiaro che non è futurista, bensì
“klaxista”. Quando rilascia
questa dichiarazione, la Redazione (la presentazione è
firmata da tutta la Redazione
della rivista, non solo da un
unico autore) sembra anticipare le critiche successive.
Fra queste, l’articolo anonimo pubblicato sulla rivista
Mundo Literário afferma che
Klaxon si tratta di una “repetição synthetica do manifesto
futurista de Marinetti, cousa
1
Mário de Andrade, nel “Prefácio Interessantíssimo”, sostiene che il Modernismo non deve avere l’appellativo di
scuola. Alcuni anni più tardi, nella conferenza “O Movimento Modernista”, considera il lemma modernista ‘desprezível’.
2
ANDRADE, Mário de. Poesias Completas. São Paulo: Círculo do Livro, [1980].
15
que já vem creando bolor, há
não menos de quinze anos”.
L’autore dell’articolo si ostina ad attribuire a Mário de
Andrade la presentazione di
Klaxon. Per questa ragione,
sarà lo stesso a ribattere alle
insinuazioni nella cronaca
“O Homenzinho que não
pensou”, pubblicato sul terzo
numero della rivista. Nel difendere se stesso e il mensile,
lo scrittore esalta l’incapacità
dell’autore anonimo di distinguere stili, tendenze e influenze, così come l’ignoranza alla
quale sono sottomessi i lettori di Mundo Literário. Mário
conclude che “não pode
haver conclusões negativas
numa época de construção”.
Ancora una volta, lo scrittore chiarisce che è impossibile che la rivista e tutto il Modernismo brasiliano non subiscano nessun tipo di influenza
futurista, tuttavia spiega che
non hanno l’intenzione di seguire il Manifesto futurista, ma
lo accettano per “compreender o espírito de modernidade universal”. Questo spirito
permea, effettivamente, altri
testi di Klaxon. Nel secondo
numero, per esempio, l’articolo “Nós” di Antonio Ferro
fa chiari riferimenti al Futurismo ed al suo personaggio più
caratteristico, Marinetti: “está
Marinetti – esse boxeur de
ideas”, além de frases como
“os comboios andam mais
depressa do que os homens.
Sejamos comboio, portanto!”.
Non solo la velocità, tanto
esaltata dal Futurismo, ma
l’elettricità ed il ripudio del
passato sono evidenziati da
Ferro. In un’altra poesia, “La
danza delle giornate Grigie
Cariocas”, di Vicente Ragognetti (che aveva già “cantato”
3
16
l’attualità nella poesia “Cercare il proprio”, su Klaxon 2),
si faccia attenzione al verso
“della voce delle automobili
in corsa” e, ancora una volta,
alla figura dell’automobile e
al legame con la velocità, tipici dell’avanguardia italiana.
Ancora su questa poesia,
è curioso notare la presenza,
nella terza strofa, della rappresentazione dell’arlecchino, ricorrente anche in Mário
de Andrade, nelle sue poesie
di Paulicéia Desvairada. Nely
Novaes Coelho3 analizza arlequinal come un’espressione
sintetizzatrice, dotata di un
potere riduttore – che amplia
la poesia. “Paulicéia Desvairada” è altresì il titolo della
poesia di Luis Aranha, in cui
l’assunto poetico abbraccia
non solo questa opera ma
anche il suo autore: “Não és
futurista/ Há nos teus poemas
raios ultravioletas (...)/ Porque
o arco-íris é seu pincel/ E é
tua penna também”. Se prima
Oswald lo nomina “futurista”,
COELHO, Nelly Novaes. Mário de Andrade para a Jovem Geração. São Paulo: Saraiva, 1970. p. 45.
Luis Aranha sembra volerlo
sollevare da questa carica,
evidenziando lo sperimentalismo delle sue poesie. Paulicéia Desvairada sarà anche
tra gli annunci di Klaxon, a
partire dal secondo numero.
Come visto, il mensário de
arte moderna rappresenta e
sintetizza la campagna iniziata nel febbraio del 1922, con
la Settimana di Arte Moderna.
Idee che furono lì manifeste
continuano ad echeggiare sulle pagine della rivista attraverso le riflessioni dei suoi collaboratori. Rubens de Moraes
scrive su Klaxon 4 l’articolo
Balanço de fim de século, a
riguardo del XIX secolo e della transizione verso l’arte moderna. Secondo lo scrittore,
il nuovo concetto di arte privilegia la personalità del suo
artista a discapito della tanto
sfruttata “Intelligenza” del XIX
secolo. In questo percorso
l’artista era passato dall’ingabbiamento in un’arte metodica,
tipica del Parnassianesimo, al
verso libero che nasce giustamente come un grido di libertà poetica. L’eco della “ribellione” già si era fatto sentire
con i romantici, passando per
i simbolisti, con particolare riferimento al poeta Rimbaud.
Tutti loro cercavano un altro
canale di espressione per una
nuova arte nella quale l’Intelligenza sarebbe stata sostituita
dall’intuito e dalla sincerità
dell’artista.
La nuova estetica, ora definita come intuitiva e personale, avrebbe potuto generare, a
volte, la creazione di simboli,
a prima vista, inattingibili. A
tal riguardo, Mário de Andrade afferma, nelle teorie del
“Desvairismo” contenute nel
“Prefácio Interessantíssimo”,
che la comprensione delle
arti è sempre mediata, poiché
l’arte moderna non può ca-
ratterizzarsi come definitiva
e finita. In questo stesso senso, Rubens de Moraes avverte
che questo atteggiamento è
necessario alla critica letteraria, una volta che si deve
attribuire percezione all’arte
moderna, e non affezione.
Quando Mário pondera la
comprensione in arte sta, in
verità, parafrasando il filosofo francese Henry Bergson, il
quale distinse la filosofia dalla
scienza e, conseguentemente, influenzò l’estetica modernista in modo diretto e indiretto, secondo Moraes. Per
il filosofo tale distinzione è
l’imperativo per la conoscenza della vita, a sua volta così
immediata e instabile come
il discernimento dell’arte. A
causa di questa approssimazione si può dedurre il perché
del merito dato a Bergson dalla nuova estetica.
L’incomprensibilità è frutto principalmente della simbologia, come visto. Al contempo, al simbolo si correla
l’emozione estetica che il
poeta cerca nel subconscio
e porta nella sua poesia. Per
questa ragione, Rubens de
Moraes lo intende come essere irrazionale e illogico.
Mentre Mário de Andrade
attribuisce alla simbologia il
“Lirismo” e la simultaneità. Il
primo è un’allegoria creata da
lui per designare l’impulso lirico derivante dall’esperienza
stessa del poeta. In altre parole, uno stato “sublime” vicino
alla “sublime” pazzia. Vincolata a questa teoria è quella
dei versi armonici, sottolineando l’idea di simultaneità
della poesia. Tali riflessioni
sono presenti anche nel “Prefácio Interessantíssimo”, nella
scuola del “Desvairismo”.
