DISCORSI DI ARTE CONTEMPORANEA

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DISCORSI DI ARTE CONTEMPORANEA
Patrizio Peterlini
DISCORSI DI ARTE
CONTEMPORANEA
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Immagine di copertina: Sari Dienes, Spring, 1958 – Serigrafia su tela, Ed. F. Conz, 1990
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Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
INTRODUZIONE
Il mondo dell’arte ha sicuramente subito il grande fascino esercitato dal
sapere psicoanalitico. Molti artisti hanno fatto riferimento, direttamente o
indirettamente, all’insieme di teorie che Freud ha elaborato tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Pensiamo alla scrittura automatica
prodotta dai surrealisti. Che cos’è se non la pura e semplice applicazione
del principio delle associazioni libere? Ed il collage, così caro ai Dadaisti,
che cos’è se non l'applicazione del principio di condensazione che governa
il sogno, alla creazione grafica? I mondi surrealisti, ma anche quelli
metafisici di De Chirico, sarebbero stati possibili senza la psicoanalisi? O
forse il contrario, la diffusione della psicoanalisi sarebbe stata possibile se
non fosse nata questa nuova sensibilità artistica? Questo nuovo sentire
poetico? Perché, come lo stesso Freud ha sempre ammesso, il poeta
precede lo psicologo, e a ben vedere, le rappresentazioni fantastiche,
assurde, immaginarie, di sogni, visioni, e quant’altro sono sempre state
presenti nella storia dell’arte.
Certo la psicoanalisi ha fornito nuovi e potenti mezzi per l’analisi delle
opere d’arte. Critici ed esegeti di vario rango si sono gettati a capofitto a
costruire, con le nuove chiavi esplicative messe a punto da Freud in ambito
clinico, un nuovo metodo di valutazione estetica. In pratica, travisando, in
buona o cattiva fede, le indicazioni del dottore viennese, è nata e si è
sviluppata, suscitando un certo interesse, la critica psicoanalitica dell’arte.
Un filone di studi che ha portato in primo piano, per la gioia dei
collezionisti d'arte e dei letterati, tutta una serie di aneddoti della vita degli
artisti che sono stati riconosciuti come i conflitti alla base della loro
creazione. Una letteratura morbosa, che cerca nella patologia personale
dell'artista la spiegazione delle opere prodotte dall'artista stesso. Una
letteratura che nasconde la propria ignoranza sulla questione di fondo della
creazione estetica, dietro una sfavillante serie di avvenimenti familiari che
starebbero alla base, che fornirebbero il materiale, che sarebbero la causa
della creazione stessa.
Ora, che alla base della creazione ci siano dei "conflitti interni"
riconducibili a delle patologie non ha niente di straordinario. E’ dalle sue
prime apparizioni che alla figura dell’artista è riservata quella forma
ambigua di rispetto e timore che contraddistingue anche il normale
comportamento verso i pazzi. In buona sostanza, ai matti si da sempre
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ragione, così come agli artisti. Che parlino in nome proprio o per conto di
un dio.
Ciò non toglie che il metodo “psicoanalitico” sia stato applicato
massicciamente per gran parte del Novecento, spesso a vanvera e con
risultati poco interessanti. Anzi. Spesso riduttivi e miseri, ma che sono
oramai entrati nel patrimonio comune in una forma banalizzata. Siamo tutti
esperti nel vedere il trauma o la perversione che si nasconde dietro la
rappresentazione di tale o talaltro artista e che trova conferma in un
particolare aneddoto della loro vita, vero o falso che sia. Questa versione
della critica psicoanalitica dell’arte, che trova nella ricerca delle fonti
inconsce dell’opera la sua forza, e nello svelare i “conflitti interiori”
dell’artista il suo fine, non apporta però nulla di interessante né alla
comprensione del concetto di sublimazione, vero cardine teorico di tutto
l’impianto freudiano, né del concetto di bellezza, fondamento della teoria
estetica. In buona sostanza, è bene ripeterlo, si riduce ad uno sterile
esercizio di patografia applicata all’arte. Apporto veramente misero da
parte di un pensiero, quello psicoanalitico, che ha così fortemente permeato
di sé tutto il Novecento.
Seguendo le indicazioni forniteci a più riprese nel corso del suo
insegnamento da Jacques Lacan, tenteremo di non cadere in questa deriva
patografica della critica psicoanalitica dell'arte. Quello che si tenterà di fare
è di applicare l’arte alla psicoanalisi e non la psicoanalisi all’arte. Solo
agendo in questo rovesciamento si riuscirà, forse, ad apportare qualcosa di
interessante sia per il concetto di sublimazione e sia per il concetto di bello.
Il Novecento ci abituati a confrontarci con opere d’arte sempre più
difficilmente ascrivibili alle categorie estetiche tradizionali. Il dibattito arte
non-arte si è spesso acutizzato di fronte ad alcune opere che hanno
fortemente scosso i principi di bello, equilibrio, forma, armonia, etc. così
rassicuranti nell’opera di riconoscimento di un opera d’arte classica. Come
ha ben sintetizzato Nathalie Heinich in un suo recente testo: “Oltre a
questioni estetiche di valutazione (più o meno “bello” o “ben fatto”) e di
gusto (“piace” di più o di meno), il dibattito attuale implica anche questioni
ontologiche o cognitive di classificazione (è o non è arte) e di
integrazione/esclusione (si accetta o no una certa proposta come opera
d’arte)”.1 Rimanere oggettivi è sempre più difficile e, di fronte alle opere
d’arte contemporanee, si tende a scivolare da un giudizio da osservatore a
un giudizio da valutatore (Gilbert Dispaux) liberandosi così della spinosa
questione riguardante i motivi che hanno reso possibile una tale opera, sia
1
Nathalie Heinich – Per porre fine alla polemica sull’arte contemporanea – in AA.VV. - Del
contemporaneo. Saggi su arte e tempo – Paravia Bruno Mondadori, 2007 – pag. 55
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da parte del creatore, sia dalla parte del fruitore che la accetta e la ingloba
nel sistema dell’arte. Decidere che un determinato oggetto non è arte è
sicuramente il metodo più sbrigativo per evitare di doverne rendere
ragione. Questo è soprattutto vero per quanto riguarda l’arte
contemporanea così fortemente caratterizzata da una logica trasgressiva.
Una logica che si concretizza nella sistematica confusione e commistione
di generi, mezzi e sensi. Non sono solo le regole tradizionali dell’arte ad
essere tradite/tarsgredite ma soprattutto i quadri di riferimento
interpretativo: estetico, morale, giuridico. In pratica “l’arte contemporanea
si basa sulla sperimentazione di ogni forma di rottura con ciò che precede,
considerando positiva la trasgressione associata a un sovvertimento
critico.”2
In questo quadro trasgressivo, osserviamo che molte espressioni artistiche
contemporanee sono sempre più fortemente dominate da ammiccamenti,
per non dire da profonde connessioni, con aspetti sfacciatamente
psichiatrici. Queste opere, oltre a rendere esplicito il rifiuto e ad acutizzare
il “giudizio valutatore”, invitano spesso, attingendo agli strumenti della
psicoanalisi, ad una piatta interpretazione patologica. Ma, come abbiamo
già ricordato, è sicuramente la strada più semplice. E' un modo per evitare
una domanda profondamente scomoda e fastidiosa, inevitabile se si
affronta seriamente ciò che viene rappresentato nell'arte contemporanea.
Perché la patologia psichiatrica è entrata così prepotentemente nell'arte?
Questa deriva ha profondamente segnato il XX secolo tanto da mettere in
dubbio la sua natura. In buona sostanza: Si può parlare ancora di opera
d'arte? A cosa serve? Che cosa la rende tale? Perché la società vi attribuisce
un valore? Tutto questo può insegnare qualcosa alla psicoanalisi? E'
possibile uno scambio di sapere tra estetica e psicoanalisi?
Attraverso l'arte si possono capire molte cose delle dinamiche sociali in
atto. Questo però non basta per definire un manufatto "opera d'arte". Molte
delle cose prodotte dall'uomo, se non tutte, rispecchiano e parlano della
società nella quale sono state create. Ne più ne meno che un'opera d'arte.
Abbiamo visto che la cosa si complica ancor di più nel XX secolo, in cui
avviene uno scollamento pesante tra ciò che è opera d'arte e ciò che è il
gusto comune. La produzione estetica diventa sempre più astratta, estranea,
incomprensibile,
difficilmente
riconducibile
ad
un'idea
di
"rispecchiamento" della società nell'opera d'arte. E' in questo percorso di
allontanamento che improvvisamente ricompare il corpo umano.
Riprendendo un famoso saggio di Ortega y Gasset, potremmo dire che più
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Idem pag. 64
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avanzava il processo di disumanizzazione dell'arte, più ritornava in primo
piano il corpo.
Il secolo scorso è stato, nella sua brevità, costellato da esperienze
d'avanguardia in cui gli artisti si sono confrontati a diversi livelli e a più
riprese con la presenza del corpo. Abbandonato da anni come riferimento
principe della pittura, il corpo è ritornato prepotentemente in auge nel XX
secolo, ma non quale entità da riprodurre nella sua perfezione, ma come
oggetto espressivo, come luogo di sperimentazione, sul quale si sono
accanite le più radicali forme di ricerca. Il corpo è così ritornato ed è stato
fotografato, agito, ferito, modificato, squartato, oltraggiato, beatificato.
Un ritorno sintomatico nel reale di una entità, il corpo appunto, che era
oramai divenuto astratto, ideale. Da prima le avanguardie storiche con il
loro uso teatrale del corpo, poi Duchamp e l'utilizzo di alcuni atteggiamenti
e pose come opere d'arte, ed ancora Fluxus e l'Azionismo in cui il corpo
negli happenings e nelle azioni era l'elemento fondamentale. In fine, la
Body Art che portando alle estreme conseguenze l'utilizzo del corpo arriva
fino alla sua radicale modifica e/o azzeramento attraverso la ferita
sanguinolenta.
Questo uso massiccio del corpo pone un evidente problema sia all'estetica
tradizionale, sia all'elaborazione di una estetica lacaniana. Nel primo caso,
le forme estreme della Body Art sono state più volte liquidate come
pornografiche, patologiche, sostanzialmente brutte, decretandone la
sommaria emarginazione e la scarsa comprensione. Questo è vero almeno
in prima battuta, salvo poi essere riassunte nelle sue forme edulcorate
proposte dalla seconda e terza generazione di artisti che hanno eletto il
corpo a loro principale strumento espressivo.
Per l'elaborazione da noi proposta, invece, il problema si presenta più
radicale. Nella pratica della Body Art avviene una esposizione tout-court di
un godimento che, riferendosi alle elaborazioni proposteci sia da Freud che
da Lacan, dovrebbe rimanere assolutamente celato. E' questo un
cambiamento radicale che impone l'elaborazione una nuova prospettiva nel
modo di pensare l'opera d'arte e la sublimazione. Questa vera e propria
ostentazione di godimento inscenata nelle performance va quindi a scuotere
profondamente l'idea stessa di opera d'arte, intesa come sublimazione
Partendo quindi da presupposti psicoanalitici non possiamo riconoscere in
questo ambito di ricerca artistica alcun movimento di sublimazione
fondante l'opera d'arte. Ma, visto il riconoscimento attribuitovi, seppur
tardivamente, dalla società, non possiamo nemmeno negare che qualcosa
che ha a che vedere con l'arte (e quindi con la sublimazione) sia in atto.
Che la società vi trovi qualcosa di interessante, pacificante, appagante, è
per noi motivo di interrogazione.
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E' esattamente questo punto di arresto che ha guidato la ricerca che sta alla
base di questo lavoro. Ricerca approdata alla teoria del quattro discorsi
proposta da Lacan a partire dagli anni Settanta, nel tentativo di uscire da
questa impasse.
Il lavoro è diviso essenzialmente in quattro parti. La prima è dedicata
all’approfondimento/confronto delle teorie estetiche deducibili dagli
insegnamenti di Freud e di Lacan. La seconda è dedicata allo sviluppo
articolato dell’estetica lacaniana attraverso la rilettura dell’evoluzione della
poesia sperimentale nel ventesimo secolo. Nella terza parte, sono elaborati
alcuni punti d’arresto dell’estetica lacaniana rappresentati da certi
movimenti artistici, riconosciuti e autorizzati come tali dal sistema delle
arti, che non rispondono alla tesi di bordatura del vuoto espressa da Lacan
nel VII seminario e/o di sublimazione come l’indica la teoria classica
freudiana. La quarta e ultima parte è dedicata allo studio dei Quattro
Discorsi, come sono presentati da Lacan nel XVII Seminario, e alla loro
possibile articolazione con i punti d’arresto riscontrati nella parte
precedente.
Il presente testo è costituito essenzialmente dalla rielaborazione del lavoro
di tesi di Diplôme d'études approfondies discusso nel giugno del 2004
presso l'Università di Parigi VIII e di alcuni altri brevi lavori già editati:
L'ostentazione del reale nell'arte contemporanea ( in Annali della Sezione
Clinica di Milano - L'Etica della psicoanalisi - Ed. La Vita Felice 2004),
Julien Blaine: la poesia intesa come gioco dei significanti (Art in Italy n°
20 - 2002) e Lo squartamento estetico (in Bottiroli-Rodriguez - Il disagio
della bellezza - Franco Angeli 2006).
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LA PSICOANALISI E L'ARTE
SECONDO FREUD E LACAN
Nell'arte la regola e il caos formano un'unità felice.
La regola, da sola, è monotona il caso da solo rende inquieti.
Bruno Munari
L'OPERA D'ARTE NON E' IL SINTOMO DELL'ARTISTA
C'è una differenza fondamentale, che salta subito agli occhi a chi s'interessa
d'arte e psicoanalisi, tra l'impostazione della questione avanzata da Freud e
i successivi sviluppi proposti da numerosi psicoanalisti nel corso della
storia della psicoanalisi.
Freud ha sempre parlato dell'arte con un certo rispetto, con una sorta di
timore, affermando a più riprese che la psicoanalisi non può, al momento,
dire nulla sulla creazione artistica. Tutt'al più può parlare e mettere in
evidenza i fantasmi inconsci che agiscono all'interno di una determinata
opera, come è il caso del famoso scritto su Leonardo Da Vinci. Ma
quest'operazione non apporta nulla di nuovo al problema di fondo
dell'estetica e si risolve in un inutile e sterile utilizzo della psicoanalisi al di
fuori di ciò che le è proprio.
Travisando, in buona o cattiva fede, l'indicazione di Freud, è nato e si è
sviluppato, suscitando un certo interesse, tutto un filone di studi analitici
che ha portato in primo piano, per la gioia dei collezionisti d'arte e dei
letterati, tutta una serie di aneddoti della vita degli artisti che sono
riconosciuti come i conflitti alla base della loro creazione. E' una letteratura
morbosa, che cerca nella patologia personale dell'artista la spiegazione
delle opere prodotte dall'artista stesso. Una letteratura che nasconde la
propria ignoranza sulla questione di fondo della creazione estetica, dietro
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una sfavillante serie di avvenimenti familiari che starebbero alla base, che
fornirebbero il materiale, che sarebbero la causa della creazione stessa.
Ora, che alla base della creazione ci siano dei "conflitti interni" non ha
niente di straordinario. E' esattamente ciò che mostra Freud nel suo scritto
su Leonardo e che accompagna lo sviluppo del pensiero di Freud fin dal
1897. Leggiamo, in fatti, nella Minuta N: "Il meccanismo della creazione
poetica è lo stesso delle fantasie isteriche. Goethe unì in Werther qualcosa
di vissuto, il suo amore per Lotte Kastner, e qualcosa di cui aveva sentito
parlare, il destino del giovane Jerusalem, morto suicida. Probabilmente
accarezzò l'idea di suicidarsi e in questo trovò un punto di contatto e
s'identificò con Jerusalem, a cui prestò i suoi motivi, derivati dalla sua
storia d'amore. Per mezzo di questa fantasia egli si protesse contro le
conseguenze della sua esperienza. Così Shakespeare aveva ragione di
accostare poesia e delirio (fine frenzy)"3
Un analista sa bene che tutti, artisti e no, conservano nel proprio intimo un
certo fantasma che determina le soluzioni soggettive di ognuno. Il punto
quindi non è quello di sapere quale sia questo fantasma e in che modo
influenzi la creazione di un determinato artista. Una tale impostazione
dell'analisi, ha lo stesso valore della dimostrazione di quale fantasma sia
alla base dell'ottimo e meticoloso lavoro svolto dal ragioniere Rossi: non ci
dice assolutamente nulla della questione che muove una tale ricerca.
Il nostro primo passo sarà quindi quello di prendere le distanze da questo
filone patografico di lettura dell'arte. Un filone ricco e che trova in I.
Sadger4 il suo capostipite e che ha avuto valenti epigoni da Otto Rank ad
Hanna Segal, da Marie Bonaparte a Ernest Jones. Non ci interessa sapere
quale fantasma venga rappresentato in una determinata opera, o quale sia la
struttura soggettiva di un determinato artista. In buona sostanza non ci
interessa ridurre l'opera d'arte al sintomo dell'artista. Ciò che ci interessa è
capire, se possibile, quale sia l'operazione estetica. Che cosa sia in gioco,
per chiamare le cose con il loro nome, nella sublimazione.
E' questa la questione sollevata anche da Gombrich nei sui fondamentali
studi su Freud e l'arte. “Se ho ragione io, quello che conta in una pittura
come questa non è che il suo creatore, del resto come tutti noi, abbia un
inconscio in cui continua a vivere una simbolizzazione arcaica; e nemmeno
che (sempre come tutti noi) la mente del creatore partecipi delle qualità di
Edipo, di Pigmalione, e magari, di Barbablù. Quello che conta è che egli si
sia trovato in una situazione in cui i suoi conflitti privati hanno acquistato
3
Signmund Freud - Minute teoriche per Wilhelm Fleiss - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati
Boringhieri, Torino 1968 - Vol. 2; pag. 65
4
Tra i testi di I. Sadger ricordiamo: Konrad Ferdinand Meyer. Eine pathographics-psycologische studie
(1908); Aus dem Liebesleben Nikolaus Lenaus (1909); See Heinrich von Kleist: eine pathographicspsycologische studie (1909)
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importanza artistica. Senza i fattori sociali (cioè senza gli atteggiamenti, lo
stile, le tendenze del gusto della sua epoca), le necessità private del creatore
non potrebbero trasmutarsi in arte. In questa trasformazione il significato
privato sparisce quasi completamente.”5
E più precisamente: “E’ spesso l’involucro a determinare il contenuto. Solo
le idee inconsce che possono essere adeguate alla realtà delle strutture
formali divengono comunicabili e il loro valore per gli altri sta per lo meno
altrettanto nella struttura formale quanto nell’idea stessa. Il codice genera il
messaggio.”6
Cosa che non è sfuggita nemmeno a Kris, che indica giustamente nei testi
freudiani dedicati al motto di spirito e al perturbate le fonti imprescindibili
per ogni seria discussione sulla questione estetica.
Ciò che a noi interessa, seguendo in questo senso Gombrich, è cosa faccia
di un manufatto (o di uno scritto) un'opera d'arte.
CHE COS'E' UN OPERA D'ARTE?
La domanda da porsi sarà dunque: Che cos'è un'opera d'arte?
E questo perché, chiedersi che cosa sia un'opera d'arte, insegna qualcosa
alla psicoanalisi nella misura in cui ci si chieda quali elementi concettuali
illumini.
Partendo dall'assunto che l'esperienza estetica è una esperienza simbolica e
che come tale mira all'incontro con il reale, a rendere possibile l'incontro
con il reale, possiamo riconoscere nell'opera d'arte due versanti. Nel primo
l'opera d'arte è una formazione dell'inconscio. Di conseguenza possiamo
applicare ad essa tutta la teoria psicoanalitica sviluppata su questo punto, in
particolare quella sviluppata da Lacan con l'introduzione dei tre registri
dell'immaginario, del simbolico e del reale. Nel secondo l'opera d'arte è un
modo di trattare l'inconscio, un modo di imbavagliare, di ordinare
l'inconscio. E' evidente che questo è il versante più sdrucciolevole, che ha
permesso lo scivolamento teorico fornendo il materiale per lo sviluppo di
quella che ho definito come critica patografica.
C'è da dire però che esiste una verità parziale in entrambi i versanti, perché
l'opera d'arte è l'una e l'altra assieme.
La natura dell'opera d'arte è al tempo stesso manifestazione della pulsione
(perdita di controllo, caos, formazione dell'inconscio) ma anche un suo
5
Ernest H. Gombrich – Freud e la psicoanalisi dell’arte. Stile, forma e struttura alla luce della psicoanalisi
– Ed. Einaudi – Torino, 2001 – pag. 67
6
Ibidem – pag. 29
11
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trattamento (ricomposizione, riacquisto di controllo della materia e della
vertigine che ne scaturisce, costruzione sintomatica)
Riprendiamo quindi la questione partendo da Freud.
Nel 1913, Eugenio Rignano, direttore della rivista "Scientia", chiese a
Freud di scrivere un articolo sulla psicoanalisi con l'indicazione di quale
interesse le teorie psicoanalitiche potevano suscitare nei cultori di altri rami
del sapere. Freud scrisse in risposta ad una tale richiesta "L'interesse per la
psicoanalisi", testo che dedica all'estetica un intero capitolo. Vi si legge:
"Alcuni problemi che si riferiscono all'arte e all'artista trovano nella
psicoanalisi un chiarimento soddisfacente; altri le sfuggono interamente.
Essa riconosce anche nell'esercizio dell'arte un'attività che si propone di
temperare desideri irrisolti, e precisamente in primo luogo nello stesso
artista creatore e per conseguenza nell'ascoltatore o nello spettatore. Le
forze motrici dell'arte sono gli stessi conflitti che spingono altri individui
alla nevrosi e che hanno indotto la società a fondare le sue istituzioni.
Donde venga all'artista la capacità creativa non è un problema della
psicologia. L'artista persegue innanzitutto la propria liberazione e,
comunicando la sua opera, la trasmette ad altri che soffrono degli stessi
desideri trattenuti. E' vero che egli rappresenta come appagate le sue
fantasie di desiderio più personali, ma queste divengono opera d'arte
soltanto se vien loro impressa una forma diversa che mitighi l'aspetto
urtante di questi desideri, ne celi l'origine personale, e offra agli altri,
rispettando le regole del bello, seducenti premi di piacere".7
In questo primo brano troviamo già delle indicazioni molto precise che
riassumeremo così:
a) L'arte è un'attività che si propone di temperare i desideri irrisolti
b) Le forze motrici dell'arte sono le stesse delle nevrosi e che stanno a
fondamento delle istituzioni sociali
c) Perché sia un'opera d'arte la società vi deve riconoscere un "seducente
premio di piacere".
I primi due punti sono esattamente quelli su cui si è basata gran parte della
critica patografica qui criticata. In essi Freud indica chiaramente il nesso
esistente tra la creazione artistica e la nevrosi, ma ciò non significa che sia
questo l'aspetto interessante della faccenda. E' sicuramente affascinante e
intrigante, ma non fa fare un passo avanti nella comprensione della vera
questione in gioco, che è quella indicata nel terzo punto. Cioè quella del
7
Sigmund Freud - L'interesse per la psicoanalisi - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati Boringhieri,
Torino 1975 - Trad. Elvio Facchinelli - Vol. 7; pag. 269
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riconoscimento del valore artistico da parte della società ad un determinato
prodotto. E' questo il punto che interessa a Freud e che di conseguenza
deve interessare la psicoanalisi. Da dove venga la capacità dell'artista di
organizzare la propria soluzione del fantasma in modo creativo, cioè da
dove venga la sua capacità creativa, a Freud non interessa minimamente.
Quali siano le forze motrici (le formazioni dell'inconscio) e come siano
organizzate dall'artista (la sua particolare costruzione sintomatica)
rimangono in sospeso. Non è questa l'indagine che uno psicoanalista è
chiamato a compiere accostandosi ad un'opera d'arte. Freud, che in questo
testo liquida tale indagine in modo brusco, già nel suo scritto del 1907 "Il
poeta e la fantasia" metteva in guardia rispetto alla rivelazione delle
fantasie che "quando le apprendiamo, ci destano una certa ripugnanza, o
tutt'al più ci lasciano freddi"8. Ciò che interessa a Freud è il problema del
godimento artistico inserito nel più complesso problema delle
compensazioni di desiderio. Scrive ancora Freud nello stesso testo:
"Per il resto la maggior parte dei problemi relativi alla creazione e al
godimento artistico attende ancora un'elaborazione che faccia cadere su di
essi la luce della conoscenza analitica e consenta di stabilire il posto che ad
essi spetta nel complicato assetto delle compensazioni di desiderio"9
In questo passo Freud chiarisce come, pur ammettendo che al momento
non si possa andare oltre nella ricerca su questo punto (ricordo che siamo
nel 1913), non ritenga impossibile un avanzamento sulla questione del
godimento estetico.
Noi sappiamo, ora, che l'avanzamento, effettivamente, è possibile. E lo è,
non mi stancherò di ripeterlo, nella misura in cui si prende le distanze dalla
ricerca del fantasma inconscio dell'artista e ci si avvicini all'opera d'arte
dalla via della sublimazione. L'aspetto più interessante di una lettura
analitica dell'arte (in particolare la contemporanea) è proprio la possibilità
di leggerne le implicazioni di godimento che la società ne estrae. La
questione è quella di capire che cosa l'arte pacifichi, a che cosa serva, quale
è il piacere che la società che vi si riconosce può estrarre e assumere. La
questione è quella della sublimazione. Ma non della sublimazione messa in
atto dall'artista rispetto al proprio "conflitto interno" (o meglio non solo,
perché è evidente che si deve pur sempre partire dal lavoro effettuato da un
soggetto rispetto alla propria mancanza), ma la sublimazione di una
questione che travalica il singolo e che investe tutta una società e che trova
8
Sigmund Freud - Il poeta e la Fantasia - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati Boringhieri, Torino
1972 - Trad. Cesare Musatti - Vol. 5; pag.383
9
Sigmund Freud - L'interesse per la psicoanalisi - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati Boringhieri,
Torino 1975 - Trad. Elvio Facchinelli - Vol. 7; pagg. 269/270
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Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
nella soluzione espressa da una determinata opera d'arte una sua
pacificazione.
Questo salto qualitativo, questa lettura che si stacca in modo così
perentorio da tutta la critica d'arte nata all'ombra della psicoanalisi è
pensabile solo a partire dall'insegnamento di Lacan. E' lui, in fatti, che
indica in questa direzione l'unica possibilità di incrocio tra psicoanalisi e
arte. Un incrocio che può essere molto fecondo solo se mantenuto nel suo
rovescio. Cioè non nell'applicazione della psicoanalisi all'arte, ma
nell'applicazione dell'arte alla psicoanalisi. Come scrive Regnault: "Non si
riterrà quindi che ci sia in Lacan il disegno di percepire ciò che l'artista o
l'opera rimuove, ma piuttosto l'opera e l'artista faranno percepire ciò che la
teoria misconosce ancora. L'opera va incontro ai suoi eventuali pregiudizi,
e il teorico dell'analisi riceverà dall'arte il suo messaggio in forma
inversa."10
ROVESCIAMENTO DI PROSPETTIVA
Ciò che verrà sviluppato in questo lavoro sarà quindi un'applicazione
dell'arte contemporanea ad alcuni punti della teoria lacaniana cercando di
andare oltre il punto di arresto di Freud. Del resto, lo stesso Lacan ne aveva
indicato la possibilità in questo passo del seminario XI:
"Freud ha sempre sottolineato con infinito rispetto che intendeva non
concludere circa ciò che, della creazione artistica, costituisce il vero valore.
