Intermedio ritmo e movimento 1

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Intermedio ritmo e movimento 1
Lezione 1
PRIME DEFINIZIONI DI RITMO E MOVIMENTO
La danza in tutte le sue forme non può essere esclusa da una
nobile educazione; danzare con i piedi, con le idee, con le
parole, e devo aggiungere che bisogna esser capaci di danzare
con la penna?
Friedrich Nietzsche
Benvenuti al corso di narrativa proposto dalla Scuola Omero
e intitolato Ritmo e movimento. Scopo del corso è quello di
riuscire a farvi produrre, poco alla volta, dei testi letterari
compiuti in cui risuonino e agiscano il ritmo e il movimento
più congeniali alle vostre voci narrative. Prima di entrare nel
vivo del laboratorio è bene darvi un minimo di istruzioni per il
suo uso. Intanto vi anticipiamo che la scelta dei testi letterari
inseriti nelle sette lezioni che seguono è caduta spesso su autori
vicini ai nostri giorni. Autori che noi di Scuola Omero
consideriamo, con una formula un po’ azzardata, “i classici di
domani”. Ossia autori e testi che, se letti tra dieci, venti,
trent’anni e oltre, crediamo possano mantenere inalterata la
loro bontà letteraria. Abbiamo deciso di portare diversi esempi
della narrativa attuale perché è proprio con questa narrativa che
si può equivocare più facilmente sulla “presa” e sull’efficacia
del ritmo e del movimento. In molti casi l’attualità letteraria
può essere cattiva consigliera e far risultare orecchiabile e
interessante ciò che in realtà è assemblato con tagli narrativi
pieni di scorciatoie e astuzie stilistiche. Pensiamo perciò che,
isolando dal frastuono del presente delle voci uniche e
originali, possiamo dare un contributo a tutti gli appassionati di
narrativa proponendo dei nostri punti di riferimento artistico.
Crediamo che poi, una volta fatta l’esperienza sulle narrazioni
recenti, possiate risalire con bella autonomia ai classici del
passato (presenti in buon numero nel nostro corso) per affinare
ulteriormente le proprie capacità di ritmo e movimento. Altra
indispensabile avvertenza sull’utilizzo del corso riguarda gli
esercizi assegnati alla fine di ogni lezione. Questi esercizi
possono sembrare azzardati e spericolati. Beh, forse lo sono.
Però pensiamo che la loro miscela di rischio e fantasia sia
appropriata per liberare, senza riserve, ogni vostra voglia e
sentimento espressivo. D’altronde più elementi della vostra
personalità farete sprigionare dalle composizioni assegnate e
più se ne arricchirà la vostra stessa scrittura.
Prime definizioni di ritmo
Il ritmo e il movimento in narrativa si possono definire
come l’insieme dei passi, più o meno rapidi e più o meno
intricati, che l’autore compie attraverso le trame, i personaggi e
gli ambienti delle sue storie.
Il ritmo è l’aspetto più elementare da isolare in una
narrazione. Semplificando, si può dire che il ritmo ha a che
vedere con le scelte dell’autore rispetto al proprio modo di
periodare. È chiaro che periodi lunghi, carichi di aggettivi e
avverbi, pieni di subordinate e con pochi punti fermi, portino la
narrazione a un ritmo lento e articolato. Per contro è anche
evidente che un’impostazione narrativa fatta di tanti periodi
brevi, composti solo di proposizioni principali, asciugati di
aggettivi e avverbi, spinga il racconto a un ritmo cadenzato e
brevilineo. Fin qui tutto troppo facile come primo tentativo di
definizione di ritmo. È ora di complicarci un po’ la vita. Il
ritmo nella narrazione è dato anche da una serie di parti del
discorso combinate tra loro che concorrono a dargli un corpo e
quindi a innalzare o ad abbassare la velocità di fruizione
narrativa e di conseguenza a segnare l’intero scorrere ritmico di
un testo. Queste parti possono essere: la complessità o
semplicità dell’intreccio; l’altezza o la bassezza delle
disquisizioni dei personaggi; il multilinguismo o al contrario
l’uso di una lingua omogenea e compatta; la scelta di una
lingua letteraria raffinata o invece di una lingua media; la
specializzazione tecnica di un testo o la sua genericità; i
continui cambi di ritmo narrativo o invece la costanza della
cadenza; ecc. Su tutto però è fondamentale che l’autore provi il
massimo piacere nell’esprimere proprio quel particolare ritmo
che si forma nelle sequenze date dalle sue parole. Se l’autore
per primo prova delle belle sensazioni nell’attaccare una storia
con un certo passo anche al lettore arriverà la spinta ad
abbandonarsi all’andamento ritmico del tutto.
Prime definizioni di movimento
Il movimento è dato dall’insieme dei rapporti che si creano
tra il ritmo e la trama, tra il senso della storia e l’arco di
sviluppo dei periodi. Se il movimento funziona, ossia se
l’autore rispetta e centra le proporzioni tra le parti
drammaturgiche (e cioè l’autore riesce a trovare un giusto
rapporto tra incipit, centro e finale di storia) non è però ancora
detto che l’aspetto ritmico sia ben realizzato. È il caso della
prima stesura del Talento di Mister Ripley di Patricia
Highsmith. Ecco cosa ci dice in proposito la grande scrittrice
americana di gialli:
“Ho cominciato a scrivere il libro con un umore bucolico e
sembrava procedere bene. Ma a pagina 75 cominciai a sentire
che la mia prosa era rilassata come me, direi quasi flaccida, e
che un’atmosfera rilassata non era quella adatta per il signor
Ripley. Decisi di stracciare tutto e ricominciare da capo, sia
mentalmente che fisicamente in bilico sul bordo della sedia,
perché Ripley è questo tipo di giovanotto – un giovanotto in
bilico sulla sedia, se pure si siede.”
