Principi e Dilemmi di Bioetica FORUM di BIOETICA NEWSLETTER

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Principi e Dilemmi di Bioetica FORUM di BIOETICA NEWSLETTER
FORUM di BIOETICA
NEWSLETTER n. 120
-n o v e m b r e – 2 0 1 4 -
Gli scopi del Forum sono: suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della
bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna
INDICE:
Principi e Dilemmi di Bioetica
Dolore corporeo e dolore spirituale conducono alla gioia del dono;
di Paolo Rossi
Il dolore corporeo
Fisiologia del dolore fisico
Risposte dell’organismo al dolore
Come si misura il dolore fisico
Il dolore globale, il controllo del dolore, significato filosofico, la malattia
Il dolore nella tradizione biblico – cristiana. La domanda di senso
Il dolore psichico
Il dolore spirituale esistenziale Le forme impure e meno nobili. Il quesito di
Epicuro. Non è sempre la sofferenza ad avere l’ultima parola
Il grande dono del matrimonio, sclerocardia
Il dolore spirituale come via dell’Amore. E notti oscure dell’anima
La gioia del dono
1
Dolore corporeo e dolore spirituale conducono alla gioia del dono
di Paolo Rossi
“L’atteggiamento fondamentale dei cattolici
che vogliono convertire il mondo è quello di amarlo.
Questo è il genio dell’apostolato: saper amare.
Ameremo il nostro tempo, la nostra civiltà, la nostra tecnica,
la nostra arte, il nostro sport, il nostro mondo.”
Paolo VI (1897 – 1978), 9 ottobre 1957
Il dolore corporeo
L’esistenza di tutti gli essere viventi dotati di sensibilità è costruita sulla
funzione protettiva del dolore fisico. Il dolore rappresenta il mezzo con cui
l'organismo segnala un danno tessutale. Secondo la definizione della IASP
(International Association for the Study of Pain - 1986) e dell'Organizzazione
mondiale della sanità, il dolore «è un’esperienza sensoriale ed emozionale
spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in
termini di danno».
Esso non può essere descritto veramente come un fenomeno sensoriale,
bensì deve essere visto come la composizione di:
•
una parte percettiva (la nocicezione) che costituisce la modalità
sensoriale che permette la ricezione ed il trasporto al sistema nervoso
centrale di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo
•
una parte esperienziale (quindi del tutto privata, la vera e propria
esperienza del dolore) che è lo stato psichico collegato alla percezione
di una sensazione spiacevole.
Il dolore è un sintomo vitale/esistenziale, un sistema di difesa, quando
rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tissutale, essenziale per
evitare un danno. 1 Diventa patologico quando si auto-mantiene, perdendo il
significato iniziale e diventando a sua volta una malattia (sindrome dolorosa)
Una stenografa canadese non ha mai avuto in vita sua un dolore fisico :
proprio come si nasce sordi o ciechi, lei è nata priva del senso di dolore. Ma
1
Mannion & Woolf, The Clinical Journal of Pain, 2000.
2
non è da invidiare, in quanto ha il corpo coperto di cicatrici e di lividi.
Poiché le manca l'avvertimento del pericolo dato dal dolore, ha sofferto varie
volte di scottature quasi mortali; il primo segno di quel che le stava
accadendo l'aveva dal puzzo di bruciato. È stata ricoverata ripetutamente
all'ospedale per infezioni che vengono di solito evitate, dato che il dolore ci
avverte della necessità di farci curare. Questa donna inoltre è priva dei riflessi
interni provocati dal dolore, che proteggono le persone normali.
Fisiologia del dolore fisico
Rappresentazione interna del dolore. La percezione del dolore comprende l’attivazione di
un sistema sensoriale (sistema della nocicezione) che è modulato da una
serie di fattori modificatori, che vanno dalla memoria di precedenti eventi
dolorosi alle influenze psicologiche, incluso lo stato di stress, l’alterazione
dell’umore, l’attesa del trattamento e la speranza di guarigione.
Il dolore è un’esperienza multidimensionale che accoppia alla nocicezione 2
aspetti emozionali e cognitivi. Da un lato il dolore può portare ad ansia e
depressione; d’altro canto, pazienti con ansia o depressione hanno una più
intensa percezione del dolore e sono più soggetti a sviluppare forme di dolore
cronico. Quindi, lo stato emotivo può influenzare in maniera molto robusta la
percezione del dolore. Il dolore può anche alterare le funzioni corticali e
interferire con le normali capacità di prendere decisioni; similmente, processi
cognitivi possono modulare la percezione del dolore.
Ci sono quindi complesse interazioni tra fenomeni conoscitivi, percezione del
dolore e aspetti emozionali. Una più precisa comprensione di queste
interazioni è essenziale per valutare e trattare appropriatamente il dolore.
Come per altre modalità, il dolore non è semplicemente un’esperienza
sensoriale, ma piuttosto il risultato di un’elaborazione svolta a un livello
superiore. In questo senso, il sistema nervoso centrale non rappresenta un
semplice ricevitore di impulsi nervosi afferenti, sensitivi o dolorifici, ma svolge
un ruolo cruciale di elaborazione di questi ingressi. La componente percettiva
del dolore (o componente neurologica) è costituita da un circuito a tre
neuroni che convoglia lo stimolo doloroso dalla periferia alla corteccia
cerebrale (mediante le vie spino-talamiche). La parte esperienziale del dolore
(o componente psichica), responsabile della valutazione critica dell'impulso
algogeno, riguarda la corteccia cerebrale e la formazione reticolare e
permette di discriminare l'intensità, la qualità e il punto di provenienza dello
stimolo nocivo; da queste strutture vengono modulate le risposte reattive.
L'esperienza del dolore è quindi determinata dalla dimensione affettiva e
cognitiva, dalle esperienze passate, dalla struttura psichica e da fattori socioculturali descritti nella figura 1
2
Il dolore fisiologico (o nocicettivo) è il risultato dell'attivazione di una particolare classe di recettori
periferici, i nocicettori. I nocicettori sono terminazioni nervose specializzate nel riconoscere stimoli in grado
di produrre potenzialmente o concretamente un danno tissutale. Questi stimoli sono tipicamente di natura
meccanica, chimica, termica. Chronic Pain Management, Russell K. Et al., eds. Informa Healthcare, 1994,
3
Figura 1: Le numerose componenti che influenzano il dolore
Risposte dell’organismo al dolore
Quando si è feriti o colpiti, l'organismo reagisce in vari modi all'allarme dato
dal dolore. Il sangue, che in condizioni normali circola nei vasi cutanei e in
quelli degli organi addominali, viene dirottato verso il cervello, i polmoni, i
muscoli; il cuore affretta i battiti e fa aumentare la pressione sanguigna: sono
tutti preparativi per intervenire contro la fonte del dolore. Il fegato secerne
nella circolazione sanguigna lo zucchero che tiene accumulato, e il sangue
porta rapidamente questo alimento energetico ai muscoli. Se la ferita è in
prossimità della testa, è probabile che fluiscano lacrime e che coli il naso : è il
metodo con cui l'organismo lava via le sostanze dannose. Nel sangue
avvengono mutamenti chimici atto a farlo coagulare più rapidamente, in
modo da diminuire le perdite per emorragia.
