L`evoluzione del concetto giuridico di danno non patrimoniale. Prof

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L`evoluzione del concetto giuridico di danno non patrimoniale. Prof
L’evoluzione del concetto giuridico di danno non patrimoniale. Prof.M Maggiolo 23.05.09
Questo tema evoca prima una vicenda umana tra danneggiato e danneggiatore, poi professionale
dell’avvocato, del consulente del giudice il cui traguardo è sempre e comunque una somma di
denaro.
Questa è una constatazione talmente ovvia che sta alla base di una serie di constatazioni che vanno
fatte per capire in che modo il problema giuridico si pone.
Una somma di denaro a fronte di un danno non patrimoniale significa dare dei soldi a chi ha subito
la lesione di un proprio bene, non appartenente alla sfera della ricchezza materiale. Solo che denaro
tecnicamente è l’unità di misura del valore di scambio dei beni e se i beni hanno un valore di
scambio, questo significa che c’è un mercato di questi beni.
E’ facilmente comprensibile come sussista una antinomia, una frizione tra usare denaro per darlo
alla vittima di un danno quando il danno è un danno che colpisce beni che non hanno un mercato.
Questo significa che se noi diamo denaro alla vittima di un danno non patrimoniale, non lo stiamo
risarcendo, cioè non stiamo eliminando il danno dalla sua sfera personale, il danno c’è e resta.
Si sta dando la somma di denaro in funzione di compensazione, di soddisfazione, si può asserire che
si da una somma di denaro ad una persona per consolarla per il pregiudizio non patrimoniale subito.
A questo punto è già possibile una prima annotazione importante sotto il profilo applicativo:
consoliamo il danneggiato dandogli del denaro, non risarcendolo, ma fornendogli uno strumento
che possa dargli una soddisfazione che possa far dimenticare o rendere meno doloroso il danno
subito.
Quello a cui dobbiamo guardare per stabilire la somma di denaro che spetta al danneggiato è la
gravità del comportamento di chi il danno ha provocato.
Nel concetto di risarcimento del danno non patrimoniale resta comunque esterna l’idea di voler
reprimere o punire la persona che ha provocato il danno.
Si guarda solo al danneggiato e non a chi il danno ha provocato e il denaro lo commisuriamo in
base alla sofferenza del danneggiato e non alla gravità o alla rimproverabilità del comportamento
del danneggiante.
Questa è una constatazione che ha una certa importanza perché non sono mancati casi , si trattava di
danni provocati all’interno di rapporti familiari, in cui alcuni giudici hanno ritenuto di poter stabilire
la somma di denaro a titolo di risarcimento anche in ragione alla gravità del comportamento del
familiare che ha provocato il danno.
C’è da capire in quali condizioni una persona merita di essere consolata.
Sul piano giuridico qui incontriamo la norma fondamentale in questa materia che è la norma
dell’art. 2059c.c., una norma redatta nel 1942 che stabilisce che il danno non patrimoniale vada
risarcito nei soli casi previsti dalla legge.
Ne consegue che la storia del danno non patrimoniale è la storia di un processo di individuazione di
quali siano i casi previsti dalla legge a cui all’art. 2059 allude.
Il punto di partenza di questo processo è stato un processo di allargamento come tutta la materia
della responsabilità civile dal 1942 ad oggi, è una materia che ha visto incrementare la serie di
situazioni nelle quali il risarcimento doveva essere accordato, questo è accaduto anche per il danno
non patrimoniale.
Si è partiti da una situazione in cui il danno non patrimoniale veniva inteso solo e solamente come
sofferenza soggettiva, dolore, turbamento psichico, e questa classe di danno veniva risarcita in quei
casi previsti dalla legge. Questo perché c’è una norma penale che dice che ogni reato che abbia
cagionato una danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le
persone che a norma delle regole civili debbano rispondere per lui. Quindi solo sofferenza
soggettiva e solo se il fatto dannoso è previsto dalla legge come reato.
Questa situazione è durata dal 1942 fino alla fine degli anni ’70 inizi ’80, in questi anni spunta
l’idea che accanto alla sofferenza soggettiva potesse essere risarcito, nella classe del danno non
patrimoniale, il danno definito “biologico” o “danno alla salute”. (Danno che consiste nella lesione
dell’integrità fisica o nella lesione dell’integrità psichica della persona).
Questa seconda classe di danno non patrimoniale è approdata ad una generale tutela risarcitoria
soprattutto dopo una sentenza della Corte Costituzionale nel 1986 n° 184.
La sentenza della Corte Costituzionale era una sentenza che aveva un’argomentazione che non
stava in piedi. Il danno alla salute non era risarcibile ai sensi dell’art. 2059 ma ai sensi dell’art.
2043, che è la norma base di tutto il sistema, che stabilisce che qualsiasi danno doloso o colposo che
cagiona agli altri un danno ingiusto, obbliga chi lo ha commesso a risarcire il danno. Così
affermando la Corte Costituzionale escludeva la natura non patrimoniale del danno alla salute,
assimilando il danno alla salute ai danni patrimoniali.
Negli anni ’90 si affaccia l’idea che ci siano degli altri danni non patrimoniali che meritino il
risarcimento, quei danni che senza essere sofferenza individuali, che senza essere lesioni alla
integrità fisica o psichica della persona, siano delle situazioni pregiudizievoli nelle quali peggiora la
qualità della vita delle persone. Per queste tre classi di danni non patrimoniali è stata coniata
l’espressione di danno esistenziale.
Quindi negli anni ’90 che un risarcimento del danno morale,del danno alla salute e del danno
esistenziale.