Al contrario, se il ritmo funziona, non è detto che l’autore
riesca nell’obiettivo di dare il giusto sviluppo drammaturgico
alla storia. Se l’autore si incanta a seguire un ritmo, le sonorità,
la lingua che usa e non fa procedere nei modi e nei tempi giusti
la storia, il senso del discorso e le sue connessioni col ritmo
potrebbero spezzarsi portando fuori sintonia il movimento
generale della composizione.
Sul ritmo che va a discapito del senso della storia ecco
quello che ci scrive Lu Ji ne L’arte della scrittura, scritto nel
III° secolo d.C.:
“A volte ritmi e armonie dominano e lo scrittore si lascia
sedurre. E il cattivo musicista suona più forte per nascondere le
imperfezioni. I falsi sentimenti sono uno schiaffo in pieno volto
alla grazia.”
Insomma, dopo questi primi ragionamenti, ci si può
arrischiare a dire che ritmo e movimento sono uno il riflesso
dell’altro. Il ritmo rappresenta la parte più primitiva, più
intuitiva e lirica di uno scrittore. Il movimento è l’elaborazione
più mediata e articolata di una serie di elementi che partono dal
ritmo fino ad arrivare al significato profondo che si vuole dare
alla storia. Il vero problema, per amalgamare al meglio tutte le
parti che compongono il movimento della narrazione, sta nel
trovare equilibrio tra le parti pulsanti e interne della storia e
quelle formali esterne. Ecco alcune riflessioni d’autore sul
rapporto tra le diverse parti narrative:
Italo Calvino
“Il mio lavoro di scrittore è stato teso fin dagli inizi a
inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano
e collegano punti lontani dello spazio e del tempo. Nella mia
predilezione per l'avventura e la fiaba cercavo sempre
l'equivalente di un'energia interiore, di un movimento della
mente. Ho puntato sull'immagine, e dal movimento che
l'immagine scaturisce naturalmente, pur sempre sapendo che
non si può parlare d'un risultato letterario finché questa
corrente dell'immaginazione non è diventata parola. Come per
il poeta, la riuscita sta nella felicità dell'espressione verbale,
che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione
improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del
mot juste, della frase in cui ogni parola è insostituibile,
dell'accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di
significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe
essere diverso dallo scrivere poesia; in entrambi i casi è ricerca
di un'espressione necessaria, unica, densa, concisa,
memorabile.”
Ecco ora un altro contributo sulle relazioni esistenti tra parti
narrative diverse che possono dare movimento e vita a
un’opera letteraria:
Marcel Proust
“Quel che noi chiamiamo ‘realtà’ è un certo rapporto tra
quelle sensazioni e i ricordi che ci circondano
simultaneamente, rapporto unico che lo scrittore deve ritrovare,
se vuol concatenare per sempre nella sua frase i due termini
differenti. In una descrizione possiamo elencare indefinitamente gli oggetti presenti nel luogo descritto; ma la verità
comincerà solo quando lo scrittore avrà preso due oggetti
differenti, ne avrà stabilito il rapporto e lo avrà saldato con gli
anelli necessari dello stile; o meglio, come la vita stessa,
quando, riaccostando una qualità comune a due sensazioni, ne
avrà liberato l'essenza comune, riunendole insieme, per
sottrarle alle contingenze del tempo, in una metafora.”
Inevitabilmente con Calvino e Proust sono entrati in ballo (a
proposito di ritmo e movimento) concetti letterari decisivi
come la scelta della parola giusta e la capacità di mettere in
contatto narrativo oggetti molto diversi tra loro. Ma il ritmo e il
movimento in un testo scritto lo trasmettono anche altri fattori,
solo apparentemente più superficiali, come ad esempio la
disposizione delle parole sulla pagina. Ecco cosa ci dice
Stephen King a proposito del ritmo e del “colpo d’occhio” che
la nostra scrittura è in grado di offrire al lettore:
“Aprite un libro di narrativa a caso e guardate un paio di
pagine. Osservatene la composizione, le righe tipografiche, i
margini, e soprattutto gli spazi bianchi dove cominciano e
finiscono i paragrafi. Siamo in grado di giudicare senza leggere
se il libro che abbiamo scelto sarà facile o difficile, giusto? I
libri facili hanno molti paragrafi brevi, in special modo
paragrafi di dialogo che possono essere di solo una o due
parole in tutto, e un sacco di spazio bianco. Sono ariosi come i
coni gelato della Daury Queen. I libri difficili, quelli pieni di
idee, narrazione o descrizioni, hanno un aspetto più ponderoso.
Un’aria densa. I paragrafi sono importanti per come appaiono
quasi quanto per quel che dicono; sono manifesti. È la cadenza
ritmica del racconto a stabilire dove ciascuno comincia e
finisce. Io sono pronto ad affermare che è il paragrafo e non la
frase l’unità di base della scrittura, il luogo dove si fonda la
coerenza e le parole hanno la possibilità di diventare qualche
cosa di più di semplici vocaboli. Se deve esserci un momento
di accelerazione, esso si manifesta a livello di paragrafo.
Bisogna imparare a usarlo bene se si vuole scrivere bene.
Questo significa molto esercizio: bisogna imparare il ritmo.”