Se il dolore proviene da una fonte interna, la serie di reazioni protettive può
essere del tutto diversa. La pressione sanguigna può abbassarsi, possono
sopravvenire la nausea e altri sintomi spiacevoli che inducono a stendersi e a
rannicchiarsi su sé stessi, posizione ottima per riaversi.
Il dolore è un senso, come la vista, il gusto e l'olfatto. Le terminazioni
nervose sensibili al dolore sono distribuite un pò dappertutto nella pelle e
negli organi, e quando queste terminazioni nervose vengono stimolate, si
sente il dolore. È stato dimostrato che l'intensità del dolore non dipende dalla
quantità di tessuto che viene offeso, bensì dall'intensità dell'offesa. Così, se si
immerge il corpo per sei ore in acqua riscaldata a 44 gradi centigradi, si sente
un dolore molto leggero; tuttavia, quando si esce dal bagno, la pelle è
completamente cotta. Inversamente, un pezzo di ferro scaldato al calor
bianco che tocchi la pelle per una frazione di secondo può provocare una
scottatura tanto leggera da non lasciare quasi traccia, ma causa un dolore
fortissimo.
4
Come si misura il dolore fisico
Fino ad oggi l'unico metodo clinicamente accettato per misurare il dolore e
altri stati percettivi ed emotivi è stato quello di chiederlo al soggetto. Anche i
metodi più rigorosi di valutazione del dolore non possono prescindere dalla
percezione soggettiva del paziente, e si basano, per esempio, su scale con un
punteggio che va da 1 a 10 e su altri parametri descrittivi, cioè una misura
solo qualitativa, poco precisa e non quantificabile.
Molto recente è la scoperta che il dolore fisico attiva invece uno schema di
attività cerebrale specifico, riconoscibile e che non cambia da persona a
persona. La scoperta di questa caratteristica "firma" offre per la prima volta
un metodo per valutare in modo oggettivo il grado di dolore percepito da una
persona e apre la strada a importanti applicazioni nella pratica clinica e nella
ricerca di nuovi approcci analgesici. Wager e colleghi 3 hanno analizzato 114
immagini di risonanza magnetica funzionale del cervello di soggetti a cui
venivano somministrati diversi livelli di calore, dal minimo di caldo percepibile
fino alla soglia del dolore, individuando schemi di attivazione di diverse aree
cerebrali indicativi di una sofferenza del soggetto: una “firma” caratteristica
del dolore che, sorprendentemente, non varia da individuo a individuo e che
ha dimostrato un'accuratezza compresa tra il 90 e il 100 per cento. Lo
schema di attivazione cerebrale, inoltre, sarebbe esclusivo del dolore fisico:
analizzando i dati disponibili su soggetti con una sofferenza psichica, per
esempio un lutto, Wager e colleghi hanno riscontrato che la "firma" era
assente.
Questo rilievo sperimentale è di estrema rilevanza perché costituisce in un
certo senso una base scientifica al fatto che il dolore spirituale, di cui ci
occuperemo più avanti, riguarda la mente e non le strutture anatomiche del
cervello.
Il dolore globale
Il dolore cronico, presente nelle malattie degenerative, nei malati di cancro
inoperabile e in certe malattie neurologiche, specie nelle fasi avanzate e
terminali di malattia, assume le caratteristiche del dolore GLOBALE, legato a
motivazioni fisiche, psicologiche, sociali ed emotive, come evidenziato nei
documenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e descritte nella
figura 2.
Tutte queste componenti sono importanti 4 e devono essere vagliate con cura
nell’assistenza di ogni soggetto perché è dimostrato che le richieste di una
morte eutanasica sono sempre legate alla disperazione, al senso di
abbandono e alla mancanza Questi malati, spesso, vedono ben controllati i
sintomi dolorosi legati alla malattia ma, nondimeno, presentano un alto grado
di stress, verso cui psicologi e counsellor sembrano impotenti a intervenire.di
amore.
3
Tor D. Wager et al., An fMRI-Based Neurologic Signature of Physical Pain. N Engl J Med 2013; 368:13881397
4
O’Brien T., Breivik H. The impact of chronic pain. European patient’s perspective over 12 months.
Scandinavian Journal of Pain. 2012;3:23-29 e Ministero della Salute
5
F ig. 2 Le com ponenti del dolore globale del paziente cronico
Talvolta, i malati possono dar voce ai loro sentimenti cercando di condividere
con chi li assiste con amore uno stato di disagio che non è fisico e, allo stesso
tempo, sembra andare oltre la sfera psicologica. Confermando la verità
dell’assioma che ogni paziente è un libro ancora non aperto da cui si impara
senza ombra di dubbio qualcosa di nuovo, non solo sulla sofferenza ma anche
sulla vita.
Il controllo del dolore, che fino a poco tempo era sinonimo di cura palliativa /
hospice ed ha assicurato quel beneficio e sollievo di gran lunga necessitato
dai malati di cancro, da qualche tempo ha superato questi ambiti per
focalizzarsi anche sulle malattie croniche. Il controllo del dolore è
indubitabilmente una cosa buona e da salutare come benvenuta, ma ci si
deve chiedere se sia possibile l’esistenza di una società in in cui il dolore è
messo sotto controllo o se questo la renda una società più sana.
Un possibile significato filosofico. Il controllo del dolore non significa semplicemente
una diminuzione del dolore associato a sofferenza in senso medico, ma tende
a condurre verso un modello mentale in cui il piacere lo si deve conseguire a
tutti i costi, ed a ogni prezzo.
Può condurre ad una filosofia individualistica con serie conseguenze per la
società che si vuol costruire. C’è da chiedersi se l’aumentato numero di suicidi
tra i giovani, non sia in qualche modo collegata al concetto di creare una
società libera dal dolore. L’attuale recessione economica che grava su tutta
l’Europa chiede dei sacrifici. Il rifiuto di ogni forma di dolore o di sacrificio, o il
fatto di aver ricevuto ogni cosa su un piatto senza averci versato sudore sta
rendendo le esigenze della presente recessione ancora più ardue perché
giovani e adulti non sono abituati al sacrificio.
L’atteggiamento odierno che sembra richiedere di non tener testa al dolore
6
ma anzi di controllarlo fino a sconfiggerlo, può confondere e dare vita a
domande importanti. Ci troviamo a chiederci: è possibile avere una
spiritualità priva di dolore? Dovremmo scegliere il non dolore contro il dolore?
