La missione: aprire un varco nel disincanto che c`è

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La missione: aprire un varco nel disincanto che c`è
Avvenire 07/28/2013
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DOMENICA
28 LUGLIO 2013
15
La missione:
aprire un varco
nel disincanto
che c’è nei cuori
Francesco ha delineato gli obiettivi e l’orizzonte
nei quali i cristiani sono chiamati alla testimonianza
La Messa di ieri mattina presieduta dal Papa nella Cattedrale di Rio
DA
RIO DE JANEIRO STEFANIA FALASCA
È
con la naturalezza e la familiarità che sempre lo distinguono e che hanno caratterizzato lo stile di papa Francesco in
queste giovani giornate brasiliane
che ha parlato anche ai vescovi di
questo Paese. Posto quasi al termine del cammino carioca, quello di
ieri è stato un momento d’incontro
importante insieme a quello di oggi ai rappresentanti del Celam (il
Consiglio episcopale latinoamericano), che egli ha voluto inserire
nel programma della Gmg.
Bergoglio ieri ha introdotto il suo
intervento presentandolo come «un
momento di riposo, di condivisione, di vera fraternità». Poi ha raccontato «come può compiersi anche oggi il mistero di redenzione e
salvezza promesso da Cristo a tutti
gli uomini». Parlava ai vescovi brasiliani, ma le sue parole hanno aperto squarci inediti sulla missione
a cui sono chiamati tutti i battezzati.
Non una reprimenda, non un piano strategico, dunque, ma la consegna di uno sguardo sulla Chiesa
e sulla sua vocazione a partire dalla Conferenza Celam di Aparecida
di 6 anni fa, che riflette il suo sentire cum Ecclesiae, la sua visione ecclesiologica, in continuità con
quanto finora ha detto e fatto. Il Papa argentino ha ridelineato così con
accenti inconfondibili qual è ai suoi
occhi la natura propria della Chiesa e l’agire che le conviene oggi, non
solo in Brasile, in un orizzonte nel
quale, con semplicità, ci sta portando per mano, guardando avanti. E così con il linguaggio che gli è
Nel discorso ai presuli
del Brasile, Bergoglio
si è soffermato sul «mistero
della tenerezza di Dio» che
«irrompe sempre nelle vite
degli uomini entrando dalla
parte del cuore». Allo stesso
modo, oggi come sempre,
serve «una Chiesa che fa
spazio al mistero di Dio», in
modo che esso stesso possa
«incantare la gente, attirarla»
proprio, vivo, inusuale, suadente,
quasi con accenti di lirismo, si è avventurato fin nel cuore stesso del
mistero della Redenzione. Lo ha fatto attraverso la storia del rinvenimento dell’immagine della Madonna di Aparecida nelle acque del
fiume da parte dei pescatori, ormai
tre secoli fa. «In quella vicenda – ha
detto papa Bergoglio – Dio ha dato anche una lezione su Se stesso»,
una lezione «sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, è nel Dna di Dio». La loro pesca, con la fragile barca, sembra fallimentare. Ma dalle acque buie del
fiume le reti malmesse tirano su
l’immagine dell’Immacolata. Prima
il corpo, poi la testa. I pescatori di
Aparecida - fa intendere Bergoglio
- sono figura di tutta la Chiesa davanti al mistero che la genera e la
fa vivere. «Il mistero della tenerezza di Dio – avverte papa Bergoglio
– irrompe sempre nelle vite degli
uomini entrando dalla parte del
cuore». Allo stesso modo, oggi come sempre, serve «una Chiesa che
fa spazio al mistero di Dio», in modo che esso stesso possa «incantare la gente, attirarla».
La missione della Chiesa trova la
sua unica sorgente in questa dinamica d’attrazione divina, in quello
«stupore dell’incontro» col mistero
che spinse anche i pescatori di Aparecida a chiamare subito i propri
vicini per mostrare a tutti l’immagine della Vergine riaffiorata dal fiu-
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me. L’organizzazione e l’impegno
degli operatori pastorali sono utili,
ma prima di tutto bisogna riconoscere che «la forza della Chiesa non
abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le
reti». Per paradosso - lascia intendere il successore di Pietro - proprio nella povertà dei mezzi a disposizione della Chiesa (la cui bar-
ca non è come «i transatlantici che
varcano gli oceani») può manifestarsi con più efficacia la forza attrattiva del Mistero. Il riaffidarsi con
fiducia al mistero della grazia - così sottolinea papa Francesco in un
passaggio chiave del suo discorso può liberare i vescovi e tutti i battezzati dalla paura e dallo scoraggiamento paralizzanti davanti alla
deforestazione della memoria cri-
stiana che si registra anche nel fondo delle megalopoli latinoamericane. Per papa Francesco occorre lasciarsi interrogare dal «mistero difficile» delle persone che abbandonano la Chiesa. Quelli che cercano
risposte nei nuovi e diffusi gruppi
religiosi, ma anche i tanti «che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica» e vagano nella notte, come i discepoli di Em-
maus, cercando consolazioni nei
mille miraggi della globalizzazione.
