Dispensa - Centro Studi Synapsy

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Dispensa - Centro Studi Synapsy
Dispensa di biologia
Dispensa
Programma
Gli acidi nucleici: Struttura del DNA
Gli RNA: rRNA, mRNA, tRNA, snRNA, scRNA
La replicazione del DNA: I meccanismi di base. Replicazione ed errori
I geni. Concetto di gene.
Organizzazione del genoma negli eucariote. Introni ed esoni. Lo splicing e lo splicing alternativo.
I promotori.
L’espressione di un gene. Regolazione genica negli eucarioti
Codice genetico e sintesi delle proteine.
Il ciclo cellulare. La morte cellulare (apoptosi)
Mutagenesi e cancerogenesi
Classificazione delle principali malattie a base genetica
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La struttura del DNA
La composizione chimica dell’acido desossiribonucleico, il DNA, è semplice: un tipo di zucchero (il
desossiribosio), un gruppo fosfato, una base azotata. Le basi azotate sono molecole che possono
essere di quattro possibili forme, denominate: adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T).
Osservando che le basi azotate nel DNA di specie diverse erano presenti in quantità differenti, si
ipotizzò che proprio nella sequenza delle basi venisse trasportata l’informazione genetica. Restava
da definire la struttura del DNA, e come una sequenza di basi nel DNA potesse rappresentare la
sequenza di aminoacidi di una proteina: si trattava cioè di decifrare il codice contenuto nel DNA.
Una delle tecniche che furono più utili per la comprensione della struttura del DNA fu l’analisi di
diffrazione ai raggi X attraverso la quale i ricercatori (James Watson & Francis Crick, Maurice
Wilkins & Rosalind Franklin, 1953 – Premio Nobel ai soli Watson & Crick nel 1962), attribuirono al
DNA una forma a elica regolare. Altri dati suggerivano la presenza di due catene polinucleotidiche,
implicate nella formazione dell’elica, e inoltre vennero messi in luce i rapporti costanti delle basi a
due a due: G con C, T con A.
Interpretando ed elaborando tutto questo, il biologo statunitense John B. Watson e il suo collega
britannico Francis Crick proposero nel 1953 il loro famoso modello della doppia elica. Per spiegare
questo modello è utile descrivere prima le unità più semplici, in grado di formare una intera
catena di DNA: i nucleotidi. Quando una base si lega a uno zucchero, si dice che forma un
nucleoside; se lo zucchero del nucleoside si lega ancora a un gruppo fosfato, si dice che si è
formato un nucleotide. L’unione di tanti nucleotidi costituisce una catena polinucleotidica, dove i
gruppi fosfato e gli zuccheri formano una sorta di "scheletro" da cui sporgono le basi azotate. Il
nucleotide è dunque l’unità fondamentale del DNA.
Nel modello a doppia elica due catene polinucleotidiche sono legate tra loro attraverso le basi, e
sono avvolte su se stesse a formare una doppia elica. Più in dettaglio, le basi che sporgono da una
catena si appaiano con quelle di un’altra catena, mediante legami idrogeno, secondo uno schema
ben preciso: una base più ingombrante, come l’adenina, si accoppia con una base meno
ingombrante, come la timina.
Lo stesso avviene con guanina e citosina. Le due basi adenina e guanina fanno parte entrambe
della categoria ingombrante, il cui nome chimico è purine, mentre timina e citosina, meno
ingombranti, sono chiamate pirimidine. L’appaiamento però avviene, sempre ed esclusivamente,
tra A e T e tra G e C. La complementarietà è assolutamente specifica.
Se vogliamo immaginare la struttura tridimensionale del DNA, ci può aiutare l’immagine di una
scala a pioli ritorta a spirale, dove i pioli sono rappresentati dalle basi appaiate e il resto della scala
è costituito dall’alternarsi degli zuccheri e dei fosfati. In realtà la struttura è più complessa e, per
chi la studia, molto più affascinante di una scala.
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La duplicazione (o replicazione) del DNA
Uno dei requisiti fondamentali del materiale genetico è che la sua riproduzione deve essere
accurata poiché da esso dipendono le informazioni per il funzionamento dell’organismo. Quando
venne scoperta la struttura a doppia elica del DNA, la caratteristica che maggiormente colpì gli
studiosi fu la relazione di complementarietà tra le basi. Questa caratteristica fece
subito pensare a un tipo di duplicazione in cui ciascun filamento (catena) della doppia elica,
aprendosi in corrispondenza del legame tra le basi, fungesse da stampo per la costruzione di un
nuovo filamento.
Secondo il modello di Watson e Crick, infatti, si ha una graduale separazione dei due filamenti e la
formazione della forca replicativa, dove i due filamenti separati fanno da stampo per la sintesi di
due filamenti complementari. Si formano così due molecole figlie identiche, ciascuna costituita da
un filamento vecchio e da uno nuovo.
Questo tipo di duplicazione viene chiamato duplicazione semiconservativa.
I nucleotidi da soli non sono in grado di formare una catena: sono necessari un enzima che
intervenga a legare i vari pezzi tra loro, cioè la DNA-polimerasi (che permette la polimerizzazione),
e diversi altri enzimi, ciascuno specifico per una determinata fase.
Trascrizione del DNA
Sebbene trasporti l’informazione per gli aminoacidi (i costituenti fondamentali delle proteine), il
DNA non è direttamente lo stampo per la sintesi proteica. In tutte le cellule dotate di nucleo
(eucarioti), la sintesi proteica è localizzata nel citoplasma, mentre i cromosomi (DNA) sono nel
nucleo. La molecola in grado di condurre le informazioni prese dal DNA dal nucleo al citoplasma, e
fungere da stampo per la sintesi delle proteine, è l’RNA, o acido ribonucleico, largamente presente
nel citoplasma.
Chimicamente l’RNA è molto simile al DNA: anch’esso è una catena polinucleotidica contenente
quattro nucleotidi diversi. Una delle differenze è rappresentata dallo zucchero, che è il ribosio in
luogo del desossiribosio. La seconda differenza è costituita da una delle basi, che è l’uracile (U) al
posto della timina. In questo caso è l’uracile a legarsi all’adenina, mentre la guanina si lega sempre
alla citosina. La maggior parte dell’RNA, inoltre, esiste come catena singola e non doppia.
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Le molecole di RNA vengono sintetizzate attraverso un processo, conosciuto come trascrizione del
DNA, dove un filamento di DNA viene ricopiato nel corrispondente filamento di RNA.
La trascrizione presenta alcune similitudini con la già descritta duplicazione del DNA. Una delle due
catene del DNA funge da stampo, mentre i ribonucleotidi, legati per azione dell’enzima RNA
polimerasi, si allineano appaiando le proprie basi a quelle esposte del DNA. La reazione può essere
divisa in tre fasi.
Nella fase di inizio l’RNA-polimerasi si lega alla doppia catena del DNA. Man mano che l’enzima vi
si attacca, il DNA si despiralizza localmente in modo da esporre una delle due catene alla
copiatura. Il tratto di DNA in cui ha luogo l’inizio è chiamato promotore, e lo stadio di inizio ha
termine quando il primo nucleotide della catena di RNA è stato incorporato nella catena del DNA.
