leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri

Transcript

leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri
leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri
http://www.10righedailibri.it
TIF EXTRA
Larissa Ione
Il cavaliere letale
romanzo
Traduzione dall’inglese di Andrea Bruno
FANUCCI EDITORE
Della stessa autrice abbiamo pubblicato:
Serie I Cavalieri della Libertà:
Il Cavaliere eterno
Il Cavaliere immortale
Dal catalogo Leggereditore
Serie Demonica:
Brivido eterno
Desiderio eterno
Passione eterna
Prima edizione: aprile 2013
Titolo originale: Lethal Rider
© 2012 by Larissa Ione Estell
© 2013 by Fanucci Editore
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384 – email: [email protected]
Indirizzo internet: www.fanucci.it
Published in agreement with the author,
c/o baror international, inc., Armonk, New York, u.s.a.
Proprietà letteraria e artistica riservata
Stampato in Italia – Printed in Italy
Tutti i diritti riservati
Progetto grafico: Grafica Effe
Larissa Ione
Il cavaliere letale
romanzo
Traduzione dall’inglese di Andrea Bruno
FANUCCI EDITORE
«Non è compito mio farti stare meglio dopo quello che hai
fatto, Regan.»
Le parole di Thanatos le piovvero addosso come pugni,
ma lei non indietreggiò.
«Hai mai voluto non prendere la via di fuga più facile?»
La mise contro il muro con una mossa rapida, fluida; il vi­
so contro il suo, gli occhi brucianti di rimpianto. «Credi che
la mia vita sia stata facile? Hai mai visto tutti gli abitanti del
villaggio in cui sei cresciuta morire per mano dei demoni?
Hai ucciso l’uomo che chiamavi padre perché la morte e la di­
struzione causata da quegli stessi demoni ti avevano fatto im­
pazzire? Hai mai visto così tanti massacri causati da così tante
guerre una sull’altra, che sembrano quasi fondersi insieme?
No? E allora, finché non ti sarà successo, non venire a parlarmi
di cose facili.» Non seppe spiegarsi il perché di quello che fece
dopo. Forse perché il dolore di lui era così vivido nella sua
mente. Forse perché sentire contro di sé il corpo duro di lui era
così bello. Forse perché la sua bocca era così vicina. Qualun­
que ragione fosse, le fece fare qualcosa che li lasciò entrambi
stupefatti.
Lo baciò.
7
1
Regan Matthews stava per morire.
Lo sapeva com’era certa che il cielo fosse blu. Lo sapeva co­
m’era certa che il bambino che portava in grembo era un ma­
schio. Lo sapeva com’era certa che sarebbe stato il padre del
bambino a mettere fine alla sua vita. Tra le urla, si stese lunga
sul letto e fissò il bagliore della lucetta notturna del bagno. Ci
volle un secondo perché capisse di essere sveglia, sana e salva
nel quartier generale dell’Aegis a Berlino.
Aveva fatto di nuovo quel sogno, quello dove si vedeva sdra­
iata sul pavimento coperta del suo stesso sangue, troppo san­
gue. Thanatos, per la maggior parte degli esseri umani Morte,
quarto Cavaliere dell’Apocalisse, s’inginocchiava accanto a
lei, con il sangue che gli tingeva le mani, colava dai suoi capelli
chiari e schizzava sull’armatura di osso.
Fece un respiro profondo, rilassante, obbligandosi a rima­
nere calma. Thanatos non poteva toccarla. Non lì, nel comples­
so residenziale sotterraneo dell’edificio del quartier generale
che ospitava i dodici Anziani alla guida dell’antica organiz­
zazione di cacciatori di demoni. La maggior parte di loro u­
sava i propri appartamenti solo quando veniva in Germania
per questioni riguardanti l’Aegis, ma per anni Regan aveva
considerato quello spartano appartamento casa sua; e ben­
ché dovesse partorire entro un mese, non aveva predisposto
nulla per l’arrivo del bambino. Non ci sarebbero stati addob­
bi, nessun giocattolo, nessuna culla.
9
E comunque, aveva sempre odiato i colori pastello.
La sua mano, così gonfia per la gravidanza da impedirle di
portare l’anello del Sigillo, tremò quando, sfregando il cotone
della camicia da notte, si toccò la pancia sperando che il bam­
bino stesse dormendo. Scalciava come un dannato, e i suoi
organi si stavano ancora riprendendo dall’ultimo round.
Annaspò nel buio alla ricerca della lampada sul comodino.
La sua mano si posò prima sul pugnale Aegis bagnato nella
saliva di segugio infernale che tutti i dodici Anziani dovevano
avere per difendersi dai malvagi Cavalieri, e poi sul pezzo di
pergamena vicino alla lampada. Si concesse un momento per
passare le dita sull’inchiostro delle lettere. Le parole latine e­
rano una sorta di preghiera, ma non era per quello che Regan
vi trovava conforto.
No. Grazie alle sue doti di empatia psicometrica, poteva
indovinare alcune informazioni con il tatto, o meglio, sentire
le emozioni della persona che aveva inchiostrato la perga­
mena. Quel preciso punto del testo era stato scritto quando
l’autore era sereno. Per anni, Regan aveva tenuto con sé la
pagina, prendendo in prestito le emozioni che recava come
una specie di vampiro psichico, e negli ultimi mesi ne aveva
avuto più bisogno che mai.
Con un Cavaliere diventato malvagio e il suo Sigillo infran­
to, come nella profezia contenuta nella Daemonica, la Bibbia
dei demoni, la Terra stava scivolando nel caos. L’Apocalisse
non si annunciava certo come una festa, ma Regan si doman­
dava spesso se non sarebbe stato meglio se si fossero trovati
a fronteggiare la profezia della Bibbia. Perlomeno, nella ver­
sione biblica i Cavalieri avrebbero combattuto dalla parte del
bene e non per il male.
Ma era solo parte del motivo per cui aveva avuto bisogno
della pergamena. Il rimorso per quello che aveva fatto a Tha­
natos la stava divorando, e sebbene se lo meritasse, per il be­
ne del bambino doveva trovare un po’ di pace dove poteva.
Lasciò che la pergamena la calmasse per altri trenta se­
condi, grata di possederla. L’ultima pagina di un minuscolo
volume miniato da un angelo che aveva dato la propria vita
per salvare un Guardiano: era più che inestimabile. Per anni
10
i compagni Anziani di Regan avevano insistito perché se ne
liberasse, ma avrebbero dovuto aspettare. Non ci avrebbe ri­
nunciato fino alla morte.
Che sarebbe potuta avvenire prima di quanto lei avrebbe
voluto, se Thanatos l’avesse scovata.
Sollevò le dita dalla pergamena, ma prima di trovare l’in­
terruttore della lampada un rumore la paralizzò. Non era un
rumore forte, tanto che pensò fosse un’eco di passi nella sua
testa. Ma non poteva ignorare il ticchettio di avvertimento
che filtrò nel suo sistema, un allarme interno che non aveva
senso.
Nessun posto al mondo era più sicuro di quello in cui si
trovava in quel momento.
Eppure, si ritrovò a stringere il pugnale e a scivolare fuo­
ri dal letto. Con il battito del cuore martellante, attraversò la
stanza con estrema lentezza e accostò l’orecchio alla porta.
Niente.
E allora perché il suo corpo era scosso da quella corrente
statica che la metteva in guardia da un pericolo?
Sei paranoica. L’incubo su Thanatos l’aveva spaventata più
del solito.
Dare una controllata, comunque, non era un male. Il suo i­
stinto di Guardiano non l’aveva mai tradita, e ne conosceva più
di uno che aveva pagato lo scotto per aver ignorato quell’istin­
to che diceva che qualcosa non andava.
Più in fretta e in silenzio che poteva, s’infilò una camicetta
premaman e un paio di pantaloni cachi, e si allacciò la cintura
per l’arma e il cellulare, modificata per la gravidanza. Non si
muoveva se non era armata. Aveva sostituito il pugnale con
uno stang, e in battaglia preferiva lo stang a forma di S con
doppio manico.
