ano VII - numero 70 INSERTO DELLA RIVISTA
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ano VII - numero 70 INSERTO DELLA RIVISTA
Inserto della rivista ComunitàItaliana - realizzato in collaborazione con i dipartimenti di italiano delle università pubbliche brasiliane Suplemento da Revista Comunità Italiana. Não pode ser vendido separadamente. ano VII - numero 70 C’era una volta il Futurismo Ottobre / 2009 Editora Comunità Rio de Janeiro - Brasil www.comunitaitaliana.com [email protected] Direttore responsabile Pietro Petraglia Editori Andrea Santurbano Patricia Peterle Co-Editore Sergio Romanelli Revisore Anna Palma Grafico Alberto Carvalho Segretaria di Redazione Luana Dangelo (Uerj) COMITATO Scientifico Alexandre Montaury (PUC-Rio); Alvaro Santos Simões Junior (UNESP); Andrea Gareffi (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Andrea Santurbano (UFSC); Andréia Guerini (UFSC); Anna Palma (UFSC); Cecilia Casini (USP); Cosetta Veronese (Univ. Birminghan); Cristiana Lardo (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Daniele Fioretti (Univ. Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro (USP); Ernesto Livorni (Univ. Wisconsin-Madison); Fabio Pierangeli (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Giorgio De Marchis (Univ. di Roma III); Lucia Wataghin (USP); Luiz Roberto Velloso Cairo (UNESP); Maria Eunice Moreira (PUC-RS); Mauricio Santana Dias (USP); Maurizio Babini (UNESP); Patricia Peterle (UFSC); Paolo Torresan (Univ. Ca’ Foscari); Rafael Zamperetti Copetti (UFSC); Renato Cordeiro Gomes (PUC-Rio); Roberto Francavilla (Univ. di Siena); Roberto Mosena (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Roberto Mulinacci (Univ. di Bologna); Sandra Bagno (Univ. di Padova); Sergio Romanelli (UFSC); Silvia La Regina (Univ. “G. d’Annunzio”); Walter Carlos Costa (UFSC); Wander Melo Miranda (UFMG). COMITATO EDITORIALE Affonso Romano de Sant’Anna; Alberto Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia Maraini; Elsa Savino; Everardo Norões; Floriano Martins; Francesco Alberoni; Giacomo Marramao; Giovanni Meo Zilio; Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo; Maria Helena Kühner; Marina Colasanti; Pietro Petraglia; Rubens Piovano; Sergio Michele; Victor Mateus ESEMPLARI ANTERIORI Redazione e Amministrazione Rua Marquês de Caxias, 31 Centro - Niterói - RJ - 24030-050 Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468 Mosaico italiano è aperto ai contributi e alle ricerche di studiosi ed esperti brasiliani, italiani e stranieri. I collaboratori esprimono, nella massima libertà, opinioni personali che non riflettono necessariamente il pensiero della direzione. SI RINGRAZIAno “Tutte le istituzioni e i collaboratori che hanno contribuito in qualche modo all’elaborazione del presente numero” STAMPATORE Editora Comunità Ltda. ISSN 1676-3220 2 E C’era una volta il futurismo ra il 20 febbraio di cent’anni fa quando il mondo venne a contatto con un bellicoso scritto programmatico pubblicato sul quotidiano francese “Le Figaro” e firmato da un letterato italiano, Filippo Tommaso Marinetti: si trattava del primo manifesto del Futurismo, autentico sasso lanciato nello stagno della tradizione. Da allora, tanti altri ne seguiranno, nei campi più disparati. Così come si succederanno le tante, diverse valutazioni date a questo movimento, comunque sia, di grandissimo impatto internazionale. Com’è nel suo spirito, Mosaico vuole ricordare questo anniversario per ripensarlo nelle sue tante implicazioni, possibilmente senza pregiudizi di sorta, magari con un occhio di riguardo alle ripercussioni del Futurismo in ambito brasiliano. Ci sembra dunque opportuno riportare uno stralcio del primo manifesto, dando così la parola alla storia: 1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. 5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. 6. Bisogna che il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7. Non v’è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. 8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. 9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria. 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall’Italia, che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il «Futurismo», perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii. Gli Editori Saggi Sandra Bagno Il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti: dall’Italia l’avanguardia senza periferie pag. 04 Rafael Zamperetti Copetti Cento anni fa Marinetti innovava il genere manifesto pag. 08 Annateresa Fabris Il futurismo come malattia pag. 12 Luiz Roberto Velloso Cairo e Aline Fogaça Relazioni moderniste e futuriste pag. 15 Patricia Peterle Ripercussioni futuriste in Brasile: da nord a sud pag. 18 Andrea Santurbano Traversie futuriste: Italia Portogallo e Brasile pag. 22 Mariarosaria Fabris Un “mondo nuovo”: il cinema secondo i futuristi e i modernisti pag. 26 Rubrica Francesco Alberoni Non serve eliminare il rivale per meritare il suo posto pag. 30 Passatempo pag. 31 “Scrittori viaggiatori fra Italia e Brasile”: pubblica il tuo testo! Mosaico promuove un concorso per studenti universitari La Redazione di Mosaico Italiano bandisce un concorso riservato agli studenti di università brasiliane sul tema: “Scrittori viaggiatori fra Italia e Brasile”. Gli interessati devono inviare un articolo inedito, redatto in lingua italiana, di max. 12.000 caratteri (spazi inclusi), in Word – Times New Roman 12, con titolo, nome dell’autore, istituzione di appartenenza, e-mail ed eventuali note a piè di pagina, entro il 1º dicembre 2009, al seguente indirizzo: [email protected] . Gli articoli devono vertere sul tema del viaggio di scrittori italiani o stranieri che abbiano avuto esperienze umane, artistiche o professionali in Brasile; o, viceversa, di scrittori brasiliani o stranieri in Italia. Il miglior articolo, scelto dal comitato scientifico della rivista, sarà pubblicato su un numero di Mosaico del prossimo anno, che avrà, appunto, come oggetto il viaggio. Non saranno presi in considerazione articoli che non rispondano alle esigenze richieste e che presentino errori ortografici, grammaticali o sintattici. Aspettiamo dunque i vostri testi e ...in bocca al lupo! La Redazione 3 Il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti: dall’Italia l’avanguardia senza periferie Sandra Bagno (Università degli Studi di Padova) G li approcci alla conoscenza dei grandi nuclei di idee che si sono tradotti nei principali capitoli della storia occidentale non possono in genere prescindere da uno specifico centro geografico che ne costituisce il punto nevralgico. L’irradiarsi, poi, di quelle idee in maniera diseguale nelle varie aree è stato spesso letto come conseguente, nella logica centro/ periferia, di una dinamica dell’innovazione versus quella della conservazione. Anche laddove l’innovazione si sia affermata al prezzo di sofferenze e guerre, come è spesso accaduto nella millenaria storia sia dell’Europa che fuori di essa. Tralasciando capitoli anteriori come quello delle conquiste coloniali che tanto pesantemente hanno condizionato la periferia del mondo, chi voglia delineare quanto dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, oppure della Rivoluzione industriale, sia giunto in aree decentrate, deve rivolgere lo sguardo, innanzi tutto, al centro: ovvero alla Francia e alla Gran Bretagna del XVIII secolo. Sarà così possibile cogliere, nella logica centro/periferia 4 e secondo lo schema innovazione versus conservazione, le differenti ragioni che hanno rallentato in molte periferie il propagarsi sia dell’Illuminismo sia dell’industrializzazione. Tuttavia, analogamente alla Rivoluzione francese, anche la Rivoluzione industriale, oltre ad innescare la modernizzazione comporterà per milioni di persone pure grandi violenze fisiche, morali e materiali. Violenze e morte, peraltro, che già dal Cinquecento il colonialismo aveva ampiamente disseminato. Le risposte a tali violenze e sofferenze si esprimeranno in un crescendo di altra violenza, anche verbale. Come quella cristallizzatasi, nell’Ottocento europeo, nella celebre locuzione “dittatura del proletariato”, inizialmente intesa come libertaria e che poi si materializzerà, invece, in un regime politico dittatoriale al quale altri regimi politici dittatoriali si contrapporranno. L’esito di tante dittature contrapposte – alle quali le periferie non resteranno estranee – sarà il precipitare dell’umanità, nella prima metà del Novecento, negli in- feri della II Guerra mondiale. Non stupisce pertanto che anche l’arte, compresa quella che con la parola si esprime, abbia manifestato, in particolare tra fine Ottocento e primo Novecento, i tratti di una violenza che stava divenendo sempre più consustanziale dell’identità europea (seppur non ne fosse affatto prerogativa esclusiva). In questo scenario bellicoso la parola, nell’arte, diviene parola d’ordine di una militanza tout court, da esprimersi in ogni campo e in ogni luogo. Come si legge nel Manifesto del Futurismo pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti il 5 febbraio 1909 nella Gazzetta dell’Emilia. Ma subito dopo, il 20 febbraio 1909, anche nel parigino Le Figaro, affinché, sfruttando sapientemente il ruolo centrale della lingua francese, i proclami del Manifesto – che già sono un decalogo e un primo modello di una nuova poetica – si globalizzassero e raggiungessero pure le periferie apparentemente più lontane e inerti. Le quali invece, in un incessante lavorio interno, erano altrettanti incubatori di identità nazionali pronte, quando già non lo stessero facendo, a rivelarsi. Come infatti sarebbe accaduto, dopo l’autodistruzione dell’Europa e del suo assetto coloniale del mondo, nel corso del Novecento. A percepire il fermento – negli incubatori delle periferie del mondo dove guerre e morte, spesso portate dal colonizzatore, sono state a lungo la normalità – non a caso è una sensibilità internazionale e che nasce insieme egiziana e italiana: una sensibilità, cioè, che per il suo originario imprinting italo-africano-mediterraneo, incarna il ruolo di cerniera fra identità culturali, 5 nell’ordine, prima del Sud e dell’Oriente, e poi del Nord e dell’Occidente del mondo. Senza infingimenti quanto al ruolo della violenza nel proprio tempo – anche quella della parola – e usando strumentalmente la centralità della lingua francese, l’egizio-italiano Marinetti lancia dall’Italia, ma “pel mondo”, il “manifesto di violenza travolgente e incendiaria”. Il suo obiettivo è incitare i “giovani leoni” ovunque fossero – nel nome della conquista del loro futuro inevitabilmente votato dalla Storia alla velocità della macchina – alla distruzione della “fetida cancrena” di un passato che ancora li imprigionava. Legittimati da un cosmopolita Marinetti a liberarsi di modelli artistici, e quindi culturali, imposti da secoli, gli rispondono numerosi, da molti paesi e in tempo reale rispetto ai mezzi dell’epoca, i 6 giovani artisti “nutriti di fuoco, di odio e di velocità”, dei quali egli si fa spesso generosamente mentore pubblicandone gli scritti. Come dimostra anche la geografia dell’avanguardia, facilmente desumibile dagli Archivi del Futurismo, che raccoglie testimonianze e riscontri provenienti da un capo all’altro del pianeta. Altre Avanguardie storiche, talvolta coeve del Futurismo ma frutto, inevitabilmente, di alchimie culturali e dinamiche più regionali, non saranno votate alla stessa dimensione internazionale. Esse nascono nel loro centro e dicono al loro centro, nell’Europa e in funzione dell’Europa: non sono ‘democratiche’ come il Futurismo che nasce, invece, rendendo subito centrali le periferie. Il Futurismo sarà infatti l’unica avanguardia che parte da un centro, l’Italia, ma che non ha periferie. Affidatosi innanzi tutto alla parola d’ordine della rivoluzione artistica – comunque, ovunque e a oltranza – il Futurismo sarà subito veicolato, con l’immediata traduzione in altre lingue del Manifesto, in altre culture. Fra le quali quelle di matrice portoghese, ovvero giungerà nelle aree accomunate da una lingua che, per la storia della potenza imperialcoloniale del Portogallo, appartiene insieme sia al centro cioè all’Europa, sia alle periferie che all’epoca sono ancora colonie, in Africa e Asia. Ma giunge anche in America latina, e negli anni in cui un grande incubatore di una nuova identità nazionale, il Brasile che ha da poco abolito la schiavitù e che sta amalgamando nuove ondate migratorie (comprese quelle degli italiani in cerca di lavoro, di libertà, di un futuro insomma), è ormai prossimo a celebrare il primo