Il sito in cui il primo nucleotide viene incorporato è detto sito di inizio, e fa parte del promotore:
normalmente si tratta di una singola base, una purina.
Nella seconda fase, di allungamento, altri nucleotidi vengono aggiunti al primo, e si forma un
tratto di catena ibrida DNA-RNA in corrispondenza del DNA despiralizzato. L’enzima RNApolimerasi si muove lungo il DNA, despiralizzando via via nuovi segmenti di DNA, mentre la doppia
catena di DNA si riforma lasciando libero il filamento di RNA neoformato.
Il termine, cioè terzo e ultimo stadio della trascrizione, riguarda il riconoscimento del punto di fine
della sintesi di RNA. Quando l’ultima base è stata aggiunta alla catena di RNA, l’ibrido DNA-RNA si
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slega, la doppia catena di DNA si riavvolge e sia l’enzima sia l’RNA si staccano. La sequenza di DNA
nella quale hanno sede queste reazioni si chiama terminatore.
Il prodotto della trascrizione è denominato trascritto primario (RNA messaggero o mRNA) e
consiste probabilmente in un filamento di RNA che si estende dal promotore al terminatore. Non
si ha dimostrazione di ciò perché esso è molto instabile e quindi difficile da isolare.
Negli eucarioti vengono modificate le sequenze terminali nell’mRNA e tagliate per dare i prodotti
maturi (tutti gli altri RNA). Nelle cellule eucariote ci sono tre diverse RNA-polimerasi, che occupano
diversi siti. Ciascuno di questi enzimi è responsabile della trascrizione di una differente classe di
geni.
L’RNA-polimerasi I, che risiede nel nucleolo, è responsabile della trascrizione dei geni per la
produzione di tutto l’RNA ribosomiale (o rRNA). Questo è l’enzima con la più elevata attività di
sintesi.
Segue l’RNA-polimerasi II, localizzata nel nucleoplasma (la parte di nucleo che esclude il nucleolo),
responsabile della sintesi del precursore dell’RNA messaggero (mRNA).
L’enzima con l’attività minore è l’RNA-polimerasi III, anch’essa
presente nel nucleoplasma, che
sintetizza l’RNA di trasporto (tRNA).
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Negli eucarioti, inoltre, la regione promotore che lega l’RNA polimerasi in alcuni casi non funziona
necessariamente da sola, ma la sua attività è enormemente aumentata dalla presenza di un’altra
sequenza chiamata amplificatore (enhancer in inglese). Un amplificatore si distingue dal
promotore per due caratteristiche: non possiede una posizione fissa in relazione al promotore e
può inoltre stimolare qualsiasi promotore nelle sue vicinanze. Per l’RNApolimerasi II, che, come si è
detto, si occupa della trascrizione dell’RNA messaggero, all’interno del promotore è stata
identificata una sequenza di quattro basi, comune a tutti gli eucarioti: la TATA box (dove box sta
per contenitore, T è la timina e A l’adenina). La TATA-box è indispensabile per la trascrizione, non
deve subire modificazioni perché l’RNA-polimerasi possa mantenere la posizione corretta. Basta lo
scambio di una base per ridurre drasticamente la trascrizione. La TATA-box è tipica dei promotori
degli eucarioti, ma anche nei procarioti è presente una sequenza molto simile con le stesse
proprietà. La fase cruciale della produzione delle diverse forme di RNA è la maturazione a partire
dai precursori. I complessi trascritti primari degli rRNA e tRNA di procarioti ed eucarioti vengono
modificati in forme mature più semplici. L’assemblaggio dell’mRNA degli eucarioti è piuttosto
complesso. Il primo prodotto dell’RNA-polimerasi II, chiamato RNA eterogeneo nucleare, viene
convertito in mRNA funzionale attraverso una serie di modificazioni che portano alla maturazione
dell’RNA. In genere l’ultimo passaggio di questo processo è il taglio di una o più sequenze, dette
introni, che non vengono tradotte, e la giunzione dei pezzi rimanenti, gli esoni, le uniche sequenze
che appaiono nell’mRNA maturo pronto per essere tradotto. Una volta maturati, gli mRNA, come
le subunità ribosomiche e i tRNA, passano nel citoplasma per svolgere la loro funzione nella sintesi
proteica (questa parte in corsivo verrà trattata approfonditamente nei capitoli successivi).
La trascrizione del DNA differisce dalla duplicazione per diversi aspetti. Per prima cosa l’RNA
prodotto nel processo di trascrizione non rimane attaccato al DNA: la copia dell’RNA viene
rilasciata appena completata e l’elica originale del DNA si riforma; in questo modo l’RNA rimane a
catena singola. Inoltre le molecole di RNA sono relativamente corte, se paragonate alla catena del
DNA, poiché vengono copiati solo dei tratti di una regione limitata del DNA deputata alla
formazione di una o di poche proteine. La quantità di RNA prodotta partendo da una determinata
regione del DNA viene controllata: più in generale, il controllo dell’espressione di un gene è reso
possibile da una serie di proteine dette regolatrici, di cui abbiamo già parlato.
Traduzione del DNA: sintesi delle proteine
Il dogma centrale della biologia molecolare dice che i geni sono unità in grado di perpetuare se
stessi e funzionano attraverso la loro espressione nella forma di proteine. Tutte le volte che si
legge o si sente parlare di espressione di un gene, si intende appunto il prodotto, la proteina di cui
il gene porta l’informazione.
L’informazione viene espressa in un processo a due stadi. Il primo stadio, la trascrizione (descritta
sopra) genera un filamento singolo di mRNA con la sequenza identica a uno dei due filamenti del
DNA.
La traduzione (secondo stadio) converte la sequenza nucleotidica dell’mRNA in una sequenza di
aminoacidi uniti a formare una proteina. Proteine (enzimi) particolari catalizzano la sintesi di DNA
ed RNA.
Quindi, mentre il DNA conserva l’informazione e l’RNA la trasporta, le proteine sono le
responsabili delle funzioni biologiche e la loro sintesi rappresenta il punto chiave dell’attività
cellulare.
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Fasi della sintesi proteica
La sintesi proteica, analogamente alla trascrizione, è normalmente suddivisa in tre fasi: inizio,
allungamento e termine; ciascuna fase è contraddistinta da particolari eventi biochimici. La sintesi
proteica (nota anche come traduzione genica) costituisce la seconda fase del processo di
espressione genica, ovvero il processo in cui l'informazione contenuta nel DNA dei geni viene
convertita in proteine che svolgono nella cellula un'ampia gamma di funzioni.
Nella sintesi proteica un filamento di RNA messaggero, prodotto a partire da un gene sul DNA
attraverso il processo di trascrizione, è usato come stampo per la produzione di una specifica
proteina. La relazione tra triplette di basi dell'RNA e gli amminoacidi delle proteine è definito
codice genetico***.