Per tutte queste considerazioni è comprensibile il rifiuto
del titolo di futurista, una volta che il Manifesto Futurista
propaga l’ingabbiamento radicale della poesia nel mondo oggettivo dei fatti. L’ideale
modernista si stabilì in senso
contrario, utilizzando l’irriverenza, la “ribellione”, per la
conquista di uno spazio dove
fosse possibile stabilire il progetto di riscatto della cultura
primitiva brasiliana, risultante
nella costruzione di una tradizione nazionale. Il modo in
cui si diede questa rottura, con
ostentazione, con il rumore di
Klaxon, fece sì che non ci fosse
una differenziazione fra i due
movimenti. Il fatto è che dopo
questa fase “distruttrice”, il
Modernismo cercò le sue fondamenta, mentre il Futurismo
italiano tese appena a continuare a distruggere e a svincolarsi dal passato. Frattanto, le
diverse traiettorie non furono
sufficienti perché parte del
pubblico non le confondesse.
In qualche modo, il dibattito
sulle possibilità e impossibilità
fra l’avanguardia e il modernismo klaxista, “desvairista”, si
è protratto e continua attuale
così come nel 1922.
(Traduzione di
Andrea Santurbano)
17
Ripercussioni
futuriste
in Brasile:
*
da nord a sud
S
Patricia Peterle
(Universidade Federal de Santa Catarina)
i è parlato già molto
del movimento futurista di Filippo Tommaso
Marinetti. Il 2009, anno del
centenario del manifesto,
pubblicato inizialmente il
05 febbraio sulla Gazzetta
dell’Emilia e, subito dopo,
sul giornale Le Figaro, il 20
febbraio 1909, viene marcato da innumerevoli mostre
ed eventi per il mondo. La
pubblicazione di quel primo
manifesto e dopo quella di
tanti altri che vanno dalla letteratura alle arti (pittura, scultura), alla musica, al cinema, alla radio generano una
grande ripercussione di quel
movimento non solo nel vecchio continente, ma anche
in quello nuovo. Riflettere su
come le idee futuriste arrivarono in America Latina ed in
Brasile, come, quando e da
chi furono lette e rilette, chi
se ne appropriò o le rigettò,
è un compito fondamentale
quando si pensa all’interazione tra i sistemi letterari italiano e brasiliano, ma qualche
volta è dimenticato.
*
Questo lavoro è legato al progetto di ricerca “Tradução e repercussão da literatura italiana na imprensa brasileira na
primeira metade do século XX”. Una prima parte di questo progetto è in fase di sviluppo presso il “Núcleo de Literatura
Comparada” (NELIC) dell’Universidade Federal de Santa Catarina.
18
Certamente l’inizio del XX
secolo non è l’unico punto di
confluenza ed interazione fra
i due sistemi, tuttavia chiama
l’attenzione per il coinvolgimento di personalità dal nord
al sud del Brasile, riviste letterarie e giornali. Insomma, è
un momento di effervescenza
della cultura brasiliana che
viene alla luce con i paulistani e la Settimana di Arte Moderna del 1922, ma lasciava
subito i suoi segni e si ripercuoteva in varie istanze non
solo paulistane.
Quando si pensa alle parole “futurismo”, “futurista” o
“Marinetti” in Brasile la tendenza è andare direttamente
all’asse Rio - San Paolo, veramente più al secondo termine di questa equazione. Si
pensa a Oswald de Andrade,
Mario de Andrade e a tutti
quelli che in qualche modo
parteciparono alla Settimana. Tuttavia diversi studiosi
come Annateresa Fabris, José
Aderaldo Castello, Luciana
Stegagno-Picchio
indicano l’esistenza di un dialogo anteriore. Forse a causa
dell’egemonia economica e
culturale di San Paolo si pensa direttamente agli eventi ed
agli scrittori legati alla città
della pioviggine. Ma il termine “futurista” circolò da
nord a sud, dalla Bahia a San
Paolo, da Almachio Diniz a
Mario e Oswald de Andrade,
passando per le innumerevoli riviste moderniste.
Nello stesso anno della
pubblicazione del Manifesto
Futurista, il giornalista bahiano Almachio Diniz traduce e
diffonde in versione integrale il Manifesto sulle pagine
del Jornal de Notícias di Salvador, con il titolo di “Uma
nova escola literária”. Luciana Stegagno-Picchio, nella
sua Storia della Letteratura
Brasiliana, si riferisce al 1910
come all’anno della traduzione di Almachio Diniz, ma
in verità il 1910, ossia mesi
dopo la prima traduzione
che non ebbe quasi nessuna
ripercussione, il giornalista
baiano pubblica un piccolo articolo “O romance de
Marinetti”, nel quale parla
dell’opera Mafurka futurista
del 1910. � Cent’anni, quindi, dalla
prima pubblicazione completa pubblicata in Brasile.
Dalla traduzione sul giornale bahiano, sia il manifesto
che la stessa figura “scandalistica” del suo creatore,
Filippo Tommaso Marinetti,
come si sa, generano polemiche e discussioni tra gli
intellettuali brasiliani: Monteiro Lobato, Graça Aranha,
Menotti del Picchia, Sérgio
Buarque de Hollanda, Cassiano Riccardo, Paolo Setubal, Ronald de Carvalho,
Guilherme de Almeida e tutti coloro che, in un modo o
nell’altro, furono trascinati
dallo spirito innovatore o vi
parteciparono attivamente, e
il cui climax è la Settimana
del 22. Comunque, anche
prima dell’evento al Teatro
municipale di San Paolo, le
notizie già circolavano.
Frutto di tale spirito sono
anche il progetto editoriale e
la pubblicazione della Rivista
Klaxon: mensario de arte moderna, uno dei grandi veicoli
di divulgazione e promozione delle idee moderniste. La
vita di questa rivista è corta,
dal 15 maggio 1922 – pochi
mesi dopo la Settimana – fino
a gennaio 1923, e la sua circolazione si ebbe soprattutto
a San Paolo.
Como è esplicitato nel
sottotitolo, mensario de arte
moderna, la proposta principale è riflettere, definire, allargare ed anche “maturare”
le idee che erano in voga.
Per Oswald de Andrade la
concretizzazione del progetto di Klaxon è un’evidenza in più del movimento dei
modernisti. La prima rivista
modernista è, in verità, la
conseguenza dell’inesistenza
di uno spazio proprio per le
discussioni di questo gruppo, che fino a quel momento
apparivano sparse su giornali come Jornal do Comércio,
Correio Paulistano e Gazeta.
È, quindi, un materiale che
testimonia una parte della
vita culturale ed intellettuale
del Brasile post-Settimana,
oltre a documentare l’ideologia e lo spirito del gruppo
che si veniva costituendo intorno alla rivista.
Possono essere identificate diverse tipologie testuali
nei numeri di Klaxon: poesie,
articoli, commentari, propa-
19
gande, critiche letterarie e di
arte, barzellette. Una pubblicazione che rifletteva l’effervescenza, la diversità e la
pluralità culturale di un momento. Insomma, polifonica,
multiple voci che segnalano
gli svariati cammini della modernità e dell’arte moderna.
Tali voci assumono un profilo
nello stesso nome del periodico che già annuncia la sua
spettacolarità a partire dallo
stesso nome: klaxon. È come
se la stessa rivista si auto-annunciasse! � Nel primo numero di Klaxon, il testo che introduce la
nuova rivista è marcato dal
carattere frammentario e da
frasi molto corte e d’effetto.
Tale editoriale, firmato dalla
redazione, è diviso in 4 momenti: “Significação”, “Estética”, Cartaz” e “Problema”.
Nel leggere quell’editoriale,
possono essere sottolineati i
seguenti messaggi:
Significazione
La lotta cominciò veramente
al principio del 1921 dalle
colonne del Jornal do Comércio e del Correio Paulistano.