Sia per i pittori che per i poeti, c'è una linea in cui il suo apprezzamento si
arresta. (…) Tuttavia, quando studia Leonardo (…) cerca di trovare la
funzione avuta nella sua creazione dal fantasma originale (…) E' per questa
via che dobbiamo cercare?
Oppure bisogna vedere il principio della creazione artistica nel fatto ch'essa
estrarrebbe - ricordatevi di come traduco Vorstellungsreprasentanz - quel
qualcosa che tiene luogo di rappresentazione? E' forse qui che vi conduco,
quando distinguo il quadro da ciò che è la rappresentazione?
Certamente no. (…)
La creazione del pittore è strutturata in modo ben diverso. Proprio in
quanto restituiamo il punto di vista della struttura nella relazione libidica, è
venuto forse il tempo in cui possiamo interrogare con profitto - dato che i
nostri nuovi algoritmi ci permettono di articolarne meglio la risposta quanto è in gioco nella creazione artistica. Secondo noi si tratta della
10
François Regnault - Conférences d'esthétique lacanienne - Agalma diffusion Seuil, Paris, 1997, pag. 18
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Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
creazione così come è designata da Freud, cioè come sublimazione, e del
valore che essa assume in un campo sociale.
In un modo vago e preciso a un tempo, e che riguarda solo il successo
dell'opera, Freud formula che, se una creazione del desiderio, pura a livello
del pittore, assume valore commerciale - gratificazione che si può
comunque qualificare come secondaria - è perché il suo effetto ha qualcosa
di profittevole per la società, o per quanto, della società, cade sotto di essa.
Restiamo ancora nel vago per dire che l'opera la tranquillizza, la gente, la
riconforta, facendole vedere che può esserci qualcuno che vive dello
sfruttamento del loro desiderio. Ma perché li soddisfi a tal punto, bisogna
pure che ci sia anche quest'altra incidenza, che il loro desiderio di
contemplare vi trovi un qualche soddisfacimento. Gli eleva l'anima, come
si dice, vale a dire li incita alla rinuncia."11
Partiremo quindi da Freud con un piccolo riassunto della sua teoria della
sublimazione e delle implicazioni estraibili dai suoi scritti rispetto al
problema della creazione artistica.
Passeremo poi a Lacan reperendo nei suoi seminari alcuni punti dedicati
alla creazione artistica e alle problematiche del bello. Cercheremo di
delineare in questo modo ciò che possiamo definire una estetica
psicoanalitica orientata dall'insegnamento di Lacan.
LA SUBLIMAZIONE PER FREUD
Come già indicavano Laplanche e Pontalis nella loro Enciclopedia della
psicoanalisi, non esiste una teoria della sublimazione coerente in Freud,
bensì una serie di indicazioni espresse in numerosi dei suoi scritti.
Possiamo però indicare nel concetto di sublimazione il tentativo di spiegare
alcune attività sostenute da un desiderio non prettamente sessuale: la
creazione artistica, l'attività intellettuale e, più in generale, tutte quelle
attività umane a cui la società attribuisce un elevato valore. In questi
termini però la sublimazione risulta essere un concetto piuttosto astratto e
impreciso, che non rispecchia il rigore teorico di Freud.
Più precisamente, Freud parla di sublimazione, quando una pulsione
sessuale subisce una deviazione verso nuove mete non sessuali. In qualche
modo Freud ci indica che la pulsione può de-sessualizzarsi. Nei suoi Tre
saggi sulla teoria sessuale dice chiaramente: "Gli storici della civiltà
sembrano essere concordi nel supporre che, mediante questa deviazione di
11
Jacques Lacan - Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi - Ed. Einaudi,
Torino, 19?? - Trad. - pagg; 112/113
15
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
forze pulsionali sessuali dalle mete sessuali e il loro riversarsi su mete processo che merita il nome di sublimazione, - si ottengono importanti
componenti per tutte le operazioni della civiltà. Per parte nostra
aggiungeremo che lo stesso processo si verifica nello sviluppo
dell'individuo singolo e ne collocheremo l'inizio nel periodo di latenza
sessuale dell'infanzia.
Si può osare un'ipotesi anche sul meccanismo di tale sublimazione. I moti
sessuali di questi anni d'infanzia sarebbero, da un lato, inutilizzabili in
quanto le funzioni procreative sono rimandate, e questo è il carattere
principale del periodo di latenza, d'altro lato sarebbero in sé perversi, cioè
deriverebbero da zone erogene e sarebbero sorretti da pulsioni che, vista la
direzione dello sviluppo individuale, potrebbero soltanto provocare
sensazioni di dispiacere. Perciò essi risvegliano forze psichiche contrarie
(moti di reazione), che costruiscono per un'attiva repressione di tale
dispiacere i detti argini psichici: il disgusto, il pudore e la morale."12
Il passo si completa, come indica la nota aggiunta nel 1914, con un altro
brano estratto dalla Introduzione al narcisismo dove Freud sottolinea la
differenza esistente tra il processo di sublimazione e quello di
idealizzazione.
"La sublimazione è un processo che interessa la libido oggettuale e consiste
nel volgersi della pulsione a una meta diversa e lontana dal
soddisfacimento sessuale. In questo processo l'accento cade sulla
deviazione rispetto alla sessualità. L'idealizzazione è un processo che ha a
che fare con l'oggetto; in virtù di essa l'oggetto, pur non mutando la sua
natura, viene amplificato e psichicamente elevato. L'idealizzazione può
avvenire sia nell'ambito della libido dell'Io sia nell'ambito della libido
oggettuale. Così per esempio la sopravvalutazione sessuale di un oggetto è
un' idealizzazione dello stesso. Pertanto, dal momento che la sublimazione
descrive qualcosa che ha che fare con la pulsione, mentre l'idealizzazione
ciò che accade all'oggetto, queste due nozioni vanno concettualmente
distinte l'una dall'altra.
La formazione di un ideale dell'Io viene frequentemente confusa con la
sublimazione delle pulsioni, a danno della nostra intelligenza dei fatti. Non
necessariamente chi ha rinunciato al proprio narcisismo per dedicarsi ad un
alto ideale dell'Io è per ciò stesso riuscito a sublimare le sue pulsioni
libidiche. Vero è che l'ideale dell'Io esige tale sublimazione, ma non può
imporla; la sublimazione resta un processo particolare il cui avvio può esser
12
Sigmund Freud - Tre saggi sulla teoria sessuale. La sessualità infantile - in Opere di Sigmund Freud;
Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1970 - Trad. di Mazzino Montinari - Vol. 4; pagg. 488/489
16
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
sollecitato dall'ideale, ma la cui esecuzione rimane assolutamente
indipendente da tale sollecitazione."13
E poco oltre:
"Come sappiamo, la formazione di un ideale accresce le esigenze dell'Io e
favorisce al massimo la rimozione; la sublimazione offre invece una via
d'uscita in virtù della quale le esigenze dell'Io possono esser soddisfatte
senza dar luogo a rimozione".14
E' questo un passaggio molto controverso.
Lacan ci ha mostrato la differenza tra Io ideale ed Ideale dell'io, in
particolare nella Nota sulla relazione di Daniel Lagache.15 Tale differenza
arricchisce notevolmente la lettura del testo freudiano, dandoci notevoli
strumenti di spiegazione della dinamica dell'idealizzazione.
Nello schema ottico utilizzato da Lacan viene chiaramente indicato un
punto pertinente all'ideale. Un punto ben preciso che ci aiuta a capirne le
dinamiche, le implicazioni e la necessità, per il soggetto, di un tale luogo di
condensazione dell'ideale.
Ciò che non compare in questo schema è il luogo della sublimazione. Il
fatto è che la sublimazione sfugge alla domanda sulla motivazione. Perché
si deve rinunciare alla pulsione? Sappiamo, sia da Freud che da Lacan, che
senza sublimazione non è possibile legame sociale. Tale procedimento
rende il soggetto umano. Possiamo dire che è una condizione necessaria
all'avvento dell'uomo nella sua dimensione sociale. Ciò non toglie, però,
che la sublimazione non sia da confondersi con l'accesso al linguaggio che
sta alla base dell'essere umano in quanto tale.
Da una parte abbiamo quindi l'accesso al linguaggio come condizione di
esistenza dell'uomo in quanto parlante, cioè, utilizzando un termine
lacaniano, come parlessere. Dall'altra avremmo un'ulteriore processo che
permetterebbe al parlessere di accedere alla dimensione sociale "alta"
(morale, etica, estetica, etc.) con una ulteriore rinuncia.
Nel primo processo si ha la radicale perdita di essere che caratterizza il
soggetto lacaniano. Cioè il soggetto in quanto umano, in quanto parlante, è
sottomesso alla legge simbolica del linguaggio e il soggetto non vi compare
che come mancanza, manque-à-être. Tale mancanza s'inscrive nel soggetto
dalla sua nascita, e cioè costituente il soggetto. Per Lacan il soggetto non è
un essere, ma una mancanza ad essere. Viene cioè posto al nucleo del
soggetto un vuoto costituente il soggetto stesso. Un vuoto, una mancanza,
13
Sigmund Freud - Introduzione al narcisismo - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati Boringhieri,
Torino 1975 - Trad. di Renata Colorni - Vol. 7; pagg. 464/465
14
Ibid pag. 465
15
Jacques lacan - Nota sulla relazione di Daniel Lagache: Psicoanalisi e struttura della personalità - in
Scrtti - Vol. II; Ed. Einaudi, Torino, 1974; pagg. 643/681
17
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
da cui scaturisce il desiderio come metonimia della mancanza ad essere
costituente il soggetto stesso.
Nel secondo processo, quello della sublimazione, si assiste invece ad una
radicale rinuncia ad un parte della pulsione. Cioè il soggetto, per accedere
al legame sociale o alla dimensione estetica (che è l'argomento di questo
nostro lavoro) deve rinunciare ad una parte di godimento. O meglio,
secondo i termini freudiani, modificare la meta del soddisfacimento della
pulsione.
Torneremo su questo punto quando tratteremo più direttamente le tesi
lacaniane. Torniamo, per il momento, nuovamente a Freud per vedere come
la sublimazione rimanga, tutto sommato, una questione irrisolta. E' del
resto lo stesso Freud ad ammetterlo. Scrive in Teoria della libido, uno dei
due testi noti come Due voci di enciclopedia: "Il più significativo destino
cui può andare incontro una pulsione parve essere la sublimazione, in cui
vengono cambiati sia l'oggetto sia la meta, tanto che la pulsione
originariamente sessuale trova ora il proprio soddisfacimento in una
prestazione non più sessuale, socialmente o eticamente di maggior valore.
Tutti questi tratti non si sono ancora composti in un quadro unitario."16
Pur avendo fatto notevoli sforzi per una sua precisa definizione, rimane
nell'insieme qualcosa di oscuro. Come e perché agisca questo mutamento di
meta non viene, di fatto, individuato. Il dubbio rimane, come chiaramente
dichiarato da Ricoeur: "La sublimazione è sia l'indicazione di un problema
che il nome di una soluzione. Si può tuttavia dire che la ragione d'essere
della psicoanalisi sta proprio nel non darsi la differenza tra la sterilità del
sogno e la creatività dell'arte, ma di considerarla come una differenza che
costituisce problema all'interno di un'unica semantica del desiderio. Con
ciò essa si ricollega alle vedute di Platone sull'unità profonda di poesia ed
erotismo, a quelle di Aristotele sulla continuità tra catarsi e purificazione, a
quelle di Goethe sul demonismo."17
Come abbiamo già indicato, l'intuizione che accompagnerà sempre Freud
nella sua produzione teorica relativa all'arte, è che la creazione poetica e la
fantasia isterica hanno come base lo stesso meccanismo. Lo sviluppo
successivo degli studi psicoanalitici non ha poi sostanzialmente modificato
questa indicazione. In fatti, possiamo leggere nella XXIII lezione
introduttiva alla psicoanalisi un'ulteriore interessante esposizione
dell'assunto, che ci fornirà il materiale per lo sviluppo del nostro discorso.
16
Sigmund Freud - Due voci di enciclopedia. Teoria della libido - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati
Boringhieri, Torino 1977 - Trad. di Renata Colorni - Vol. 9; pagg. 459
17
Paul Ricoeur - Della interpretazione. Saggio su Freud - Il Saggiatore, Milano, 1966 - Traduzione di
Emilio Renzi - Pag. 198
18
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
"Vi è un modo per tornare dalla fantasia alla realtà, e questo modo è l'arte.
Anche l'artista è in germe un introverso, non molto distante dalla nevrosi.
Incalzato da fortissimi bisogni pulsionali, vorrebbe conquistare onore,
potenza, ricchezza, gloria e amore da parte delle donne; gli mancano però i
mezzi per raggiungere queste soddisfazioni. Perciò, come qualsiasi altro
insoddisfatto, egli si distacca dalla realtà e trasferisce tutto il suo interesse,
nonché la sua libido, sulle formazioni di desiderio della vita fantastica,
dalle quali potrebbe esser condotto alla nevrosi. Anzi, è necessario il
concorso di parecchi fattori affinché questo non diventi l'esito del suo
sviluppo; tutti sappiamo quanto spesso proprio gli artisti soffrano, per
nevrosi, di una parziale inibizione delle loro capacità di produrre.
Probabilmente la loro costituzione possiede una forte capacità di
sublimazione e una certa labilità quanto a rimozioni che determinano il
conflitto. L'artista, tuttavia, trova la via di ritorno alla realtà nel modo
seguente. Egli non è certo l'unico a condurre una vita di fantasia. Il regno
intermedio della fantasia è accessibile a tutti per generale consenso, e
chiunque soffra di privazioni se ne aspetta sollievo e conforto. Ma per
coloro che non sono artisti la messe di piacere che possono ricavare dalle
fonti della fantasia è molto limitata. L'inesorabilità delle loro rimozioni li
costringe ad accontentarsi di quei magri sogni a occhi aperti che ancora
riescono a diventare coscienti. Se uno è un vero artista dispone di qualcosa
in più. In primo luogo, sa elaborare i propri sogni ad occhi aperti in modo
che essi perdano gli elementi troppo personali e diventino godibili anche
dagli altri. Sa inoltre mitigarli al punto che essi non tradiscano facilmente la
loro origine dalle fonti proibite. Possiede altresì il misterioso potere di
modellare un certo materiale fino a renderlo la fedele immagine della sua
rappresentazione fantastica, e sa poi congiungere a questa descrizione della
sua fantasia inconscia un tal conseguimento di piacere che le rimozioni ne
vengono, almeno temporaneamente, sopraffatte e abolite. Se è in grado di
fare tutto ciò, egli offre agli altri la possibilità di attingere nuovamente
conforto e sollievo dalle fonti di piacere ormai inaccessibili del loro
inconscio; si guadagna la loro riconoscenza e ammirazione, e ottiene ora,
per mezzo della sua fantasia, ciò che prima aveva ottenuto solo nella sua
fantasia: onore, potenza e amore."18
In questa lezione Freud pone in risalto alcune operazioni necessarie
all'artista per la creazione di un opera. E' su di esse che voglio attirare
l'attenzione.
Freud distingue chiaramente quattro operazioni, potremmo dire quattro
elaborazioni, quattro passaggi, che l'artista deve far compiere alle proprie
18
Sigmund Freud - Introduzione alla psicoanalisi. Lezione XXII - in Opere di Sigmund Freud; Ed. Bollati
Boringhieri, Torino 1976 - Trad. Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Gagittario - Vol. 8; pagg. 530/531
19
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
fantasie per arrivare alla realizzazione di un opera d'arte. Di un opera cioè
che offra alla società che vi si riconosce, e che la assume come opera d'arte,
"seducenti premi di piacere". Le quattro operazioni sono:
1) Elaborazione delle fantasie: cioè la capacità di rendere universali delle
fantasie personali. La fantasia deve cioè essere riconoscibile e accettabile
da tutti come propria. Vedremo come questa operazione sia comprensibile
applicando le categorie di universale e particolare elaborate da Lacan.
2) Purificazione delle fantasie: cioè la capacità di occultamento delle fonti
proibite. La fantasia viene in questo modo purificata dai sui aspetti urtanti,
fastidiosi. Riconosciamo in questa operazione l'esatto contrario
dell'operazione svolta dalla psicoanalisi nello svelare quei "conflitti interni"
che costituiscono l'opera d'arte per la critica patografica. Ulteriore
conferma della riduzione semplicistica di una tale analisi dell'opera d'arte.
3) Modellamento della fantasia sulla propria immagine fantastica. E' questa
l'operazione più misteriosa. Essa appare in netta contraddizione con la
prima operazione individuata da Freud. Mentre in quella la tendenza è dal
particolare all'universale, qui abbiamo la tendenza inversa. L'opera, pur
offrendo una immagine universale, accettabile e riconoscibile da tutta una
società, non perde la sua radicale singolarità. Un opera mantiene sempre la
matrice del suo autore che la rende attribuibile ad un solo ed unico artista.
4) Accumulazione di piacere: Freud dice chiaramente che l'artista deve
essere in grado di "congiungere a questa descrizione della sua fantasia
inconscia un tal conseguimento di piacere che le rimozioni ne vengono,
almeno temporaneamente, sopraffatte e abolite". Offre cioè la possibilità di
goderne anche a terzi. Rende disponibile un potenziale di piacere
condivisibile con tutti.
La conseguenza di queste operazioni è la possibilità, offerta a tutti coloro
che godono dell'opera, di attingere nuovamente alle fonti di piacere oramai
inaccessibili al loro inconscio. L'opera d'arte in quanto tale rende cioè
possibile l'accesso ad un piacere per altre vie. Rende accessibile a tutti una
forma di sublimazione. Vediamo bene come la sublimazione, ponendosi
come meta finale del lavoro artistico, sia un elemento imprescindibile
nell'analisi di un'opera d'arte.
LA SUBLIMAZIONE PER LACAN
A questo proposito la domanda fondamentale da porsi, come già ricordato,
è che cosa l'arte pacifichi per la società. In definitiva che cosa sublima?
Ancora una volta è Lacan a fornirci gli sviluppi più interessanti e
stimolanti.
20
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Nel suo VII seminario troviamo una formula della sublimazione artistica
per cui tale lavoro si esplicita nell'elevamento di un oggetto alla dignità
della Cosa. Ma prima di arrivare a tale definizione Lacan dice delle altre
cose estremamente interessanti:
"A livello della sublimazione, l'oggetto è inseparabile da elaborazioni
immaginarie, e soprattutto culturali. Non è soltanto che la collettività li
riconosca come oggetti utili - essa vi trova un ambito di distensione
attraverso cui può, in un certo qual modo, illudersi su Das Ding,
colonizzare con le sue formazioni immaginarie l'ambito di Das Ding. E' in
questo senso che si esercitano le sublimazioni collettive, socialmente
ammesse.
La società trova una certa felicità nei miraggi che le forniscono moralisti,
artisti, artigiani, fabbricatori di abiti o di cappelli, creatori di forme
immaginarie. Ma non è solamente nella convalida che essa gli conferisce
accontentandosene che dobbiamo cercare la molla della sublimazione. Che
si situa anche in una funzione immaginaria, soprattutto in quella per la
quale ci serviremo della simbolizzazione del fantasma (S/<>a), che è la
formula a cui si appoggia il desiderio del soggetto.
In forme storicamente, socialmente specificate, gli elementi a, elementi
immaginari del fantasma, vengono a sovrapporsi al soggetto, à leurrer, a
fare da specchietto per le allodole al soggetto nel punto stesso di das Ding.
Ecco su che cosa verterà la questione della sublimazione(..)"19
Per arrivare poche pagine dopo alla famosa definizione:
"E la formula più generale che vi do della sublimazione è questa - essa
eleva un oggetto - e qui non mi sottrarrò al tono di calembour che può
esserci nell'uso del termine che prendo - alla dignità della Cosa."20
Troviamo in questo passo una piccola indicazione che viene a spiegarci la
prima operazione individuata da Freud. Cioè la capacità di rendere
universale una fantasia singolare. Lacan ci indica come gli elementi
immaginari a vengano a sovrapporsi al soggetto nel punto stesso di das
Ding. Il riferimento poi alla struttura del fantasma arricchisce ancor di più
questa indicazione. Ma cosa ci dice esattamente Lacan?
Sappiamo dal suo insegnamento che il soggetto si costituisce nell'Altro (S A). Questo Altro (indicato dalla lettera A maiuscola) è una catena di
rappresentanze (vorstellung rappresentanz), di significanti, ma tra i
significanti, tra i due significanti di una catena, c'è un vuoto che è la
mancanza dell'oggetto.
19
20
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 124-125
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 141
21
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Il discorso è più chiaro se facciamo riferimento al XI seminario di Lacan e
all'utilizzo in esso sviluppato dei dischi di Eulero nella spiegazione delle
operazioni di alienazione e di separazione.
Come scrivono Di Ciaccia e Recalcati: "Nello schema dei dischi di Eulero
si produce un'intersezione. Quest'intersezione è il luogo dell'oggetto a. Si
ttratta di un anula che non è identica né al soggetto né all'Altro ma è
l'effetto della loro intersezione. Più precisamente: se l'alienazione
significante produce il soggetto come diviso (S barrato), la separazione
produce l'estrazione dell'oggetto a."21
Quello che viene a sovrapporsi è la mancanza ad essere del soggetto e la
mancanza dell'esistenza di un Altro dell'Altro, cioè che non tutto è
significabile.
"Nella separazione la mancanza d'essere del soggetto, rappresentata
dall'insieme vuoto, interseca l'Altro in una zona dove mancano significanti:
non vi è nulla di significabile, neppure il significante di non senso.
Al posto in cui, nell'operazione di alienazione, c'era il non senso, sorge così
l'oggetto che è fatto di mancanza e non è quindi riconducibile a nessun
oggetto empirico."22
Abbiamo quindi la sovrapposizione di due vuoti, quello del soggetto e
quello dell'Altro che costituisce la matrice dell'oggetto a. Da una parte il
discorso del soggetto dall'altra il Desiderio dell'Altro. Ecco che il
particolare, il singolare, viene ad articolarsi con l'universale.
E' in fatti in questa sovrapposizione che l'universale della legge del
linguaggio, della legge simbolica, trova un'articolazione singolare con la
posizione particolare (patologica o meno) del soggetto. Ecco quindi in che
modo la prima operazione individuata da Freud può andare in accordo con
la terza operazione individuata; cioè come la produzione di una fantasia
universale, cioè riconoscibile ed accettabile da tutti, può accordarsi con la
radicale singolarità di tale fantasia, il fatto cioè che sia riconoscibile come
prodotta da uno, e uno solo, artista ben riconoscibile nella sua peculiare
originalità.
L'indicazione di Lacan è, ancora una volta, tanto sintetica quanto precisa.
Nell'operazione estetica abbiamo a che fare con la Cosa.
Voglio qui riprendere il discorso abbozzato precedentemente e che fa da
riferimento imprescindibile nel brano appena citato.
21
Antonio Di Ciaccia Massimo Recalcati - Jacques Lacan - Paravia Bruno Mondadori ed..; Milano; 2000 pag. 66
22
Amelia Barbui Marco Focchi -Dovunque Altrove. Itopoi freudiani e il problema del soggetto nel
pensiero psicoanalitico - Ed. Guerrini e Associati; Milano; 1990 - pag.42
22
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Abbiamo visto come siano indicati da Freud due processi distinti che
riguardano l'uno la idealizzazione e l'altro la sublimazione. A tale proposito
ho ricordato la differenza tra accesso al linguaggio e la sublimazione.
Nel processo di alienazione si ha la radicale perdita di essere che
caratterizza il soggetto lacaniano. Cioè il soggetto in quanto umano, in
quanto parlante, è sottomesso alla legge simbolica del linguaggio e il
soggetto non vi compare che come mancanza, manque-à-être. Tale
mancanza s'inscrive nel soggetto dalla sua nascita, e cioè costituente il
soggetto. Per Lacan il soggetto non è un essere, ma una mancanza ad
essere. Viene cioè posto al nucleo del soggetto un vuoto costituente il
soggetto stesso. Un vuoto, una mancanza, da cui scaturisce il desiderio
come metonimia della mancanza ad essere costituente il soggetto stesso.
Un vuoto che permette, inoltre, il sorgere dell'oggetto a, come oggetto
causa del desiderio.
Nel processo di sublimazione si assiste invece ad una radicale rinuncia ad
un parte della pulsione. Cioè il soggetto, per accedere al legame sociale o
alla dimensione estetica deve rinunciare ad una parte di godimento. O
meglio, secondo i termini freudiani, modificare la meta del soddisfacimento
della pulsione.
E' questo un punto fondamentale, che segna profondamente il VII
seminario di Lacan. Ciò che sostiene lo sviluppo di tale seminario è la
divaricazione tra la dimensione del desiderio e quella del godimento. E'
esattamente la radicale irriducibilità del godimento alla dimensione del
desiderio che rende necessario tale seminario e che ne determina il titolo. In
buona sostanza, in questo VII seminario, Lacan ci indica che esistono due
versanti irriducibili e in radicale opposizione che determinano il soggetto.
Da una parte abbiamo il desiderio. Desiderio che "è articolato
dialetticamente con l'Altro, in quanto è n,ella sua struttura desiderio
dell'Altro, desiderio del desiderio dell'Altro. Inoltre è a causa del
trattamento significante, ovvero dell'azione dell'Altro sul soggetto, che il
corpo viene svuotato dal godimento, viene spogliato del suo godimento e
che il soggetto si costituisce compe una mancanza-ad-essere. Dobbiamo
cioè stabilire una causalità precisa tra l'azione dell'Altro sul soggetto e la
produzione del soggetto diviso, del soggetto come mancanza-a-essere."23
Dall'altra parte abbiamo il godimento e il suo radicale ancoramento alla
Cosa, a Das Ding.
Ma che cos'è per Lacan la Cosa?
Lo dice chiaramente nel VII seminario:
23
Antonio Di Ciaccia/Massimo Recalcati - Jacques Lacan - Paravia Bruno Mondadori editori; 2000; pag.