Componenti coinvolti nella sintesi proteica
- Il ribosoma, composto da rRNA e proteine ribosomiali
- L'RNA messaggero (mRNA)
- L'RNA transfer (tRNA), una corta catena di RNA (74-93 nucleotidi) che è legata
covalentemente ad un dato amminoacido, costituendo un amminoacil-t-Rna.
- Le Amminoacil tRNA sintetasi, enzimi che catalizzano la formazione del legame ad alta
energia tra un dato amminoacido e l'RNA-transfer corrispondente.
- Diverse altre proteine.
Fasi
La sintesi procede in tre fasi: inizio, crescita e terminazione del polipeptide.
1. L'inizio della sintesi vede i ribosomi legarsi al codone di avvio (start) dell'mRNA, che indica il
punto in cui l'mRNA comincia a codificare la proteina. Questo codone è generalmente AUG
(adenina-uracile- guanina). Negli eucarioti l'amminoacido corrispondente al codone di avvio è la
metionina.
2. La traduzione inizia quando l'mRNA e il tRNA iniziatore si legano ad una subunità minore
ribosomiale libera. Questo complesso recluta, in seguito, la subunità maggiore a formare un
ribosoma intatto, con l'mRNA inserito tra le due subunità. La sintesi proteica inizia al passo
successivo, partendo dal codone di inizio del messaggio e procedendo verso l'estremità dell'mRNA.
A man mano che il ribosoma si sposta di codone in codone (2. crescita) i tRNA carichi di
aminoacido si inseriscono uno dopo l'altro, e ciascun nuovo amminoacido viene aggiunto
all'estremità della catena polipeptidica nascente.
3. Quando il ribosoma incontra un codone di termine (3. terminazione), la catena polipeptidica
completa viene rilasciata, e la subunità maggiore e minore si separano dall'mRNA e sono
disponibili per legare una nuova molecola di RNA messaggero. Comunque, nonostante il ribosoma
sia in grado di sintetizzare un singolo polipeptide alla volta, ciascun mRNA può essere tradotto
simultaneamente da più ribosomi. Un mRNA associato a più ribosomi è detto poliribosoma o
polisoma. Questa capacità di più ribosomi di tradurre un singolo mRNA spiega la limitata quantità
di mRNA nella cellula, circa dall'1 al 5% dell'RNA totale. Come detto in precedenza, il ribosoma
catalizza una sola reazione chimica: la formazione del legame peptidico. Questa reazione avviene
tra il residuo amminoacidico all'estremità carbossi-terminale del polipeptide nascente e
l'amminoacido che deve essere aggiunto alla catena.
Negli eucarioti, quindi, la traduzione avviene nel citoplasma mentre la trascrizione avviene nel
nucleo cellulare.
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Il codice genetico ***
L’aver identificato l’mRNA come la copia di lavoro delle istruzioni genetiche non aveva ancora
risolto il problema di come queste istruzioni siano codificate nel DNA. Le proteine infatti
contengono 20 aminoacidi differenti, ma il DNA e l’RNA contengono ciascuno solo 4 diversi
nucleotidi; in qualche modo questi 4 nucleotidi costituivano un codice genetico per gli aminoacidi.
Un codice è, per convenzione, un sistema di segnali atti a trasmettere un messaggio: nel caso del
codice genetico il messaggio contenuto nel DNA deve essere decodificato per sintetizzare una
determinata proteina.
La struttura primaria di ogni proteina è formata da una specifica sequenza di 20 aminoacidi;
analogamente, in una molecola di DNA vi sono 4 diversi nucleotidi disposti in una specifica
sequenza lineare. Se ciascun nucleotide codificasse per un aminoacido, alle 4 basi
corrisponderebbero solo 4 aminoacidi. Se un aminoacido fosse codificato da 2 nucleotidi , ci
sarebbe un massimo di 42, cioè 16 combinazioni possibili, non ancora sufficienti per codificare 20
aminoacidi.
Perciò ogni aminoacido deve essere determinato da almeno 3 nucleotidi in sequenza: in tal modo
si avrebbero 43 , ossia 64 combinazioni possibili, un numero più che sufficiente per codificare i 20
aminoacidi.
Ogni combinazione è costituita quindi da una sequenza di 3 nucleotidi (tripletta) e viene chiamata
codone.
Il codice genetico è universale, cioè è identico in tutti gli organismi, dai batteri all’uomo.
La tripletta UUA, per esempio, codifica per l’aminoacido leucina nelle piante, nei funghi, nei batteri
e nell’uomo.
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Si è inoltre dimostrato che ogni aminoacido è codificato da più di una tripletta di basi. Ad esempio
l’aminoacido serina è codificato dalle sequenze: AGU e AGC. L’aminoacido glicina è codificato dalle
sequenze: GGU, GGC, GGA, GGG e così via.
Regolazione dell’espressione genica
Il genoma umano è costituito da circa 6 miliardi di basi azotate.
Nelle cellule eucariote non tutto il DNA codifica per proteine: qual è quindi la funzione del
restante DNA? Ne sono stati classificati quattro classi:
Una classe di DNA è detta DNA intergenico. La maggior parte del DNA intergenico è costituita da
sequenze ripetute molte volte. Quando queste sequenze sono molto corte (poche unità di basi
azotate) e disposte in tandem (cioè testa-coda) formano il cosiddetto DNA microsatellite (circa il
3% del menoma umano). Si pensa che tale DNA sia importante per la struttura del cromosoma.
Le sequenze altamente ripetute più lunghe (alcune centinaia di basi azotate) sono anche quelle più
numerose (circa 40%). Alcune di queste sequenze sono codificanti: tra gli esempi di questo tipo di
DNA ci sono geni che codificano per gli istoni (cioè le proteine presenti nei cromosomi) e per tre
dei quattro rRNA che si trovano nelle cellule eucariote.
Altre sequenze ripetitive intergeniche non sono identiche tra loro, ma sono solo simili: in questo
caso tali sequenze rappresentano le cosiddette famiglie geniche.
L’ultima classe di DNA eucariote è il DNA a copia UNICA (17% del genoma) e comprende le
sequenze che sono presenti una sola volta o in poche copie. Quasi tutti i geni che codificano per le
proteine appartengono a questa classe di DNA.
Il restante 15% del DNA è formato da sequenze non codificanti il cui ruolo è ancora sconosciuto.
Introni ed esoni
Prendiamo in considerazione il DNA a copia unica: è stato scoperto che anche queste sequenze di
geni che codificano per le proteine sono di solito interrotte da sequenze nucleotidiche che non
vengono tradotte. Queste sequenze non codificanti vengono dette introni, mentre le sequenze
codificanti, cioè quelle tradotte in proteine, vengono detti esoni.
Gli introni vengono sì trascritti nelle molecole di RNA appena formatosi, ma sono ELIMINATI
prima della traduzione.