Stringendo l’arma nella mano così forte da avere le nocche
bianche, aprì la porta e scivolò nel corridoio. Ora che non porta­
va l’anello Aegis, che le avrebbe garantito un minimo di visione
notturna, l’oscurità, di solito sua amica, era uno svantaggio.
Regan si mise schiena al muro e si diresse verso l’inter­
ruttore, illuminato da una fioca luce verde. Ma quando lo
schiacciò, non accadde nulla.
11
«Solo una lampadina bruciata» sussurrò tra sé. L’avrebbe
ripetuto, ma un preoccupante dubbio si unì alla sensazione di
pericolo. Guardò indietro verso la sua stanza domandandosi
se la scelta più furba non fosse rientrare e chiudersi dentro,
ma... be’, se la minaccia era nel quartier generale dell’Aegis,
non si sarebbe fermata davanti a uno spesso strato di legno e
una serratura.
Inoltre aveva un’arma segreta, che le era stato vietato di u­
sare a meno che la vita del bambino non fosse stata in pericolo.
Avanzò lentamente, sudando freddo a ogni passo.
«Chi c’è?» Nessuna risposta, ma insomma, nessun demo­
ne avrebbe detto il suo nome volentieri.
Il bambino le aveva di sicuro rammollito il cervello, sem­
brava una di quelle poveracce dei film horror che vengono
uccise nei primi cinque minuti. Fantastico.
Le sembrò di vedere uno sfarfallio più in là, vicino all’en­
trata dell’auditorium. Ma dov’erano tutti? I Guardiani pattu­
gliavano l’edificio, si davano il cambio nell’enorme biblioteca
dove facevano ricerche, organizzavano operazioni di portata
mondiale. Quello era il centro nevralgico dell’Aegis, e non
era mai così tranquillo.
Si avvicinò e, quando raggiunse la porta, il suo piede scivo­
lò su qualcosa di caldo e umido. Lo stomaco ebbe un sussulto.
Non aveva bisogno di guardare per sapere che aveva messo
il piede sul sangue, non aveva bisogno di luce per capire che
quella sagoma scura contro il muro era un corpo.
Male. Proprio male.
Sentì un fruscio dietro di sé. L’istinto prese il sopravvento
e la spinse oltre le porte dell’auditorium. Era stato allestito
come una grande aula universitaria, con diverse file di sedie
e due scalinate. Regan si diresse più in fretta che poté verso
il palco in fondo. Se fosse riuscita a raggiungere l’uscita oltre
il palco, sarebbe sbucata vicino alla reception, dove avrebbe
potuto dare l’allarme.
Una macchia muta le sfrecciò dietro. Si girò, stang sguaina­
to e un’ondata bollente di adrenalina che le scorreva in corpo.
Due occhi rosso sangue la fissarono, e Regan avrebbe giurato
di aver sentito della saliva colare sul pavimento.
12
«Puttana.» Tuonò la voce profonda e maschile, e nel grem­
bo di Regan il bambino tirò un calcio.
«Non so chi sei,» disse Regan «ma fossi in te ci penserei
bene prima d’insultare un Guardiano a casa sua.»
Lo scroscio di una risata accompagnò uno schiocco di dita
e, all’improvviso, le luci dell’auditorium si accesero. Sul pal­
co con lei c’era un vampiro: un non-morto di quasi un metro
e novanta di stazza, munito di zanne. Il suo sguardo si posò
sulla pancia di lei.
«La verità non è un insulto.»
Regan ignorò la frecciata, un po’ troppo pungente.
«Chi sei? E come sei entrato?»
Regan aveva una mano sul ventre, come se potesse tenere il
bambino al sicuro. Idiota. Il pugnale nell’altra mano di certo
sarebbe stato più utile allo scopo, ma solo se fosse riuscita a
tagliare la testa a quel succhiasangue. Il vampiro fu così velo­
ce che Regan non si rese conto di nulla finché il movimento
non le arrivò alla guancia. Mentre veniva sbattuta al muro, il
dolore le rimbalzò dalla mascella allo zigomo e poi al cranio,
e la spalla sinistra assorbì gran parte dell’urto.
«Quando tu e il figlio bastardo del Cavaliere sarete morti,
non importerà chi sono io» sibilò il vampiro, con la saliva che
gli colava dalle enormi zanne come un cane rabbioso.
C’era qualcosa di... spento... in quel vampiro. Non che la mag­
gior parte dei vampiri non fosse ‘spenta’, ma Regan aveva no­
tato una sottile differenza tra i vampiri invulnerabili alla luce
di Thanatos e quelli notturni comuni. Nello specifico, i vampiri
di Thanatos erano più grandi, soprattutto le loro zanne.
«Sei al servizio di Thanatos, vero?»
«Non appartengo a nessuno. Non sono uno degli anima­
letti castrati di Bludrexe» ringhiò. Poi le si avvicinò, e mentre
lei sguainava lo stang perse l’equilibrio e riuscì solo a colpirlo
di striscio sul bicipite.
Il vampiro le agguantò la gola di scatto. Con un sorriso
freddo iniziò a stringere, mozzandole il respiro. Il panico atta­
nagliò Regan insieme alla mano del vampiro. Avrebbe potuto
salvarsi se non fosse stata incinta di nove mesi, ma sebbene
fosse riuscita a mantenere una forma eccellente, si stancava
13
in fretta e quel suo svantaggio ingiusto la rendeva più impac­
ciata.
Non poteva morire così. Non poteva far morire il bambino.
Ma quando i polmoni cominciarono a bruciarle per la man­
canza di ossigeno, si rese conto che quella poteva essere la
fine.
Annaspando per trovare anche una sola molecola d’aria,
riuscì a ritrovare quella dote che aveva sepolto nei suoi recessi
più profondi, che aveva tenuto a bada per gran parte della sua
esistenza. Quella dote di cui aveva perso il controllo la notte
che era rimasta incinta.
Non è il momento di pensarci.
Il fremito partì basso nelle sue viscere. Blandendolo come
si fa con un gattino randagio lo chiamò a sé, ma quello sem­
brò arretrare e da punto luminoso si trasformò in uno flebile
e malaticcio. Poi si spense del tutto. Ma che...
«Muori puttana» sibilò il vampiro.
Merda! Il suo potere... non riusciva a usarlo. All’improvvi­
so, senza ragione, il vampiro allentò la presa concedendole di
prendere fiato, e quando lui le sorrise si rese conto del perché
l’aveva fatto.
Per rendere più lenta la sua morte.
«Bastardo» stridette Regan. Si agganciò alle spalle del vam­
piro e lo prese a calci negli stinchi, ma lui non si smosse. Cercò
di nuovo di accedere al suo potere, che avrebbe trascinato l’a­
nima del vampiro fuori da lui, ma era come se non ci fosse più.
La sua mente rallentò, la sua lotta si affievolì, perché la priva­
zione di ossigeno stava prendendo il sopravvento.
La sua mente era percorsa da immagini, ma non quelle che
si sarebbe aspettata in punto di morte.
Le persone mentivano quando dicevano che la vita ti pas­
sa davanti prima di morire, perché lei vedeva solo Thanatos.
Regan si ricordò di quando era venuto, di come si era teso il
suo corpo, di come si erano contratti e mossi i suoi muscoli. Si
ricordò il suono della sua voce, la sua risata.
E si ricordò l’espressione che fece quando capì che lei l’a­
veva tradito.
Stava per morire, e sarebbe morta senza motivo.
14
Nel suo ventre il bambino scalciava, sempre più forte, co­
me se anche lui si rendesse conto che la fine era vicina.
«Percepisco la vita dentro di te,» le disse il vampiro con un
ghigno «e mi godrò la sensazione di sentirla mentre si spe­
gne.» La mano di lui andò verso il suo ventre e lei gridò nella
sua testa.