Primo Risultato: “Semana de
Arte Moderna” [...]Furono
propagate idee inammissibili. Bisogna riflettere. Bisogna
chiarire. Bisogna costruire.
Quindi, KLAXON.
Estetica
E KLAXON sa che la vita esiste [...]KLAXON non avrà
la preoccupazione di essere
nuovo, ma di essere attuale.
Questa è la grande legge della novità.
KLAXON sa che l’umanità
esiste. Perciò è internazionalista [...]
KLAXON sa che il progresso
esiste. Perciò, senza rinnegare
il passato, va avanti, sempre,
sempre. Il campanile di San
20
Marco era un capolavoro.
Doveva essere conservato. È
caduto. Averlo ricostruito è
stato un errore madornale e
dispendioso - fatto che stona
davanti alle necessità contemporanee [...]
KLAXON sa che il cinematografo esiste.
KLAXON non è esclusivista.
Comunque giammai pubblicherà inediti di cattivi bravi
scrittori già morti.
KLAXON non è futurista.
KLAXON è klaxista.
Le frasi corte, il tono ed il
ritmo ricordano la scrittura legata al genere del manifesto.
In quelle poche ma consistenti righe, il gruppo di redazione
traccia le direttrici di quella
pubblicazione attuale – usando una definizione di Klaxon
-, che ha come obiettivo principale riflettere, chiarire e costruire. La tensione qui intrinseca si riflette anche nei binomi continuità e rottura, tradizione ed innovazione, passato
ed attuale. Tale questione è,
inoltre, posta da Mario de Andrade, alla fine dell’articolo
“Luzes e Refracções”: “La sincerità in arte non consiste nel
riprodurre, ma nel creare”
Nel secondo numero,
editato il 15 giugno 1922,
appaiono i nomi di Sérgio
Milliet, Luis Aranha, Vicente
Rigognetti, Mario de Andrade,
Oswald de Andrade, Di Ca-
valcanti tra gli altri. L’attualità, impronta dell’editoriale, è
presente nel titolo della poesia
“Aeroplano” di Luis Aranha
così come nella poesia di Rigognetti “Cercare il proprio”.
Le trasformazioni urbane e
l’attrazione per le “nuove tecnologie” attraggono l’io lirico
di “Aeroplano”: “Meu corpo
cantaria/Sibilando/A Sinfonia
da velocidade/E eu tombaria/
Entre os braços abertos da
cidade...” [Il mio corpo canterebbe/Sibilando/La Sinfonia
della velocità/E io cadrei/Tra
le braccia aperte della città
N.d.T.]. Queste nuove macchine affascinano molto Marinetti, che scrive nel 1910 il
romanzo in versi L’aeroplano
del Papa. In questa riga, come
afferma Raul Antelo: “no Brasil, caberia registrar “Os Pássaros de Aço”(1921) de um,
mais que esquecido, quase
desconhecido Agenor Barbosa” 3; [in Brasile, serve sottolineare ‘Gli uccelli di Acciaio’
(1921) di un, più che dimenticato, quasi sconosciuto Agenor Barbosa N.d.T.] che è ricordato anche dalla StegagnoPicchio, essendo considerato
dalla studiosa un esempio
dell’influenza e della circolazione delle idee futuriste.
Se la figura dell’aeroplano è presente nella seconda
edizione della rivista, il convoglio, la velocità ed alcuni
altri elementi che possono
rimettere alle proposte futuriste di Marinetti caratterizzano
il primo testo del numero 3,
intitolato Noi e firmato dal
portoghese e uno dei direttori
della rivista Orpheu, Antonio
Ferro. “É preciso gerar, crear...
[Bisogna generare, creare...].
Il dialogo desiderato con i
vari e diversi ambienti culturali
può essere anche confermato
dall’approssimazione di Klaxon alla rivista francese L’Esprit
Nouveau di Ozenfan-Le Corvusier, che veniva pubblicata
dall’ottobre 1920. Come afferma Annateresa Fabris:
“[...] várias visões de modernidade se entrecruzam em
Klaxon, denotando sua busca
de um caráter próprio, apto a
definir o espírito moderno brasileiro, internacional e dotado
de prerrogativas próprias ao
mesmo tempo” [diverse visioni di modernità si incrociano
in Klaxon, denotando la sua
ricerca di un carattere proprio,
adatto a definire lo spirito moderno brasiliano, internazionale e dotato di prerogative
proprie allo stesso tempo].
(1994, p. 214). E ancora con
Annateresa Fabris, “os traços
futuristas de Klaxon são a nosso ver, mais fortes que os construtivistas e os expressionistas,
embora sejam admitidos apenas parcialmente e embora denunciem uma idéia nem sempre verdadeira do movimento
italiano.” [i tratti futuristi di
Klaxon sono a nostro parere
più forti di quelli del costruttivismo e quelli espressionisti,
anche se sono ammessi appena parzialmente e anche se denunciano un’idea non sempre
vera del movimento italiano]
(1994, p. 215).
Ciò che si vede è che alcuni anni dopo la divulgazione
del manifesto, le idee futuriste
ancora circolavano nel paese
ed erano motivo di dibattiti,
come dimostrano il profilo e
le discussioni in Klaxon e tutta
la ripercussione dell’arrivo e
soggiorno di Marinetti in Brasile, nel 1926, annunciato in
vari organi della stampa. Nel
Jornal do Brasil del 10 maggio, esce in prima pagina l’articolo “Não há salvação fora
da esthetica da machina, do
seu esplendor geométrico”,
che anticipava alcuni temi
della conferenza di Marinetti. Come sottolinea Gilberto
Mendonça Telles: “A partir de
1920, no Brasil, o futurismo
dominará até 1925, quando o
nome de modernismo se impôs, no Rio e em São Paulo e
foi depois se espalhando pelo
Brasil afora.” [Dal 1920, in
Brasile, il futurismo dominerà
fino al 1925, quando il nome
del modernismo si impose, a
Rio e a San Paolo e dopo si
disseminò per tutto il Brasile]
(TELLES, 2009, p. 68)
Le ripercussioni futuriste
nella terra brasilis sono state molte e sono, come già è
stato collocato all’inizio, una
questione per gli studiosi di
letteratura comparata. Dalla
traduzione di Almachio Diniz
a tante altre che le succedettero, le riviste straniere che circolavano all’epoca, ai viaggi
di brasiliani in Europa e di europei in Brasile, come quello
di Marinetti, è possibile percepire la rete di legami invisibili, ma esistente ed essenziale, che è presente tra le righe
della produzione letteraria ed
intellettuale in quei primi decenni del XX secolo in Brasile.
(Traduzione di Anna Palma)
Bibliografia
ANDRADE, Mário. Aspectos da
Literatura Brasileira. Belo Horizonte: Itatiaia: 2002.
BOAVENTURA, Maria Eugenia
(Org.). 22 por 22 – a Semana de
Arte Moderna vista pelos seus
contemporaneos. São Paulo: Edusp, 2000.
CASTELLO, José Aderaldo. A literatura brasileira. Vol.II. São Paulo:
Edusp, 1999.
FABRIS, Annateresa. O Futurismo
Paulista. São Paulo: Perspectiva,
1994.
STEGAGNO-PICCHIO, Luciana.
História da Literatura Brasileira.
Rio de Janeiro: Nova Fronteira,
1997.