Adesso è tempo di entrare concretamente in una narrazione
per vedere da vicino quali strategie, relative a ritmo e
movimento, possa adottare uno scrittore in un racconto breve.
L’esempio scelto è il bellissimo racconto Bullet in the brain,
Una pallottola nel cervello, di Tobias Wolff, pubblicato il 25
settembre 1995 sul The New Yorker Magazine, e poi nella
raccolta intitolata The night in question, 1996, Proprio quella
notte, ed. Einaudi Stile libero, 2001, traduzione di Laura
Noulian, pag. 217-223.
Il ritmo e il movimento nel racconto “Una
pallottola nel cervello”
Sul racconto Una pallottola nel cervello c’è un aneddoto
tutto di marca omerica (nel senso della nostra scuola di
scrittura Omero) che, pur correndo il rischio di risultare troppo
autoreferenziali, pensiamo valga la pena di raccontare in questa
sede. Se non altro perché questo racconto è davvero esemplare
nel mostrarci quanto il ritmo e il movimento siano tra gli
elementi decisivi di quel patto ideale che in ogni nuova
produzione letteraria si viene a creare tra scrittore e lettore. Un
giorno del febbraio 2001 Fabio Cozzi, collaboratore di vecchia
data della nostra rivista web www.omero.it, ci invia per posta
elettronica la segnalazione di un libro di racconti appena usciti
per la collana Stile Libero della Einaudi e scritti da un certo
Tobias Wolff, autore americano contemporaneo. L’articolo
naturalmente era inviato alla nostra redazione con lo scopo di
essere pubblicato su Omero.it. All’arrivo della mail, contenente
ampie parti del racconto Una pallottola nel cervello, mi
trovavo per caso davanti al computer col mio amico e direttore
di Omero.it
Paolo Restuccia e così per deformazione
professionale abbiamo deciso di leggerci subito la novità
letteraria, abbandonando ogni nostra altra attività. Dopo aver
assaporato, si fa per dire, le prime 20-30 righe del racconto ci
siamo guardati con la stessa espressione tra l’idiota e
l’amareggiato che hanno i lettori quando si stanno
domandando, con un libro appena comprato in mano, “ma chi e
perché ha pubblicato ciò?”. Ora, per ricreare la nostra stessa
situazione di partenza, ecco anche per voi, amici lettori, le
prime righe del racconto di Wolff. Ci si rivedrà tra qualche riga
per scambiarci le prime impressioni:
Una pallottola nel cervello
Anders non riuscì ad arrivare in banca che qualche istante
prima della chiusura, ragion per cui ovviamente c'era una fila
che non finiva più e lui si ritrovò blocato dietro due donne la
cui stupida e rumorosa conversazione gli urtò subito i nervi. In
ogni caso, la sua disposizione d'animo non era mai delle
migliori. Anders era un critico letterario noto per l'elegante e
noncurante ferocia con cui stroncava qualsiasi libro gli
capitasse di recensire.
Con una coda che ancora doppiava il corrimano, uno
dei cassieri, una donna, espose la targhetta CHIUSO davanti al
suo sportello e si ritirò in fondo alla banca, si appoggiò a una
scrivania e iniziò a chiacchierare animatamente con un altro
impiegato che intanto maneggiava delle carte. Le due donne
davanti ad Anders interruppero la conversazione e guardarono
con odio la cassiera. - Oh, gentile la signorina, - disse una. Poi
si girò verso Anders e aggiunse, sicura del suo appoggio: -
Ecco un esempio di quella cortesia per cui questa banca va
famosa.
Anders aveva sviluppato un suo personale e
violentissimo odio verso la cassiera, ma immediatamente lo
rivolse sulla presuntuosa e piagnucolosa donnetta davanti a lui.
– Oh, in che mondo viviamo, - disse. - Quante tragiche
ingiustizie! Se non ti amputano la gamba sbagliata, se non ti
bombardano il paesello natio, ti chiudono lo sportello sotto il
naso!
Lei non si lasciò scoraggiare. - Non ho detto che era una
tragedia - ribatté. - Dico solo che è un pessimo modo di trattare
i clienti.
È imperdonabile - rimbeccò Anders. - In Cielo ne
prenderanno nota.
Il ritmo e il movimento nel primo atto
Ecco, quella che avete adesso è proprio la stessa espressione
nebbiosa che Paolo Restuccia e io abbiamo avuto nel febbraio
2001 dopo aver letto l’incipit del racconto di Wollf. Perché ci
troviamo in questo stato? Perché il movimento del primo atto è
dominato da una fiacchezza di senso disarmante. I personaggi
sono costretti all’immobilismo tipico di una fila che non scorre
per il cattivo servizio di una banca. Ci viene riferita dall’autore,
in terza persona, la solita sequenza di scaramucce verbali che si
sviluppano in queste situazioni di stress. Solo uno scrittore che
sa quanto forte sarà lo sviluppo del suo racconto può rischiare
un attacco così flebile nei confronti del lettore. Lettore che
continua a leggere, e così facemmo io e Paolo, solo sulla
fiducia. Fiducia nel nostro collaboratore e pure, bisogna
confessarlo, nell’Einaudi che ha pubblicato il libro. Un lettore
comune non può credere che la storia che hanno pubblicato e
che sta leggendo sia solo in quello che sta scorrendo sotto i
suoi occhi, ormai già da qualche riga. E però non c’è nessun
segnale di sviluppo possibile. Solo un colpo esterno potrebbe
sollevarne l’interesse. D’altronde il racconto non si intitola
Una pallottola nel cervello? Ma il ritmo finora è blando e
senza scossoni. Arriviamo persino a chiederci stizziti se la
pallottola nel cervello non ce l’abbia per caso chi ha scritto il
racconto. Per sperare in migliori sviluppi futuri della storia ci
attacchiamo come disperati ad alcuni indizi che Wolff ci
mostra. L’autore spende diversi periodi, descrittivi e ritardanti
l’avvio della storia, per ritrarre il carattere indisponente di
Anders (“la sua disposizione d’animo non era mai delle
migliori”) e i tic professionali tipici del suo mestiere (“era un
critico letterario noto per l’elegante e noncurante ferocia con
cui stroncava qualsiasi libro gli capitasse di recensire”). Queste
sono le sole note originali dell’inizio che possano far sperare in
uno scarto drammatico. Davvero poca roba. Troppo poca per
esser vera. E allora? C’era il rischio concreto che per una volta
Paolo Restuccia rispedisse al mittente l’articolo di un nostro
collaboratore di valore. Comunque ci siamo rituffati con
coraggio nel racconto di Wolff come farete voi adesso. Ci si
rivede alla fine del secondo atto.
