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teatro comunale claudio abbado - ferrara Piccole frasi banali, del tipo “non mangiare le caramelle”, non fanno di un grande, pure fascinosamente tormentato e alla Klaus Kinski, un padre. Né il travestimento da clown, o da tanti clown in rivolta, come nel finale, riesce a colmare le necessità fisiche e di conoscenza di un bambino. I clown danno vita a un sogno, questo sì. Ma il volo onirico si spegne nella solitudine dell’innocenza infantile duramente ferita. Spettacolo che per i movimenti clowneschi ci ricorda un lontano capolavoro (Universal Copyright 1&9) di Jan Fabre, artista cui Vandekeybus deve molto, Talk to the Demon è un altro passo sperimentale (dopo il mitologico Oedipus/ Bêt noir e il fotografico booty Looting) verso il “chissà dove” del coreografo fiammingo. Ci piace il contrappunto tra il tramestio feroce dei grandi - a cui i piccoli chiedono amore e “di essere normali” - e il tip tap bambino, con le brevi danze solo accennate, e quell’armeggiare con i suoni delicatamente o meno ma che comunque innalza questa purulenta e sanguinosa “via Massacro” (la residenza degli adulti, secondo i giovanetti) e la rende più vicina al cielo. foto Danny Willems e distese a terra (da un lato) e simili a un lungo sedile (dall’altro lato), e con un fondale aereo di veli che si preparano a una colossale e distruttiva tempesta, si scatenano violenze, giochi insensati. L’energia fisica è potente, “sprecata” e tipica di tutte le opere di Ultima Vez. Qui, però, vi sono fili intrecciati, aerei, calati d’improvviso dall’alto, che sembrano confondere i destini di personaggi spaesati e fragili. E che tali sono anche quando indossano lunghi ed eleganti soprabiti (il biancore di Jerry), segni di bellezza e potere “maturi”. Le brutalità gratuite, - come appendere uno dei danzatori a testa in giù con i lacci delle sue stesse scarpe, e lasciarlo in un simile stato quasi sino all’esaurimento delle forze, ricorda l’efferatezza delle guerre di cui pure si parla e con minuzioso e stolto orgoglio “da adulti”. Mentre la danza scatenata, da baccante, attorno al bimbetto immobile, vissuta con intensità da una delle interpreti quasi sempre gradevolmente muta, rivela una sorta di atavico rimorso, di furia materna ancora inesplosa. Questa più che variegata pièce di teatrodanza (o di teatro fisico totale) è del resto suscitatrice di colpe mal digerite e di inadeguatezze. we associates Il prossimo spettacolo sabato 18 ottobre, ore 21 mercoledì 15 ottobre, ore 21 LANDSCAPE coreografie, scene, luci, costumi, selezione musicale SABURO TESHIGAWARA pianoforte FRANCESCO TRISTANO danza SABURO TESHIGAWARA, RIHOKO SATO INFO E VENDITA Biglietteria T 0532 202675 [email protected] www.teatrocomunaleferrara.it WANDEKEYBUS_Libretto sala.indd 1-2 con il sostegno di Comune di Ferrara Regione Emilia Romagna Ministero per i Beni e le Attività Culturali 09/10/14 12:29 WIM VANDEKEYBUS/ ULTIMA VEZ TALK TO THE DEMON direzione, coreografia, scene Wim Vandekeybus creazione e performance Elena Fokina, Luke Jessop, Jerry Killick, Gala Moody, Yassin Mrabtifi, Manuel Ronda, Laso Dankambary, Samuel De Lille assistente artistico e drammaturgia Greet Van Poeck stilista Isabelle Lhoas assistente Isabelle De Cannière luci Francis Gahide, Davy Deschepper, Wim Vandekeybus suono Bram Moriau durata dello spettacolo 100 minuti compreso un intervallo Prima italiana CONVERSARE (E LITIGARE) CON L’INNOCENZA di Marinella Guatterini Quanti sono gli spettacoli che il fiammingo Wim Vandekeybus ha presentato, dal 1997 a oggi, quasi sempre in prima nazionale, al Comunale «Claudio Abbado» di Ferrara? Otto, oltre ad WANDEKEYBUS_Libretto