____________. “Pontos Cardeais da
vanguarda Latino-Americana [tópicos a serem desenvolvidos]. In: Revista de Literatura, História e memória,
vol. 5, nº5, 2009, p.63-69.
21
Traversie
futuriste: Italia,
Portogallo
e Brasile
Andrea Santurbano
(Universidade Federal de Santa Catarina)
J
osé de Almada Negreiros,
poeta, scrittore e pittore
portoghese, si dichiara
futurista nel suo famoso Manifesto Anti-Dantas, usando
pochissime parole e un’onomatopea: “Morra o Dantas!
Morra! Pim!”. E firmando:
“José de Almada Negreiros,
poeta d’Orpheu futurista e
tudo 1915”. Nel febbraio del
1924, a sua volta, il poeta
brasiliano Ronald de Carvalho, tra i fondatori della stessa rivista Orpheu, in origine
luso-brasiliana, scrive in una
lettera indirizzata a Jackson
de Figueiredo e pubblicata
sulla Revista do Brasil: “O
futurismo é também passadismo. Morra o Futurismo!”. Insomma, un campo semantico
caro ai futuristi, quello della
morte, finisce col ritorcersi
contro lo stesso movimento.
Ma andiamo per ordine.
Secondo l’autorevole opinione di Alberto Asor Rosa, il
futurismo rappresenta il primo
movimento letterario, artistico, intellettuale e culturale italiano di diffusione europea (e,
si potrebbe aggiungere, mondiale) dopo il secolo XVII. Tale
premessa non è inutile, dal
momento che esso è sempre
1
22
stato considerato e analizzato
in Italia non senza qualche imbarazzo per le sue implicazioni ideologiche e politiche.
Dissidi non mancarono
neanche all’inizio, se si pensa
ai tanti nomi che preferirono allontanarsi dal futurismo
dopo la prima fase “eroica”,
cioè negli anni che precedettero l’entrata dell’Italia
in guerra. La rivista Lacerba,
dove fu pubblicato il manifesto politico del futurismo nel
1913, è lo specchio fedele di
tale conflittualità, e vede già
delinearsi negli interventi dei
vari Papini, Soffici, Palazzeschi un concetto di modernità
che distingue due concezioni,
quella di “futurismo” e quella
di “marinettismo”, come conferma Annateresa Fabris:
a [concepção] futurista,
atenta ao devir contemporâneo, à compreensão das novas
exigências da arte – lírica, irônica, regida por leis próprias;
a marinettista, aparentemente
moderna, mas substancialmente naturalista, profética,
militarista, chauvinista, moralista, americanista, germanista.
Sua arte estaria imbuída de valores retrógrados e gregários,
de um novo tecnicismo, de
tendências simplificadoras e
goliardescas.1
Forse, il più lucido teorico
nel futurismo, in campo artistico, è stato Umberto Boccioni, morto durante il primo
conflitto mondiale così come
altri che risposero all’appello militante della guerra sola
“igiene del mondo” e che
perpetrarono, d’altro canto,
la concezione oriunda dalle
avanguardie storiche di vita e
arte compenetrate in modo indissolubile. Come detto, molti
autori si dissociano presto dal
futurismo, tra cui Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Massimo Bontempelli, segnando la conclusione di un primo momento,
per così dire, rivoluzionario.
Primo momento che si configura come il più anarchico e
che conosce una interessante penetrazione anche nelle
masse operaie. Vale la pena
riportare una dichiarazione
di Bontempelli, riflesso degli
orientamenti culturali e letterari di parte dell’intellighenzia
italiana tra il dopoguerra e
l’insorgere del fascismo:
Ci accorgemmo nel ‘19
che la guerra aveva fatto tabula rasa di tutte le scuole
d’avanguardia che negli ul-
FABRIS, Annateresa, O futurismo paulista, São Paulo, Perspectiva, 1994, p. 106.
timi decenni dell’anteguerra
avevano invaso l’Europa in
tutti i campi: e nell’arte e nel
costume avevano invero spazzato via una quantità di vecchi pregiudizi, di idee e gusti
stantii e ingombranti […]. Per
avanguardia s’intese l’affannosa ricerca di taluni mezzi o
strumenti o particolari espressivi, e la focosa predicazione
che gli scopritori ne fanno.
Tutta l’opera loro […] erano
una serie di esemplificazioni
frammentarie, vistose esibizioni. […] Io sono nettamente
per accettare il dopoguerra
come tabula rasa. Invidiabile
situazione di primavera.2
La disseminazione del futurismo, che in patria sarebbe
stato delegata principalmente al suo fondatore Filippo
Tommaso Marinetti e relegata
nelle contraddittorie frontiere
del fascismo, si espande per
il mondo, provocando accesi dibattiti come nel caso del
Brasile. Se non si vuole dar
peso all’immagine simbolica
di Oswald de Andrade che
torna da Parigi nel 1912 con
una copia sottobraccio del
primo manifesto futurista,
così come alle prime traduzioni dello stesso manifesto
in Brasile, senza alcuna ripercussione significativa, è interessante allora ripercorrere
l’esperienza della rivista Orpheu, in quanto tentativo di
diffusione delle nuove istanze
poetiche moderniste dal vecchio al nuovo continente.
Il nome della pubblicazione vuole richiamare il mito orfico di Orfeo e Euridice, cioè,
della discesa agli inferi, del
legame, dell’intersezione tra
vita e morte; e, quindi, attribuire alla poesia un carattere
rivelatorio, di disgregazione e
allo stesso tempo di ricomposizione sensoriale su un piano
sintetico e intuitivo, come nei
quadri di Robert Delaunay.
Non a caso, l’arte di questo
pittore, tra i protagonisti della
stagione storica delle avanguardie parigine, fu chiamata
“orfismo” da Guillaume Apollinaire nel suo libro I pittori
cubisti. Mário de Sá-Carneiro,
poeta portoghese morto suicida a Parigi nel 1916 e che
sarà il vero animatore della
rivista insieme a Fernando
Pessoa, è infatti un ammiratore di Delaunay. L’esperienza di Orpheu si esaurisce in
appena due numeri, seppur
di grande peso specifico nella
storiografia letteraria. Dietro
non vi è una scuola, termine
aborrito dagli stessi fondatori,
ma un’aggregazione di spiriti uniti dall’idea di un rinnovamento culturale. L’idea di
Orpheu nasce, esattamente,
nel 1914, da un’iniziativa
congiunta di un letterato portoghese, Luís de Montalvor,
e Ronald de Carvalho, con
l’intenzione di fondare una
rivista luso-brasiliana. Come
ipotizza Arnaldo Saraiva, i
due, che figurano come direttori del primo numero, avrebbero concretizzato l’idea sulla spiaggia di Copacabana.
All’inizio del 1915, poi, Montalvor presenta il progetto a
Pessoa e Sá-Carneiro in quel
di Lisbona. A marzo e giugno
escono quindi i due numeri,
il secondo sotto la direzione
di Pessoa e Sá-Carneiro, definiti con una bella espressione
da David Mourão-Ferreira il
“Dedalo” e l’“Icaro” della poesia portoghese.