…Una pallottola nel cervello
Lei si succhiò le guance, ma fissò lo sguardo oltre le
spalle di lui e non disse niente. Anders si accorse che l'altra, la
sua amica, stava sbarrando gli occhi guardando nella medesima
direzione. E a quel punto i cassieri interruppero ciò che stavano
facendo, e i clienti piano piano si girarono tutti e il silenzio
calò nella banca. Due uomini che indossavano impeccabili abiti
blu e avevano passamontagna neri in testa si erano piazzati ai
lati della porta. Uno dei due rapinatori teneva una pistola
premuta contro la nuca dell'agente della vigilanza. L'agente
aveva gli occhi chiusi, e le labbra gli tremavano. L'altro
rapinatore era armato con un fucile a canna mozza. - Zitti! gridò l'uomo con la pistola, benché nessuno avesse fiatato. - Se
solo uno di voi cassieri si azzarda a premere l'allarme, qui siete
tutti carne morta. Afferrato l'idea?
I cassieri annuirono.
- Ma bravo! - disse Anders. - Carne morta Si girò verso la donna che gli stava davanti.
- Magnifica sceneggiatura, eh? Ecco la dura poesia delle
classi socialmente pericolose che ti colpisce come un tirapugni.
La donna lo guardò con gli occhi dilatati.
Quello col fucile a canna mozza diede uno spintone
all'agente costringendolo a inginocchiarsi. Passò il fucile al suo
compagno e con uno strattone afferrò i polsi dell'agente, gli tirò
le braccia dietro la schiena e gli bloccò le mani con un paio di
manette. Poi lo fece ruzzolare a terra con un calcio fra le
costole. Riprese il fucile e si avvicinò alla porta di sicurezza in
fondo al banco. Era un uomo basso e pesante, si muoveva con
particolare lentezza, quasi torpidamente. - Apritegli! - gridò il
suo compare. Il rapinatore col fucile varcò la porta di sicurezza
e lentamente passò davanti ai vari cassieri, porgendo a ciascuno
di essi una busta di plastica. Quando arrivò davanti allo
sportello vuoto, lanciò un'occhiata a quello con la pistola, il
quale disse:
- Di chi è quel posto?
Anders guardò la cassiera. Lei si portò una mano alla
gola e si girò verso l'uomo con cui prima chiacchierava. Lui
annuì. - Mio, - disse lei.
- E allora muoviti culona e riempi la borsa.
- Ecco - disse Anders alla donna davanti a lui - giustizia
è fatta.
- Ehi! Furbone! T'ho detto forse di parlare?
- No - disse Anders.
- Allora chiudi quella fogna.
- Sentito? - disse Anders. - «Furbone». È una battuta de
I Killer.
- Per l'amor di Dio, stia zitto, - gli disse la donna.
Ehi, tu, sei sordo o cosa? - L'uomo con la pistola si
avvicinò ad Anders e gli piantò l'arma nella pancia.
- Pensi che gioco?
- No - rispose Anders, ma la canna della pistola gli
faceva il solletico come fosse un ditone puntato e gli venne la
ridarella. Per bloccarla si costrinse a fissare il rapinatore negli
occhi, che erano chiaramente visibili dietro i buchi del
passamontagna: azzurro pallido, cerchiati di rosso, infiammati.
Gli batteva la palpebra destra. L'uomo alitò una zaffata
penetrante come ammoniaca che sconvolse Anders più di tutto
quanto era successo fino a quel momento, e avvertì un acuto
disagio quando quello lo pungolò di nuovo con la pistola.
- Ti piaccio, furbone? - gli disse. - Hai voglia di
ciucciarmi l'uccello?
- No - disse Anders.
- Allora piantala di allumare.
Anders si mise a guardare le scarpe del rapinatore, erano
lucide con la mascherina lunga.
- Non giù. Su! - Gli ficcò la pistola sotto il mento e spinse
verso l'alto finché Anders non ebbe gli occhi rivolti al soffitto.