Il dolore, credo, è la consapevolezza spiacevole che non tutto ciò che fa parte
del nostro mondo è ciò che avremmo pensato che fosse. Ne risulta che non
posso credere ad una spiritualità priva del dolore, ad un controllo su ogni
forma di dolore, o all’evitare questa o quella forma di dolore spirituale lungo il
corso di tutta la vita.
Ricordo che il dolore non è sempre negativo e, infatti, può offrirci impreviste
opportunità di crescita. “La malattia può avere il ruolo proprio del profeta che
è quello di risvegliare il sognatore dal suo sonno”.
è uno scontro con la limitazione umana, ci fa ricordare in maniera
aspra e senza compromessi la realtà della finitezza umana e il vuoto della
ricerca di un paradiso terreno. La malattia obbliga la persona a fare i conti
con la realtà dell’umana condizione.
La malattia
Dobbiamo avere chiaro in mente che la buona salute non è soltanto l’assenza
della malattia ma piuttosto uno stato di benessere fisico, sociale, mentale e
spirituale. Un dolore diagnosticato di natura fisica non ha un effetto solo sul
corpo, ma invaderà ogni altra dimensione del nostro essere, dal momento che
non si può stabilire dei compartimenti stagni nel nostro essere ed isolarli dal
resto. Ogni elemento è una parte senza la quale non vi è il tutto, né quella
parte può funzionare senza le altre.
È utile tenere davanti agli occhi la distinzione tra “malattia” (disease) e “lo
star male” (illness).
Malattia potrebbe essere definito come il disordine strutturale di un organo o
tessuto da cui deriva cattiva salute; mentre con lo star male intendiamo
l’esperienza soggettiva di questa cattiva salute, la sua esperienza nel
disordine strutturale. La stessa malattia in diversi soggetti può significare un
diverso star male, dolore e sofferenza. Per questo, trovando un diverso
paziente nello stesso letto, nello stesso reparto, con la stessa età e sesso, e
persino lo stesso numero di figli, e con la medesima diagnosi di colui che
occupava quel letto la settimana precedente, non si può pretendere di
trattarlo nello stesso modo poiché si può essere sicuri che l’effetto della
malattia su di lui non sarà lo stesso. 5.
Il dolore è attivato non solo dalla malattia ma anche dalla interruzione del
normale funzionamento del corpo, dell’intelletto, delle emozioni e dello
spirito. Se hai il mal di denti è difficile capire che succede attorno a te, o se
sei coinvolto nella triste conclusione di una relazione è difficile concentrarti
sul lavoro. Il dolore che accompagna il mal di denti ha un effetto importante
sulla capacità di pensare in maniera chiara e oggettiva e non soltanto sul
dente.
È importante ricordare che, benché cerchiamo di nascondere e mascherare i
vari dolori, è quasi impossibile farlo poiché il dolore farà di tutto per farsi
vedere. “Dio sussurra a noi nei nostri piaceri, ci parla nella coscienza ma urla
5
C. S. Lewis, nella sua opera The Problem of Pain (Il problema del dolore) uscito nel 1940, si interroga
sulla costanza della sofferenza nella vita umana. Essendo parte della nostra condizione, Lewis teorizza sulla
necessità del dolore come parte essenziale della nostra vita, come molla che mette in moto vari
meccanismi e che accelera la capacità decisionale e la nostra volontà di scelta.
7
nel dolore. È il Suo megafono per risvegliare un mondo sordo””
Elisabeth Kubler-Ross aprì un mondo del tutto nuovo alla medicina nel 1969
con il suo best seller “La morte ed il morire” 6 in cui rese famose le cinque
parole Negazione, Rabbia, Patteggiamento, Depressione e Accettazione, usate
nel contesto della morte. Trattò della morte, fino ad allora vista come un tabù
nella società in genere e nel campo medico in particolare, con calore e
gentilezza e, facendo ciò, aprì la strada a una rinnovata dimensione del
dolore e della sua cura. Il fatto che lei, un medico, dedicasse tanto tempo al
dolore emotivo e spirituale, sotto forma di paura e di stress, fu molto
significativo. Si può dire che lei è stata capace di permettere all’intera società
di parlare della morte e dei suoi veri effetti sulla persona e sulla sua famiglia.
Quello che lei ha contribuito a iniziare continua a essere ulteriormente
sviluppato oggigiorno.
Il dolore nella tradizione biblico – cristiana
La domanda di senso. Le scienze sanitarie, umanistiche e tecnologiche parlano di
sofferenza e dolore con categorie mentali che mirano ad illuminare i vari
aspetti di questa realtà, esse tuttavia ne parlano oggettivamente e in modo
speculativo. Quando il dolore diventa esperienza della persona, le scienze non
sono più in grado di esprimere tutta la realtà e allora il dolore diventa
“mistero”.
Mistero non è una realtà che non si comprende ma è realtà che ci
comprende; essa è umana e al tempo stesso trascendente, è esperienza dura
e terribile, ma anche ricca di provocazioni e sfide. Quando la persona fa
l’esperienza del dolore nella propria vita, sperimenta una rottura, un disastro,
un fallimento; il mondo crolla, i progetti sono infranti, tutte le realtà si
vedono con occhi diversi; nulla è più come prima, tutto sembra così vano ed
inutile, senza senso; la sensazione del vuoto e del nulla abbraccia tutte le
cose. 7
Sorge allora la domanda di senso: perché? Perché è accaduto questo, perché
a me? Di chi è la colpa? E’ il destino, la sfortuna? Forse Dio ha voluto punirmi,
oppure Dio non esiste?
La tradizione biblico-cristiana ha elaborato alcuni schemi interpretativi del
dolore per rispondere alla domanda di senso: 8
•
1° schema: la giustizia retributiva: alla colpa o peccato corrisponde un
castigo. Il Dio, giudice e giusto, punisce autorevolmente. Se l’uomo
soffre è perché ha peccato (Gb 4,1-21); è quanto affermano i tre amici di
Giobbe nell’interpretare la sventura dell’amico. “Nell’opinione espressa
dagli amici di Giobbe, si manifesta una convinzione che si trova anche nella
coscienza morale dell’umanità: l’ordine morale oggettivo richiede una pena
per la trasgressione, per il peccato e per il reato. La sofferenza appare, da
questo punto di vista, come ‘un male giustificato’” (Salvifici Doloris n. 10).
Tuttavia Giobbe rifiuta tale affermazione perché sa di essere innocente.
Giovanni Paolo II afferma in proposito: “Non è vero che ogni sofferenza è
conseguenza della colpa, né che ha carattere di punizione” (Salvifici Doloris
6
Elisabeth Kübler-Ross, On death and dying, Macmillan, 1969.. Trad. it.: La morte e il morire, Assisi,
Cittadella, 1976. 13ª ed.: 2005.
