Il “senso” della valutazione. Fenomenologia sociale e opzioni

Transcript

Il “senso” della valutazione. Fenomenologia sociale e opzioni
10
Il “senso” della valutazione. Fenomenologia
sociale e opzioni epistemologiche
ELIO DAMIANO
Abstract: his article is made up of two parts. he former proves the efusiveness of the
Evaluation in many social domains, from “system-world” until the “life-world”, and
attempt some plausible interpretative hypotheses. he latter part arguments the limits,
which are ethical and epistemological, of the established Educational Evaluation and
deduces a look turn about the school and the teachers.
Riassunto: Questo articolo si compone di due parti. Nella prima descrive la difusione
della Valutazione in vari ambiti della società, da quelli sistemico-funzionali a quelli vitali-espressivi e avanza alcune ipotesi di interpretazioni plausibili. Nella sezione che segue si argomentano i limiti, in particolare valoriali ed epistemologici, della Valutazione
educativa corrente e se ne deduce la necessità di una svolta nel modo di guardare alla
scuola ed agli insegnanti.
Parole chiave: società disciplinare, manufactured risk, giudiziarizzazione, causazione, assiologia, de-professionalizzazione.
Valutazione, oggi, è nozione pervasiva, domina la scena scolastica, orienta la ricerca scientiica, governa tutti i campi del sociale, dall’amministrazione alla politica all’economia. Ovunque si usi il termine, Valutazione è
parola d’ordine, sinonimo di prova, rigore, trasparenza e democrazia.
La Valutazione come sapere emergente: dimensioni
Una prima prospettiva d’analisi può essere quella “spaziale”. Nel campo pedagogico-scolastico l’estensione della Valutazione nelle forme attuali
non ha precedenti. Da quando, come Docimologia, era principalmente una
metrica degli esami, centrata sugli “errori” dei correttori, la Valutazione si
è sviluppata diventando una presenza massiccia che indaga non solo classi
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
11
scolastiche ma scuole come unità organizzative e interi sistemi educativi
nella loro complessità: dalle prestazioni degli alunni agli assetti amministrativi, alla governance, con le strategie di riforma, ivi comprese le politiche
di internazionalizzazione, dalla circolazione degli studenti ino al marketing dei servizi educativi (ivi compreso il know-how valutativo), e ovviamente l’economia dell’istruzione nel quadro dei bilanci degli stati nazionali.
E poiché la scuola trae forza e debolezze dall’ambiente per il quale opera,
la Valutazione esonda i conini della scuola per entrare nel merito dei suoi
rapporti con il contesto in cui si colloca, prendendo in considerazione il
capitale sociale di riferimento nel territorio circostante.
L’aspetto più spettacolare del successo della Valutazione scolastica è rappresentato dalle comparazioni internazionali, dove tutti i Paesi occidentali
– e non pochi dei Paesi in via di sviluppo, emergenti e non – confrontano
l’apprendimento dei loro studenti adottando le medesime prove e gli stessi
indicatori. Accettando di essere classiicati in base ai risultati che suonano
campane a festa e segnali di frustrazione, con il conseguente impegno a
confermare posizioni di primato o a recuperare posizioni meno umilianti
in graduatoria. È con la Valutazione scolastica che i media fanno da cassa di
risonanza, da vetrina e da gogna, con tutto uno sciame a seguire di incontri,
rilessioni e suggerimenti che mirano ad orientare decisioni conseguenti a
livello nazionale.
Ma per quanto la Valutazione sia connaturata all’azione della scuola, non
è qui che la Valutazione ha iniziato i suoi fastigi. Ben prima dell’educazione
il suo sviluppo dirompente ha investito la medicina, che ha fatto da anticipatrice e da esempio, in base ad analogie antiche tra il medico e l’insegnante.
In nome di categorie come “evidenza” e “prova” – procurate attraverso la
Valutazione – il movimento della Evidence Based Medicine ha posto la questione dell’adozione da parte dei medici in prima linea delle scoperte sanitarie. Il richiamo della scientiicizzazione delle pratiche sanitarie è stato un
classico della battaglia retorica condotta dai sostenitori dell’EBE (Evidence
Based Education), un movimento che – afermatosi in Gran Bretagna e negli
USA – sostiene da anni lo sviluppo dell’attività valutativa nella ricerca educativa, prima, quindi presso le scuole e gli insegnanti (homas, Pring, 2010).
Una linea d’attacco a tutto campo sulla quale ritorneremo tra breve e che
mira ad assicurare all’informazione pedagogica – basata sulla Valutazione –
una struttura a carattere “capitalistico” (Dodier, 2003).
Sulla stessa linea, troviamo le linee di sviluppo attuale dell’amministrazione pubblica che hanno fatto propria la Valutazione come regolatrice
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
12
Elio Damiano
del suo funzionamento: si veda, in Inghilterra, il New Public Management
all’epoca del New-Labour di Tony Blair (Sanderson, 2003), che ha trovato
progressivamente eco e séguito in tutti i Paesi dell’OCDE, Italia compresa.
La difusività della Valutazione si può cogliere anche nella “prospettiva temporale”, lungo l’arco della biograia personale. Al di là di quel che
abbiamo appena considerato a riguardo della fase propriamente scolastica
dell’età evolutiva, spostiamoci nell’ambito della professionalizzazione e della
carriera professionale. Il richiamo speciico va alla nozione di “competenza”,
termine che richiama distintamente dispositivi di valutazione perché è una
parola “normativa”, nel senso che è entrata in dispositivi di legge emanati
in non pochi Paesi, compreso il nostro, sia per quanto concerne le direttive
sul lavoro che quelle riguardanti l’amministrazione della scuola, anche di
scuola di base e di orientamento generale (Chesi, 2002; Maccario, 2006).