Parlare di Orpheu permette di cominciare a chiari-
re alcune questioni legate al
futurismo e alla sua diffusione in Brasile, dal momento
che, ancorché di impatto limitatissimo, l’importanza di
questa rivista non può essere
totalmente accantonata. Certo Lisbona era una sede più
adeguata di Rio de Janeiro
per la creazione di una nuova rivista in qualche modo di
avanguardia, visto che poeti e
artisti portoghesi – Sá-Carneiro soprattutto, ma anche altri,
come Amadeo de Souza-Cardoso o Guilherme de Santa
Rita – facevano la spola con
Parigi, importando così dalla capitale francese le nuove
istanze moderniste. La ville
lumière è già percorsa dal cubismo e dal futurismo e da lì
a poco avrebbe visto il diffondersi di dadaismo e surrealismo. I vari Max Jacob, Picasso, Georges Braque, Amedeo
Modigliani, Jean Cocteau,
André Breton, Louis Aragon, i
fratelli de Chirico, oltre ai già
citati Apollinaire e Delaunay,
ne dividevano il palco con
Filippo Tommaso Marinetti.
E, a vari livelli, gli artisti lusitani entrano in contatto con
questo mondo. Sá-Carneiro
ne capta gli umori dal suo
2
Apud PETRONIO, Giuseppe, Racconto del Novecento letterario in Italia. 1890-1940, Milano, Mondadori (Oscar),
2000, pp. 186-187.
23
isolamento schivo, timido ed
egocentrico, mentre Pessoa,
come si sa, non si muove da
Lisbona, confidando al suo
universo eteronimico le ansie
di spostamento fisico, mentale e intellettuale.
Orpheu è considerato il
fulcro del cosiddetto “primo
modernismo”
portoghese,
poiché rinnova in senso più
cosmopolita, aprendo alle
avanguardie, il panorama
culturale del paese. Tuttavia,
è una esperienza sostanzialmente iconoclasta, che, pur
presentando una nuova estetica, non rinnega il passato,
anzi, l’impronta simbolista e
decadente in alcune delle poesie pubblicate è evidente. In
questa intersezione artistica,
il futurismo si confronta con
gli altri –ismi di ispirazione
pessoana e, in parte, sacarneiriana: sensazionismo, paulismo, intersezionismo.
Con particolare attenzione, di nuovo, alla figura
e opera di Sá-Carneiro, paradigmatica nella misura in
cui tramita trasversalmente
in un’epoca di grandi trasformazioni, vivendo in modo
dilacerante le traversie della
modernità, è possibile percepire distopicamente il futurismo in un’ottica ambivalente
di attrazione/repulsione. SáCarneiro, difatti, vuole esperire la poetica marinettiana
in forma di blague e il frutto
di questo tentativo si ha nelle due poesie “Manucure” e
“Apoteose”, pubblicate sul
secondo numero di Orpheu.
Il suo avvicinamento al futurismo era stato vissuto, a quel
che è dato di capire, in parte
con curiosità nei confronti di
un nuovo modulo espressivo
sintetico e “sinestetico”, che
poteva dar voce alla sua sen-
sibilità onnivora e trasbordante, in parte con il distaccato
pessimismo di un radicato
simbolista un po’ eccentrico
e blasé. D’altronde, la rinuncia, il sacrificio dei maestri
simbolisti sembra essere costato anche a Marinetti, come
egli stesso afferma nel 1917
nell’articolo Noi rinneghiamo i nostri maestri simbolisti
ultimi amanti della luna: “Noi
abbiamo sacrificato tutto al
trionfo di questa concezione
futurista della vita. Tanto, che
oggi odiamo dopo averli immensamente amati, i nostri
gloriosi padri intellettuali: i
grandi geni simbolisti Edgar
Poe, Baudelaire, Mallarmé e
Verlaine”3. Di Marinetti SáCarneiro accetta la rivolta
contro certo tradizionalismo,
ma non condivide la postura
positivistica, istrionica, distruttrice, ostentata, anticipando in quealche modo le
reazioni di alcuni modernisti
brasiliani: si pensi, ad esempio, ad un Mario de Andrade.
Tornando ad Orpheu, mentre i collaboratori portoghesi,
tra cui lo stesso Almada Negreiros, imboccano un cammino decisamente sperimentale, lo stesso non può dirsi dei
poeti brasiliani che vi partecipano, ancora legati a modelli
formali simbolisti o comunque
più tradizionali. Sia Ronald de
Carvalho che Eduardo Guimaraens, il primo pubblicando poesie come “A alma que
passa”, “Lâmpada noturna”,
“Torre ignota”, “Reflexos” e “O
elogio dos repuxos”, il secondo “Sobre o cysne de Stéphane
Mallarmé”, “Folhas mortas” e
“Sob os teus olhos sem lágrimas”, si mantengono lontani
da un’immaginario modernista
o, più specificamente, “sensazionista”, il vero marchio della
rivista accanto a quello futurista. Un “sentir tudo de todas
as maneiras”, per recuperare
i versi di Pessoa, vale a dire
una poetica che moltiplicasse
gli effetti sensoriali alla luce di
una realtà sempre più compenetrata nel ritmo della velocità
delle macchine. Insomma, pur
se Orpheu si configura come
esigenza di rinnovamento di
un gruppo di autori portoghesi
a contatto col futurismo, costituisce di fatto un’incursione, per quanto di scarsissimo
impatto, anche nel panorama
culturale brasiliano.
Quello delle ripercussioni
del futurismo in Brasile negli
anni ‘10 è comunque un capitolo ancora aperto, a partire
dalla prima traduzione integrale del manifesto di Almachio Diniz, pubblicata il 30
dicembre 1909 sul Jornal de
Notícias di Salvador. Quando,
come e con quale rilevanza vi
entrò in circolazione il concetto di futurismo è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori;
ma appare chiaro che esso
originò una serie di equivoci
e di interpretazioni decontestualizzate, e che fu inteso più
per la sua valenza innovatrice
in termini di temi e immagini,
riferibili ad una società in forte trasformazione tecnologica,
che per la sua pretesa rivoluzione formale se non addirittura culturale. Ad ogni modo,
all’inizio degli anni ‘20,
l’espressione “futurista” circola già con frequenza fra artisti
come Brecheret, Guilherme
de Almeida e Menotti Del Picchia, il quale, durante la Settimana d’arte moderna del ‘22,
dichiara in un’accumulazione
tipica da manifesto:
Queremos luz, ar, ventiladores, aeroplanos, reivindi-
cações obreiras, idealismos,
motores, chaminés de fábricas, sangue, velocidade, sonho em nossa arte. Que o rufo
de um automóvel, nos trilhos
de dois versos, espante da poesia o último deus homérico,
que ficou anacronicamente a
dormir e a sonhar, na era do
jazz band e do cinema, com a
flauta dos pastores da Arcádia
e os seios divinos de Helena.4
Ma l’episodio marcante in
ottica futurista, come noto, è
costituito dalla polemica fra
Oswald e Mario de Andrade,
allorché il primo chiamò il secondo “meu poeta futurista”
sulle pagine del Jornal do Comércio nel 1921, meritandosi
una piccata replica contenuta
nel “Prefácio interessantíssimo” di Paulicéia desvairada:
Não sou futurista (de Marinetti). Disse e repito-o. Tenho pontos de contacto com
o futurismo. [...] Escrever arte
moderna não significa jamais
para mim representar a vida
atual no que tem de exterior:
automóveis, cinema, asfalto. Se
estas palavras freqüentam-me o
livro não é porque pense com
elas escrever moderno, mas
porque sendo meu livro moderno, elas têm sua razão de ser.
