CONTRATTI DI LAVORO

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CONTRATTI DI LAVORO
IL CONTRATTO
DI LAVORO
SUBORDINATO
Torino – 24 febbraio 2016
Avv. Paolo Berti
Art. 2094 Codice
subordinato
Civile.
Prestatore
di
lavoro
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell'impresa,
prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.
Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81
Articolo 1
Forma contrattuale comune
1. Il contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato costituisce la forma comune di rapporto
di lavoro.
È un contratto in virtù del quale il lavoratore è obbligato ad operare al
servizio del datore di lavoro per un tempo, determinato o indeterminato, ed
il datore di lavoro a pagare un corrispettivo per le prestazioni rese
È un contratto:
- tipico
- nominato (cioè individuato e disciplinato dalla legge)
- bilaterale
- sinallagmatico
- il più delle volte oneroso, essendo possibile seppur raramente una
tipologia lavorativa detta "lavoro gratuito"
CAUSA DEL CONTRATTO
scambio di lavoro per retribuzione
OGGETTO DEL CONTRATTO
prestazione lavorativa (manuale
o intellettuale) e retribuzione che il datore di lavoro ha l'obbligo di
corrispondere come controprestazione
Vi sono ipotesi in cui si assiste ad eccezioni rispetto al sinallagma contrattuale
Ad esempio: maternità, malattia, infortunio…
FORMA DEL CONTRATTO
non è prevista una particolare forma per il contratto di lavoro
subordinato, che può pertanto essere concluso anche oralmente o
per atti concludenti alla luce del principio generale di libertà della
forma.
Vi sono casi in cui tuttavia le forma scritta è richiesta:
• a pena di nullità, ad esempio per il contratto di lavoro sportivo
• per il contratto di lavoro a tempo determinato: è previsto che il termine risulti apposto
per iscritto (se non si rispetta la forma, il rapporto si intende a tempo indeterminato)
• per il patto di prova e il patto di non concorrenza: è necessaria la forma scritta,
altrimenti si considerano come non apposti
• per il part-time è prevista la forma scritta ad probationem (d.lgs. 81/2015)
• assegnazione a mansioni inferiori: deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità
(v. d.lgs. 81/2015, in seguito a modifica art. 2103 c.c.)
NOMEN IURIS
il nomen iuris utilizzato è un elemento importante, ma non determinante,
perché non esclude la possibilità che il giudice, in sede di accertamento delle
effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, attribuisca una
diversa qualificazione giuridica al rapporto.
«Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, il nomen iuris utilizzato dalle parti, se
costituisce elemento certamente rilevante, non esime tuttavia dall'accertamento delle
effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Dovendo il giudice
accertare in maniera rigorosa se quanto dichiarato nel documento contrattuale si sia tradotto
nella realtà attribuendo prevalenza agli elementi di fatto rispetto ai dati formali risultanti dal
contratto». (Trib. Milano 6/5/2009, d.ssa Pattumelli, in Lav. nella giur. 2009, 848)
PATTO DI PROVA
elemento accessorio del contratto di lavoro con peculiarità riconducibili al “termine” ed alla “condizione”
Art. 2096 Codice Civile. Assunzione in prova.
Salvo diversa disposizione, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di
prova deve risultare da atto scritto.
L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e
a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza
l'obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo
minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza
del termine.
Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato
si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro.
Cass. Civ., Sez. Lav., n. 3852/2015
«Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover
risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione
delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, in relazione alle
quali il datore di lavoro dovrà esprimere la propria valutazione
sull’esito della prova. Tale specificazione può essere operata anche
“per relationem” alla qualifica di assunzione, ove questa […]
corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca
le mansioni comprese nella qualifica sempre che il richiamo sia
sufficientemente specifico» (v. anche Cass. Civ. n. 1957/2011;
Cass. Civ. n. 11722/2009).
C. App. Campobasso Sez. lavoro, 16/09/2014
“La necessità di specificazione delle mansioni su cui verte la prova si fa maggiormente
stringente al crescere della qualifica. Se alla specificazione di mansioni richieste ad un
operaio semplice da sottoporre a prova ben può bastare il riferimento alla declaratoria
contrattuale e la verifica del suo operato può seguire anche ad un mese di lavoro, nel
caso in cui il lavoratore sia chiamato a compiti di responsabilità, va da sé che gli spazi
necessariamente lasciati vuoti dalla contrattazione collettiva per ciò che concerne
modalità e contenuti operativi delle relative mansioni siano da colmare con la precisa
indicazione degli obiettivi concretamente raggiungibili nel periodo di prova
concordato, altrimenti rimanendo innegabile, in assenza di contenuti riscontrabili, o
comunque suscettibili di alternative valutazioni, che il patto di prova, del tutto
incoerentemente con la sua causa, si risolverebbe in un agevole strumento di
insindacabile potere di recesso datoriale in ragione di altrettanto insindacabile giudizio
di gradimento del lavoratore, avulso da qualsivoglia possibilità di verifica delle
qualità o capacità professionali del sottoposto a prova e del rendimento della
sua opera, dunque in totale dissonanza con la ratio di tutela del comune interesse
delle parti contrattuali a valutare la reciproca convenienza alla prosecuzione del
rapporto che l'art. 2096 attribuisce all'assunzione in prova.”