centenario dell’Indipendenza (1922). Un Brasile che si sta aprendo alle nuove tecnologie e in cui il Futurismo, sin dal nome con tutta la sua potenzialità ideale, suggerisce nuove vie da percorrere in ogni campo, per il definitivo affrancamento da un passato culturale coloniale e la legittimazione di una propria identità politica. L’adesione al Futurismo, di qua e di là dell’Atlantico, avrà accenti, come narrano le cronache, tipicamente marinettiani, con reazioni contrastanti da parte dell’opinione pubblica. Essa porterà, comunque, alla fondazione di importanti riviste e alla pubblicazione di altri manifesti evidentemente contagiati, ma in chiave locale, dalla poetica futurista; e vanterà nomi, per citarne solo alcuni, come quelli di Fernando Pessoa e Almada Negreiros in Portogallo, e di Oswald de Andrade e Mário de Andrade in Brasile. Il Futurismo sarà, quindi, determinante per la nascita dei rispettivi Modernismos, movimenti culturali fra i più significativi nello scenario internazionale del Novecento. E la loro fondazione, come nel caso del Modernismo brasiliano, nel febbraio del 1922, attesta come il nucleo rivoluzionario della poetica futurista avesse proficuamente attecchito, anche nelle periferie latinoamericane, prima dell’inizio delle traiettorie politiche che porteranno l’Italia al Fascismo e, poco dopo, il Brasile al Varguismo e il Portogallo al Salazarismo. L’adesione di Marinetti al Fascismo, verosimilmente nell’utopica convinzione che l’arte dovesse essere l’avamposto pure della politica, divaricherà le strade, spesso (anche se non sempre) allontanando fra loro, e da un certo Futurismo piegato alla politica italiana, quanti avevano entusiasticamente aderito all’avanguardia. Ma a quel punto, come i padri con i figli, il Futurismo aveva già svolto il suo ruolo nell’arte tout court, lasciando l’intero pianeta disseminato di una poetica di cui il Novecento gli sarebbe stato debitore. Chiusosi il secolo della violenza di matrice europea portata sino all’autodistruzione, una maggiore ampiezza prospettica consente di identificare con nitore cosa fu la politica e cosa l’arte, e quali le nature delle singole Avanguardie storiche; nature che Achille Bonito Oliva sintetizza nei seguenti termini: “Insonnia futurista contro sogno surrealista, vitalismo contro platonismo dell’astrazione, esplosione contro scomposizione cubista, nichilismo attivo contro anarchia dadaista, euforia contro lamento espressionista.” Ma allora, dopo cent’anni dalla sua fondazione, “che cosa è rimasto del Futurismo?”, si chiede Bonito Oliva, di quei futuristi che “nel loro campo”, come scrisse Antonio Gramsci, “nel campo della cultura, sono rivoluzionari”? (la Repubblica, “Quel che resta del futurismo”, 14.1.2009). A questa domanda si cercherà di rispondere, per quanto riguarda la lusofonia, nel congresso internazionale (9-11. XI.2009, “100 anos de Futurismo: do italiano e francês ao português”) che da Florianopolis, nel Brasile meridionale (e zona di forte emigrazione italiana), idealmente congiunge le culture e nazioni di lingua portoghese all’Italia in cui il Futurismo ha inizio e dove il Manifesto viene pubblicato in ben sette quotidiani prima di approdare al francese Le Figaro, come puntualizza Sebastiano Grasso (Corriere della Sera, “Futurismo: a Bologna il Manifesto”, 1.II.2009). All’Italia, e in particolare a Venezia, alla città, cioè, che nel 1910 i futuristi provocatoriamente “insultarono” per il suo “passatismo”, e dalla cui Torre dell’Orologio in Piazza San Marco, lanciarono i volantini che definivano le “gondole sedie a dondolo per cretini”; e per la quale auspicarono l’arrivo della “divina luce elettrica”, a liberarla “dal suo chiaro di luna da camera ammobiliata”. L’obiettivo, dunque, è di fare il punto sul lascito del Futurismo nella lusofonia da una di quelle sue periferie che – prima ancora che Marinetti lanciasse quell’espressione che ancor oggi scandalizza – aveva già vissuto per secoli sulla propria pelle la “guerra” come “igene del mondo”. Da una di quelle periferie, però, che Marinetti volle, democraticamente, rendere centrale, che visitò personalmente e dove ebbe subito successo. Una periferia dove, analogamente e di più di una “Milano futurista”, sarebbe cresciuta nel Novecento la città di São Paulo, anche all’insegna della modernità preconizzata da Marinetti. Fare il punto, quindi, sul Futurismo da una periferia nella quale una città come Rio de Janeiro ancora conserva nella toponomastica riferimenti al Futurismo. E da una periferia – marchiata a sangue dalla violenza dello schiavismo, decentrata dalle grandi distanze e dalle ataviche subalternità ma contagiata dall’“insonnia”, dal “vitalismo” e dall’“euforia” del Futurismo di Marinetti – nella quale il popolo di Bahia, senza con questo voler negare il proprio amore per le gondole, subito gli tributò un omaggio: quello di dare agli autobus – cioè al mezzo di trasporto che fu sinonimo nella comune coscienza culturale dell’epoca di affrancamento e di moderna velocità – il nome di “marinete”, derivato appunto da Marinetti. Omaggio che, come attesta il Dicionário Houaiss da Língua Portuguesa (2001, p. 1855, “ônibus”), il popolo di Bahia gli tributa ancor oggi. 7 Cento anni fa Marinetti innovava il genere manifesto Rafael Zamperetti Copetti (Universidade Federal de Santa Catarina) I l 20 febbraio 2009 è stato celebrato il centenario della pubblicazione, su Le Figaro, del manifesto di fondazione del Futurismo Italiano, di F.T. Marinetti. Unico movimento artistico letterario della penisola di rilievo internazionale sorto dopo il Rinascimento, il Futurismo rappresentò l’Italia nell’ambito delle avanguardie storiche e servì, incluso nel campo della letteratura, come riferimento per altri importanti movimenti congeneri che furono ad esso contemporanei o successivi. Tuttavia, gli studi relativi al movimento presero impulso appena alla fine degli anni ‘60 (figura chiave in questo senso è Luciano de Maria), anche se in un campo come la letteratura, per esempio, fin dal decennio anteriore già c’erano iniziative di antologizzazione dei poeti del futurismo italiano, tali come quella di Vanni Scheiwiller e la sua “piccola antologia”. Probabilmente uno dei primi grandi tentativi di compilazione di un’ampia gamma di materiale appartenente ai così chiamati diversi “generi” ai quali ricorsero i futuristi è stato quello di Luciano Ca1 2 8 ruso, che nel 1980 riunì in quattro contenitori, in formato fac-simile, circa 400 documenti pubblicati dal 1909 al 1944. Tra i documenti riuniti ci sono proclami, locandine, volantini, comunicati e numeri speciali di alcune riviste, oltre ai manifesti, naturalmente. I manifesti riuniti da Caruso sono più di 300. Parlando dei manifesti di questa raccolta, Stelio Martini dice che il “periodo della massima novità e vitalità del movimento” futurista può essere identificata fino alla pubblicazione del Manifesto del tattilismo, nel 19211. Grosso modo, così come Martini, molti analisti del movimento considerano il periodo di più grande vitalità del movimento quello che va dal 1909 fino agli inizi degli anni ‘20. Comunque Martini sostiene che la lettura dell’insieme di questo materiale mostra “l’indiscussa e indiscutibile centralità di Marinetti, autore del futurismo, e rivela in pari tempo come ciascuno dei vari autori si sentisse tenuto a dare il meglio di sé” 2. Gli argomenti dei manifesti del futurismo italiano vanno da letteratura, pittura, cinema, musica, fotografia, mobilia, scenografia ed altre arti fino alla politica. Si andava alla ricerca di una propria “ricostruzione futurista dell’universo”, conforme propongono Giacomo Balla e Fortunato Depero in un importante manifesto omonimo che venne alla luce l’11 marzo 1915. Secondo Enrico Crispolti, il titolo di questo manifesto può essere inteso in senso emblematico per sottolineare il carattere di totalità ricercato dall’intervento creativo dagli anni ‘10 ai ‘30. In verità, il manifesto in quanto genere letterario ed artistico non è un’invenzione futurista. La sua storia risale al Romanticismo e fa parte dell’età moderna, ricorda MARTINI, Stelio. “Letteratura”, in GODOLI, EZIO. Dizionario del futurismo. Torino: Vallecchi, 2001, p. 639. Idem, ibidem. Giovanni Lista. Una delle innovazioni del Futurismo consiste nell’utilizzarlo come genere a sé stante, “in quanto strumento privilegiato del letterato e dell’ artista per inscrivere nella realtà la propria visione del mondo, la propria intuizione poetica, il proprio sogno o semplicemente i principi teorici per giungere alla creazione di un’opera”3, risalta lo studioso. Un altro lato della stessa questione è collocato da Marjorie Perloff, quando sottolinea che “a novidade dos manifestos futuristas italianos [...] é a sua atrevida recusa em permanecer no plano expósitorio ou crítico, e a sua compreensão de que o pronunciamento de grupo [...] pode tomar o lugar da obra de arte prometida”4 [la novità dei manifesti futuristi italiani è il loro testardo rifiuto di rimanere sul piano espositorio o critico, e la loro comprensione per cui il pronunciamento di gruppo può prendere il posto dell’opera d’arte promessa]. È interessante ricordare anche le considerazioni di Giusi Baldissone, secondo la quale “né si si può fare a meno di notare l’impianto retorico ricorrente, nel primo come nei manifesti seguenti [di Marinetti], che in qualche misura ne convalida la codificazione come un nuovo genere letterario e riafferma nello stesso tempo la persistenza di una tradizione oratoria classica, che Marinetti sapientemente varia e parodia”. Ancora secondo questa studiosa, “troviamo infatti quasi sempre presente tutte le forme canoniche della retorica antica, dall’inventio alla dispositio, dall’elocutio alla memoria, all’actio, secondo i precetti di Quintiliano e della sua Institutio oratoria, ma secondo anche una personale abilità creativa, capace di mescolare istanze poetiche e impianto retorico […]”.In questa maniera, prosegue la studiosa, “Marinetti va a proclamare i suoi nuovi principi raccogliendo in realtà il bagaglio fondamentale di una cultura che lo ha profondamente formato. Tra il passato remoto e quello prossimo, il primo manifesto futurista inaugura un genere che porterà verso il futuro: anche a questo serve l’ambientazione, l’affabulazione, il tono autobiografico e perfino lento con cui l’incipt inserisce il lettore nello spazio di casa e poi lo porta fuori, di corsa, a vivere l’avventura”.5 Per certi aspetti, un modo indiretto di lettura che valorizza i manifesti già si trova in Francesco Flora quando, scrivendo a rispetto di Marinetti, nell’edizione del 1925 di Dal romanticismo al futurismo, dice che “alcuni di questi sono tra le più essenziali liriche del suo temperamento” e “che spesso i manifesti di Marinetti [...] sono null’altro che poesia”6. E aggiunge: “È possibile che un manifesto sia per gli spiriti mediocri un contenuto grezzo che s’impone per diventare forma: in Marinetti è arte; negli altri può essere materia pratica: in lui è lirica; negli altri può essere cultura: in lui è sentimento; negli altri scuola: in lui vita”. La questione di fondo che accomuna le considerazioni degli studiosi a cui ci siamo prima riferiti dice a proposito dell’ “arte di far manifesti”, alla quale Martinetti si riferisce in una lettera indirizzata a Gino Severini nel 1913. In questo documento, il fondatore del futurismo tesse considerazioni relative ad un abbozzo del manifesto Le analogie plastiche del dinamismo, di Gino Severini. Il testo in questione avrebbe la forma di articolo-sintesi, e non di un manifesto vero e proprio. Marinetti si riferisce con più precisione agli elementi che sarebbero stati essenziali per l’efficacia di un manifesto in un’altra lettera, questa volta indirizzata al poeta belga Henry Maasen, datata da Giovanni Lista tra il 1909 ed il 1910. Elementi essenziali di un manifesto sono, secondo quanto si legge nella riferita lettera, “l’accusa precisa, l’insulto ben definito”. 3 LISTA, Giovanni. “Genesi e analisi del ‘Manifesto del futurismo’ di Filippo Tommaso Marinetti”, in OTTINGER, Didier. Futurismo Avanguardia Avanguaride. Parigi: Éditions du Centre Pompidou/ Milano: 5 Continents Editions, 2009, p.78. 4 PERLOFF, Marjorie. O momento futurista: avant-garde, avant-guerre e a linguagem da ruptura, São Paulo: Edusp, 1993. 5 BALDISSONE, Giusi. Filippo Tommaso Marinetti. Milano: Mursia, 2009, p.59. 6 FLORA, Francesco. Dal romanticismo al futurismo. Milano: Mondadori, 1925, p. 198. 