7
san Giovanni Paolo II: Salvifici Doloris, lettera Apostolica sul senso cristiano della sofferenza
umana 11 febbraio 1984.
8
Cinà G., Sofferenza approccio teologico Camilliane, Cuneo 1997, pp. 1186-1187
8
. Tuttavia nella ricerca di un senso alla sofferenza sono frequenti
gli interrogativi: che male ho fatto? Perché a me?.
n.11)
•
2° schema: la responsabilità umana: è una interpretazione già presente in Gn
2-3; 4; 11. “Molti mali presenti nel mondo e nella storia provengono dai nostri
errori, dai nostri egoismi, ambizioni, presunzioni, ambiguità, inadempienze,
indolenze” (Cinà G.) . Le proporzioni del male e del dolore, tuttavia, sono
ben più vaste di quelle attribuibili alle responsabilità umane.
•
3° schema: della prova e purificazione: è la soluzione che il giovane Eliu
applica a Giobbe. La sofferenza purifica l’uomo dal suo limite e ne fa
splendere tutto il suo valore. Talvolta la sofferenza e la malattia
possono essere invece causa di regressione della persona dal punto di
vista umano, e di allontanamento dalla fede dal punto di vista
spirituale.
•
4° schema: il dolore come elemento educativo: Il termine “educare” dal latino
“educere” significa: “cavar fuori”, far emergere delle possibilità che
altrimenti rimarrebbero inermi. È certo che la sofferenza ha una
funzione educatrice e formatrice (Salvifici Doloris n.12) , essa infatti aiuta a
vedere le cose nel giusto senso, relativizza tante realtà, aiuta a
discernere le cose importanti da quelle che non lo sono, rende più
comprensivi, più umili, più umani. Tuttavia questa è una riflessione
teorica, in pratica la funzione educatrice della sofferenza implica un
equilibrio della persona, una capacità di affrontare la sfida del dolore
con dei principi solidi. L’insufficienza di questa prospettiva è evidente
(Salvifici Doloris n.13) , basti pensare alle tante sofferenze dovute a
terremoti, epidemie e simili che non assumono certamente una
funzione educatrice.
•
5° schema: nel dolore c’è un germe di bene: È la proposta offerta da Isaia nei “
Carmi del servo di Jahvè” (Is 52,13-53,12). In questo testo il concetto è più
elevato rispetto agli schemi precedenti: attraverso la sofferenza del
servo, giunge ad altri la salvezza. In quell’uomo innocente, colpito dal
dolore, “percosso e umiliato da Dio” si nasconde una forza liberatrice,,
misteriosa ma effettiva (Salvifici. Doloris n.18,1) .
Il dolore psichico
Il dolore è un’esperienza universale, al tempo stesso sensoriale ed emotiva,
in perenne e complessa interazione tra il corporeo e lo psichico. Nonostante il
dolore psichico sia riconducibile a uno stato affettivo, mentre il dolore fisico lo
è a una esperienza sensoriale, è molto difficile – e a volte impossibile –
separare nettamente i due tipi di dolore. Il dolore fisico può creare condizioni
di dolore psichico e viceversa. È esperienza largamente condivisa come anche
al più raffinato tormento dell’animo si accompagnino manifestazioni concrete,
per es., le lacrime, lo spasmo allo stomaco, l’accelerazione dei battiti cardiaci.
Così come una sensazione proveniente dal corpo può sollecitare fantasie e
pensieri carichi di inquietudini e minacce.
Depressione e dolore sono fenomeni strettamente intrecciati, sia sul piano
soggettivo che dei mediatori biologici 9. L’interazione depressione-dolore è
uno dei fenomeni più significativi a ponte tra psichiatria e medicina, ancora
9
I mediatori biologici sono delle sostanze scoperte nel cervello che agiscono da neuro-trasmettitori;
l’aumento o la diminuzione di molti di essi provocano ansia o depressione o benessere ed euforia
9
forse sottovalutata e non debitamente riconosciuta per l’impatto che ha, sia
sulla sofferenza di milioni di persone sia sul piano dei costi assistenziali. Solo
di recente, ad esempio, linee guida di diverse autorità hanno riconosciuto
l’importanza della valutazione e trattamento della depressione nelle patologie
dolorose e negli esiti a lungo termine in alcune condizioni mediche e postchirurgiche. L’interazione tra dolore e depressione è inoltre bidirezionale.
Decine di studi hanno mostrato che la sofferenza dolorosa in diverse
condizioni mediche è una causa importante di depressione conseguente. Al
tempo stesso, la depressione contribuisce a peggiorare la sofferenza da
condizioni dolorose,
“aumentando”
le
sensazioni dolorose
fisiche,
probabilmente abbassando la soglia per il dolore e amplificandone la
sofferenza sul piano del vissuto. I meccanismi di neurochimica del dolore
mostrano in effetti uno stretto rapporto a livello dei “mediatori” tra umore e
dolore, sia a livello del sistema nervoso centrale (SNC) che della periferia. 10.
Il dolore spirituale esistenziale
Ne esistono di molte tipologie legate alle caratteristiche individuali. Lo si
distingue da tutti i dolori precedentemente descritti perché concerne la sfera
esistenziale della persona e la mente.
Le forme impure e meno nobili sono quelle più comuni, che potremmo definire di tipo
negativo, sono autoprodotte e dipendono da fattori intrinseci allo stato
mentale “ego-centrato”, ovvero da basiche “afflizioni narcisistiche della mente”,
inconsapevole delle proprie potenzialità e della propria natura spirituale. È
questa ontologica 11 inconsapevolezza la causa dello sviluppo di fattori non
etici e di veleni che abitano il pensiero, da cui derivano comportamenti
erronei e separativi.
Il dolore spirituale nasce proprio dalla difficoltà di trovare un significato alla
propria vita, al dolore, alla morte stessa. L’esperienza del dolore spirituale è
data anche dal sentire lontano, indifferente o nemico Dio stesso. «Ognuno ha
bisogno di una ragione per vivere e una ragione per morire; chi sta morendo cerca
spesso un orizzonte di significati più ampi ed ha bisogno di sentirsi parte di una
comunità che li condivide» 12
Il quesito di Epicuro: «Se Dio vuol togliere il male e non può, allora è impotente. Se può
e non vuole, allora è ostile nei nostri confronti. Se vuole e può, perché allora esiste il
male e non viene eliminato da lui?»
