saggistica - PIER MASSIMO PROSIO
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saggistica - PIER MASSIMO PROSIO
SAGGISTICA LE PAROLE DEL TEMPO. DODICI VARIAZIONI DA FLAUBERT A KIERKEGAARD Fogola, Torino 1997, pp.234 Il libro è diviso in dodici parti, ognuna dedicata ad un autore: Flaubert (Alla fine dell Education sentimentale - Il colore dell Education sentimentale - Promenades parigine) Brahms (il violinista) Chateaubriand (Al Grand Bé - Il poeta del sonno - Ottobre) Van der Weyden (Le città silenti - I primitivi) Mendelssohn (Serenità - Casale) Emily Brontë (La casa sulla collina - La brughiera - Il vento) Pavese (Il mio Pavese - Crea - Torino) Yeats (Eliot e Yeats - Antenati - Cinquantanni) Bruegel (I cacciatori nella neve - La pittura invernale - Due quadri) Dickens (Il migliore dei mondi impossibili - Leterno fanciullo - Lalbero di Natale) Verdi (Stride la vampa) Kierkegaard (Inattualità di Kierkegaard - I pantaloni troppo corti - Regina) Protagonisti del libro sono quindi scrittori, poeti, pittori, musicisti, filosofi. La scelta è dovuta alle mie personali predilezioni, alle mie frequentazioni culturali: potrei definire quelli compresi nel libro i miei autori, quelli che con più fedeltà e simpatia mi hanno accompagnato nello svolgimento della mia vita culturale. Non mi avvicino, naturalmente, a questi grandi e così diversi personaggi con un approccio propriamente critico, ma piuttosto sentimentale ed affettivo: magari tangenziale e mimetico, come, appunto, una variazione musicale. Ciascuno di questi autori mi coinvolge ed affascina oltre che per la sua grandezza anche perché si lega a qualche ricordo personale, o è spunto per una fantasia. Così è nato questo libro, che un critico ha definito frammenti di unautobiografia tutta particolare, e che è piuttosto un connubio, un intreccio tra letteratura arte musica e personali ricordi, tra la storia culturale e la mia storia personale. STAMPE DI TORINO Mario Astegiano Editore, Marene 2001, pp. 110. Tavole di Maria Rosa Gaude Il libro è suddiviso in undici capitoli, ognuno preceduto da una tavola di Maria Rosa Gaude ed è chiuso da Una breve giustificazione finale: Stampe di Torino. Tre tempi. Primo tempo. Secondo tempo Terzo tempo. Una piazza, un palazzo, un giardino. Piazza Maria Teresa e il generale Pepe Palazzo Barolo I giardini reali Passaggi torinesi. Febbraio 1956 Torino e la Bohème Un percorso Una chiesa e una casa Il duomo Via Susa 31 Il testo si inserisce in una precisa tradizione letteraria torinese, quella della Guida sentimentale che ha visto illustri esponenti da Mario Gromo a Filippo Burzio: la città vista prima che come realtà urbana come luogo del sentimento e della memoria. E un colloquio un po affettuoso ed un po amaro con la mia città, senza troppe nostalgie se mai con qualche rimpianto ed un po dironia. Ricordi ed indagini, riflessioni e rievocazioni, tra la memoria storica e quella personale, alla ricerca di Torino, tra vecchie stampe settecentesche e ottocentesche, negli angoli di vie e piazze risonanti di echi metafisici e risorgimentali, lungo le tracce di cronache antiche e recenti, nel cuore di remoti favolosi inverni, al riparo delle mura di antichi palazzi barocchi. DALLA GINEVRA DI ROUSSEAU ALLA LONDRA DI DICKENS. LUOGO E OPERA NELLA LETTERATURA ROMANTICA. C.I.R.V.I. Centro Interuniversitario di Ricerche sul Viaggio in Italia, Moncalieri 2012, pp. 234. Il libro vuole mettere in luce, attraverso alcuni tra i molti possibili esempi, il rapporto tra unopera letteraria e un luogo geografico, vedere cioè come la realtà geografica ha influito sullopera (romanzo, racconto, poesia, autobiografia), individuare il significato di una certa realtà geografica nella scrittura. Gli autori compresi nel libro appartengono tutti allepoca romantica e allOttocento( ad