189/190
23
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
"Das Ding è originariamente ciò che chiameremo il fuori significato. E' in
funzione di questo fuori significato, e di un rapporto patetico con esso, che
il soggetto conserva la sua distanza e si costituisce in una modalità di
rapporto e di affetto primario, antecedente a qualunque rimozione."24
La Cosa è l'oggetto radicalmente perduto di cui ci parla Freud in relazione
alla rimozione originaria. Più precisamente, la perdita della Cosa è effetto
della rimozione originaria. "La Cosa è, al tempo stesso, il nome di un
godimento pieno, assoluto, irripetibile ma è anche quel nome che si
cancella proprio là dove si scrive. La Cosa è in realtà una non-cosa perché
da sempre barrata dal significante."25
La Cosa è definita da Lacan, sempre nel VII seminario, con il termine di
extimité, cioè il luogo più prossimo e allo stesso tempo più esteriore
all'essere del soggetto.
Ed ancora, è proprio in relazione alla Cosa che sorge l'oggetto a. Perché
l'oggetto a non è che un derivato della Cosa, ma non è, e non può essere, la
Cosa, in quanto l'oggetto a non è che il resto dell'operazione di
cancellazione della Cosa che abbiamo visto costituirla. Più precisamente
l'oggetto a è il risultato dell'azione del linguaggio, dell'Altro, sulla Cosa.
Possiamo ora ritornare alla straordinaria formula della sublimazione data da
Lacan nel VII seminario: "Essa eleva un oggetto - e qui non mi sottrarrò al
tono di calembour che può essereci nell'uso del termine che prendo - alla
dignità della Cosa."26
In questa formula sembra essere indicato, come proprio alla sublimazione,
un percorso inverso a quello di insorgenza dell'oggetto.
Mentre da una parte abbiamo, come abbiamo visto, il sorgere dell'oggetto
come resto dell'azione del significante sulla Cosa. Nella sublimazione
avremmo la possibilità di scorgere la Cosa dall'operazione di elevazione,
potremmo quindi forse dire di costruzione, e di conseguenza di
nobilitazione e perché no di promozione, dell'oggetto.
In realtà è ciò che ci viene indicato chiaramente anche da Lacan in chiusura
del famoso apologo di Jacques Prevert collezionista. Inserire apologo
"Questo piccolo apologo della rivelazione della Cosa al di là dell'oggetto vi
mostra una delle forme, la più innocente, della sublimazione."27
In buona sostanza l'oggetto estetico c'illude sull'esistenza della Cosa. La
produzione artistica si risolve quindi in un'operazione illusionistica che
delinea i contorni della Cosa.
24
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 67
Antonio Di Ciaccia/Massimo Recalcati - Jacques Lacan - Paravia Bruno Mondadori editori; 2000; pag.
190
26
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 141
27
Ibidem - pag. 145
25
24
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
"Certo, le opere d'arte imitano gli oggetti che rappresentano, ma il loro fine
appunto non è di rappresentarli. Nel dare un'imitazione dell'oggetto, fanno
di quest'oggetto qualcosa d'altro. Non fanno quindi che fingere di imitare.
L'oggetto si instaura in un certo rapporto con la Cosa, fatto al tempo stesso
per afferrare, per presentificare e per assentificare."28
L'operazione di produzione estetica è la necessaria tessitura del velo che
nasconde il vuoto, il buco insopportabile, la voragine lasciata dall'azione
del linguaggio sulla Cosa. Un velo che adagiandosi sul vuoto lo contorna,
lo borda e lo fa sorgere, negandolo.
E' esattamente questa l'operazione indicata da Lacan quattro anni più tardi
parlando della pittura e presentando un altro piccolo apologo. Si può infatti
leggere nell'XI seminario:
"Parrasio chiarisce che quando si vuole ingannare un uomo, ciò che gli si
presenta è la pittura di un velo, vale a dire qualcosa aldilà del quale egli
domanda di vedere.
E' qui che l'apologo vale a mostrarci ciò per cui Platone protesta contro
l'illusione della pittura. Il punto non è che la pittura dia un equivalente
illusorio dell'oggetto, anche se in apparenza Platone può esprimersi così. E'
che il trompe-l'oeil della pittura si dà per altro da ciò che è."29
Possiamo ora concludere e porre come fondamento di quella che possiamo
definire una estetica lacanina il principio secondo cui "In un opera d'arte si
tratta sempre in certo qual modo di circoscrivere la Cosa"30
Seguendo il discorso sviluppato da Lacan, possiamo definire l'arte come un
lavoro di bordatura del vuoto, come "una certa modalità di organizzazione
attorno a questo vuoto"31
Vedremo ora come tale principio di bordatura sia rintracciabile nella
produzione artistica di alcuni movimenti d'avanguardia del Novecento.
28
Ibidem pag. 180
Jacques Lacan -Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino;
1979 - pag. 113
30
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 179
31
Jacques Lacan -Seminario VII. L'etica della psicoanalisi - Ed. Einaudi; Torino; 1994 - pag. 165
29
25
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
26
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
PER UNA ESTETICA LACANIANA
Dunque vogliamo sollecitare tutti coloro che per professione o per
vocazione
possono leggere e meditare il mio/nostro intrattenimento
con il mondo della vita e con le sue menzogne.
Costoro ci sono mancati,
o non ci sono stati sufficientemente vicini.
Perciò li vogliamo richiamare al loro insostituibile ruolo ri/creativo.
Eugenio Miccini
POESIA E PSICOANALISI. DUE PERCORSI PARALLELI.
Motivi di una scelta
Ho scelto come primo riferimento la poesia perché il dire analitico (inteso
come tutto ciò che viene detto durante un'analisi) e il dire poetico,
seguono un percorso che potremmo definire parallelo. Lo stesso Lacan,
nel VII Seminario, ci indica la posizione preminente della poesia
evidenziando che in essa "abbiamo effettivamente a che fare, in ogni caso,
soltanto con il significante"32.
Non è questa la sede per una accurata ricostruzione storico critica
dell'evoluzione dell'arte nel novecento a partire dalla poesia, di
conseguenza alcuni passaggi esposti risulteranno forzati ed alcune
importanti espressioni artistiche saranno addirittura taciute. Il tentativo di
32
Jacques Lacan - Seminario VII - pag. 174
27
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
dimostrazione di tale assunto condiziona fortemente la scelta operata nel
reperimento degli esempi che proporrò. Attraverso il riesame
dell'evoluzione della poesia sperimentale del Novecento, a cominciare
dalle evoluzioni delle Avanguardie storiche per arrivare alla Poesia
Totale, cercherò di evidenziare che cosa abbiamo visto caratterizzare
un'opera d'arte come tale: la bordatura del vuoto come possibilità di
incontro con il reale della Cosa.Di queste mie scelte chiedo venia. Ma ciò
su cui voglio puntare l'attenzione, e costituirà il filo rosso della mia
esposizione, è il fatto che sia la psicoanalisi che la poesia aprono il
linguaggio ad un livello ultra-linguistico. Ultra-linguistico nel senso che
c'è sempre nei due "dire" qualcosa che va oltre, qualcosa che trapassa la
parola, che la travalica e la rende altro. Entrambi gli ambiti di ricerca si
confrontano quindi con qualcosa di estraneo alla parola, ma che si esprime
solo attraverso di essa.
Nell'analisi dell'evoluzione della ricerca poetica, e artistica in genere, del
novecento siamo quindi convinti di trovare delle indicazioni preziose per
capire cosa sia questo vuoto attorno a cui si organizza l'arte e, soprattutto,
in che cosa consista questo modo di organizzazione.
Iniziamo con il chiederci: che cosa esattamente va oltre la parola poetica e
oltre la parola analitica? Che cosa compare in questo al di là della parola?
Un primo punto di contatto e di stimolo per le nostre riflessioni è
costituito dal fatto che entrambe le discipline, la poesia e la psicoanalisi,
cercano, attraverso la parola, la possibilità di modificazione del rapporto
con il mondo circostante. L'essere parlante cerca di operare una
modificazione della propria realtà attraverso il significante. Più
precisamente la poesia e la psicoanalisi sono delle prassi. La definizione
di prassi da noi adottata è quella formulata da Lacan nel XI seminario:
"Che cos'è una prassi? (…)E' il termine più ampio per designare un'azione
concertata dall'uomo, qualunque essa sia, che lo mette in grado di trattare
il reale per mezzo del simbolico. Che poi vi si incontri più o meno
immaginario, ciò non assume qui che un valore secondario."33
La possibilità di una modificazione del rapporto con il mondo circostante
è ciò che viene evidenziato anche da Freud nella sua analisi dei rapporti
esistenti tra gioco e fantasia in "Il poeta e la fantasia". E' precisamente
quest'elemento che mette in moto l'analisi sviluppata da Freud in quel
testo. Lo analizzeremo più tardi.
33
Jacques Lacan - Seminario XI - pag. 8
28
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Ecco quindi una prima indicazione su che senso possiamo dare al termine
ultra-linguistico: entrambe le prassi tendono ad una modificazione della
realtà, in definitiva possiamo dire che tendano entrambe ad un incontro
con il reale.
Il percorso analitico, così come viene inteso seguendo l'insegnamento di
Lacan, procede sulla via del desiderio, si sviluppa nell'attraversamento del
fantasma, e mira ad un incontro con il reale del godimento.
Anche il discorso poetico, così come proponiamo di leggerlo, procede su
una via che vedremo avere molte attinenze con quella del desiderio. Si
sviluppa nel dipanamento di una batteria di metafore e metonimie, e di
tutte le possibili figure retoriche che costituiscono lo "spazio psichico del
poeta", e mira a quella modificazione del mondo che abbiamo definito
incontro con il reale.
La questione sta nella assoluta differenza di riconoscimento tributato ai
due ambiti. Mentre la poesia è accetta e valutata come la forma più alta di
espressione della spiritualità, del sentimento, in buona sostanza della
possibilità di dire qualcosa, e di dirlo bene, della nostra esperienza di vita;
la psicoanalisi è misconosciuta nella sua fondamentale operazione di "ben
dire" ed è di fatto relegata alla patologia, alla anormalità dell'esperienza
umana.
A questo proposito abbiamo già trovato un'indicazione di Lacan
"A livello della sublimazione, l'oggetto è inseparabile da elaborazioni
immaginarie, e soprattutto culturali. Non è soltanto che la collettività li
riconosca come oggetti utili - essa vi trova un ambito di distensione
attraverso cui può in un certo qual modo illudersi su Das Ding,
colonizzare con le sue formazioni immaginarie l'ambito di Das Ding. E'
in questo senso che si esercitano le sublimazioni collettive, socialmente
ammesse.
La società trova una certa felicità nei miraggi che le forniscono moralisti,
artisti, artigiani, fabbricatori di abiti o di cappelli, creatori di forme
immaginarie. Ma non è solamente nella convalida che essa gli conferisce
accontentandosene che dobbiamo cercare la molla della sublimazione.
Che si situa anche in una funzione immaginaria, soprattutto in quella per
la quale ci serviremo della simbolizzazione del fantasma (S/<>a), che è la
formula a cui si appoggia il desiderio del soggetto.
In forme storicamente, socialmente specificate, gli elementi a, elementi
immaginari del fantasma, vengono a sovrapporsi al soggetto, à leurrer, a
fare da specchietto per le allodole al soggetto nel punto stesso di das Ding.
Ecco su che cosa verterà la questione della sublimazione(..)"34
34
Jacques Lacan - Seminario VII - pag. 124-125
29
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Vediamo bene che la questione ruota attorno al riconoscimento e alla
sublimazione. Ma per il momento sospendiamo ogni sviluppo estraibile
dal primo punto costituito dall'incontro con il reale, e introduciamo un
secondo punto.
Questo secondo punto di riflessione è costituito dal desiderio. Il lavoro di
"bordatura del vuoto" deve essere considerato come una analisi della
struttura del desiderio soggettivo. Lavoro sfibrante che accompagna, come
cercherò di evidenziare, tutta l'evoluzione della poesia e che trova nel
secolo scorso una forte accelerazione nelle sperimentazioni
avanguardistiche. Questo approccio alla poesia caratterizza anche il
pluriennale lavoro di Stefano Agosti (Ricordiamo tra le sue numerose
pubblicazioni: Il cigno di Mallarmé, 1969; Il testo poetico, 1972; Modelli
psicoanalitici e teoria dei testi, 1987; Enunciazione e racconto, 1989), che
in numerosi scritti ha proposto l'applicazione di una lettura psicoanalitica
dei testi poetici, mettendo in evidenza il desiderio, così come Lacan lo ha
formulato, come struttura fondante di ogni lavoro poetico. In particolare
vorrei ricordare i suoi studi su Petrarca dove arriva ad affermare che
"Tramite questa parola vuota, defunzionalizzata ecc., egli non fa altro che
registrare, presentare, rappresentare, da tutte le angolature possibili e
attraverso tutte le figure possibili, quella che, del tutto
approssimativamente e provvisoriamente, abbiamo designato come la
realtà psichica del Soggetto: nel fatto, e con più precisione, ciò che di tale
realtà costituisce la struttura originaria: cioè la separazione del Soggetto
dall'oggetto del desiderio, o, in altri termini, la struttura del desiderio in
quanto relazione a una mancanza fondamentale: in altri termini ancora, la
struttura del Soggetto in quanto fondata su una sottrazione di essere.
Citazione di Lacan: le désir est un rapport d'être à manque. Ce manque est
manque d'être (…) Ce n'est pas manque de ceci ou de cela, mais manque
d'être par quoi l'être existe (…) L'être vient à exister en fonction même de
ce manque"35
Cercheremo quindi di tenere sempre presenti queste due ipotesi di lavoro
che ci indicano qualcosa sul funzionamento dell'operazione estetica. E
precisamente: il lavoro di bordatura del vuoto espresso nella creazione
artistica si apre su due versanti distinti e ci offre la possibilità di dire
qualcosa da una parte sul reale, attraverso il tentativo di un suo incontro
nell'opera d'arte, dall'altra sulla struttura del desiderio come fondante
l'operazione creatrice.
35
Stefano Agosti - Gli occhi e le chiome. Per una lettura psicoanalitica del Canzoniere di Petrarca Feltrinelli, Milano, 1993 - pag. 6-7
30
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
VERSO L'INCONTRO CON IL REALE
Ci sono due punti fondamentali che mi hanno spinto a scegliere
l'evoluzione della poesia sperimentale come esempio paradigmatico. Il
primo è che tutta la poesia d'avanguardia del Novecento si dipana come
una forte rielaborazione delle possibilità espressive offerte dal linguaggio.
Il secondo è che questa rielaborazione del linguaggio sfocia nella
necessità di innestarvi altre esperienze espressive: la pittura, la
dimensione sonora, il cinema, fino ad arrivare al gesto, nel tentativo di
creare una nuova forma di linguaggio universale. Questo secondo punto,
che potremmo definire della "confusione dei linguaggi" o, con una
suggestione biblica, la "nuova babele", ha caratterizzato tutta l'arte
contemporanea, non solo la poesia.
Si può tranquillamente affermare che la spinta che ha sostenuto gran parte
dell'evoluzione dell'arte contemporanea nel secondo dopo guerra è quella
di superare i limiti imposti alla ricerca estetica dal sistema delle arti e
dalla rappresentazione. Un lavoro di ricerca consumato nello sforzo di
rendere possibile, nell'opera d'arte, quell'incontro con il reale a cui
accennavo. Possiamo spingerci oltre ed affermare che il desiderio che ha
caratterizzato l'arte nel secolo scorso è la possibilità di quest'incontro
I due versanti, quello del reale e quello del desiderio, si ricongiungono
quindi in un unico percorso evolutivo: la messa in questione dei linguaggi
artistici, operata attraverso la loro distruzione e ristrutturazione, che ha
caratterizzato le ricerche delle varie avanguardie succedutesi nel secolo
scorso. Possiamo in fatti dire che tutte le sperimentazioni artistiche del
Novecento si sono sviluppate in questo attacco diretto al linguaggio, dove
il linguaggio, in tutte le sue forme, subisce un percorso di distruzione e di
riorganizzazione. Una distruzione sistematica alla ricerca di nuove
possibilità di incontrare e di dire il reale, alla ricerca di una "nuova
lingua"36.
Quindi: l'esigenza di ripensamento del linguaggio apre alla possibilità di
un incontro con il reale e contemporaneamente l'esigenza di un incontro
con il reale forza la parola, il linguaggio nella possibilità di dirlo. Questa è
sostanzialmente l'essenza del discorso poetico. Perché è proprio quando la
lingua non può dire qualcosa, che la si forza, la si violenta, che la si
costringe a dire. Si inventano cioè favole, modi di dire, storie, poesie.
36
L'ossessionante ricerca di una "nuova lingua" è riscontrabile in gran parte delle lettere di Rimbaud. Per
uno studio approfondito su questo tema si veda: Mario Richter Viaggio nell'ignoto. Rimabud e la ricerca
del Nuovo (la Nuova Italia Scientifica; Roma, 1993).
31
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
E' su questo punto che troviamo, ancora una volta, una preziosa
osservazione di Lacan.
"C'è identità tra il modellamento del significante e l'introduzione nel reale
di uno iato, di un buco."37
L'introduzione dello iato con cosa ha a che vedere? Mi sembra evidente,
considerando la teoria sviluppata da Lacan, che l'apertura di questo buco
abbia a che fare con la possibilità di affermazione del desiderio
soggettivo. L'introduzione di un buco non è altro che il tentativo,
necessario e fondante, di mantenere aperto quello spazio dove possa
sorgere l'oggetto a come causa del desiderio.
Ma ciò che apprendiamo dall'evoluzione dell'arte contemporanea è che,
seguendo questo percorso d'azzeramento del linguaggio, cioè della
possibilità di utilizzo del linguaggio come mezzo espressivo, l'artista
approda al gesto come unica possibilità di espressione. E' in fatti su di
esso che gran parte della sperimentazione novecentesca ha sviluppato le
sue poetiche.
In buona sostanza, la ricerca artistica, operata attraverso continui rilanci e
ripensamenti, ha portato gli artisti ad una forte meditazione sulla
questione del reale.
Da questa ricerca emerge che ciò che resta inespresso nell'opera d'arte è la
vita. La vita pulsante, reale, messa "fuori scena" (o su "un'altra scena")
dalla rappresentazione.
E' esattamente ciò che si cerca in ogni modo di far rientrare attraverso
l'utilizzo del gesto nella modalità della performance in quella che si può
definire una "poetica del gesto".
E' proprio nell'evoluzione della poesia d'avanguardia del Novecento, dove
ciò che viene messo in crisi è il linguaggio come struttura in grado di
trasmettere e comunicare un discorso soggettivo, che tale percorso
evolutivo è maggiormente chiaro. Nella poesia, in fatti, il soggetto non è
più evidente nel suo discorso, ma vi ci si nasconde.
Il linguaggio è un'ostacolo all'espressione dell'esperienza soggettiva del
poeta.
In definitiva, possiamo dire che nella poesia tra la fine dell'Ottocento e
l'inizio del Novecento, emerge ciò che c'insegna Freud. E cioè che il
soggetto appare nelle fratture del discorso, nei lapsus, nei sogni, non nel
suo discorso cosciente e controllato. Lo sottolinea anche Lacan all’inizio
del suo XI seminario dedicato ai concetti fondamentali della psicoanalisi,
quando dice: “Inciampo, mancamento, fessura. In una frase pronunciata,
scritta, qualcosa viene a vacillare. Freud è calamitato da questi fenomeni,
37
Jacques Lacan - Seminario VII - pag. 155
32
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
ed è lì che va a cercare l'inconscio. Lì qualcosa d'altro domanda di
realizzarsi - qualcosa che appare, certo, come intenzionale, ma di una
strana temporalità. Quel che si produce in questa beanza, nel senso pieno
del termine prodursi, si presenta come la trovata. E' così anzitutto che
l'esplorazione freudiana incontra ciò che avviene nell'inconscio.”38
L'assunto che il poeta anticipa lo psicologo trova anche qui una sua
conferma.
Ciò che appare lampante alla fine dell’Ottocento è che la poesia
tradizionale è morta, definitivamente spogliata di ogni significazione e
possibilità espressiva. Non può più dire nulla. Il linguaggio poetico, che
definiremo "lineare", non può dire il reale dell'esperienza umana. La
poesia ha bisogno di nuovi linguaggi. Di conseguenza abbandona prima la
linearità, poi la pagina per diventare, alla fine, pura azione.
38
Jacques Lacan – Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi – Ed. Einaudi, Torino,
19?? - Trad. - pag. 26
33
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Eugen Gomringer – Chumm – Ed. Francesco Conz
EVOLUZIONE DELLA POESIA SPERIMENTALE DEL '900
Una sommaria introduzione storico/teorica alla poesia del novecento ci
aiuterà a capirne i punti di contatto con la psicoanalisi che ho cercato di
evidenziare.
34
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Seguirò, nel tracciare tale percorso di evoluzione, uno scritto di Paul De
Vree del 1972 apparso sulla rivista Lotta Poetica.39
La rivista Lotta Poetica è considerata l'organo ufficiale della Poesia
Visiva in Italia. Fondata da Sarenco e De Vree nel 1971, per i primi tre
anni di pubblicazione della prima serie (1971-74) ha sviluppato un lavoro
di definizione dell'ambito di ricerca della Poesia Visiva.
Per Poesia Visiva si intende l’interazione del linguaggio poetico lineare,
letterario, con il linguaggio visivo, iconografico, nel tentativo di dare
nuovo valore semantico alla poesia. E’ un processo che si può far risalire,
come vedremo, alle sperimentazioni di scrittura delle avanguardie
storiche.
Lo scritto di De Vree risente chiaramente di questa impostazione generale,
rimanendo legato allo spirito politico e di propaganda che caratterizzava
la rivista, ma offre, grazie alla lunga militanza poetica del belga De Vree e
alla sua pluriennale ricerca nei vari ambiti della poesia, un percorso
evolutivo della poesia estremamente interessante e pertinente al nostro
discorso.
Leggiamo quindi il testo:
"Chiunque vorrà gettare uno sguardo al passato, si accorgerà che con la
"poesia visiva" ci troviamo al terzo stadio di una rivoluzione della poesia
cominciata dopo l'apparizione nel XIX secolo del poeta maledetto.
Quest'ultimo fu un anticonformista, la cui posizione sociale lo condannò a
diventare uno schizofrenico. Entrò in lizza con la società del suo tempo
con armi troppo insolite ed ambigue: il freudismo ante litteram, la droga,
le amicizie particolari. Ma aveva indicato che una società stava morendo.
La prima guerra mondiale ne fu la prova.
La rivolta dell'anticonformismo e l'aspirazione ad un mondo nuovo non
tardarono a manifestarsi con i poeti dadaisti e futuristi. Con loro ebbe
inizio la revisione del materiale artistico e contemporaneamente la presa
di posizione marxista nei confronti del mondo capitalista. Da una parte
venne lanciata la formula che la nuova arte sarebbe stata il prodotto di una
fusione delle arti, dall'altra che l'artista non avrebbe più potuto disfarsi
della propria responsabilità sociale.
I dadaisti erano stati derisi. Il futurismo era sprofondato nell'atmosfera
fascista.
Dopo il 1945 i poeti sono finalmente andati avanti: hanno voluto
sconvolgere il "sistema", gli uni in maniera "angry", gli altri in maniera
"beat", ma sebbene la poesia sperimentale avesse abbandonato i solchi
39
La rivista Lotta Poetica, fondata e diretta nel 1971 da Sarenco e Paul De Vree, fu organo ufficiale di
diffusione della Poesia Visiva come movimento d'avanguardia. In essa vennero pubblicati alcuni dei testi
teorico-critici più importanti sulla poesia d'avanguardia (visiva, concreta e sonora).
35
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
linguistici dell'accademia, si insabbiò nel momento in cui il realismo pop
(dal 1960) sposò il mondo dell'industria e del consumismo. Dal 1955 la
"poesia concreta" (sulle orme del lettrismo) si impegnò in una rinnovata
esplorazione del materiale linguistico.
E' la "poesia visiva" ad aver preso su di sé l'eredità delle concezioni e
delle intenzioni dei "costruttori-distruttori" degli anni venti. La più
avanzata forma d'arte nel senso di quella fusione e simbiosi preconizzata
da dada, essa ne riprende l'anelito rivoluzionario, oltre alla coscienza della
propria autonomia nei confronti dell'ineguaglianza e della repressione
istituzionalizzate dell'attuale mondo industriale.
La poesia è violenza, cioé: la trasgressione della spietata logica della
società dell'opulenza e del suo razionalismo metodico ed autoritario.
D'altra parte è anche la trasgressione della civiltà stessa: o la poesia, e
l'arte in genere, trasforma profondamente i costumi oppure non è
niente."40
In questo testo la Poesia Visiva ci è quindi presentata come:
a) terza fase di una evoluzione che inizia alla fine Ottocento con l'avvento
del poeta maledetto.
b) l'unica avanguardia poetica italiana del secondo novecento che si
ricollega, a detta degli stessi autori militanti in tale movimento,
direttamente all'altra grande avanguardia storica italiana: il futurismo. (Il
Futurismo e la Poesia Visiva sono le uniche due avanguardie poetiche
italiane che hanno avuto un seguito internazionale)
c) L'unica avanguardia a raccogliere l'eredità di rivolta politica e sociale
che caratterizzava il movimento Dada
Questi tre punti fondamentali, che sostengono il discorso di De Vree, a
bene vedere sono lo sviluppo del primo punto essenziale propostoci dal
poeta belga: la Poesia Visiva è la logica evoluzione della crisi strutturale
della poesia iniziata a fine Ottocento. Vediamo quindi sommariamente
questa evoluzione.
La poesia si presenta all'inizio del Novecento, spogliata di tutti i suoi
orpelli formali, come pura parola. Con Baudelaire assistiamo all'attacco
frontale e spietato a quella che Richter definisce "l'enorme ostacolo
strutturale rappresentato dal sistema dualistico".41 E' ciò di cui parla
Baudelaire nelle sue correspondances.
40
Paul De Vree - Notes sur la Poesi Visiva - in LOTTA POETICA n° 13/14 giugno/luglio 1972 - Ed.
AMODULO, Milanino sul Garda.
41 41
Mario Richter sviluppa tale tema in diversi suoi lavori, in particolare: La moralité di Baudelaire.
Lettura de "Les fleurs du Mal", CLEUP 1990-92 (tre volumi); Viaggio nell'ignoto. Rimbaud e la ricerca del
36
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Baudelaire con Les fleurs du Mal inizia il suo percorso distruttivo
incentrato sull'abbattimento sistematico della struttura dualistica
bene/male. Il poeta ha voluto mostrare il carattere artificiale, fittizio e
ipocrita di una vita fondata sulla separazione tra sogno e realtà, tra bene e
male, tra corpo e spirito. Separazione che rispetta la scelta fondamentale
di una cultura derivante dalla cosmologia platonica. Il titolo
programmatico della sua raccolta unisce due contrari invitando il lettore a
vedere il bello (il fiore) dove solitamente, per cultura e religione, non è
abituato a trovarlo, cioè nel male. L'idea è quella di forzare e scardinare
questo sistema precostituito ed estremamente rigido creatosi nel corso dei
secoli. La potenza e la vitalità che ancora oggi contraddistingue l'opera
baudelairiana sta a dimostrare quanto poca strada si sia fatta in tale
direzione! Si possono leggere quindi Les Fleurs du Mal come un viaggio
concepito per portare il lettore al di là della frontiera del male e del bene,
nell'esplorazione drammatica dell'inconu.
