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LA RIVISTA DELLA SCUOLA
INSERTO SPECIALE
Filosofia della storia
Software libero
e della politica in Kant
nica legislazione comune, c) secondo
la legge dell’eguaglianza in quanto
cittadini. Si tratta di una costituzione
che prevede diritti sanciti da una
carta e divisione dei poteri. Nell’“Idea
per una storia universale dal punto di
vista cosmopolitico”, Kant tenta di
sostenere la plausibilità del passaggio
alla pace tra Stati, consapevole che si
tratta di congetture più che di argomenti probanti: in particolare, a chi
sostiene che la pace può sussistere
solo tra gli individui e non tra gli
Stati, possiamo obiettare che sarebbe
un’assurdità che la natura facesse
regnare la teleologia tra le parti ma
non nel tutto.
Charles Addams -1956007 - La pubblicità
Nell’ottava tesi, Kant sostiene che
“si può considerare la storia del genere umano in grande come il compimento di un piano nascosto della
natura volto ad instaurare una perfetta costituzione statale interna e
anche esterna, in quanto unica condizione nella quale la natura possa
completamente sviluppare nell’umanità tutte le sue disposizioni”: se –
come abbiamo visto prima - originariamente è il conflitto a sviluppare le
disposizioni umane degli individui, le
quali però giungono a compimento
soltanto in condizioni pacifiche, allora ciò varrà anche per gli Stati, cosicché la condizione di pace sarà in
assoluto la più favorevole allo sviluppo delle disposizioni umane.
La nona tesi è presentata come
un’integrazione dell’ottava: “un tentativo filosofico di elaborare la storia
universale secondo un piano della
natura che tenda alla perfetta unificazione civile nel genere umano deve
essere considerato possibile, e anzi
tale da promuovere questo scopo
naturale”. Ciò significa che i filosofi
non possono pianificare la storia e
creare un ordine giusto, il quale è
invece il prodotto della natura stessa;
tuttavia, essi possono chiarire e, dunque, accelerare tale sviluppo e proprio in ciò risiede il compito dell’Aufklärung.
Passiamo ora a “Per la pace perpetua”: si tratta di un libro che, a tutta
prima, può risultare strano per via
della sua articolazione inconsueta.
Infatti, vi troviamo una prima sezione
contenente sei articoli, poi una
seconda contenente gli articoli definitivi, dopo di che un primo ampliamento e, dopo, un secondo ampliamento. Questa strana struttura si spiega se teniamo conto che Kant, nello
scrivere questo testo, ha ironicamente assunto come paradigma letterario
i trattati di pace stesi dai diplomatici
del suo tempo: in particolare, egli si
rifà al testo del trattato di pace siglato
a Basilea nel 1795 e traveste il suo
saggio nelle forme di un trattato
avente le sue precondizioni, le sue
parti centrali e le “clausole segrete”
(così si spiega il curioso titolo del
secondo supplemento: “Articolo
segreto per la pace perpetua”).
Abbiamo in precedenza definito il
primo dei tre articoli definitivi dell’opera, quello secondo cui ogni costituzione civile dev’essere una repubblica. Il secondo introduce l’elemento
esterno, in quanto guarda al rapporto
intercorrente tra gli Stati, ossia al
diritto internazionale, che deve risol-
versi in una “confederazione di liberi
Stati” (liberi nel senso di sovrani, cioè
privi di un potere superiore) tale da
poter dirimere le controversie tra
Stati senza far ricorso alla guerra.
Kant è pienamente consapevole del
rischio che si possa voler risolvere il
problema dei rapporti tra Stati creando uno Stato “planetario” (del resto
già Dante pensava ad una “monarchia universale”): ma ciò comporterebbe – egli rileva – un dispotismo
tale da costringere gli altri Stati attraverso princìpi troppo rigidi. Tuttavia,
egli riconosce anche che, se tale Stato
planetario fosse attuabile in modo
non dispotico, non sarebbe una cattiva cosa: ma poiché ciò è
difficilmente attuabile,
ci dobbiamo accontentare di un “surrogato
negativo” dello Stato planetario, ossia dobbiamo
puntare ad una confederazione che ripudi la
guerra e faccia regnare
la pace.