«Non potreste fare un po’ più di rumore, voi due?» Una vo­
ce sconosciuta si unì a quella nella sua mente e al pulsare nelle
sue orecchie, e in quel momento Regan sentì un soffio sulla
pelle.
Un istante dopo il vampiro volò di lato e lei fu liberata dalla
presa. Regan ebbe una frazione di secondo per vedere l’altro
vampiro che si era unito alla festa prima che questi la scagliasse
da una parte. Cadde a terra dietro il podio e rimase lì boccheg­
giando, e il nuovo arrivato, che Regan riconobbe come uno dei
servi invulnerabili alla luce di Thanatos, attaccò il vampiro che
aveva cercato di ucciderla.
Il nuovo arrivato sferrò un pugno in testa all’altro vampiro
e lo spedì barcollante contro il muro. Prima che quello riu­
scisse a riprendersi, il nuovo vampiro gli conficcò un paletto
di legno – dove l’avesse preso, Regan non ne aveva idea – nel
petto.
Mentre il suo corpo si anneriva e polverizzava, il primo
vampiro sibilò.
Il sopravvissuto zoppicò fino a Regan, con un misto di
furia e dolore negli occhi. «Hai tradito Thanatos, hai tradito
tutti noi» ruggì.
Non era proprio sicura di quel ‘tutti’, ma per il resto l’affer­
mazione era abbastanza veritiera.
«E allora perché mi hai salvata?»
Il vampiro indicò l’ammasso di cenere che fino a poco pri­
ma era uno dei suoi fratelli: «Salvarti? Quello ti avrebbe ucci­
sa e basta. Io ti sto portando da Thanatos.» Ghignò. «Fidati,
non ti ho salvata.»
15
2
L’unica cosa peggiore che essere paralizzato e intrappolato
nella propria testa, incapace di muoversi o parlare, è essere
tenuti in quella condizione dai propri fratelli.
Per otto mesi e mezzo, infiniti, da impazzire, Thanatos, il quar­
to Cavaliere dell’Apocalisse, era stato costretto a letto con
nessun’altra compagnia a parte la tv. Be’, ogni dodici ore rice­
veva la visita di qualcuno dell’Underworld General Hospital
che gli iniettava saliva di segugio infernale paralizzante, gli cam­
biava la flebo di salina, lo sottoponeva a un’umiliante spugna­
tura e gli cambiava le mutande bagnate. In genere, chi lo visi­
tava faceva alla svelta e tanti saluti. E certo, sua sorella Limos,
terzo Cavaliere, e Ares, secondo, gli facevano compagnia, ma
Ares non era molto comunicativo.
Limos era una chiacchierona, ma a Than non fregava un caz­
zo del colore dello smalto del giorno, e del fatto che lei e il ma­
rito Arik, un umano, stessero organizzando una luna di miele
in Europa ad Apocalisse conclusa. E poi, luna di miele? Ma dài!
Non era un po’ tardi? Come se Limos non vivesse già su un’iso­
la paradisiaca che li faceva vivere ogni santo giorno come fos­
sero in luna di miele.
Ti rode, Than?
Sì, forse c’era un po’ di gelosia. Per quanto sembrasse da
malati, l’unica cosa che per migliaia di anni aveva fatto rima­
nere sano Thanatos era che Ares e Limos fossero soli come
lui. Ma ora i due erano entrambi sposati e felici e lui era stato
16
lasciato lì, paralizzato, disperato, a lacerarsi nell’odio profon­
do verso chi l’aveva messo in quella situazione.
Regan.
Dal momento in cui venne maledetto e indicato come il
Cavaliere che sarebbe diventato la Morte alla rottura del suo
Sigillo, Thanatos aveva sempre creduto che il Sigillo fosse la
sua verginità.
Si era custodito l’uccello manco fosse il diamante Hope. For­
se si era trasformato in una bomba di bisogni sessuali pronta a
esplodere, ma porca miseria, si era dovuto mantenere vergine,
fanculo.
E poi era arrivata Regan, con quel suo corpo sensuale, il suo
piano subdolo, la bevanda drogata. Era riuscita a spogliarlo,
immobilizzarlo e a farlo venire.
Il motivo non era ancora chiaro perché, in tutte le loro spedi­
zioni, nemmeno una volta Limos e Ares erano riusciti a pren­
dere il Guardiano Aegi. E che Regan fosse un Guardiano, uno
dei guerrieri umani con lo scopo di liberare il mondo dai de­
moni, rendeva il suo comportamento ancora più sconcertante.
I Guardiani non volevano dare inizio all’Apocalisse, quin­
di o lei lavorava di nascosto contro di loro o non sapeva che
scoparsi Thanatos avrebbe significato rompere il Sigillo.
Ma se delle due era la seconda, perché era ricorsa a quei
mezzi estremi per portarselo a letto?
Visto che era una leggenda, magari sì, Thanatos esercitava il
fascino di una star e sì, lo sapeva che era bellissimo... ma addi­
rittura usare le droghe e il suo potere per ottenere da lui quello
che voleva?
La furia iniziò a scorrergli dentro, bollente come il piace­
re che aveva sentito quando Regan gli era salita sopra, il suo
calore bagnato serrato intorno al suo uccello. Dio, se era stato
bello. Per secoli aveva immaginato come sarebbe stato stare
con una donna, come l’avrebbe presa. Nella sua fantasia pre­
ferita lei era a quattro zampe, e lui la montava da dietro con il
petto incollato alla schiena di lei dal sudore, il suo peso che la
teneva ferma mentre spingeva.
In quei mesi, quando aveva pensato al sesso, era stata Re­
gan quella donna a quattro zampe.
17
In risposta alla natura di quei pensieri, il membro di Tha­
natos s’indurì, facendolo arrabbiare. Non doveva diventare
duro per Regan; Styx, lo stallone nel braccio di Thanatos,
scalciò percependo le emozioni del padrone. Il cavallo, per
il momento allo stato di tatuaggio, era bloccato nel braccio,
paralizzato anche lui. Poi era stato...
Un momento. Il suo uccello era duro, il cavallo si agitava...
vuol dire che il veleno del segugio infernale stava svanendo.
Il battito cardiaco raddoppiò quando la speranza lo trafis­
se. Forse i fratelli gli permettevano finalmente di essere libe­
ro. Be’, nel caso... aveva piani seri.
Per prima cosa, avrebbe fatto un culo così a Limos e Ares.
Poi avrebbe fatto sesso. Tanto.
Prima di Regan astenersi era stato facile perché non sape­
va che cosa si stesse perdendo. Ma ora sapeva, e il suo corpo
lo bramava quasi quanto la vendetta. E la vendetta non sa­
rebbe stata dolce. Non riusciva a decidere se uccidere Regan
o scoparsela. Forse tutte e due. Non in quell’ordine però. Non
era pazzo fino a quel punto.
La porta si aprì cigolando. Il passo pesante di Ares, accom­
pagnato da quello leggero di Limos e il ticchettio degli artigli
del segugio infernale sul pavimento.
«Ciao fratellino» cinguettò Limos come se Thanatos stesse
lì a divertirsi. Le mani gli si stavano serrando, ma Thanatos
immobilizzò i muscoli sforzandosi di rimanere fermo.
Ares cambiò canale alla tv che avevano sistemato sopra il
letto. «Scusa» borbottò. «Qualcuno deve aver urtato il teleco­
mando. Mi sa che lo zircone quadrato sul canale dello shop­
ping non è molto interessante.»
No, figurati. Stavo proprio pensando che una collana d’oro in filigrana e un paio di orecchini a goccia mi starebbero benissimo, e porca
miseria a 75,99 dollari più spese di spedizione è un affare. Però, me
lo sono perso, dannazione, perché... ah, sì perché, cazzo, sono immobilizzato.
La mano di Limos si posò sul suo bicipite, e Than si sforzò
di non contrarlo.