Il ritmo e il movimento nel secondo atto
Adesso farvi riemergere dalla lettura è proprio un colpo
basso. Il ritmo e il movimento del racconto hanno preso il
sopravvento su ogni scetticismo iniziale. E in effetti dall’inizio
della rapina in poi Paolo e io procedemmo velocissimi nella
lettura, correndo rapidi incontro al finale. Cosa è successo di
così eclatante nell’esposizione del racconto? Il ritmo del
racconto si fa concitato e viene accelerato di botto dall’arrivo
improvviso di due rapinatori. Il nostro Anders non abbandona
il suo atteggiamento caustico e distaccato neppure in presenza
dei due criminali. E qui il movimento del racconto raggiunge di
colpo un apice di tensione molto forte. Il lettore teme per la
vita di Anders e spera che riesca a dominare il suo sistema
“linguistico” di sputasentenze per non vederlo incappare nelle
reazioni incontrollate di rapinatori pronti a tutto. Il ritmo si fa
serrato e il movimento frenetico. Il periodare si essicca e si
scandisce su un’andatura molto abbreviata rispetto all’incipit.
L’esposizione del testo si fa tesa per una serie di scene che
riprendono azioni e dialoghi di tono violento. Ma il senso dello
svolgimento del racconto viene inceppato da Anders che non
riesce a smettere il punto di vista del critico letterario e i suoi
atteggiamenti da recensore perpetuo. Infatti, coerentemente col
suo sferzante sguardo analitico, Anders giudica le frasi del
rapinatore come dozzinali e rubate a vecchie sceneggiature di
film di serie B.
È straordinario che il ritmo continui velocissimo nei tempi
esagitati di una rapina mentre intanto Anders ne fraziona e ne
ritarda l’andamento con una spinta di anticlimax devastante per
lui, ma anche per la storia che scorre. L’effetto è tragicomico.
Si va pericolosamente verso un “controsenso” che non
promette, per Anders, nulla di buono. Il movimento si inceppa,
e quando questo accade di regola si sorride. Ma qui si sorride
con gli occhi dilatati dalla paura. Perché il clima del racconto è
comunque di taglio realistico.
E ora dritti filati verso il terzo atto. Tutti sperando
assurdamente nella salvezza del protagonista, Anders, che, con
tutta la carica dell’antipatia da critico letterario dell’universo
mondo che si ritrova, alla fine è riuscito a generare in noi
comunque un’attrazione autentica per la sua verità narrativa.
…Una pallottola nel cervello
Anders non aveva mai prestato molta attenzione a quella
parte della banca, un vecchio pomposo salone coi pavimenti,
gli sportelli e i pilastri di marmo, e una decorazione di ricci
dorati sopra gli sportelli dei cassieri. Il soffitto a cupola era
affrescato con delle figure mitologiche alla cui bruttezza
polputa e togata Anders aveva rivolto un'occhiata molti anni
prima e dopo di allora aveva sempre evitato di osservare.
Adesso non aveva altra scelta che esaminare attentamente
l'opera del pittore. Era persino peggiore di quanto ricordasse,
intrisa della solennità più falsa e ridondante. L'artista
conosceva due o tre trucchi del mestiere e li usava e li riusava
senza misura, il rosa della parte bassa delle nuvole aveva una
certa freschezza, amorini e fauni non lesinavano sguardi schivi
ed esitanti. Il soffitto era gremito di scene drammatiche; quella
che attirò l'attenzione di Anders raffigurava Zeus ed Europa,
che il pittore rappresentava con un toro che adocchiava una
giumenta di là da un mucchio di fieno. Per rendere sensuale la
giumenta, il pittore le aveva smussato i fianchi in maniera
suggestiva e aveva munito gli occhi di lunghe ciglia socchiuse
dalle quali essa contemplava il toro con appassionato
gradimento. Il toro aveva l'aria compiaciuta e le sopracciglia
inarcate. Se ci fosse stato un fumetto che gli usciva dalla bocca,
dentro ci sarebbe stato scritto: «Hurrah».
- Di che ghigni, furbone?
- Di niente.
- Pensi che sono comico? Pensi che sono una specie di
pagliaccio?
- No.
- Pensi che mi puoi prendere per il culo?
- No.
- Tu prendimi per il culo, e diventi storia. Capischi?
Anders scoppiò a ridere. Si coprì la bocca con entrambe le
mani e disse: - Scusa, scusa - e dopo sbuffò fra le dita senza
potersi più trattenere e ripeté: - Capischi! Oh, Dio, capischi, e fu a quel punto che l'uomo con la pistola alzò l'arma e gli
sparò dritto nella testa.
Il ritmo e il movimento nel terzo atto e nel primo
finale
Eccolo là. È successo. Il nostro Anders è andato fino in
fondo. Non si è fermato neanche sotto la minaccia di una
pistola. In realtà era lui che con la sua visione critica del
mondo teneva sotto scacco i rapinatori e tutti gli altri.
Compresi noi lettori. E ci dispiace che sia finita qui. Anche
perché come vecchi voyeur implacabili speravamo che la scena
di tensione parossistica tra Anders e i rapinatori durasse di più
e presentasse altre varianti con situazioni di tortura psicologica.
Ma non è questo l’intento di Wolff e lo vedremo. Il suo non
vuole essere un racconto centrato sul confronto sadico tra
violenza fisica e violenza intellettuale. O almeno non un
racconto che parla solo di quello. In questo terzo atto il
massimo dell’anticlimax avviene quando il nostro Anders con
la pistola puntata sotto il mento è costretto a guardare il soffitto
a cupola della banca. La descrizione, attraverso il suo sguardo
di critico, fa sì che l’azione della rapina svanisca ai suoi come
ai nostri occhi di lettori. E il risultato finale è la fuoriuscita di
un sogghigno da parte di Anders, divertito dallo scarso livello
artistico dell’affresco sul soffitto, che in verità è più simile al
soggetto di un fumetto che a un affresco. Il sogghigno si
sprigiona dalla faccia di Anders come fosse un colpo di pistola.