Pur non volendo entrare in
un’analisi dettagliata, appare
evidente che: primo, l’idea di
futurismo, sebbene non univoca, è presente nell’ordine
del giorno dei dibattiti culturali; secondo, Marinetti e il futurismo vengono in quest’epoca
comunemente associati, tanto
che Mario, in questa e in altre circostanze, s’impegna a
d’Acciaio, tô! Uma banana é
que eu traduzo.5
distinguerli l’uno dall’altro. In
seguito, l’adesione di Marinetti, l’accademizzato Marinetti,
al fascismo inficierà irrimediabilmente su un’obiettiva valutazione del movimento da lui
fondato. Anche per questo, il
suo primo viaggio in Brasile,
nel 1926, suscita entusiasmo
e imbarazzo allo stesso tempo, e la valutazione negativa
dello stesso è veicolata principalmente dai modernisti
e dalla stampa di San Paolo,
nonostante la buona accoglienza in occasione del suo
sbarco a Rio. Citando ancora
Mario de Andrade, si legge in
una sua lettera indirizzata a
Prudente de Moraes Neto:
Só estive com o tipo [Marinetti] duas vezes e me fez a
mais idiota das impressões.
Chato e chatíssimo, falando o
tempo todo e o que é muito
mais pior, dando a impressão
do sujeito que fala de-cor,
pudera, pois se desde 1909
vive repetindo a mesma coisa!... Não gostei não, falei-lhe
as minhas verdades e ele não
enfricou: continua me caceteando e agora quer que eu traduza para portuga L’Alcova
Marinetti, nel frattempo,
stilando una personale lista dei
futuristi mondiali nel 1924, vi
include un “De Andrade”, ma
non è dato sapere se si riferisse
a Mario o a Oswald.
Comunque, se il primo
viaggio di Marinetti in Brasile
fu conturbato, che dire del suo
primo viaggio in Portogallo,
avvenuto solo nel 1932? La risposta la fornisce il futurista più
convinto, Almada Negreiros,
organizzatore nel 1917, dopo
l’avventura di Orpheu, della
rivista Portugal Futurista, che fu
subito sequestrata dalle autorità. Dunque, così come si era
iniziato, si può chiudere con le
sue contundenti parole, efficaci più di qualsiasi commento:
Exactamente vinte e três
anos depois do movimento
futurista, veio a Portugal o seu
chefe e criador, F.T. Marinetti.
Mais vale tarde do que nunca
[...] O admirável criador do futurismo está naquela fase acadêmica e na respectiva idade
que se prestam lindamente
para ser manejadas pelos putrefactos e pelos arranjistas. O
mais grave é que F.T. Marinetti
não desconhece que Portugal
é o único país latino, além da
própria Itália, onde houve um
movimento futurista. Pois da
parte de Marinetti não houve
uma única e simples saudação
aos seus companheiros de Portugal. Lastimamos, nós os futuristas portugueses, que o grande
cosmopolita Sr. Marinetti tenha
por desgraça o grande e imparável defeito de não saber
viajar, pelo menos em Portugal!6
Testo consultabile in vari libri e su internet.
In KOIFMAN, Georgina (a cura di), Cartas de Mario de Andrade a Prudente de Moraes, Neto 1924/36, Rio de
Janeiro, Editora Nova Fronteira, 1985, p. 195.
6
ALMADA NEGREIROS, Textos de intervenção, Vol. VI, s.l., Imprensa Nacional-Casa da Moeda, 1993.
4
5
3
24
Apud ASOR ROSA, Alberto, Novecento primo, secondo e terzo, Milano, Sansoni, 2004, p. 127.
25
Un “mondo nuovo”:
il cinema secondo i
futuristi e i modernisti
Mariarosaria Fabris
(Universidade de São Paulo)
N
egli anni a cavallo del XIX
e del XX secolo, numerevoli invenzioni fecero la
loro comparsa, si perfezionarono o si diffusero: nuovi mezzi di locomozione (mongolfiera, transatlantico, treno, automobile, motocicletta, tranvai,
ascensore), nuovi apparecchi
di trasmissione (radio, telegrafo, telefono), nuove tecniche di riproduzione di testi,
immagini, suoni (macchina
da scrivere, fotografia, cinematografo, fonografo, grammofono) e nuovi prodotti per
i lavori domestici. Tutte queste
innovazioni ben reclamizzate, insieme alla progressiva
espansione
dell’elettricità,
rivoluzionarono il modo di
vivere, modificando le abitudini quotidiane, il comportamento sociale e il modo di
concepire il mondo, specie
nelle città – scenario privilegiato della vita moderna.
Le reazioni a queste novità oscillarono fra il rifiuto e
l’entusiasmo, passando per
un’ineluttabile accettazione
e per la percezione che esse
stavano trasformando profondamente la sensibilità dell’uomo contemporaneo e, conseguentemente, il suo rapporto
con l’arte. Niente di meglio
del cinematografo per captare la fugacità di questo nuovo
modo di vivere che le ultime
scoperte avevano velocitato.
26
Rivale del treno, dell’automobile, dell’aeroplano nella formazione di un nuovo
sguardo da lanciare sul mondo, erede della fotografia,
figlio dell’elettricità, fratello
del giornale e del teatro di
varietà (tutti in grado di unire
realtà distanti fra di loro), il cinema sconvolgeva la nozione
di tempo e di spazio. Somma
di varie invenzioni, capace di
imporsi alle altre forme di comunicazione di massa nella
creazione e nella diffusione
di modelli comportamentali
diversi, il cinematografo fu
considerato uno dei grandi
simboli della società contemporanea per la simultaneità,
per la velocità e per il nuovo
ritmo che imprimeva alle arti
e alla vita.
Sebbene lo considerassero un linguaggio consono
alle proposte fondamentali
del loro movimento, i futuristi
non si avvicinarono subito al
cinema. Trascorsero ben più
di sette anni fra il primo manifesto del Futurismo (febbraio 1909) e la manifestazione
d’un interesse diretto per il cinema, che si concretizzò nel
secondo semestre del 1916,
nel film Vita futurista e in un
primo testo programmatico,
La cinematografia futurista,
firmato da Filippo Tommaso
Marinetti, Bruno Corra, Emilio Settimelli, Arnaldo Ginna,
Giacomo Balla e Remo Chiti.
Le diverse manifestazioni
artistiche del Futurismo però
non sono da analizzarsi separatamente, dunque l’interesse
del movimento italiano per
il cinema può già essere rintracciato nei primi anni Dieci. Ad esempio, nel Manifesto
tecnico della letteratura futurista (1912), Marinetti sedotto
dal gioco di scomposizione/
ricomposizione della realtà che la nuova arte rendeva possibile, la riteneva uno
strumento a servizio della
velocità della vita moderna e
dell’alogicità, caratteristiche
della vita futurista. Il cinema
era esaltato anche ne Il teatro di varietà (1913), poiché,
nell’offrire in un solo spettacolo visioni di luoghi geograficamente distanti fra di loro,
scombussolava le coordinate
spaziotemporali, in un flusso
continuo di compenetrazioni.
Il rilevamento di questi
dati dimostra infatti che nella formulazione dei vari programmmi estetici, letterari,
artistici e linguistici elaborati
dai futuristi, il cinema assurge
a simbolo della vita contemporanea. Molte delle situazioni e delle immagini incomuni
(“lo slancio a ritroso di un
nuotatore i cui piedi escono
dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino”),
il tipo d’assemblaggio di materiali eterogenei, di scomposizione del tempo, dello spazio e del corpo del protagonista (“la danza di un oggetto
che si divide e si ricompone
senza intervento umano”),
elencati nel manifesto letterario del 1912, i futuristi
li ricavarono dalle comiche
dell’epoca. Il genere comico
con quella sua caratteristica
originale qual era il senso del
ritmo – che gli permetteva di
fare a meno delle didascalie –
contribuì all’evoluzione della
sintassi cinematografica.