«Senti, dobbiamo dirti una cosa.» Il tono di voce era basso,
serio... merda, non si prospettava niente di buono.
18
«Lo so che puoi percepire la distruzione del mondo, e pro­
babilmente ti sta facendo diventare matto.»
Matto? Prova con matto della serie fuori di testa, da camicia di
forza, da bava alla bocca e cose così.
Limos e Ares l’avevano aggiornato sulle azioni di Pestilen­
za, ma avevano ben poco bisogno di farlo. Per via della ma­
ledizione, Than poteva sentire tutte le morti del mondo, ne
veniva attirato come un drogato dall’eroina.
La sua paralisi, ovvio, aveva frenato il suo potere di viaggia­
re con loro, ma la spinta era sempre lì, che gli mulinava dentro
come il fumo di un crematorio.
«Peggiorerà» disse Ares. «Pestilenza ha causato guerra,
carestia e morte in tutto il pianeta. Ecco perché non siamo
stati molto presenti. Abbiamo passato un bel po’ di tempo nei
posti dove la situazione era più critica.»
Anche Limos e Ares erano maledetti; Ares era legato alle
battaglie, Limos alle carestie. E sì, Thanatos si era accorto che
non erano stati nei paraggi per intrattenerlo. Almeno la mo­
glie di Ares, Cara, era rimasta lì. Leggeva per lui, molto, e Tha­
natos non l’avrebbe mai potuta ringraziare abbastanza.
Perché la situazione peggiorerà? Avrebbe voluto gridarglielo,
mentre sentiva la sua mano sinistra, che teneva nascosta di
lato, che si serrava in un pugno.
«La scorsa settimana Pestilenza ha rivendicato l’Australia
in nome di Sheoul.»
Merda. Ora i demoni di Sheoul – che gli umani chiamava­
no inferno – potevano prendere possesso dell’Australia. Un
Paese così grande poteva ospitare milioni di demoni e dargli
una base per un attacco globale di proporzioni massicce. Fin
dall’inizio dei tempi, i demoni volevano sconfiggere l’Apoca­
lisse e conquistare la Terra come un trofeo, e con l’Australia
in tasca avevano mandato un po’ più in là la palla, più vicina
alla rete.
E gli umani?
Limos, da sempre in contatto con i suoi pensieri, gli rispose
non appena sentì quelle parole.
«Tutti gli umani che non sono riusciti a scappare sono...
persi.»
19
«Ne abbiamo fatti scappare un po’, Kynan, Limos, Arik e
io» disse Ares in tono cupo.
«Va male» disse Limos «ma la buona notizia è che l’Aegis
ha trovato un modo per chiudere la bocca dell’inferno. È una
cosa temporanea... la magia che stanno usando viene divora­
ta da quella dei demoni, ma è riuscita a diminuirne il flusso.»
Gli diede una pacca sul braccio. «Pazienza, Than. Un altro
paio di settimane ancora e ti lasceremo andare.»
Un paio di settimane? Perché un paio di settimane?
Ares gli strinse il piede. «Tra qualche ora verrà qualcuno
per farti la prossima iniezione. Torneremo appena ci sarà
possibile.»
Poi se ne andò con Limos, e Thanatos, diavolo no, non ave­
va intenzione di trovarsi lì per la prossima iniezione. Per qual­
che ragione poteva muoversi di nuovo, e se ne voleva andare
da quel cazzo di posto.
Raccogliendo tutta la sua forza di volontà, dondolò il cor­
po per darsi lo slancio e rotolare fuori dal letto. L’urto con il
pavimento gli fece un male cane, ma il dolore non fece che sti­
molarlo di più. Qualcosa lo scuoteva dentro. Pericolo. Morte.
Entrambi. Ma la pulsione verso il pericolo era una sensazione
diversa, mai provata. Era come se lui stesso fosse in pericolo...
ma era una sensazione lontana.
Qualunque cosa fosse lo chiamava, e lui doveva andare.
Si strappò via la flebo dalla mano e si trascinò alla porta a
vetri scorrevole. Ansimando, si mise carponi e strisciò fuori.
Morte e pericolo continuavano a strattonarlo come due corde
che lo tiravano verso direzioni opposte. La corda del pericolo
sembrava più... pressante, ma nel suo stato così debole non
poteva rischiare di cadere in una possibile trappola di Pesti­
lenza. La Morte, d’altro canto, lo riempiva di energia.
Giusto. Prima la morte, poi il pericolo.
Si lasciò guidare dal richiamo della morte, aprì un Var­
co e ci entrò barcollando. Subito, un’aria bollente e umida
lo colpì come la fiammata di una fornace. Il puzzo di carne
marcia e legno bruciato gli punse le narici. Alzò con debolez­
za la testa e fece una smorfia quando vide la terra bruciata
e gli alberi caduti. Il suo gps interno gli stava dicendo che era
20
nell’Aldilà, ma prima di allora non l’aveva mai visto in quel­
lo stato.
Così tanta morte. Ecco perché era stato trascinato fino a lì.
«Ciao bello.» Thanatos si girò di scatto verso l’uomo a tor­
so nudo e pantaloncini attillati, che cambiavano colore per
mimetizzarsi con il grigio fumo e il nero del paesaggio.
«Ade.» La sua voce suonava come se avesse inghiottito
pezzi di vetro. «Questa qui è... l’Australia?»
«Eh sì.» Ade avanzò un bel po’, con gli stivali che schiaccia­
vano le ossa carbonizzate, sia umane sia dei demoni. «Da quan­
do è stata rivendicata in nome di Sheoul posso bazzicare qui.»
Certo. Ade era legato a Sheoul tanto quanto un demone, an­
che se per ragioni diverse. Era un angelo caduto, costretto a
mandare avanti Sheoul-gra, il luogo dov’erano tenuti i demoni
e le anime umane malvagie. A meno che Azagoth, conosciuto
anche come il feroce Mietitore, non gli avesse concesso di an­
darsene.
«Azagoth ti ha dato il permesso si lasciare Sheoul-gra?»
«Mi ha dato un’ora, nella sua sconfinata generosità» rispo­
se Ade, con la voce che virava al sarcastico. Diede un colpetto
a Thanatos con lo stivale. «Mi sa che sono bloccato qui ad aiu­
tarti. Riprenditi in fretta. Voglio fare un giretto in uno di quei
nuovi bordelli di demoni succubi prima di tornare nel Gra.»
Quando Thanatos si sforzò di appoggiarsi a un albero ca­
duto, migliaia di spilli gli trafissero i muscoli. E quel bastardo
con i capelli blu stava lì a guardare.
«Perché... non... mi aiuti?»
Il viso di Ade si fece duro come il paesaggio che li circonda­
va. «Perché quel cazzo di fratello che ti ritrovi mi sta facendo
arrabbiare. E anche se apprezzo quello che sta cercando di fa­
re, dare il via all’Apocalisse e cose così, m’infastidisco quando
la gente ficca il naso negli affari miei.»
Thanatos mosse le dita dei piedi, sollevato di poterle sen­
tire di nuovo.
«Ma di che parli?»
La ragnatela di vene bluastre sulla pelle di Ade diven­
ne più accentuata e pulsante. «Sta cercando di smantellare
Sheoul-gra e distruggere Azagoth.»
21
«Oh, merda.» Senza Sheoul-gra, tutti i demoni e gli umani
uccisi nel regno sarebbero stati liberi di seminare distruzione
come fantasmi.
Si diceva anche che Azagoth fosse il padre dei Cavalieri,
ma fino ad allora nessuno era riuscito a provarlo. E finché la
diceria non fosse stata chiarita, Thanatos avrebbe preferito
che il tizio non venisse ucciso.
«Esatto, merda. Chi l’avrebbe detto che il tuo fratello svita­
to sarebbe potuto diventare un cazzo di stronzo pazzo serial
killer?»
Quello era il problema più grosso. Reseph era il più gentile, il
più equilibrato di loro. E che fosse diventato così malvagio non
preannunciava niente di buono per Thanatos, Ares e Limos.