In quanto tale, non solo ha fatto il suo ingresso come categoria-chiave nelle valutazioni internazionali sul rendimento scolastico (sia quelle dell’IEA
che dell’OCDE: cfr. Nardi, 2001), ma la competenza è categoria “standard”
per la valutazione in senso stretto dei livelli di padronanza richiesti sul mercato del lavoro (Guasti, 2000, 2003). La competenza discende – a critica
interna e superamento – dalla “Pedagogia per Obiettivi”, uno dei modelli
didattici del genere “Process-Product”, caratteristicamente denotati dalla
centratura sulla valutazione (Damiano, 2004; Zanniello, 2011; Bertagna,
2001; Malizia, Cicatelli, 2001). A prescindere dai dubbi sulla sua pertinenza scolastica argomentati (convincentemente) da uno dei maggiori studiosi
dell’argomento (Rey, 2003), è la peculiare disposizione ad essere sottoposta
alla Valutazione che fa della competenza una categoria didattica emergente
che accomuna scuola e formazione professionale a cominciare dagli anni
novanta.
Sempre intorno alla Valutazione, un’altra categoria che è migrata, dalla
formazione professionale verso la scuola, gettando ponti tra due segmenti
formativi classicamente separati, è il “portfolio”. Qui siamo in altro contesto
culturale, con la polemica contro i test ed il loro uso indiscriminato, e la preferenza cercata per forme valutative “morbide” ed informali (Earl, Cousins,
1995; Comoglio, 2002; Rossi, 2005) (anche se, da noi, l’amministrazione è riuscita sincreticamente a proporre un “portfolio delle competenze”…).
Ebbene, il portfolio, pur strumento alternativo, si è afermato come documento testimoniale – composito ed eclettico – dell’identità del soggetto
lungo tutto il corso della vita, scolastica e post-scolastica, capace di rendere
conto delle sue capacità in forme probanti e di ofrire elementi per giudicaVALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
13
re e certiicare le acquisizioni non solo formali ed accademiche, ma anche
quelle derivate dall’esperienza. Una sorta di “diario” o di “storia di vita” che
si ofre a supportare più autenticamente una Valutazione su misura.
Ma la Valutazione si è anche in vario modo “internalizzata”: da quando
è stata codiicata come il grado ultimo di una delle tassonomie più difuse
come quella nel dominio cognitivo di Bloom (Bloom et al., 1956), non è
più soltanto un controllo eseguito da un giudice esterno bensì una capacità del soggetto sottoposto a valutazione, che lo mette in condizione – se
conseguita – di formulare giudizi, su situazioni e azioni, compiute da altri
o dal soggetto stesso. Un tipo di eccellenza a carattere rilessivo che consente non solo di intervenire appropriatamente sulla realtà, ma anche di
ricavarne indicazioni utili a migliorarsi: ovvero l’attitudine ad “imparare
ad imparare”, la risorsa principale da tesaurizzare per afrontare il problemsolving (Gagnè, 1963) quotidiano, a scuola come nella professione e nella
vita tout-court. La società globalizzata, riconosciuta come una “Società della
Conoscenza”, vede nella Valutazione, insieme, la condizione cognitiva interna per afermarsi e la condizione tecnica esterna per allocare i meritevoli.
Valutazione come competenza e viatico del soggetto a tutte le età: dentro
la scuola e fuori, per il recupero di una scolarizzazione non riuscita come
per le vicissitudini – ingresso nel lavoro, perdita del lavoro, riqualiicazioni,
riconversioni e vari ammortizzatori economici… – dell’occupazione, che
ha il suo corrispettivo nella Valutazione esterna come dispositivo sociale
in grado di riconoscerla presso il soggetto e di premiarla sul mercato del
lavoro e delle professioni.
Se la Valutazione ha potuto diventare, a cavallo del secondo millennio,
una funzione dominante nei processi formativi e sociali in genere, questa
portata si dispiega anche attraverso una terza prospettiva di analisi: la sua
“istituzionalizzazione”. Intendo la sua incorporazione in strutture organizzative che con i loro programmi d’azione ne sostengono l’afermazione e la
difusione o sono specialisticamente dedicate ad attività valutative.
Tra gli organismi che promuovono la Valutazione indirettamente, attraverso movimenti d’opinione e servizi da essa derivati, vanno individuati quelli generati dall’EBE, il movimento già citato che – sulla scorta di
quanto già ottenuto a proposito della medicina – propone un rapporto più
stretto – tra ricerca educativa e pratiche scolastiche – sorvegliato attraverso la Valutazione sistematica delle ricerche empiriche, dei loro approcci
metodologici e dell’attitudine a comunicare con gli operatori scolastici.
L’Evidence Based Education ha attivato una serie di istituzioni – la Cochrane
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
14
Elio Damiano
Collaboration, la Campbell Collaboration, l’EPPI-Centre (Evidence for Practice
and Policy Information), la REEL (Research Education Evidence Library), per
citarne solo le maggiori e le più note, operative a livello nazionale (Gran
Bretagna, USA) e mondiale (Saussez, Lessard, 2009; Normand, 2006). Si
tratta di agenzie a carattere capitalistico che ofrono a pagamento servizi
di informazione e formazione per insegnanti, dirigenti e amministratori
scolastici, ma si preoccupano anche di svolgere attività di lobbying in fatto di
legislazione scolastica, ordinaria e straordinaria: un buon esempio, per la sua
notorietà, è il progetto “No Child Left Behind”, Bush presidente, che ha fatto
dell’EBE un riferimento esplicito negli USA. Con quel che ne discende in
termini di legittimazione e di inanziamenti. L’EBE è ben introdotta anche
negli organismi internazionali, responsabili di iniziative a vasto raggio tra
i Paesi occidentalizzati, e come supporto all’associazionismo scientiico di
riferimento, come, ad esempio, l’Association Mondiale pour la Recherche sur
l’Education, l’Association Européenne pour la Recherche sur l’Education, l’International Academy of Education (Meyer, Ramirez, 2000).