SnRNA, snoRNA e scRNA
È stato dimostrato che nella cellula esistono una varietà incredibile di molecole di RNA e che l'RNA
può svolgere funzioni enzimatiche, dirigere la rimozione degli introni dai trascritti nucleari
precursori dell'RNA messaggero, dirigere il processamento dell'RNA precursore degli RNA
ribosomali, funzionare come guida per gli enzimi che modificano il precursore dell'RNA ribosomale
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o altri piccoli RNA e controllare l'espressione genica sia a livello trascrizionale sia a livello posttrascrizionale.
Tutte queste funzioni dell'RNA sono possibili per le sue caratteristiche: l'RNA è una biomolecola
altamente reattiva con proprietà chimiche uniche, può formare strutture secondarie e terziarie
estremamente complesse e riconoscere in maniera specifica certe sequenze complementari
presenti in altre molecole di RNA.
Negli organismi eucarioti l'RNA comprende una vasta gamma di molecole che in generale sono
classificate a seconda della loro funzione, unità di sedimentazione o dimensioni e localizzazione
nella cellula.
1) piccoli RNA nucleari (snRNA: small nuclear RNA), localizzati nel nucleo e coinvolti nelle prime
fasi di maturazione degli RNA messaggeri (mRNA). In associazione con alcune proteine, gli snRNA
formano gli spliceosomi, complessi macromolecolari deputati allo splicing (processi di rimozione
degli introni e riunione degli esoni) dei pre-mRNA;
2) i piccoli RNA nucleolari (snoRNA: small nucleolar RNA), localizzati nel nucleolo e coinvolti nella
maturazione e modificazione degli RNA pre-ribosomali. Infatti, la maturazione dell'RNA ribosomale
(rRNA) comporta il taglio di molteplici rRNA da un unico precusore (pre-rRNA); inoltre, gli RNA
ribosomali maturi che vanno a costituire il ribosoma, per poter funzionare correttamente, devono
subire modificazioni chimiche a livello di numerosi nucleotidi specifici. Questi compiti sono svolti
dagli snoRNA: alcuni di essi, in associazione con alcune proteine, tagliano i pre-rRNA, altri
direzionano gli enzimi che effettuano le modificazioni chimiche post-trascrizionali (che avvengono
dopo la trascrizione) sugli rRNA;
3) i piccoli RNA citoplasmatici (scRNA: small cytoplasmic RNA), localizzati nel citoplasma. Il loro
ruolo funzionale non è stato ancora del tutto chiarito. Uno di questi scRNA (RNA 7S) è coinvolto
nel processo di importazione nel reticolo endoplasmatico delle proteine destinate alla secrezione.
Questa funzione viene svolta da un complesso denominato SRP (signal recognition particle,
particella per il riconoscimento del segnale) costituito da alcune proteine in associazione con l'RNA
7S.
Regolazione genica negli eucarioti
Un organismo pluricellulare, di solito, si sviluppa a partire da una cellula uovo fecondata (zigote), il
quale si divide ripetutamente per mitosi e citodieresi, dando luogo a molte cellule; a un certo
punto queste cellule cominciano a differenziarsi diventando, ad esempio, cellule muscolari,
nervose, ematiche ecc.
Le cellule che appartengono allo stesso individuo avranno perciò lo stesso genoma (ossia lo stesso
patrimonio genetico), ma un diverso proteoma (tipo di proteine), dato che ogni tipo di cellula,
appena si differenzia, inizia a produrre proteine differenti che lo rendono distinguibile da altri tipi
di cellule dal punto di vista strutturale e funzionale.
Ciò significa che, poiché ogni tipo di cellula produce solo le sue proteine caratteristiche, e non le
proteine caratteristiche di altri tipi di cellule, il differenziamento delle cellule di un organismo
pluricellulare dipende dalla inattivazione di certi gruppi di geni e dall’attivazione di altri.
Facciamo un esempio: la sequenza di DNA che codifica per l’ormone insulina è presente non solo
nelle cellule del pancreas che la sintetizzano, ma anche in tutti gli altri tipi di cellule, pur senza
essere espressa.
Esistono diversi tipi di regolazione genica: a livello della trascrizione, a livello della elaborazione del
pre mRNA in RNA maturo (splicing) e a livello della traduzione dell’ mRNA in proteine..
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a. Regolazione a livello della trascrizione
Come riportato precedentemente, la trascrizione inizia con l’attacco dell’enzima RNA polimerasi al
promotore di un determinato gene presente sulla molecola di DNA: la polimerasi si sposta quindi
lungo la molecola usando il filamento 3’-5’ come stampo per la sintesi di molecole di RNA. Le
molecole di RNA trascritte (rRNA, mRNA e tRNA) svolgeranno poi le specifiche funzioni nelle
traduzione in proteine.
Ogni gene viene trascritto separatamente e la sua trascrizione è sottoposta a una specifica
regolazione. Il promotore delle cellule eucariote è costituito da almeno tre regioni differenti, di cui
una detta TATA box è la particolare sequenza nucleotidica che funziona da sito di riconoscimento
della RNA polimerasi, e un’altra, il sito di inizio della trascrizione è appunto la regione di DNA in
cui la trascrizione effettivamente inizia: la TATA box e il sito di inizio della trascrizione formano un
complesso chiamato promotore basale.
Al promotore basale si legano delle proteine di regolazione (GFT- fattori di trascrizione generali)
che consentono l’attacco della RNA polimerasi.
Il complesso che si forma (TATA box + sito inizio trascrizione+GFT) è detto di pre-inizio e
rappresenta la struttura molecolare indispensabile affinché possa iniziare la trascrizione del DNA
in RNA.
Oltre a tale complesso, esistono sequenze di regolazione sul DNA, posti sotto il controllo di due tipi
di proteine, gli attivatori e i repressori: gli enhancer e i silencer, a seconda che favoriscano o
inibiscano l’avvio della trascrizione di un gene.
Affinché la trascrizione abbia inizio, occorre che un attivatore si leghi al relativo enhancer, ciò
favorisce l’attacco di un fattore di trascrizione al TATA box e la conseguente formazione del
complesso di pre-inizio. Sembra che gli enhancer siano specifici per ogni tipo di cellula e questo
spiegherebbe perché certi geni si esprimono solo in determinate cellule e non in altre.
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Al contrario, se la trascrizione deve essere bloccata, la sequenza silencer interferisce con
l’assemblaggio del GFT, impedendo conseguentemente l’avvio della trascrizione.
Enhancer e silencer possono essere situati in prossimità della sequenza promotore, ma spesso si
trovano lontani anche centinaia o migliaia di coppie di basi.
b. Regolazione a livello della maturazione dell’mRNA (splicing e splicing alternativo)
Prima che le molecole di pre-mRNA lascino il nucleo, gli introni vengono eliminati e gli esoni sono
saldati insieme in sequenza per formare un’unica molecola continua (vedi figura A). Il meccanismo
di taglio degli introni è molto preciso, dal momento che anche il più piccolo errore comporterebbe
uno spostamento del sistema di lettura del messaggio trascritto. L’mRNA maturo passa poi nel
citoplasma dove è tradotto in proteina.