9 Oltre alla proclamazione della fondazione del 1909, un altro manifesto di grande rilevanza per la proposta futurista nel campo della letteratura è il Manifesto tecnico della letteratura futurista, dell’11 maggio 1912, che rappresenta un’innovazione in relazione a quello che fino a quel momento era stato proposto dai futuristi in questo campo. Secondo tali proposte, negli anni dal 1909 al 1912 ancora era possibile l’uso del vers livre, la cui diffusione in Italia, in verità, Marinetti già ricercava dal 1905 attraverso la pubblicazione della rivista Poesia. Attraverso questa rivista Marinetti avrebbe anche diffuso in Francia autori italiani, secondo quanto si legge nell’introduzione ad una recente riedizione in formato fac-simile della rivista marinettiana. Sembra quindi esser stata una strada a doppio senso. Oltre a ciò, le forme del linguaggio poetico tradizionale fino a quel momento ancora non erano state contestate dai futuristi, come ricorda Maurizio Calvesi. È solo dal 1912, perciò, che Marinetti, invece di distruggere le relazioni sintattiche della discorsività attraverso il recupero dell’analogia, cerca uno strumento retorico che gli consenta di arrivare ad una specie di gestione analoga del logos, sempre secondo questo studioso. Per molto tempo si è creduto che in ambito della stampa la pubblicazione iniziale del manifesto della fondazione dello stridente movimento fosse avvenuto nel giornale parigino Le Figaro, il 20 febbraio 1909. Naturalmente la scelta di questo giornale da parte di Martinetti per l’inaugurazione del movimento non avvenne per caso e tenne conto, dentro di tutta una 10 strategia per la divulgazione e promozione del movimento, la capacità di diffusione internazionale che allora possedeva la lingua francese. Inoltre, vi erano già stati pubblicati diversi manifesti letterari della belle époque, come per esempio quello del Simbolismo di Móreas nel 1886 e, inoltre, Martinetti aveva molta familiarità con il milieu francese. Il poeta italiano, nato ad Alessandria d’Egitto, ricevette istruzione formale dai gesuiti francesi nella sua città natale e, al momento del lancio del Futurismo, viveva a Parigi da almeno dieci anni ed era un poeta attuante nel tardo-simbolismo di quel paese. Un libro propagato in Italia riscatta la questione della pubblicazione iniziale del manifesto di fondazione e ricolloca una questione importante in scena, anche se non del tutto nuova, come ricorda il suo autore. Si tratta del fatto per cui ricerche storiografiche rivelano che anche se il Futurismo è stato ufficialmente fondato il 20 febbraio, in ambito della stampa non fu del Figaro la primizia della sua pubblicazione. Il manifesto fu pubblicato in Italia un poco prima, giacché Marinetti aveva “inondato” i giornali italiani del testo del manifesto, ricorda lo storico e studioso del futurismo Giordano Bruno Guerri. Secondo Guerri, i periodici che fecero circolare a febbraio 1909 il manifesto di fondazione in Italia sono: Gazetta dell’Emilia, di Bologna (il 5); Il Pugnolo e Tavola rotonda, entrambi di Napoli (rispettivamente il 6 e il 14); Gazzetta di Mantova, di Mantova (il 9); Arena, di Verona (il 9-10 febbraio); Piccolo, di Trieste (il 10); Gior- no, di Roma (il 16). Oltre a questi, il manifesto sarebbe uscito nel giornale rumeno Democratia prima della pubblicazione parigina (il 16). Il fatto che si trattava di periodici di stretta circolazione e di poca risonanza rivelerebbe, secondo quanto annota Guerri, che i grandi giornali italiani avevano ignorato il progetto marinettiano. Un altro studioso del movimento che riprende questa problematica nel 2009 è Giovanni Lista, il quale si riferisce a recensioni che circolarono in Italia prima della pubblicazione francese, essendo che il primo giornale a pubblicarle sarebbe stato L’Unione di Milano, il 4 febbraio. È importante risaltare, riguardo alle strategie marinettiane, infine, anche il fatto per cui oltre alla diffusione attraverso la stampa, Martinetti fece circolare il programma del manifesto in forma di volantino (in francese e in italiano) e anche, adesso nella sua versione integrale, come prefazione a due libri. Il primo di essi, scritto in italiano, è Le ranocchie turchine di Enrico Cavacchioli, il cui titolo allude alla commedia Le rane di Aristofane, e nel quale l’autore fa la satira di autori come Pascoli e D’Annunzio con lo stile contestatario che posteriormente avrebbe caratterizzato le opere futuriste. L’altro libro a cui Lista si riferisce, questa volta pubblicato in francese, è Enquête internationale sur le vers libre, che raccoglie le risposte al sondaggio di iniziativa marinettiana, che la già citata rivista Poesia aveva ricevuto durante i quattro anni di durata della stessa. (Traduzione di Anna Palma) Il futurismo come malattia Annateresa Fabris I l 6 aprile 1909, il Correio da Manhã (Rio de Janeiro) pubblicava la prima notizia sul futurismo in Brasile. Nella cronaca O futurismo (À hora do correio), Manuel de Sousa Pinto presentava il manifesto di Marinetti come una di quelle tipiche provocazioni dei principi del secolo, dotata d’una semantica stravagante e d’una “tracotanza prolissa e aggressiva”. Invece d’analizzare la proposta di Marinetti, lo scrittore faceva una parafrasi ironica dei punti principali: ad immagini di baldanza fisica si sovrapponeva l’idea d’un gioco inconseguente, ad opera d’un “gruppo d’artisti incipienti”, la cui prosa “nichilista ed imberbe” era frutto d’una “terribile indigestione di Nietzsche, Wagner e Savonarola”. Due mesi dopo, A República (Natal) offriva una traduzione parziale del manifesto – le undici “volontà” proclamate da Marinetti –, ma neppure stavolta era fatta un’analisi delle proposte futuriste. Il testo introduttorio si riferiva genericamente a un movimento “entusiastico e rivoluzionario”, “violento e incendiario”, il cui manifesto era pubblicato “a titolo di curiosità”. La pubblicazione del 5 giugno non deve aver avuto nessuna ripercussione, né suscitato dibattiti se, il 30 dicembre, il Jornal de Notícias (Universidade de São Paulo) (Salvador) proponeva una traduzione integrale del manifesto, preceduta dall’osservazione “Crediamo d’essere il primo giornale brasiliano ad occuparsi di questo argomento” (Uma nova escola literária). Almáquio Diniz, autore della traduzione, elaborava um panorama succinto delle ripercussioni internazionali del manifesto e faceva cenno ad alcune attività di Marinetti, oltre a trascrivere brani di un’intervista. Posteriormente, Diniz analizzerà il movimento alla luce della sua “morale naturalista”, riconoscerà la presenza di alcuni principi positivi (bellezza della velocità e verso libero), pur condannandone aspetti come il rifiuto del passato, l’anarchismo e il dogmatismo. Difensore dell’arte “più definitiva”, Diniz è critico nei confronti delle altre proposte del futurismo, considerandolo un fenomeno passeggero, una crisi della letteratura, il cui contrassegno era la negazione delle tre “più potenti origini del Bello”: la tradizione, la donna e l’amore. Diniz non mantiene sempre lo stesso tono nelle sue analisi. Dopo aver definito il futurismo “aborto” o “caso prematuro”, vi riconosceva condizioni di vitalità, negate però nel bilancio finale, in cui lo presentava come un prodotto del socialismo letterario, invaso dai germi del nichilismo e dell’anarchismo e soprattutto del disordine. Quest’elemento sembra essere decisivo nella valutazione conclusiva del movimento come un fenomeno patologico. Sinonimo di distruzione, di disaggregazione e di “caratteristica morbosa”, il disordine sminuiva “il valore del futurismo”. L’idea del futurismo come una manifestazione d’interesse più della psichiatria che dell’arte diviene corrente nell’ambiente intellettuale brasiliano, come dimostrano gli argomenti di José Veríssimo e Mário Pinto Serva. Motivato dal libro I poeti futuristi (1912), l’articolo di Veríssimo denota le sue intenzioni già dal titolo, Mais uma extravagância literária (O Imparcial, Rio, 5 set. 1913). Guidato da criteri naturalistici e positivisti, il critico inseriva il 11 futurismo nell’alveo di quelle manifestazioni contemporanee che ricercavano la novità e l’originalità ad ogni costo. Questa ricerca “malsana”, che produceva ogni sorta di “stravaganza”, forme di “vesania” studiate e classificate a suo tempo dalla medicina, era in contrasto con le condizioni che assicuravano l’esistenza dell’arte: manifestarsi dentro i limiti dell’umanità e della vita ed esser frutto d’un cervello organizzato. L’“anarchia mentale” era invece l’aspetto principale del movimento italiano i cui sintomi erano individuati nel Manifesto tecnico della letteratura futurista, ridotto a cinque postulati: distruzione della sintassi, abolizione dell’aggettivo, dell’avverbio e della punteggiatura e adozione dello stile nominale. Una visione negativa del movimento è parimenti alla base della diatribe del Serva, scritta poco prima della Settimana d’Arte Moderna (A teratologia futurista, Folha da Noite, San Paolo, 15 feb. 1922). Anziché un problema d’estetica, il futurismo era un fenomeno di “patologia mentale” provocato da uno “stato morboso”, dallo “squilibrio di alcuni cervelli” che volevano imporsi all’opinione pubblica “senza studio, senza un lavoro paziente”. “Dominio dell’aberrazione”, il futurismo rappresentava la negazione della “sostanza dell’arte eterna”, il “plagio di espressioni esterne di scuole, di cose dimenticate, antiquate e distanti”. Considerare il futurismo “disaggregazione” (Diniz), “vesania” (Veríssimo), “teratologia” (Serva) e opporgli un modello d’arte definitiva, organizzata e profondamente personale significava credere nell’esistenza d’un tipo di ma- 12 nifestazione giusta ed equilibrata, minacciata dalla vi rulenza delle avanguardie dei principi del secolo. Il futurismo come “malattia mentale” racchiudeva in sé due operazioni intrinsecamente articolate: – come disordine, messa in questione dell’equilibrio, era una forma pericolosa di devianza sociale; – come manifestazione “eccessiva”, era simbolo e rappresentazione d’un fenomeno interno – l’autoespressione d’un carattere ribelle. Lo schiamazzo, lo scandalo e la violenza del futurismo non potevano non rappresentare la forma più perfetta della malattia – il ribellismo –, se si ricorda che Bichat aveva definito la salute il “silenzio degli organi”. Nel combattere il futurismo come forma eccessiva i suoi critici non difendevano solo un modello d’arte ma soprattutto un modello di società, di cui l’arte era l’espressione sublimata. In mancanza d’argomenti persuasivi per giustificare l’esistenza d’un universo che la realtà contemporanea rifiutava ad ogni istante, al fine di negare il carattere ineluttabile delle trasformazioni sociali, si stigmatizzava l’arte divergente per il disturbo che arrecava. L’idea terapeutica implicita in questi argomenti è una conferma di quest’ipotesi: l’arte doveva ritrovare il giusto equilibrio, la giusta gerarchia per debellare i sommovimenti sociali, per far sì che gli avvenimenti del mondo reale tornassero ad esser controllati e portati verso la diritta via, come dava a capire la metafora del “socialismo letterario” proposta da Diniz. Il tentativo di contestare l’irreversibilità dei cambiamenti, di non accettare, con l’epiteto psicologico, le nuove realtà, spingeva i difensori del bello codificato a concentrare i propri attacchi in contrapposizioni e in aspetti negativi sistematicamente ripetuti. “Squilibrio mentale dell’ora presente” per il poeta Faria Neves Sobrinho, il futurismo sembrava a Fernando Callage una “baldoria artistica”, giustificata dall’“assoluta mancanza di buon senso”, che bandiva i principi dell’arte, negava l’ordine e l’idea di ritmo, oltre a non riconoscere i “sentimenti superiori”. Sicuro della vittoria della “bellezza integrale”, Callage non tralasciava di fare un pronostico sulle sorti del futurismo: essere solo una “giocosa beffa di pessimo gusto...” (Futurismo em arte... Correio do Povo, Porto Alegre, 23 mar. 1924). La preoccupazione delle nuove generazioni di distinguersi dalle anteriori, fonte dell’originalità, era considerata “esagerazione morbosa”, “ossessione”, “deplorevole allontanamento dal senso estetico” dal Diário de Notícias di Porto Alegre (Originalidade, 22 ott. 1925). In questo contesto, il corollario dell’originalità era inevitabilmente l’incapacità di creare, come si deduce dalle affermazioni fatte da membri dell’Accademia di Lettere di Alagoas negli anni Venti. Se per Lima Jr. il futurismo era “una panacea scoperta dalla medicina letteraria ad uso di coloro che soffrono della malattia incurabile della ‘mancanza di talento’”, Demócrito Gracindo sembrava fargli eco quando definiva la pittura futurista “un’agglomerazione di