Davanti allo scenario del tempo
presente, descritto con un realismo
venato di simpatia, la strada suggerita da papa Francesco a tutta la
Chiesa vibra della vertigine di una
scommessa. Non servono anatemi,
progetti di “riconquista”, tanto meno fughe impaurite nel proprio
mondo separato. L’orizzonte che
indica Bergoglio a tutti oggi è quello di una Chiesa «che non abbia
paura di uscire nella notte». Una
Chiesa chiamata a «intercettare la
strada». «Serve una Chiesa capace
ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo». Senza imporre
tappe forzate sulla via della salvezza, ma accettando di accordare il
passo con le possibilità della gente, con i loro ritmi di cammino, così da «aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori». E in forza della grazia, i battezzati possono «scendere nella notte senza essere invasi
dal buio e perdersi» o «precipitare
nell’amarezza».
In questo scenario la missione che
attende la Chiesa configura e adatta anche gli strumenti e i metodi
dell’azione propriamente pastorale.
Papa Bergoglio ha avuto parole di
apprezzamento senza riserve per il
percorso realizzato dalla Chiesa in
Brasile dopo il Concilio. Ha esaltato la collegialità della Conferenza episcopale, sollecitando una valorizzazione dei livelli regionali di comunione ecclesiale che accantoni
prospettive centralistiche ingessate.
Invitato ad accentuare l’impegno
delle donne nella Chiesa, nella
chiara percezione che «perdendo le
donne la Chiesa rischia la sterilità».
Nel rapporto con la società civile il
vescovo di Roma ha ricordato che
la Chiesa non chiede privilegi, ma
solo la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale. Ha concluso affidando la Chiesa in Brasile e
in tutto il mondo al suo Signore.
Perché «sarà Lui, come ha fatto con
i due discepoli smarriti e delusi di
Emmaus, a scaldare il cuore e donare nuova e sicura speranza».
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in Cattedrale
Il Pontefice pensa anche ai poveri: «Sono loro gli invitati vip»
DAL NOSTRO INVIATO A RIO DE JANEIRO
FRANCESCO OGNIBENE
L’
idea bergogliana della Chiesa che deve aprirsi e uscire da sé si è arricchita
ieri di una nuova immagine che riassume la malattia della “chiusura” tante volte descritta da papa Francesco: Gesù non ha
tenuto i discepoli «attaccati a sé come una
chioccia con i suoi pulcini: li ha inviati». Nella modernissima Cattedrale di Rio de Janeiro, il Papa ieri mattina aveva davanti a sé
un’ampia rappresentanza dei 28 cardinali,
644 vescovi, 7.814 sacerdoti e 632 diaconi che
risultano presenti alla Giornata mondiale
della gioventù insieme a un numero ormai
difficilmente calcolabile di giovani. Ed è proprio ai giovani che Francesco ha fatto riferimento nell’omelia della Messa celebrata in
mattinata: «Aiutiamo i nostri giovani a riscoprire il coraggio e la gioia della fede, la
gioia di essere amati personalmente da Dio,
che ha dato suo Figlio Gesù per la nostra salvezza. Educhiamoli alla missione, ad uscire,
ad andare».
Andare, uscire, verbi che declinano il tema
missionario di questa Giornata (il mandato
di Gesù ai discepoli che chiude il Vangelo di
Matteo): «Non possiamo restare chiusi nella parrocchia, nelle nostre comunità, quando tante persone sono in attesa del Vangelo!
Non è semplicemente aprire la porta per accogliere, ma è uscire dalla porta per cercare
e incontrare! Con coraggio pensiamo alla
pastorale partendo dalla periferia, partendo
da coloro che sono più lontani, da coloro
che di solito non frequentano la parrocchia.
Anche loro sono invitati alla mensa del Signore». Il Papa pensa anche ai «poveri, sono
loro gli invitati vip», come dice con una battuta improvvisata suscitando l’applauso.
L’idea della missione crea ancora qualche timore e altrettanti equivoci. Il Papa ricorda il
suo «sogno da giovane» di «andare missionario nel lontano Giappone»: «Dio però – aggiunge – mi ha mostrato che la mia terra di
missione era molto più vicina: la mia patria.
Aiutiamo i giovani a rendersi conto che essere discepoli missionari è una conseguenza
dell’essere battezzati, è parte essenziale dell’essere cristiani, e che il primo luogo in cui
evangelizzare è la propria casa, l’ambiente di
studio o di lavoro, la famiglia e gli amici».