eccezione di Jean-Jacques Rousseau, che peraltro è imbevuto di aure preromantiche). Ciò è dovuto alla constatazione che nellOttocento in letteratura- ma anche in pittura- il rapporto con la terra e lambiente, lattenzione per le particolarità di una specifica realtà regionale, sono elementi rilevanti ed emergenti , in contrasto con luniversalismo e cosmopolitismo settecentesco o più propriamente illuministico. Sommario del volume: Le città dellinfanzia. Les Confessions. Rousseau e Ginevra. Mémoires dOutre-Tombe. Chateaubriand e Saint-Malo. Vie de Henry Brulard. Stendhal e Grenoble. Tra laghi e montagne. Les rêveries du promeneur solitaire. Rousseau dallIle Saint-Pierre al Valais. Jocelyn. Lamartine e la montagna romantica. Mont Blanc. Lines written in the vale of Chamounix. Shelley, il Monte Bianco e I romantici inglesi. Cinque romanzi, cinque paesi. Lensorcelée. La Normandia di Barbey dAurevilly. Bruges-la-morte. Rodenbach e Bruges. Wuthering Heights. Emily Brontë, la brughiera e lo Yorkshire. Weir of Hermiston. La Scozia lontana di Stevenson. La bufera. Calandra e il vecchio Piemonte. Tre capitali. The marble faun. Hawthorne, un puritano a Roma. Léducation sentimentale. Flaubert e la Parigi di Mme Arnoux. Dittico londinese. 1. The strage case of dr. Jekill and Mr.Hyde. Stevenson e la città del mistero. Dittico londinese. 2. A Christmas Carol. Dickens e la città del Natale. da LE PAROLE DEL TEMPO Alla fine del 45 ritornammo a Torino andando ad abitare prima in un piccolo oscuro alloggio di via Bertola, quindi, dopo pochi mesi, in borgo San Paolo, in un enorme caseggiato dalle molte scale con innumerevoli balconi e finestre che davano su un vasto cortile di cemento senza verde. Se la memoria non minganna, fu quello un inverno freddissimo, ricordo tanta neve, alle finestre cera non il vetro ma legno compensato. A carnevale dellanno seguente ci trasferimmo definitivamente in una signorile e tetra casa liberty di via Susa. Ampio e gelido era lappartamento al pian terreno, un lungo corridoio separava le camere che da un lato si affacciavano su un cortile ove il sole non arrivava mai e dove si alzava un altissimo abete che toglieva ogni spiraglio di luce. Ma il pregio dellaustero alloggio stava per me in un giardino che mi consentiva di riprendere, più allo stretto, i giochi che avevo fatto nella campagna monferrina, limitato da un vialetto lastricato che portava ad una torre alla fiamminga, simile ad un beffroi, con un orologio che batteva le ore e le mezze ore. Quella Torino tra 45 e 50 era una città povera e silenziosa, dalle lunghe vie diritte percorse, oltre che dalle rotaie del tram, da rare automobili. La gente si mostrava cauta e attenta, come in paurosa attesa, sul chi vive, lombra della guerra si stendeva ancora su tutti, tutti se ne stavano chiusi, timorosi nel loro bozzolo. Si cercava di uscire dallincubo scrollandosi di dosso una cappa di paure, di rancori, di ristrettezze che si volevano dimenticare ma che ad ogni passo si affacciavano crude ed evidenti alla memoria quotidiana. Bastava far due passi e i tristi retaggi delle violenze ti cadevano sotto gli occhi. Vicino a casa mia cera un vasto isolato ingombro di macerie, un giorno occupato da una scuola poi divelta dalle bombe. Mucchi di cemento, di pietre e di mattoni facevano una montagnola irregolare e impervia sulla quale mi arrampicavo e saltavo di masso in masso in percorsi che mi apparivano avventurosi ed arditi; erano rimasti i muri delle camerate di alcune aule e ci aggiravamo in quelle distrutte stanze dalle pareti sbrecciate come in un labirinto un po inquietante giocando agli indiani, o ai pirati della Malesia. La voglia di tornare a vivere, di stare di nuovo insieme senza il timore di scoprire di essere della parte opposta e di rivelarsi nemici, di divertirsi, si vide in