Thanatos sentì che un ramo gli pungeva la schiena, e allo
stesso tempo avvertì una bassa vibrazione alla bocca dello
stomaco. Il suo corpo si stava rianimando.
Ed era affamato.
Insieme alla fame, si fece più forte anche la spinta verso il
pericolo, che divenne una consapevolezza pulsante nel cer­
vello. Cosa diavolo era?
«Diventa ogni giorno più forte, Thanatos. Le anime che
sorveglio si reincarnano a un ritmo che non ho mai visto.»
Than corrucciò il viso. «Secondo te il responsabile è Pesti­
lenza?»
«Forse non il diretto responsabile, ma più l’Apocalisse si
avvicina e più in fretta le anime mi lasciano rispetto a quante
ne arrivano. Pestilenza sta dando un’impennata alla popola­
zione dei demoni e io mi sto indebolendo. Lo devi uccidere.»
Thanatos dondolò indietro la testa sul tronco d’albero.
«Voglio aggiustare il suo Sigillo, non voglio ucciderlo.»
Than aveva scoperto che il Sigillo di Reseph poteva essere ri­
parato, ma solo se avesse pugnalato il fratello con un preciso
pugnale e in un preciso momento.
Il problema è che gli sfuggiva il dettaglio del ‘momento’.
«Diamine. Quello che è... basta che fai qualcosa. La mia
stessa vita dipende da quelle anime. Ne ho bisogno.»
«Diamine?» Thanatos lo fissò. «Scherzi? Demoni grossi,
cattivi e con la cresta dicono ‘diamine’?»
22
«Sì, diamine.» Ade si stropicciò il petto. «E vaffanculo.»
Than chiuse gli occhi. «Così va meglio.»
La vibrazione nel profondo di Than divenne una fame lan­
cinante, minacciata dalla cattiveria. L’odore del sangue lo col­
pì e spalancò gli occhi. Ade era accovacciato vicino a lui, con
un coltello in mano. Il sangue scorreva dal polso tagliato e le
zanne di Than scattarono, mentre la fame tenuta a bada per
otto mesi riaffiorava in superficie.
Thanatos indugiò, ma Ade gli prese la nuca e gli mise il
polso sanguinante contro la bocca. Il suo cervello si spense,
aveva il corpo come dirottato da una fame furiosa e da un
puro istinto animale.
«Cazzo.» La voce roca di Ade era solo un ronzio nelle sue
orecchie.
A quel punto, non gliene fregava un bel cazzo anche se stava
divorando il braccio a quel demone. L’importante era riempire
quella voragine dentro di lui, che quando era vuota lo guidava
a cibarsi di qualunque cosa e a causare tante morti. Per sua for­
tuna, Ade era una delle poche persone a conoscenza di questo
suo bisogno, anche se non ne conosceva la portata.
Il tempo vorticava in cerchi multicolori, fino a quando Ade
tolse il braccio e lasciò Thanatos appoggiato sulla schiena con­
tro l’albero, con il corpo ricaricato. La fame se n’era andata,
ma l’altra strana sfumatura di pericolo imminente gli vibrava
ancora alla base del cranio. Sembrava una luce guida che gli
urlava di andare.
«Grazie amico.» Thanatos si issò in piedi e flesse i muscoli,
mettendoli alla prova dopo tanti mesi di inutilizzo. Con la co­
da dell’occhio captò un tremolio nella foresta bruciata, sicuro
che di lì a poco avrebbe fatto un buon allenamento.
Avevano compagnia.
«Nessun problema. Ti dovevo un favore.»
Tenendo d’occhio le creature che guizzavano fuori dall’oscu­
rità, con naturalezza Than si diede un colpetto alla cicatrice a
forma di mezzaluna che aveva sul collo, e all’istante la sua ar­
matura d’osso si posizionò. Poi richiamò la falce. «Più di uno,
ti ho mandato un sacco di anime, stronzo.» Stava per mandar­
gliene altre.
23
«E fottiti.»
Stava per uscirsene con la sua solita risposta ‘Io non posso
fare sesso’, ma poi si ricordò che sì, poteva. Grazie a Regan e
al suo tradimento, sapeva che poteva farlo. Ma Ade era un
ragazzo, e Thanatos non era così disperato.
Ma il bisogno era lì, così potente che ebbe il sospetto che
somigliasse a quello che sentiva Ares: una spirale di tensione
che aveva come risultato morte e distruzione se non veniva
liberata.
Era una buona cosa, allora, che Thanatos fosse dell’umore
per un po’ di Dungeons & Dragons, ma non il gioco di ruolo.
«Quindi che cosa vuoi fare ora che non sei più un blocco
di ghiaccio?»
«Per prima cosa ucciderò quei demoni e quell’angelo ca­
duto dietro di te.» Lo scorpione che aveva tatuato sulla gola
cominciava a pungergli il collo. La coda pulsante gli ricorda­
va che la Morte era la sua ragione di esistere.
Non era mai stato uno che si ribellava al suo destino e roteò
la falce descrivendo un potente arco, che fece volar via una
delle due teste del demone.
Poi lanciò uno sguardo a Ade, che sembrava sul punto di
chiedere i popcorn. «Poi farò lo stesso alla donna che mi ha
tradito.»
24
3
Regan sedeva per terra e fissava il vampiro che l’aveva sal­
vata da un pericolo per metterla in un altro.
«Non puoi portarmi da Thanatos. Non può...»
«Stupida» ringhiò quello. «Ti terrò qui fino al suo ritorno.
Alcuni di noi hanno escogitato un piano per riaverlo indie­
tro.» La voce si addolcì. «Ci sono anche delle cose che devi
sapere, avvertimenti che per ora non posso rivelarti.» Dalla
bocca gli zampillò sangue e si protese in avanti raggiungendo
il podio.
Una freccia di balestra gli perforò lo sterno.
«Stai lontano da lei!» Lance, membro degli Anziani come
Regan, corse verso di loro, balestra in una mano e paletto di
legno nell’altra. Altri Guardiani gli vennero dietro, inclusa
Suzi, che si era trasferita nel quartier generale per assistere
Regan durante gli ultimi mesi di gravidanza. Dall’entrata la­
terale, gli Anziani Kynan e Decker sfondarono la porta.
«Non ucciderlo!» gridò Regan, ma Lance la ignorò e affon­
dò il paletto nel cuore del vampiro.
«Maledizione, Lance!» lo aggredì Kynan mentre il vampi­
ro s’inceneriva. «Noi non facciamo così.»
«Non è così che fai tu» rispose Lance. «Non tutti nell’Aegis
sono d’accordo con il tuo nuovo modo pulito di liberarsi del
nemico.»
Suzi si rannicchiò vicino a Regan: «Stai bene? Chiamo un
dottore? Cavolo, sarei dovuta rimanere con te.»
25
«Sto bene.» Regan la rassicurò, ma Suzi le strinse le mani,
con la preoccupazione che schizzava da tutti i pori. «Sai cosa?
Mi farebbe bene una tazza della tua fantastica camomilla con
miele.»
Sul viso di Suzi si allargò un sorriso, era sollevata di poter
essere d’aiuto. Quando se ne andò, Regan rimase a terra, rac­
cogliendo i pensieri e il respiro. «Che ci facevano qui i vampi­
ri di Thanatos? E come sono entrati?»
Juan, un altro Anziano, diede un calcio ai resti del vampi­
ro. «Li avevamo catturati un paio di settimane fa. Dovevamo
vedere con i nostri occhi i vampiri invulnerabili alla luce. So­
no riusciti a scappare in qualche modo.»
«Idioti,» li apostrofò Regan «non abbiamo già fatto abba­
stanza a Thanatos?»
«Non abbiamo fatto nulla al Cavaliere, noi» disse Lance
con un’espressione così compiaciuta che Regan avrebbe vo­
luto schiaffeggiarlo. «È stata la tua relazione che ci ha fatto
interessare a questi vampiri. Dovevamo studiarli.»