La risposta al quesito di Epicuro (e riportato da Lattanzio nel De ira Dei) l’ha
data Danilo Giacometti senza neppure aprir bocca. Con un tuffo nelle acque
dell’Adigetto il pensionato settantatreenne s’è portato appresso il nipote
Davide, cinque anni appena. Il bambino soffriva sin dalla nascita della
sindrome di Angelman, malattia genetica che causa ritardo mentale, difficoltà
di movimento e di linguaggio. Un loro parente, passando per caso sull’argine,
li ha trovati che erano già morti. Abbracciati stretti l’uno all’altro, nonno e
nipote, a simboleggiare quello che per molti è stato un disperato gesto
d’amore, ispirato probabilmente dal tentativo di scacciare così lo spettro della
10
Biondi M, Pancheri P .Lo stress : psiconeurobiologia e aspetti clinici in psichiatria, in Pancheri P e
Cassano GB (coordinatori) Trattato Italiano di Psichiatria, Masson, Milano, 1999
11
L’ontologia è, lo studio dell'essere come insieme degli enti, limitatamente a ciò che sembra esistere in
concreto
12
L. Sandrin, Convivere con la morte, in Malati in fase terminale, Piemme, Casa Monferrato (AL) 1997,
p.59
10
sofferenza.
Roccia dell’ateismo?:: col dolore l’uomo ha sempre cercato di regolare i conti,
senza mai riuscirvi. Definito da George Buchner, «la roccia dell’ateismo» 13.
Per millenni l’umanità ha provato a spianare questa roccia, con risultati
modesti sotto il profilo meramente razionale. Anzi, proprio attorno a questi
dilemmi s’è consumata la sconfitta della ragione, che Albert Camus
sintetizzava affermando: «C’è un solo problema importante per la filosofia, il
suicidio. Decidere cioè se metta conto di vivere o no».
Insomma, nel tormento dell’impotenza di ricondurre anche il soffrire sotto il
dominio del raziocinio, l’unico spiraglio liberatore sembra essere la morte.
Ma non è sempre la sofferenza ad avere l’ultima parola. Che le cose non stiano così lo
ha testimoniato non un teologo, ma un uomo che la sofferenza l’ha
sperimentata sulla propria pelle. Alex Zanardi, l’ex campione di Formula 1
rimasto senza gambe dopo un terribile incidente e rinato a nuova vita da
atleta para-olimpico, capace di inanellare record su record, l’ultimo alle
Hawaii nella disciplina del triathlon. “Iron Man”, come ormai lo chiamano i
media, ha dato prova che la speranza e la perseveranza non hanno limiti. Col
suo esempio di persona che non s’arrende di fronte alle difficoltà ha
dimostrato, senza bisogno di accedere ai trattati di teologia, che la realtà del
dolore non può essere razionalizzata, addomesticata attraverso facili teoremi,
ma va combattuta vivendo, tenendo sempre accesa la fiammella della
speranza e dell’impegno, anche quando tutto sembra non aver più senso ed il
buio pare prevalere sulla luce.
È, in altri termini, ciò che Gesù Cristo ci ricorda invitandoci a guardare la
Croce: il male e il dolore urlano con tutta la loro forza contro la mente, ma
l’unico umano rimedio, paradossalmente il più ragionevole, è nella fede nel
Dio fattosi carne e sceso in terra non per eliminare le umane fragilità, ma per
condurre l’uomo oltre la sofferenza e la morte.
Sovente invece l’egoismo si traveste d’amore, ingannando sensi e sentimenti.
Il grande dono del matrimonio
Tutto si potrà dire del matrimonio, ma non è un prestito, è un regalo,
chiederlo indietro vuol dire rubarsi uno all’altro. "L'avvenire dell'umanità
passa attraverso la famiglia"14 (Familiaris consortio, 86)
La felicità che l’uomo cerca nell’amore viene a lui nella persona che gli si
affida per sempre e che da sempre era da lui attesa. La persona è dono e il
dono non è dono per qualche tempo. Per qualche tempo uno compra oppure
presta oggetti. La persona non è oggetto. Essa non è né da comprare né da
prestare.
La persona appartiene all’altra persona cui si è data in dono, il che non
significa che sia diventata sua proprietà. La persona che dice a un’altra: “Sei
‘mia’!”, le dice di appartenerle, di identificarsi con lei così da vedere in lei la
verità della propria identità e della propria dignità, che non sono né da
vendere né da comprare.
13
Georg Büchner :La Morte di Danton, un dramma in quattro atti di, dal titolo originale di Dantons Tod,
scritto tra il gennaio e il febbraio 1835 ed è stato pubblicato nello stesso anno con il sottotitolo di
“Immagini drammatiche del Terrore in Francia”.
14
Giovanni Paolo II Esortazione Apostolica Familiaris Consortio 22/nov/1981
11
Appartenendo a un’altra persona, l’uomo scopre di essere obbligato a
comportarsi in un ben definito modo nei confronti di sé e degli altri. Grazie a
quest’esperienza dell’obbligo, l’uomo rinasce.
Colui che non appartiene ad alcun altro non ha luogo in cui rinascere. Non si
rende conto di essere naturus e invece di vivere secundum naturam, vive
secondo le leggi che gli sono dettate dalla sua e dall’altrui spensierata
volontà. La sua esperienza dell’uomo si riduce a vivere fatti casuali e non
invece la libertà e la moralità.
Quando allora parliamo dell’evento del grande dono che è il matrimonio, non
parliamo né del darsi in prestito dell’uomo alla donna e viceversa, né di un
qualcosa che avviene a caso. Il loro stesso incontro può, sì, essere un caso,
tuttavia il più grande dono che una persona possa fare a un’altra persona, e
che in esso avviene, lo trasfigura in una necessità. Il dono matrimoniale apre
all’uomo e alla donna la via sulla quale insieme conosceranno chi essi stessi
siano e insieme lo diverranno, a tal punto che una loro separazione
significherà sempre per ciascuno dei due rubare se stesso all’altro cui egli
appartiene e al tempo stesso distruggere la propria persona, cioè il proprio
essere dono.
L’amore per sempre e la felicità compongono l’unità di cui parla Gesù sul
monte delle Beatitudini (Mt 5, 3-12). Questa unità è difficile. Rappresenta la
realtà che si nasconde dietro l’espressione “per sempre” e che esige un lavoro
fedele e responsabile 15. Gli uomini che cercano l’amore e la felicità in modo
irresponsabile cadono nel caos delle parole effimere e degli altrettanto
effimeri atti.
L’ignorare l’amore “per sempre” di cui Cristo parla alla Samaritana come del
“dono di Dio” (Gv 4, 7-10) fa sì che i coniugi e le famiglie, e in essi le società,
smarriscano “la diritta via” e vadano errando “per una selva oscura” come
nell’Inferno di Dante 16 secondo le indicazioni di un cuore indurito (Mt 19, 8).
Gesù stesso, da medico esperto dell’anima, indica con precisione il nome
della malattia che fa fallire l’amore: si chiama, col termine greco
dell’originale, “sclerocardia”, cioè la sclerosi del cuore! “Per la durezza del vostro
cuore Mosè scrisse per voi questa norma”.