Ma sappiamo bene che ci sono istituzioni che operano direttamente la Valutazione, a cominciare dal livello internazionale, come l’IEA
(International Association for the Evaluation of Educational Achievement), sorta ad Amburgo nel 1952 e l’OCDE, una sigla che non ha bisogno di essere
decrittata, e che continua i programmi dell’OECE, sorta nel 1959 sulla risonanza dei successi spaziali sovietici (il primo lancio dello Sputnik avvenne
il 4 ottobre 1957) per riscattare il ritardo tecnico-scientiico dell’Occidente
democratico, occupandosi del coordinamento dei Paesi capitalisti. Anche
nel campo dell’innovazione scolastica, quindi anche di Valutazione, in qualche modo concorrente con l’IEA, con le indagini PISA (Bottani, 2006).
Il livello internazionale è una caratteristica originaria dell’attività di valutazione. Infatti, come documenta puntualmente Lawn (Lawn, 2008), agli
albori (1931) troviamo un’inchiesta lanciata dalla Columbia University su
“Le concezioni, i metodi, la tecnica e la portata educativa e sociale degli esami e dei
concorsi”. Una fondazione ilantropica statunitense, la Carnegie Foundation
for the Advancement of Teaching, assume il carico dei costi e costituisce una
commissione – l’International Examination Inquiry (IEI) – per lanciarla
in diversi Paesi (Inghilterra, Scozia, Francia, Svizzera, Germania, Svezia,
Finlandia e Norvegia). Ovviamente sulla scorta dell’esperienza statunitense
delle tecniche standardizzate di Valutazione. Faceva parte del progetto la
costituzione di comitati nazionali – composti da studiosi europei illustri
come Spearman e Bovet – una prima comunità internazionale di ricercaVALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
15
tori, che diede vita a ricerche pionieristiche e avviò l’istituzione di centri di
ricerca che sarebbero durati nel tempo. Difatti, in dall’inizio non si trattò
di cellule scientiiche, perché i comitati comprendevano politici rappresentativi dei rispettivi governi, col risultato di cambiamenti nel sistema nazionale degli esami (v. Scozia e Paesi scandinavi).
Mediante la Valutazione era iniziata l’era della “internazionalizzazione”, con la produzione di metodi standardizzati di misura del rendimento scolastico, la comunicazione internazionale fra studiosi e la conoscenza
delle diversità nazionali attraverso la comparazione. Lawn attesta, con una
documentazione di prima mano, che l’UNESCO può essere considerato uno degli efetti dell’azione della Commissione Carnegie. E, all’interno
dell’UNESCO, l’Istituto Internazionale dell’Educazione, con l’IEA, appunto, a coronamento. Dopo uno studio di fattibilità nel biennio 1959-61,
fu questa Associazione a deinire il progetto che per le prime comparazioni
internazionali scelse una disciplina ritenuta “culture-free” come la matematica. Uno dei leader dell’impresa era Benjamin Bloom, che si era formato a
Chicago con Ralph Tyler, dove aveva messo a punto il “Mastery Learning”,
quel modello di “valutazione formativa” che avrebbe fatto scuola ovunque.
Anche da noi. Attraverso la Valutazione, la ricerca pedagogica stava facendo del “mondo un laboratorio educativo” (Tiana, 2001).
Giungiamo così alla quarta linea d’analisi: la “formalizzazione”, ovvero lo sviluppo concettuale e metodologico della Valutazione, costituitasi,
nell’arco di un secolo (per datare l’inizio: Starch, Elliott, 1912-1913), come
un distinto oggetto di studio pluridisciplinare, dove incrociano principalmente la Psicometria, l’Economia dell’istruzione e la Statistica. Ma sappiamo che la Valutazione deborda dall’ambito prettamente scolastico, per
proporsi sempre di più come la pregiudiziale scientiica per la conoscenza
dei dati, la trasparenza delle istituzioni, quindi per il giudizio sulle pratiche professionali e le decisioni che ne devono conseguire per la loro regolazione. La Valutazione diventa “ricerca valutativa”, termine che designa
un’intera area semantica estesa e diferenziata nei molteplici aspetti di cui
si compone il processo valutativo: dall’indagine sui bisogni ino alla certiicazione inale dei risultati accertati, attraverso i passaggi della deinizione degli obiettivi assegnati e degli standard da accertare, l’assessment delle
variabili mirate, l’audit degli esperti sulla consistenza e sull’interpretazione
dei dati acquisiti, la comunicazione dei risultati ai soggetti interessati, con
i suggerimenti che ne discendono per le decisioni che ne possono conseguire, ivi comprese le eventuali “buone pratiche” da promuovere, ino alle
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
16
Elio Damiano
strategie di socializzazione presso il pubblico. Per ciascuno dei settori indicati, i ricercatori dispongono di un arsenale ricco ed articolato, connotato
da pluralismo metodologico e tecniche rainate, oggetto di una itta rete di
scambi all’interno di una vasta comunità scientiica capillarmente difusa
a livello locale. L’approccio alla Valutazione, oggi, è diventato canonico, un
format che si è progressivamente consolidato nel modello costruito (anche
questo) negli USA col NAEP (National Assessment of Education Progress),
poi NAGP (National Assessment Governing Board) dagli anni Sessanta,
adottato ed esteso planetariamente dall’IEA e dall’OCDE.
Ma c’è di più, perché non si tratta soltanto di ricerca scientiica, dal
momento che può contare sul prestigio degli apparati ai quali – come il
Consiglio d’Europa, l’UNESCO, l’OCDE e la Banca Mondiale – fanno riferimento per le loro politiche scolastiche i governi nazionali con i
funzionari delle loro amministrazioni. Col supporto dei teorici del “NeoIstituzionalismo”, la Valutazione come procedura tecnica si accompagna e
si trasigura come strumento di una politica globale inalizzata ad uniformare i sistemi scolastici dei Paesi associati. Gli obiettivi dell’“internazionalizzazione” dei sistemi formativi – non solo scolastici, ma anche della
formazione professionale, ivi compresa quella di grado tecnico-superiore
ed universitaria – ino agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso si limitavano ad indicare i modelli di pianiicazione dei sistemi educativi. Oggi
la strategìa si è fatta più incisiva ed avveduta, prende le forme del “Metodo
Aperto di Coordinazione” (COM l’acronimo inglese) e mira ad orientare i
processi di riforma dei Paesi aderenti: un tipo di “guida dolce”, indiretta,
che si attua attraverso una “diagnostica” del bilancio formativo dei singoli
Paesi, ofre informazioni di ritorno e quindi suggerimenti per la loro agenda: facendo attenzione a “neutralizzare” le indicazioni che fornisce ed a
proporsi come supporto ai processi “spontanei” di autoriforma. Non mancano, ovviamente, rimandi ad esperienze esemplari condotte in altri Paesi
e relative documentazioni accurate intorno a “buone pratiche” (Charlier,
2003; Cef, 2003; Pochet, 2001).