Maledizione. Ancora una volta era riuscita a fottere Tha­
natos, in un altro modo. Il suo senso di colpa prese la forma
di una rabbia amara, che diresse contro Lance.
«Abbiamo l’Apocalisse fuori dalla porta e voi perdete tem­
po con i vampiri? Ottimo» ringhiò.
Lance aggrottò le sopracciglia. «Sei tu che hai voluto pren­
dere il posto di esperta di vampiri dopo che Jarrod fu ucciso
lo scorso anno. Dovresti sapere che quando trovi una nuova
specie noi dobbiamo sezionarla.» Le rivolse uno sguardo di­
sgustato: «Non è che stai per piangere o cazzate così?»
Dio, lo odiava quando faceva così. Lui e un altro paio di An­
ziani erano convinti che solo perché era una donna sarebbe
scoppiata in lacrime per ogni minima cosa. Avevano espresso
un parere negativo quando c’era stato da decidere la sua promo­
zione nel Sigillo, e adesso Regan non si faceva sfuggire nessuna
occasione per dimostrare che era capace tanto quanto loro.
Tuttavia, non ebbe modo di assalire Lance, perché Kynan ca­
pì le sue intenzioni e ritornò all’argomento principale.
«Sezionalo.» Kynan spinse lo stang nella scanalatura della
cintura. «Ci sono regole per le nuove specie. Bisogna infor­
26
mare altri Anziani se le si vuole catturare. E la dissezione non
è inclusa.»
«Sei stata troppo presa dalla tua famigliola demoniaca feli­
ce» disse Juan. «Non ci sembrava utile fare un caso nazionale
della cattura di un paio di succhiasangue.»
Regan lottò con il bisogno di urlare per la frustrazione. «E
se il Cavaliere pensasse che questo è un altro tradimento? Ci
hai pensato?» I rapporti tra l’Aegis, Limos e Ares erano già
abbastanza tesi per via di quello che era successo tra Regan e
Thanatos, e questo li avrebbe solo peggiorati.
«Mi preoccupo di più d’impedire l’Apocalisse che di quel­
lo che può pensare il Cavaliere, ma in effetti la fuga dei vam­
piri è un problema.» Lance fece un cenno a Juan: «Diamo una
controllata alle celle e assicuriamoci che nessun altro di quei
porci sia uscito.»
Mentre si allontanavano, Decker rivolse loro un’occhiatac­
cia. «Spero che vengano divorati» mormorò.
«Come ti senti?» Kynan le tese una mano per aiutarla, ma
Regan la rifiutò e si alzò da sola. Per quella notte il contatto fisi­
co era stato sufficiente.
«Mi sento sorprendentemente bene...» trasalì quando un pie­
dino le raggiunse le costole «quando non sono presa a calci.»
Kynan aprì la cerniera del giubbotto e rivelò un arsenale
completo, carico e pronto a uccidere un’intera legione di de­
moni.
«Gem diceva la stessa cosa quando era incinta.» Dawn, la
figlia di Ky, ormai aveva quasi un anno ed era la testolina mora
più bella del mondo. Regan si domandò di che colore sarebbe­
ro stati i capelli del suo bambino – un maschio, come sapeva
da un paio di mesi. Thanatos li aveva biondo chiaro, lei castano
scuro. «So che ne abbiamo già parlato, ma se ti serve qualcuno
per parlare della gravidanza e cose così, Gem è qui per te.»
Ahi. Sin da quando Juan aveva fatto notare che Regan non
aveva una madre per condividere l’esperienza della gravi­
danza o chiedere consigli, quello era stato un argomento sco­
modo.
No. La madre di Regan si era fatta uccidere da un demone
dopo averla partorita.
27
Stando a quello che aveva detto una volta Lance: ‘Sei fortu­
nata che non si sia ammazzata quando ha scoperto che il suo
amante posseduto dai demoni l’aveva messa incinta.’ Che
stronzo che era.
Regan rivolse a Kynan un sorriso educato: «Grazie Ky, ma
va tutto bene.»
Lui annuì. «L’offerta è sempre valida. Quand’è il prossimo
appuntamento con il dottore?»
«Domani. Il dottor Rodanski è preoccupato per la gran­
dezza del bambino, e domani mi farà un’ecografia e deciderà
se fare un cesareo o un parto naturale.»
«Dovresti sentire...»
«No.» Zittì Kynan prima che suggerisse di permettere a
un dottore demone dell’Underworld General di prendersi
cura di lei. Una cosa era lavorare con i demoni per impedire
l’Apocalisse, ma permettere che uno la toccasse nelle parti
intime? Solo se la situazione fosse stata disperata. Molto di­
sperata.
«Regan,» fece Kynan «il tuo corpo non sopporta le medici­
ne. Non puoi fare un cesareo senza farmaci e antidolorifici.»
«Rodanski dice che troverà il modo.» Lei ci sperava perché
quello di cui parlava Kynan, ex medico dell’esercito e dotto­
re all’Underworld General, era un grosso problema. Il parto
avrebbe potuto presentare dei rischi, eppure non era ancora
pronta ad avere a che fare con i dottori demoni e le loro tera­
pie alternative.
Il suo stomaco brontolò abbastanza forte, perché Decker
lo sentì.
«Ti porto qualcosa da mangiare?»
«Mi sa che non hai un frappè al cioccolato in tasca.» Era
sempre stata una salutista fissata, ma con la gravidanza aveva
sviluppato una profonda voglia di qualunque tipo di gelato.
Decker arricciò il naso: «Quella merda ti ammazzerà.»
L’immagine di Thanatos le balenò nella testa. No, non sa­
rebbe stato il frappè a ucciderla.
«Quindi,» disse «spiegatemi che ci facevate qui a quest’o­
ra del mattino.» I ragazzi si scambiarono alcune occhiate, e a
Regan si rivoltò lo stomaco. «Che c’è?»
28
Suonarono i cercapersone, tutti e tre insieme. Decker prese
per primo il cellulare.
«È Lance. Cazzo. Demoni liberi nell’edificio.»
Ky e Decker impugnarono le armi all’istante e serrarono i
ranghi intorno a Regan. «Che diavolo sta succedendo? Se non
avessimo parlato di risvegliare Thanatos, Regan potrebbe es­
sere morta.»
Regan si aggrappò al podio così forte che le unghie scava­
rono nel legno.
«Pensavate di svegliarlo? Adesso?»
«È una lunga storia, ma sì, siamo entrati in possesso di
nuove informazioni. Dobbiamo prendere in considerazione
l’idea di svegliarlo presto.»
«Ormai è un po’ tardi per quello, Aegi.» La voce profonda
che rimbombava nel corridoio prosciugò ogni goccia di sangue
dal viso di Regan. Un sudore freddo e appiccicoso la percorre­
va quando alzò lo sguardo e vide Thanatos all’entrata dell’audi­
torium, il suo grande corpo che irradiava così tanto pericolo che
nemmeno la corazza riusciva a contenerlo.
E lei si rese conto, senza alcun dubbio, che il suo incubo
stava per diventare realtà.
29
4
Regan non riusciva a respirare. Non riusciva a deglutire.
Riusciva solo a guardare la morte – proprio la Morte – in fac­
cia. Thanatos l’avrebbe uccisa. I suoi occhi gialli la trapassaro­
no ma quando parlò, si rivolse a Ky e Decker.
«Lasciateci soli.»
«Thanatos, ascolta,» iniziò Ky «se pensi di avere un conto
in sospeso con qualcuno, quello dovrei essere io.»
«Sta’ zitto.» La voce di Than risuonò nell’auditorium, dif­
fusa come se stesse parlando con un microfono. «Andateve­
ne adesso. È l’ultimo avvertimento.»
Avanzò verso di loro: il suono degli stivali sulla moquette
del pavimento, come di campane a morto, il rumore secco
delle lastre d’osso della sua armatura, la spada sul fianco più
minacciosa di quanto Regan si ricordasse.