A
B
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Gli introni vengono rimossi da un grosso complesso molecolare che prende il nome di spliceosoma
ed è formato da numerose subunità chiamate snRNP (small nuclear ribo nucleo protein).
Nelle cellule eucariote i trascritti di pre-mRNA vengono spesso rielaborati in modi diversi per cui,
da un singolo gene, si possono formare molteplici mRNA maturi (splicing alternativo, vedi fig. B):
ciò permette a un gene di codificare per due o più proteine aumentando così la complessità del
proteoma eucariote.
c. Regolazione a livello della traduzione
Tra i meccanismi di regolazione della sintesi proteica, c’è la possibilità di impedire
temporaneamente l’attacco dell’mRNA ai ribosomi, modificandone chimicamente la sequenza
leader oppure mediante l’azione di un repressore tradizionale che agisce legandosi all’mRNA, per
esempio quando la relativa proteina si trova già in quantità sufficienti, e che viene poi disattivato
quando occorre riprendere la sintesi della proteina stessa.
Ciclo cellulare
Il ciclo cellulare è una successione di eventi ordinati che servono a regolare la crescita e la
divisione di una cellula e risente di stimoli di regolazione sia di tipo intracellulare che provenienti
dall'esterno. Gli stati del ciclo cellulare si suddividono in una interfase e seguita dalla meiosi o dalla
mitosi.
La DIVISIONE CELLULARE è fortemente regolata per consentire:
1) la crescita cellulare
2) la duplicazione del DNA
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Negli eucarioti tale progressione è regolata da enzimi che vengono attivati dall'associazione con
proteine che compaiono in maniera ciclica durante il ciclo cellulare.
Il Ciclo e' una successione di 4 eventi ordinati:
1) crescita cellulare
2) replicazione del DNA
3) distribuzione dei cromosomi
4) divisione cellulare
Queste quattro fasi avvengono su processi coordinati che dividono il ciclo in una mitosi (5-7% del
ciclo) e dell'intefase.
L'interfase e' costituita da 3 fasi differenti:
fase Gap1 (G1) = fase in cui la cellula normalmente vive e svolge le sue funzioni di cellula
differenziata. E' l'intervallo che segue la mitosi e precede la duplicazione del DNA
fase S = sintedi DNA; dase in cui il DNA cellulare viene duplicato
fase Gap2 (G2) = fase di preparazione alla mitosi/meiosi; e' l'intervallo tra la duplicazione del DNA
e la nuova mitosi.
Il ciclo cellulare è unidirezionale G1 --> S --> G2 --> M
Morte cellulare (apoptosi)
Fenomeno controllato geneticamente che determina la morte programmata di una cellula a un
certo punto del suo ciclo vitale.
L'apoptosi è un meccanismo fondamentale dell'evoluzione degli organismi pluricellulari, insieme
alla possibilità del genoma di accogliere al suo interno delle variazioni. Infatti, durante ogni
divisione cellulare si accumulano delle variazioni delle sequenze del DNA, poiché l'apparato che si
occupa della duplicazione del materiale genetico, pur essendo accurato, sbaglia con una certa
frequenza (si calcola che nell'uomo da una generazione all'altra si accumulino variazioni
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dell'ordine delle centinaia). Alcuni di questi errori sono immediatamente corretti da appositi
apparati di correzione, altri sono mantenuti.
Gli errori accumulati possono essere di tre tipi: inerti, vantaggiosi o svantaggiosi rispetto
all'ambiente in cui la cellula si trova. I meccanismi vantaggiosi sono quelli che hanno permesso
l'evoluzione di nuove specie, nonché la variabilità all'interno delle stesse. Durante l'evoluzione, in
seguito all'origine degli organismi pluricellulari, i meccanismi di controllo della proliferazione
cellulare si sono affinati rendendo possibile la formazione di organismi complessi, con comparti
cellulari specializzati e in equilibrio fra di loro (per esempio, nel corpo umano il fegato e l'intestino,
in stretto equilibrio sia per l'ingombro volumetrico che per la funzione biologica).
Uno di questi meccanismi è il controllo negativo della proliferazione: cioè alcuni meccanismi di
freno che impediscono ad una cellula di proliferare oltre il necessario per l'organismo. La rottura di
questi meccanismi, indotti da errori di copiatura del DNA, induce la proliferazione incontrollata
che caratterizza le cellule tumorali, che invadono i tessuti circostanti, creano delle masse
ingombranti e non sono più in grado di assolvere funzioni per l'organismo, inducendone la morte.
Prima che questo avvenga c'è ancora una possibilità: alcuni sistemi di controllo, rilevano una
rottura nel freno alla proliferazione e inducono la cellula al suicidio. Questi sono i sistemi
dell'apoptosi.
L’intero arco vitale della cellula può essere visto come l’esecuzione concertata di programmi di
proliferazione, arresto, quiescenza, differenziamento e morte. Negli organismi pluricellulari, nei
quali il problema del controllo numerico e dell’integrazione delle diverse cellule viene risolto con
l’eliminazione selettiva di alcune di esse, sono stati identificati geni che codificano proteine
necessarie per attuare una morte programmata della cellula; questi geni sono in grado di
funzionare in risposta agli stimoli più disparati e si sono conservati nelle diverse specie nel corso
dell’evoluzione.
L’apoptosi si verifica anche in seguito a stimoli lesivi indotti da agenti chimici o fisici: per es., nelle
cellule tumorali l’ apoptosi può essere spontanea o indotta da radiazione o chemioterapia.
La morte apoptotica si svolge attraverso una successione di fenomeni che si sono mantenuti
costanti sia nei diversi tipi cellulari sia durante la filogenesi. La cellula apoptotica presenta
caratteristiche ben definite che si distinguono da quelle delle cellule che muoiono per necrosi.
Durante l’apoptosi le cellule si raggrinzano e perdono il contatto con quelle vicine e con le
strutture di superficie, quali i microvilli e le giunzioni cellula-cellula; si dilata il reticolo
endoplasmatico e si formano estroflessioni della membrana molto più numerose che nella necrosi;
la membrana plasmatica e quella nucleare NON si rompono, gli organelli citoplasmatici, quali i
mitocondri, rimangono intatti. Le maggiori modificazioni avvengono tuttavia nel nucleo: si
osserva, sia al microscopio ottico sia al microscopio elettronico, la condensazione della cromatina,
che prima si dispone al di sotto della membrana cellulare (marginazione) e successivamente si
frammenta, dando origine alla formazione di corpi apoptotici circondati dalla membrana cellulare
intatta. I corpi apoptotici vengono fagocitati immediatamente dai macrofagi, prima che si rompa
la membrana e si possa determinare la risposta infiammatoria.
La cellula viene spinta verso l’apoptosi quando una serie di stimoli attiva una catena di segnali
molecolari che, arrivati nel nucleo, attivano a loro volta un insieme di geni della morte. Molti dei
complessi passaggi che portano all’attivazione di specifici geni sono ancora oggetto di studio e
sono differenti nei diversi tipi di cellule. Alla fine del processo, tuttavia, viene attivata sempre uno
specifico enzima (endonucleasi) che frammenta il DNA.
