fantastica

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fantastica
la Repubblica
domenica 10 ottobre 2010
pag. 46 - 47
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Dal capolavoro di Fritz Lang (ora in versione
restaurata) ai sogni di “Inception”
Ma anche dalla New York di Little Nemo
ai casermoni di “Métal Hurlant”. Capaci di intuire i tempi che verranno,
SPETTACOLI
disegnatori e sceneggiatori sono ormai i veri sismografi della modernità
Come racconta una mostra che celebra la forza dell’immaginazione
Metropolis
la città
fantastica
Cinema & fumetto
architetture
per mondi futuri
SIEGMUND GINZBERG
nche le città, gli edifici, le realtà sognate, immaginate, fantasticate,
profetizzate hanno bisogno di architetti. Ho appena visto al cinema
Inceptiondi Christopher Nolan. Tra
le trovate più fantastiche c’è quella
dell’architetto che fa la sceneggiatura dei sogni, ne
disegna i diversi livelli, immensi paesaggi urbani
immaginari, intere città di grattacieli che sorgono
e si sfaldano, gli ambienti, l’arredamento. Guarda
caso si chiama Ariadne, quella che guidò Teseo
fuori dal Labirinto, interpretata da Ellen Page. Anche se qui si tratta di labirinti mentali. E non vedo
l’ora che arrivi anche sui nostri schermi (a Londra
e a Parigi lo proiettano da settimane) il Metropolis
restaurato grazie anche ad uno spezzone d’archivio ritrovato a Buenos Aires nel 2008. Quando fu girato nel 1927 era un capolavoro di fantasia architettonica. L’“architetto” del film di Fritz Lang, Karl
Volbrecht, aveva declinato lo stile Impero di
Manhattan, Art Déco, Bauhaus ed Espressionismo
in un futuro gotico e tetro quanto i tempi che si avvicinavano. Ed è curioso che molti dei più grandi
registi, sceneggiatori, artisti e disegnatori di fumetti che nella prima metà del Novecento fuggirono il
nazismo in Europa e fecero fortuna in America fossero architetti. Le Corbusier definiva l’architettura
come «magistrale, corretto e magnifico gioco della
forma nella luce». Vale per l’architettura quanto
per il cinema. E anche per la pittura e i fumetti. Tutti modi per rendere in forma visiva i complessi labirinti della mente. Pensate solo alla cura che Hitchcock dedicava a organizzare nei minimi particolari l’architettura dei suoi esterni ed interni, oppure all’influenza esercitata da Moebius sul Cinquième elementdi Luc Besson o sull’ambientazione architettonica di Blade Runner.
Mi è capitato di visitare a Parigi e a Londra due
spettacolari esposizioni che trattano di case, ambienti, edifici e città d’invenzione e fantasia, architetture da sogno, da incubo o da utopia. Giocando
con le profezie, le apocalissi metropolitane e quelle della mente, ma anche con un liberatorio senso
dell’humour. Archi & BD, La Ville dessinée, allestita alla Città dell’architettura al Palais de Chaillot
(dura fino al 28 novembre), è una vera e propria enciclopedia sull’architettura nei fumetti. Si va dalla
New York inizi Novecento di Winsor McCay, con
Little Nemo che si aggira tra i grattacieli, a quella,
concepibile solo dopo l’11 settembre, in cui gli
stessi grattacieli vengono rasi al suolo. Dalla satira
benigna degli interni raffinati della “casa di vetro”
DAVID MAZZUCCHELLI, PAUL KARASIK CITÉ DE VERRE DI PAUL AUSTER, 1994
A
Come facevano
a prevedere
negli anni Venti
la Seconda guerra
mondiale, il conflitto
in Bosnia e persino
l’11 settembre?
segue
la Repubblica
HERVÉ TULLET,2006
JEAN-YVES DUHOO, 2004
ENKI BILAL, LE SOMMEIL DU MOSTRE, 1998
PHILIPPE FRANQ, JEAN VAN HAMME, SCÉNARIO, LA VOIE ET LA VERTU, 2008
PHILIPPE BERTRAND, LINDA AIME L’ART LA VIE MODERNE, 1989
domenica 10 ottobre 2010
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I FILM
LA MOSTRA
In alto a destra,
Metropolis (1927);
a sinistra, Blade
Runner (1982)
e in basso
Inception (2010)
Poi ancora fumetti:
a lato Octobre
(2002)
di Antonio Garcia;
sopra, Le sommeil
du monstre
di Enki Bilal;
a destra, una tavola
di Jean-Yves Duhoo
(2004) e una
di Hervé Tullet
(2006)
Tutti i disegni che illustrano
queste pagine fanno parte
di una esposizione
che si tiene al Palais
de Chaillot di Parigi
fino al 28 novembre
e sono tratti dal catalogo
della mostra Archi & BD,
la ville dessinée
(a sinistra la copertina)
di Pierre Chareau a quella, sempre umoristica ma
assai più amara, dello spaccato di casa popolare di
banlieue (leH. L. M. infernal) di Jano da Métal hurlant. Dall’esilarante caricatura della casa moderna del Mon Oncledi Tati alla satira della casa nei fumetti di Jochen Gerner. C’è anche un divertentissimo manuale dell’idiozia architettonica disegnato da Reiser, che si conclude con un «Non aux architects debiles», no agli architetti dementi, con
neon gigantesco sulla facciata di un parallelepipedo-casermone. Una vera e propria delizia in fatto
di animazione vintage è la storia surreale del Chrysler e dell’Empire State Building, colti a letto in flagrante fornicazione da Rem Koolhaas e Madelon
Vriesendorp. Sesso e architettura: basic instincts.