«Vai al diavolo, stronzo» strascicò Decker. Regan lo rag­
giunse per toccargli la spalla e avvertirlo, ma era troppo tardi.
Intorno a Thanatos spuntarono ombre, le anime di coloro che
aveva ucciso. Una volta liberate dalla prigionia dell’armatu­
ra, diventavano armi mortali, da incubo, che Regan non desi­
derava incontrare di nuovo. Non sapeva se avrebbero potuto
uccidere Kynan, immune a tutto tranne che agli angeli cadu­
ti, ma Decker sarebbe stato una facile preda.
E così lei. Il suo potere di tirare fuori l’anima dalle perso­
ne... o di difendersi da un’anima che l’attaccava, sembrava
non funzionare a causa della gravidanza. Non molto tempo
30
prima, perdere quel potere sarebbe stato un sollievo. Ora l’a­
veva lasciata vulnerabile in un modo che non avrebbe mai
creduto possibile.
«Vai.» Disse con dolcezza, senza mai distogliere lo sguar­
do da quelle anime turbinanti. «Andrà tutto bene.» Lo spera­
va. Era difficile in realtà, ma non voleva essere responsabile
della morte di Decker.
«Noi non ce ne andiamo» disse Kynan.
Thanatos sorrise, e Regan sussultò. «Ho appena ucciso un
angelo caduto.» Tese una mano e una delle anime si scagliò
contro Kynan, simile a una macchia d’inchiostro da cui spun­
tavano due ali sottili. Si fermò a un paio di centimetri da lui,
come trattenuta da catene invisibili.
«Può succhiarti via l’anima in quest’istante, umano.»
«Maledizione» sibilò Regan. «Ragazzi andatevene. State
nel corridoio se volete... ma andatevene, vi prego!»
Ky e Decker lanciarono uno sguardo di truce, testarda ri­
bellione, ma alla fine se ne andarono.
Quando Ky arrivò alla porta, si girò e scoccò in direzione
del Cavaliere un’occhiata fredda e mortale.
«Avete cinque minuti.»
Cinque minuti? Era un’eternità, visto che Thanatos poteva
eliminarla in meno di un secondo. Non appena Ky e Decker
se ne furono andati, Thanatos la colpì, la scagliò via dal podio
e l’attaccò al muro bloccandole la gola con il braccio.
Regan non riusciva nemmeno ad arrivare alla sua piccola
daga, l’arma che aveva contro il Cavaliere.
«Tu mi hai tradito.»
«Ti prego...» mormorò lei.
«Ti prego.» La voce di lui era gutturale. Bassa. Il male as­
soluto.
«Dillo di nuovo. Non ti servirà a niente, ma voglio sentirti
supplicare prima di ucciderti.»
Non avrebbe mai implorato pietà per sé stessa, ma avreb­
be fatto qualunque cosa per il bambino. Si umettò le labbra,
ma non aveva saliva in bocca. «Ti prego, non farlo.»
Lui chiuse gli occhi, inspirò e un sorriso diabolico gli si di­
segnò sulla bocca.
31
«L’odore della tua paura è intossicante. Come ci si sente a
essere imprigionati e senza scampo, Regan?»
Orribile. Era orribile. «Fai quello che vuoi a me,» squittì
Regan «ma non fare del male al bambino.»
Thanatos strabuzzò gli occhi. Per un istante la fissò, con
le sopracciglia bionde che si abbassavano sugli occhi dorati.
«Bambino?»
Come aveva fatto a non accorgersi che era gonfia come
un’anguria? Il bambino scalciò, come se avesse capito che si
parlava di lui, e Thanatos abbassò lo sguardo.
«Ma che...» Thanatos s’allontanò con un balzo, con gli oc­
chi incollati al ventre di Regan.
«Quando è successo?» Deglutì rumorosamente. «Chi è il
padre?»
Ora Regan doveva agire con calma. Il suo piano sarebbe
stato aspettare fino alla nascita del bambino e poi risveglia­
re Thanatos per dirglielo... sperando che anche se lui si fosse
messo alle sue calcagna animato da furia omicida, almeno il
bambino sarebbe stato risparmiato.
E adesso... merda. Non sapeva bene che cosa fare. Strano, per­
ché era sempre stata brava a prendere decisioni su due piedi.
«Ascoltami...»
«Chi è?»
Fece un respiro tremante. «Mi sentirei più tranquilla se
Kynan fosse qui...»
«Kynan?» Thanatos emise un ringhio tremendo, e Regan
avrebbe giurato di avergli visto balenare le zanne. «Quell’Ae­
gi è il padre? Ha osato toccarti?»
Osato? «No...»
«Kynan!» Il ruggito di Thanatos scosse l’intero edificio, e
un attimo dopo aveva la spada in mano e le ombre raccapric­
cianti serpeggiavano ai suoi piedi.
«Non è Kynan» sbottò lei, ma Thanatos non la stava ascol­
tando.
«Kynan è un uomo morto.»
«Thanatos! Senti un po’, sordo di un Cavaliere, non è di
Kynan, è tuo.»
Distese la mano sul ventre. «Il bambino è tuo.»
32
***
Thanatos aveva vissuto in tempi in cui finire sulla forca
non era solo un modo di dire.
Era riuscito a scamparla. Finora.
Ora, stando lì impalato come uno stupido a fissare la pan­
cia di Regan, capiva alla perfezione che cosa si provava. Spo­
stò lo sguardo in su, verso i seni che sembravano più grossi
di prima, poi sulla gola sottile, e infine incrociò i suoi occhi
nocciola.
Erano belli come se li ricordava: luminosi, fiammeggianti
dietro il duro gelo guerriero. Ma anche con una sfumatura di
terrore, a riprova che Regan non era una stupida.
Quando era entrato nell’auditorium era pronto a uccider­
la. Ora voleva qualcosa di forte da bere.
Stava per diventare padre. Da vergine a padre, di botto.
La porta si spalancò, e Kynan e Decker erano lì con le pi­
stole puntate su Than. I proiettili non potevano trapassare
l’armatura o ucciderlo, ma gli avrebbero fatto un male cane
se avessero colpito parti del corpo esposte. Come la testa.
«Fate fuoco,» disse Than con tutta calma «e tutte le perso­
ne nell’edificio ne pagheranno il prezzo.»
«Non vogliamo problemi,» disse Kynan «vattene via a­
desso.»
«Andarmene?» Than rise e anche le anime nella sua arma­
tura turbinarono come migliaia di piccoli tornado. Migliaia?
Perché ce n’erano così tante? Non era importante. Non in
quel momento. Prese il braccio di Regan prima che lei potes­
se scappare. «Me ne vado. Ma lei viene con me.»
Il dito di Decker scivolò dalla sicura al grilletto: «Non esi­
ste. Nemmeno per sogno.»
«Va tutto bene,» disse subito Regan «starò bene.»
«Espressione azzardata, non credi?» fece Than, ma poi si
sentì uno stronzo quando la vide impallidire.
«Regan, non devi proteggerci.» Allenati a muovere il cor­
po in sincronia, Kynan si avvicinò, e Decker con lui. «Parlia­
mone, Cavaliere.»
«E rimanere qui finché non avrete chiamato mio fratello e
33
mia sorella? Non credo proprio.» Trascinò Regan verso la porta
sul lato opposto dell’auditorium e quando la spalancò vi trovò
dietro, senza esserne affatto sorpreso, una dozzina di Guardia­
ni armati fino ai denti, che lo stavano aspettando. Be’, una te­
neva in mano un pugnale e una minacciosa tazza di camomilla.
«La prima persona che cerca di attaccarmi muore. La secon­
da vi farà uccidere tutti» disse Thanatos a Kynan.
Regan era sempre attaccata a lui. «State tutti indietro. Vado
con lui di mia spontanea volontà.»