Le ragioni dell’affermarsi della Valutazione
Un successo così scoperto ed invasivo – quello della Valutazione – non può
limitarsi ad essere rappresentato nella sua ampiezza e diramazioni, ma impegna alla ricerca di una spiegazione. Una prima ipotesi è quella che richiama la
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
17
lezione epistemologico-culturale di Michel Foucault sulla “disciplinazione”
della società, e che vede nella scuola una delle sue più esplicite espressioni
(Foucault, 1978, 1998, 2004, 2005). Si tratta di una spiegazione “continuista”,
perché vede proseguire, ad oltranza, ino al suo akmè, quel tipo di evoluzione
proprio della modernità teorizzato dallo strutturalista francese.
La “società disciplinare” è quella in cui il controllo sociale viene costruito attraverso una rete di “dispositivi” – attivati da istituzioni tra le quali la
scuola e l’università – che plasmano la cultura e modellano soggetti conformi: il potere disciplinare viene esercitato attraverso le norme che deiniscono i parametri mediante i quali pensare se stessi, i propri comportamenti
e quelli altrui. Fra gli strumenti principali della normativa: la valutazione,
i test, gli standard, scale, indicatori e monitoraggi. Negli spazi codiicati,
mediante esami e valutazioni, le “discipline” formano mentre modiicano,
escludono quando non adattano. Elaborano una conoscenza esaustiva degli
individui sottoponendoli a svariate modalità di sorveglianza e accertandone l’evoluzione attraverso forme di scrittura dedicate come verbali, registri,
rapporti, analisi e così via. Istituiscono così il potere di regolazione, una
tecnologia “biopolitica”, come la chiama Foucault, che si serve di una metrica fatta di dati statistici, calcolo delle probabilità, teoria delle decisioni,
un insieme che Foucault designa come “ordini di discorso” che inducono
l’“assoggettamento”, ovvero i modi in cui i soggetti percepiscono se stessi, problematizzano la realtà, nutrono delle aspettative, giudicano i fatti,
approvano e condannano, operano di conseguenza. In una parola: costruiscono la “verità”. Un sistema di pressioni che, attraverso una sistematica
dell’accertamento, ediicano il “regime di verità” della società meritocratica
o dello scarto. Bisogna tener presente – per non distorcere il senso delle
teorie di Foucault – che la disciplinazione non esercita un potere che sottomette all’altro con il controllo e la dipendenza, bensì lo abilita, attraverso
la conoscenza e la coscienza di sé, alla partecipazione, rendendolo aderente
alla propria identità (Idem, 1994).
Foucault ha lo sguardo temporale “lungo”, guarda alla genealogia del
potere a partire dal Diciottesimo secolo, nel solco aperto da Hobbes e da
Hume, con l’afermazione del liberismo in economia ed in politica. Ben
altro si vede nel ciclo temporale breve, in particolare per quel che concerne
le riforme scolastiche. La crisi delle politiche di pianiicazione dei sistemi
educativi, con l’OCDE che negli anni Sessanta poneva a modello il centralismo della Francia, se non quello dell’URSS, e che doveva ammettere
il wishful thinking che si era illuso di raggiungere, tra gli altri, gli obiettivi
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
18
Elio Damiano
della piena scolarizzazione e del coordinamento tra scuola e lavoro. Gli
inviti ad una pianiicazione educativa “dialettica” (Williams, 1978, 1980;
Damiano, 1980), tra i numerosi e diversi stakeholders dei cambiamenti attesi,
si accompagnavano ad una categoria politica emergente, anti-decisionista
come l’“autonomia” degli istituti scolastici (Derourt, 2000; Duterq, 1997;
Bottani, 2002). Mentre il lancio dell’Educazione Permanente, più che allo
sviluppo della formazione lungo il corso della vita, si esprimeva, invece, con
il rattrappement della scolarità perduta e portava all’evidenza l’impotenza
dei governi nel controllo delle resistenze all’innovazione (Derouet, 2003).
In questa cornice, è evidente che il montare della Valutazione assuma ben
altro signiicato, addirittura opposto: il tentativo di reintegrare il controllo
dello Stato nel governo di sistemi scolastici risultati riottosi rispetto alle attese di cambiamento. Di qui il ricorso alla forza degli organismi internazionali, alla “neutralizzazione” delle pratiche valutative ed alla competizione
per le migliori prestazioni dei sistemi scolastici. La Valutazione diventa il
sostituto delle politiche scolastiche in formato “pastorale” (Foucault, 2001),
dove i governi concentrano presso di sé la cura dell’educazione attraverso
lo strumento tradizionale dei “programmi d’insegnamento”, deinendo in
termini più o meno vincolanti inalità, metodi e contenuti del lavoro di
aula. Non è più necessario formare cittadini “buoni” e professionisti “utili”:
“basta selezionarli”. Con la Valutazione nel formato dei confronti internazionali, l’amministrazione riesce a penetrare dove non era mai riuscita a
metter piede: il “giardino segreto” degli insegnanti, dove questi riuscivano
a mantenere il segreto sul “curricolo di fatto”, frutto delle loro decisioni
esclusive. Oggi, con la Valutazione, il segreto è scoperto e violato con la
luce abbacinante dei test standardizzati, il prestigio delle istituzioni internazionali da cui emanano e la considerazione che “così fan tutti”. Con le
ovvie opposizioni – e i sabotaggi – degli insegnanti, da sempre, sotto tutti i cieli dei Paesi che alla Valutazione ricorrono per recuperare il potere
smarrito della pianiicazione centrale (Mcneil, 2000; Derouet, 2002). Non
più il culmine della modernità: il segno del suo disfacimento o la nostalgia
dell’ordine che fu. Ovvero il “post-moderno”, il corso sociale che stiamo
attraversando (Bauman, 2002; Serres, 1999; Seligman, 2001; Sennet, 2000;
Sequeri, 2002; Beck, Giddens, Lash, 1999).