orrori”. L’equazione con le dottrine politiche era quasi immediata: il futurismo era al contempo “nebbia del materialismo che oscura il nostro tempo”, “anarchia”, “bolscevismo letterario” e “fascismo nella letteratura”. Non è difficile capire che la contrapposizione tra ordine/ buon senso-sentimenti superiori e anarchia/bolscevismomaterialismo aveva base in termini perfettamente paralleli e mutuamente escludenti, per i quali la società e l’arte erano fenomeni assoluti e transitori, rispettivamente: giusti, corretti e quindi eterni i primi; malsani, erronei e perciò passeggeri i secondi. Significativa in questo senso è la lettera indirizzata dall’Istituto di Architetti di San Paolo al ministro Francisco Campos (maggio 1931). O ingresso de professores futuristas na escola Nacional de Belas-Artes, firmato tra gli altri da Cristiano das Neves, Carlos Ekman e Teodoro Braga, era un libello violento ed incisivo contro la riforma introdotta da Lúcio Costa nella tradizionale accademia. Gli architetti non usavano solo la metafora della malattia per schernire il futurismo con l’abituale aggettivazione dell’“arte caricata”, della “nevrosi artistica”, dello “spirito morboso”, dell’“anormalità”. Più raffinati, si servivano delle teorie del dottor Jean Vinchon per provare il pericolo inerente agli atteggiamenti della nuova arte. Le opere degli alienati erano violente, incoerenti, sbagliate o assurde; la produzione dei tossicomani esprimeva alla perfezione le “possibilità dell’immaginazione lasciata a se stessa”; i segni del disordine intellettuale” erano inequivoci in queste opere e, poiché esse ricordavano immediatamente la pittura e la scultura futuriste, non c’era dubbio che l’orientamento estetico del XX secolo era viziato dalla malattia. Quando non era un’espressione patologica, il futurismo era presentato come una manifestazione astrusa, assurda. Nova escola literária (o futurismo) di João Grave (O Estado de S. Paulo, 21 lug. 1911) è il chiaro esempio di una lettura che in certi momenti ripeteva e amplificava mimeticamente il discorso che intendeva criticare. Nel commentare ironicamente il disprezzo di Marinetti per il passato, Grave adottava un andante “futurista”, il cui risultato era una parodia del linguaggio di Fondazione e Manifesto del Futurismo: La rovina che comincia con la polvere ridurrà la scultura, la pittura e l’architettura a calcinaccio e polvere, soffocherà il suono della musica, cancellerà il colore e tra filosofi e moralisti, buon Dio, nessuno sfuggirà alla sua collera iconoclasta – né Kant, né Spinosa, né Schopenhauer, né Novalis, né Novicow, né Haechel! A più riprese, sulle macerie fumanti, intonando gloriosamente il suo inno all’aurora che nasce, chiederà un’altra filosofia come chi adesso chiede, in questo torrido caldo estivo, un gelato alla fragola o una granita. L’uso d’immagini come calcinaccio e polvere, il paragone fra le aspirazioni della nuova arte ed elementi liquidi e rapidamente solubili, è una prova lampante che per il critico portoghese gli ultimi movimenti estetici erano manifestazioni effimere e transitorie. Il gioco tra volatilità e costanza, liquidi e solidi era una spia evidente del fatto che il futurismo “non sarà in grado di formare cristallizzazioni estetiche e filosofiche”. Se il termine cristallizzazione era il segno inequivoco di un’idea tradizionale d’arte, la struttura di contrapposizioni di Grave s’arricchiva d’un nuovo elemento impalpabile: il vento che avrebbe portato lontano gli schiamazzi di Marinetti e dei suoi compagni, i quali non volevano che si contemplasse “nessun chiar di luna di soave bellezza”, né che si ammirasse la “bellezza perenne del passato”. 13 Un altro esempio di lettura paradossale è As lições do futurismo (O Estado de S. Paulo, 12 lug. 1914) che non differiva dalla produzione fin qui analizzata, anzi ne confermava i pregiudizi e la difesa d’una visione dell’arte messa in forse dalle nuove realtà del XX secolo. “Quadri indecifrabili”, una “prosa sconcertante e folle”, la negazione di tutte le norme della metrica in poesia: erano questi i contributi del futurismo ricordati da Ernesto Bertarelli, che proponeva una visione singolare del rapporto del movimento italiano col passato. La violenza futurista avrebbe costretto la società contemporanea a stabilire un nuovo tipo d’approccio: studiare il passato prima di rinnegarlo, non trasformarlo in un’immagine ideale per il presente. In questo senso, l’impetuoso, brutale, paradossale movimento avrebbe potuto essere considerato un fenomeno “logico e benefico”, poiché favoriva una “contemplazione retrospettiva”. L’idea del futurismo quale manifestazione patologica poteva servire anche ad altri scopi, come dimostrano Sérgio Milliet e Augusto Meyer nel fare uso della “metafora della malattia” in una versione abbastanza paradossale. L’iconoclastia e l’onda anarchizzante del futurismo si trasformavano in “sollievo” nella lettura di Milliet. Operazione igienica, il movimento di Marinetti era riuscito a “ripulire i magazzini della letteratura”, distruggere “il decadente parnassianismo simbolista” ed esaudire i voti dell’Europa dei principi del secolo, “stanca degli zampilli, delle foglie morte, dell’oppio ed altri ingredienti della poesia dei discendenti maniaci di Baude- 14 Relazioni moderniste e futuriste Luiz Roberto Velloso Cairo e Aline Fogaça L laire e Samain” (Tendências. A Noite, Rio, 15 dic. 1925). Non era molto diversa l’analisi di Meyer che all’“ultimo rantolo dell’umanesimo”, rappresentato da Ernest Renan e Anatole France, opponeva l’opera “idealista” dei “barbari”. Se il connubio d’idealismo e di barbarie può sembrare incongruente, Meyer disponeva di argomenti di peso per giustificare un’affermazione apparentemente assurda. Individuata la falsità dell’umanesimo degli accademizzanti, l’“urlo rosso, meridionale, scandaloso” dei futuristi rappresentava un tentativo di rianimare il genio latino che languiva nel rispetto della forma. Meyer auspicava il recupero della “salute” e dell’“armonia”; ma, consapevole che ciò sarebbe avvenuto solo dopo la rimozione degli ostacoli frapposti all’espansione dell’“entusiasmo creativo”, non poteva non vedere sotto una luce favorevole l’azione di movimenti come il cubismo, il dadaismo e il futurismo che rin- negavano i “formulari passivi, senza alcun nesso col momento presente” (A decadência do humanismo. Correio do Povo, Porto Alegre, 14 apr. 1926). Dall’opposizione fra pulizia e decadenza-tara o fra morte e barbarie si può dedurre che anche la visione positiva del futurismo si fondava su criteri etici, sociali e non solo estetici. Il background di questo tipo di discorso sono le ragioni della modernità che l’arte non poteva misconoscere se non voleva mancare all’appuntamento con la storia. Il gruppo antagonista invece condannava il futurismo appunto per la sua modernità. Nell’individuare nella piattaforma di Marinetti l’erosione delle proprie idee artistiche, politiche e sociali, sferrava violenti attacchi ad un movimento che sarà d’importanza capitale per la definizione di nuovi cammini per l’arte del XX secolo, in contrasto con l’immagine d’una manifestazione effimera che non avrebbe superato la prova del tempo. (Universidade Estadual Paulista-Assis) a tenue relazione fra il Modernismo brasiliano e il Futurismo italiano è già stata oggetto di analisi di vari studiosi di entrambi i movimenti, soprattutto a partire dalle figure di Oswald e Mário de Andrade nel primo ambito. Ciò che osserviamo in questi studi è un incrociarsi, ovvio, fra letteratura brasiliana e letteratura italiana, e, oltre a questo, fra la Letteratura Comparata e gli Studi di Traduzione. In altre parole, si può dire che che la traduzione svolge il ruolo di veicolo conduttore, di ponte, fra queste due culture e offre il dialogo fra i suoi rappresentanti. Le diverse discussioni sull’“essere o non essere” futurista, sia in verso che in prosa, hanno l’obiettivo di esplorare le possibilità artistiche, i punti di contatto e di divergenza fra le due scuole1. Gli esempi più conosciuti sono il “Prefácio Interessantíssimo”2, nel quale Mário de Andrade rifiuta il titolo di “futurista de Marinetti”, a lui attribuito dall’amico Oswald de Andrade. L’affermazione di Oswald era stata pubblicata in un articolo intitolato “O Meu Poeta Futurista”, sul Jornal do Comércio del 25 maggio 1921. Pochi giorni dopo, anche Mário pubblica un articolo sullo stesso periodico in risposta alle “accuse” mosse. Nel frattempo, ancora nel “Préfacio”, lo scrittore rivela che era al corrente della pubblicazione dell’articolo, dando adito alla voce che il tutto non sarebbe stato altro che una combine fra i due Andrade, con l’obiettivo di autopromuoversi. Ciononostante, Mário si assume la responsablità per la ripercussione negativa generata dalle affermazioni e si duole di essersi lasciato condurre dalla vanità. Le “accuse”, tuttavia, non si sarebbero fermate lì. Oswald pubblica ancora un altro articolo, con l’obiettivo ora rivolto ai versi di Paulicéia Desvairada, nei quali tenta di evidenziare la vena futurista dell’amico e di giustificare le sue argomentazioni. Si noti qui che l’opera appena citata di Mário sarebbe stata pubblicata solo l’anno seguente. Sarebbe dunque quest’articolo un ulteriore tentativo di divulgazione di uno dei marchi del Modernismo brasiliano? Oltre a questo articolo, i paragoni con il Futurismo furono inevitabili durante il periodo conosciuto come fase eroica del movimento. Approfittando dell’euforia del dopo Settimana di Arte Moderna, i modernisti pubblicano, il 15 maggio del 1922, il primo esemplare della rivista Klaxon: mensário de arte moderna, esattamente un anno dopo la polemica degli articoli scambiati tra gli Andrade. La preoccupazione principale della rivista era quella di essere attuale, tuttavia, nella sua presentazione lascia chiaro che non è futurista, bensì “klaxista”. Quando rilascia questa dichiarazione, la Redazione (la presentazione è firmata da tutta la Redazione della rivista, non solo da un unico autore) sembra anticipare le critiche successive. Fra queste, l’articolo anonimo pubblicato sulla rivista Mundo Literário afferma che Klaxon si tratta di una “repetição synthetica do manifesto futurista de Marinetti, cousa 1 Mário de Andrade, nel “Prefácio Interessantíssimo”, sostiene che il Modernismo non deve avere l’appellativo di scuola. Alcuni anni più tardi, nella conferenza “O Movimento Modernista”, considera il lemma modernista ‘desprezível’. 2 ANDRADE, Mário de. Poesias Completas. São Paulo: Círculo do Livro, [1980]. 15 que já vem creando bolor, há não menos de quinze anos”. L’autore dell’articolo si ostina ad attribuire a Mário de Andrade la presentazione di Klaxon. Per questa ragione, sarà lo stesso a ribattere alle insinuazioni nella cronaca “O Homenzinho que não pensou”, pubblicato sul terzo numero della rivista. Nel difendere se stesso e il mensile, lo scrittore esalta l’incapacità dell’autore anonimo di distinguere stili, tendenze e influenze, così come l’ignoranza alla quale sono sottomessi i lettori di Mundo Literário. Mário conclude che “não pode haver conclusões negativas numa época de construção”. Ancora una volta, lo scrittore chiarisce che è impossibile che la rivista e tutto il Modernismo brasiliano non subiscano nessun tipo di influenza futurista, tuttavia spiega che non hanno l’intenzione di seguire il Manifesto futurista, ma lo accettano per “compreender o espírito de modernidade universal”. Questo spirito permea, effettivamente, altri testi di Klaxon. Nel secondo numero, per esempio, l’articolo “Nós” di Antonio Ferro fa chiari riferimenti al Futurismo ed al suo personaggio più caratteristico, Marinetti: “está Marinetti – esse boxeur de ideas”, além de frases como “os comboios andam mais depressa do que os homens. Sejamos comboio, portanto!”. Non solo la velocità, tanto esaltata dal Futurismo, ma l’elettricità ed il ripudio del passato sono evidenziati da Ferro. In un’altra poesia, “La danza delle giornate Grigie Cariocas”, di Vicente Ragognetti (che aveva già “cantato” 3 16 l’attualità nella poesia “Cercare il proprio”, su Klaxon 2), si faccia attenzione al verso “della voce delle automobili in corsa” e, ancora una volta, alla figura dell’automobile e al legame con la velocità, tipici dell’avanguardia italiana. Ancora su questa poesia, è curioso notare la presenza, nella terza strofa, della rappresentazione dell’arlecchino, ricorrente anche in Mário de Andrade, nelle sue poesie di Paulicéia Desvairada. Nely Novaes Coelho3 analizza arlequinal come un’espressione sintetizzatrice, dotata di un potere riduttore – che amplia la poesia. “Paulicéia Desvairada” è altresì il titolo della poesia di Luis Aranha, in cui l’assunto poetico abbraccia non solo questa opera ma anche il suo autore: “Não és futurista/ Há nos teus poemas raios ultravioletas (...)