La totale comprensione del processo dell’apoptosi nella sua complessità comporterebbe
importanti implicazioni terapeutiche per alcune malattie. Nei casi in cui la morte cellulare è
15
Dispensa di biologia
insufficiente, come, per es., nelle cellule tumorali, potrebbero essere innescati processi di
apoptosi, mentre il processo potrebbe essere bloccato nei casi in cui l’eccesso di apoptosi
contribuisce all’insorgere e all’aggravarsi di malattie quali l’AIDS o la malattia di Alzheimer (nei
pazienti affetti da AIDS si verifica infatti una massiccia deplezione dei linfociti T, con conseguente
abbassamento delle difese immunitarie a causa dei messaggi di apoptosi che le poche cellule
infettate dal virus inviano alle altre cellule; nelle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, l’
apoptosi si verifica precocemente in un gran numero di cellule nervose).
Mutagenesi e mutazioni
La mutagenesi è la modificazione del codice genetico, con conseguente modifica delle triplette e
del prodotto genico (proteina). L'alterazione indotta da una mutazione genica può avere 3
principali destini:
1. sospensione del prodotto genico indotta dall'introduzione del codone di STOP;
2. perdita di funzionalità del prodotto genico;
3. diminuzione o aumento dell'attività del prodotto genico.
Queste alterazioni del codice genetico possono riguardare sia le cellule germinali che quelle
somatiche. Se le mutazioni colpiscono le cellule germinali (gameti maschili e femminili) vanno a
provocare delle malattie geniche. Durante la meiosi, ad esempio, può avvenire una distribuzione
errata dei cromosomi, con conseguenze che si ripercuotono nei nascituri, come ad esempio
la sindrome di Down, nota come trisomia del cromosoma 21.
Se le mutazioni colpiscono le cellule somatiche, queste ultime possono andare incontro o meno
alla formazione di neoplasie.
L'entità del danno mutageno dipende da numerosi fattori:
•
•
•
•
•
•
concentrazione dell'agente mutageno nell'ambiente;
distribuzione dell'agente mutageno nell'organismo umano;
metabolizzazione dell'agente mutageno;
reattività chimica dell'agente mutageno;
capacità di riparazione del danno da parte delle cellule;
capacità del tessuto bersaglio di riconoscere e sopprimere la moltiplicazione di cellule con
proprietà aberranti.
Tipi di Mutazioni
• Mutazione puntiforme
La mutazione puntiforme prevede un cambiamento di una base azotata. Questa sostituzione può
essere una transizione od una transversione.
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Dispensa di biologia
La transizione consiste nella sostituzione di una base della stessa classe, quindi una purina con
una purina od una pirimidina con una pirimidina. L'adenina può quindi essere sostituita dalla
Guanina e viceversa, mentre la Timina può essere sostituita dalla Citosina e viceversa.
La transversione consiste in uno scambio tra diversi base azotate, quindi una purina con una
pirimidina.
Il risultato genico sarà un aminoacido sbagliato al posto di quello corretto, con delle potenziali
conseguenze assai diverse tra loro.
ESEMPIO DI MUTAZIONE PUNTIFORME
CTC = Leucina
se la Timina è stata sostituita con una Citosina
CCC = Prolina
Come si può notare, con la sostituzione di una sola base abbiamo una codificazione diversa di
aminoacidi, quindi messaggi diversi.
Mutazione per spostamento del modulo di lettura (frameshift)
Questo tipo di mutazione consiste in una delezione o in un'addizione di coppie di nucleotidi.
Avendo due triplette, GCC e CGG, che codificano per due aminoacidi, la prima per l'Alanina e la
seconda per l'aminoacido Arginina, se interviene una mutazione per spostamento del modulo di
lettura si dà origine a sequenze aminoacidiche diverse.
• Mutazione silente
La mutazione silente è un'alterazione della tripletta codificante per un aminoacido, che in seguito
a questa mutazione codifica sempre lo stesso aminoacido pur cambiando la sequenza genica.
• Mutazione di senso
La tripletta subisce una mutazione andando a codificare per un diverso aminoacido, quindi la
sequenza genica viene alterata con modificazione del prodotto proteico finale. In questo caso la
proteina può essere ancora funzionante se la mutazione è avvenuta in un punto della catena
polipeptidica che influenza poco l'attività della proteina, ma se invece la mutazione è avvenuta in
un punto importante della catena polipeptidica, l'attività della proteina può essere pesantemente
o modificata.
• Mutazione non senso
La mutazione non senso porta alla formazione di un codone di stop, quindi la proteina è
nettamente più corta.
•
In che modo una sostanza mutagena provoca queste mutazioni? Esistono principalmente tre
modi con cui le sostanze mutagene possono provocare gravi danni al DNA.
• Il primo modo consiste nella sostituzione delle basi azotate. Alcune sostanze che inducono
mutazioni hanno una struttura chimica molto simile alle basi puriniche e pirimidiniche, per
cui vengono classificate come analoghi delle basi. Questi analoghi si sostituiscono quindi
alle basi originali. Il problema sorge quando la DNA-polimerasi si troverà a replicare il DNA
17
Dispensa di biologia
•
•
incontrando delle basi diverse; di conseguenza vi saranno degli errori a livello della
replicazione dell'acido nucleico.
Il secondo modo consiste in un'alchilazione delle basi da parte di agenti alchilanti. Questi
agenti possono essere monoalchilanti, ed in tal caso si legano in un solo punto della base
azotata, oppure bialchilanti, come le nitrosammine e l'aflatossina, che vanno a legarsi in
più punti delle basi azotate.
Infine, il terzo modo consiste nell'introduzione di molecole planari che spostano il modulo
di lettura, con conseguente modifica del risultato.
Cancerogenesi
Una sola mutazione non provoca il cancro; piuttosto, sono necessarie più mutazioni in zone molto
critiche della cellula, come i geni ed il DNA.
La cancerogenesi è un processo che porta alla formazione del cancro. Il cancro è un insieme di
patologie caratterizzate da un incontrollato accrescimento di cellule anomale. Queste cellule
danno origine ad una popolazione cellulare che - oltre alla capacità di riprodursi velocemente possiede molte caratteristiche, come le capacità di resistenza e la possibilità di invadere sia gli
organi ed i tessuti più vicini che quelli più lontani.
La cancerogenesi può essere causata da agenti genotossici ed in tal caso si parla
di CANCEROGENESI MUTAZIONALE. Tuttavia, la cancerogenesi può essere causata anche da
agenti non genotossici o da agenti epigenetici, per cui viene chiamata CANCEROGENESI
EPIGENETICA.
Nella cancerogenesi mutazionale gli agenti genotossici e DNA-reattivi vanno a provocare una
mutazione nella cellula sana. Questa mutazione provoca un'alterazione del materiale genico
all'interno della cellula, quindi porterà alla formazione diretta di neoplasie.
Nella mutazione epigenetica, invece, la cellula “sana” contiene già i geni per lo sviluppo del
cancro. Questi geni inizialmente si presentano in modalità inattiva, però possono essere attivati
dall'azione di particolari agenti promotori o epigenetici.