C’è un’altra spiegazione, plausibile, della pervasività della Valutazione,
anch’essa riportata al “post-moderno”. Secondo Ulrich Beck il “rischio” è la
categoria che meglio esprime le caratteristiche salienti della società corrente:
non quello “naturale” – tipo malattia, infortunio, morte… – ma quello “manuVALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
19
factured”, provocato dallo sviluppo stesso della conoscenza e della tecnica,
dai suoi limiti e dai suoi errori. Mentre il rischio naturale può essere con
qualche probabilità previsto – dando origine, nella modernità, all’istituto
delle assicurazioni obbligatorie ed alle pratiche di indennizzo – il rischio indotto è diicilmente prevedibile, se non inimmaginabile, ma soprattutto immanente nell’ambiente creato dall’intervento umano, in quantità e intensità
tali da ingenerare una percezione di precarietà e vulnerabilità generalizzate
(Beck, 2000). Ebbene, è proprio a ragione delle insuicienze della ricerca e
dei suoi stessi gridi d’allarme, che viene richiesto il supporto continuo della
Valutazione. Paradossalmente, in un contesto segnato dalla diidenza nei riguardi degli scienziati, viene così ad emergere una iducia rinnovata nei suoi
metodi più consacrati e sicuri, da esercitare sulla stessa qualità della ricerca
scientiica: Valutazione come “meta-scienza”, un sapere che giudica – in forme scientiiche – e controlla il sapere scientiico caduto in disgrazia.
La “Società del rischio” conosce altre linee di trasformazione – come
quelle del rifugio nei “mondi vitali” delle comunità faccia-a-faccia dove rigenerarsi nel caldo piacere dell’inclusione totalizzante (Bauman, 2001) – ma
noi ci concentriamo su un’altra che conduce, anche questa, alla Valutazione.
Mi riferisco al fenomeno della “giuridicizzazione” e, quindi, della “giudiziarizzazione” della società tardo-moderna (Shapiro, Stone Sweet, 2002; Tate,
Vallinder, 1995; Teubner, 1987).
Col primo termine si intende una sorta di iper-produzione di norme
che assumono una funzione diversa da quella tradizionale del diritto perché s’inserisce in contesti sociali – tra i molti anche la salute e l’educazione
– dove le relazioni erano regolate, in precedenza, secondo valori propri e
norme di comportamento costruite dalle volontà individuali. Una sorta di
conversione del legame sociale ad uno statuto giuridico, che pone vincoli
e sanziona inadempienze (Habermas, 1986). Quando le istituzioni sociali
perdono autorevolezza e non fanno più presa sugli individui, avviene una
sorta di “migrazione” verso il sistema giuridico, che da quel momento viene
chiamato a garantire la regolarità delle relazioni sociali, dedicandosi così
alla mediazione fra aspettative ed interessi in conlitto, inendo con l’ofrire
dei modelli prescrittivi di comportamento. In deinitiva, il diritto indirizza
i costumi ed il giudice se ne fa il custode e, in qualche modo, diventa un
formatore.
Con una conseguenza importante e dirompente: la soggezione alle leggi
e l’accettazione dei doveri legali ritiene di soppiantare i legami di fedeltà,
lealtà, rispetto e così via. Per fare un esempio, ricorriamo ancora una volta
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
20
Elio Damiano
alla medicina: dove, con la giuridicizzazione, la iducia – una volta unilaterale – del paziente nei riguardi del medico si contrattualizza e diventa bilaterale, e la condotta del medico, tanto più si iper-responsabilizza in termini
giuridici tanto più si de-responsabilizza sul versante etico e personale. A
questo livello matura una svolta ulteriore: con la “siducia” del paziente –
frustrato nelle sue aspettative di salute e benessere – che si rivolge al giudice
per denunciare le inadempienze e gli errori del medico e chiedere soddisfazione, civile e/o penale. Siamo alla “giudiziarizzazione”: in questo caso della
salute. Ma la transizione alla “cultura legale generalizzata” riguarda sempre
più numerosi ambiti sociali, ino a quelli che una volta erano i sacrari, i
conini dei quali erano salvaguardati dallo stesso diritto: v. la famiglia, i
rapporti tra i coniugi e inanche l’educazione dei igli. Ora è il giudice che,
ad ogni contrasto, è invocato a stabilire chi è “il buon genitore”… La colonizzazione giuridica dei “mondi vitali” non potrebbe essere più totale, con il
giudice che, novello Atlante, prende in carico la società intera (Sergiovanni,
2000; Calidoni, 2001).
Ritroviamo così la Valutazione. Poiché il giudice – per quanto eclettico
– non riesce ad essere universale, è tenuto a servirsi di una coorte di professionisti esterni, specialisti dei diversi ambiti giudiziarizzati: le “perizie”
degli esperti forniscono la diagnostica sulla base della quale pronunciare
il giudizio di merito sulle colpe degli attori responsabili. La Valutazione
diventa così lo strumento basilare dell’esercizio e del mantenimento della
legalità pubblica. In tutti i campi in cui si è introdotta la giuridiicazione,
ovvero ovunque. Anche la scuola, in all’interno della relazione educativa,
come le cronache giudiziarie mostrano da non pochi anni per bocciature o
solo per voti considerati non-conformi alle interrogazioni.
Le spiegazioni della Valutazione in quanto fenomeno – sociale, culturale, scientiico, educativo – di vasta rilevanza non sono alternative ma, a
seconda dell’approccio, gettano fasci di luce su una emergenza che può, di
volta in volta, apparire promettente, inquietante, esautorante. Ma che certamente si colloca al centro delle trasformazioni in corso, segno eloquente
dell’incertezza che le sovrasta.