Che cosa è questa “durezza del cuore”? Quando la Bibbia parla di durezza di
cuore fa sempre riferimento a Dio; è quindi su questa strada che dobbiamo
ricercare le cause ultime del fallimento dell’amore, e poi i suoi rimedi. Ci sono
certamente cause più prossime: immaturità, irresponsabilità, condizionamenti
sociologici, mancanza d’educazione al dono, istintività eretta a principio,
gioco; ma oltre a tutto questo sta sempre una mancanza di fede e un rifiuto
di Dio a determinare il fallimento del matrimonio.
Questa durezza di cuore è non solo mancanza di buona volontà; è più
profondamente una vera e propria incapacità, insufficienza, nei confronti
dell’amore, e del bene in generale, perché la nostra umanità è nata ferita,
indebolita dal peccato, e il nostro cuore è preso dalla morsa dell’egoismo. 17
15
16
Giovanni Paolo II (papa, Wojtyla Karol): Amore e responsabilità Editore: Marietti 01/01/2000
Dante Alighieri, "Divina Commedia. Inferno", I, 2-3.
17
Papa Francesco omelia nella Messa alla Casa Santa Marta. 10/05/2013. Sulla scia dei dibattiti scaturiti
nell’ambito del recente Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha sottolineato quanto la famiglia venga
“colpita” ed “imbastardita” e quanto numerosi siano i matrimoni “rotti” e le famiglie “divise”. Lo stesso
12
Scrive san Paolo: “C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di
attuarlo” (Rm 7,18). C’è bisogno di un risanamento, di cambiare il cuore di
pietra in cuore di carne. È necessario far rifluire di nuovo quella capacità e
quella carica d’amore che è propria di Dio per poter vivere il nostro amore in
quella forma piena ed unica che è quella divina, essendo stati fatti a sua
immagine. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), anche e soprattutto in
questo settore dell’amore, di cui ci sentiamo tanto gelosi e autonomi.
Il rimedio è quello di reinserire il nostro amore nel quadro di Dio, di superare
tutte le “tentazioni” di “autosufficienza” e accogliere con umiltà e convinzione
l’amore di Dio. “In verità vi dico: Chi non accoglie il Regno di Dio come un
bambino, non entrerà in esso”. Il bambino sa di essere fragile e di dover
dipendere.
La vita, come l’amore, sono cose più grandi di noi: hanno una fonte che
precede il nostro capriccio; staccarsene significa inaridire la vita e la sua linfa
che è l’amore. La lezione ci viene già dalla prima coppia: Adamo ed Eva si
dividono, subito dopo che hanno rifiutato Dio. Non è allora un di più folklorico
o emotivo sposarsi in chiesa e vivere l’amore coniugale nella Chiesa. Se
l’uomo è impastato di divino, non può far più niente senza Dio. Fingere di
ignorarlo, si rischia la pelle! Una “misericordiosa” indulgenza, richiesta da
alcuni teologi, non è in grado di frenare l’avanzata della sclerosi dei cuori che
non ricordano come siano le cose “dal principio”.
L’assunto marxista secondo cui la filosofia dovrebbe cambiare il mondo
piuttosto che contemplarlo si è fatta strada nel pensiero di certi teologi sì che
questi, più o meno consapevolmente, invece di guardare l’uomo e il mondo
alla luce della Parola eterna del Dio vivente guardano questa Parola nella
prospettiva di effimere, sociologiche tendenze. Di conseguenza giustificano a
seconda dei casi gli atti dei “cuori duri” e parlano della misericordia di Dio così
come se si trattasse di tolleranza tinta di commiserazione.
In una teologia così fatta si avverte un disprezzo per l’uomo. Per questi
teologi l’uomo non è ancora abbastanza maturo da poter guardare con
coraggio alla luce della misericordia divina la verità del proprio diventare
amore, così come “dal principio” è questa stessa verità (Mt 19, 8). Non
conoscendo “il dono di Dio”,, essi adeguano la Parola Divina ai desideri dei
cuori sclerotici. È possibile che non si rendano conto di star proponendo
inconsciamente a Dio la praxis pastorale, da loro elaborata, come via che
potrà condur-Lo alla gente.
Il dolore spirituale come via dell’Amore
Nessun cuore umano è mai penetrato in una notte così oscura come il DioUomo nel Getsemani e sul Golgota. Nessuno spirito umano in ricerca può m'ai
penetrare nell'insondabile mistero del Dio Uomo morente, abbandonato da
Dio. Gesù però può fare provare alle anime elette qualche cosa di questa
“Sacramento del Matrimonio” è segnato dal “relativismo” e la “crisi della famiglia” è una realtà perché in
tanti “la bastonano da tutte le parti e la lasciano ferita”. Il matrimonio è quindi ridotto a un mero “rito” ed
il relativo sacramento a un “fatto sociale” che oscura “la cosa fondamentale che è l’unione con Dio”.
[…]“Quello che stanno proponendo non è un matrimonio, è una associazione”. Le convivenze sono le
“nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio”. Il cristiano
sia un testimone della vera gioia, quella che dà Gesù. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro.
È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.
13
estrema amarezza. Sono i suoi amici fedelissimi, ai quali chiede l'ultima prova
del loro amore. Se essi non indietreggiano, ma si lasciano trascinare avanti
volentieri, allora quest'amore diventerà per loro guida. [...].
L'anima proprio attraverso l'esperienza della propria nullità e della propria
impotenza, giunge alla notte oscura, alla vera autoconoscenza e
all'illuminazione dell'incommensurabile grandezza e santità di Dio; [..] se
vuole avere parte alla Sua vita, deve passare con Lui attraverso la morte di
Croce: come Lui crocifiggere la propria natura con una vita di mortificazione,
di auto-rinnegamento ed abbandonarsi alla crocifissione nella sofferenza e
nella morte, come Dio disporrà o consentirà. Quanto più perfetta sarà questa
crocifissione, attiva e passiva, tanto più profonda sarà l'unione con il
Crocifisso e tanto più ricca la partecipazione alla vita divina. 18
Le notti oscure dell’anima. Ci sono due livelli di purificazione. C'è la purificazione
dei sensi esteriori e interiori, che è una sorta di preliminare alla vita mistica in
pienezza. Essa è chiamata «notte oscura dei sensi» ed è la soglia ordinaria
attraverso la quale entriamo nella contemplazione mistica. C'è poi una notte
più profonda e terribile, la «notte oscura dello spirito», in cui si passa alla
perfetta unione con Dio. Il comportamento che l'anima deve tenere in questa
notte dei sensi è quello di non preoccuparsi affatto del ragionamento e della
meditazione, perché non è più il tempo per queste cose. Cerchi piuttosto di
restare nella pace e nella calma, anche se ha la sensazione netta di non fare
niente, di perdere tempo, e a motivo della sua tiepidezza non ha voglia di
pensare a nulla.