Il terzo e ultimo articolo
riguarda il “diritto
cosmopolitico”, col
quale Kant pare legittimare un diritto di accoglienza e, dunque, porre
le basi per una società
multiculturale.
In
realtà, per Kant tale
diritto dev’essere limitato alle condizioni dell’ospitalità universale, la
quale non è una forma
di filantropia, ma è piuttosto il diritto di uno
straniero a non essere
trattato “in modo ostile
quando arriva sul suolo
di un altro Stato”.
---------------------------
“
per Kant l’ospitalità
universale non è una
forma di filantropia,
ma è piuttosto il diritto
di uno straniero a non
essere trattato in modo
ostile quando arriva sul
suolo di un altro Stato
--------------------------gli non si propone qui di
tratteggiare una società
multiculturale in cui trovino posto gli stranieri di
ogni dove, ma sta piuttosto criticando
quelle politiche coloniali dell’Occidente che si imponevano occupando
altri territori e violando tale diritto di
ospitalità (lo mutavano anzi in diritto
di occupazione). Si tratta – precisa
Kant – di un “diritto di visita”: tutti
hanno diritto ad occupare una porzione di superficie terrestre senza
essere cacciati.
Passando alla prima sezione dell’opera, vi troviamo quegli “articoli preliminari” che enunciano ciò che gli
Stati debbono o non debbono fare se
si vuole ottenere la pace: ad esempio,
nei trattati di pace non ci devono
essere clausole che prevedano ulteriori occasioni di guerra, lo Stato non
può considerarsi proprietà patrimoniale del sovrano, gli eserciti devono
gradualmente sparire del tutto, non si
devono contrarre debiti di guerra tra
Stati, nessuno Stato deve intromettersi con la forza nel governo degli altri.
Kant prevede inoltre uno ius in bello
tale per cui nessuno Stato deve permettersi, in guerra, di usare sicari,
avvelenatori e frodi di altro genere:
l’idea di fondo è che anche in guerra
si debbano rispettare norme ed evitare “stratagemmi infami”, poiché deve
sussistere un minimo di fiducia anche
negli Stati, altrimenti mai si arriverà a
siglare una pace e le guerre termineranno soltanto col la distruzione totale del nemico. Il “primo supplemento” dell’opera si occupa delle garanzie della pace perpetua e, a tal proposito, Kant recupera le sue riflessioni
di filosofia della storia emerse
nell’“Idea per una storia universale
dal punto di vista cosmopolitico: a
garantire la pace è il “piano della
natura” e anche una repubblica “di
diavoli”, se razionale, riuscirebbe a
dare una soluzione conveniente al
problema della convivenza.
E
Antonio Fundarò
Anno XXX11, 1/28 febbraio 2011, n. 6
per una Scuola Libera
di
ROSITA BONO, CORRADO TIRALONGO, ANTONIO FUNDARÒ
Tagli alle scuole e mantenere aggiornati ed
efficienti i laboratori scolastici non sono
sinonimi. Riduzione delle spese e ottimizzazione dei costi diventano essenziali per portare avanti gli obiettivi didattici dell’istituzione. “Le tribolazioni aguzzano il cervello”, scriveva Manzoni, e il Free Software è
libero e gratuito.
L
a “licenza”, in ambito informatico, è il contratto che può accompagnare un prodotto
software. Tale contratto specifica le modalità
con cui l'utente (privato, professionista, ente
o azienda) può usare tale prodotto, garantendo dei diritti
(per esempio la possibilità di utilizzarlo) ed imponendo
degli obblighi (il costo per acquistarlo, l'impossibilità di
copiarlo o modificarlo, ecc.). I termini contrattuali della
“licenza d'uso” sono imposti da chi detiene (paternità) il
copyright sul prodotto software (software-house o singolo programmatore informatico), nel rispetto, ovviamente,
delle leggi vigenti nel paese di destinazione.
“Il Software Libero (Free Software) è un software
rilasciato con una licenza che permette a chiunque di utilizzarlo e che ne incoraggia lo studio, le modifiche e la
redistribuzione; per le sue caratteristiche, si contrappone
al software proprietario, incentrandosi sulla libertà dell’utente” (tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera).