Questa tripartizione del danno non patrimoniale ha creato sia sul piano teorico, ma ancor di più su
quello applicativo, una serie di scompensi perché il peggioramento della qualità della vita è stato
ravvisato in una quantità di situazioni futili, probabilmente immeritevoli di tutela.
In questi anni c’era una situazione abbastanza caotica e si sentiva fortemente l’esigenza di un nuovo
intervento delle più alte magistrature per dare un po’ di ordine alla materia.
Ordine che si è avuto solo nel 2003 prima con due sentenze della Corte di Cassazione, sentenze
passate alla storia come sentenze gemelle le n°8827 e la n° 8828 e poi di li ad un paio di mesi,
luglio 2003, con la sentenza della Corte Costituzionale n°233.
Da queste sentenze emerge un quadro del nostro sistema della responsabilità come un quadro
bipolare, ovvero un sistema nel quale da un lato c’è un concetto di danno patrimoniale che è
risarcito in base all’art. 2043 c.c. e dall’altro c’è un concetto di danno non patrimoniale
unitariamente inteso che va risarcito ai sensi dell’art. 2059 c.c. nei soli casi previsti.
All’interno di questo concetto unitario di danno non patrimoniale le varie classi che si erano
utilizzate nell’esperienza applicativa dei 60 anni precedenti sarebbero delle descrizioni dell’uno e
dell’altro profilo di volta in volta preso in considerazione dall’unico concetto di danno non
patrimoniale che va risarcito nei casi previsti dalla legge (art. 2059), questi casi previsti dalla legge
erano individuati chiaramente.
A novembre la Cassazione, questa volta a sezioni unite, cioè nella sua espressione più autorevole,
torna sull’argomento pronunciando quattro sentenze successive ( n°26972, n°26973, n°26974 e n°
26975) in cui si dice o meglio si conferma il dettato del 2003 e quindi che il panno non patrimoniale
era una categoria unitaria, definita come lesione di interessi di persona non connotati da rilevanza
economica. E’ una definizione negativa che ci dice che il danno cosa non è il danno non
patrimoniale, ovvero che il danno non patrimoniale non è un danno patrimoniale.
Questo genera qualche problema nell’utilizzazione del principio pronunciato dalla Corte. La lesione
di questi interessi alla persona non connotati da rilevanza economica avviene nei soli casi previsti
dalla legge. Consideriamo sempre la norma dell’art.185 del codice penale per cui la prima area dei
casi previsti dalla legge, in cui il danno non patrimoniale è risarcibile è l’area dei danni provocati da
fatto umano previsto dalla legge come reato. Questa è sicuramente un’area in cui tutti i danni non
patrimoniali sono risarcibili. Una seconda area è l’area dei danni non patrimoniali privi di
considerazione in altre specifiche leggi, ovvero quelle disposizioni che senza prevedere un fatto
come reato prevedono la risarcibilità del danno non patrimoniale. La terza categoria di casi prevista
dalla legge è quella più interessante perché, dice la Cassazione, bisogna interpretare l’art.2059 in
senso Costituzionalmente orientato, vuol dire che si devono considerare casi previsti dalla legge in
cui il danno non patrimoniale è risarcibile anche in tutte quelle ipotesi in cui il pregiudizio al bene
personale non connotato da patrimonialità colpisca interessi individuali costituzionalmente
garantiti. Quindi dagli interessi della persona muniti di tutela costituzionale che subiscono un
pregiudizio non patrimoniale, sono situazioni nelle quali il danno è risarcibile anche se non
patrimoniale.
Di questi casi ci sono alcuni particolarmente paradigmatici come ad esempio il danno alla salute,
cioè il vecchio danno biologico, il vecchio danno biologico è lesione di un diritto
costituzionalmente garantito a tutti i cittadini (art.32 Cost.).
Ne deriva che in queste tre situazioni il danno non patrimoniale è risarcibile:
- fatto previsto dalle legge come reato;
- danno previsto da altre leggi speciali;
- lesioni di valori costituzionali.
All’interno di queste tre aree di risarcibilità del danno non patrimoniale si collocano come semplici
descrizioni del pregiudizio le figure tradizionali, danno morale, inteso come sofferenza soggettiva,
danno biologico, inteso come lesione all’integrità fisica e psichica, danno esistenziale, inteso come
diminuzione della qualità della vita.
Traiamo le conclusioni, quando parliamo di affrontare una vicenda risarcitoria ci sono due domande
da porsi, la prima domanda è questa se c’è un danno risarcibile e la seconda è a quanto ammonta il
risarcimento da accordare alla persona che abbia subito il danno non risarcibile. Rispetto a questi
due quesiti la Cassazione dice due cose. Nell’ipotesi in cui si è chiesto il risarcimento di un danno
non patrimoniale perché c’è stata la lesione individuale protetto dalla Costituzione viene detto che
il pregiudizio è risarcibile solo se è grave la lesione. Rispetto al secondo punto, ovvero stabilire a
quanto ammonta il risarcimento, la Cassazione dice che il giudice può ma non deve
necessariamente basarsi su una consulenza tecnica e in particolare su una consulenza medico-legale.
Da queste due affermazioni delle Cassazione può emergere quale sia il confine della consulenza
affidata ai professionisti psicologi. Sotto il primo profilo ci può essere un bisogno di consulenza
anche per stabilire se un danno è o meno risarcibile. Sotto il secondo profilo, quantificare il
risarcimento, una valutazione del pregiudizio psichico è indispensabile per ogni classe di danno non
patrimoniale.