sala.indd 3-4 larità o bontà. Tuttavia le cose si complicano, e non poco, poiché il demone nel testo dell’artista fiammingo è molto più orientale che occidentale: non è “il cattivo”, l’Anticristo o l’eretico cristiano, bensì una sorta di mago suscitatore di istinti ancestrali, di istigatore; è colui che smaschera ipocrisie e meschinità e soprattutto... è un bambino. L’innocenza può essere diabolica, e qui diviene addirittura strategica demistificazione della realtà creata dagli adulti. Allo spettatore il compito di individuare, seguendo ogni parola tradotta, le zone più odiosamente vere, e crudeli, del rapporto tra piccoli e grandi (in realtà i bambini protagonisti sono due, ma uno solo è “l’angelo caduto” prescelto dalla qui contenuta e disperata comunità adulta cui fa difetto persino la consapevolezza dell’ineluttabilità della morte e dunque del prezioso valore della vita...). Ma attenzione, lo scritto, mirabilmente restituito da consumati performerdanzatori, si cala in una scena non meno discorsiva e “parlante”. Tra lamiere alte, penetrabili foto Danny Willems Produzione Ultima Vez (Brussel, BE) coproduzione DeSingel /Antwerp, BE), KVS (Brussel, BE), Archa Theatre (Prague, CZ), Fondazione Teatro Comunale di Ferrara (I) alcune brevi coreografie sue in pièce a più voci, o a lui dedicate. Guizzano pertanto molti ricordi: le grandi piume d’uccello bianche e nere gettate dall’alto tra danzatori dalla pelle argentea o dorata di 7 For a Secret Never To Be Told; gli «uominicavalli», e il «cavallo Wim» dalle corse in tondo di In Spite of Wishing and Wanting; gli interni medievali, torvi ed epici di Inasmuch as Life is Borrowed (Wim è anche un abile e direi profondo film-maker); i coltelli luccicanti tra lampi e bagliori del finis mundi di Menske, ultimo evento estense (risale, qui, al 2008), prima di questo spiazzante e crudo Talk to the Demon. La novità, ancora in prima nazionale, giunge proprio a ridosso della felice ricostruzione di What the Body Does Not Remember, la prima coreografia di Vandekeybus, creata nel 1987, a soli ventiquattro anni: pluripremiato incipit di Ultima Vez, la sua compagnia. E da lì si discosta – come da tutto quanto, a sua firma, gli spettatori ferraresi hanno sino ad oggi ammirato – anzitutto per l’assenza di musica (le coreografie di Vandekeybus hanno goduto di colonne sonore importanti: a cura di David Byrne, Thierry De May, Peter Vermeersch, Marc Ribot e tanti altri) e, di converso, per una sostanziosa incombenza verbale. Talk to the Demon è davvero una conversazione “con il diavolo” e, a chi dialoga, il coreografo-autore ha dato gli stessi nomi (Luke, Samuel, Laso, Gala, Jerry, Manu e Yassin) di sette dei suoi nove interpreti. Prova inconfutabile che il testo, come l’insieme dello spettacolo, sono nati sì da una necessità e da una precisa idea di Vandekeybus, ma in stretta collaborazione con chi recita, danza e beninteso spezza quell’assenza di musica, di cui si diceva, con rumori sordi, colpi ferali, urla, risa isteriche, o più gentili ritmi creati ad hoc. Per raccontare cosa? Un ennesimo Faust, una vibrante invettiva neo-satanista tratta dal Marchese De Sade, una rassegnata e ironica rivalutazione di Lucifero “à” la Anatole France? Nulla di tutto ciò, almeno in apparenza. Talk to the Demon parte da un assunto meno complesso, reticente nel riconoscere precisi appigli letterari o saggistici (anche se ve ne sono e molti), e ben sintetizzato dallo stesso coreografo allorché asserisce che tutti noi creiamo demoni per combattere personali conflitti interiori... mentre accettare il nostro lato oscuro ci sarebbe utile almeno quanto accorgerci della nostra so- 09/10/14 12:29