Un software libero è, quindi, un software rilasciato
con una licenza tale che permette a chiunque di poter
eseguire il programma per qualunque scopo, sia in ambito personale (educativo, svago) che professionale (aziende, imprese), che ne incoraggia lo studio di come il
software è fatto, cioè accedere alla struttura interna del
programma (codice sorgente), è permesso a chiunque lo
voglia di apportare modifiche per migliorarlo (risolvere
difetti, aggiungere funzionalità) e consente, senza nessun
vincolo, la redistribuzione, ovvero farne delle copie e
diffonderlo a coloro che lo vogliono utilizzare (attraverso cd-rom, siti internet, ecc.).
Per le sue caratteristiche, questa licenza “aperta”,
denominata “Gnu GPL” (Gnu General Public License),
si contrappone a quelle tipiche del software proprietario,
i cosiddetti programmi commerciali a codice sorgente
“chiuso” (sistemi operativi, pacchetti per l’ufficio, programmi per la grafica, ecc.), che oltre a proporre un
prezzo da pagare per acquistarne la semplice licenza
d’uso (e non il prodotto) e delle forti restrizione nel loro
utilizzo rispetto alle libertà appena citate. Il software
libero, e quindi anche Linux, è distribuito liberamente,
gratuitamente, attraverso diversi canali.
Richard Matthew Stallman (nato a Manhattan, New
York, il 16 marzo 1953) è uno dei padri fondatori del
concetto del “copyleft” nonchè pioniere della nascita e
diffusione del software libero. Nel 1983 Stallman iniziò
a lavorare al progetto Gnu (acronimo ricorsivo che fa
riferimento al movimento filosofico) ed elaborò il Manifesto Gnu, fondando nel 1985 la Free Software Foundation. Nel 1989 ideò il concetto di “copyleft” (copia libera) contrapposto a quello di “copyright” (diritto d’autore).
Il sistema operativo Linux è, sicuramente, l’emblema
del Software Libero ma è molto di più di un sistema
operativo sicuro e libero. Linux e il software libero vengono mossi da questi ideali etici di lunga portata: il diritto alla conoscenza deve essere garantito a tutti.
Non il capitale economico come motore della ricerca
e dello sviluppo ma la competenza e la voglia di migliorare e migliorarsi.
Linux, a differenza di qualche anno fa, è ormai diventato alla portata di tutti. Se un tempo, infatti, il sistema
operativo del pinguino era dominio esclusivo di esperti e
smanettoni informatici, adesso con le possibilità offerte
dalle varie interfacce grafiche (finestre e icone), anche i
profani possono apprezzare i vantaggi offerti di questo
sistema operativo.
Il sistema operativo Linux, come prodotto concreto di
questo nuovo modo di concepire il software, vede la luce
nel 1991 grazie al giovane studente Linus Torvalds,
appassionato di programmazione. Oggi Gnu/Linux è il
prodotto tangibile di tantissimi appassionati e indipendenti informatici, creato per pura sfida intellettuale,
senza vincoli commerciali.
Questo ha generato due importanti conseguenze: in
primo luogo il risultato ottenuto è la sorprendente collaborazione di migliaia di programmatori sparsi in tutto il
mondo, (per questo viene considerato come il più grosso
progetto collaborativo della storia dell’uomo); il secondo
aspetto è la “liberalizzazione” del prodotto, questo significa che Gnu/Linux è un software libero che permette
agli utenti di avere a disposizione un sistema completamente funzionante slegato dalle classiche leggi commerciali.
Non esiste un’unica versione di questo sistema operativo, ma esistono diverse distribuzioni (Ubuntu, Mandriva, Mint, ecc.) solitamente create da comunità di sviluppatori o da società che preparano e scelgono i pacchetti
software da includere (programmi di videoscrittura, per
la gestione della posta elettronica e per la navigazione
sul web, per il foto-ritocco, per la visione e l’ascolto dei
file audio e video) nonché l’aspetto grafico (colori, finestre, sfondi).