Ancora oggi infatti «molti di fronte a questo
invito potrebbero sentirsi un po’ spaventati,
pensando che essere missionari significhi lasciare necessariamente il Paese, la famiglia e
gli amici». Perciò occorre «aiutarli a far ardere
nel loro cuore il desiderio di essere discepoli missionari di Gesù». Anche per questo il
Papa invita a non risparmiare «le nostre forze nella formazione dei giovani». E come
spesso accade propone un obiettivo ambizioso ma accessibile sgombrando il campo
da attivismi che non fanno parte della Chiesa che sta plasmando: «Non è la creatività
pastorale, non sono gli incontri o le pianificazioni che assicurano i frutti, ma l’essere fedeli a Gesù». Lo dice sapendo che si rivolge
A vescovi, sacerdoti, religiosi e
seminaristi: «Non vogliamo essere
presuntuosi, imponendo “le nostre
verità”. Ciò che ci guida è l’umile e
felice certezza di chi è stato trovato,
trasformato dalla Verità che è
Cristo e non può non annunciarla»
ai consacrati, che dovrebbero sapere «cosa
significa contemplarlo, adorarlo e abbracciarlo, in particolare attraverso la nostra fedeltà alla vita di preghiera, nel nostro incontro quotidiano con Lui presente nell’Eucaristia e nelle persone più bisognose. Il ’rimanere’ con Cristo non è isolarsi, ma è un
rimanere per andare all’incontro con gli al-
tri».
A vescovi, sacerdoti, religiosi e seminaristi il
Papa chiede «il coraggio di andare controcorrente», di opporsi alla «cultura dell’esclusione» e «dello scarto» che non trova posto
«né per l’anziano né per il figlio non voluto;
non c’è tempo per fermarsi con quel povero
sul bordo della strada. A volte sembra che per
alcuni, i rapporti umani siano regolati da due
“dogmi” moderni: efficienza e pragmatismo». La risposta è nell’«essere servitori della comunione e della cultura dell’incontro.
Lasciatemi dire, che dovremmo essere quasi
ossessivi in questo senso. Non vogliamo essere presuntuosi, imponendo “le nostre verità”. Ciò che ci guida è l’umile e felice certezza di chi è stato trovato, raggiunto e trasformato dalla Verità che è Cristo e non può
non annunciarla».
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Quei santi patroni che accompagnano il cammino
DAL NOSTRO INVIATO
A RIO DE JANEIRO
MATTEO LIUT
N
on siete soli: è questo
il messaggio forte che
papa Francesco ha lanciato più volte ai giovani in
queste intense giornate della
Gmg carioca. Il cammino di
crescita umana e spirituale
proposto ai pellegrini, infatti, è un percorso che va condiviso: prima di tutto con l’intera comunità ecclesiale e poi
con coloro che nella loro vita hanno realizzato fino in
fondo la chiamata alla santità, cioè a un’esistenza totalmente realizzata.
Per questo ad ogni edizione
della Gmg vengono proposti
ai giovani dei patroni e degli
«intercessori». I testimoni della fede scelti per Rio 2013, anche alcuni sudamericani, sono 18 in tutto, tra i quali i cinque patroni: la Madonna Aparecida (Nostra Signora della Concezione, patrona del
Brasile dal 1930), san Sebastiano, santa Teresa di Lisieux,
san Antonio de Santana
Galvão e il beato Giovanni
Paolo II. Gli intercessori, invece, sono il beato Pier Giorgio Frassati, la beata Chiara
Luce Badano, la beata Laura
Vicuña, il beato Federico Ozanam, il beato Adilio Daronch, la beata Hermana Dulce, il beato José de Anchieta,
santa Teresa de los Andes, san
Giorgio, il beato Isidoro
Bakanja, la beata Albertina
Berkenbrock, santa Rosa di Li-
ma, sant’Andrea Kim.
In ognuna delle loro storie e
nei loro carismi i giovani possono ritrovare tutti gli «ingredienti» per diventare autentici missionari. Se la Vergine viene invocata come protettrice della Chiesa e delle famiglie, infatti, san Sebastiano è l’esempio di una vita donata senza riserve fino in fondo. San Galvão, primo santo
brasiliano (1739-1822), frate francescano, è invocato come «araldo della pace e della
carità», mentre a santa Teresa
di Lisieux (1873-1897) vengono affidate le missioni. Tra
i patroni, infine, a Giovanni
Paolo II va il titolo di «amico
dei giovani».
Tra gli intercessori, poi, diversi appartengono al ricco
patrimonio di fede del Sud America, come santa Rosa, nata a Lima nel 1586 e morta
nel 1617, vissuta sempre nel
segno della preghiera. A lei si
affianca il giovane Daronch,
martire brasiliano, ucciso da
alcuni rivoluzionari nel 1924
a soli 16 anni mentre accompagnava un sacerdote nel suo
ordinario lavoro pastorale.
Cilena, invece, era la carmelitana Teresa de Los Andes
(1900-1920), sulla cui tomba
c’è la scritta «l’amore è più
grande». Ed era nata in Cile
anche Laura Viçuna, morta ad
appena 12 anni nel 1904.
Brasiliana, invece, era suor
Dulce (1914-1992), invocata
come «ambasciatrice della carità».
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July 28, 2013 8:04 am / Powered by TECNAVIA