La retribuzione delle ore di viaggio Parere professionale
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La retribuzione delle ore di viaggio Parere professionale
Parere professionale Parere del legale La retribuzione delle ore di viaggio Franco Tofacchi e Giuseppe Cucurachi Avvocati - Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo Ad oltre un anno e mezzo di distanza dall’emanazione del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (d’ora innanzi, il ‘‘decreto’’), rimangono ancora aperte diverse questioni relative, tra l’altro, alla possibilità di qualificare come orario di lavoro (ed al conseguente obbligo di retribuire) il tempo dedicato dal lavoratore all’espletamento di attività che non costituiscono, nella generalità dei casi, l’oggetto specifico della prestazione dedotta nel contratto di lavoro. Si tratta, per la verità, di questioni in buona parte ereditate, o comunque già emerse nel dibattito giurisprudenziale sviluppatosi nella vigenza del R.D.L. n. 692/1923, e che la riforma del 2003 non ha sicuramente superato. Tra tali questioni, particolarmente delicata appare quella relativa alla retribuzione delle ore impiegate dal lavoratore per effettuare degli spostamenti che si rendano a vario titolo necessari per l’esecuzione del contratto di lavoro. Quando le ore di viaggio non devono essere retribuite L’ art. 1, c. 2, lettera a) del decreto definisce l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Tale definizione, com’è noto, ha ampliato la nozione di orario di lavoro contenuta nel R.D.L. n. 692/1923 estendendola, oltre che al tempo di lavoro effettivo, anche a quello in cui il lavoratore è disponibile e presente sul luogo in cui deve rendere la prestazione lavorativa, pur non essendogli richiesta un’applicazione assidua e continuativa. Qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro (e che esula dunque dal campo d’applicazione della norma precedente) è definito invece dall’art. 1, c. 2, lett. b) del decreto come periodo di riposo. Appartiene dunque a tale categoria ogni arco temporale in cui il lavoratore non sia a disposizione del datore di lavoro, non sia assoggettato al suo potere direttivo e di controllo ed abbia dunque la disponibilità del proprio tempo, per reintegrare le proprie energie e per approntarsi alla ripresa della prestazione lavorativa. Tra le attività preparatorie allo svolgimento della prestazione lavorativa, rispetto a cui il lavoratore dispone, nella generalità dei casi, di un certo margine di autonomia (scelta dei tempi di partenza, mezzo di trasporto, ubicazione della propria dimora) – ed in cui il lavoratore non dovrebbe essere dunque considerato a disposizione del datore di lavoro (cfr. Confindustria nota 2 luglio 2004) – rientra il viaggio, necessario al lavoratore per recarsi dalla propria abitazione al luogo in cui la prestazione lavorativa stessa deve essere resa. La normativa legale è infatti esplicita nell’escludere il tempo che il lavoratore impiega per recarsi al posto di lavoro dal computo dell’orario di lavoro e comunque dall’obbligo di retribuzione (art. 8, c. 3, decreto). Giova sottolineare che ‘‘posto di lavoro’’, secondo la giurisprudenza, non dovrebbe intendersi solo la sede abituale di lavoro, ma anche i diversi luoghi in cui il lavoratore si rechi più o meno occasionalmente a prestare la propria attività lavorativa. Ed infatti, secondo un orientamento ormai consolidato, «...il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria ... e non si somma quindi al normale orario di lavoro, cosı̀ da essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più che l’indennità di trasferta è in parte diretta a compensare il disagio psicofisico e materiale dato dalla faticosità degli spostamenti suindicati» (Cass. lav. n. 5359/2001, Corte d’App. Trento, sez. dist. Bolzano, 5 novembre 2003). Quando le ore di viaggio devono essere retribuite La trasferta con partenza dalla sede aziendale Si è detto che, di norma, il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la