Gli agenti epigenetici possono essere degli ormoni (estrogeni coniugati), immunosoppressori,
sostanze allo stato solido (materiale plastico e eternit/amianto o asbesto)), le TCDD (2,3,7,8tetraclorurodibenzo-p-diossina, note come diossine) e gli esteri del forbolo (tetradecanoilforbolo
acetato, DDT).
Molto importante ricordare che un mutageno può diventare un cancerogeno, ma non è detto che
un cancerogeno sia un mutageno.
Che cos'è un cancerogeno? Il cancerogeno è una sostanza che dà origine a neoformazioni tissutali
con caratteristiche atipiche. Non è sempre detto che le neoformazioni tissutali siano maligne; può
anche darsi che la neoformazione sia benigna e poi con il tempo si trasformi in maligna, o rimanga
tale. In qualunque caso di neoformazioni bisogna sempre rivolgersi ad un medico specializzato
che tenga sotto controllo la situazione della crescita cellulare.
I cancerogeni a loro volta possono anche classificarsi in:
•
•
CANCEROGENI CON ATTIVAZIONE-INDIPENDENTE o DIRETTI: i cancerogeni primari o diretti,
come per esempio gli agenti alchilanti o gli isotopi radioattivi, sono già attivi e non
necessitano di attivazioni metaboliche per esplicare la loro azione tumorale;
CANCEROGENI CON ATTIVAZIONE-DIPENDENTE o INDIRETTI: i cancerogeni indiretti, noti
anche come cancerogeni secondari o procancerogeni (ammine aromatiche, IPA), devono
essere prima attivati da metabolizzazioni per esplicare la loro attività cancerogena. La
maggior parte dei cancerogeni sono di questo tipo.
18
Dispensa di biologia
Che cos'è il genotossico? Il genotossico è una sostanza che deriva da un progenotossico, il quale per diventare tale ed indurre una mutazione - deve subire una bioattivazione metabolica. La
stessa cosa si può applicare anche per il cancerogeno. Quindi il cancerogeno terminale deriva dal
procancerogeno attivato con una bioattivazione.
Ritornando al percorso dello sviluppo della cancerogenesi, se la cellula subisce una mutazione al
materiale genico può ripararsi o andare in contro ad apoptosi. Se la fase di riparazione o la morte
cellulare non ha avuto un buon successo, durante la replicazione della cellula mutata l'alterazione
viene trasmessa a livello delle cellule figlie. Fortunatamente, la mutazione può essere silente ed in
tal caso non c'è il verificarsi di neoplasie, ma se la mutazione ha colpito particolari geni della
cellula (onco-soppressori o proto-oncogeni), quest'ultima si avvia verso la produzione di tessuto
neoplastico. Lo sviluppo del tumore è regolato da due particolari proteine (geni) che sono:
1. PROTO-ONCOGENI: accelerano l'attività di proliferazione del tumore riducendo l'apoptosi
cellulare;
2. ONCO-SOPPRESSORI: rallentano l'attività di proliferazione del tumore aumentando
l'apoptosi cellulare.
Normalmente l'attività di questi due geni è bilanciata; fanno cioè in modo di controllarsi a vicenda
e la cellula ha uno sviluppo controllato. Con l'intervento di una mutazione che sbilancia tale
equilibrio, avremo un'elevata attività dei proto-oncogeni ed un'eccessiva riduzione degli oncosoppressori. In seguito a questo sbilanciamento la cellula va in contro a formazione neoplastica.
Un esempio di proto-oncogeni è il gene ras, mentre tra gli onco-soppressori ricordiamo le
proteine p53. È stato constatato che nel 50% dei casi una mutazione a livello delle proteine p53
provoca la formazione di tumori nell'uomo. Le proteine p53 vengono anche definite “guardiani
del genoma”, quindi sono in grado di bloccare il ciclo cellulare in caso di avvenuta mutazione. Con
il blocco del ciclo cellulare permette alla cellula di riparare e indurre apoptosi in caso di
fallimento.
Le tappe della cancerogenesi
La cancerogenesi è composta principalmente
da 3 tappe.
La prima tappa è la fase di INIZIAZIONE ed è
dovuta al contato con il genotossico, che va
provocare la mutazione nelle cellule. Le
cellule che hanno la mutazione vengono
chiamate anche cellule iniziate. Non è detto
che questo danno provochi il tumore, ma in
molti casi le cellule hanno proprio bisogno di
questo promotore che agevoli l'azione di
sviluppo della neoplasia.
La seconda tappa è quella di PROMOZIONE,
che non è un qualcosa di positivo perché in
questa fase le cellule iniziano tumore la loro
moltiplicazione dando origine ad un
raggruppamento di cellule con genoma modificato.
Infine, la terza ed ultima tappa è la PROGRESSIONE, che inizialmente si presenta con
raggruppamento di cellule benigne (neoplasia benigna), però con il passare del tempo le cellule
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Dispensa di biologia
benigne si trasformano in cellule maligne, in seguito all'intervento di altri promotori o altre
mutazioni.
Molto importante per lo sviluppo del tumore è la sequenza delle tappe descritte
precedentemente.
Classificazione delle malattie genetiche
Le mutazioni svantaggiose che sono alla base delle patologie possono introdurre sia una perdita
che un’acquisizione di funzione; esse di solito alterano una sequenza codificante (attraverso
sostituzioni non sinonime, introduzione di codoni nonsense, slittamento del modulo di lettura,
introduzione di ripetizioni ‘in tandem’), o modificano sequenze intrageniche importanti per
l’espressione genica (siti di splicing, elementi conservati di sequenze non tradotte come i
promotori e altre regioni di controllo). Anche le mutazioni che alterano gli RNA o i complessi delle
ribonucleoproteine (RNPs) sono alla base di molte malattie ereditarie: riguardano lo splicing dei
messaggeri, la traduzione, la formazione dei ribosomi. Possiamo classificare le malattie genetiche
in quattro tipi principali: a gene singolo; multifattoriali, cromosomali, e mitocondriali.
Malattie a gene singolo (o mendeliane).
Sono dovute a cambiamenti o mutazioni nella sequenza del DNA di un gene singolo. Sono note di
6.000 malattie genetiche a gene singolo, che si verificano con la frequenza di uno su 200 nei
neonati. I genotipi alternativi alla base di queste malattie danno origine a classi di fenotipi discreti
e ben distinguibili; pertanto esse sono ereditate secondo gli schemi delle leggi di Mendel. Vengono
classificate come dominanti, quando il fenotipo clinico si manifesta sia negli individui eterozigoti
che omozigoti per il gene mutato, e recessive, quando la malattia si manifesta solo negli individui
omozigoti per la mutazione. In base alla localizzazione del gene sui cromosomi vengono poi
suddivise in autosomiche e legate all’X. Molte malattie genetiche mendeliane presentano
caratteristiche cliniche variabili anche tra i membri affetti della stessa famiglia (espressività
variabile), e in alcuni casi non tutti gli individui che posseggono il gene mutato manifestano la
malattia (penetranza incompleta). La variabilità intrafamiliare è dovuta alla combinazione degli
effetti di altri geni non associati (geni modificatori) e di influenze ambientali. La trasmissione
ereditaria delle malattie monogeniche avviene secondo le seguenti modalità:
•
Eredità autosomica dominante. Una persona affetta ha di solito almeno un genitore affetto.