PATTO DI NON CONCORRENZA
Art. 2125 Codice Civile. Patto di non concorrenza
«1. Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di
lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta
da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e
se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di
luogo.
2. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di
dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si
riduce nella misura suindicata»
PATTO DI NON CONCORRENZA
Requisiti di legittimità a pena di nullità:
1. Forma scritta
2. Durata massima: 5 anni per dirigenti, 3 per altre categorie di lavoratori
3. Previsione di un corrispettivo (per la giurisprudenza “congruo”, ossia proporzionato al
sacrificio richiesto al lavoratore)
4. Vincolo contenuto entro “determinati limiti di oggetto, tempo e luogo”.
N.B. Se è pattuita una durata superiore a quella massima consentita, essa si riduce nella
misura massima prevista.
Il riferimento territoriale deve comunque essere specifico e deve essere valutato, ai fini della validità
del patto, congiuntamente ai limiti di oggetto ed allo scopo che si intende raggiungere
(rapporto di proporzionalità inversa con l’oggetto in relazione al settore di riferimento, alle mansioni
espletate, al grado di specializzazione delle stesse).
Corte Cass. 10 settembre 2003 n. 13282
“Il patto di non concorrenza, previsto dall’ art. 2125 cod. civ., può riguardare qualsiasi
attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve quindi
limitarsi alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso è, perciò,
nullo allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta
professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale»
CORRISPETTIVO per il patto di non concorrenza
•
•
•
a)
b)
•
•
Può consistere in somme di denaro, oppure altre utilità (ad es. remissione di un debito);
deve essere sufficientemente determinato o quanto meno facilmente determinabile;
può essere liquidato:
in corso di rapporto: in questo caso si configura come un elemento integrante della retribuzione;
oppure dopo la cessazione dello stesso:
deve essere congruo e proporzionato al sacrificio richiesto al lavoratore;
può essere quantificato in cifra fissa (solitamente in percentuale della retribuzione annua o mensile) o ad
“accumulo progressivo” (versamento annuale ovvero rate mensili + eventuale adeguamento al momento
della cessazione del rapporto.
Parametri per valutare la congruità del corrispettivo:
né simbolico né irrisorio
misura della retribuzione (di norma dal 10% in su)
estensione (temporale) territoriale e di oggetto del patto
professionalità del dipendente e capacità reddituale alternativa
proporzionale al sacrificio reddituale imposto al lavoratore
maggiori spese necessarie al dipendente per ricollocarsi sul mercato del lavoro o per cambiare
luogo di lavoro
libertà di attività professionale alternativa
Patto di prolungamento del preavviso
Ha la funzione di garantire alle parti una stabilità del
rapporto ulteriore rispetto a quella stabilita dai CCNL.
Non può essere previsto un corrispettivo irrisorio, vale a dire sproporzionato al
sacrificio connesso alla conseguente riduzione delle possibilità di guadagno.
Cass. civ. Sez. lavoro, 12/03/2015, n. 4991
«E’ valida la clausola del contratto individuale che
preveda un termine di preavviso per le dimissioni più
lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove
tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo
ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior
termine, un compenso in denaro.»
(la sentenza ha escluso altresì che tale accordo si ponga in
contrasto con l’art. 1750 cod. civ., di cui va esclusa
l’applicazione)
IL «CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI»
D. lgs. n. 23/2015, attuativo del c.d. Jobs Act (Legge n. 183 del 2014), riguardante il
“contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti” (C.T.C.).
A dispetto del nome, il decreto in parola non introduce una nuova tipologia
contrattuale, bensì un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento
illegittimo,
Sostituisce la disciplina prevista dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970 (c.d. Statuto dei
Lavoratori); detto regime non avrà valenza generale, ma viene applicato ai soli
lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato, come operai, impiegati e
quadri, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 7/3/2015
La regolamentazione di cui al decreto legislativo n. 23 del 2015 non contempla alcuna progressione delle
tutele, che restano anzi rigide ed immutate, aumentando unicamente, ed inevitabilmente, l’anzianità di servizio
dei lavoratori, eletta a parametro moltiplicatore dell’indennizzo.
Improprio è anche l’uso del termine “contratto” in quanto, come unanimemente riconosciuto dalla dottrina
giuslavoristica, il decreto legislativo in esame non ha aggiunto alcun nuovo tipo contrattuale a quelli già
esistenti ma è intervenuto modificando la disciplina dei licenziamenti nei rapporti di lavoro con contratto a
tempo indeterminato.
L’escamotage insito nel ricorso alla definizione di “contratto a tutele crescenti” ha permesso al legislatore di
non toccare e, persino, di non citare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, benché lo stesso fosse
obiettivo primario delle modifiche apportate. Contrariamente a quanto accaduto con la legge n. 92 del 2012
(c.d. Legge Fornero), che ha direttamente modificato la norma, con effetto sui licenziamenti intimati in epoca
successiva alla data di entrata in vigore della legge, il decreto legislativo del 2015 ha riservato le novità
peggiorative al futuro, ai nuovi assunti, lasciando in vita l’articolo 18 fino al suo esaurimento naturale, fintanto
che non si estingueranno tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato instaurati prima del 7 marzo 2015.