località dove effettuare la sua prestazione resta estraneo all’attività lavorativa vera e propria e non si somma quindi al normale orario di lavoro. Tuttavia, qualora il lavoratore sia obbligato a recarsi presso la sede aziendale all’inizio della propria giornata lavo- Guida alle Paghe 1/2005 51 Parere professionale Parere del legale rativa (per ricevere istruzioni o quant’altro), prima di essere di volta in volta inviato in diverse località per svolgere la sua prestazione lavorativa il datore di lavoro è tenuto a retribuire le ore di viaggio effettuate dal lavoratore stesso, dalla sede aziendale sino al luogo di lavoro stesso (Cass. lav. n. 5775/2003, in altri termini v. anche Cass. lav. n. 5701/2004). In tale ipotesi, infatti, il lavoratore pone, di fatto, le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro e si sottopone al suo potere direttivo, sin dal momento in cui giunge nella sede aziendale; è da tale momento, dunque, che deve essere computato il suo orario di lavoro. I casi in cui il viaggio è connaturato alla prestazione lavorativa Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, il principio in base al quale il tempo impiegato per raggiungere il luogo di effettuazione della prestazione resta estraneo all’attività lavorativa vera e propria e non si somma quindi al normale orario di lavoro (cosı̀ da essere qualificato come lavoro straordinario) trova un limite alla propria applicazione solo nell’ipotesi in cui il tempo di viaggio sia connaturato alla prestazione di lavoro, e cioè quando nel tempo del viaggio trovi esplicazione la prestazione lavorativa (come ad esempio nelle attività di trasporti) (Cass. lav. n. 8275/1997). La giurisprudenza ha fornito una nozione estremamente restrittiva di tale fattispecie. Si è escluso infatti che il viaggiare fosse connaturato alla prestazione di lavoro, ad esempio, nel caso di un lavoratore le cui mansioni consistano nella visita di una rete di officine concessionario situate in un’ampia rete di una zona geografica (Cass. lav. n. 5323/1996) o di un consulente aziendale, chiamato a recarsi quotidianamente presso i vari clienti della società (Cass. sez. lav. n. 8275/1997, cit.). A ben guardare, in base all’orientamento appena richiamato, parrebbe che il tempo di viaggio possa essere considerato come tempo di lavoro quando il viaggio sia non solo connaturato alla prestazione lavorativa, ma rientri specificamente tra le prestazioni dovute. Tale disciplina sarebbe dunque applicabile in un numero relativamente contenuto di categorie di lavoratori: alle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto (il cui orario di lavoro è peraltro disciplinato dalla Direttiva Ce 2002/15/Ce ed escluso dal campo d’applicazione del decreto), o ai piazzisti e commessi viaggiatori (per i quali il decreto esclude il rispetto del limite dell’orario normale di lavoro). Ulteriori casi in cui potrebbe configurarsi un obbligo di retribuzione delle ore di viaggio Si è detto che il tempo impiegato dal lavoratore per recarsi al luogo di esecuzione della prestazione lavorativa non rientra nel computo dell’orario di lavoro, posto che tale attività viene, nella generalità dei casi, effettuata nell’ambito di intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilità durante i quali lo stesso non è dunque assoggettato al potere direttivo del datore di lavoro. Non si può tuttavia escludere la possibilità di pervenire a conclusioni opposte, nell’ipotesi in cui i tempi degli spostamenti richiesti al prestatore di lavoro siano tali – per la loro durata, distribuzione temporale o quant’altro – da comportare una sostanziale indisponibilità dei periodi di riposo (come nel caso di trasferte in luoghi talmente distanti dall’abitazione del lavoratore, da richiedere un tempo di percorrenza pari a quello del riposo giornaliero). Ed infatti, ricorda la giurisprudenza, «...se la pausa non può essere definita come tempo a disposizione del lavoratore, non può più essere considerata tale, ma diviene un