Il rapinatore colpito si incazza a morte, gli spara e lo ammazza.
Il movimento del racconto qui sarebbe finito e con esso il ritmo
visto che Anders è morto. Ma è adesso che Tobias Wollf
compie il suo capolavoro trasformando il ritmo e il movimento
della deflagrazione nel cervello di Anders in un racconto di una
intensità e di una potenza visionaria davvero uniche. Le parole
viaggiano a ritroso nel tempo alla velocità di una pallottola e
alla fine centrano una frase che diventa poesia e che fa
diventare pura lirica l’intera vita del personaggio Anders. Ci
rivediamo più in là con lo sguardo offuscato di lacrime.
…Una pallottola nel cervello
La pallottola fracassò il cranio di Anders, attraversò il cervello,
e uscì dietro l'orecchio destro, spargendo scaglie d'osso nella
corteccia cerebrale, nel corpo calloso, indietro verso i gangli
basali, e in basso fino all'ipotalamo. Ma prima che tutto ciò
accadesse, l'ingresso della pallottola nel cervello innescò una
crepitante catena di trasferimenti di ioni e di neurotrasmissioni.
A causa della sua peculiare origine, questo processo seguì un
tracciato peculiare, riportando casualmente in vita un
pomeriggio estivo di circa quarant'anni prima, che non era mai
stato richiamato alla memoria. Penetrata nel cranio, la
pallottola continuò ad avanzare a una velocità inferiore ai 300
metri al secondo, un ritmo pateticamente lento, degno di un
ghiacciaio, almeno rispetto all'attività frenetica delle sinapsi
attorno al proiettile. Una volta nel cervello, cioè, la pallottola
entrò nel tempo cerebrale, il che diede ad Anders tutto l'agio di
contemplare la scena che, con una frase che lui avrebbe
aborrito, «gli passò davanti agli occhi».
Stabilito che cosa Anders ricordò, occorre forse notare tutto
quello che invece non ricordò. Non si ricordò del primo amore,
Sherry, o di ciò che più di tutto in lei lo aveva fatto impazzire,
prima di piacere, poi di rabbia: la sensualità totalmente
disinibita e specialmente il tono amichevole con cui alludeva al
suo pene, da lei ribattezzato Signor Talpa, snocciolando frasi
come «Ohò, il signor Talpa ha voglia di giocare», o «Vediamo
dove va a nascondersi il signor Talpa!» Anders non si ricordò
di sua moglie, che pure aveva molto amato prima che lei lo
sfinisse con la sua prevedibilità, o di sua figlia, ormai
un’accigliata professoressa di Economia a Dartmouth. Non si
ricordò di quando restava dietro la porta della camera di sua
figlia ad ascoltarla mentre rimbrottava l'orsacchiotto dicendogli
che era stato cattivo e descrivendogli le punizioni davvero
raccapriccianti che avrebbe ricevuto se non si decideva a filare
dritto. Non si ricordò nemmeno uno delle centinaia di versi che
aveva imparato a memoria in gioventù, così da potersi far
venire i brividi a comando: «Silenzioso, in cima a una vetta nel
Darien», o «Mio Dio, ho sentito parlare di questo giorno» o
«Tutti i miei cari? Tutti, dici? Oh, crudele! Tutti?» Non si
ricordò di nessuno di questi versi Anders. Non si ricordò della
madre che in punto di morte, parlando del padre, aveva detto: Avrei dovuto pugnalarlo nel sonno.
Non si ricordò del professor Josephs che raccontava ai suoi
studenti come i prigionieri ateniesi in Sicilia fossero stati
liberati se erano capaci di recitare Eschilo, e poi si metteva lì a
recitare Eschilo lui stesso, in greco antico. Anders non ricordò
di come si era sentito pizzicare gli occhi al suono di quelle
parole. Non si ricordò della sorpresa che aveva provato
vedendo il nome di un ex compagno di università sulla
copertina di un romanzo, non molto tempo dopo che si erano
laureati, o il rispetto che aveva provato dopo aver letto quel
libro. Non si ricordò del piacere di provare rispetto per
qualcuno.
E neanche si ricordò di una donna che aveva visto suicidarsi
buttandosi da una finestra del palazzo dirimpetto al suo pochi
giorni dopo la nascita di sua figlia. Non si ricordò di aver
gridato: «Signore, abbi pietà! » Non si ricordò di aver mandato
a bella posta l'auto di suo padre a sbattere contro un albero, o di
essere stato preso a calci nelle costole da tre poliziotti durante
una manifestazione contro la guerra, o di quella volta che si era
svegliato ridendo. Non si ricordò di quando aveva cominciato a
guardare le pile di libri sulla sua scrivania con un misto di noia
e paura, o di quando aveva cominciato a odiare coloro che li
avevano scritti. Non si ricordò di quando tutto quanto aveva
cominciato a ricordargli qualche altra cosa.
Ecco cosa ricordò Anders. Caldo. Un campo di baseball.
Dell'erba gialla, il ronzio degli insetti, lui appoggiato a un
albero mentre i ragazzi del quartiere si radunano per una
partita. Li guarda mentre litigano sulla superiorità del genio di
Mantle o di Mays. È tutta l'estate che dibattono questo tema,
l'argomento è diventato noioso per Anders: opprimente, come
il caldo. Poi arrivano gli ultimi due ragazzi, Coyle e un suo
cugino arrivato dal Mississippi. Anders non ha mai incontrato
il cugino di Coyle prima e non lo vedrà mai più. Gli dice ciao
come fanno tutti gli altri ma poi non fa più caso a lui almeno
finché non hanno diviso il campo e qualcuno chiede al cugino
di Coyle in quale posizione vuole giocare. - Interbase, - dice il
ragazzo. - Interbase è la posizione migliore che ci sono -.