/ Porque o arco-íris é seu pincel/ E é tua penna também”. Se prima Oswald lo nomina “futurista”, COELHO, Nelly Novaes. Mário de Andrade para a Jovem Geração. São Paulo: Saraiva, 1970. p. 45. Luis Aranha sembra volerlo sollevare da questa carica, evidenziando lo sperimentalismo delle sue poesie. Paulicéia Desvairada sarà anche tra gli annunci di Klaxon, a partire dal secondo numero. Come visto, il mensário de arte moderna rappresenta e sintetizza la campagna iniziata nel febbraio del 1922, con la Settimana di Arte Moderna. Idee che furono lì manifeste continuano ad echeggiare sulle pagine della rivista attraverso le riflessioni dei suoi collaboratori. Rubens de Moraes scrive su Klaxon 4 l’articolo Balanço de fim de século, a riguardo del XIX secolo e della transizione verso l’arte moderna. Secondo lo scrittore, il nuovo concetto di arte privilegia la personalità del suo artista a discapito della tanto sfruttata “Intelligenza” del XIX secolo. In questo percorso l’artista era passato dall’ingabbiamento in un’arte metodica, tipica del Parnassianesimo, al verso libero che nasce giustamente come un grido di libertà poetica. L’eco della “ribellione” già si era fatto sentire con i romantici, passando per i simbolisti, con particolare riferimento al poeta Rimbaud. Tutti loro cercavano un altro canale di espressione per una nuova arte nella quale l’Intelligenza sarebbe stata sostituita dall’intuito e dalla sincerità dell’artista. La nuova estetica, ora definita come intuitiva e personale, avrebbe potuto generare, a volte, la creazione di simboli, a prima vista, inattingibili. A tal riguardo, Mário de Andrade afferma, nelle teorie del “Desvairismo” contenute nel “Prefácio Interessantíssimo”, che la comprensione delle arti è sempre mediata, poiché l’arte moderna non può ca- ratterizzarsi come definitiva e finita. In questo stesso senso, Rubens de Moraes avverte che questo atteggiamento è necessario alla critica letteraria, una volta che si deve attribuire percezione all’arte moderna, e non affezione. Quando Mário pondera la comprensione in arte sta, in verità, parafrasando il filosofo francese Henry Bergson, il quale distinse la filosofia dalla scienza e, conseguentemente, influenzò l’estetica modernista in modo diretto e indiretto, secondo Moraes. Per il filosofo tale distinzione è l’imperativo per la conoscenza della vita, a sua volta così immediata e instabile come il discernimento dell’arte. A causa di questa approssimazione si può dedurre il perché del merito dato a Bergson dalla nuova estetica. L’incomprensibilità è frutto principalmente della simbologia, come visto. Al contempo, al simbolo si correla l’emozione estetica che il poeta cerca nel subconscio e porta nella sua poesia. Per questa ragione, Rubens de Moraes lo intende come essere irrazionale e illogico. Mentre Mário de Andrade attribuisce alla simbologia il “Lirismo” e la simultaneità. Il primo è un’allegoria creata da lui per designare l’impulso lirico derivante dall’esperienza stessa del poeta. In altre parole, uno stato “sublime” vicino alla “sublime” pazzia. Vincolata a questa teoria è quella dei versi armonici, sottolineando l’idea di simultaneità della poesia. Tali riflessioni sono presenti anche nel “Prefácio Interessantíssimo”, nella scuola del “Desvairismo”. Per tutte queste considerazioni è comprensibile il rifiuto del titolo di futurista, una volta che il Manifesto Futurista propaga l’ingabbiamento radicale della poesia nel mondo oggettivo dei fatti. L’ideale modernista si stabilì in senso contrario, utilizzando l’irriverenza, la “ribellione”, per la conquista di uno spazio dove fosse possibile stabilire il progetto di riscatto della cultura primitiva brasiliana, risultante nella costruzione di una tradizione nazionale. Il modo in cui si diede questa rottura, con ostentazione, con il rumore di Klaxon, fece sì che non ci fosse una differenziazione fra i due movimenti. Il fatto è che dopo questa fase “distruttrice”, il Modernismo cercò le sue fondamenta, mentre il Futurismo italiano tese appena a continuare a distruggere e a svincolarsi dal passato. Frattanto, le diverse traiettorie non furono sufficienti perché parte del pubblico non le confondesse. In qualche modo, il dibattito sulle possibilità e impossibilità fra l’avanguardia e il modernismo klaxista, “desvairista”, si è protratto e continua attuale così come nel 1922. (Traduzione di Andrea Santurbano) 17 Ripercussioni futuriste in Brasile: * da nord a sud S Patricia Peterle (Universidade Federal de Santa Catarina) i è parlato già molto del movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti. Il 2009, anno del centenario del manifesto, pubblicato inizialmente il 05 febbraio sulla Gazzetta dell’Emilia e, subito dopo, sul giornale Le Figaro, il 20 febbraio 1909, viene marcato da innumerevoli mostre ed eventi per il mondo. La pubblicazione di quel primo manifesto e dopo quella di tanti altri che vanno dalla letteratura alle arti (pittura, scultura), alla musica, al cinema, alla radio generano una grande ripercussione di quel movimento non solo nel vecchio continente, ma anche in quello nuovo. Riflettere su come le idee futuriste arrivarono in America Latina ed in Brasile, come, quando e da chi furono lette e rilette, chi se ne appropriò o le rigettò, è un compito fondamentale quando si pensa all’interazione tra i sistemi letterari italiano e brasiliano, ma qualche volta è dimenticato. * Questo lavoro è legato al progetto di ricerca “Tradução e repercussão da literatura italiana na imprensa brasileira na primeira metade do século XX”. Una prima parte di questo progetto è in fase di sviluppo presso il “Núcleo de Literatura Comparada” (NELIC) dell’Universidade Federal de Santa Catarina. 18 Certamente l’inizio del XX secolo non è l’unico punto di confluenza ed interazione fra i due sistemi, tuttavia chiama l’attenzione per il coinvolgimento di personalità dal nord al sud del Brasile, riviste letterarie e giornali. Insomma, è un momento di effervescenza della cultura brasiliana che viene alla luce con i paulistani e la Settimana di Arte Moderna del 1922, ma lasciava subito i suoi segni e si ripercuoteva in varie istanze non solo paulistane. Quando si pensa alle parole “futurismo”, “futurista” o “Marinetti” in Brasile la tendenza è andare direttamente all’asse Rio - San Paolo, veramente più al secondo termine di questa equazione. Si pensa a Oswald de Andrade, Mario de Andrade e a tutti quelli che in qualche modo parteciparono alla Settimana. Tuttavia diversi studiosi come Annateresa Fabris, José Aderaldo Castello, Luciana Stegagno-Picchio indicano l’esistenza di un dialogo anteriore. Forse a causa dell’egemonia economica e culturale di San Paolo si pensa direttamente agli eventi ed agli scrittori legati alla città della pioviggine. Ma il termine “futurista” circolò da nord a sud, dalla Bahia a San Paolo, da Almachio Diniz a Mario e Oswald de Andrade, passando per le innumerevoli riviste moderniste. Nello stesso anno della pubblicazione del Manifesto Futurista, il giornalista bahiano Almachio Diniz traduce e diffonde in versione integrale il Manifesto sulle pagine del Jornal de Notícias di Salvador, con il titolo di “Uma nova escola literária”. Luciana Stegagno-Picchio, nella sua Storia della Letteratura Brasiliana, si riferisce al 1910 come all’anno della traduzione di Almachio Diniz, ma in verità il 1910, ossia mesi dopo la prima traduzione che non ebbe quasi nessuna ripercussione, il giornalista baiano pubblica un piccolo articolo “O romance de Marinetti”, nel quale parla dell’opera Mafurka futurista del 1910. � Cent’anni, quindi, dalla prima pubblicazione completa pubblicata in Brasile. Dalla traduzione sul giornale bahiano, sia il manifesto che la stessa figura “scandalistica” del suo creatore, Filippo Tommaso Marinetti, come si sa, generano polemiche e discussioni tra gli intellettuali brasiliani: Monteiro Lobato, Graça Aranha, Menotti del Picchia, Sérgio Buarque de Hollanda, Cassiano Riccardo, Paolo Setubal, Ronald de Carvalho, Guilherme de Almeida e tutti coloro che, in un modo o nell’altro, furono trascinati dallo spirito innovatore o vi parteciparono attivamente, e il cui climax è la Settimana del 22. Comunque, anche prima dell’evento al Teatro municipale di San Paolo, le notizie già circolavano. Frutto di tale spirito sono anche il progetto editoriale e la pubblicazione della Rivista Klaxon: mensario de arte moderna, uno dei grandi veicoli di divulgazione e promozione delle idee moderniste. La vita di questa rivista è corta, dal 15 maggio 1922 – pochi mesi dopo la Settimana – fino a gennaio 1923, e la sua circolazione si ebbe soprattutto a San Paolo. Como è esplicitato nel sottotitolo, mensario de arte moderna, la proposta principale è riflettere, definire, allargare ed anche “maturare” le idee che erano in voga. Per Oswald de Andrade la concretizzazione del progetto di Klaxon è un’evidenza in più del movimento dei modernisti. La prima rivista modernista è, in verità, la conseguenza dell’inesistenza di uno spazio proprio per le discussioni di questo gruppo, che fino a quel momento apparivano sparse su giornali come Jornal do Comércio, Correio Paulistano e Gazeta. È, quindi, un materiale che testimonia una parte della vita culturale ed intellettuale del Brasile post-Settimana, oltre a documentare l’ideologia e lo spirito del gruppo che si veniva costituendo intorno alla rivista. Possono essere identificate diverse tipologie testuali nei numeri di Klaxon: poesie, articoli, commentari, propa- 19 gande, critiche letterarie e di arte, barzellette. Una pubblicazione che rifletteva l’effervescenza, la diversità e la pluralità culturale di un momento. Insomma, polifonica, multiple voci che segnalano gli svariati cammini della modernità e dell’arte moderna. Tali voci assumono un profilo nello stesso nome del periodico che già annuncia la sua spettacolarità a partire dallo stesso nome: klaxon. È come se la stessa rivista si auto-annunciasse! � Nel primo numero di Klaxon, il testo che introduce la nuova rivista è marcato dal carattere frammentario e da frasi molto corte e d’effetto. Tale editoriale, firmato dalla redazione, è diviso in 4 momenti: “Significação”, “Estética”, Cartaz” e “Problema”. Nel leggere quell’editoriale, possono essere sottolineati i seguenti messaggi: Significazione La lotta cominciò veramente al principio del 1921 dalle colonne del Jornal do Comércio e del Correio Paulistano. Primo Risultato: “Semana de Arte Moderna” [...]Furono propagate idee inammissibili. Bisogna riflettere. Bisogna chiarire. Bisogna costruire. Quindi, KLAXON. Estetica E KLAXON sa che la vita esiste [...]KLAXON non avrà la preoccupazione di essere nuovo, ma di essere attuale. Questa è la grande legge della novità. KLAXON sa che l’umanità esiste. Perciò è internazionalista [...] KLAXON sa che il progresso esiste. Perciò, senza rinnegare il passato, va avanti, sempre, sempre. Il campanile di San 20 Marco era un capolavoro. Doveva essere conservato. È caduto. Averlo ricostruito è stato un errore madornale e dispendioso - fatto che stona davanti alle necessità contemporanee [...] KLAXON sa che il cinematografo esiste. KLAXON non è esclusivista. Comunque giammai pubblicherà inediti di cattivi bravi scrittori già morti. KLAXON non è futurista. KLAXON è klaxista. Le frasi corte, il tono ed il ritmo ricordano la scrittura legata al genere del manifesto. In quelle poche ma consistenti righe, il gruppo di redazione traccia le direttrici di quella pubblicazione attuale – usando una definizione di Klaxon -, che ha come obiettivo principale riflettere, chiarire e costruire. La tensione qui intrinseca si riflette anche nei binomi continuità e rottura, tradizione ed innovazione, passato ed attuale. Tale questione è, inoltre, posta da Mario de Andrade, alla fine dell’articolo “Luzes e Refracções”: “La sincerità in arte non consiste nel riprodurre, ma nel creare” Nel secondo numero, editato il 15 giugno 1922, appaiono i nomi di Sérgio Milliet, Luis Aranha, Vicente Rigognetti, Mario de Andrade, Oswald de Andrade, Di Ca- valcanti tra gli altri. L’attualità, impronta dell’editoriale, è presente nel titolo della poesia “Aeroplano” di Luis Aranha così come nella poesia di Rigognetti “Cercare il proprio”. Le trasformazioni urbane e l’attrazione per le “nuove tecnologie” attraggono l’io lirico di “Aeroplano”: “Meu corpo cantaria/Sibilando/A Sinfonia da velocidade/E eu tombaria/ Entre os braços abertos da cidade...” [Il mio corpo canterebbe/Sibilando/La Sinfonia della velocità/E io cadrei/Tra le braccia aperte della città N.d.T.]