Anche se preceduto da
altre esperienze cinematografiche che possono essere
rapportate al Futurismo, Vita
futurista fu considerato dal
gruppo marinettiano, che
prese parte alle sue riprese a
Firenze nel mese di settembre, il primo rappresentante
legittimo del movimento. Il
film di Arnaldo Ginna finora
risulta disperso, ma da fotogrammi superstiti e dal copione presunto, pubblicato dalla
rivista L’Italia futurista (no 8,
15 ottobre), è possibile farsene un’idea. Attraverso una
serie di scene, Vita futurista
proponeva delle immagini
tipiche del vivere futurista –
“Come dorme il futurista” e
“Come dorme il passatista”,
“Cazzottatura interventista”
ecc. – oppure presentava delle sequenze polemiche (tra
cui “Caricatura dell’Amleto
simbolo del passatismo pessimista” e “Perché Cecco Beppe non moriva”, quest’ultima
soppressa dalla censura) o di
creazione espressiva, come
“Poesia ritmata di Remo Chiti”, “Ricerca retrospettiva di
stati d’animo” e “Danza dello splendore geometrico”, in
cui Ginna creava fusioni suggestive per mostrare il corpo
di Giacomo Balla che si dissolveva grazie all’itinerario
ritmico della danza la quale
trasmetteva le sue vibrazioni
all’ambiente in cui si svolgeva. Proiettato dal dicembre
1916 in poi, a Roma e a Firenze, il film scatenò violente reazioni del pubblico che
bombardava lo schermo con
sassi e oggetti vari.
In ottobre era lanciato su
volantino il manifesto La cinematografia futurista, in cui si
rivendicava la libertà assoluta
al nuovo mezzo di espressione affinché potesse giungere
alla sua essenza originale.
Niente di meglio del cinema, “sinfonia poliespressiva”,
somma di tutte le arti, per “li-
berare lo spettatore dalla sua
immobilità e metterlo in movimento” (Marinetti) ed educare le future generazioni alla
nuova sensibilità nata dalle
analogie, dalla simultaneità,
dalle compenetrazioni spaziotemporali. Nei suoi quattordici punti programmatici,
il manifesto segnava la strada
della nuova arte, non più teatro filmato ma espressione
di un presente che voltava le
spalle al passato e guardava
in faccia l’avvenire. I punti
programmatici de La cinematografia futurista furono ripresi nel 1938, nel manifesto
La cinematografia, firmato da
Marinetti e Ginna, nel quale
si dava spazio alla sonorizzazione.
Contrariamente agli altri testi futuristi il manifesto
della cinematografia fu poco
divulgato per cui le sue intenzioni programmatiche rimasero praticamente lettera
morta. Nonostante prefigurasse il cinema d’avanguardia,
la sua influenza non si fece
sentire negli ambienti intellettuali di quegli anni. Sarà
per altre vie che il Futurismo
cinematografico
eserciterà
un’azione determinante sulle
idee avanguardistiche, come
dimostrano le presentazioni
di Velocità a Parigi, Londra,
Amsterdam, Stoccolma, Barcellona, Madrid, Berna, Praga
e Buenos Aires, nei primi anni
Trenta.
Realizzato da Tina Cordero, Guido Martina e Pippo
Oriani nel 1931, Velocità non
solo portava sullo schermo le
proposte teoriche sul cinema
come presentava postulati già
propagati dal Manifesto tecnico della letteratura futurista.
Oltre al titolo, specie di anagramma della vita veloce in
corrispondenza all’arte futurista, la velocità prendeva cor-
27
po in vari momenti del film
quando erano messi a fuoco,
ad esempio, tranvai in circolazione, un treno in corsa o un
mulino ad acqua e ingranaggi di un motore che giravano
vertiginosamente; tazze e ciotole in una specie di balletto
orchestrato e pedine degli
scacchi che si muovevano da
sole sulla tastiera di un pianoforte; un burattino articolato
di legno che si scomponeva
e si ricomponeva mentre ballava; il movimento “a ritroso”
dell’acqua di una cascata che
saltava in sù invece di cadere
oppure del liquido che da un
bicchiere rimbalzava in una
bottiglia. La giustapposizione
o la sovrimpressione d’immagini favoriva quella rete di
analogie tanto cara alla fase
delle parole in libertà della
letteratura futurista.
Velocità traduceva in immagini il concetto di “cinema cinematografico”, creato
dal fondatore del Futurismo e
che Cordero, Martina e Oriani proporranno nel manifesto
Marinetti e il film futurista,
cioè “un filme sintetico, non
teatrale, non psicologico, non
narrattivo, senza intervento
umano, capace di utilizzare il
valore emotivo della luce e di
28
offrire sensazioni vive, immediate e dinamiche”.
Anche in Brasile il cinema
fu visto come un propagatore d’idee, in grado d’educare
e di foggiare comportamenti
consoni alla nuova mentalità.
Fu salutato come “un mondo
nuovo” da Mário de Andrade che gli diede la stessa im­
portanza delle manifestazioni
artistiche che l’avevano preceduto e lo pose sotto la protezione della Musa Cinematica.
Innalzato alla categoria
d’arte, il cinema come manifestazione artistica era ancora
in fasce, però, nel realizzare
“la vita come nessun’altra
arte” (così scriveva il de Andrade), era riuscito ad affermare la sua identità e a liberarsi dall’imitazione naturalista, mostrando alle consorelle
la differenza tra il bello artistico e il bello naturale, come
dirà Eduardo Escorel.
Alla settima arte comunque veniva ancora assegnato
un compito mimetico come si
vedrà nelle cronache cinematografiche di Klaxon, lanciata
il 15 maggio 1922 allo scopo
di fornire una base teorica
alla Settimana d’Arte Moderna. Nel manifesto di presentazione della rivista, vi sono
diversi riferimenti al cinema,
il che dimostra l’importanza
attribuitagli dai modernisti
nella costituzione di un’estetica contemporanea. Per i
klaxisti, essendo il cinema in
grado di stabilire un rapporto
fra l’orizzonte tecnologico e
la modernità, era anche capace di proporre nuovi modelli comportamentali e nuovi
modi di percezione.
Ciononostante oscillarono fra un cinema considerato arte pura (come le altre
arti) e un cinema visto solo
quale mezzo tecnico di registrazione (Escorel), cronaca,
senza prendere in considerazione concetti di linguaggio cinematografico, che pur
conoscevano, poiché la rivista pubblicò diversi articoli
in cui la settima arte veniva
analizzata nella sua specificità, cioè come movimento
e simultaneità, dunque libera
da vincoli con il teatro (le nozioni di drammaturgia e messinscena) o con la letteratura
(le didascalie). Nell’articolo
“Kine-Kosmos” (nº 1, 15 maggio), ad esempio, il cinema
era esaltato poiché alterava
concetti spaziali e temporali,
lavorava di fantasia, favoriva
l’affermazione della finzione sulla realtà, permetteva
all’azione di trionfare sulla
parola. In altre cronache (nº
6, 15 ottobre; nº 7, 30 novembre), in difesa di un cinema
puramente visivo, si criticava
l‘eccesso di didascalie che
interrompevano bruscamente l’azione e ostacolavano la
fruizione estetica.