Tutte le distribuzioni però condividono il cosiddetto
kernel di Linux (cioè il cuore del sistema). Utilizzare
Linux insieme a tutto il software libero che viene dato a
corredo del sistema operativo, in sostanza, significa liberarsi dalle logiche commerciali dei software proprietari
che propongono costantemente versioni aggiornate dei
loro prodotti spesso non compatibili tra loro solo per il
puro profitto, e liberarsi da software poco testati e quindi
poco stabili e sicuri. Utilizzare Linux e software libero
significa avere libertà di scegliere quali prodotti utilizzare
tra loro equivalenti e compatibili (OpenOffice, KOffice,
LibreOffice, ecc.), significa la possibilità di adattare il
software alle nostre esigenze e non viceversa e, infine,
significa avere più soldi in tasca visto che il software
libero è anche gratuito.
In realtà, nel Software Libero il significato della parola
“libero” non è incondizionato perché è soggetto ai precisi
vincoli della licenza d’uso, come qualsiasi altra licenza
d’uso, solo che in questo caso l’autore si “espropria” di
alcuni (molti) diritti per cederli agli utenti.
Questi vincoli sono studiati in maniera tale da favorire
il tipo di libertà cosiddetta “copyleft”, che ha come obiettivo principale la condivisione del sapere, un sapere che
deve essere accessibile a tutti e per tutti, cercando di eliminare eventuali barriere per l’accesso (lingua e nazionalità, disponibilità economica).
Pertanto, il Software Libero parte da considerazione
sociali e, per molti aspetti, è innanzitutto una forma di
filosofia.
Secondo Richard Stallman e la Free Software Foundation da lui fondata, un software per poter essere definito
libero deve garantire quattro libertà fondamentali:
- Libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo
(chiamata “libertà 0”)
- Libertà di studiare il programma e modificarlo
(“libertà 1”)
- Libertà di copiare il programma in modo da aiutare il
prossimo (“libertà 2”)
- Libertà di migliorare il programma e di distribuirlo
pubblicamente (“libertà 3”).
Il Software Libero viene distribuito con la licenza
GNU/GPL (GNU General Public License), scritta da
Stallman e Eben Moglen per garantire legalmente a tutti
gli utenti le quattro libertà fondamentali. Il Software
Libero, invece, non deve essere confuso con il software
“freeware”, che è distribuibile gratuitamente, ma spesso
solo per uso personale e non commerciale, ma che non è
né Software Libero né opensource.
Da precisare che il termine inglese “free”, in questo
caso, non è utilizzato nell’accezione di “gratuito” ma di
“libero”, ciò significa che il software rilasciato come Free
Software potrebbe avere anche un prezzo (ciò di solito
avviene quando si chiede ad un esperto programmatore di
personalizzare il software con delle modifiche che ci interessano).
Il Software Libero non deve, infatti, necessariamente
essere sviluppato a titolo gratuito o a fondo perduto. Purché si rispettino i vincoli della licenza d’uso, è possibile
vendere del Software Libero, ma essendo libero lo si può
liberamente, e gratuitamente, ri-distribuire.
Molte aziende, professionisti e programmatori hanno
creato dal nulla enormi profitti “vendendo” assistenza e
personalizzando il software adattandolo alle specifiche
richieste del cliente (vedi Canonical con il sistema ubuntu
Linux Server o Sun Microsystem con OpenOffice e
Java). L’unico requisito che queste aziende hanno messo
in campo è stata l’abilità e la capacità di soddisfare queste richieste nel miglior modo possibile. D’altra parte, i
margini di risparmio per chi utilizza un software libero,
aziende, enti e liberi professionisti, sono considerevoli
visto che non viene richiesto nessun prezzo per la licenza
d’uso.
Dati alla mano, numerose versioni di Linux sono “caricate”, a nostra insaputa, all’interno di una enorme varietà
di elettrodomestici e apparati tecnologici oggi in uso (lettori dvd, navigatori satellitari, telefonini e smartphone,
ricevitori digitali per la TV, televisori di ultima generazione). E, sempre dati alla mano, importanti enti pubblici
e privati e aziende quali banche e operatori di borsa,
hanno di recente apprezzato gli enormi vantaggi di questi
sistemi operativi, in termini di costi ma sopratutto di affidabilità e sicurezza, installando nei loro computer server
sistemi operativi “free and open” come Linux.