La Valutazione omologata
E tuttavia, non si può non confessare un sentimento di “insoferenza”
per la sostanziale omogeneità della letteratura pedagogica su una probleVALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
21
matica, come quella sulla Valutazione, tra le più controverse. In particolare
a riguardo delle comparazioni internazionali sulle competenze scolastiche
degli studenti. Le critiche sono state letteralmente messe a tacere, se è vero
che non se ne trova traccia in nessuno dei siti uiciali degli organismi sovranazionali che hanno condotto le indagini, l’IEA e l’OCDE, come delle
istituzioni partner a livello nazionale (Normand, 2003). E sì che le critiche
non hanno toccato questioni marginali, bensì le opzioni fondamentali d’ordine metodologico ed epistemologico, quali:
(a) le obiezioni intorno alla “giustezza”, ovvero sulla adeguatezza delle prove in termini di misura delle efettive capacità dei soggetti indagati
(Goldstein, Lewis, 1996);
(b) l’uso distorto degli “indicatori”, adottati per valutare la qualità
dell’insegnamento, quando invece sono costitutivamente mirati a decidere
le politiche del welfare, trasferimento indebito, che solleva seri problemi di
natura metodologica (Oakes, 1986; Bottani, 2006);
(c) le considerazioni relative alla “giustizia” delle prove utilizzate, dal
momento che sono queste – con la lingua degli item, le situazioni proposte,
la formulazione delle domande… – a provocare le diferenze dei risultati fra
i diversi gruppi sociali (e etnici e sessuali); non solo, ma laddove le procedure di valutazione vengono intensiicate, le diferenze tra i gruppi persistono,
se non addirittura aumentano (Apple, 1989, 1993; Madaus, 1994; Gipps,
Murphy, 1994);
(d) inine, ma non ultima, tra le critiche, la “generalizzabilità” delle prove, ovvero la loro possibilità di confrontare pratiche d’insegnamento diferenti per l’ispirazione dei programmi uiciali, concezioni delle discipline,
metodi ed approcci al lavoro di aula e di scuola. Come mostrano ricerche indipendenti, le inchieste OCDE e IEA sono state realizzate “come
se” stessero svolgendosi all’interno dello stesso Paese o in laboratorio, con
gruppi costituiti secondo criteri di omogeneità, a prescindere dal contesto
sociale e politico nel quale l’insegnamento si compie (Vaca Uribe, 2009;
Normand, 2004).
Come si può vedere, si tratta di critiche ad alzo zero, che centrano l’impianto delle valutazioni internazionali in aspetti essenziali. Ciò nonostante
esse vengono ignorate, contraddicendo le stesse regole canoniche invocate
dall’Evidence Based Education per assicurare la validità delle rassegne sullo
stato dell’arte della ricerca, rendendo conto scrupolosamente delle diverse
posizioni in campo, a cominciare da quelle avverse… (Slavin, 2002, 2004,
2008a, 2008b, 1998). Un rigore ossessivo che a sua volta ha suscitato accuse
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
22
Elio Damiano
di formalismo, se non peggio (Bennett, Lubben, Hogarth, Campbell, 2005;
Maclure, 2005).
L’insoferenza che ho dichiarato discende dal fatto che la letteratura
corrente sulla Valutazione – salvo eccezioni – è convinta di disporre di metodi e tecniche – fornite, nel caso delle comparazioni internazionali, dalla
Psicometrìa – che consentono di far emergere la qualità educativa da una
strumentazione universale in grado di produrre dati a carattere universale.
Questa sorta di “assolutismo” è come un occhio divino che ha fatto piazza
pulita di ogni contaminazione particolaristica, dimenticandosi opportunamente della soggettività del suo sguardo: insieme oggettivo e neutrale,
come è proprio della ideologia tecnologica. In particolare quando questa si
sposa con l’idealizzazione della Valutazione, invocata a tenersi al di sopra
delle parti in causa.
La Valutazione deviata
A giustiicazione dell’insoferenza, si danno anche altri motivi di omologazione del campo della Valutazione così com’è coltivato oggi, che toccano speciicamente la scuola e l’insegnamento.
Uno è il “Modello del Deicit” o “dell’imputazione negativa”, che la
Valutazione condivide con larga parte della ricerca educativa come una
sorta di sottinteso: le pratiche d’insegnamento sono sempre inadeguate
rispetto alla razionalità didattica concepita dai ricercatori (e dagli amministratori che contano su di loro per giustiicare il budget, e inanche da
parte degli stessi sindacati degli insegnanti) (Lantheaume, 2008). Secondo
la Lantheaume, tutta la ricerca sugli insegnanti, a cominciare da Durkheim,
manifesta lo stesso presupposto negativo: lo “sguardo pedagogico” denuncia e condanna, immancabilmente, l’inadeguatezza degli insegnanti, il loro
tradizionalismo, le resistenze al cambiamento, senza dimenticare il sabotaggio endemico della Valutazione del proprio operato. Con l’aggravante
di non tener conto della realtà efettuale degli insegnanti, delle condizioni
d’esercizio in cui operano e dei limiti delle riforme, spesso inadeguate, che
sono costretti a trasgredire pur di far funzionare in qualche modo la scuola.
E quindi di poter orientare riforme basate sulle situazioni reali. Abbiamo,
invece, una “pedagogia normativa” che attraverso la Valutazione punta a
codiicare le “buone pratiche” mediante la deinizione di standard internazionali. E invece di prendere in carico l’esperienza professionale vissuta nel
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
23
suo contesto, concreta e soggettiva, e comprenderne le prove quotidiane nei
termini di una antropologia delle pratiche educative, si dedica a prescrivere come gli insegnanti “devono” pensare l’insegnamento sul presupposto,
appunto, del “deicit” – ovvero che gli insegnanti, evangelicamente, non
sappiano (pensare correttamente) quello che fanno.