Sono colpiti entrambi i sessi ed è trasmessa da entrambi i sessi. Il figlio di genitori uno affetto
(eterozigote) e l’altro no ha il 50% di probabilità di essere affetto e le anomalie compaiono di
solito in ogni generazione. Esempi di malattie autosomiche dominanti sono la malattia di
Huntington e la sindrome di Marfan. Non tutti gli individui che posseggono il gene mutato
manifestano la malattia (penetranza incompleta) e il grado di manifestazione fenotipica dei
sintomi può presentare ampie variazioni (espressività variabile).
•
Eredità autosomica recessiva. Molte di queste malattie sono dovute a mutazioni in enzimi delle
vie metaboliche. Gli individui affetti di solito sono figli di individui non affetti, o portatori
asintomatici (che possiedono una copia di un gene di una malattia g. recessiva, e non
manifestano la malattia). Il figlio affetto riceve una copia del gene difettivo da entrambi i
genitori. La probabilità per un figlio, di entrambi i sessi, di contrarre la malattia è di 1 su 4. Il
rischio di contrarre una malattia recessiva aumenta se i genitori sono consanguinei: infatti è
maggiore la probabilità di ereditare lo stesso gene raro da un antenato comune. Malattie
autosomiche recessive sono la fibrosi cistica, la fenilchetonuria, l’anemia falciforme.
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Dispensa di biologia
•
Eredità recessiva legata all’X. Le mutazioni sui geni localizzati sul cromosoma X, che non hanno
corrispettivi sull’Y, sono alla base delle malattie genetiche legate al sesso. Sono colpiti quasi
esclusivamente i maschi. I maschi affetti di solito nascono da genitori sani; normalmente la
madre è un’eterozigote asintomatica e può avere parenti maschi affetti. Le femmine possono
essere affette se il padre è affetto e la madre è eterozigote o, occasionalmente, in seguito a
inattivazione non casuale dell’X. Esempi di malattie recessive legate all’X sono la distrofia
muscolare di Duchenne e l’emofilia A.
•
Eredità dominante legata all’X. Sono malattie molto rare (per es., ipofosfatemia e incontinentia
pigmenti), che colpiscono entrambi i sessi, ma prevalentemente le femmine. Il figlio di una
femmina affetta, a prescindere dal sesso, ha una probabilità del 50% di essere affetto. Un
maschio affetto avrà tutte le figlie affette e tutti i figli sani.
Malattie multifattoriali.
Queste malattie genetiche (anche dette complesse o poligeniche) sono dovute all’influenza di
mutazioni su geni multipli in combinazione con fattori ambientali. Per es., geni diversi che
influenzano la comparsa del tumore al seno sono stati identificati su 7 diversi cromosomi. Oggi
molte delle malattie più comuni sono considerate multifattoriali, ad es. le malattie cardiovascolari,
l’ipertensione, la malattia di Alzheimer, il diabete, i cancro, e l’obesità.
Malattie cromosomiche.
Le anomalie cromosomiche che possono avere come risultato una malattia sono dovute alla
perdita di intere copie di cromosomi, o alla presenza di copie extra, o a rotture e riunioni di grandi
frammenti (traslocazioni), o a grandi e piccole delezioni. Ad es., la sindrome di Down o trisomia 21
si verifica quando una persona ha tre copie del cromosoma 21. Altri esempi sono la sindrome di
Klinefelter e la sindrome di Turner (presenza di un solo cromosoma X nella femmina).
Malattie mitocondriali.
Questo tipo relativamente raro è causato da mutazioni nel DNA contenuto nei mitocondri. La
trasmissione avviene attraverso la linea materna. Negli ultimi anni sono state identificate più di
cinquanta malattie genetiche dovute a mutazioni nel DNA mitocondriale, che possono
manifestarsi a qualsiasi età. Alcuni esempi sono: ritardo nello sviluppo, problemi gastrointestinali,
sordità, aritmie cardiache, disturbi metabolici.
Emoglobinopatie
Le emoglobinopatie si suddividono in due grandi categorie: per difetti quantitativi e per difetti qualitativi.
Emoglobinopatie per difetti quantitativi
L’emoglobina normale ha una uguale quantità di α-globina e di β-globina, mentre gli individui affetti da αtalassemia o da β-talassemia presentano uno sbilancio rispettivamente nella quantità di globina α o β. Le αtalassemie derivano da anomalie nel dosaggio genico: le persone normali hanno 2 geni e quindi 4 alleli
della α-globina (genotipoαα/αα).
Le persone con 2 alleli dell’α-globina presentano sintomi lievi (genotipo α-/α- oppure αα/--); quelle che
hanno solo un allele α hanno la malattia in forma grave (α -/-), mentre la mancanza di tutti i geni (genotipo
--/--) è letale.
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Dispensa di biologia
Alcune forme di α-talassemia sono causate da instabilità dell’mRNA o dell’emoglobina. Per es., la Hb
Constant Spring presenta una mutazione in un codone di stop dell’α-globina, pertanto la traduzione della
proteina continua per altri 30 codoni e determina un prodotto proteico instabile.
In un altro caso la mutazione è nella sequenza segnale di poliadenilazione dell’RNAm. Una varietà rara di αtalassemia è causata da una mutazione associata al cromosoma X, il che dimostra l’esistenza sul
cromosoma X di un fattore di controllo dell’espressione della α-globina.
Le mutazioni identificate nel gene che codifica la β-globina e che danno luogo a β-talassemie sono
molteplici: per es., mutazioni non-senso che determinano l’interruzione prematura della sintesi della
globina; mutazioni nel promotore del gene; mutazioni che eliminano normali siti di splicing/">splicing o
attivano nuovi siti di splicing (detti siti criptici di splicing).
Emoglobinopatie per difetti qualitativi
Le sostituzioni di amminoacidi che alterano le proprietà ma non la produzione delle globine producono
fenotipi la cui varietà ha fornito molte informazioni sulla funzione delle emoglobine. Oltre all’anemia
falciforme, causata dalla sostituzione nella β-globina dell’acido glutammico con la valina, vi sono altre
forme di anemia causate da diverse mutazioni del gene che codifica la globina. Nell’ emoglobina la
transizione dalla forma ossigenata a quella non ossigenata è accompagnata da importanti cambiamenti
nella struttura terziaria; la sostituzione di un amminoacido può modificare questo equilibrio e pertanto l’
emoglobina mutata, con alta affinità per l’ossigeno, non riesce a portare ossigeno ai tessuti, causando una
eritrocitosi solitamente benigna, mentre quella con bassa affinità per l’ossigeno determina anemia e
cianosi.
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