. Queste nuove macchine affascinano molto Marinetti, che scrive nel 1910 il romanzo in versi L’aeroplano del Papa. In questa riga, come afferma Raul Antelo: “no Brasil, caberia registrar “Os Pássaros de Aço”(1921) de um, mais que esquecido, quase desconhecido Agenor Barbosa” 3; [in Brasile, serve sottolineare ‘Gli uccelli di Acciaio’ (1921) di un, più che dimenticato, quasi sconosciuto Agenor Barbosa N.d.T.] che è ricordato anche dalla StegagnoPicchio, essendo considerato dalla studiosa un esempio dell’influenza e della circolazione delle idee futuriste. Se la figura dell’aeroplano è presente nella seconda edizione della rivista, il convoglio, la velocità ed alcuni altri elementi che possono rimettere alle proposte futuriste di Marinetti caratterizzano il primo testo del numero 3, intitolato Noi e firmato dal portoghese e uno dei direttori della rivista Orpheu, Antonio Ferro. “É preciso gerar, crear... [Bisogna generare, creare...]. Il dialogo desiderato con i vari e diversi ambienti culturali può essere anche confermato dall’approssimazione di Klaxon alla rivista francese L’Esprit Nouveau di Ozenfan-Le Corvusier, che veniva pubblicata dall’ottobre 1920. Come afferma Annateresa Fabris: “[...] várias visões de modernidade se entrecruzam em Klaxon, denotando sua busca de um caráter próprio, apto a definir o espírito moderno brasileiro, internacional e dotado de prerrogativas próprias ao mesmo tempo” [diverse visioni di modernità si incrociano in Klaxon, denotando la sua ricerca di un carattere proprio, adatto a definire lo spirito moderno brasiliano, internazionale e dotato di prerogative proprie allo stesso tempo]. (1994, p. 214). E ancora con Annateresa Fabris, “os traços futuristas de Klaxon são a nosso ver, mais fortes que os construtivistas e os expressionistas, embora sejam admitidos apenas parcialmente e embora denunciem uma idéia nem sempre verdadeira do movimento italiano.” [i tratti futuristi di Klaxon sono a nostro parere più forti di quelli del costruttivismo e quelli espressionisti, anche se sono ammessi appena parzialmente e anche se denunciano un’idea non sempre vera del movimento italiano] (1994, p. 215). Ciò che si vede è che alcuni anni dopo la divulgazione del manifesto, le idee futuriste ancora circolavano nel paese ed erano motivo di dibattiti, come dimostrano il profilo e le discussioni in Klaxon e tutta la ripercussione dell’arrivo e soggiorno di Marinetti in Brasile, nel 1926, annunciato in vari organi della stampa. Nel Jornal do Brasil del 10 maggio, esce in prima pagina l’articolo “Não há salvação fora da esthetica da machina, do seu esplendor geométrico”, che anticipava alcuni temi della conferenza di Marinetti. Come sottolinea Gilberto Mendonça Telles: “A partir de 1920, no Brasil, o futurismo dominará até 1925, quando o nome de modernismo se impôs, no Rio e em São Paulo e foi depois se espalhando pelo Brasil afora.” [Dal 1920, in Brasile, il futurismo dominerà fino al 1925, quando il nome del modernismo si impose, a Rio e a San Paolo e dopo si disseminò per tutto il Brasile] (TELLES, 2009, p. 68) Le ripercussioni futuriste nella terra brasilis sono state molte e sono, come già è stato collocato all’inizio, una questione per gli studiosi di letteratura comparata. Dalla traduzione di Almachio Diniz a tante altre che le succedettero, le riviste straniere che circolavano all’epoca, ai viaggi di brasiliani in Europa e di europei in Brasile, come quello di Marinetti, è possibile percepire la rete di legami invisibili, ma esistente ed essenziale, che è presente tra le righe della produzione letteraria ed intellettuale in quei primi decenni del XX secolo in Brasile. (Traduzione di Anna Palma) Bibliografia ANDRADE, Mário. Aspectos da Literatura Brasileira. Belo Horizonte: Itatiaia: 2002. BOAVENTURA, Maria Eugenia (Org.). 22 por 22 – a Semana de Arte Moderna vista pelos seus contemporaneos. São Paulo: Edusp, 2000. CASTELLO, José Aderaldo. A literatura brasileira. Vol.II. São Paulo: Edusp, 1999. FABRIS, Annateresa. O Futurismo Paulista. São Paulo: Perspectiva, 1994. STEGAGNO-PICCHIO, Luciana. História da Literatura Brasileira. Rio de Janeiro: Nova Fronteira, 1997. ____________. “Pontos Cardeais da vanguarda Latino-Americana [tópicos a serem desenvolvidos]. In: Revista de Literatura, História e memória, vol. 5, nº5, 2009, p.63-69. 21 Traversie futuriste: Italia, Portogallo e Brasile Andrea Santurbano (Universidade Federal de Santa Catarina) J osé de Almada Negreiros, poeta, scrittore e pittore portoghese, si dichiara futurista nel suo famoso Manifesto Anti-Dantas, usando pochissime parole e un’onomatopea: “Morra o Dantas! Morra! Pim!”. E firmando: “José de Almada Negreiros, poeta d’Orpheu futurista e tudo 1915”. Nel febbraio del 1924, a sua volta, il poeta brasiliano Ronald de Carvalho, tra i fondatori della stessa rivista Orpheu, in origine luso-brasiliana, scrive in una lettera indirizzata a Jackson de Figueiredo e pubblicata sulla Revista do Brasil: “O futurismo é também passadismo. Morra o Futurismo!”. Insomma, un campo semantico caro ai futuristi, quello della morte, finisce col ritorcersi contro lo stesso movimento. Ma andiamo per ordine. Secondo l’autorevole opinione di Alberto Asor Rosa, il futurismo rappresenta il primo movimento letterario, artistico, intellettuale e culturale italiano di diffusione europea (e, si potrebbe aggiungere, mondiale) dopo il secolo XVII. Tale premessa non è inutile, dal momento che esso è sempre 1 22 stato considerato e analizzato in Italia non senza qualche imbarazzo per le sue implicazioni ideologiche e politiche. Dissidi non mancarono neanche all’inizio, se si pensa ai tanti nomi che preferirono allontanarsi dal futurismo dopo la prima fase “eroica”, cioè negli anni che precedettero l’entrata dell’Italia in guerra. La rivista Lacerba, dove fu pubblicato il manifesto politico del futurismo nel 1913, è lo specchio fedele di tale conflittualità, e vede già delinearsi negli interventi dei vari Papini, Soffici, Palazzeschi un concetto di modernità che distingue due concezioni, quella di “futurismo” e quella di “marinettismo”, come conferma Annateresa Fabris: a [concepção] futurista, atenta ao devir contemporâneo, à compreensão das novas exigências da arte – lírica, irônica, regida por leis próprias; a marinettista, aparentemente moderna, mas substancialmente naturalista, profética, militarista, chauvinista, moralista, americanista, germanista. Sua arte estaria imbuída de valores retrógrados e gregários, de um novo tecnicismo, de tendências simplificadoras e goliardescas.1 Forse, il più lucido teorico nel futurismo, in campo artistico, è stato Umberto Boccioni, morto durante il primo conflitto mondiale così come altri che risposero all’appello militante della guerra sola “igiene del mondo” e che perpetrarono, d’altro canto, la concezione oriunda dalle avanguardie storiche di vita e arte compenetrate in modo indissolubile. Come detto, molti autori si dissociano presto dal futurismo, tra cui Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Massimo Bontempelli, segnando la conclusione di un primo momento, per così dire, rivoluzionario. Primo momento che si configura come il più anarchico e che conosce una interessante penetrazione anche nelle masse operaie. Vale la pena riportare una dichiarazione di Bontempelli, riflesso degli orientamenti culturali e letterari di parte dell’intellighenzia italiana tra il dopoguerra e l’insorgere del fascismo: Ci accorgemmo nel ‘19 che la guerra aveva fatto tabula rasa di tutte le scuole d’avanguardia che negli ul- FABRIS, Annateresa, O futurismo paulista, São Paulo, Perspectiva, 1994, p. 106. timi decenni dell’anteguerra avevano invaso l’Europa in tutti i campi: e nell’arte e nel costume avevano invero spazzato via una quantità di vecchi pregiudizi, di idee e gusti stantii e ingombranti […]. Per avanguardia s’intese l’affannosa ricerca di taluni mezzi o strumenti o particolari espressivi, e la focosa predicazione che gli scopritori ne fanno. Tutta l’opera loro […] erano una serie di esemplificazioni frammentarie, vistose esibizioni. […] Io sono nettamente per accettare il dopoguerra come tabula rasa. Invidiabile situazione di primavera.2 La disseminazione del futurismo, che in patria sarebbe stato delegata principalmente al suo fondatore Filippo Tommaso Marinetti e relegata nelle contraddittorie frontiere del fascismo, si espande per il mondo, provocando accesi dibattiti come nel caso del Brasile. Se non si vuole dar peso all’immagine simbolica di Oswald de Andrade che torna da Parigi nel 1912 con una copia sottobraccio del primo manifesto futurista, così come alle prime traduzioni dello stesso manifesto in Brasile, senza alcuna ripercussione significativa, è interessante allora ripercorrere l’esperienza della rivista Orpheu, in quanto tentativo di diffusione delle nuove istanze poetiche moderniste dal vecchio al nuovo continente. Il nome della pubblicazione vuole richiamare il mito orfico di Orfeo e Euridice, cioè, della discesa agli inferi, del legame, dell’intersezione tra vita e morte; e, quindi, attribuire alla poesia un carattere rivelatorio, di disgregazione e allo stesso tempo di ricomposizione sensoriale su un piano sintetico e intuitivo, come nei quadri di Robert Delaunay. Non a caso, l’arte di questo pittore, tra i protagonisti della stagione storica delle avanguardie parigine, fu chiamata “orfismo” da Guillaume Apollinaire nel suo libro I pittori cubisti. Mário de Sá-Carneiro, poeta portoghese morto suicida a Parigi nel 1916 e che sarà il vero animatore della rivista insieme a Fernando Pessoa, è infatti un ammiratore di Delaunay. L’esperienza di Orpheu si esaurisce in appena due numeri, seppur di grande peso specifico nella storiografia letteraria. Dietro non vi è una scuola, termine aborrito dagli stessi fondatori, ma un’aggregazione di spiriti uniti dall’idea di un rinnovamento culturale. L’idea di Orpheu nasce, esattamente, nel 1914, da un’iniziativa congiunta di un letterato portoghese, Luís de Montalvor, e Ronald de Carvalho, con l’intenzione di fondare una rivista luso-brasiliana. Come ipotizza Arnaldo Saraiva, i due, che figurano come direttori del primo numero, avrebbero concretizzato l’idea sulla spiaggia di Copacabana. All’inizio del 1915, poi, Montalvor presenta il progetto a Pessoa e Sá-Carneiro in quel di Lisbona. A marzo e giugno escono quindi i due numeri, il secondo sotto la direzione di Pessoa e Sá-Carneiro, definiti con una bella espressione da David Mourão-Ferreira il “Dedalo” e l’“Icaro” della poesia portoghese. Parlare di Orpheu permette di cominciare a chiari- re alcune questioni legate al futurismo e alla sua diffusione in Brasile, dal momento che, ancorché di impatto limitatissimo, l’importanza di questa rivista non può essere totalmente accantonata. Certo Lisbona era una sede più adeguata di Rio de Janeiro per la creazione di una nuova rivista in qualche modo di avanguardia, visto che poeti e artisti portoghesi – Sá-Carneiro soprattutto, ma anche altri, come Amadeo de Souza-Cardoso o Guilherme de Santa Rita – facevano la spola con Parigi, importando così dalla capitale francese le nuove istanze moderniste. La ville lumière è già percorsa dal cubismo e dal futurismo e da lì a poco avrebbe visto il diffondersi di dadaismo e surrealismo. I vari Max Jacob, Picasso, Georges Braque, Amedeo Modigliani, Jean Cocteau, André Breton, Louis Aragon, i fratelli de Chirico, oltre ai già citati Apollinaire e Delaunay, ne dividevano il palco con Filippo Tommaso Marinetti. E, a vari livelli, gli artisti lusitani entrano in contatto con questo mondo. Sá-Carneiro ne capta gli umori dal suo 2 Apud PETRONIO, Giuseppe, Racconto del Novecento letterario in Italia. 1890-1940, Milano, Mondadori (Oscar), 2000, pp. 186-187. 