Sarà già molto se conserverà la pazienza e persevererà nell'orazione, pur non
facendo altro. L'unica cosa da fare è lasciare l'anima libera, sgombra e al
riparo da tutte le conoscenze e i pensieri, non preoccupandosi di cosa dovrà
pensare o meditare. Si limiterà soltanto a un'attenzione piena d'amore e di
pace in Dio, evitando ogni preoccupazione, desiderio ardente o semplice
voglia di gustarlo o di sentirlo. Tutte queste pretese, infatti, turbano e
distraggono l'anima dalla pacifica quiete e dal dolce riposo della
contemplazione che le viene concesso.
Anche se le viene lo scrupolo di perdere tempo e pensa che sarebbe bene
fare qualcos'altro, poiché nell'orazione non può fare né pensare nulla, abbia
pazienza e rimanga tranquilla, ‘perché non si va all'orazione per cercarvi un
piacere personale o la libertà di spirito’. Se l'anima vuole fare qualcosa di sua
iniziativa con le facoltà interiori, non farà che disturbare e perdere i beni che
Dio sta imprimendo in lei attraverso la pace e la quiete dello spirito.
È come se un pittore volesse dipingere o disegnare un volto: se la persona
muove continuamente la testa per fare qualcosa, il pittore non può
concludere nulla perché viene disturbato nel suo lavoro. Allo stesso modo,
quando l'anima vuole stare nella pace e nella quiete interiore, qualsiasi
azione, affetto o attenzione che essa volesse coltivare non farebbe che
distrarla, metterla in agitazione e procurarle aridità e vuoto dei sensi. Quanto
più vorrà appoggiarsi agli affetti e alle conoscenze, tanto più ne sentirà la
mancanza che non può essere colmata attraverso questi mezzi. 19
18
Edith Stein, Scientia Crucis, DOBNER C. (Ed ), Editrice O.C.D. 2008, pp. 31-32; 34.
19
Giovanni Della Croce s., Notte oscura, Libro I, cap. 10.
14
Nella notte oscura dei sensi, l'io esteriore è purificato e in gran parte, anche
se non del tutto, distrutto. Ma nella notte oscura dello spirito anche l'uomo
interiore è purificato.
Queste due notti sono “due morti spirituali”. Nella prima, l'uomo esteriore
«muore» per risorgere e diventare l'uomo interiore. Nella seconda l'uomo
interiore muore e risorge unito a Dio in modo così completo che i due sono
una cosa sola e non rimane divisione tra di essi ad eccezione della distinzione
metafisica delle nature. È, quindi, come se l'anima stessa fosse Dio e Dio
fosse l'anima, o, ancor più, come se l'anima fosse completamente perduta in
Dio «come una goccia d'acqua in un bottiglione di vino del più puro».
La notte oscura di madre Teresa di Calcutta.. Le prime parole che Gesù le disse si
riferiscono al voto che ella aveva fatto quattro anni prima (1942): “Non mi
negherai questo? Te lo sto chiedendo... non ti rifiuterai di fare questo per
Me”. Ovviamente non poteva rifiutare di fare ciò che considerava la volontà di
Dio su di lei. Gesù continuò a parlare a Madre Teresa per vari mesi. Le ultime
parole furono nell’agosto del ’47, in cui le disse: “Vieni, sii la mia luce, non
posso andare da solo, essi (i poveri) non mi conoscono, e pertanto non mi
amano. Tu, porta-Mi a loro. Quanto desidero entrare nei loro tuguri, nelle loro
case oscure ed infelici!”. Così, dunque, Madre Teresa, che allora aveva 36
anni, sperimentò per vari mesi una profonda unione mistica. Ella dirà,
parlando di quest’esperienza: “Semplicemente, Egli si diede a me in
pienezza”.
Invece, nel ’49, cominciando l’opera che Gesù le aveva chiesto, inizia un
periodo di profonda oscurità nella sua anima. Curiosamente, sembra che con
l’inizio del servizio ai poveri sia calata su di lei un’oscurità opprimente, una
grande prova interiore che la portò persino a dire: “C’è tanta contraddizione
nella mia anima: un profondo anelito verso Dio, così profondo da far male, e
una sofferenza continua, e con essa la sensazione di non essere amata da
Dio, di essere rifiutata, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo... Il Cielo
non significa nulla per me: mi sembra un luogo vuoto!”.
“Dicono che la pena eterna che soffrono le anime nell’inferno è la perdita di
Dio... Nella mia anima io sperimento proprio questa terribile pena del
dannato, di Dio che non mi ama, di Dio che non sembra Dio, di Dio che
sembra in realtà esistere. Gesù, ti prego, perdona le mie bestemmie”.
Sperimenta la vertigine nella tentazione di poter di negare Dio: “Sono stata a
punto di dire no... Mi sento come se qualcosa stesse per rompersi in me in
qualsiasi momento”. E in un’altra occasione: “Prega per me, che non rifiuti
Dio in quest’ora. Non voglio, ma temo di poterlo fare”. Sente una solitudine
impressionante, che sembra far vacillare persino la sua fede: “Signore mio
Dio, chi sono io perché Tu mi abbandoni? [...]. Chiamo, mi aggrappo, amo
però nessuno mi risponde, nessuno a cui afferrarmi, no, nessuno. Sola, dov’è
la mia fede? Persino nel più profondo non c’è nulla, eccetto vuoto e oscurità,
mio Dio”. Ma non è il dubbio che la assalta, ma la desolazione della sua
anima, simile al grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”. Questa prova interiore ebbe in Madre Teresa delle
caratteristiche particolari, poiché non fu una prova iniziale, una purificazione
dell’anima, come è avvenuto in tanti santi, che l’avrebbe portata ad una
15
profonda unione mistica dopo alcuni anni, ma fu invece il suo stato
permanente fino alla morte. 20
La notte oscura di Teresa di Lisieux: 21.«Ero in un triste deserto o, per meglio dire,
la mia anima somigliava al fragile scafo abbandonato senza pilota in balìa dei
flutti tempestosi[...] Lo so, Gesù era con me, dormiva sulla mia barca, ma la
notte era così buia che mi riusciva impossibile vederlo: nulla mi illuminava,
nemmeno un lampo che venisse a solcare le cupe nubi. Certo, quello dei
lampi è un ben triste chiarore, ma almeno, se il temporale fosse scoppiato
apertamente, avrei potuto scorgere Gesù per un istante. [...] Era la notte, la
notte profonda dell'anima. [...] Come Gesù nel giardino della sua agonia, mi
sentivo sola e non trovavo consolazione né in terra né in Cielo: il Buon Dio
sembrava avermi abbandonata»
La gioia del dono
“La gioia è amore, la gioia è preghiera, la gioia è forza.