quegli anni dal riaprirsi di luoghi di incontro e di svago, sale da ballo, teatri, caffè, cinema. Inaugurarono nella piazzetta vicina a casa una sala cinematografica, linda di una eleganza alla buona da zona periferica, che frequentavo sovente con mia madre, un pomeriggio alla settimana ci andavamo dabitudine. Era uno di quei cinema torinesi di periferia (di seconda visione come si diceva) che piacevano tanto a Pavese, il quale addirittura li nomina con nostalgia in una lettera dal confino di Brancaleone. Che tenerezza mi fa pensare a Pavese astioso e malevolo relegato in quella lontana costa, tra fichi dindia e zingare, davanti a quel mare che detestava (Il mare è una gran vaccata), che sogna una di quelle salette piccole e fresche in cui immergersi davanti ad un film davventura dimenticando per unora le proprie angosce! Pavese ebbe un forte interesse per il cinema tanto che apprestò alcune sceneggiature di film (una anche per il romanzo Il diavolo sulle colline) peraltro mai realizzate: ma in quella nostalgia di cinema di periferia il rimpianto non è certo per le pellicole darte. Ed io lo immagino in un pomeriggio assolato e vuoto destate entrarsene con il suo cipiglio severo e la faccia dura allo Statuto, allAlpi, al Principe (tra parentesi tutti e tre i cinema Pavese non li ritroverebbe più come ai suoi tempi: lo Statuto chiuso per la nota tragedia, lAlpi trasformato in un pretenzioso cinema dessai che son certo gli avrebbe fatto arricciare il naso, il Principe dopo un inglorioso periodo a luci rosse in via di trasformazione in un condominio); mettersi nelle prime file per veder bene, lui miope, accendersi una sigaretta o la pipa e sognare i Mari del Sud, perdersi dietro avventure impossibili: lo vedo assistere con lattenzione concentrata di un bambino studioso, che so? a un film di Totò, a un film di Gary Cooper, Robert Taylor, Claudette Colbert... da DALLA GINEVRA DI ROUSSEAU ALLA LONDRA DI DICKENS. LUOGO E OPERA NELLA LETTERATURA ROMANTICA. Quando scriveva Weir of Hermiston Stevenson si era trasferito nelle isole Samoa del Pacifico, aveva preso abitazione a Vailima ove si era fatta costruire una casa, si faceva chiamare dagli indigeni Tusitala, narratore di storie, e qui morì e c'è la sua tomba in cima ad un monte. E la cosa che ha colpito tutti gli attenti lettori del romanzo è proprio questa: che una storia ambientata nelle brume e tra le fredde lande della Scozia, intrisa di memorie avvenimenti leggende abitudini di vita scozzesi, sia balenata alla fantasia di Stevenson tra gli azzurri caldi mari del Sud e sotto il limpido accecante sole del Tropico. Veramente, non ci si dovrebbe stupire molto di questa capacità di Stevenson di astrarsi dall'ambiente che lo circonda per immaginare una storia quando si ricordi che L'isola del tesoro, favola di mari esotici e di pirati truci e pittoreschi, fu iniziata e ideata nelle Highlands scozzesi e scritta in gran parte quando l'autore si trovava a Davos in Svizzera circondato dalle vette delle Alpi. Ma qui, nel caso di Weir of Hermiston ci tocca la circostanza che questa fu l'ultima sua opera e che fino al giorno della morte improvvisa la mente di Stevenson nelle isole Samoa si rifugiava nel ricordo della sua lontana patria. In questo senso Weir of Hermiston è un inno di nostalgia per la Scozia. Sta come un addio alla sua terra, un estremo saluto ai luoghi che l'avevano visto nascere e vivere la sua gioventù e prima di lui avevano visto i suoi progenitori e antichi connazionali. Stevenson sa benissimo che più non rivedrà la Scozia e questa corrente di amorosa e trepida memoria corre tutto il romanzo, ne informa il carattere pur nella incompletezza dell'opera: son pagine che vorrebbero come epigrafe il verso della "ballatetta dolente" di Guido Cavalcanti, poi chio non spero di tornar giamai....