La città-macchina, le macchine che distruggono la città, la città in rovina, sono classici del fumetto. Quella che è stata chiamata la «metafisica
delle rovine», dell’apocalisse e della catastrofe che
incombe, dei grandi monumenti e civiltà che si
sfaldano sotto i nostri occhi, ha radici ancor più
lontane nel tempo. Monsù Desiderio e Didier Barra avevano anticipato, secoli fa, quasi tutto quello
che immaginano i disegnatori contemporanei. In
qualche modo, anche il barocco Piranesi ne era
stato un anticipatore con i suoi collage di edifici
d’invenzione. Ma si resta comunque colpiti dalla
capacità profetica, fin nei dettagli, di alcune di
queste rappresentazioni esposte. Come facevano
questi disegnatori di fumetti a prevedere negli anni Venti gli effetti dei bombardamenti a tappeto
delle città nella Seconda guerra mondiale, i massacri e le distruzioni nella guerra in Bosnia e l’11
settembre a New York? «Gli autori e i disegnatori
sono come dei sismografi. Captano gli sconvolgimenti storici, sociali e architettonici del loro tempo», sostiene il curatore della mostra parigina,
Jean Marc Thévenet.
Impressionanti i risultati anche quando il fumetto “architettonico” incrocia la fantascienza.
Una tavola di Enki Bilal (autore anche di Monstre,
una tetralogia a fumetti sulla guerra nell’ex Jugoslavia) rappresenta una città su cui si librano neuroni e sinapsi. Un disegno da Archigram, il collettivo di architetti che negli anni Sessanta avevano
anticipato la babele dei blog, mostra il progetto di
una meccanica Città che cammina. Ho visto su Internet che ora si immaginano anche città che
“pensano”, che ricorrono alla fuzzy logic per automatizzare le decisioni, e che potrebbero presentarsi come la prima vera forma di intelligenza artificiale. Ridateci la pur dispettosa casa-robot di Tati, s’il vous plait!
Forse ancora più divertente la mostra The sur-
ANTONIO GARCIA, 2002
I DISEGNI
In alto a sinistra La vie moderne (1989)
di Philippe Bertrand. Sopra La voie et la vertu
(2008) di Philippe Francq e Jean Van Hamme
Nella pagina di sinistra Cité de verre (1994)
di David Mazzucchelli e Paul Karasik
real House al Barbican Art Gallery di Londra. È una
strepitosa, spiritosissima antologia di case assurde, immaginate, surreali. Si comincia con lo studio
di Sigmund Freud, compresa la sua bizzarra poltrona design modernista in pelle, che ricorda vagamente uno strumento di tortura medievale, e
con il caos di paccottiglia del soggiorno di André
Breton, che richiama, sia pure con un po’ più di
fantasia, l’accozzaglia kitsch del salotto del Vittoriale di D’Annunzio. Si prosegue con una magnifica carrellata di dipinti con abitazioni e mobilio di
Salvador Dalì, Magritte, Max Ernst, Giacometti,
Duchamp, De Chirico. Questa mostra però non è
tanto all’insegna del rovello e della denuncia (non
per niente è stata allestita a Londra, non a Parigi),
bensì del puro godimento. Una festa di fantasia e
humour. «Si sa che la sensualità ha sopraffatto anche gli edifici più razionali. L’architettura è l’atto
erotico definitivo, portatela all’eccesso e rivelerà
simultaneamente sia tracce della ragione, sia l’esperienza sensuale della ragione», avverte un manifesto di Bernard Tschumi, illustrato con la foto
dell’androne di una casa popolare in disfacimento. Ma il meglio viene, anche qui, coi filmati, quasi
più vari e numerosi degli oggetti. Dallo strepitoso
Steamboat Jim di Buster Keaton a un lungo estratto dallo Zio di Tati, passando per i deliziosi e meno
conosciuti filmati del ceco Jan Svankmajer. Unica
pecca: che l’esposizione sia stata alloggiata nel
complesso del Barbican, una delle più tristi cattedrali nel deserto della nuova architettura londinese. Vien quasi da dare ragione al Principe Carlo
quando si fece sfuggire la nota gaffe contro gli architetti.
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