Dio ama chi dà con gioia; se tu dai con gioia, dai sempre di più.”
Madre Teresa di Calcutta
“Mi domando: qual è stata la gioia più bella che io ho provato nella mia vita?
E credo che la risposta sia: quando sono riuscito a fare felice qualcuno.
Dona gioia a una persona e la ritroverai moltiplicata sul volto dell'altro.” Ermes Ronchi
Matrimonio e verginità. La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non
contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la
confermano. 22 Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di
vivere l'unico Mistero dell'Alleanza di Dio con il suo popolo. 23 Quando non si
ha stima del matrimonio, non può esistere neppure la verginità consacrata; 24
quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal
Creatore, perde significato il rinunciarvi per il Regno dei Cieli. Dice infatti
assai giustamente san Giovanni Crisostomo: «Chi condanna il matrimonio
priva anche la verginità della gloria: chi invece lo loda, rende la verginità più
ammirabile, e splendente. Ciò che appare un bene soltanto a paragone di un
20
Brian Kolodiejchuk: Madre Teresa. Vieni Sii la mia luce. BEST BUR settembre 2007
TERESA DI LISIEUX, Storia di un'anima, Ancora, Milano 1993, p.155.
22
Pio XII ventisettesima enciclica, Sacra Virginitas : il Santo Padre espose le ragioni che da sempre hanno
spinto i fedeli cattolici ad osservare e fare proprie le virtù della castità perpetua e l'astinenza totale alle
delizie della carne. Verginità vista come negazione degli istinti per mezzo della razionalità e della fede;
verginità dell'anima e del corpo. 25 marzo 1954.
23
Paolo VI :Perfectae Caritatis, unitamente ai Padri del Sacro Concilio, decreto sul rinnovamento della vita
religiosa 1965 , n. 12. La castità « per il regno dei cieli » (Mt 19,12), quale viene professata dai religiosi,
deve essere apprezzata come un insigne dono della grazia. Essa infatti rende libero in maniera speciale il
cuore dell'uomo (1 Cor 7,32-35), così da accenderlo sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini;
per conseguenza essa costituisce un segno particolare dei beni celesti, nonché un mezzo efficacissimo
offerto ai religiosi per potere generosamente dedicarsi al servizio divino e alle opere di apostolato. In tal
modo essi davanti a tutti i fedeli sono un richiamo di quella mirabile unione operata da Dio e che si
manifesterà pienamente nel secolo futuro, mediante la quale la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo.
24
Giovanni Paolo II. «Novo Incipiente»: La Chiesa Latina ha voluto e continua a volere, riferendosi
all'esempio dello stesso Cristo Signore, all'insegnamento apostolico e a tutta la tradizione che le è propria,
che tutti coloro i quali ricevono il sacramento dell'Ordine abbraccino questa rinuncia per il regno dei cieli.
Questa tradizione, però, è unita al rispetto verso tradizioni differenti di altre Chiese. Difatti, essa
costituisce una caratteristica, una peculiarità e una eredità della Chiesa cattolica Latina, alla quale questa
deve molto e nella quale è decisa a perseverare, nonostante tutte le difficoltà, a cui una tale fedeltà
potrebbe essere esposta, e malgrado anche i vari sintomi di debolezza e di crisi di singoli Sacerdoti. Tutti
siamo coscienti che «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (cfr. 2Cor 4,7); tuttavia, sappiamo bene che
esso è appunto un tesoro. Lettera ai sacerdoti il Giovedì Santo, 8 aprile 1979
21
16
male, non è poi un grande bene; ma ciò che è ancora migliore di beni
universalmente riconosciuti tali, è certamente un bene al massimo grado» 25.
Prima del Cristo, l’umanità era rivolta al Signore in un’incessante ricerca di
comunione con un Dio che la religione presentava sempre più lontano, una
divinità esigente, che trovava difetti persino nei santi e negli angeli da lui
stesso creati. “Ecco, dei suoi servi egli non si fida e nei suoi angeli trova
difetti” (Gb 4,18).
Con Gesù tutto cambia. La ricerca di Dio con lui è terminata: il Signore non è
più da cercare, ma da accogliere e, con lui e come lui, andare verso gli
uomini. Essi infatti non vivono più per Dio, ma di Dio, un Padre che chiede di
essere accolto per fondersi con loro, dilatarne la capacità d’amore e renderli
così l’ unico santuario dal quale irradiare l’amore a ogni creatura.
Dio si è fatto uomo, per sempre, ed è con un uomo che i credenti devono
confrontarsi. Per Gesù, quel che determina la riuscita o meno dell’esistenza,
rendendola così definitiva, non è il rapporto che si è avuto con Dio, ma con gli
uomini. Non è il riconoscerlo “Signore, Signore”, ma il compiere la volontà del
Padre (Mt 7,21), accogliendo il suo amore e trasformandolo in azioni che
comunicano e donano la vita. Il messaggio di Gesù diventa pertanto
universale e abbraccia tutta l’umanità. Non sarà domandato agli uomini se
hanno creduto, ma se hanno amato, non sarà loro chiesto se sono saliti al
tempio, ma se hanno aperto la loro casa al bisognoso, non se hanno offerto al
Signore, ma se hanno condiviso il loro pane con chi ne aveva necessità.
Chiunque dimostri attenzione verso i bisogni dell’altro, e intervenga per
aiutarlo, costui entra nella vita definitiva. Consapevoli di partecipare alla gioia
della “filiazione divina”, quando si ama veramente, ci si dona con gioia, senza
tenere il conto e senza cercare la gratitudine.
La Parola ai lettori
Tutti coloro che ricevono questa newsletter sono invitati ad utilizzare la opportunità
offerta dal forum per far conoscere il proprio pensiero su quanto letto o sollecitare
25
San Giovanni Crisostomo, «La Verginità», X: PG 48,540
17
ulteriori riflessioni ed ampliare la riflessione.
La corrispondenza potrà essere inviata all’indirizzo qui specificato:
[email protected]
Tutte le newsletter precedenti sono archiviate con l’indice analitico
degli argomenti nel sito: http://www.nuovainformazionecardiologica.it
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Comitato di redazione
Dott. Cleto Antonini, (C.A.), Aiuto anestesista del Dipartimento di
Rianimazione Ospedale Maggiore di Novara;
Don Pier Davide Guenzi, (P.D.G.), docente di teologia morale presso la
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino; e
di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica del S. Cuore di
Milano e vice-presidente del Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera
“Maggiore della Carità” di Novara.
Don Michele Valsesia, parroco dell'Ospedale di Novara, docente di Bioetica
alla Facoltà Teologica dell'Italia Sett. sez. di Torino
Prof. Paolo Rossi, (P.R.) Primario cardiologo di Novara
Master di Bioetica Università Cattolica di Roma
18