Accade così che siano principalmente due gli aspetti dell’insegnamento
a risultare degni di interesse: l’innovazione, evento esemplare ma straordinario, e il disfunzionamento, dovuto all’inerzia o al riiuto del cambiamento. Con il lavoro di aula visto semplicemente come applicazione delle ingiunzioni istituzionali o delle raccomandazioni preconizzate dai formatori.
A volte il Modello del Deicit si ammanta di commiserazione, ma l’occhio
resta sempre intento sui fallimenti. Quel che si vede è sempre quello che
non va, sembra che l’insegnamento si possa osservare soltanto per gli aspetti da denunciare. E pure quando la Valutazione si dedica a collazionare le
“buone pratiche” che certamente non mancano, ne discende la necessità di
illustrarle – non per comprendere i processi mediante i quali è stato possibile realizzarle alle condizioni date – bensì per farne oggetto di adozione e
difusione: a scopo esemplaristico e ineludibilmente prescrittivo.
L’altro motivo di insoferenza è meno evidente, ma proprio per questo
più radicato e sicuramente paradigmatico: tutta la ricerca valutativa si concentra pressoché esclusivamente sull’apprendimento degli alunni. Oggetto
di studio che può apparire ovvio, ma che tale non è se si bada al fatto che
“accertare l’apprendimento serve a giudicare l’insegnamento”. Perché, più
semplicemente, e direttamente, non esaminare e valutare l’insegnamento?
Qui si manifesta la concezione “causalista”, l’opzione epistemologica per
la quale “l’efetto rivela la causa”. L’apprendimento è l’efetto che consente di riconoscere l’insegnamento che lo causerebbe. Ma è la “causazione”
il rapporto che lega l’insegnamento all’apprendimento? Un presupposto
che non reggerebbe all’analisi humiana delle condizioni richieste per potersi parlare di “causa”: se è vero che può veriicarsi apprendimento senza
che si sia dato alcun insegnamento e – viceversa – ci può essere insegnamento (ahinoi!) senza ottenere, per questo, che si dia alcun apprendimento
(Hume, 1758; Corradini, Galvan, 1992; Brezinka, 2002). Piuttosto siamo
dinanzi all’ingenuità del senso comune, peraltro implicitamente assunto…
In realtà, si tratta del paradigma naturalista – trasferito alle scienze umane
– o se si preferisce un riferimento meno remoto, del paradigma positivista.
Il ruolo del soggetto in apprendimento è ben più decisivo del ruolo dell’insegnante, né è accettabile il ridimensionamento dell’insegnamento come
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
24
Elio Damiano
“causa debole” o con limitata incidenza probabilistica: come mostra a chiare
lettere la stessa evoluzione interna dei modelli didattici “Process-Product”
(Damiano, 2006). Storicamente, la Valutazione è sorta come movimento “Teaching Efectiveness”, una collaborazione stretta tra amministratori e
ricercatori mirata ad identiicare il “Buon Insegnante”, attraverso la prova
delle prestazioni degli alunni. E tale è rimasta, senza troppi tentennamenti,
ino alle comparazioni internazionali dell’IEA e dell’OCDE.
Una riprova si può trovare nel comparto della Educational Evaluation,
più scopertamente inalizzata alla valutazione degli insegnanti. Per quanto
abbia riconosciuto un ruolo agli insegnanti come stakeholders di rilevanza
centrale per l’eicacia della Valutazione, l’approccio centrato sull’apprendimento non è mutato, come mostra ad abundantiam, lungo tutta la sua
biograia di valutatore e di studioso dell’amministrazione “scientiica”, uno
dei massimi specialisti in materia come Egon Guba (Guba, Bidwell, 1959;
Guba, 1969; Guba, Collins, 1989).
Il privilegio accordato all’apprendimento come oggetto della valutazione è una sorta di “sindrome dello specchio” (Gage, 1964), a rinforzare la
quale concorrono fattori diversi: la maggiore risonanza individuale e sociale dell’apprendimento, rispetto all’insegnamento (Fenstermacher, 1986),
il pregiudizio rispetto alla possibilità di ricavare qualcosa di signiicativo
dallo studio delle pratiche didattiche, non ultima l’accessibilità all’analisi dell’azione didattica (e dell’azione tout court) oggetto quanto mai sfuggente per pregnanza e singolarità (Damiano, 2006). Così, nonostante la
svolta epistemologica in corso afermi, proprio a riguardo dell’apprendimento, la portata centrale del soggetto in formazione, e gli “Action Studies”
(Baudouin, Friedrich, 2001; Cnam, 2000; Johnson, Lakof, 1987) – sulla
scorta di quello che è stato chiamato “Rinascimento di Aristotele” (Pacchiani,
1980; Volpi, 1980) – aprano prospettive interessanti sulla possibilità di
esaminare l’azione nelle sue proprietà cognitive, la Valutazione continua,
tetragona ed indiferente, ad occuparsi di quello che considera il locus of
control dell’insegnamento, e non dell’insegnamento stesso. Una rinuncia
che la condanna non solo a gravi distorsioni ed ai fallimenti dei tentativi di
rinnovare la scuola, perché si impedisce – come abbiamo visto – di averne
una conoscenza efettuale, ma provoca una serie di conseguenze negative
sull’immagine pubblica della scuola, come avremo modo di argomentare
più avanti.
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
25
La Valutazione riduzionista
In realtà, il fascino di questo impianto scopertamente positivista discende – oltre che dal senso di potenza che irradia – dall’etica universalista ed
egualitaria di cui è permeato: il confronto oggettivo permette di individuare le diferenze di prestazioni fra i diversi studenti, mettendo in evidenza
le carenze e quindi la possibilità di intervenire per rimuoverne le cause.
Opponendosi al relativismo storico e culturale, il quale è imputato di accettare e assecondare lo status quo delle diferenze, con la conseguenza di
renderle fatali. In realtà, le valutazioni internazionali, come abbiamo anticipato a proposito del Neo-Istituzionalismo, mirano non ad oggettivare
il confronto del rendimento dei sistemi educativi tra i Paesi partecipanti,
quanto – invece – a ridurre le loro diferenze, se non – più ambiziosamente
e a lungo termine – ad uniformarli. La Valutazione al servizio della globalizzazione (Damiano, in via di pubblicazione, a).