intervallo di lavoro meramente eventuale, sul quale il dipendente non può fare alcun affidamento per i propri fini personali di riposo, di svago, di soddisfacimento delle esigenze primarie, di ozio e comunque di ristoro delle proprie energie...» (Corte d’App. Genova, 27 novembre 2000). In tale ipotesi, i tempi di non lavoro non potrebbero dunque più essere considerati come effettivi periodi di riposo, ma dovrebbero essere riqualificati e retribuiti come orario di lavoro. La disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva È stato sin qui fornito un breve quadro del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi in materia di retribuzione delle ore di viaggio; giurisprudenza questa, come si è già ricordato, riferita alla normativa di cui al R.D.L. n. 692/1923, ma che dovrebbe riproporsi in termini analoghi sotto l’attuale normativa. Per concludere, non si può fare a meno di ricordare che tale impianto normativo è spesso derogato dalla contrattazione collettiva di categoria, che ha introdotto discipline specifiche, talvolta molto divergenti tra loro. L’art. 36 del Ccnl Commercio dispone, ad esempio, che qualora il lavoratore sia comandato per lavoro fuori dalla sede del servizio, l’orario di lavoro avrà inizio sul posto indicatogli. In tale ipotesi è dunque esclusa a priori la retribuibilità Guida alle Paghe 52 1/2005 Parere professionale Parere del legale delle ore di viaggio, quantomeno quello ‘‘di andata’’. Quanto al rientro, lo stesso articolo precisa tuttavia che ove gli venga richiesto di rientrare in sede alla fine della normale giornata lavorativa, il lavoro cesserà tanto tempo prima della fine del normale orario di lavoro, quanto è strettamente necessario al lavoratore – in rapporto alla distanza ed al mezzo di locomozione – per raggiungere la sede. Analogamente, l’art. 25 del Ccnl Chimica industria del 12 febbraio 2002 esclude il diritto ad uno specifico compenso per il lavoratore inviato in trasferta, in relazione ad eventuali anticipazioni e impreviste protrazioni di orario richieste dalla trasferta. Il diritto ad una remunerazione per il lavoro straordinario prestato è invece ammesso dalla clausola in esame, solo nel caso in cui siano richieste al lavoratore, che non abbia funzioni di vendita, prestazioni di lavoro effettivo oltre la durata dell’orario normale giornaliero. Per contro, uno specifico trattamento per il tempo di viaggio per il personale operaio inviato in trasferta è previsto, dall’art. 27 Disc. sp. sez. prima del Ccnl Metalmeccanica privata, in sostituzione delle indennità di trasferta, e dall’art. 9 del Ccnl Legno e Sughero del 21 dicembre 1999. In particolare: . il Ccnl Metalmeccanica prevede un compenso per il tempo di viaggio, preventivamente approvato dall’azien- da, in base ai mezzi di trasporto dalla stessa autorizzati per raggiungere la località di destinazione e viceversa, nelle seguenti misure: a) la corresponsione della normale retribuzione per tutto il tempo coincidente col normale orario giornaliero di lavoro in atto nello stabilimento o cantiere di origine; b) la corresponsione di un importo pari all’85% per le ore eccedenti il normale orario di lavoro di cui al punto a) con esclusione di qualsiasi maggiorazione ex art. 8 (lavoro straordinario, notturno e festivo); . il Ccnl Legno e Sughero riconosce agli operai inviati in trasferta: – al di fuori dei confini territoriali del comune in cui ha sede lo stabilimento a cui sono assegnati; – ad una distanza superiore a km 5 dallo stabilimento stesso; – che comunque non siano normalmente o in lunghi periodi dell’anno adibiti a compiere la loro opera fuori dello stabilimento, un’indennità pari al 50% della retribuzione per le ore di viaggio effettivamente compiute per recarsi sul luogo del lavoro, detratto il tempo che sarebbe stato necessario per accedere allo stabilimento; analogo trattamento è riservato all’operaio per il tempo impiegato nel viaggio di ritorno alla sua abitazione. 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