Noi possiamo leggere in questo tentativo baudelariano la volontà di
apertura di quello iato indicatoci da Lacan come frutto del lavoro di
modellamento dei significanti.
L'unico mezzo a disposizione di un poeta ottocentesco era la parola, il
linguaggio poetico. Ecco che Baudelaire cerca di forzare il linguaggio
nell'unico modo possibile: prendere i contrari e unirli in una unica
immagine poetica. Far risuonare l'inconu in questa forzatura dei contrari.
Quello di Baudelaire è un tentativo estremo, inaudito e mai tentato prima.
Con questa operazione Baudelaire va al cuore della questione simbolica.
In effetti la tensione tra i contrari, la loro co-presenza sono la base del
simbolico.
Il discorso di Baudelaire ha quindi una portata che va oltre la poesia toutcourt. L'opposizione positivo/negativo fa parte del gioco simbolico del
linguaggio. Baudelaire va dunque a toccare le fondamenta del gioco
simbolico strutturale al linguaggio. Ciò che viene ricercato, ben prima
della linguistica di De Saussure e dello strutturalismo, sono le regole della
lingua e di conseguenza, seguendo il coté linguistico lacaniano, di ciò che
sfugge ad una definizione linguistica della realtà: il reale.
Baudelaire tenta la prima esplorazione dell'inconu per eccellenza, del non
rappresentabile, del non dicibile costituito da quel reale di cui ci parla
Lacan in riferimento alla scoperta freudiana.
Con Rimbaud, lettore attento e geniale di Baudelaire, questo sistema
dualistico viene definitivamente distrutto. La sua opera si spinge infatti
Nuovo, La Nuova Italia Scientifica 1993; Apollinaire. Il rinnovamento della scrittura poetica all'inizio del
novecento, Il Mulino, 1990.-
37
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
oltre. La sua è una ricerca di un nuovo linguaggio, di una nuova parola
che sappia dire lo sconosciuto che fa capolino nell'unione dei contrari. Ciò
che cerca è un linguaggio poetico che sappia far vibrare il reale in gioco.
Ed il reale in gioco è sempre parte del poeta. Anzi, è esattamente ciò che
muove il poeta/soggetto.
L'ignoto, l'inconu baudelairiano di cui Rimbaud cerca il linguaggio, è
quella realtà che è tenuta completamente nascosta dalla cultura esistente,
ossia dall'insieme di strumenti conoscitivi che costituiscono lo spazio
vitale di una società. Il più importante e resistente di questi strumenti è la
lingua. Lingua che era ancora lo strumento classico del poeta. Rimbaud
quindi si lancia con entusiasmo nell'analisi accanita e ferrea della realtà
linguistica umana arrivando ad una scoperta, o meglio ad una rivelazione:
quando ci nominiamo, ci alieniamo nel linguaggio.
C'est faux de dire: Je pense: on devrait dire on me pense.
Pardon du jeu de mots. Je est un autre.42
Queste poche righe sono il momento più alto e più drammatico di tutta la
ricerca di Rimbaud. E' un momento di rottura definitiva con la struttura
del linguaggio come strumento espressivo per eccellenza. Ma lo scacco
che questa ricerca estenuante di una nuova lingua incontra, porterà
Rimbaud ad un altro colpo di genio, ad una nuova apertura verso l'inconu.
Porterà Rimbaud alla rinuncia e al silenzio. Quel silenzio assolutamente
imbarazzante e molto più significativo di qualsiasi altra parola da lui
scritta. La poesia tradizionale è morta, definitivamente spogliata di ogni
significazione. Non può più dire nulla. Il linguaggio non può dire il reale
dell'esperienza umana.
Il silenzio di Rimbaud va quindi letto come un atto. Un atto temerario e
fondamentale. E' azione pura; ed in questo Rimbaud si ricollega
all'essenza della Poesia che deriva dal greco Poiesis (poieo) e che
significa: faccio. E' quindi nell'atto del fare che la poesia ri-trova la sua
possibilità di rinascere, esattamente nel contatto con la sua origine. Il
silenzio di Rimbaud, da questo punto di vista, è sicuramente la sua opera
maggiore e, a mio parere, la prima performance della storia della poesia.
42
Arthur Rimbaud - Lettera a Georges Izambard del 13 maggio 1871 - in Lettres du Voyant (1' et 15 mai
1871), Droz-Minard, Geneve-Paris 1975
38
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Rimbaud ha la forza, il coraggio (o l'incoscienza), di spingersi oltre. Di
procedere verso il reale in gioco. Reale che appare solo come resto, come
oggetto di scarto dell'operazione di linguaggio. La rinuncia di Rimbaud
indica una strada, un percorso di ricerca che darà i suoi migliori frutti nel
secondo dopo guerra.
Segnando lo scacco definitivo della parola, con la sua rinuncia Rimbaud
apre la strada all'intrusione nella poesia di tutto ciò che non è parola. Apre
la strada a tutte le ricerche delle avanguardie che nel corso del Novecento
si sono confrontate con questo aspetto ultra-linguistico del linguaggio: la
grafica, il suono, le immagini e il gesto.
Gesto che, nella forma dell'happening, segna forse il punto estremo della
ricerca poetica e artistica in generale del Novecento, e che introduce, in
maniera definitiva e totalizzante, il corpo come luogo e mezzo di
espressione.
Mallarmè ed Apollinaire giungono a completare questa serie ed ad aprire
quella successiva delle avanguardie. Apollinaire i suoi Calligrammes e
Mallarmè con il suo Coup des Dés, tentano di andare oltre la lezione di
Rimbaud.
Il lavoro che svolgono i due poeti è duro e richiede molto ingegno. Si
tratta di raggiungere un reale che la realtà esistente, visibile, tangibile, e
ordinata secondo valori prospettici e culturali definiti, tiene nascosta. I
loro tentativi cercano di rompere l'ordine del verso con la sospensione dei
significati e del senso introducendo interruzioni forzate (fine verso) in
contrasto con le interruzioni logiche, arrivando all'eliminazione della
punteggiatura. Gli spazi bianchi acquisiscono valore semantico, arrivando
poi a strutturare le poesie come dei veri e propri disegni. I percorsi dei due
poeti non sono certo uguali, ma sono accomunati dalla nuova sensibilità
“pittorica” nell’affrontare la pagina bianca.
"Et moi aussi je suis peintre" così doveva intitolarsi la raccolta, non
realizzata, dei primi ideogrammi lirici di Apollinaire. Si può leggere
questo titolo scartato come la fine di un ragionamento. Questa e iniziale lo
sta a sottolineare. Il poeta, un poeta come Apollinaire che si ricollega al
mito orfico, al mito del logos poetico, che fa del canto la sua ragione di
vita, ad un certo punto, si dichiara anche pittore. Sono poeta e anche
pittore. Il connubio tra due linguaggi può dire qualcosa sull'inconu.
In realtà Apollinaire non inventa nulla. Recupera e restituisce valore ad
una forma di poesia che ha mille anni di storia43, ma il suo recupero libera
delle nuove forze perché inserito in un discorso di evoluzione della ricerca
poetica. Fino ad allora le parole, anche se componevano dei disegni,
43
Per un approfonfimento dell'argomento vedi: Antoin Caron Avant - Apollinaire, vingt siècles de poèmes
figuré - in Poesure et Peinture, Ed. XXX, Marsiglia 199??
39
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
rimanevano legate e lette secondo la concezione lineare della poesia. Il
disegno rimaneva come una specie di sovrappiù non direttamente
collegato al discorso poetico. Era letto nelle forme del "capriccio", del
vezzo o del gioco. Da Apollinaire e Mallarmé in poi il disegno aggiunge
valore alle parole, un valore simbolico e linguistico, ma leggibile come
apertura all'ultra-linguistico ricercato nell'inconu.
Questa lezione di rivalutazione viene subito recepita ed ampliata dai
futuristi con le loro parole in libertà. Parole in libertà che si strutturano,
queste sì, come una invenzione che va nella direzione indicata da
Rimbaud con il suo atto di rinuncia. L'idea è quella che non bastando più
la linearità tradizionale della poesia, ed essendo obsoleti i versi e la
punteggiatura, la forma grafica può ridare valore alla parola lirica. Ma le
parole in libertà non sono solo delle poesie che cercano di sfruttare al
massimo le possibilità offerte dalla grafica, vanno oltre. Mettere una
parola in grassetto con corpo venti vicino ad una parola in corsivo con
corpo dieci assume un valore di contrasto che fa risuonare altri significati.
Con i suoi versi Apollinaire traccia delle figure che danno una valenza
plastica alla poesia, mentre le poesie futuriste hanno più una valenza
dinamica, che rimette in gioco il corpo, ma non nella sua valenza
immaginaria, o meglio, non solo nella sua valenza immaginaria di corpo
dinamico, atletico, scattante; ma essenzialmente nella sua valenza reale.
Non va dimenticato che le parole in libertà sono testi che devono essere
recitati. Presuppongono tutta una serie di articolazioni come il tono di
voce, la velocità di recitazione, i movimenti correlati. In definitiva
presuppongono un corpo recitante. Il corpo entra quindi in gioco con il
reale della voce, del movimento, etc. e si insedierà definitivamente nella
poesia diventandone l'elemento fondamentale nelle ricerche di fine
Novecento.
Dall'aspetto grafico delle prime sperimentazioni futuriste nascono, con il
movimento Dada, i collages. I Dadaisti, primi ad accogliere tali
innovazioni, sperimentarono con i collages la possibilità di rapporti fisici
tra parole, aprendo la strada alla casualità imprevedibile dei prelievi e dei
montaggi di parole, immagini e oggetti. Il discorso rimane prettamente
poetico. La figura ritagliata ed utilizzata ha valore in quanto simbolo, in
quanto significante. Sta qui il passaggio fondamentale. L'approccio ludico
caratteristico del movimento Dada porterà i suoi attivisti a giocare con
tutti i linguaggi, mescolandoli e a volte tritandoli, creando un nuovo
linguaggio, o meglio una miriade di nuovi linguaggi ripresi ed ampliati da
tutti gli artisti del Novecento. Il mito dell'opera d'arte totale trova nel
gioco dissacratorio la sua possibilità d'avvenire.
40
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Il passo successivo è compiuto, dopo l'interruzione dovuta alle due guerre
mondiali, dalla Poesia Concreta. “Le sperimentazioni post-verbali delle
avanguardie storiche – scrive Matteo D’Ambrosio – avevano esaltato gli
aspetti fonetici e visivi della scrittura; il conseguente stravolgimento fisico
della pagina e la “libertà” tipografica saranno abbandonati dalla poesia
concreta, che utilizza quasi esclusivamente parole e morfemi riconoscibili
e una tipografia razionale ordinata da interessi costruttivistici.
L’iconizzazione e la tendenza alla semplificazione linguistica perseguono
un effetto di intensificazione della carica semantica della parola, di cui
rinnovano la referenzialità codificata. La disposizione spaziale del
materiale verbale accresce l’importanza delle nuove sintassi (iconica e
topologica soprattutto).”44
Ma la Poesia Concreta esaurisce ben presto la sua carica innovativa
riducendosi in pochi anni ad un mero esercizio tecnico. La Poesia
Concreta si svuota della sua iniziale forza semantica, limitata dai suoi
stessi assunti di partenza, e diventa sterile, ripetitiva, autoreferenziale e
ben presto abbandonata dai poeti più attenti.
Arriviamo quindi alla Poesia Visiva che opera sui significanti, sui simboli
e sulle immagini, mettendo assieme due linguaggi fondamentali: il verbale
e il visivo. La Poesia Visiva non distingue tra parole e immagini.45
Semplicemente le usa. Ma senza mai dimenticare la loro provenienza.
Una parola/grafica pubblicitaria, pur assumendo un nuovo valore poetico,
resterà sempre e comunque riconoscibile come pubblicitaria. Ed è in
questo connubio forzato, in questa violenza vera e propria portata al
fruitore che sta la forza della Poesia Visiva. E' qui che si trova la vera
posta in gioco. L'utilizzo poetico di vari mezzi di comunicazione di massa
non annulla tali mezzi. Rimangono estremamente vivi, presenti,
ingombranti, fastidiosi, ma proprio l'utilizzo forzato e lo sbattere in faccia
tale contraddizione crea nel fruitore quello spaesamento necessario alla
creazione di uno spazio interiore poetico con un effetto di unheimliche.
44
Eugenio Miccini – La scrittura - in E. Miccini -Poesia Visiva e dintorni – Edizione META, Firenze, 1995 –
pag. 19/20
45
Un riferimento essenziale per un approfondimento di questi temi sono i lavori di Rossana Apicella.. In
particolare i saggi pubblicati dall'inizio degli anni settanta dalla rivista Lotta Poetica (vedi nota 1) tra i
quali vanno sicuramente menzionati: La poesia visiva come fine di un equivoco (n°17/18/19 dell'ottobredicembre 1972); La poesia internazionale dalla monoglossia alla praxiglossia (n° 20/21/21 del gennaiomarzo 1972); e il fondamentale Proposta per una decade (n°28/29/30/31 del settembre-dicembre 1973)
41
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Eugenio Piccini – La Poesia entra nella vita – Ed. Francesco Conz
La Poesia Visiva invece, ci dice Miccini che assieme a Pignotti ha fondato
tale movimento, “articolando in nessi inscindibili la linearità della
scrittura verbale e la simultaneità percettiva ed ambigua delle immagini,
rivisita parole e immagini nel luogo del loro prelievo; è una rivisitazione
ironica, critica.” 46
Sarenco, altro importante poeta visivo italiano, in un suo testo del 1972
redatto assieme a Paul De Vree dichiara: “La poesia visiva deriva dal fatto
che: a) i poeti considerano la parola usata nel linguaggio massificato del
nostro tipo di società come mezzo di alienazione dell’uomo; b) i poeti
rifiutano la teoria per la quale la poesia è l’arte esclusiva della parola; c) i
poeti accettano di diventare i tecnici della coscienza. (…) Ci sono tre tipi
di posizioni valide di fronte alla poesia visiva: 1) essere la coscienza pura
e semplice della crisi (della parola, della cultura, e della società in
generale); 2) essere la pre-alternativa di un mondo nuovo; 3) essere
l’alternativa di questo mondo.”47
Miccini nel suo testo parla di prelievo. In effetti i testi e le immagini sono
prelevati (con il metodo del collages) da riviste, fotoromanzi, cartelloni
46
Eugenio Miccini – Il poeta è un evaso dal quotidiano, 1983 – in Poesia Visiva e dintorni – Edizione
META, Firenze, 1995 – pag. 7
47
Sarenco & Paul De Vree – Editoriale del numero 8 gennaio 1972 di LOTTA POETICA – Edizioni
Amodulo, Milanino sul Garda, 1972
42
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
pubblicitari etc. nello sforzo di creare un contrasto critico con tali mezzi di
comunicazione di massa. Mezzi che sono l’espressione massima, secondo
i poeti visivi, della società capitalistica e omologante. Nascono così delle
opere, delle poesie che offrono nuove letture dei messaggi pubblicitari e/o
giornalistici. Scrive ancora Miccini: “Io tento di sollevare dal loro livello
zero gli atti di parola e di immagine che realizzano la comunicazione
sociale e anche gli stereotipi culturali”48
“Tutta l’arte è astratta. Essa istituisce con la vita un rapporto di estraneità.
L’arte è un ripensamento che vive nel mondo degli oggetti per suscitare
un mondo di concetti. Così, icone o figure non sono lo stesso segno ma
promuovono lo stesso senso: sono due astrazioni significanti il cui
significato si perde nella vita anche quando conserva le sue tracce
materiali. Ogni segno, ogni processo semiotico sono menzogne: il loro
visibile si spacca e sempre rimanda all’invisibile e al mondo materiale
oggettivo. E su entrambi produce concrete modificazioni. L’arte spinge al
sublime tali modificazioni, fino quasi a negare dialetticamente, per
riaffermare se stessa, il visibile e l’invisibile”49
Il lavoro svolto dalla Poesia Visiva, come continuazione e
radicalizzazione delle sperimentazioni poetiche precedenti, si sviluppa
tutto come un attacco frontale al linguaggio. L’intento è quello di mettere
in attrito i significanti e i significati, che come ci ha insegnato De Sassure
compongono i segni linguistici, producendo una frattura/apertura che si
configura come “poesia”.
La poesia si trova nello scontro/confronto di due significanti a volte
contradditori. Come un bel viso di modella che rispecchia tutti i canoni
estetici imposti dal mercato e il gesto sporco, volutamente disconnesso, di
una macchia di colore o di una parola. Il gioco continuo tra i vari piani
linguistici, il piano immaginario e quello simbolico, da spazio ad un reale
conturbante e irriverente.
Possiamo quindi ora capire i tre passaggi a cui accennava De Vree nel suo
testo.
1) Distruzione del "sistema dualistico" operata da Baudelaire, cioè
apertura di uno iato nell'impermeabiità del linguaggio lineare. Qualcosa
emerge dall'unione dei contrari che apre nuove possibilità.
2) Sperimentazione da parte delle avanguardie storiche delle nuove
possibilità indicate da Rimbaud con la sua rinuncia e con il sonetto "Les
voyelles". Confusione dei linguaggi, prime sperimentazioni di poesia
48
Eugenio Miccini – Il poeta è un evaso dal quotidiano, 1983 – in Poesia Visiva e dintorni – Edizione
META, Firenze, 1995 – pag. 7
49
Eugenio Miccini – La Poesia Visiva, 1975 – in La Poesia Visiva e dintorni – Edizione META, Firenze,
1995 – pag.10
43
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
sonora (Russolo) e dell'unione della poesia e della grafica (Parole in
liberta, calligrammi e collages) che si arrestano con le guerre mondiali.
3) Ripresa delle sperimentazioni avanguardiste con la definitiva fusione
prolifica di poesia, pittura e grafica nella poesia visiva e costruzione della
poesia totale (sonora, visiva, oggettuale, etc.)
Julien Blaine – Poemes metaphisique
44
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
JULIEN BLAINE, LA POESIA INTESA COME GIOCO DEI
SIGNIFICANTI. Un esempio paradigmatico.
In questo percorso evolutivo il lavoro di Blaine con i suoi Poèmes
metaphysiques e i suoi Bimot50 è sicuramente il più estremo e
rappresentativo.
Julien Blaine, poeta marsigliese nato nel 1942, ha inaugurato con la
pubblicazione del testo “13427 POEMES METAPHYSIQUE” 51 del
1986, una nuova forma di Poesia Visiva che giunge come evoluzione
logica della ricerca ampia e approfondita nell'ambito della poesia, e della
Poesia Visiva in particolare, che abbiamo fino a qui delimitato. Ricerca e
proposta continuata poi con la pubblicazione di BIMOT del 1990. La
nuova forma a cui Blaine giunge, ci viene presentata come fondamentale e
Blaine auspica venga accolta da tutti i poeti, non solo visivi, come una
forma classica, accettata e sfruttata in tutte le sue innumerevoli possibilità.
In questo suo intento Blaine è chiaro ed esplicito nel sonetto posto ad
introduzione del libro. La scelta stessa di utilizzare il sonetto come
introduzione rientra, a mio modo di vedere, nella volontà di ricollegare la
Poesia Visiva alla Poesia tout-court. Il sonetto è la forma principe della
storia della poesia, italiana e francese in particolare. La Poesia Visiva si
ricollega all'evoluzione che la Poesia ha espresso nel secolo scorso. La
scelta del sonetto è quindi una scelta politica, oltre che poetica.
Ma cosa propone Blaine? Blaine ci propone un nuovo oggetto poetico. Il
punto di partenza sono le già citate dichiarazioni di Miccini: “Io tento di
sollevare dal loro livello zero gli atti di parola e di immagine che
realizzano la comunicazione sociale e anche gli stereotipi culturali” 52
“Tutta l’arte è astratta. Essa istituisce con la vita un rapporto di estraneità.
L’arte è un ripensamento che vive nel mondo degli oggetti per suscitare
un mondo di concetti. Così, icone o figure non sono lo stesso segno ma
promuovono lo stesso senso: sono due astrazioni significanti il cui
significato si perde nella vita anche quando conserva le sue tracce
materiali. Ogni segno, ogni processo semiotico sono menzogne: il loro
visibile si spacca e sempre rimanda all’invisibile e al mondo materiale
oggettivo. E su entrambi produce concrete modificazioni. L’arte spinge al
sublime tali modificazioni, fino quasi a negare dialetticamente, per
riaffermare se stessa, il visibile e l’invisibile”53
50
Julien Blaine – Bimot – Les Editeurs Evidant, Paris, 1990
Julien Blaine – 13427 Poemes Metaphysique – Les Editeurs Evidant, Paris, 1986
52
Eugenio Miccini – Il poeta è un evaso dal quotidiano, 1983 – in Poesia Visiva e dintorni – Edizione
META, Firenze, 1995 – pag. 7
53
Eugenio Miccini – La Poesia Visiva, 1975 – in La Poesia Visiva e dintorni – Edizione META, Firenze,
1995 – pag.10
51
45
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
In questo senso il lavoro di Blaine è sicuramente il più interessante per
l'esito a cui approda. In effetti ciò a cui approda, e ciò di cui ci parla, è un
oggetto che si inserisce a pieno titolo nella serie degli oggetti inventati dai
poeti: canzoni, sonetti, etc. etc. e che radicalizza la ricerca sul linguaggio.
I Poèmes metaphysiques si sviluppano tutti su un lavoro continuo e quasi
ossessivo sull’algoritmo sassuriano. Blaine mette in contrasto due
significanti (parole o immagini o testi), poste una sopra e l’altra sotto la
barra dell’algoritmo, creando nuovi significati, nuove possibilità. Le
parole sono scelte o trovate per contrasto, vicinanza semantica, assonanza
creando connubi e/o scivolamenti di una parola nell’altra. In esergo dei
suoi Bimot mette il seguente testo:
I. La conjonction est un mot invariable qui sert à joindre ensemble
plusiers mot (...)
II. Les pincipales conjonction sont.
1°
- pour marqueer la liaison (…)
2°
- pour marquer l’opposition (…)
3°
- pour marquer la division (…)
4°
- pour marquer l’exception (…)
5°
- pour comparer (…)
6°
- pour ajouter (…)
7°
- pour rendre raison (…)
8°
-pour marquer l’intention (…)
9°
- pour conclure (…)
10° - pour marquer le temps (…)
11° - pour marquer le doute (…)
Il y a encore plusieurs autres conjonctions que fera connaître l’usage.
On voit qu’il y a des conjonctions composées de plusieurs mots.
III. La conjonction la plus ordinaire est que: (…)
12°
- pour marquer tout cela plus* ceci:
* Cf. les numéros zéro de 13427 POëMES MéTAPHYSiQUES 54
Quindi è proprio la barra posta tra i due significanti a mettere in risalto le
infinite possibilità. L’utilizzo della barra è inoltre un invito fatto al lettore
54
Julien Blaine – Bimot – Les Editeurs Evidant, Paris, 1990 – pag. 17
46
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
a giocare a sua volta con tali significanti, cercando nuove assonanze,
nuovi rimandi, nuovi contrasti.
A ben vedere ciò che ci propone Blaine è l'utilizzo della regola
fondamentale analitica, quella delle libere associazioni senza censure, alla
produzione poetica. Ma non nella versione che potremmo definire
"classica" adottata dai surrealisti e dai dadaisti. Bensì nella sua accezione
linguistica, che potremmo definire lacaniana, che vede il lavoro analitico
come un lavoro sui significanti. E', in buona sostanza, la radicalizzazione
di quelle correspondances tanto care a Baudelaire. Qui l'intervento del
poeta è ridotto al minimo. Il linguaggio si mette in relazione, in
associazione, autonomamente e il poeta ha il semplice compito di
rilevarne l'avvenuta congiunzione significante. In pratica certifica la
nuova "metafora", la nuova associazione, definendola poetica e
contestualizzandola nel sistema poetico-letterario.
E’ un’idea, quella di Blaine, che cerca di creare, come abbiamo ricordato,
una nuova forma di poesia. Una forma però che sia accettata, riconosciuta
e letta come poesia. In questo senso va letto il suo sonetto d'esergo:
En parlant du poème…
Le siècle et les siècles
Ont fait – par exemple –
Cet objet clair, pur
Et commun aux poètes:
Le sonnet.
Il s’agirait alor, en ce qui
Me concerne, de rechercher
Un nouvel objet:
Un objet contemporain,
Reproductible et acceptable aux autres,
Un objet qui transmette, contienne et developpe
“Aussi bien” le poème;
Un objet conforme aux procédés de
Reproduction, d’impression et de transmission en fonction. 55
55
Julien Blaine – 13427 Poemes Metaphysique – Les Editeurs Evidant, Paris, 1986 – pag. 20
47
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
E' nelle nuove associazioni che si crea poesia, o meglio è
nell’attraversamento della barra che tale associazione permette che si
produce poesia.
Julien Blaine – Poemes Metaphisiques
48
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
LA POESIE DI BLAINE E IL IV SEMINARIO DI LACAN
E' giunto quindi il momento di ritornare alla connessione tra il discorso
poetico e il discorso analitico. E' chiaro come tutto il percorso evolutivo
fino a qui descritto metta in evidenza il continuo sforzo operato dai poeti
di dire il reale. Parallelamente possiamo leggere in esso il controcanto
dello sforzo compiuto dalla psicoanalisi (o nella psicoanalisi) di dire
qualcosa sul reale del soggetto. In particolare il discorso di Blaine si
presta molto bene a segnare il punto di congiunzione tra i due percorsi.
L'attraversamento produttivo della barra messo a fondamento della
creazione poetica, ricorda le teorizzazioni che Lacan sviluppa negli anni
cinquanta. Del resto lo stesso Miccini fa riferimento, in un suo testo del
1977, a Lacan come fonte di “molti stimoli alla conoscenza, ad esempio
del tipo di invenzione che istituisce taluni codici in un testo o in una
nebulosa testuale a funzione estetica” 56
Nel IV seminario Lacan cerca di porre come base del simbolico
l’immaginario. Solo attraverso l’immaginario è possibile accedere al
simbolico. Solo attraverso la dinamica immaginaria della frustrazione si
può accedere a quella simbolica della castrazione. In questi anni il registro
principale su cui si basa Lacan è il simbolico. La sequenza, in ordine di
importanza, dei tre registri è Simbolico, Immaginario, Reale: S.I.R. Tutto
il percorso dell’analisi è visto, in questi anni, come Simbolizzare
l’Immaginario sul/del Reale. Il percorso va quindi dal Reale verso il
Simbolico. Simbolico che si presenta come stadio finale dell’evoluzione
del soggetto. Questo ci autorizza a dire che nel passaggio
dall’Immaginario al Simbolico, il Reale, su cui si è costruito
l’immaginario, non passa la barra, rimane come resto.