Anders si gira a guardarlo. Vorrebbe sentire il cugino di Coyle
ripetere la frase che ha appena detto, ma è abbastanza sveglio
da capire che è meglio non chiederglielo. Gli altri penserebbero
che fa il cretino, che prende in giro il ragazzo per il suo errore
di grammatica. Ma non è questo, proprio no. È che Anders è
stranamente eccitato, euforico, per quelle tre parole finali, così
totalmente inaspettate, così musicali. Prende il suo posto in
campo come in trance, ripetendole fra sé e sé.
La pallottola è già nel cervello; l'attività cerebrale non potrà
continuare in eterno a superarla in velocità, e niente la fermerà
per incanto. Essa deve seguire la sua traiettoria e uscire dal
cranio trascinando come una cometa la sua coda di memorie, di
speranze, di talento e di amore, nel salone di marmo della
banca. Non ci si può fare niente. Ma per il momento Anders
può ancora avere tempo. Tempo per le ombre che si allungano
sull'erba, tempo perché il cane legato alla catena abbai alla
palla che vola, tempo perché il ragazzo nel campo di destra
picchi la mano nel guanto da baseball annerito dal sudore e
ripeta sommessamente come una cantilena: «La migliore
posizione che ci sono, la migliore posizione che ci sono».
Il ritmo e il movimento nella coda
Beh, alla fine della lettura Paolo e io eravamo proprio
emozionati. Così come credo siate voi adesso, nonostante
questa lettura guidata e frazionata. Felici di aver letto un
grande racconto. Specialmente perché all’inizio aveva finto
così bene di raccontare cose di poco conto. Ma il titolo, Una
pallottola nel cervello, era lì apposta per invitarci a continuare.
Lo scrittore Tobias Wolff nel racconto riesce a dedicare al
personaggio di Anders i momenti più belli e inaspettati della
sua vita di critico nel lasso di tempo che la pallottola impiega
per attraversargli il cervello. Il ritmo diventa quello di un altro
racconto. Il senso pure. Si sta volando sul passaggio
deflagrante della pallottola (come nel volo del barone di
Münchausen a cavallo della palla di cannone) sopra i pensieri
più importanti della vita di Anders. I suoi ricordi più intensi si
accavallano e si elidono veloci, diventano la negazione del
ricordo; un’elencazione di non ricordi. Di tutta una vita di
memorie e fatti autobiografici salienti resta soltanto una scena
estiva rimandata dall’infanzia verso l’età adulta, in questa
assurda morte sul pavimento di marmo di una banca. Il
movimento del racconto si fa epico per lo scarto tra la fine
impietosa e pubblica di Anders e la sua attività mnemonica
solitaria che solo lui e il lettore possono seguire. Il ritmo
diventa quello ripetuto di una cantilena mantrica impostata sul
non ricordo. E si arriva all’ultima frase che è replicata come
avesse il valore di un verso poetico (che a me chissà perché
ricorda vagamente per il non sense l’assurdo titolo del
Ricevitore nella segale, The Catcher in the Rye, il pescatore
nella segale, del Giovane Holden di John D. Salinger)
nell’ultimo riflesso percepibile della mente di Anders “La
migliore posizione che ci sono, la migliore posizione che ci
sono”. La sua vita e il suo racconto finiscono come uno scherzo
del destino “insieme con” e “attraverso” un refuso.
Meraviglioso percorso di un ritmo e di un senso colpiti a morte
dalla pallottola di un criminale da strapazzo. Un ritmo e un
senso morti ridacchiando all’infinito su tutti gli errori e i refusi
del mondo. Tutte queste cose Paolo, io e naturalmente il nostro
redattore Fabio Cozzi le abbiamo fatte presenti a Tobias Wolff
in persona il 10 febbraio 2003 quando l’autore di Una
pallottola nel cervello è stato protagonista di un incontro
organizzato dalla Scuola Omero insieme alla Casa delle
letterature del Comune di Roma. E Tobias Wolff, autore
stimatissimo dal grande Raymond Carver, quello stesso Wolff
docente di scrittura creativa alla Stanford University e scrittore
con ben tre racconti inseriti nelle antologie della serie Best
American Short Stories, beh Tobias Wolff sorrise
delicatamente sotto i baffi bianchi dicendo in stentato italiano
“Capischio, capischio…”.
Ecco gli esercizi
Esercizio 1
Prendiamo spunto dallo splendido finale del racconto Una
pallottola nel cervello per eseguire il primo esercizio del corso
sul ritmo e movimento. Per la prossima volta proviamo a
raccontare una scena di grande rapidità e intensità, fisica ed
emotiva, spostando da un certo punto in poi il senso del
racconto, e di conseguenza anche il suo ritmo e il suo
movimento, in una direzione molto diversa dall’avvio.
Mi spiego meglio: immaginiamo una scena che vede un
furioso alterco tra coniugi, fatto di battute cattive, lancio di
oggetti e altro. D’improvviso, tramite una luce particolare, un
suono lontano, insomma un dettaglio sensoriale, dovete fornire
i presupposti, per uno solo dei personaggi attivi nella scena, di
creare un’associazione mentale interna. Seguendo l’input di
quell’associazione mentale il litigio sparisce o si allontana dal
personaggio e quindi dal racconto e la narrazione si sposta
all’interno dei pensieri e delle emozioni del personaggio stesso.