23 isolamento schivo, timido ed egocentrico, mentre Pessoa, come si sa, non si muove da Lisbona, confidando al suo universo eteronimico le ansie di spostamento fisico, mentale e intellettuale. Orpheu è considerato il fulcro del cosiddetto “primo modernismo” portoghese, poiché rinnova in senso più cosmopolita, aprendo alle avanguardie, il panorama culturale del paese. Tuttavia, è una esperienza sostanzialmente iconoclasta, che, pur presentando una nuova estetica, non rinnega il passato, anzi, l’impronta simbolista e decadente in alcune delle poesie pubblicate è evidente. In questa intersezione artistica, il futurismo si confronta con gli altri –ismi di ispirazione pessoana e, in parte, sacarneiriana: sensazionismo, paulismo, intersezionismo. Con particolare attenzione, di nuovo, alla figura e opera di Sá-Carneiro, paradigmatica nella misura in cui tramita trasversalmente in un’epoca di grandi trasformazioni, vivendo in modo dilacerante le traversie della modernità, è possibile percepire distopicamente il futurismo in un’ottica ambivalente di attrazione/repulsione. SáCarneiro, difatti, vuole esperire la poetica marinettiana in forma di blague e il frutto di questo tentativo si ha nelle due poesie “Manucure” e “Apoteose”, pubblicate sul secondo numero di Orpheu. Il suo avvicinamento al futurismo era stato vissuto, a quel che è dato di capire, in parte con curiosità nei confronti di un nuovo modulo espressivo sintetico e “sinestetico”, che poteva dar voce alla sua sen- sibilità onnivora e trasbordante, in parte con il distaccato pessimismo di un radicato simbolista un po’ eccentrico e blasé. D’altronde, la rinuncia, il sacrificio dei maestri simbolisti sembra essere costato anche a Marinetti, come egli stesso afferma nel 1917 nell’articolo Noi rinneghiamo i nostri maestri simbolisti ultimi amanti della luna: “Noi abbiamo sacrificato tutto al trionfo di questa concezione futurista della vita. Tanto, che oggi odiamo dopo averli immensamente amati, i nostri gloriosi padri intellettuali: i grandi geni simbolisti Edgar Poe, Baudelaire, Mallarmé e Verlaine”3. Di Marinetti SáCarneiro accetta la rivolta contro certo tradizionalismo, ma non condivide la postura positivistica, istrionica, distruttrice, ostentata, anticipando in quealche modo le reazioni di alcuni modernisti brasiliani: si pensi, ad esempio, ad un Mario de Andrade. Tornando ad Orpheu, mentre i collaboratori portoghesi, tra cui lo stesso Almada Negreiros, imboccano un cammino decisamente sperimentale, lo stesso non può dirsi dei poeti brasiliani che vi partecipano, ancora legati a modelli formali simbolisti o comunque più tradizionali. Sia Ronald de Carvalho che Eduardo Guimaraens, il primo pubblicando poesie come “A alma que passa”, “Lâmpada noturna”, “Torre ignota”, “Reflexos” e “O elogio dos repuxos”, il secondo “Sobre o cysne de Stéphane Mallarmé”, “Folhas mortas” e “Sob os teus olhos sem lágrimas”, si mantengono lontani da un’immaginario modernista o, più specificamente, “sensazionista”, il vero marchio della rivista accanto a quello futurista. Un “sentir tudo de todas as maneiras”, per recuperare i versi di Pessoa, vale a dire una poetica che moltiplicasse gli effetti sensoriali alla luce di una realtà sempre più compenetrata nel ritmo della velocità delle macchine. Insomma, pur se Orpheu si configura come esigenza di rinnovamento di un gruppo di autori portoghesi a contatto col futurismo, costituisce di fatto un’incursione, per quanto di scarsissimo impatto, anche nel panorama culturale brasiliano. Quello delle ripercussioni del futurismo in Brasile negli anni ‘10 è comunque un capitolo ancora aperto, a partire dalla prima traduzione integrale del manifesto di Almachio Diniz, pubblicata il 30 dicembre 1909 sul Jornal de Notícias di Salvador. Quando, come e con quale rilevanza vi entrò in circolazione il concetto di futurismo è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori; ma appare chiaro che esso originò una serie di equivoci e di interpretazioni decontestualizzate, e che fu inteso più per la sua valenza innovatrice in termini di temi e immagini, riferibili ad una società in forte trasformazione tecnologica, che per la sua pretesa rivoluzione formale se non addirittura culturale. Ad ogni modo, all’inizio degli anni ‘20, l’espressione “futurista” circola già con frequenza fra artisti come Brecheret, Guilherme de Almeida e Menotti Del Picchia, il quale, durante la Settimana d’arte moderna del ‘22, dichiara in un’accumulazione tipica da manifesto: Queremos luz, ar, ventiladores, aeroplanos, reivindi- cações obreiras, idealismos, motores, chaminés de fábricas, sangue, velocidade, sonho em nossa arte. Que o rufo de um automóvel, nos trilhos de dois versos, espante da poesia o último deus homérico, que ficou anacronicamente a dormir e a sonhar, na era do jazz band e do cinema, com a flauta dos pastores da Arcádia e os seios divinos de Helena.4 Ma l’episodio marcante in ottica futurista, come noto, è costituito dalla polemica fra Oswald e Mario de Andrade, allorché il primo chiamò il secondo “meu poeta futurista” sulle pagine del Jornal do Comércio nel 1921, meritandosi una piccata replica contenuta nel “Prefácio interessantíssimo” di Paulicéia desvairada: Não sou futurista (de Marinetti). Disse e repito-o. Tenho pontos de contacto com o futurismo. [...] Escrever arte moderna não significa jamais para mim representar a vida atual no que tem de exterior: automóveis, cinema, asfalto. Se estas palavras freqüentam-me o livro não é porque pense com elas escrever moderno, mas porque sendo meu livro moderno, elas têm sua razão de ser. Pur non volendo entrare in un’analisi dettagliata, appare evidente che: primo, l’idea di futurismo, sebbene non univoca, è presente nell’ordine del giorno dei dibattiti culturali; secondo, Marinetti e il futurismo vengono in quest’epoca comunemente associati, tanto che Mario, in questa e in altre circostanze, s’impegna a d’Acciaio, tô! Uma banana é que eu traduzo.5 distinguerli l’uno dall’altro. In seguito, l’adesione di Marinetti, l’accademizzato Marinetti, al fascismo inficierà irrimediabilmente su un’obiettiva valutazione del movimento da lui fondato. Anche per questo, il suo primo viaggio in Brasile, nel 1926, suscita entusiasmo e imbarazzo allo stesso tempo, e la valutazione negativa dello stesso è veicolata principalmente dai modernisti e dalla stampa di San Paolo, nonostante la buona accoglienza in occasione del suo sbarco a Rio. Citando ancora Mario de Andrade, si legge in una sua lettera indirizzata a Prudente de Moraes Neto: Só estive com o tipo [Marinetti] duas vezes e me fez a mais idiota das impressões. Chato e chatíssimo, falando o tempo todo e o que é muito mais pior, dando a impressão do sujeito que fala de-cor, pudera, pois se desde 1909 vive repetindo a mesma coisa!... Não gostei não, falei-lhe as minhas verdades e ele não enfricou: continua me caceteando e agora quer que eu traduza para portuga L’Alcova Marinetti, nel frattempo, stilando una personale lista dei futuristi mondiali nel 1924, vi include un “De Andrade”, ma non è dato sapere se si riferisse a Mario o a Oswald. Comunque, se il primo viaggio di Marinetti in Brasile fu conturbato, che dire del suo primo viaggio in Portogallo, avvenuto solo nel 1932? La risposta la fornisce il futurista più convinto, Almada Negreiros, organizzatore nel 1917, dopo l’avventura di Orpheu, della rivista Portugal Futurista, che fu subito sequestrata dalle autorità. Dunque, così come si era iniziato, si può chiudere con le sue contundenti parole, efficaci più di qualsiasi commento: Exactamente vinte e três anos depois do movimento futurista, veio a Portugal o seu chefe e criador, F.T. Marinetti. Mais vale tarde do que nunca [...] O admirável criador do futurismo está naquela fase acadêmica e na respectiva idade que se prestam lindamente para ser manejadas pelos putrefactos e pelos arranjistas. O mais grave é que F.T. Marinetti não desconhece que Portugal é o único país latino, além da própria Itália, onde houve um movimento futurista. Pois da parte de Marinetti não houve uma única e simples saudação aos seus companheiros de Portugal. Lastimamos, nós os futuristas portugueses, que o grande cosmopolita Sr. Marinetti tenha por desgraça o grande e imparável defeito de não saber viajar, pelo menos em Portugal!6 Testo consultabile in vari libri e su internet. In KOIFMAN, Georgina (a cura di), Cartas de Mario de Andrade a Prudente de Moraes, Neto 1924/36, Rio de Janeiro, Editora Nova Fronteira, 1985, p. 195. 6 ALMADA NEGREIROS, Textos de intervenção, Vol. VI, s.l., Imprensa Nacional-Casa da Moeda, 1993. 4 5 3 24 Apud ASOR ROSA, Alberto, Novecento primo, secondo e terzo, Milano, Sansoni, 2004, p. 127. 25 Un “mondo nuovo”: il cinema secondo i futuristi e i modernisti Mariarosaria Fabris (Universidade de São Paulo) N egli anni a cavallo del XIX e del XX secolo, numerevoli invenzioni fecero la loro comparsa, si perfezionarono o si diffusero: nuovi mezzi di locomozione (mongolfiera, transatlantico, treno, automobile, motocicletta, tranvai, ascensore), nuovi apparecchi di trasmissione (radio, telegrafo, telefono), nuove tecniche di riproduzione di testi, immagini, suoni (macchina da scrivere, fotografia, cinematografo, fonografo, grammofono) e nuovi prodotti per i lavori domestici. Tutte queste innovazioni ben reclamizzate, insieme alla progressiva espansione dell’elettricità, rivoluzionarono il modo di vivere, modificando le abitudini quotidiane, il comportamento sociale e il modo di concepire il mondo, specie nelle città – scenario privilegiato della vita moderna. Le reazioni a queste novità oscillarono fra il rifiuto e l’entusiasmo, passando per un’ineluttabile accettazione e per la percezione che esse stavano trasformando profondamente la sensibilità dell’uomo contemporaneo e, conseguentemente, il suo rapporto con l’arte. Niente di meglio del cinematografo per captare la fugacità di questo nuovo modo di vivere che le ultime scoperte avevano velocitato. 26 Rivale del treno, dell’automobile, dell’aeroplano nella formazione di un nuovo sguardo da lanciare sul mondo, erede della fotografia, figlio dell’elettricità, fratello del giornale e del teatro di varietà (tutti in grado di unire realtà distanti fra di loro), il cinema sconvolgeva la nozione di tempo e di spazio. Somma di varie invenzioni, capace di imporsi alle altre forme di comunicazione di massa nella creazione e nella diffusione di modelli comportamentali diversi, il cinematografo fu considerato uno dei grandi simboli della società contemporanea per la simultaneità, per la velocità e per il nuovo ritmo che imprimeva alle arti e alla vita. Sebbene lo considerassero un linguaggio consono alle proposte fondamentali del loro movimento, i futuristi non si avvicinarono subito al cinema. Trascorsero ben più di sette anni fra il primo manifesto del Futurismo (febbraio 1909) e la manifestazione d’un interesse diretto per il cinema, che si concretizzò nel secondo semestre del 1916, nel film Vita futurista e in un primo testo programmatico, La cinematografia futurista, firmato da Filippo Tommaso Marinetti, Bruno Corra, Emilio Settimelli, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla e Remo Chiti. Le diverse manifestazioni artistiche del Futurismo però non sono da analizzarsi separatamente, dunque l’interesse del movimento italiano per il cinema può già essere rintracciato nei primi anni Dieci. Ad esempio, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), Marinetti sedotto dal gioco di scomposizione/ ricomposizione della realtà che la nuova arte rendeva possibile, la riteneva uno strumento a servizio della velocità della vita moderna e dell’alogicità, caratteristiche della vita futurista. Il cinema era esaltato anche ne Il teatro di varietà (1913), poiché, nell’offrire in un solo spettacolo visioni di luoghi geograficamente distanti fra di loro, scombussolava le coordinate spaziotemporali, in un flusso continuo di compenetrazioni. Il rilevamento di questi dati dimostra infatti che nella formulazione dei vari programmmi estetici, letterari, artistici e linguistici elaborati dai futuristi, il cinema assurge a simbolo della vita contemporanea. Molte delle situazioni e delle immagini incomuni (“lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino”), il tipo d’assemblaggio di materiali eterogenei, di scomposizione del tempo, dello spazio e del corpo del protagonista (“la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano”), elencati nel manifesto letterario del 1912, i futuristi li ricavarono dalle comiche dell’epoca. Il genere comico con quella sua caratteristica originale qual era il senso del ritmo – che gli permetteva di fare a meno delle didascalie – contribuì all’evoluzione della sintassi cinematografica. Anche se preceduto da altre esperienze cinematografiche che possono essere rapportate al Futurismo, Vita futurista fu considerato dal gruppo marinettiano, che prese parte alle sue riprese a Firenze nel mese di settembre, il primo rappresentante legittimo del movimento. Il film di Arnaldo Ginna finora risulta disperso, ma da fotogrammi superstiti e dal copione presunto, pubblicato dalla rivista L’Italia futurista (no 8, 15 ottobre), è possibile farsene un’idea. Attraverso una serie di scene, Vita futurista