Significante
significato
=
Resto
Simbolico
Immaginario
=
Reale
Questo resto reale che rimane assolutamente irrecuperabile, indicibile è
riconducibile alla rimozione originaria. Questo ritorno della rimozione
originaria, che nei termini di Freud è esattamente una rappresentazione
56
Eugenio Miccini – Semiotica delle comunicazioni visive a funzione estetica. La Poesia Visiva, 1977 – in
Poesia Visiva e diontorni – Edizione META, Firenze, 1995
49
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
ideativa di una pulsione, nei termini di Lacan è leggibile come la pulsione
stessa, ed è ciò che mette in crisi la teoria del significante strutturata da
Lacan in quegli anni. Strutturando l’inconscio come il linguaggio, la
pulsione, che da lì emana, non poteva che essere un fenomeno linguistico,
e quindi rientrante nella teoria significante. La pulsione era presa alla
lettera come rappresentanza ideativa. Nel momento in cui Lacan incontra
un elemento che sfugge a tale dinamica, che rimane incomunicabile,
indicibile, intraducibile e quindi non interpretabile, la teoria del
significante entra in crisi. Una crisi che lo porterà a reintrodurre la
pulsione nella sua teoria.
Nel discorso di Blaine l’attraversamento della barra crea poesia, produce
un resto che è fuori linguaggio, un “valore” che mette in crisi la poesia
lineare classica.
Significante
Immagine
Significante
=
Poesia Visiva
Parola
=
Poesia Visiva
E’ questo un discorso che vale anche per le sperimentazioni precedenti. Il
contrasto tra linguaggi (letterario e iconografico) o tra contesti (poesia e
pubblicità o poesia e linguaggio giornalistico) mette in risalto ciò che
sfugge e che viene nominato “Poesia Visiva”. Ciò che sfugge è
riconducibile a sua volta alla spinta innata a produrre poesia. Una spinta
che potremmo definire “pulsione poetica”.
Ecco in cosa il dire analitico e il dire poetico sono comuni. Entrambi
tendono alla possibilità di dire qualcosa del reale. Entrambi i discorsi
rispondono alla definizione di arte data da Lacan nel VII seminario come
lavoro di bordatura del vuoto. Attraverso l'analisi, attraverso il dire
analitico e la sua interpunzione operata dall'analista, si cerca di delimitare
quel vuoto, quella mancanza-a-essere che rende possibile il desiderio
soggettivo. E' nel lavoro di bordatura che viene esaltato quel luogo vuoto,
occupato dall'oggetto a, dall'oggetto causa del desiderio, che ne permette
una lucida e creatrice presa in carico. E' nelle sua costante apertura che è
possibile riconoscere il lavoro analitico.
Allo stesso modo, nella poesia, ma potremmo dire di tutta l'arte, il lavoro
consiste nell'apertura continua del vuoto rappresentativo. La Poesia
Visiva, e Blaine con essa, non ricerca una esaustione, un riempimento, un
50
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
senso ultimo esprimibile attraverso la poesia, ma il suo contrario:
l'impossibile a dire. Il vuoto, la mancanza-a-essere, l'impossibilità ad
essere detto, il silenzio, in poesia (e nell'arte in generale) rimanda
direttamente a l'impossibile, alla mancanza-a-essere, al reale in gioco nel
desiderio e nel lavoro analitico. Ecco dove quell'avanzamento incrociato a
cui accenna Lacan trova una sua conferma.
Un'altra interessante implicazione del lavoro di Blaine è la volontà
espressa nel suo sonetto di creazione di un "nuovo oggetto", cioè "un objet
conforme aux procédés de Reproduction, d'espression et de transmission
en fonction".
Ciò che vuole creare Blaine è un oggetto a accettato da tutti i poeti e che
tenga conto delle nuove tecnologie a disposizione della sperimentazione,
in particolare i nuovi metodi di riproduzione tecnologica, che hanno così
fortemente influenzato la tecnica di stampa nell’ultima metà del secolo
scorso e che continua a modificarsi. Ma i poeti sono anche interessati ai
mezzi di trasmissione: radio, video, cinema, internet, etc. in un estremo
tentativo di comunicazione totale con il mondo circostante.
Ma la cosa più interessante è sicuramente l’isolamento della sua poesia
come “oggetto” accettabile da tutti.
Abbiamo visto come nell’insegnamento sviluppato da Lacan il soggetto si
costituisce nell'Altro (S - A). Questo Altro (indicato dalla lettera A
maiuscola) è una catena di rappresentanze (vorstellung rappresentanz), di
significanti, ma tra i significanti, tra i due significanti di una catena, c'è un
vuoto che è la mancanza dell'oggetto.
Ecco che la poesia di Blaine, che abbiamo visto nascere nell’opposizione
di due significanti, viene ad indicare esattamente la mancanza d’oggetto.
Risulta chiaro altresì la sovrapposizione delle due mancanze evidenziate
dal ricorso ai dischi di Eulero. In questo modo, il lavoro svolto da Blaine
viene ad assumere un valore paradigmatico della ricerca poetica (e
artistica in generale) come tentativo di dire il reale.
51
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
MOVIMENTI D'AVANGUARDIA A
CONFRONTO
Le forme che sono all'opera nella conoscenza, ci dice Kant,
sono implicate nel fenomeno del bello, senza però che l'oggetto sia
implicato.
Non cogliete l'analogia con il fantasma sadico?
in cui l'oggetto è lì soltanto come potere di una sofferenza,
che non è essa altro che il significante di un limite.
La sofferenza è qui concepita come una stasi
che afferma che ciò che è non può rientrare nel nulla da cui è uscito.
Jacques Lacan - VII Seminario
PUNTI D'OSTACOLO
Esistono nel mondo dell’arte contemporanea altre sperimentazioni, altre
esperienze espressive, che sembrano andare in tutt’altra direzione rispetto a
quella evidenziata dall'evoluzione della poesia sperimentale del Novecento.
Nate anch’esse dallo stesso stimolo di rendere possibile un incontro con il
reale, hanno evidenziato alcuni punti di ostacolo del lavoro di bordatura del
vuoto che abbiamo posto a fondamento del lavoro estetico.
Esse rappresentano un punto limite dell'elaborazione di quella che
possiamo definire una estetica lacaniana.
Abbiamo visto come il lavoro di bordatura del vuoto sia alla base
dell'operazione di sublimazione operata dagli artisti. E' grazie alla
bordatura che essi riescono a delimitare quello spazio vuoto dove viene a
collocarsi l'opera d'arte come oggetto a.
Questo lavoro di bordatura trova una sua negazione in due importanti
movimenti artistici del Novecento. Il fatto che, come abbiamo sottolineato
più volte, il riconoscimento del valore dell'opera sia attuato dalla società
attraverso il mercato e il sistema delle arti, pone qui una questione.
52
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
I due movimenti che prenderò in esame sono riconosciuti dalla società e
sono parte integrante del sistema dell’arte contemporanea. Ad essi sono
dedicati numerosi testi di critica e di storia dell’arte. Di conseguenza, è
evidente come in essi la società contemporanea vi abbia trovato una forma
di sublimazione, una pacificazione, in definitiva una forma d’arte. Ma dal
nostro punto di vista, e vedremo come, in questi due movimenti non c'è
lavoro di bordatura, bensì di negazione o di otturazione del vuoto,
attraverso due operazioni opposte.
I due movimenti che creano problema allo sviluppo della nostra tesi sono
la "Conceptual Art" e la "Body Art".
Entrambi nascono tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni
settanta. Sono quindi successivi alle sperimentazioni effettuate all’interno
del gruppo internazionale di Fluxus. Difficilmente definibile, per niente
incasellabile e, per quanto possibile, ancor meno delimitabile nelle sue
espressione, Fluxus è un non-movimento nella sua assoluta eterogeneità al
quale hanno partecipato molti artisti di diverse nazionalità. Artisti che
hanno mantenuto una loro specificità, una loro singolarità, quasi che il
riconoscersi in Fluxus non fosse che casuale, incidentale, per niente
determinante o delimitante. Un movimento che ha prodotto pochissimi
oggetti d'arte, voglio dire pochissime opere adatte al mercato (almeno nel
primo periodo), ma tantissime idee. Idee che hanno avuto poi sviluppi
enormi nella storia dell'arte contemporanea e che per questo motivo credo
sia utile ripercorrerne brevemente la storia..
FLUXUS O DELL'ARTE DELL'HAPPENING
Allora, che cos'è questo Fluxus?
Gorge Brecht ha detto: "Ognuno di noi aveva la propria idea a proposito
di ciò che fosse Fluxus, e tanto meglio. Pertanto ci vorrà più tempo a
seppellirci."
E come dargli torto? Una cosa che si può dire, con assoluta tranquillità e
certezza, è che Fluxus è il movimento internazionale più importante nella
storia dell'arte contemporanea nato nel secondo dopo guerra.
La storia "ufficiale" di Fluxus inizia nel 1961, quando il termine venne
utilizzato per la prima volta da George Maciunas nell'invito per il ciclo di
letture "Musica Antiqua et Nova" tenuto all A/G Gallery di New York, i
cui proventi dovevano finanziare una rivista così denominata.
Fu sempre Maciunas ad organizzare - in quello stesso anno, ancora nel
suo spazio newyorkese - una serie di performances di Maxfield,
Ichiyanagi, Vanderbeek, Higgins, La Monte Young, Yoko Ono, Walter
53
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
De Maria, tutti (o quasi tutti) frequentatori dei corsi che Cage aveva
tenuto nei tardi anni '50 presso la New School of Social Research.
Altro momento inaugurale del movimento, può essere indicato nella
preparazione del volume "An Anthology", curato da La Monte Young e
Jackson Mac Low e disegnato da Maciunas ("un'antologia d'operazioni
casuali, concept-art, anti-arte, indeterminazione, improvvisazione, lavoro
non significante, disastri naturali, piani d'azione...") da cui risultava una
sorta di "manifesto" frammentato della disposizione artistica del collettivo
ed un'esemplificazione concreta delle sperimentazioni dei singoli, tra i
quali figurano - oltre alla maggior parte di quanti già menzionati,
personaggi come George Brecht, Henry Flynt, Ray Johnson, Nam June
Paik, Emmett Williams.
La pubblicazione di "An Anthology" fu poi ritardata sino al 1963 dal
viaggio in Europa di Maciunas dove, nel 1962, inizia l'attività vera e
propria del gruppo Fluxus con i festivals di Copenhagen e Parigi (seguiti
l'anno successivo da altri a Düsseldorf, Amsterdam, L'Aja, Nizza) e gli
incontri e l'adesione al gruppo di artisti europei come Vostell, Beuys,
Spoerri e Ben Vautier.
Ma dopo questi primi momenti abbastanza definibili ed identificabili,
rendere conto di tutte le attività che sono andate sotto l'etichetta Fluxus è
quasi impossibile.
A partire da quegli anni si sono succeduti eventi di vario genere tra cui:
"paper events", "food events", "sport events" - films, riviste (come la
celebre "CCC V Tre" di George Brecht), contestazioni - di cui fu oggetto,
su iniziativa di Henry Flynt, Karlheinz Stockhausen, considerato
esponente di una forma di imperialismo culturale - edizioni di oggetti note
come "Fluxyearboxes" e "Fluxkits", etc. etc.
Una vera e propria esplosione d'idee e iniziative che, per la vastità delle
problematiche e la diversità delle culture coinvolte, caratterizzano il
movimento come il maggiormente diffuso a livello planetario nella storia
dell’arte.
Ma Fluxus è essenzialmente un gruppo che, tra la fine degli anni ’50 e
negli anni ’60, ha proposto un modo diverso di concepire il fatto artistico,
mettendone in discussione i canoni operativi tradizionali.
Gli artisti Fluxus hanno, senza dubbio, aggirato la concezione dell’opera
d'arte come entità conchiusa, perfetta, ponendone invece in evidenza la
processualità, e questo nella prospettiva di una sua progressiva
cancellazione. E’ questo il è percorso portato alle estreme conseguenze
dalla Conceptual Art.
John Cage è sicuramente la figura più influente del gruppo. Nel suo
peregrinare, prima a New York e quindi in Europa, ha portato con sé la
54
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
nuova categoria dell’indeterminazione e le nuove possibilità linguistiche
legate alla probabilità.
Nel 1952, in uno spettacolo al Black Mountain College combina insieme
per la prima volta vari elementi: un’azione scenica indeterminata e senza
matrice; una struttura a compartimenti; un nuovo rapporto fra il pubblico e
la rappresentazione.
In mezzo al refettorio del College erano state sistemate le sedie del
pubblico, tutte rivolte verso il centro, facendo in modo di lasciare un
passaggio tra le pareti del locale e la platea. Le varie azioni si svolgevano
intorno al pubblico e anche fra gli spettatori. John Cage, in abito e
cravatta neri, leggeva una conferenza su Meister Eckhart da un leggio
collocato su un lato dell’ambiente. Mary Caroline Edwards declamava
solennemente dei versi da una scala a pioli. Altri attori, nascosti tra il
pubblico, si alzavano a turno in piedi e recitavano brevi battute. David
Tudor suonava il piano. Sul soffitto venivano proiettate immagini
cinematografiche, mentre Robert Rauschenberg metteva vecchi dischi su
un fonografo portatile. Merce Cunningham improvvisava una danza
intorno al pubblico.
Risulta chiaro come in questo “evento" sia avvenuta una rottura e un
nuovo inizio.
Gli elementi ed i materiali della rappresentazione, come già accennato,
non sono più legati tra loro, o sostenuti da una matrice comune.
Rimangono indeterminati e complementari. Non solo. Cage allarga la
dimensione e il concetto di musica includendo non solo il silenzio e il
rumore, ma anche l'accidente sonoro prodotto attraverso interventi o
movimenti nello spazio.
Per Cage la musica si avvicina alla vita, che – se ascoltata attentamente –
è in grado di fornire quantità infinite di elementi musicali.
Al limite, l’insieme musicale si può raggiungere con l’atteggiamento
passivo dell’ascolto: il musicista deve limitarsi a rilevare l’aspetto
musicale dei rumori e dei suoni prodotti da fonti conosciute o meno.
Quindi più che un produttore di suoni il musicista diviene un ascoltatore
che può far emergere la musica. Musica che in realtà già esiste e che ha
bisogno soltanto di essere identificata. Di essere scelta, oggettivata,
nominata.
Ecco la lezione fondamentale sviluppata da Fluxus. "Art is easy", il
famoso slogan di fluxus, sta ad indicare che l'arte avviene (happen)
sempre e ovunque, e l'artista, l'artista fluxus, non deve che nominarla
come tale.
Così l’happening nasce come rappresentazione senza matrici, in quanto gli
interpreti non portano con sé un mondo creato, una realtà inventata di luogo
55
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
e di tempo. Con l’intrusione e l'inclusione dello spettatore nella
rappresentazione prende forma questo nuovo modo di fare arte, dove
l’attore raggiunge l’integrazione di tutti gli elementi del suo lavoro.
L’environment, le composizioni, il tempo, lo spazio, la gente, le forme, i
movimenti, vengono usati in quanto tali senza alcun significato oltre alle
loro intrinseche qualità ed alle loro caratteristiche fisiche. L’artista
controlla e dirige l’happening nel suo svolgimento ed è parte integrante
dell’azione. L’azione è indeterminata ma non improvvisata.
I FESTUM FLUXORUM FLUXUS, realizzati alla Kunstakademie di
Düsseldorf, segnano quindi l’inizio delle contaminazioni delle arti: musica
elettronica, danza, cinema, poesia, musica concreta e teatro di strada.
Durante questi happening inizia l’utilizzo del corpo come mezzo
espressivo. Esempi di questo utilizzo sono le Anthropométrie (impronte
corporee) di Ives Klein dove i corpi delle modelle vengono spalmati di
colore e usati come degli stampi su delle tele; o l’azione poetica
organizzata da Yoko Ono a New York, dove tutti i partecipanti venivano
sottoposti a delle misurazioni del corpo (orecchi, naso, mani etc.).
Questo utilizzo del corpo come mezzo espressivo trova nella Body Art la
sua piena realizzazione.
Il tentativo di portare la vita nell’arte operata da Fluxus apre quindi la
strada a delle sperimentazioni, tra loro diversissime, che porteranno a degli
esiti contraddittori rispetto all’assunto iniziale. In particolare, ho indicato
due movimenti che creano problema allo sviluppo della nostra tesi.
Vediamone quindi i motivi iniziando dalla Conceptual Art.
George Maciunas, Dick Higgins, Wolf Vostell, Benjamin Patterson & Emmett Williams
performing Philip Corner’s Piano Activities at Fluxus Internationale Festspiele Neuester
Musik, Weisbaden 1962. Photograph by Hartmut Rekort
56
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
CONCEPTUAL ART O DELL'ARTE DELLA TAUTOLOGIA
Il movimento della Conceptual Art si sviluppa, a partire dalla metà degli
anni '60, a livello internazionale esaurendosi alla fine degli anni Settanta.
Dura appena una quindicina d’anni, e tuttavia rimane una delle fasi più
salienti dell’arte contemporanea. Si basa su una concezione dell'arte che
rifiuta di identificare il lavoro dell'artista con la produzione di un qualsiasi
oggetto, di più o meno rilevante qualità estetica, e ritiene che l'essenza
dell'arte sia invece nell'idea, nel concetto che precede e conforma l'opera.
Ecco in che senso porta alle estreme conseguenza la volontà espressa
all’interno del gruppo Fluxus di cancellazione dell’opera d’arte come
oggetto.
Fino agli anni '60 l'arte ci aveva abituati ad oggetti e forme concrete. L'Arte
Concettuale invece si pone come scopo la ricerca della propria nozione e
del proprio significato. L'opera d'arte consiste nell'analizzare e
nell'investigare il linguaggio artistico ed il sistema che lo accoglie. Così
operando si giunge ad un'arte smaterializzata. L’arte non è più intesa come
impiego di forme e materiali durevoli. I materiali possono essere fogli di
carta, discorsi verbali sull'arte, riflessioni filosofiche sul sistema artistico.
L'arte passa da un metodo di intuizione e di sintesi ad un metodo di analisi
scientifica, proprio dell'attività scientifica e filosofica. Se l'arte ci aveva
abituati al'ambiguità internazionale dei significati, l'Arte Concettuale
assume i dati della scienza ed il bisogno dell'esattezza e del significato
univoco.
Con la nozione di arte concettuale si arriva dunque alla trasformazione del
concetto di oggetto artistico che da presenza fisica dell'opera diviene
un'operazione mentale che può fare a meno di oggettivarsi. O meglio:
l'oggettività dell'arte concettuale sta nel riflettere sull'arte stessa, sul
progetto mentale della propria dimensione, senza finalità espressive.
Arte diviene anche il parlare dell’arte, il comportamento, la riflessione, e
così via. E da questo punto comincia il significato più pregnante del
termine «concettuale»: un’arte che riesce a fare a meno delle opere d’arte.
Il termine “Concettuale” nasce intorno al 1967 quando l'artista Sol Le
Witt pubblica una serie di proposizioni che enunciano l'atteggiamento di
questa tendenza. Ciò che conta è la definizione dell'arte più che le opere in
senso stretto, si dichiara che l'arte non è altro che arte inserita nel sistema
dell'arte. Di conseguenza il lavoro concettuale viene considerato come una
struttura logica che definisce le proprie regole linguistiche.
Scrive Sol Lewit nel suo storico articolo su Art Forum nel 1967: "Nell'arte
concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando un
artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le
57
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una
faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte"57
L'atteggiamento ha una perfetta corrispondenza con l'umore fortemente
ideologizzato del tempo. L'arte si libera da qualsiasi orpello che può legarla
al mondo della produzione e al potere e si pone come atto rivoluzionario
nella ricerca della sua propria essenza che è allo stesso tempo ricerca della
verità attinente all'essere.
Il processo non è solo una chiarificazione della natura dell'opera, ma di
quella dell'arte stessa e della sua storia. Allontanando l'arte
dall'identificazione con il manufatto e concependola invece come idea,
anche la storia dell'arte viene vista come una storia di idee. L'arte vive
quindi attraverso l'influenza che esercita su altra arte e non quale residuato
fisico delle idee di un artista. Le effettive opere d'arte sono poco più che
curiosità storiche.
Da questo punto di vista emblematica è l'attività sviluppata dal gruppo di
artisti inglesi della rivista "Art & Language" (Terry Atkinson, David
Bainbridge, Michael Baldwin, Charles Harrison e Harold Hurrel) che, a
partire dal 1969, affermano un'idea di arte concettuale basata sulla
produzione di documenti linguistici e di rigorose dichiarazioni teoriche.
Essi operano la distruzione dell'oggetto artistico predicando un concetto
generale di arte, vicino a quello della matematica e della logica, dove
l'attività artistica ricoprirebbe la funzione della filosofia. Le loro opere sono
destinate esclusivamente ad analizzare i metodi e le ragioni della
produzione artistica. Filosofia, sociologia e politica entrano nel campo di
interesse dell'arte ed escludono l'attenzione verso le distrazioni
rappresentate dalla realtà degli oggetti.
Ecco che l'impiego della tautologia consente agli artisti di Art & Language,
ma più in generale a tutti gli artisti concettuali, di riflettere analiticamente
sul valore dei segni in se stessi, evitando referenti esterni all'arte medesima.
"L'arte che io definisco concettuale - ha scritto Kossuth nel 1970 - è tale
perché fondata sulla ricerca della natura dell'arte, di conseguenza non
propriamente l'attività di costruire proposizioni artistiche ma un elaborare,
uno sviscerare tutte le implicazioni di tutti gli aspetti del concetto/arte"58.
Joseph Kosuth (1945), forse l’artista del gruppo più conosciuto a livello
internazionale, svolge una intensa attività teorica in ambito concettuale i
cui confini si confondono con quelli della sua stessa produzione artistica. A
partire dalla celebre "One and Three Chairs" del 1965, in cui vengono
presentate tre versioni di una sedia, una iconica (la fotografia), una fisica
57
La citazione è reperibile in qualsiasi dei numerosi testi dedicati all'arte concettuale e/o al lavoro di Sol
Lewitt
58
Vale lo stesso discorso fatto per la citazione di Sol Lewitt
58
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
(la sedia reale), una verbale (la definizione di sedia tratta da un
vocabolario), il suo lavoro cerca di portare allo scoperto l’equivalenza
comunicativa delle tre versioni. Ma nello stesso tempo evidenzia nel fatto
comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto,
la sua vera natura e contemporaneamente la vera natura del lavoro.
Si può pensare che qualsiasi altra sedia e anche qualsiasi altro oggetto
diverso può assolvere la funzione sopra descritta, così come in un altro
lavoro di Kosuth, "Qualsiasi lastra di vetro di un metro e mezzo da
appoggiare a qualsiasi muro", si può, come egli stesso scrive, "pensare che
qualsiasi altro pezzo di vetro sarebbe potuto andare altrettanto bene, sicché
l'opera non dipendeva da quel vetro particolare, ma esisteva molto in
astratto". Conseguentemente l'opera d'arte viene considerata soprattutto
come "proposizione linguistica che trova in se stessa il criterio del proprio
valore" (Kosuth). E' in questo contesto che Kosuth esplora il campo della
tautologia: l'arte spostandosi dal lavoro alla riflessione sul lavoro, e di
conseguenza all'enunciazione di un concetto, e se la stessa enunciazione
costituisce visivamente l'opera, il significato dell'opera stessa viene a
coincidere, tautologicamente, con la sua descrizione, giungendo al massimo
di eliminazione del soggettivo e al massimo della verificabilità della
correttezza e verità della proposizione.
Joseph Kosuth - One and Three Chairs
59
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Mi sembra evidente come in un tale lavoro non sia reperibile nessun lavoro
di bordatura del vuoto. Non c'è, come abbiamo visto all'opera nel lavoro
paradigmatico di Blaine, una ricerca che tende ad aprire la definizione di
arte (di poesia) esaltandone l'aspetto di incompiutezza, di precarietà ed
esaltando in questo modo quel lavoro di bordatura che abbiamo posto a
base del lavoro artistico.
Al contrario nella Conceptual Art, e in particolare nel lavoro di Kosuth, si
ha l'otturazione del vuoto attraverso un pieno di significato. Un pieno che
viene a collocarsi sul piano simbolico.
Nella Conceptual Art il punto d'arresto si presenta sotto forma di
tautologia. La Conceptual Art è lo sviluppo di un discorso autoreferenziale
che gira a vuoto attorno al concetto di arte e alla sua definizione. Gira a
vuoto, ma non crea nessun vuoto. In definitiva, dal nostro punto di vista, ci
troviamo di fronte ad un corto circuito che non permette all'artista nessuna
ricerca sulla rappresentazione estetica del vuoto, perché non c'è più nessun
vuoto rappresentato.
Lo spazio vuoto dell'opera d'arte è sostituito da un pieno: pieno di
significato autoreferenziale. In buona sostanza ci troviamo di fronte ad un
simbolico bloccato che non permette nessuno scivolamento significante. Il
concettuale ha, di fatto, bloccato l'evoluzione della ricerca estetica ed è
forse per questo che il movimento è stato rapidamente abbandonato.
Prendiamo ad esempio l’esposizione delle tre forme dell’oggetto di "One
and Three Chairs". Noi possiamo leggere tale opera come il tentativo di
esposizione, nel senso di spiegazione, dei tre registri lacaniani (simbolico,
immaginario e reale). Ma l’operazione Kossuthiana non apre a nessuna
meditazione dialettica tra l’oggetto reale, la sua immagine riprodotta e la
sua definizione simbolica. L’accento è posto, al contrario, proprio sulla
equivalenza delle tre versioni dello stesso oggetto. L’accento è posto quindi
sulla tautologia, sull’identità e non sulla differenza e sulla dialettica
esistente. Assistiamo quindi al lavoro contrario a quello compiuto da
Blaine, cioè alla negazione dell’attraversamento della barra come momento
produttivo.
In Kossuth il passaggio dall’immaginario al simbolico non crea nessun
resto reale. Al contrario assistiamo alla identità radicale tra reale,
immaginario e simbolico.
Il tentativo di Kossuth, e dell’arte concettuale in genere, è quello della
creazione di una scienza dell’arte, cioè di un sistema chiuso, pieno, dove la
mancanza non ha spazio. Possiamo quindi applicare a una tale esperienza
artista la definizione di scienza data da Lacan nel VII seminario.
“Il discorso della scienza rigetta la presenza della Cosa, per il fatto che,
nella sua prospettiva, si profila l'ideale del sapere assoluto, e cioè di
60
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
qualcosa che pone ugualmente la cosa, ma senza renderne conto. Ciascuno
sa che una tale prospettiva si rivela in fin dei conti nella storia
rappresentare un fallimento.
Il discorso della scienza è determinato da questa Verwerfung, e
probabilmente per questo - quel che è rigettato dal simbolico riapparendo
secondo la mia formula, nel reale - si trova a sfociare su una prospettiva in
cui, al limite della fisica, si profila appunto qualcosa di altrettanto
enigmatico della Cosa.”59
BODY ART O DELL'ARTE DELL'OSTENTAZIONE
Veniamo ora all'altro movimento che crea problema : la Body Art. In essa
forse troviamo riapparire nel reale ciò che è stato escluso dal simbolico,
come recita la formula appena citata di Lacan..