Obbedirono tutti tranne uno, e proprio quello, l’idiota che
ebbe l’ardire di agitare contro di lui una misera lama, scoprì
quanto in fretta Thanatos poteva rilasciare un’anima dalla
sua armatura. Gli altri sicari scoprirono quanto è forte l’urlo
di un umano a cui viene strappata l’anima dal corpo.
«Fermati!» urlò Regan, ma era troppo tardi.
«Li avevo avvisati» disse Thanatos mentre la trascinava
via dal palazzo. «E non sono dell’umore per dare una secon­
da possibilità. Ricordatelo.»
Appena fuori dal quartier generale, aprì un Varco e ci spin­
se dentro Regan. Si ritrovarono nel nascondiglio di Thanatos
in Groenlandia, delimitato e protetto da cancelli – quei cosi
tendevano a tagliare in due gli esseri umani che vi si materia­
lizzavano vicino o sopra.
Nel panorama cupo e desolato, il vento ululava e portava
con sé il flebile odore del vicino oceano e il fumo dei fuochi
dentro il rifugio. La coda di cavallo di Regan svolazzò quando
mise piede sul prato, e le guance le si colorarono per il vento
freddo. Era sì estate, ma faceva ancora freddo, era nuvoloso e
umido.
«Perché siamo qui?»
La prese per il gomito e la condusse attraverso la porta. «Io
vivo qui.»
«Questo lo so.» Ribatté lei. «Pensavo però che saresti vo­
luto andare in qualche posto meno scontato. Soprattutto ora
che l’Aegis intero ti cerca perché hai rapito me e ucciso un
Guardiano.»
«Pensavi male.» Aprì la porta con uno spintone e all’istan­
te i vampiri al suo servizio accorsero.
34
«Padrone!» Gli occhi scuri di Viktor erano dilatati, e un
ghigno gli apriva la faccia. «È tornato. Non sapevamo, altri­
menti avremmo predisposto...»
«Va tutto bene. Tornerò poi per parlare con te.» Poi guidò
Regan per gli scalini di pietra che conducevano alla prigio­
ne, e quando a metà strada lei cercò di opporsi, la trascinò di
peso.
Per qualche strano motivo, quando il ventre di Regan toc­
cò la sua armatura, percepì chiaramente il suo calore attra­
verso la placca d’osso.
«La-scia-mi.» Si dibatteva nelle sue braccia e lui imprecò,
mentre cercava di stringerla più forte senza farle male.
«Smettila. Farai male a te o al bambino.» Un riflesso argen­
teo balenò e Thanatos riuscì a bloccare la lama prima che gli
affondasse nella guancia. Girò il polso e fece perdere a Regan
la presa del pugnale, che cadde rumorosamente sugli scalini
di pietra. «Fammi indovinare: bagnato nel veleno di segugio
infernale, vero? Bel tentativo.»
«È anche imbevuto in una pozione localizzatrice, brutto
stronzo. L’Aegis riuscirà a trovarmi.»
«Certo. Perché non penseranno che sei nella mia casa, visto
il modo in cui io ti ho portata via» puntualizzò lui scandendo
bene tutte le parole.
Regan gli affondò i denti nella mano, e Thanatos gemette,
ma non la mise giù finché non raggiunse la prima cella. La
sbatté dentro in fretta, prima che potesse morderlo di nuovo.
Non che fosse contro i morsi in generale... ma c’erano occa­
sioni più appropriate.
Ecco qui. Basta scopare una sola volta e pensi solo al sesso.
«Hai intenzione di lasciarmi qui?» chiese Regan incredula.
Thanatos chiuse di colpo la porta della cella. «Sì.»
Le guance pallide di lei si chiazzarono di rosso, e si strinse
nelle spalle, sfregandosi le braccia nude. «Posso avere alme­
no una coperta?»
Merda. Ora si sentiva un idiota. Lei indossava abiti estivi,
una camicetta leggera, pantaloni militari al ginocchio ed era
a piedi nudi, lì dentro si congelava in quel periodo dell’anno
anche se lui non lo sentiva, ma lei sarebbe morta di ipotermia.
35
Non gliene sarebbe dovuto importare nulla. E in effetti era
così. Ma non l’avrebbe lasciata morire con il suo bambino in
grembo.
«Quindi?» E mentre lui rimaneva in silenzio, prendendo
in seria considerazione l’eventualità di portarla di sopra, lei
sospirò.
«Senti, lo so che sei arrabbiato con me...»
«Arrabbiato?» esclamò lui. «Mi hai drogato, immobiliz­
zato, ti sei presa la mia verginità e mi hai lasciato lì così in­
cazzato che i miei fratelli sono stati costretti a imprigionarmi
per otto mesi. Arrabbiato non basta nemmeno per cominciare.
Stavi cercando di scatenare l’Apocalisse? L’Aegis lo sa che co­
sa hai fatto o era d’accordo con te?»
«Than, non lo sapevo che fossi immobilizzato. Ho perso il
controllo del mio potere e non mi sono resa conto che ti sta­
va attaccando.» Tremò, o forse era un sussulto. «E non ti ho
drogato. Cioè, eri drogato, ma non è stata una mia idea. Quel
vino me l’aveva dato uno dei tuoi vampiri.»
«Nessuno dei miei vampiri mi tradirebbe mai.»
«Mi dispiace dirtelo, ma uno c’è.»
«Perché?»
Lei strinse le spalle: «Magari non ne poteva più del tuo
carattere scontroso di merda e ha deciso che ti serviva una
scopata. E io che diavolo ne so?»
Lui digrignò i denti. «Lo sapevano che per me il sesso era
proibito. Non l’avrebbero mai fatto.»
«D’accordo. Come vuoi tu. Chiedi ad Ares e Limos, loro lo
sanno. Il vino ha drogato anche me.» Poi Regan si contrasse
con una smorfia, si portò la mano alla pancia e prima di poter­
sene rendere conto, Thanatos era dentro la cella con le mani
sulle spalle di lei.
«Stai bene? È il bambino?»
Lei sbatté le palpebre, sorpresa. «È solo un calcio. Il piccolo
Cavallerizzo non si ferma mai.»
«Il piccolo Cavallerizzo?»
Le guance le si colorarono di nuovo, ma stavolta con una
sfumatura più dolce e femminile. «Be’, visto che il padre è il
Cavaliere...»
36
Avrebbe voluto sorridere, ma poi si ricordò che la odiava e
si costrinse a tenere un’espressione indifferente.
«Ti farò avere una coperta.» Si avviò alla porta, ma Regan
lo bloccò mettendogli una mano sul braccio.
«Devo fare pipì.»
Lui indicò un angolo della cella: «C’è un pitale nella stanza.»
«Stai scherzando? Che schifo!» esclamò lei e indietreggiò
orripilata alla vista del recipiente d’argilla impolverato.
«Voi umani di oggi siete viziati in un modo senza senso.
Secondo te come si faceva prima che inventassero i bagni?»
«Non m’interessa saperlo, perché adesso i bagni ci sono e
preferirei usarne uno.» Arricciò il naso. «Se mi accovaccio lì
sopra poi non mi rialzo più.»
«D’accordo,» borbottò lui e la prese per un polso «lo sai che
come prigioniera sei tremenda?»
Saggiamente, Regan tacque mentre lui le faceva risalire le
scale fino alla sua stanza.
Quando vide dove la stava portando, si fermò fuori dalla
porta. «Mmm...»
«Preferisci la prigione? Scegli tu.»
Lo spinse da una parte e gli occhi le brillarono. «Qui andrà
bene» commentò come se fosse la cliente di un hotel che con­
gedava un facchino.
«Regan, non provarci nemmeno a far qualcosa di strano.
Metterò una guardia alla porta» l’avvertì.
«Per quanto tempo hai intenzione di lasciarmi qui?»
«Finché non avrò deciso che cosa fare di te.» Si chinò per
guardarla dritta negli occhi. «Ma sia chiaro: la tua vita è mia
adesso.»
37