Prima di scrivere il pezzo vi consiglio di rileggere l’ultima
parte del racconto di Wolff per entrare già in un clima filtrato e
molto interno a un personaggio. Il componimento da realizzare
deve essere lungo minimo 30 righe, massimo 60 (ogni riga 60
battute) ed è importante, per la sua migliore riuscita, che
facciate cadere la scelta su un’azione rappresentata in un punto
di acme emotivo e fisico: un atleta visto nel massimo sforzo
agonistico; un inseguimento con sparatoria; una persona che
assiste a una scena violenta; una ballerina nel pieno della sua
performance; una prova per un lavoro importante; ecc.
Una volta decisa la scena da raccontare e il contesto,
bisogna descrivere la scena nel suo andamento agitato per poi
trovare quell’elemento giusto che faccia scoccare nel
personaggio il suo allontanamento psicologico dall’azione
vissuta. Ovviamente si tratta di scrivere solo una scena,
integralmente o parzialmente, e non un racconto finito.
L’esercizio è importante per testare la capacità di coordinare e
tenere insieme più ritmi e movimenti in un’unica storia.
Esercizio 2
Per 20 righe (sempre da circa 60 battute l’una)
cambiate il punto di vista del personaggio che guarda il soffitto
affrescato della banca nel racconto Una pallottola nel cervello.
Insomma, provate a passare la narrazione da Anders al
rapinatore. In questo modo sarà il rapinatore a guardare il
soffitto e a far girare i suoi pensieri sui contorni di quello stesso
affresco. Col suo linguaggio e col suo carattere, naturalmente.
Per far questo bisognerà allontanarsi dal ritmo e dal movimento
prolisso ed estetizzante di Anders e andare verso quello
sovreccitato, esagitato e gergale del rapinatore. Le immagini e i
pensieri del criminale si possono riportare sia in terza che in
prima persona. L’esercizio è importante per il livello di
immedesimazione, ritmica e di senso, che si riesce a trovare
con un personaggio diverso da quelli già “sfruttati” nel
racconto.
Nelle prime due lezioni del corso si lavorerà soltanto sulle
composizioni assegnate. Dalla terza lezione in poi lavorerete
sull’incipit di un vostro nuovo racconto.
Programma del corso sviluppato in 10
lezioni
Lezione 1
Prime definizioni di ritmo. Prime definizioni di
movimento. Ritmo e movimento nel
racconto Una pallottola nel cervello di Tobias
Wollf.
Esercizi 1 e 2 Composizioni con cambi di ritmo e
di senso
Lezione 2
Ritmo e movimento nella descrizione. Ritmo e
movimento nei racconti La
cena di Clarice Lispector e La morte non è la fine di
David Foster Wallace.
Esercizio 3
Scrivere un brano di pura
descrizione
Lezione 3
Ritmo e movimento nel dialogo - prima parte. Ritmo
e movimento nei racconti Due
amici di Guy de Maupassant, La cintura da ufficiale
di Sergej Dovlatov, Una vera
bambola di A. M. Homes e nel romanzo di Jerzy
Kosinski Oltre il giardino.
Esercizio 4 Duellare con i dialoghi famosi della
letteratura
Esercizio 5 Gli oggetti ci parlano
Inizio stesura racconto
Lezione 4
Ritmo e movimento nel dialogo – seconda parte.
Ritmo e movimento nel racconto La
mia vita in un casino del Texas di Charles Bukowski,
nella poesia epica de La maschera di
scimmia di Dorothy Porter, nel romanzo Vita e
opinioni di Tristram Shandy di Laurence
Sterne, nel romanzo epistolare Le relazioni
pericolose di Pierre Choderlos de Laclos,
Esercizio 6
Scegliere due dialoghi tra quelli
presenti nella quarta lezione e proseguirli per
una ventina di battute
Esercizio 7 Trasformare lo scambio epistolare
dei protagonisti de “Le relazioni pericolose”
in un botta e risposta via e mail
Continuare il racconto
Lezione 5
Ritmo e movimento nel monologo. Ritmo e movimento nei
romanzi Il male oscuro di Giuseppe Berto, Almost blue di
Carlo Lucarelli, Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, 54 di
Wu Ming, nella raccolta di finte interviste Brevi interviste con
uomini schifosi di David Foster Wallace.
Esercizio 8 Scrittura di “prima intensità” di un monologo
Continuare il racconto
Lezione 6
Ritmo e movimento nel racconto fantastico-surreale. Ritmo
e movimento nel racconto Un incrocio di Franz Kafka, nel
racconto epistolare Lettera a una signorina a Parigi di Julio
Cortázar.
Esercizio 9 Scrivere due incipit di massimo 10 righe per
due possibili racconti fantastici.
Esercizio 10 Inventare un animale fantastico
ispirandosi agli esempi
riportati nella sesta lezione e riguardanti gli zoo
fantastici scritti da Jorge
Luis Borges, Marco Papa e Massimo Mongai.
Continuare il racconto
Lezione 7
Ritmo e movimento nell’uso delle parole. Ritmo e
movimento nel racconto La passeggiata di Tommaso Landolfi,
nel romanzo Il gioco del mondo di Julio Cortázar, negli
Esercizi di stile di Raymond Queneau, nella traduzione degli
Esercizi di stile di Umberto Eco.
Esercizio 11 Descrivere una scena forte, sia dal punto di
vista drammatico che dell’impatto visivo, utilizzando una
lingua inventata da voi, una specie di grammelot o di glíglico.
Finire il racconto