La Body Art nasce negli anni Settanta e si presenta come un paradosso
linguistico dell’artista ossessionato dalle potenzialità fisiche. Il movimento
della Body Art si può considerare come l'estrema evoluzione della pratica
delle performances che abbiamo visto svilupparsi a partire dalle ricerche
del gruppo Fluxus.
Per la Body Art il corpo è il mezzo privilegiato della espressione artistica.
Le azioni vengono subito a connotarsi sotto due filoni ben distinti. Nel
primo le azioni sottolineano le funzioni del corpo stesso e delle sue parti,
servendosi di mezzi di riproduzione meccanica (fotografia, video e film)
nel tentativo di indagare e documentare le potenzialità corporee. L’azione
si risolve in una serie di esercizi che presuppongono una lunga
preparazione e un’attenta analisi. Nelle azioni del secondo filone,
decisamente più dure, il corpo viene vissuto come luogo di azioni
sadomaso, come soggetto-oggetto di azioni violente e aggressive.
L’aggressività legata al narcisismo trova qui il suo impiego artistico.
E’ questo secondo aspetto, ed in particolare le azioni di Gina Pane, che
attira l’attenzione di Orlan, artista di cui analizzeremo l’opera. Gina Pane
utilizza il proprio corpo per ferirlo, trafiggerlo, oltrepassarlo. Le sue
performance consistono nella produzione di tagli sul proprio corpo, in
particolare il viso, con lamette da barba. Il suo è un discorso sull’identità
femminile. Il piccolo e silenzioso gesto di ferirsi il viso diviene un modo
attraverso cui la bellezza femminile riattiva una sua identità, un momento
di sottrazione allo stereotipo classico, all’aspettativa culturale occidentale.
Il corpo oltraggiato è un corpo che si sottrae alle logiche mercantili.
59
Jacques Lacan - Sem. VII L’etica della psicoanalisi; Einaudi Torino 1994 - pag. 167
61
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
L’intento è quello di evidenziare una identità altra che non si riconosce, che
non si identifica alle immagini dominanti. E’ un discorso politico,
femminista, ed estremista.60
Orlan riconosce in Gina Pane una fonte di ispirazione. Le prime
performance di Orlan infatti risentono della “poetica” estrema e
dichiaratamente femminista della Pane.
Orlan – Installazione per “Le Basier de l’Artiste”
Le basier de l’artiste del 1977 e Sainte Orlan del 1975 lavorano sullo
scarto tra due immagini femminili: puttana e madonna. In Sainte Orlan
l’artista si mostra in pubblico vestita da Madonna, riprendendo le
iconografie della Madonna del periodo barocco, ma disturbando tale
immagine con l’esposizione del seno, del pube e con azioni lascive.
In Le Basier de l’artiste, performance realizzata per la Fiac (Foire
International d’Art Contemporain), Orlan urlava: “Avvicinatevi,
avvicinatevi al mio piedistallo, quello dei miti: della madre, della puttana e
dell’artista”. Accanto ad Orlan, su una pedana, era collocata una silhouette
di plastica che raffigurava un torso femminile nudo attraversato da un
canalino trasparente. In esso poteva essere inserita una moneta da cinque
franchi che cadeva in un contenitore triangolare situato nella zona pubica
60
Ricordo brevemente alcune azioni: in Psiché del 1974 la Pane sfigura il proprio corpo con dei tagli; in
Transfert del 1973 strazia il proprio corpo rotolando su dei vetri scheggiati; in Death Control del 1974 il
suo viso è attraversato dai vermi.
62
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
della silhouette. Lo spettatore pagante riceveva un bacio con la lingua da
Orlan, interrotto da un tocco di campana. Accanto alla pedana c’era un
modello di cartapesta che raffigurava Sainte Orlan. Gli spettatori potevano
inserire una moneta nell’immagine religiosa e invece di un bacio avrebbero
avuto la possibilità di accendere delle candele alla Madonna.
Lo scarto tra queste due immagini femminili, puttana e madonna,
rappresenta due estremi inconciliabili verso cui lo spettatore viene
indirizzato. Due ruoli conflittuali in cui la figura femminile deve districarsi,
essendo così imbrigliata nello stereotipato immaginario maschile. Per
questa performance Orlan venne licenziata dall’Académie des Beaux Arts
di Lione.
Nel 1978 realizzò una performance dal titolo Etude documentaire: la tête
de Meduse. In questa performance Orlan mostrava attraverso una lente di
ingrandimento la propria vagina (con i peli da un lato dipinti di blu) durante
il flusso mestruale. Su uno schermo video passava la testa dell’osservatore
ripresa da una telecamera. All’uscita veniva distribuito un testo di Freud
sulla testa di medusa (Il perturbante)61 dove si può leggere: “Alla vista della
vulva anche il diavolo scappa”.
Le sue performances sono sempre più radicali e l’utilizzo del testo di Freud
apre la strada alle evoluzioni successive dell’artista. Da ora in poi i suoi
lavori ruoteranno sempre attorno a dei testi psicoanalitici o letterari
(Eugénie Lemoine-Luccioni, Michel Serres, testi indù in sanscrito,
Alphonse Allais, Antonin Artaud, Elisabeth Betul Fiebig, Raphael Cuir,
Julia Kristeva).
“La mia attuale performance è il proseguimento logico dei miei precedenti
lavori, ma sotto una forma decisamente più radicale. Questa performance
ha due titoli: il primo è La réincarnation de Sainte Orlan e allude al
personaggio che si era creato poco a poco indossando le immagini religiose
di madonne, vergini e sante. Il secondo titolo è Image/nouvelles images,
strizza l’ochio a dei e dee induiste che cambiano apparenza per fare nuovi
lavori, nuovi exploit.” 62
L’attuale performance di Orlan consiste in una serie di operazioni di
chirurgia estetica atte a modificare, trasformare, mutare la propria
immagine corporea. Orlan è la prima artista ad usare la chirurgia
deviandola dai suoi contenuti di miglioramento e di ringiovanimento. Il suo
è un tentativo di mutazione dell’identità. E’ un lavoro di distruzione
continua di tutte le possibili immagini identificatorie cercandone e
61
Sigmund Freud – Il perturbante (1919) – OPERE DI SINGMUND FREUD VOL. IX, pagg.
81/118,Edizione Bollati Boringhieri, Torino, 1977
62
ORLAN – L’art charnel (1996) – in ORLAN a cura di Francesca Alfano Miglietti – supplemento alla
rivista VIRUS n° 8, 1996, Milano
63
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
creandone di nuove. L’interesse di Orlan è centrato sulla creazione di una
identità nomade e mutante.
Nella sua quinta operazione (Performance: Opération Réussie, 1991)
concretizza la sua avventura mutante. L’operazione di chirurgia plastica la
coinvolge in un progetto di ridefinizione facciale archetipica. Orlan prende
le immagini di Psiche, Venere, Diana, Europa, Monna Lisa e le fonde
utilizzando un computer con la propria immagine creando una serie di
iconografie, di modelli per le proprie operazioni. L’operazione non ha nulla
di estetico. Il lavoro è concentrato sulla decostruzione degli ideali di
bellezza femminile che tali immagini rappresentano. Decostruzione delle
icone della memoria per ricostruire un altrove indefinito e mutevole e in
questo senso azzerare la nozione di identità.
Per questa sua quinta operazione Orlan ha elaborato il testo di Eugénie
Lemoine-Luccioni La robe63 Orlan cita spesso un brano di questo testo
nelle sue interviste: “La pelle inganna (…) Nella vita, si ha solo la propria
pelle (…) c’è un errore nelle relazioni umane perché uno non è mai ciò che
ha (…) Ho una pelle d’angelo ma sono una iena, ho una pelle di coccodrillo
ma sono un cucciolo, una pelle nera ma sono bianco, una pelle da donna
ma sono un uomo; non ho mai la pelle di ciò che sono. Non ci sono
eccezioni alla regola perché non sono mai ciò che ho…”
Dalla lettura che Orlan fa di questo testo prende forma l’idea di ridurre le
distanze tra essere e apparire, nasce la sua volontà di dedicarsi alla
redifinizione plastica. Questa volontà pone il lavoro di Orlan nella
prospettiva dell’indagine su che cos’è l’essere.
La sala operatoria diviene una sorta di “teatro della crudeltà” dove si
esperisce nuova identità e dove tutto il procedimento tecnico-chirurgico
viene ripreso attraverso filmati video, fotografie, disegni che verranno
mostrati nella seconda parte della performance.
Durante il sesto intervento (1992) Orlan da valore agli scarti, ai resti delle
operazioni costruendo delle teche blindate contenenti un recipiente
circolare con all’interno venti grammi di carne di Orlan. Sulle teche è
inciso un testo di Serres: “Che cosa ci può fare ora, il mostro tatuato che
corre, il mostro ambidestro, ermafrodita, di razza mista? Sì, sangue e carne.
La scienza parla di organi, di funzioni, di cellule e di molecole,
ammettendo finalmente che è giunta l’ora di smettere di parlare della vita
in laboratorio, ma non parla mai della carne, che indica solo la mistura, in
una data parte del corpo, adesso e ora, di muscoli, di sangue, di pelle e di
peli, di ossa, di nervi e di diverse funzioni che, mischiate insieme, formano
ciò che il sapere rilevante analizza…”
63
Eugénie Lemoine-luccioni – La robe. Essai psychanalytique sur le vetement. – Editions du seuil, Paris,
1983
64
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Modificando la propria immagine si producono dei resti che si connotano
come delle presenze, delle testimonianze, delle tracce del reale del corpo.
Lo scavo continuo operato sull’immagine porta Orlan a dare valore
all’aspetto reale del corpo, a ciò che sfugge ad una definizione sia
immaginaria che simbolica, e che si produce come scarto, come materia
organica (tessuti, pelle, etc.) che non ha più una collocazione fisica
nell’immagine dell’artista. Ecco ricomparire nel reale, nello scavo reale del
corpo, ciò che non aveva trovato una collocazione nel simbolico. La
mancanza negata nell’operazione Concettuale si fa carne nell’esperienza
della Body Art.
Orlan - Ceci est mon corps ... ceci est mon logiciel. Omniprésence
Per la settima operazione (Onniprésence , 1993) Orlan ha organizzato la
trasmissione in tempo reale via satellite della performance. Il collegamento
rendeva possibile l’interazione con gli spettatori che potevano seguire
l’operazione e porre delle domande all’artista. Durante questa operazione
Orlan si fa innestare due protesi solitamente destinate al rialzo degli zigomi
in fronte. Due protuberanze che azzerano ogni stereotipo di bellezza
desiderabile e assumo sembianze inquietanti. Dopo l’operazione, nella
galleria Sandra Gering di New York, vengono esposti quaranta dittici in
metallo, corrispondenti ai quaranta giorni di esposizione, più una immagine
65
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
finale: una fotografia di Orlan con il volto passato al morphing. Ogni
giorno, sul lato superiore del dittico veniva esposta la fotografia di Orlan
durante la cura. All’inizio la faccia gonfia e bendata, poi colorata, dal blu al
giallo passando per il rosso. Su ogni lastra erano incise le parole “Entre les
deux” e la data. L’ultimo giorno l’installazione era completa.
“Fra le due”, fra le due immagini, quella bendata, tumefatta, e l’immagine
passata al morphing si colloca Orlan, il suo essere che sfugge sia dalla
prima che dalla seconda immagine possibile. Questo suo collocarsi “fra le
due” viene a creare una situazione triangolare che possiamo scrivere sul
triangolo immaginario dello schema R:
Orlan
Possibili Orlan
Orlan Bendata
Questo suo porsi “fra le due” immagini crea quindi una situazione ternaria
che scardina la relazione duale immaginaria e che porta all’apertura verso
la questione di che cosa sia o chi sia realmente Orlan. Il lavoro di Orlan
incentrato sulla distruzione di ogni immagine identificativa porta
inevitabilmente alla questione dell’essere, del soggetto. Orlan non si
colloca nelle sua immagine corporale in continua mutazione, né nelle
immagini possibili elaborando la propria immagine al computer. Orlan si
pone ed emerge come essere “fra le due”, come un qualcosa che sfugge in
continuazione a questo gioco di rimandi immaginari.
L’ultimo suo progetto sarà quello di donare il suo corpo ridefinito ad un
museo che lo mummifichi. Inoltre Orlan, quando avrà finito gli interventi,
ingaggerà un’agenzia pubblicitaria che le troverà un nome e un cognome
nuovi e tenterà, nella sua vertigine identitaria, di cambiare, appunto,
identità.
Anche questo passaggio dell’opera di Orlan può essere riscritto su uno
schema che ci ha insegnato Lacan: lo schema L.
66
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
?
Orlan
Immagini di Orlan
Agenzia Pubblicitaria
Questo ricorrere ad un terzo, ad un Altro (che nelle intenzioni di Orlan è
una agenzia pubblicitaria) si presenta come una interpretazione. Una
interpretazione o meglio una nominazione, che l’artista desidera essere
originaria, della propria identità, di chi realmente sia Orlan. Un nome che
l’artista intende assumere come proprio nel tentativo di unificare in un
UNO tutte le sue immagini e il suo essere.
Lo schema R, presentato poco sopra, suggerisce un altro spunto
interessante: il triangolo simbolico che viene a costituirsi in
contrapposizione al triangolo immaginario è: Orlan Bendata – Possibili
Orlan – Agenzia Pubblicitaria. In tutti e tre i vertici del triangolo sono
presenti delle entità che mutano e/o creano nuove immagini.
Possibili Orlan
Orlan Bendata
Agenzia Pubblicitaria
E’ di particolare interesse il funzionamento dell’agenzia pubblicitaria come
Altro. Nell’introdurre lo schema R Lacan dice: “Il bambino, nel suo primo
rapporto con l’oggetto primordiale – è la formula generale – si trova
prendere la posizione simmetrica di quella del padre. Entra in rivalità con
lui, e si situa all’opposto per rapporto alla relazione primitiva all’oggetto, in
67
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
un punto x, marcato dal segno . Lì diviene qualcosa che può rivestirsi
delle insegne di ciò con cui è entrato in rivalità, ed è in questa misura che
ritrova in seguito la sua posizione (…)”64
Nel caso di Orlan la rivalità si innesca con l’agenzia pubblicitaria come
espressione massima della società capitalistica. L’agenzia pubblicitaria crea
nuove immagini e nuovi desideri al servizio della società consumistica.
Orlan crea nuove immagini e nuovi desideri in contrapposizione a questa
società. E’ un tentativo di ridare valore all’essere come singolare, in
contrapposizione all’omologazione frutto della società consumistica.
Ma ancora una volta troviamo in Lacan una indicazione estremamente
puntuale. All'inizio del V seminario, quando Lacan riassume brevemente i
suoi seminari precedenti, dice:
"Le pens néamoins que le séminaire sur la psychose vous a permis de
comprendre, sinon le dernier ressort, du moins le mécanisme essentiel de la
réduction de l'Autre, du grand Autre, de l'Autre comme siège de la parol, à
l'autre imaginaire. C'est une suppléance du symbolique par l'imaginaire.
Du coup, vous avez saisi comment nous pouvons concevoir l'effet de totale
étrangeté du réel qui se produit dans les moments de ropture de ce dialogue
du délire par quoi seulemnet le psychosé peut soutenir en lui ce que nous
appelerons une certaine intransitivité du sujet. La chose mous paraît quant à
nous toute naturelle. Je pense, donc je suis, disons-nous intransitivement.
Assurément, c'est là la difficulté pour le psychosé, en raison précisément de
la réduction de la duplicité de l'Autre avec le grand A, et de l'autre avec le
petit a, de l'Autre, siège de la parole et garant de la verité, et de l'autre duel
qui est celui en face de qui le sujet se trouve comme étant sa propre image.
La disparition de cette dualité est précisement ce qui donne au psychosé
tant de difficultés à se maintenir dans un réel humain, c'est-à-dire dans un
réel symbolique."65
Questo passo, con lo svelamento della struttura psicotica che sta alla base
del lavoro di Orlan, ci riporta però a quella visione patografica dell'arte che
volevamo evitare. Ritorniamo quindi alla nostra principale questione.
Mi sembra evidente come anche in questo lavoro, al di là delle interessanti
osservazioni che ne possiamo trarre, non esista un vero e proprio lavoro di
bordatura del vuoto.
Questa considerazione ci porta ad affrontare una questione più profonda e
più inquietante. Una questione che si riassume in una domanda radicale: un
tale lavoro è da considerare artistico? L'esibizione oscena del corpo e della
sua carne, unita alle pratiche di masturbazione, di mutilazione, etc. che
64
Jacques Lacan – Le séminaure. Livre V. Les formations de l’incoscient – Edtions du seuil, Paris, 1998,
pagg. 296/297
65
Jacques Lacan - Le seminaire. Livre V. Les formations de l'incoscient - Editions du seuil, Paris, 1988;
pag. 12
68
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
caratterizzano la Body Art, ed in particolare il lavoro di Orlan, hanno una
stretta connessione con l'esibizione tout-court del godimento, con
l'esposizione impossibile della Cosa in una forma di perversione estrema.
La questione è se l'esposizione, o meglio l'ostentazione, del godimento può
essere ricondotto ad una valutazione estetica. In definitiva, come dice
puntualmente Murielle Gagnebin: "Devant ces manifestations féroces du
corps outragé, devant la présence réelle du sang et de la chair déchiquétée,
un question se pose: ces actions relèvent-elles encore du champ de l'art? Y
a-t-il encore cette distance qu'instaure toutte vraie sublimation, et qui est la
marque du fait artistique? Lorsque l'acte n'est plus monstration, mais pure
action, autrement dit si le mot est la chose elle-meme - tout comme
l'echaristie catholique l'ostie est le corps et le vin le sang du Christ (…), ne
se trouve-t-on pas comme plongé dans l'univers de la psychose?"66
Certo noi, nel porci questa domanda e nella nostra conseguente
valutazione, non possiamo prescindere dal consenso attribuito a tali lavori
dal sistema delle arti.
Un consenso mercantile e di critica che
"contestualizza" il lavoro della Body Art, lo autorizza e gli attribuisce lo
status di arte. Sottolineo che il problema della valutazione è poi quello più
chiaramente richiamato da Freud come pertinente alla sublimazione
espressa dall'opera d'arte.
Quindi, riprendendo Regnault quando si chiede: "C'è in Lacan un sistema
che specifica questa figura del vuoto, che, in ogni caso, dimostrerebbe
come ciò che noi chiamiamo arte s'organizzi attorno al vuoto?
Dobbiamo escludere dal sistema dell'arte ciò a cui non apparterrà una tale
organizzazione?
E ancora, quale autorità il vuoto e la Cosa danno alla psicoanalisi per
parlare di Arte?"67
Dobbiamo concludere che forse non abbiamo nessuna autorità per dire se si
tratta di arte, ma possiamo invece sicuramente indicare, come nel caso della
Conceptual art, la sterilità di una tale ricerca.
Considerando, in fatti, che il modo di funzionamento del discorso del
capitalista porta il soggetto ad entrare in un circuito di soddisfazione
pulsionale libidico che tende ad evitare l'esperienza della perdita, possiamo
assumere Orlan come l'esempio incarnato di tale funzionamento e trarne
alcune conseguenze, spingendoci ad indicare Orlan come paradigma del
sintomo contemporaneo. Sintomo caratterizzato dalla necessita della
costruzione di una identità altra che deve essere certificata dall'autorità.
Identità costruita sulla propria pratica di godimento, attorno al proprio
66
Murielle Gagnebin - Pour une esthétique psychanalytique. L'artiste, stratège de l'Incoscient - PUF,
Paris, 1994; pag.178
67
François Regnailt - Conférences d'esthétique lacanienne - Agalma diffusion Seuil, Paris, 1997 - pag 15
69
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
sintomo. Come non leggere in questo senso il progetto finale di
rinominazione dell'artista francese?
Nel suo lavoro assistiamo, in effetti, ad una forte spinta feticista verso
l'oggetto(corpo) di godimento, spinta che la porta ad erigere il proprio
corpo ad emblema, ad icona di un'identità costruita sulla sua pratica di
godimento, attorno al suo sintomo. Ma l'esposizione tout court del
godimento non può che sfociare in un corto circuito sterile.
La ricerca artistica trova in esso un suo punto di arresto. Oltre non c'è più
niente da vedere, nulla da rappresentare. Nessun discorso è strutturabile.
Sembra che in questa ricerca estrema si sia arrivati ad un corto circuito
parallelo a quello avvenuto, sul piano simbolico, con l'avvento dell'Arte
Concettuale. In quest'ultima ricerca abbiamo visto come il punto d'arresto
si sia presentato sotto forma di tautologia: un discorso autoreferenziale che
girava a vuoto attorno al concetto di arte e alla sua definizione. Un corto
circuito che non permetteva all'artista nessuna ricerca sulla
rappresentazione estetica o, come la definiremo seguendo Lacan sulla
bordatura del vuoto, perché non c'era più nessun vuoto. Ciò che si presenta
è un pieno: pieno di significato autoreferenziale. In buona sostanza un
simbolico bloccato che non permetteva nessuno scivolamento significante.
Siamo arrivati ad affermare che il Concettuale blocca, di fatto, l'evoluzione
della ricerca estetica così come la possiamo intendere partendo
dall'insegnamento di Lacan
Con la ricerca della Body Art, portata alle estreme conseguenze nel lavoro
di Orlan, troviamo invece, se così possiamo dire, il limite opposto: un
vuoto di significato. Il godimento, in fatti, si presenta come ciò di cui non si
può dire nulla. Blocca il gioco significante pietrificandolo.
In un recente libro dal titolo accattivante68, Marco Senaldi sostiene che,
nell'uso massiccio di video e fotografia operata dalla Body Art, si possa
individuare una contraddizione che in qualche modo filtra e trasforma il
risultato finale dell'operazione artistica. Cioè ciò che resta è una
contraddizione che trasforma la realtà fisica in belle immagini b/n delle
azioni. In altre parole, anziché avvicinare i corpi al vero senso della realtà
vissuta, l'azione ne rispedisce la sostanza stessa quanto più lontano al punto
che la Body Art è stata, principalmente, un'arte del video. Questo sta a
dimostrare, secondo Senaldi, un tentativo non tanto di esposizione del reale
tout court, ma una restaurazione di un simbolico grazie all'immaginario.
Processo evidente, sempre secondo l'autore, in Hermann Nitsch e nelle sue
performances che sfociano nel religioso.
Il fatto è, a mio parere, che l'oggetto finale, sia esso fotografia, video o
reliquiario, non è che un "oggetto di mercato", voluto e confezionato più
68
Marco Senaldi - Enjoy! Il godimento estetico - Meltemi editore, Roma, 2003
70
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
sovente dal collezionista e/o dal mercante d'arte, che non dall'artista. Artista
che se partecipa alla creazione di tale oggetto lo fa esclusivamente per il
mercato. Lo stesso Nitsch ha ormai abbandonato l'impeto performatico per
ripiegarsi sulla produzione "in serie" di opere da collezione. In definitiva
l'opera vendibile non è che un oggetto feticcio che protegge il collezionista
e/o il fruitore d'arte dal vuoto rappresentato nella performance.
In buona sostanza, non vanno dimenticati i due filoni ben distinti in cui si è
sviluppata la Body Art, e a cui ho già accennato. Nel primo le azioni
sottolineano le funzioni del corpo stesso e delle sue parti, servendosi di
mezzi di riproduzione meccanica (fotografia, video e film). Nelle azioni del
secondo il corpo viene vissuto come soggetto-oggetto di azioni violente e
aggressive. In questo secondo caso la riproduzione meccanica è secondaria.
Trovandoci, con Orlan, in questo secondo filone, il discorso di Senaldi
decade. Rimane l'ostentazione. Il problema cioè rimane intatto.
L'ostentazione non è riconducibile ad un discorso estetico. E' un punto
d'arresto sul baratro.
Riecheggiano qui le parole di Lacan a proposito della barriera del bello: "Ci
arresta, ma anche ci indica in che senso sta messo il campo della
distruzione."69 Con Orlan, siamo oltre questa seconda barriera e, forse,
anche oltre alla terza costituita dal pudore.
Ma l'esibizione (video, foto e/o performances) in una forma di perversione
estrema, deve però essere sempre considerata come una forma di
espressione artistica contestualizzata e finalizzata all'organizzazione di un
discorso concettuale. Conseguenza logica dell'evoluzione della
sperimentazione artistica così come l'ho descritta. Le esposizioni
cortocircuitanti avvengono sempre in un contesto ben definito e raccolgono
un grande interesse e consenso sia di critica e sia mercantile. Non possiamo
quindi non tenerne conto e dobbiamo accettare il fatto che siano operazioni
estetiche.
Lacan ci avverte che anche il desiderio, nell'incontro con la barriera del
bello, subisce un cortocircuito. Mi sembra interessante mettere a confronto
ancora una volta i due percorsi. Dice Lacan: "E' nella traversata di questa
zona che il raggio del desiderio si riflette e allo stesso tempo si ritrae,
arrivando a darci la cosa più profonda di quest'effetto così particolare, cioè
l'effetto del bello sul desiderio.
Il che sembra sdoppiarlo, in modo singolare, proprio dove prosegue la sua
strada. Poiché non si può dire che il desiderio sia completamente estinto
dall'apprensione della bellezza - continua la sua corsa, ma più che altrove,
ha la sensazione di uno specchietto per le allodole, reso in un certo qual
69
Jacques Lacan - Il seminario Libro VII. L'etica della psicoanalisi; Einaudi, 1994 pag. 276
71
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
modo manifesto dalla zona di fulgore e di splendore in cui si lascia
trascinare. D'altra parte, non rifratto, ma riflesso, respinto, il suo
turbamento, lui sa bene che è ben reale. Ma qui, non c'è più oggetto.
Donde queste due facce. Estinzione e temperamento del desiderio per
effetto della bellezza(…)"70
Per arricchire ancora questo intreccio tra il fare artistico contemporaneo e il
dire seminariale di Lacan, mi sembra utile riportare lo stralcio di una
dichiarazione di Gina Pane, una tra le più importanti body artist e
riferimento obbligato per Orlan:
"I miei lavori erano basati su un certo tipo di pericolo. Arrivai spesso ai
limiti estremi, ma sempre davanti ad un pubblico. Mostravo il pericolo, i
miei limiti, ma non davo risposte. Il risultato non era vero e proprio
pericolo, ma solo la struttura che avevo creato. E questa struttura dava
all'osservatore un certo tipo di schock. Non si sentiva più sicuro. Era
sbilanciato e questo creava un certo vuoto dentro. E doveva rimanere in
quel vuoto. Non gli davo nulla (…)Nel mio lavoro il dolore era quasi il
messaggio stesso. Mi tagliavo, mi frustavo e il mio corpo non ce la faceva
più (…) La sofferenza fisica non è solo un problema personale ma un
problema di linguaggio (….) Il corpo diventa l'idea stessa mentre prima era
solo un trasmettitore di idee. C'è tutto un ampio territorio da investigare. Da
qui si può partire in altri spazi, ad esempio dall'arte alla vita, il corpo non è
più rappresentazione ma trasformazione"71
Mi sembra di leggere in questo passo la volontà dichiarata da parte
dell'artista di operare sul confine esistente tra la perdita di controllo, il caos,
e la strutturazione, l'organizzazione del caos stesso. Appare cioè la
creazione come forma di controllo della vertigine scaturita dall'incontro con
il vuoto. Non c'è quindi una pura e semplice esposizione perversa. Mi
sembra piuttosto di leggere qualcosa che va nella direzione della
isterizzazione del godimento, in particolare del godimento
sado/masochistico che caratterizza la struttura di potere sociale e che viene
rappresentato dal dolore.