proponeva delle immagini tipiche del vivere futurista – “Come dorme il futurista” e “Come dorme il passatista”, “Cazzottatura interventista” ecc. – oppure presentava delle sequenze polemiche (tra cui “Caricatura dell’Amleto simbolo del passatismo pessimista” e “Perché Cecco Beppe non moriva”, quest’ultima soppressa dalla censura) o di creazione espressiva, come “Poesia ritmata di Remo Chiti”, “Ricerca retrospettiva di stati d’animo” e “Danza dello splendore geometrico”, in cui Ginna creava fusioni suggestive per mostrare il corpo di Giacomo Balla che si dissolveva grazie all’itinerario ritmico della danza la quale trasmetteva le sue vibrazioni all’ambiente in cui si svolgeva. Proiettato dal dicembre 1916 in poi, a Roma e a Firenze, il film scatenò violente reazioni del pubblico che bombardava lo schermo con sassi e oggetti vari. In ottobre era lanciato su volantino il manifesto La cinematografia futurista, in cui si rivendicava la libertà assoluta al nuovo mezzo di espressione affinché potesse giungere alla sua essenza originale. Niente di meglio del cinema, “sinfonia poliespressiva”, somma di tutte le arti, per “li- berare lo spettatore dalla sua immobilità e metterlo in movimento” (Marinetti) ed educare le future generazioni alla nuova sensibilità nata dalle analogie, dalla simultaneità, dalle compenetrazioni spaziotemporali. Nei suoi quattordici punti programmatici, il manifesto segnava la strada della nuova arte, non più teatro filmato ma espressione di un presente che voltava le spalle al passato e guardava in faccia l’avvenire. I punti programmatici de La cinematografia futurista furono ripresi nel 1938, nel manifesto La cinematografia, firmato da Marinetti e Ginna, nel quale si dava spazio alla sonorizzazione. Contrariamente agli altri testi futuristi il manifesto della cinematografia fu poco divulgato per cui le sue intenzioni programmatiche rimasero praticamente lettera morta. Nonostante prefigurasse il cinema d’avanguardia, la sua influenza non si fece sentire negli ambienti intellettuali di quegli anni. Sarà per altre vie che il Futurismo cinematografico eserciterà un’azione determinante sulle idee avanguardistiche, come dimostrano le presentazioni di Velocità a Parigi, Londra, Amsterdam, Stoccolma, Barcellona, Madrid, Berna, Praga e Buenos Aires, nei primi anni Trenta. Realizzato da Tina Cordero, Guido Martina e Pippo Oriani nel 1931, Velocità non solo portava sullo schermo le proposte teoriche sul cinema come presentava postulati già propagati dal Manifesto tecnico della letteratura futurista. Oltre al titolo, specie di anagramma della vita veloce in corrispondenza all’arte futurista, la velocità prendeva cor- 27 po in vari momenti del film quando erano messi a fuoco, ad esempio, tranvai in circolazione, un treno in corsa o un mulino ad acqua e ingranaggi di un motore che giravano vertiginosamente; tazze e ciotole in una specie di balletto orchestrato e pedine degli scacchi che si muovevano da sole sulla tastiera di un pianoforte; un burattino articolato di legno che si scomponeva e si ricomponeva mentre ballava; il movimento “a ritroso” dell’acqua di una cascata che saltava in sù invece di cadere oppure del liquido che da un bicchiere rimbalzava in una bottiglia. La giustapposizione o la sovrimpressione d’immagini favoriva quella rete di analogie tanto cara alla fase delle parole in libertà della letteratura futurista. Velocità traduceva in immagini il concetto di “cinema cinematografico”, creato dal fondatore del Futurismo e che Cordero, Martina e Oriani proporranno nel manifesto Marinetti e il film futurista, cioè “un filme sintetico, non teatrale, non psicologico, non narrattivo, senza intervento umano, capace di utilizzare il valore emotivo della luce e di 28 offrire sensazioni vive, immediate e dinamiche”. Anche in Brasile il cinema fu visto come un propagatore d’idee, in grado d’educare e di foggiare comportamenti consoni alla nuova mentalità. Fu salutato come “un mondo nuovo” da Mário de Andrade che gli diede la stessa im portanza delle manifestazioni artistiche che l’avevano preceduto e lo pose sotto la protezione della Musa Cinematica. Innalzato alla categoria d’arte, il cinema come manifestazione artistica era ancora in fasce, però, nel realizzare “la vita come nessun’altra arte” (così scriveva il de Andrade), era riuscito ad affermare la sua identità e a liberarsi dall’imitazione naturalista, mostrando alle consorelle la differenza tra il bello artistico e il bello naturale, come dirà Eduardo Escorel. Alla settima arte comunque veniva ancora assegnato un compito mimetico come si vedrà nelle cronache cinematografiche di Klaxon, lanciata il 15 maggio 1922 allo scopo di fornire una base teorica alla Settimana d’Arte Moderna. Nel manifesto di presentazione della rivista, vi sono diversi riferimenti al cinema, il che dimostra l’importanza attribuitagli dai modernisti nella costituzione di un’estetica contemporanea. Per i klaxisti, essendo il cinema in grado di stabilire un rapporto fra l’orizzonte tecnologico e la modernità, era anche capace di proporre nuovi modelli comportamentali e nuovi modi di percezione. Ciononostante oscillarono fra un cinema considerato arte pura (come le altre arti) e un cinema visto solo quale mezzo tecnico di registrazione (Escorel), cronaca, senza prendere in considerazione concetti di linguaggio cinematografico, che pur conoscevano, poiché la rivista pubblicò diversi articoli in cui la settima arte veniva analizzata nella sua specificità, cioè come movimento e simultaneità, dunque libera da vincoli con il teatro (le nozioni di drammaturgia e messinscena) o con la letteratura (le didascalie). Nell’articolo “Kine-Kosmos” (nº 1, 15 maggio), ad esempio, il cinema era esaltato poiché alterava concetti spaziali e temporali, lavorava di fantasia, favoriva l’affermazione della finzione sulla realtà, permetteva all’azione di trionfare sulla parola. In altre cronache (nº 6, 15 ottobre; nº 7, 30 novembre), in difesa di un cinema puramente visivo, si criticava l‘eccesso di didascalie che interrompevano bruscamente l’azione e ostacolavano la fruizione estetica. La conoscenza della specificità filmica da parte dei klaxisti è confermata dall’analisi di questioni letterarie fatta alla luce di procedimenti cinematografici, come nelle recensioni di Os condenados (1922) di Oswald de Andrade, in cui si segnalava tra l’altro che il suo realismo era realizzato “con simultaneità, cinematicamente, nel far sì che cose e fatti si riflettessero tutt’insieme in un unico piano, come ad esentarli da ciò che si potrebbe chiamare una prospettiva intellettuale” (nº 5, 15 settembre; nº 6). Anche se questo romanzo aveva sostituito la diegesi per una rapida successione d’immagini, si era ancora lontani da esperienze come Memórias Sentimentais de João Miramar (1924) e Serafim Ponte Grande (1933) dello stesso Oswald de Andrade, o Pathé Baby (1926) di Alcântara Machado, oppure Macunaíma (1928) di Mário de Andrade. Come sottolinea Flora Süssekind, in queste opere, “incorporato lo stupore, si dialoga maliziosamente con le nuove tecniche e forme di percezione”, cioè, la prosa modernista cominciò a basarsi effetivamente su delle caratteristiche del linguaggio cinematografico: narratum non continuo, sintassi analogica, assemblaggio di frammenti, compenetrazioni, simultaneità. Caratteristiche che hanno permesso a JeanClaude Bernardet d’affermare che il “cinema dei modernisti si realizzò solo nella letteratura”. Oltre a queste cronache cinematografiche e letterarie, atte a dimostrare che anche la settima arte era degna d’una riflessione estetica, apparvero però su Klaxon degli articoli in cui questa riflessione fu contaminata da considerazioni di carattere naturalista. La recensione de Il monello (The kid, 1921), ad esempio, si basava su concetti tradizionali della critica letteraria – intreccio, concatenazione logica, unità d’azione, verosimiglianza –, in contrasto con quella preoccupazione più moderna di sottrarre l’immagine alle didascalie. In questo senso, ciò che traduce meglio la nozione di cinema dei klaxisti è l’esaltazione della visione umanista dell’arte, il cui paradigma nel campo cinematografico sarebbe per l’appunto Charles Chaplin sul quale si affermava: “Il bastone di Charlot è la bacchetta che regge la sinfonia moderna” oppure “Charlie è il maestro del XX secolo” (nº 1; nº 3, 15 luglio; nº 8–9, dicembre 1922–gennaio 1923). Questa visione umanista dell’arte diede modo ai modernisti d’inserire la novità nel perenne (“sotto nuove sembianze le anime sono eterne”), distinguire ciò che era nuovo da ciò che era attuale. Nel manifesto di presentazione della rivista, questa distinzione era già evidente: “klaxon sa che il progresso esiste. Por questo motivo, senza rinnegare il passato, avanza, sempre e poi sempre”. Presente nei testi “A escrava que não é Isaura” e “Prefácio interessantíssimo”, anteriori alla rivista modernista, questa concezione ci consente d’affermare che per Mário de Andrade la modernità si configurava in termini assai più circoscritti di quelli del Futurismo e delle altre avanguardie europee: un’affermazione del presente, di sicuro, ma senza rinnegare il passato. La nozione di modernità difesa dagli articolisti di Klaxon si riverberò sulla loro visione di cinema, spesso basata su criteri di logica e verosimiglianza piuttosto che essere dettata dallo specifico filmico, dunque ci troviamo d’accordo con Cecília de Lara quando afferma che le critiche della rivista “riflettono la visione d’uno spettatore comune”. Infatti, i klaxisti finirono col privilegiare il senso comune, nell’ancorare il cinema a una visione umanista, specchio della loro concezione d’arte moderna, non sempre perfettamente consona alle avanguardie europee. 29 30 uno che per anni si è fatto largo a forza di gomiti, di raccomandazioni e delle solite calunnie convinto che, non appena fosse stato vacante il posto, lui sarebbe stato certamente nominato direttore generale. Ma ha avuto un collasso nervoso quando invece il proprietario ha scelto un manager più giovane suggeritogli da una nota società di consulenza. L’errore è sempre lo stesso, pensare che l’ostacolo sia rappresentato da una persona, da un rivale, senza domandarti se l’altro ti vuole, se sei all’altezza, se meriti il posto a cui ambisci. Nei concorsi universi tari molti perdono molto più tempo in intrighi e acrobazie per ingraziarsi i potenziali commissari, che a studiare, a fare ricerche di valore, o scrivere opere importanti che vengono apprezzate da tutti. Ma il caso più famoso della storia è quello dei congiurati che hanno assassinato Cesare. Erano tutte persone di grande ingegno. Pensiamo che oltre a Bruto e Cassio, fra loro c’era addirittura Cicerone. Erano ossessionati da Cesare, non pensavano altro che a farlo sparire. Ma non avevano la benché minima idea di che cosa avrebbero fatto dopo. Morto Cesare, mentre il popolo angosciato urlava nelle strade, sono stati presi dal panico e sono scap pati sul Campidoglio! E Antonio ha preso il potere. Cruciverba N el film di Pupi Avati «Il papà di Giovanna » una ragazza, Giovanna, si innamora del fidanzato di una sua amica. Per averlo uccide l’amica convinta che il giovane sarebbe corso nelle sue braccia. Naturalmente il ragazzo resta inorridito e lei viene ricoverata in una clinica psichiatrica. È un episodio di follia, però nella vita quotidiana ho più volte osservato delle persone che si comportano un po’ come Giovanna. Quando incontrano un ostacolo che si frappone fra loro e il loro oggetto del desiderio pensano in modo semplicistico che, togliendolo di mezzo, automaticamente otterranno ciò che vogliono. Ricordo il caso di una donna che da tempo era innamorata del suo professore, che però aveva assunto una nuova assistente più giovane. È incredibile quello che ha fatto per screditarla: calunnie, insi nuazioni, lettere anonime al fidanzato. Alla fine ce l’ha fatta: la ragazza si è stancata e se ne è andata. Ma il professore non si è innamorato di lei. Dopo qualche tem po ha preso una nuova assistente giovane al posto della prima. Il fenomeno è molto diffuso anche nel campo professionale. Alcuni dirigenti sono letteralmente ossessionati da coloro che li precedono nella carriera. Ne ricordo Cruciverba SOLUZIONI Francesco Alberoni Non serve eliminare il rivale per meritare il suo posto Curiosità - Filatelia: è l’atività rivolta allo studio sistematico dei francobolli ed alla raccolta di questi in collezioni. La derivazione è dal greco “philos”= amante e “atéleia”= franchigia in quanto i francobolli consentono il trasporto in “franchigia” della posta. 31