La conoscenza della
specificità filmica da parte dei klaxisti è confer­mata
dall’analisi
di
questioni
letterarie fatta alla luce di
procedimen­ti cinematografici, come nelle recensioni
di Os condenados (1922) di
Oswald de Andrade, in cui
si segnalava tra l’altro che il
suo realismo era realizzato
“con simultaneità, cinematicamente, nel far sì che cose
e fatti si riflettessero tutt’insieme in un unico piano,
come ad esentarli da ciò che
si potrebbe chiamare una
prospettiva intellettuale” (nº
5, 15 settembre; nº 6). Anche se questo romanzo aveva
sostituito la diegesi per una
rapida successione d’immagini, si era ancora lontani da
esperienze come Memórias
Sentimentais de João Miramar (1924) e Serafim Ponte
Grande (1933) dello stesso
Oswald de Andrade, o Pathé Baby (1926) di Alcântara
Machado, oppure Macunaíma (1928) di Mário de Andrade. Come sottolinea Flora
Süs­sekind, in queste opere,
“incorporato lo stupore, si
dialoga maliziosamente con
le nuove tecniche e forme di
percezione”, cioè, la prosa
modernista cominciò a basarsi effetivamente su delle
caratteristiche del linguaggio cinematografico: narratum non continuo, sintassi
analogica, assemblaggio di
frammenti, compenetrazioni,
simultaneità. Caratteristiche
che hanno permesso a JeanClaude Bernardet d’affermare che il “cinema dei modernisti si realizzò solo nella
letteratura”.
Oltre a queste cronache
cinematografiche e letterarie,
atte a dimostrare che anche la
settima arte era degna d’una
riflessione estetica, apparvero però su Klaxon degli articoli in cui questa riflessione
fu contaminata da considerazioni di carat­tere naturalista.
La recensione de Il monello
(The kid, 1921), ad esempio,
si basava su concetti tradizionali della critica letteraria
– intreccio, concatenazione
logi­ca, unità d’azione, verosimiglianza –, in contrasto
con quella preoccupazione più moderna di sottrarre
l’immagine alle didascalie.
In questo senso, ciò che traduce meglio la nozione di
cinema dei klaxisti è l’esaltazione della visione umanista
dell’arte, il cui paradigma
nel campo cinematografico
sarebbe per l’appunto Charles Chaplin sul quale si affermava: “Il bastone di Charlot
è la bacchetta che regge la
sinfonia mo­derna” oppure
“Charlie è il maestro del XX
secolo” (nº 1; nº 3, 15 luglio;
nº 8–9, dicembre 1922–gennaio 1923).
Questa visione umanista
dell’arte diede ­modo ai modernisti d’inserire la novità nel
perenne (“sotto nuove sembianze le ani­me sono eterne”), distinguire ciò che era
nuovo da ciò che era attuale.
Nel manifesto di presentazione della rivista, questa distinzione era già evidente: “klaxon sa che il progresso esiste.
Por questo motivo, senza
rinnegare il passato, avanza,
sempre e poi sempre”.
Presente nei testi “A
escrava que não é Isaura” e
“Prefácio interessantíssimo”,
anteriori alla rivista modernista, questa concezione ci
consente d’affermare che
per Mário de Andrade la modernità si configurava in termini assai più circoscritti di
quelli del Futurismo e delle
altre avanguardie europee:
un’affermazione del presente, di sicuro, ma senza rinnegare il passato.
La nozione di modernità difesa dagli articolisti di
Klaxon si riverberò sulla loro
visione di cinema, spesso
basata su criteri di logica
e verosimiglianza piuttosto che essere dettata dallo
specifico filmico, dunque
ci troviamo d’accordo con
Cecília de Lara quando afferma che le critiche della
ri­vista “riflettono la visione
d’uno spettatore comune”.
Infatti, i klaxisti finirono col
privilegiare il senso comune, nell’ancorare il cinema a
una visione umanista, specchio della loro concezione
d’arte moderna, non sempre
perfettamente consona alle
avanguardie europee.
29
30
uno che per anni si è fatto largo a
forza di gomiti, di raccomandazioni
e delle solite calunnie convinto che,
non appena fosse stato vacante il
posto, lui sarebbe stato certamente
nominato direttore generale. Ma ha
avuto un collasso nervoso quando
invece il proprietario ha scelto un
mana­ger più giovane suggeritogli
da una nota società di consulenza.
L’errore è sempre lo stesso, pensare che l’ostacolo sia rappresentato da una perso­na, da un rivale,
senza domandarti se l’al­tro ti vuole,
se sei all’altezza, se meriti il posto a
cui ambisci. Nei concorsi universi­
tari molti perdono molto più tempo in in­trighi e acrobazie per ingraziarsi i poten­ziali commissari, che a
studiare, a fare ri­cerche di valore, o
scrivere opere impor­tanti che vengono apprezzate da tutti.
Ma il caso più famoso della storia è quello dei congiurati che hanno assassina­to Cesare. Erano tutte
persone di grande ingegno. Pensiamo che oltre a Bruto e Cas­sio,
fra loro c’era addirittura Cicerone.
Erano ossessionati da Cesare, non
pensa­vano altro che a farlo sparire.
Ma non ave­vano la benché minima
idea di che cosa avrebbero fatto dopo. Morto Cesare, men­tre il popolo
angosciato urlava nelle stra­de, sono
stati presi dal panico e sono scap­
pati sul Campidoglio! E Antonio ha
preso il potere.
Cruciverba
N
el film di Pupi Avati «Il papà
di Gio­vanna » una ragazza,
Giovanna, si innamora del
fidanzato di una sua ami­ca. Per
averlo uccide l’amica convinta che
il giovane sarebbe corso nelle sue
braccia. Naturalmente il ragazzo
resta inorridito e lei viene ricoverata in una clinica psi­chiatrica. È un
episodio di follia, però nel­la vita
quotidiana ho più volte osservato
delle persone che si comportano
un po’ co­me Giovanna. Quando
incontrano un ostacolo che si frappone fra loro e il loro oggetto del
desiderio pensano in modo semplicistico che, togliendolo di mezzo, automaticamente otterranno
ciò che vo­gliono.
Ricordo il caso di una donna
che da tempo era innamorata del
suo professore, che però aveva assunto una nuova assi­stente più giovane. È incredibile quello che ha
fatto per screditarla: calunnie, insi­
nuazioni, lettere anonime al fidanzato. Al­la fine ce l’ha fatta: la ragazza si è stanca­ta e se ne è andata. Ma il professore non si è innamorato di lei. Dopo qualche tem­
po ha preso una nuova assistente
giovane al posto della prima.
Il fenomeno è molto diffuso anche nel campo professionale. Alcuni dirigenti so­no letteralmente
ossessionati da coloro che li precedono nella carriera. Ne ricordo
Cruciverba
SOLUZIONI
Francesco
Alberoni
Non serve eliminare
il rivale per
meritare il suo posto
Curiosità - Filatelia: è l’atività rivolta allo studio sistematico dei francobolli ed alla raccolta di questi in collezioni. La derivazione è dal
greco “philos”= amante e “atéleia”= franchigia in quanto i francobolli consentono il trasporto in “franchigia” della posta.
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