Scriveva Bruno Munari sul legame stretto esistente tra caos e ordine:
"Nell'arte la regola e il caos formano un'unità felice. La regola, da sola, è
monotona il caso da solo rende inquieti"72 Non siamo quindi di fronte al
caos puro, al caos che rende inquieti, potremmo dire al caos psicotico. Ma
al tentativo di una sua organizzazione in un discorso estetico, politico e
filosofico. Almeno nel lavoro di Gina Pane.
70
Jacques Lacan - Il seminario Libro VII. L'etica della psicoanalisi; Einaudi, 1994; pag. 316
Dichiarazione di Gina Pane riportata nel testo di Francesca Alfano Miglietti Nessun tempo, nessun
corpo…Arte, Azioni, Reazioni e Conversazioni; Skira Editore, Ginevra-Milano, 2001; pag 27
72
Bruno Munari; Verbale scritto; Il Melangolo; Genova 1992
71
72
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
C'è una chiara volontà, espressa dalla Body Art (presa qui come
conseguenza estrema di un discorso evolutivo), di oltrepassare i limiti.
Certo con una tendenza psicotica, che noi leggiamo come tale nella misura
in cui l'atto, il passaggio all'atto, viene agito nel reale.73 Ma questa volontà
si ricollega al discorso "criminale" di scardinamento delle leggi naturali.
"Sommes nous encore persuadés que nous devons plier aux décisions de la
nature? Cette lotterie de gènes distribués arbitrairement? Mon travail est en
lutte contre l'inné, l'inexorable, le programmé, la nature, l'A.D.N. (qui est
notre rival direct en tant qu'artiste de la représentation)."74
E' in questa volontà che si può leggere l'oltraggio portato al bello,
all'armonico, identificato e idealizzato nel corpo umano.
A questo proposito, sarebbe interessante sviluppare tutto un discorso legato
all'immagine del corpo umano come rappresentazione del divino e
viceversa, oltre al problema della "incarnazione divina" e della sua
rappresentazione, che accompagna tutta l'evoluzione dell'arte occidentale.
Discorso che s'inserisce a proposito ma che ci porterebbe assai lontano.75
Ritornando alla nostra questione, possiamo affermare che è la performance
a mettere in crisi il sistema dell'arte (e il collezionista). Perché ciò che resta,
l'oggetto di scarto prodotto durante una performance, non può da solo
reggere il discorso estetico messo in gioco dall'artista. L'oggetto resto, che
entra nel mercato come "oggetto d'arte", non è che uno scarto, spesso
inutile e brutto e talvolta addirittura osceno, del tentativo di
rappresentazione del sublime espresso nella performance. Sublime inteso
qui nel suo pieno senso etimologico, cioè di qualcosa “che sale in modo
obliquo”. E' un oggetto feticcio che si ferma sulla soglia dell'inguardabile,
del vuoto della castrazione, e che protegge il collezionista e/o il fruitore
d'arte dal vuoto rappresentato, donandogli la possibilità del godimento
del'orrore nella forma del macabro (riscontrabile anche in gran parte dei
reliquiari e dei film horror) o dell'invettiva. Un oggetto su cui si concentra
tutto l'amore e/o tutto l'odio. Odio inteso come via per evitare il reale.
Il riferimento al feticcio è leggibile anche nelle affermazioni di Lacan.
"L'effetto di bellezza è un effetto di accecamento. Qualcosa accade ancora
più in là, che non può essere guardato"76
L'effetto di accecamento è legato da Lacan al "desiderio visibile"77
73
Estremamente interessante a questo proposito l'esperienza di Orlan che dichiara "candidamente":
"C'est à la lecture d'une texte, d'Eugénie Lemoine Luccioni, psychanaliste lanienne, que l'idée de ce
passage à l'acte m'a traversés (de la lecture au passage a l'acte)." (AA.VV. -Une oeuvre de Orlan - Ed.
Muntaner, Marseille 1998; pag. 60). Ma questo si riduce, a mio avviso, a quella lettura "patografica"
dell'arte e dell'artista a cui dobbiamo sottrarci.
74
AA. VV. - Une oeuvre de Orlan - Ed. Muntaner, Marseille 1998; pag. 75/6
75
Su questo argomento si veda il fondamentale lavoro di Léo Steinberg The sexuality of Christ in
Renaissance Art and in Modern Oblivion; A Pantheon October Book, New York 1983
76
Jacques Lacan - Il seminario Libro VII. L'etica della psicoanalisi; Einaudi, 1994; pag. 354
73
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
E' questo a mio parere un passaggio chiave. La bellezza fa intravedere,
rende in qualche misura visibile il desiderio, ma subito lo sguardo viene
distolto e focalizzato sulla figura, sull'immagine di Antigone che rifulge
perché ha passato il limite. Mi sembra inoltre di particolare interesse
sottolineare che il testo riporti "desiderio visibile che si sprigiona dalle
palpebre della mirabile fanciulla"78. Non sono gli occhi a sprigionare luce,
dall'interno di Antigone. Ma le palpebre, evidentemente chiuse, che
riflettono una luce proveniente dall'esterno. Quella del desiderio è una luce
riflessa.
Rileggiamo il passo: “Niente è più toccante di questo, quel desiderio
visibile che si sprigiona dalle palpebre della mirabile fanciulla.
La luce violenta, il bagliore della bellezza, coincidono con il momento di
superamento, di realizzazione dell'Ate di Antigone (…) E' da qui che si
stabilisce secondo noi un certo rapporto con l'al di là del campo centrale,
ma anche ciò che ci impedisce di vederne l'autentica natura, cioè che ci
abbaglia e ci separa dalla sua autentica funzione. Il lato toccante della
bellezza fa vacillare ogni giudizio critico, ferma l'analisi, e fa piombare le
diverse forme in gioco in una certa confusione, o piuttosto in un
accecamento fondamentale.
L'effetto di bellezza è un effetto di accecamento. Qualcosa accade più in là,
che non può essere guardato. (…) Mentre Antigone si dipinge come Niobe
nel pietrificarsi, con cosa si identifica? - se non con quell'inanimato che
Freud ci insegna a riconoscere come la forma in cui si manifesta l'istinto di
morte. E' proprio di un'illustrazione dell'istinto di morte che si tratta."79
Ritorniamo ora, ancora una volta, alla nostra questione di fondo.
Possono esperienze come quella della Body Art e dell’Arte Concettuale
essere interpretate come non-arte? E la psicoanalisi può arrogarsi il
diritto di valutare la creazione estetica?
La psicoanalisi può, e forse deve, dire qualcosa dei fenomeni estetici
contemporanei
Mi trovo in questo pienamente d'accordo con Regnault quando si chiede:
"C'è in Lacan un sistema che specifica questa figura del vuoto, che, in ogni
caso, dimostrerebbe come ciò che noi chiamiamo arte s'organizzi attorno al
vuoto?
Dobbiamo escludere dal sistema dell'arte ciò a cui non apparterrà una tale
organizzazione?
77
78
79
Idem; pag. 354
Idem; pag. 354
Idem; pag. 354
74
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
E ancora, quale autorità il vuoto e La Cosa danno alla psicoanalisi per
parlare di Arte?"80
Vorrei a tale proposito rileggere un passo tratto dal VII seminario di Lacan:
"Vi dico sin da ora tre diversi modi con cui l'arte, la religione e il discorso
della scienza si trovano ad avere a che fare con questo - con tre formule di
cui non vi dico che le considererò, quando avremo percorso insieme il
nostro cammino, come un termine ultimo.
Ogni arte si caratterizza per una certa modalità di organizzazione attorno a
questo vuoto. Non credo che sia una formula inutile, malgrado il suo
carattere generale, e che possa orientare coloro che si interessano alla
delucidazione dei problemi dell'arte, e penso di essere in grado di
illustrarvela con varie evidenti modalità.
La religione consiste in tutte le modalità di evitare questo vuoto. Lo
possiamo dire forzando la nota dell'analisi freudiana, a partire dal fatto che
Freud mette in rilievo i tratti ossessivi del comportamento religioso.
Tuttavia, benché tutta la fase cerimoniale di quel che costituisce il corpo
dei comportamenti religiosi entri in effetti in questo quadro, non possiamo
essere del tutto soddisfatti di questa formula, e una parola come rispettare
questo vuoto va forse oltre. A ogni modo, il vuoto resta al centro, ed è
proprio per questo che si tratta di sublimazione.
Quanto al terzo termine, ossia il discorso della scienza, avendo nella nostra
tradizione origine dal discorso della saggezza, dal discorso della filosofia,
in esso prende il suo pieno valore il termine impiegato da Freud a proposito
della paranoia e del suo rapporto con la realtà psichica - Unglauben."81
“Così come nell'arte c'è una Verdrangung, una rimozione della Cosa - e
nella religione c''è forse una Verschiebung - così è propriamente di
Verwerfung che si tratta nel discorso della scienza. Il discorso della scienza
rigetta la presenza della Cosa, per il fatto che, nella sua prospettiva, si
profila l'ideale del sapere assoluto, e cioè di qualcosa che pone ugualmente
la cosa, ma senza renderne conto. Ciascuno sa che una tale prospettiva si
rivela in fin dei conti nella storia rappresentare un fallimento.
Il discorso della scienza è determinato da questa Verwerfung, e
probabilmente per questo - quel che è rigettato dal simbolico riapparendo
secondo la mia formula, nel reale - si trova a sfociare su una prospettiva in
80
81
François Regnailt - Conférences d'esthétique lacanienne - Agalma diffusion Seuil, Paris, 1997 - pag 16
Jacques Lacan - Il seminario Libro VII. L'etica della psicoanalisi; Einaudi, 1994; pag. 165/166
75
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
cui, al limite della fisica, si profila appunto qualcosa di altrettanto
enigmatico della Cosa."82
In esso ci vengono indicate tre modalità di approccio al reale riconducibili
alla scienza, alla religione e all'arte. La scienza tenderebbe a costruire un
sapere compatto che elimina il reale. Si ha quindi forclusione
dell'esperienza del reale con la costruzione di un discorso paranoico. Nella
religione si ha invece una manovra di spostamento, di evitamento del vuoto
con la costruzione riconducibile alla nevrosi ossessiva. Nell'arte invece
viene ad organizzarsi il lavoro di bordatura del vuoto. Si ha quindi
rimozione e il discorso è riconducibile all'isteria. Mi sembra che nel caso
della Conceptual Art il discorso estetico sviluppato si avvicini molto al
discorso della scienza, dove l'incontro con il reale viene sostituito da un
gioco tautologico attorno alla definizione di arte. Mentre nella ricerca
sviluppata dalla Body Art il discorso si avvicini molto di più alla religione,
cioè all'evitamento dell'incontro con il reale tramite la sua ostentazione e
"sacralizzazione" in opera d'arte.
82
Jacques Lacan - Il seminario Libro VII. L'etica della psicoanalisi; Einaudi, 1994; pag. 167
76
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
77
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
ESTETICA DEI 4 DISCORSI
E' interessante notare come tutti coloro che si propongono
di liberare la pittura dai discorsi sulla pittura,
ad esempio, non fanno altro che parlarne.
Non ci troviamo tuttavia di fronte a una contraddizione.
L'arte in sé è la parte muta in eterno, di cui si può in eterno parlare.
Willem De Kooning - Ciò che l'arte astratta significa per me
L'OPERA D'ARTE COME OGGETTO a
Abbiamo individuato nella Conceptual Art e nella Body Art, presi come
esempi emblematici, due punti limite del discorso estetico sviluppabile
dall'insegnamento di Lacan. Cercheremo ora di metterli alla prova
utilizzando la teoria dei quattro discorsi sviluppata da Lacan a partire dal
XVII seminario.
Punto di partenza di tale operazione è quello di considerare l'opera d'arte
come oggetto a. E' questa una indicazione fornitaci da Jacques-Alain Miller
in un suo intervento pubblicato su La Lettre Mensuelle de l'Ecole de la
Cause Freudienne n° 68 del'aprile 1988 dal titolo Sept remarques de
Jacques-Alain Miller sur la création. In questo breve testo, resoconto di un
suo intervento alla prima serata del seminario della biblioteca dedicato al
libro di Joyce con Lacan "Les psychoses et le sinthome", Miller dice
chiaramente: "L'art doit etre mis, dans la psychanalyse, au registre de la
production, c'est-à-dire avant tout - et c'est dans la littérature que c'est le
plus problématique - à titre d'objet."83
E' un'indicazione che implica chiaramente la teoria dei discorsi.
Il riferimento alla produzione indica esplicitamente uno dei quattro posti
costituenti lo schema quadripode che sta alla base di tale teoria. Indica cioè
il posto della produzione come quello pertinente all'oggetto opera d'arte.
Posto che nel corso del XVII seminario prenderà anche altre
denominazioni, e per la precisione: produzione, perdita, scarto e resto. Una
83
J.A.M: - Sept remarques de Jacques-Alain Miller sur la création - La Lettere Mensuelle - n° 68 Avril
1988 pag.9
78
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
serie di quattro che a ben vedere costituisce lo spettro di definizioni
reperibili in Lacan come quelle dell'oggetto a. In buona sostanza, Jacques
Alain Miller indica che l'opera d'arte è interpretabile come oggetto a. Tale
suggerimento è la logica conseguenza dell'affermazione che abbiamo preso
come assunto fondamentale per la costituzione di una estetica lacaniana.
Dire che l'opera d'arte si costituisce come oggetto a è equivalente a dire che
l'operazione estetica consiste nel lavoro di bordatura del vuoto.
Essendo l'oggetto a l'invenzione teorica di Lacan per nominare un
impossibile, impossibile a dire, impossibile ad essere rappresentato, oggetto
reale causa di godimento, la sua definizione non può che essere costituita
ed esplicitabile che per approssimazione, cioè per estenuanti tentativi di
definizione concentrici che caratterizzano il percorso analitico. In buona
sostanza l'oggetto a non si sa bene che cosa sia e per questo se ne fa un gran
parlare.
L’oggetto a è una lettera che ha la funzione centrale di menzionare un
problema non risolto, designa cioé un’impossibilità, un punto di resistenza
allo sviluppo teorico. Grazie a tale notazione possiamo oltrepassare il reale,
rappresentandolo con una lettera
Ma il testo di Miller preso in esame non si limita ad accennare ai quattro
discorsi con questa incidentale indicazione. Lo fa in modo molto più
esplicito poche righe dopo dove afferma: "Si, en tant qu'objet, il n'est pas
interprétable, il n'en est pas moins situé par rapport à des coordonnées de
discours, et rien n'empeche de le localiser à partir des termes du signifiantmaître, du savoir, du sujet."84
Troviamo qui una sorta di punto di arresto dove l'opera d'arte è
interpretabile come oggetto a, ma dove l'oggetto a non è interpretabile. Di
conseguenza l'opera d'arte in quanto tale non può essere interpretabile. A
ben vedere è esattamente quello che più volte ci viene indicato sia da Freud
che da Lacan. Una interpretazione psicoanalitica dell'opera d'arte si esprime
essenzialmente come una sua spogliazione, una sua riduzione alla
rappresentazione di una patologia caratterizzante un determinato autore. E'
esattamente quello che abbiamo in tutti i modi evitato in questo lavoro ed
indicato come misero risultato di tutta una esegesi. Una tale via non
fornisce niente di utile né alla psicoanalisi né all'estetica.
Ma l'indicazione di Miller ci fornisce anche l'unica via di sviluppo possibile
per uscire da questa empasse. E' nell'applicazione della teoria dei quattro
discorsi che possiamo localizzare l'opera d'arte non tanto come luogo
eminente di una rappresentazione patografica soggettiva, ma come luogo
necessario e strutturante alla teoria dei discorsi. Vale a dire che l'opera
84
J.A.M: - Sept remarques de Jacques-Alain Miller sur la création - La Lettere Mensuelle - n° 68 Avril
1988 pag.9
79
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
d'arte viene ad esprimere una produzione simbolica che è funzionale ad un
discorso. La cosa da stabilire è a quale discorso l'opera d'arte è
riconducibile e se può assumere differenti valenze in diversi discorsi.
Tramite l'utilizzo della teoria dei quattro discorsi potremmo forse dare una
risposta alla questione di fondo insita nella questione estetica e che
abbiamo collegato alla sublimazione. Localizzando in quale punto si
colloca l'opera d'arte all'interno dei discorsi verremmo ad indicare anche
quale sia la sua utilità sociale. In buona sostanza che cosa l'opera d'arte
pacifica.
Prima però di riprendere in esame i tre esempi utilizzati nelle parti
precedenti (Poesia Visiva, Conceptual Art e Body Art) e cercarne le
conseguenze, è necessario sviluppare una breve introduzione alla teoria dei
discorsi.
I QUATTRO DISCORSI DI LACAN
Nel XVII seminario dal titolo L'envers de la psychanalyse, Lacan introduce
uno schema dove trovano posto quattro termini già ampliamente utilizzati
in precedenza nel suo insegnamento. I quattro termini sono:
S1
Il significante padrone
S2 Il sapere
$
Il soggetto
a
Il più-godere
Questi quattro termini vengono collocati all'interno dello schema in posti
che hanno a loro volta una denominazione fissa. Per la precisione i posti
sono:
l'agente
la verità
l'altro
la produzione
La nominazione dei posti è fissa, in questo modo il posto in alto a sinistra
sarà sempre quello dell'agente, ma i termini inseriti ruotano. Il posto
dell'agente sarà quindi occupato ora da S1, ora da S2, etc. In questo modo
si vengono a costituire quattro differenti strutturazioni dello stesso schema.
Ultima caratteristica dello schema è che i termini ruotano rimanendo
sostanzialmente legati fra di loro dai rapporti stabiliti dal principale dei
discorsi introdotti da Lacan, quello del padrone. In buona sostanza, il
discorso del padrone fonda ogni altro possibile discorso. Rende possibile
80
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
ogni strutturazione successiva. E' questa una chiara indicazione di Lacan. Il
suo XVII seminario è completamente dedicato all'introduzione della teoria
dei discorsi e alla dimostrazione che il discorso del padrone è l'inverso del
discorso dell'analista. Senza il primo non sarebbe pensabile il secondo.
"Cette formule comme définissante du discours du maître a l'intérêt de
montrer qu'il est le seul à rendre impossible cette articulation que nous
avons pointée ailleurs comme le fantasme, en tant qu'il est relation du a
avec la division du sujet - ($ <> a). Dans son départ fondamental, le
discours du maître exclut le fantasme. Et c'est bien ce qui le rend, dans son
fondement, tout à fait aveugle."85
Con l'introduzione della teoria dei discorsi Lacan introduce una terza
formulazione del registro simbolico che viene a sommarsi alle due
precedenti, quella del linguaggio e quella della parola. La teoria del
discorso non viene però a completare una serie, in una sorta di processo di
evoluzione e di integrazione teorica, ma si pone come terza possibilità di
determinazione del simbolico, dove l'aspetto simbolico della parola e del
linguaggio sono allo stesso tempo scavalcati ma non annullati. Ricordiamo
che per Lacan il discorso è senza parole, ed inoltre non può esistere
discorso senza soggetto. In buona sostanza la teoria dei discorsi può essere
pensata come la riscrittura della metapsicologia freudiana depurata
dall'ambigua rappresentazione dell'apparato psichico avanzata da Freud
stesso, oltre che al tentativo di Lacan di costituire, a partire dalle sue
feconde applicazioni linguistiche alla psicoanalisi, una teoria generale della
psicoanalisi. Una teoria cioè che, come indicato da Althusser86 sia in grado
di dare un quadro generale di riferimento alla teoria regionale costituita
dalla psicoanalisi. Infine, i discorsi presentano in modo schematico i vari
modi del legame sociale.
Iniziamo quindi a vedere il discorso del padrone che è quello fondante tutta
la serie dei discorsi. E' grazie alla strutturazione del discorso del padrone
che è possibile vedere e comprendere le strutture degli altri discorsi. E' il
discorso fondante perché si configura come il discorso stesso della civiltà,
cioè dell'idea stessa che possa esistere qualcosa come un discorso.
Il discorso del padrone è il discorso chiave di tutta la teoria dei discorsi. In
esso viene chiaramente rappresentata la fondamentale dialettica servopadrone che Lacan mutua da Hegel e che viene utilizzata in più punti del
suo insegnamento.
85
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
124
86
Louis Althusser - Ecrits sur la psychanalyse - Editions Stock/IMEC - 1993
81
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
"S1, c'est, disons pour aller vite, le signifiant, la fonction de signifiant sur
quoi s'appuie l'essence du maître. D'un autre côté, vous vous souvenez
peut-être de ce sur quoi j'ai mis l'accent l'année dernière à plusieurs reprises
- le champ propre de l'esclave, c'est le savoir"87
Il posto dell'agente è quindi occupato dal significante padrone, S1, mentre
il posto della verità è occupata dal soggetto, $. Una barra separa
inesorabilmente il significante dal soggetto. In pratica, è la formula della
rimozione originaria per come ce la indica Jacques-Alain Miller nella sua
rilettura di Freud nel seminario "Dal sintomo al fantasma e ritorno". Un
significante spinge il soggetto al di sotto della barra e il soggetto viene egli
stesso barrato nei confronti del resto della catena. La rimozione originaria è
questa sostituzione significante da cui il soggetto emerge veicolando altri
significanti.
Il posto dell'altro è occupato dal sapere, S2. Il significante padrone, S1, e il
sapere, S2, sono messi in relazione da una freccia che indica la struttura
elementare ed essenziale del dispositivo significante. I due significanti si
costituiscono in una catena disgiunti da un intervallo che impedisce la
costituzione di un'olofrase. Il sapere, l'Altro come tesoro dei significanti, è
mobilitato, attivato dal significante-padrone.
La struttura del discorso del padrone è quindi la struttura fondante di ogni
possibile discorso perché permette la mobilitazione della catena
significante, perché il soggetto vi trova posto come rappresentato da un
significante per un altro significante e perché tale operazione permette la
produzione come resto di un elemento fondamentale nella struttura di
desiderio soggettiva: l'oggetto a.
"Elle dit que c'est à l'instant même où le S1 intervient dans le champ déjà
constitué des autres signifiants en tant qu'ils s'articulent déjà entre eux
comme tels, qu'à intervenir auprès d'un autre, de système, surgit ceci, $, qui
est ce que nous avons appelé le sujet comme divisé. (...)
Enfin, nous avons accentué de toujours que, de ce trajet, sort quelque chose
de défini comme une perte. C'est cela que désigne la lettre qui se lit comme
étant l'objet a"88
Ricapitolando, lo schema del discorso del padrone sarà:
S1 $
S2
a
87
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
20
88
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
13
82
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Da questo primo schema, per rotazione, si originano gli altri tre discorsi.
Il discorso successivo è quello dell'isterica. In esso troviamo il posto
dell'agente occupato dal soggetto diviso, $, inesorabilmente separato dalla
verità del proprio godimento, a, che si rivolge al significante padrone, S1,
in una interrogazione insistente che produce sapere, S2. La formula di tale
discorso sarà quindi:
$
a
S1
S2
Imponendo un'altro quarto di giro allo schema otterremo quello che Lacan
definisce come il discorso dell'analista. In esso il posto dell'agente è
occupato dall'oggetto a. E' il godimento che viene a mettere in moto la
struttura del discorso. Oggetto che è messo in tensione con il soggetto
diviso, una tensione che si risolve in una interrogazione sulla causa del
godimento e con la produzione di quell'elemento inassimilabile, prodotto
dal discorso ma al tempo stesso oggetto di scarto del discorso stesso,
costituito dal significante padrone. Ciò che rimane rimosso è il sapere, S2.
La formula del discorso dell'analista è:
a
S2
$
S1
L'ultimo dei quattro discorsi presentati da Lacan nel suo XVII seminario è
quello dell'Università. In esso il posto dell'agente è occupato dal sapere.
Lacan in un suo discorso conclusivo del congresso dell'EEP del 1970 89
sottolinea come questo sapere sia un sapere particolare, perché mantiene
rimosso, a livello della verità, il significante padrone. Questo implica che in
verità il discorso universitario si impegna nel mantenere inamovibile il
significante del padrone come tale otturando e mascherando quel poco di
verità che può passare. Da qui l'utilizzo di Lacan del termine astudato, per
indicare il luogo dell'altro, occupato dall'oggetto a, come quello pertinente
89
Lettres de l'Ecole freudienne, 8, 1971
83
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
allo studente/istupidito. Come prodotto del discorso dell'Università non
possiamo che trovare il soggetto in quanto diviso, $.
S2 S1
a
$
Ora che abbiamo brevemente introdotto i Quattro discorsi che Lacan ci ha
proposto nel suo XVII seminario e che fanno da punto di riferimento alle
note di Jacques Alain Miller sulla creazione, possiamo vedere le
conseguenze di una loro possibile applicazione all'arte contemporanea.
Inizieremo dalla via più semplice, cioè dalla Poesia Visiva, dove abbiamo
evidenziato la ricerca di Julien Blaine come esempio paradigmatico del
discorso estetico inteso come tentativo di dire il reale. Proseguiremo poi
con l'analisi degli altri due esempi proposti nella terza parte del presente
lavoro.
IL DICORSO DI BLAINE
Abbiamo già visto come la poesia di Blaine si presti molto bene all'utilizzo
degli schemi lacaniani. La sua struttura essenzialmente basata sullo schema
linguistico di De Sassure facilita molto le nostre speculazioni. In effetti,
anche nell'applicazione della struttura dei discorsi saremo molto
avvantaggiati.
Punto di riferimento, come già ricordato, deve essere l'indicazione di Miller
e quindi la collocazione dell'opera d'arte nel luogo della produzione come
oggetto a. Questo significa che il discorso di riferimento è quello del
padrone.
Proveremo quindi ad inserire gli elementi estraibili dalla ricerca estetica di
Blaine nello schema del discorso del padrone, operazione che, nonostante
le facilitazioni poco sopra citate, ci costringerà ad alcune forzature.
Prima di queste forzature è quella di considerare quello che possiamo
definire "Il discorso di Blaine" come una meditazione continua su quello
che è il significante padrone del poeta, il significante cioè che ne determina
e condiziona la sua stessa esistenza nel linguaggio.
Porremo quindi nel luogo dell'agente la meditazione di Blaine sul suo
essere poeta.
Questa meditazione è messa in tensione con il Sapere, che occupa il posto
dell'altro come luogo del tesoro dei significanti. Abbiamo già visto come
84
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
sia attraverso il continuo scavo delle possibilità offerte dal significante
nella sua struttura profonda, messo in tensione con il sapere costituito dalla
teoria di De Sassure, che Blaine cerca di far emergere qualcosa di
sconosciuto, di reale. Qualcosa che possa dire la verità dell'essenza del
poeta. L'applicazione di tale struttura allo schema del discorso del padrone
non risulta quindi particolarmente ostica.
Di conseguenza, ciò che viene ricercato è il contatto con la parte rimossa in
un movimento di attraversamento della barra che abbiamo identificato
come la dinamica essenziale della poesia di Blaine. Ciò che viene cercata è
la verità del soggetto e il risultato è la produzione di un oggetto che
condensa il più di godimento. Ricordiamo che Lacan nel VI seminario ha
dato una definizione di oggetto a che viene a sostenere questa nostra
lettura: "L’objet a se définit d’abord comme le support que le sujet se
donne pour autant qu’il défaille. (…) Pour autant qu’il défaille dans sa
désignation de sujet.”90
Proviamo ora ad inserire nello schema del discorso del padrone una
specifica poesia di Blaine corredata dal discorso appena sostenuto.
Prendiamo come esempio il poema metafisico n° 39 (riprodotto nelle tavole
fuori testo).
Il poema di Blaine è collocabile, così come si presenta, nella parte sinistra
dello schema. In questo modo avremo:
Luogo dell'agente
Luogo della verità
S1
$
Meditazione sull'essere (poeta)
il signficante "singulier"
Questa prima operazione apre numerose osservazioni interessanti. I due
nomi di Blaine, quello effettivo, legale, Cristian Poitevin, e quello d'arte,
Julien Blaine, sono assunti come significanti padroni, determinanti e
strutturanti la vita del poeta marsigliese nella loro dialettica dicotomica
irresolubile. In tale modo viene esaltato il ruolo di rappresentanza, di
luogo-tenenza sottolineato da Lacan come proprio del significante,
intrinseco al nome proprio.
Abbiamo visto nella seconda parte di questo lavoro come la meditazione
sulla possibilità di dire il reale della propria esperienza singolare stia alla
base dell'evoluzione della poesia del novecento. E' in fatti in questo senso
che abbiamo preso Blaine come esempio paradigmatico. Di conseguenza
90
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre VI – Le Désir et son interprétation. Leçon du 13 mai 1959
85
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
non possiamo che porre tale meditazione nel luogo dell'agente, cioè nel
luogo di ciò che fa muovere e determina tutto il discorso.
Nel luogo della verità, troviamo un significante che nomina, nella sua
ambiguità, il nocciolo della questione. "Sigulier" significa, infatti, sia
"nombre qui ne marque qu'une seule persone", ma anche, e forse più
significativamente, "bizzare, extraordinaire, étrange". In buona sostanza la
verità è rappresentata dall'impossibilità del soggetto di nominarsi in modo
univoco che elimini ogni radicale sensazione di estraneità. E' la barra che
marca inesorabilmente il soggetto come mancante. Al cuore del soggetto
viene a collocarsi una mancanza étrange e allo stesso tempo singulier.
Riecheggia qui il concetto di extimité. Concetto richiamato anche da Lacan
nel seguente passo: "Peut-être ce que nous décrivons comme ce lieu
central, cette extériorité intime, cette extimité, qui est la Chose, éclairerà-til pour nous ce qui reste encore question, voire mystère, à ceux qui
s'intéressent à l'art préhistorique - c'est à savoir précisément son site."91
Poniamo ora nella parte destra dello schema, nel luogo dell'altro, occupata
nel discorso del padrone dal sapere, la teoria sassuriana come sistema
significante in grado di dire qualcosa sul gioco poetico e di conseguenza
sull'essere del poeta. Ne risulta, nel luogo della produzione, la costituzione
di quell'oggetto condensante il più di godimento che possiamo identificare
nel caso di Blaine con i suoi poemi metafisici e, ampliando la prospettiva di
questo esempio, con l'opera d'arte tout court.
Luogo del Sapere
S2
Luogo della Produzione a
Teoria sassuriana
Poema/Oggetto d'arte
Troviamo qui una conferma all'indicazione di Miller secondo la quale:
"L'art doit être mis, dans la psychanalyse, au registr de la production, c'està-dire avant tout - et c'est dans la littérature que c'est le plus problématique
- à titre d'objet."92
E' chiaro che questa strutturazione è possibile solo partendo dal discorso
dell'analista. Solo ribaltando la struttura del discorso del padrone e
mettendo il suo prodotto, l'oggetto a come più di godere, nel posto
91
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
167
92
J.A.Miller - Sept remarques de Jacques-Alain Miller sur la création - La Lettere Mensuelle - n° 68 Avril
1988 pag.9
86
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
dell'agente è possibile chiarire i meccanismi di costruzione del discorso
poetico, e perché no, artistico in generale.
Ecco dove la psicoanalisi riesce a dialogare felicemente con il discorso
estetico. E' in fatti ponendo i poemi metafisici (come oggetto a) nel luogo
dell'agente che emerge come risultato dell'operazione una possibile risposta
alla meditazione sull'essere (poeta), cioè un nuovo significante padrone. O
per lo meno, emerge come trama nascosta, il tentativo di
modificazione/assunzione di un nuovo significante padrone come
fondamento del lavoro estetico tramite la creazione dell'oggetto.
Possiamo ora azzardare che l'opera d'arte offre la possibilità di una
pacificazione dell'interrogazione sulla questione dell'essere. L'opera d'arte
si offre come oggetto agalmatico, che da un lato si costituisce come
rappresentazione del vuoto che sta al cuore dell'essere, e dall'altro ne tiene
costantemente velata la struttura, dissolvendone ogni possibilità di
definizione. L'oggetto d'arte è in questo modo sia il nome del problema che
il nome della sua soluzione. Troviamo ancora una volta la fondamentale
indicazione di Lacan: "L'objet est instauré dans une certain rapport avec la
Chose qui est fait à la fois pour carner, pour présentifier, et pour
absentifier"93
L'opera d'arte è un velo, ed è questo suo essere velo che la fissa in un certo
rapporto con la Cosa
"La Chose, si elle n'etait foncièrement voilée, nous ne serions pas avec elle
dans ce mode de rapport qui nous oblige - comme tout le psychisme y est
obligé - à la cerner, voire à la countourner, pour la concevoir. Là où elle
s'affirme, elle s'affirme dans des champs domestiqués. C'est bien pour cela
que les champs sont définis - elle se présente toujours comme unité
voilée.(…)
C'est qu'elle est, cette Chose, ce qui du réel - entendez ici un réel que nous
n'avons pas encore à limiter, le réel dans sa totalité, aussi bien le réel qui est
du sujet, quel le réel auquel il a affaire comme lui étant extérieur - ce qui,
du réel primordial, dirons-nous, pâtit du signifiant.(…)
Nous retrouvons là une structure fondamentale, qui nous permet d'articuler
que la Chose dont il s'agit est ouverte dans sa structure à être représentée
par ce que nous avons appelé naguère, à propos du discours de l'ennui et de
la prière, l'Autre chose. L'Autre chose, c'est essentialement la Chose.
C'est la deuxième caractéristique de la Chose comme voilée - de sa naturre,
elle est, dans les retrouvailles de l'objet, représentée par autre chose."94
93
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
169
94
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag
142/143
87
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
4. 04 IL DISCORSO CONCETTUALE
Nell'esperienza concettuale troviamo una meditazione completamente
diversa da quella analizzata nella ricerca poetica di Blaine. In essa
l'elemento che fa da motore a tutto il discorso concettuale è la definizione
di arte.
Abbiamo definito tale ricerca come un blocco simbolico causato
dall'impiego massiccio della tautologia. Possiamo quindi sostenere che
l'elemento strutturante il discorso concettuale è il sapere. Ne consegue che
il discorso di riferimento è quello dell'Università. In esso troviamo in fatti
nel posto dell'agente il sapere. Come fatto con la poesia di Blaine con il
discorso del padrone, proviamo ad inserire nello schema del discorso
dell'Università la struttura di un'opera concettuale.
Nel luogo dell'agente avremo la definizione di opera d'arte come tale, la
costituzione quindi di un sapere. Sotto la barra troveremo il significante
padrone, che nel caso dell'arte concettuale viene rimosso. In buona sostanza
ciò che è rimosso è la struttura rappresentante dell'opera d'arte in quanto
tale: il suo essere velo, finzione, mera illusione, puro rinvio significante.
Viene cioè rimossa la struttura di illusione di cui Lacan parla nel XI
seminario nel suo apologo di Parrasio. Riferimento, già presente nel VII
seminario, strettamente legato alla fondamentale indicazione già più volte
menzionata:
"Bien sûr, les oeuvres de l'art imitent les objets qu'elles représentent, mais
leur fin n'est justement pas de les représenter. En donnant l'imitation de
l'objet, elles font de cet objet autre chose. Ainsi ne font-elles que feindre
d'imiter. L'objet est instauré dans une certain rapport avec la Chose qui est
fait à la fois pour carner, pour présentifier, et pour absentifier."95
L'opera d'arte è un velo sul vuoto rappresentato dall'oggetto a. Se viene a
cadere sotto la barra della rimozione tale fondamentale verità struttura, che
cosa resta del costruzione estetica?
Luogo dell'agente
Luogo della verità
S2
S1
Sapere sull'opera d'arte
Il velo sulla Cosa
95
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
169
88
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Il sapere è messo in tensione con l'oggetto a, con l'opera d'arte, intesa qui
come altro a cui rivolgersi nel tentativo di accesso alla verità. Un tentativo
di accesso cioè alla struttura di finzione che abbiamo posto come strutturale
all'opera d'arte. Il godimento rappresentato dall'oggetto a è però il punto di
limite del sapere, in un certo senso il suo rovescio, è ciò che per sua
essenza sfugge al sapere. Ricordiamo a questo proposito un'indicazione di
Lacan: "Le fait que le tout-savoir soit passé à la place du maître, voilà ce
qui, loin de l'éclairer, opacifie un peu plus ce qui est en question, à savoir,
la vérité."96
Il problema sorge quindi nel momento in cui l'opera d'arte è intesa come
definizione dell'opera d'arte stessa. In buona sostanza l'oggetto a viene
sostituito da una sua possibile definizione, da un sapere costruito a
riempimento, ad occlusione della mancanza che per sua natura dovrebbe in
qualche modo presintificare. Assistiamo quindi ad una vera e propria
operazione di negazione del vuoto.
Possiamo quindi sostenere, come già avanzato alla fine del precedente
capitolo, che nell'operazione estetica caratteristica della Conceptual Art è in
atto, come nella scienza, una forclusione della mancanza. Prendono così
pienamente valore le parole di Lacan:
"Le discours de la science rejette la présence de la Chose, pour autant que,
dans sa perspective, se profile l''idéal du savoir absolu, c'est-à-dire de
quelque chose qui pose tout de même la Chose tout en n'en faisant pas état.
Chacun sait que cette perspective s'avère en fin de compte dans l'histoire
comme représentant un échec."97
Ma torniamo alla struttura del discorso concettuale e al suo inserimento
nello schema del discorso dell'Università così come viene delineato da
Lacan nel VII seminario.
Nel luogo dell'altro che caratterizza il discorso dell'Università trova posto
ciò che Lacan definisce "astudé", termine usato per il suo riferimento
all'instupidimento.
"Il est astudé parce que, comme tout travailleur - repérez vous sur les autres
petits ordres -, il a à produire quelque chose."98
Il prodotto di questa operazione è un soggetto barrato, che, come scrive
Igino Domanin in un suo testo pubblicato su "La Psicoanalisi, "mostra
come la volontà di sapere sia una forma nuova di esercizio del potere che
soppianta l'antico modello filosofico del sovrano-padrone per imporsi
96
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
34
97
Jacques Lacan – Le Séminaire. Livre VII. L’éthique de la psychanalyse- Editions du Seuil, Paris, 1986 –
pag 155
98
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag
121
89
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
attraverso una pratica di assoggettamento, ossia di produzione del soggetto
in quanto diviso, anonima e spersonalizzata."99
Viene cioè prodotto un soggetto che incarna l'impossibilità di recuperare la
propria verità.
Luogo del Sapere
a
Luogo della Produzione $
Opera d'arte astudé
Impossibilità di recuperare la verità
Troviamo quindi una nuova conferma alle conclusioni avanzate nella terza
parte di questo lavoro. La ricerca estetica portata avanti dall'Arte
Concettuale si dimostra sterile, escludendo l'elaborazione (o la bordatura)
di quel vuoto che sta alla base del lavoro dell'arte.
Il vuoto è rigettato, e l'opera d'arte assume i connotati di una cosa in sé
enigmatica che pone la questione della Cosa senza renderne conto. Questo
genera una incomprensione di fondo rispetto all'oggetto d'arte, che rimane
muto ed impermeabile, chiudendosi su sé stesso.
"Eh bien, le discours analytique se spécifie, se distingue de poser la
question d'à quoi sert cette forme de savoir, qui rejette et exclut la
dynamique de la vérité."100
E' in fatti attraverso il rovesciamento del discorso dell'Università (del
discorso del concettuale), quindi attraverso una modalità tipicamente
analitica di isterizzazione della questione, che viene evidenziata la trama
cortocircuitante che soggiace a tale operazione estetica. Come l'isterica ha
bisogno di un padrone su cui regnare, il discorso concettuale ha bisogno di
un'opera astudé su cui far valere il suo sapere.
Le parole di Lacan, su questo punto, sono chiarissime:
"Elle veut un maître. C'est là qui gît dans le petit coin en haut et à droite,
pour ne pas le nommer autrement. Elle veut que l'autre soit un maître, qu'il
sache beaucoup de choses, mais tout de mìeme pas qu'il en sache assez
pour ne pas croire que c'est elle qui est le prix suprême de tout son savoir.
Autrement dit, elle veut un maître sur lequel elle règne. Elle règne, et il ne
gouverne pas."101
99
Igino Domanin - La questione dell'Università: Heideger e Lacan - in La Psicoanalisi n° 18
luglio/dicembre 1995, Ed. Astrolabio, Roma -pag. 91
100
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag.
103
101
Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag
150
90
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
IL DISCORSO DI ORLAN
Rivolgiamo ora la nostra attenzione all'ultimo esempio proposto: la Body
Art.
Questa ricerca estetica rappresenta sicuramente la questione più spinosa per
l'avanzamento della nostra ricerca. In essa abbiamo già riscontrato alcuni
punti assolutamente inconciliabili con la concezione dell'arte che
cerchiamo di estrarre dall'insegnamento di Lacan. Abbiamo in fatti
sottolineato più volte come l'esposizione del godimento, che abbiamo posto
al cuore di questo ambito di ricerca, si presenti come un punto di arresto
nella nostra esposizione. Un arresto che poneva una questione nodale: può
la psicoanalisi dire qualcosa sull'opera d'arte? Più precisamente, può la
psicoanalisi formulare dei criteri di valutazione estetici?
Abbiamo trovato un superamento di tale arresto nell'indicazione di Miller e
nell'utilizzo dei quattro discorsi che tale indicazione implica. Vediamo ora
se tale indicazione ci aiuterà a venire a capo anche delle inquietanti
questioni sollevate dal lavoro di Orlan.
Proviamo quindi, ancora una volta, ad applicare all'operazione "estetica" di
Orlan la teoria dei discorsi.
Primo passo sarà quello di individuare quale sia il discorso di riferimento.
Possiamo tranquillamente escludere il discorso dell'Università. E'
decisamente difficile pensare ad una performance di Orlan come al
tentativo, espresso dall'arte concettuale, di costruzione di un sapere
sull'opera d'arte. Ma a ben vedere, il sapere non è escluso dall'operazione di
Orlan. Anzi, ne è un elemento fondamentale, un riferimento necessario,
imprescindibile. Il sapere compare in fatti nel luogo dell'altro. E' al sapere
che Orlan si rivolge. Un sapere che assume le forme della scienza medica, e
più precisamente quelle della chirurgia estetica.
Il discorso in cui il sapere occupa il posto dell'altro è quello del padrone.
Ma siamo sicuri di trovare nel luogo dell'agente, come postula il discorso
del padrone, il significante padrone, S1?
Nel lavoro di Orlan il significante padrone, il significante che viene a
rappresentare un soggetto per un altro significante, sembra piuttosto
incarnare l'elemento rimosso più che l'elemento agente della struttura.
A questo proposito vale la pena ricordare una delle prime performance di
Orlan, risalente al 1972, che da inizio al suo lavoro sul e con il corpo.
La performance Orlan-Corps, mesuRAGE d'Institutions consiste nel
misurare con il proprio corpo lo spazio, le strade e gli edifici pubblici.
Come scrive la stessa Orlan: "Misuro il luogo con l'aiuto del mio corpo
distendendomi al suolo e tracciando un segno con il gesso dietro la mia
91
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
testa. Contabilizzo con uno o due testimoni il numero di corpi di Orlan
contenuti in questo spazio."
Emerge la necessità di prendere le misure dello spazio ed in particolare
delle istituzioni. In pratica il corpo di Orlan viene istituito come metro di
misura, unità base di misura, del mondo.
In buona sostanza, il corpo diventa la misura base per una sua collocazione
nel simbolico.
La performance si concludeva con il lavaggio della veste indossata durante
la misurazione e la conservazione dell'acqua sporca come "prelevamenti"
numerati ed etichettati. La conservazione del deposito, di ciò che resta della
solidificazione del simbolico sul corpo di Orlan.
La continua ricerca di una nuova immagine di Orlan che caratterizza le sue
ultime performances, viene quindi a collocarsi in una serie che può essere
letta come la insistente ricerca di un significante che la rappresenti e che la
inserisca nella catena significante costituita dal livello superiore del
discorso del padrone.
Ciò che muove il discorso di Orlan sembra essere, in buona sostanza, il
soggetto diviso, $, esattamente come avviene nel discorso dell'isterica. Un
soggetto cioé che non è padrone in casa propria, lacerato dalla sofferenza.
Un soggetto la cui domanda è fondamentalmente: chi sono?
E' un punto di arresto?
Non esattamente, perché possiamo trovare una soluzione rivolgendoci al
discorso del capitalista, discorso che Lacan formula nel 1972 come
evoluzione del discorso del padrone.
Nel discorso del capitalista troviamo una sovversione nella parte sinistra
dello schema che lo rende slegato dallo sviluppo circolare comune agli altri
quattro discorsi introdotti nel 1969 e che lo isola come un hapax.
La sua scrittura è la seguente:
$ S1
S2
a
Questa scrittura ci offre forse la possibilità di analisi di quello che abbiamo
definito discorso di Orlan. Nel luogo dell'agente porremo Orlan nella sua
triangolazione immaginaria che abbiamo dedotto dallo schema R (Orlan
bendata - Orlan - Possibili Orlan) e che la separa inesorabilmente da una
possibile collocazione nella catena significante, da quell'S1 che le
garantirebbe un accesso alla possibilità di rappresentarsi.
Anche in questo caso, come abbiamo visto nella Conceptual Art, il luogo
della verità custodisce l'essenza della struttura dell'opera d'arte. Ma mentre
nel caso della Conceptual Art, nel livello superiore dello schema, la ricerca
92
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
viene sviluppata a partire da un sapere (costituito dal sistema filosofico
delle arti) rivolgendosi all'opera d'arte stessa (rappresentata dall'oggetto a)
nel tentativo di una sua definizione; nel caso di Orlan la questione viene
agita da un soggetto barrato che si rivolge al sapere nel tentativo di
ricucitura della ferita.
L'altro a cui si rivolge Orlan è costituito dalla medicina chirurgica, in
particolare quella estetica, dove possiamo leggere l'illusione di un
aggiustamento dell'immagine corporale sull'ideale. Dietro la chirurgia
estetica si nasconde la volontà di una riparazione, di una reintegrazione,
della rimozione originaria. Si cerca disperatamente ciò che si è
inesorabilmente perso, ciò da cui ci si è definitivamente separati con
l'accesso al linguaggio. In buona sostanza si cerca, per vie immaginarie, la
riparazione ad un debito simbolico, la riparazione alla castrazione.
Troviamo in questa pratica molto dell'attuale esigenza/moda del ricorso alla
chirurgia estetica che si riscontra nella società contemporanea, e che
coinvolge tutte le fasce sociali non facendo distinzione tra età e genere
sessuale. Orlan ci segnala qualcosa di estremamente inquietante e
caratterizzante la società contemporanea. Cioè la costituzione del mito di
una pacificazione tecnico scientifica attraverso gli interventi chirurgici. Ci
troviamo di fronte alla deriva finale del positivismo scientifico.
L'operazione messa in atto da Orlan produce un oggetto a che, seguendo la
struttura del discorso del capitalista, non è altro che un gadget. Un oggetto
cioè destinato al consumo. Ricordiamo come Lacan ci indichi che nel
discorso del capitalista tutto vada troppo in fretta, tutto si consuma, tutto si
consuma così bene che si logora. Il resto corporale che Orlan inserisce nel
mercato dell'arte è destinato al consumo. Ciò spiega anche, forse,
l'incredibile successo mercantile delle opere di Orlan. Un consumo che
logora e che ha già trasformato l'inevitabile stupore e disgusto iniziali legati
ad una tale pratica, ad una semplice e usuale prassi estetica sociale che
trova in alcune trasmissioni televisive e in alcuni telefilm la sua
banalizzazione.
Ricapitolando quanto esposto finora avremo:
Luogo dell'agente $
Triangolazione immaginaria
Luogo della verità S1
il velo sulla Cosa
Luogo dell'altro
S2
la chirurgia estetica
Luogo della produzione l'oggetto a L'opera d'arte nella forma di resto
corporale, reliquia, oggetto/scarto di consumo.
93
Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
Un’ultima notazione sul luogo della verità. Il significante padrone
condensa in sé, nell’esperienza di Orlan, sia la dimensione del velo sulla
Cosa come struttura fondante l’opera d’arte, che la dimensione del
significante in grado di rappresentare il soggetto per un altro significante.
Queste due dimensioni si fondono a tal punto da far coincidere l’opera
d’arte con il corpo di Orlan. Ogni possibile speculazione sull’opera d’arte
ricade e lascia un segno sul corpo dell’artista. L’estrazione di brandelli di
corpo sono tutt’uno con il tentativo di raggiungere la verità. I pezzi di
corpo presentati in reliquiari sono indizi della Cosa. Sono cioè esibiti come
trofei, come spoglie della Cosa, che segnalano una sconfitta che sta
certamente dalla parte del soggetto. In buona sostanza è la negazione di
quel lavoro di bordatura, di tessitura del velo che abbiamo posto come
fondante il lavoro estetico. Qui il velo viene inesorabilmente squarciato e
ciò che viene esposto è il godimento nel suo stretto legame con la Cosa. Un
percorso glorioso che riecheggia nel XVII seminario di Lacan.
“Je parle de la marque sur la peau, d’où s’inspire dans ce fantasme ceci, qui
n’est rien d’autre qu’un sujet s’identifiant comme ètant objet de
juissance.(…)Le juir prend l’ambiguïté même par quoi c’est à son niveau,
et à nul autre, que se touche l’équivalence du geste qui marque, et du corps,
objet de jouissance.
Jouissance de qui ? Est-ce celle qui porte ce que j’ai appelé la gloire de la
marque ? Est-il sûr que cela veuille dire jouissance de l’Autre ? Certes,
c’est une de vois d’entré de l’Autre dans son monde, et assurément, elle,
non réfutable. Mais l’affinité de la marque avec la jouissance du corps
même, c’est là précisément où s’indique que c’est seulement de la
jouissance, et nullement d’autres voies, que s’établit la division dont se
distingue le narcissisme, de la relation à l’objet.
La chose n’est pas ambiguë. C’est au niveau de l’Au-de-là du principie du
plasir que Freud marque avec force que ce qui fait au dernier terme le vrai
soutien, la consistance, de l’image spéculaire de l’appareil du moi, c’est
qu’il est soutenu à l’intérieur par, qu’il ne fait qu’habiller, cet objet perdu
qui est ce par quoi s’introduit la jouissance dans la dimension de l’être du
sujet. »102
Torniamo ora ad un discorso più generale.
Se il discorso del Padrone fa valere una concezione gerarchica del potere, il
discorso del Capitalista promette invece la falsa democrazia della
circolazione illimitata degli oggetti di consumo e del diritto di ciascuno al
loro godimento. Il discorso del capitalista appare come un circuito di riciclo
102
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Jacques Lacan - Le séminaire. Livre XVII. L'envers de la psychanalyse - Ed. Seuil, Paris, 1991 - pag
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Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
nel quale "tutto si consuma" incessantemente, secondo un'espansione
globalizzante, nell'illusione che in questa consumazione infinita la
"mancanza a essere" che costituisce l'esistenza possa essere magicamente
risolta. Per questo il discorso del capitalista, per funzionare, non deve solo
promettere la risoluzione della mancanza, ma creare continuamente
pseudo-mancanze che possano alimentare il circuito del consumo.
L'offerta maniacale dell'oggetto da consumare prende così il posto del
divieto del Padrone. In questo senso l'oggetto a sembra stravolto dal suo
essere oggetto-perduto essendo messo a disposizione sul mercato in una
metamorfosi spettacolare che mobilita quella girandola dei gadget che,
dell'oggetto a, costituisce solo il suo aspetto "fasullo".
La Body Art verrebbe quindi a configurarsi come effetto del discorso del
Capitalista. Come possiamo però accordare questa conclusione con quella
avanzata in precedenza, dove la Body Art era messa in relazione alla
religione, cioè all'evitamento dell'incontro con il reale tramite la sua
ostentazione e "sacralizzazione" in opera d'arte?
E' questa una questione che rimane aperta. Sembra però profilarsi una
forma di culto dell'oggetto fondato sulla mistica chirurgica, dove il corpo
assurge a luogo di sperimentazione della saldatura tra Io ideale e Ideale
dell'io. Un tentativo estremo di andare oltre l’umano nell’illusione di
un'unificazione squisitamente immaginaria, disumana, con la definitiva
otturazione della mancanza-a-essere ed il disinnesco del motore del
desiderio. Miraggio del paradiso terrestre come trionfo sul vuoto al cuore
del soggetto.
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Patrizio Peterlini – Discorsi di arte contemporanea
INDICE
Introduzione
3
La psicoanalisi e l'arte secondo Freud e Lacan
9
L'opera d'arte non è il sintomo dell'artista
Che cos'è un'opera d'arte?
Rovesciamento di prospettiva
La sublimazione per Freud
La sublimazione per Lacan
Per una estetica lacaniana
Poesia e psicoanalisi. Due percorsi paralleli
Verso l'incontro con il reale
Evoluzione della poesia sperimentale del '900
Julien Blaine, la poesia intesa come gioco dei significanti
La poesia di Blaine e il IV seminario di Lacan
Movimenti d'avanguardia a confronto
Punti d'ostacolo
Fluxus o dell'arte dell'Happening
Conceptual Art o dell'arte della tautologia
Body Art o dell'arte dell'ostentazione
Estetica dei 4 discorsi
L'opera d'arte come oggetto a
I quattro discorsi di Lacan
Il discorso di Blaine
Il discorso concettuale
Il discorso di Orlan
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