Giungiamo così al punto critico fondamentale. Formuliamo il problema
nella forma interrogativa: la Valutazione può fare a meno di un riferimento valoriale? La Valutazione può essere concepita come una neutra “tecnologia
delle performances”? La Valutazione può prescindere dalla legittimazione, morale, civico-politica, dei risultati attesi? Domande giustiicate innanzitutto
dall’etimologia del termine: Valutazione corrisponde ad “assegnare un valore”, issandone il prezzo comparativamente rispetto ad altri beni: deriva dall’Economia, e dai suoi sconinamenti nella Filosoia, in particolare
nell’Etica, ed in Politica.
I tratti denotativi del termine sono “valore” e “comparazione”. Tratti costitutivi intimamente connessi, se è vero che una caratteristica dei valori è la
tendenza a confrontare e a gerarchizzare, una peculiarità che viene studiata
da una disciplina apposita, l’Assiologia, e che qualcuno ha chiamato, non a
torto, metaforicamente, “tirannia dei valori” (Schmitt, 1967). Anche senza
ricorrere all’Assiologia, è esperienza quotidiana il fatto che i valori ci impegnano a stabilire priorità fra di loro per poter decidere il giudizio da formulare o la condotta da scegliere; così come è un dato esistenziale che i dissidi
sui valori non siano legati tanto al loro riconoscimento in quanto tali, bensì
alla posizione che noi assegniamo loro. Possiamo anche non dubitare della
legittimità di un valore rispetto ad un altro valore, ma è altrettanto vero che
nel caso di un nemico che invade il nostro Paese ci troveremmo dinanzi
all’alternativa di scegliere tra “libertà” e “pace”, pur considerandoli entrambi
valori di grande rilievo (e non è certo che un paciista convinto non si traEDUCATION SCIENCES & SOCIETY
26
Elio Damiano
sformi, in queste circostanze, in un ardente libertario pronto a far uso delle
armi, alla stregua di un bellicista…).
La questione è che la Valutazione non è “innocente” sul piano etico, e
che valori – quali Giustizia, Uguaglianza, Merito… – di volta in volta, e a
seconda degli schieramenti e delle élite dominanti, si contendono il campo
in modo tale che le concezioni e le pratiche valutative assumano frequentemente signiicati molto diversi fra loro, e perino antitetici (Bloom, 1972).
Si spiega in questo modo anche il paradosso di una Valutazione la quale
– pur afermata come tecnologia “oggettivamente neutra” – escluda da ogni
considerazione di validità le critiche che ad essa si muovono, diventando
una sorta di credenza assoluta. Con il corollario di farsi apprezzare per i
valori che la ispirano, appunto l’Universalismo e l’Egualitarismo – in riferimento alla loro posizione “libera da inluenze culturali” – se non gli stessi
Rigore ed Oggettività che qualiicano l’approccio scientiico-tecnologico
alle pratiche valutative. Ma l’intreccio tra Valutazione e valori è così intrinseco che si manifesta già a livello tecnico: difatti, le procedure valutative
richiedono che venga determinata, preventivamente, una “norma” – ovvero il comportamento atteso come valido – oppure un “campione” – inteso
come l’esempio di riferimento più valido – o comunque una “scala” ordinata
progressivamente per stabilire il “grado” di accettabilità della prestazione
oggetto di valutazione. Norma, campione, scala sono concetti costitutivi
della misurazione, perché questa stessa è essenzialmente un confronto tra
un oggetto ed una unità di misura: alla quale è stato assegnato un valore,
un apprezzamento relativo alla sua “qualità” e ragioni di preferenza rispetto
ad altri, che sono stati scartati o considerati comunque inferiori. In sintesi,
senza valori non c’è Valutazione.
A monte delle tassonomie degli apprendimenti ci sono proili antropologici, come può essere attestato dal successo pressoché totalitario riconosciuto alla tassonomia degli obiettivi dell’ambito cognitivo rispetto all’altro, relativo agli obiettivi di ambito afettivo, dello stesso gruppo Bloom
(Bloom et al., 1964; Lynch, Payet, 2011). Proilo non neutro né oggettivo,
ma prescrittivo, plasmato sulle inalità assegnate all’istituzione scolastica
nel contesto sociale contingente, regolarmente dedotte dai progetti dei ceti
e delle classi sociali dominanti, variamente aggregati al governo nella congiuntura politica. In questo senso “la Valutazione è storica”, risuona dei
tempi e dei problemi del tempo; non guarda dall’alto il luire dei processi
culturali, ma fa parte del corteo, anzi è strumento principe del suo corso, dei
suoi conlitti come delle sue paciicazioni.
VALUTAZIONE E COMPETENZE
27
Il “senso” della valutazione
Differenziazione etica della Valutazione
Limitiamo la ricostruzione agli ultimi cinquant’anni, iniziando dalla
metà del secolo scorso con l’avvio della razionalizzazione docimologica,
che portò alla “critica del valutatore”, in particolare della soggettività del
giudizio. Fu lo sviluppo della Psicometria, una disciplina che in dalle origini si era occupata di misurare le conoscenze scolastiche, e che portò i test di
proitto nell’apprendimento ad elevati livelli di rigore metrico e di soisticazione statistica. Non entro nel merito delle critiche interne (per es. le risposte “giuste” sono l’esito di ragionamenti altrettanto “corretti”?) ed esterne
(come il tipo di “insegnamento difensivo” che la pratica dei test tende ad
incoraggiare: Mcneill, 2000), ma pongo il problema del riduzionismo tecnico: “la Valutazione – pur nella stretta versione docimologica – è solo una
questione di precisione metrologica?”. Che cosa implica il fatto di mettere
tutti gli alunni, scrupolosamente come può essere solo una disciplina oggettivista, dinanzi alle stesse prove, nelle stesse condizioni? Evidentemente,
questo tipo di valutazione ha lo scopo, più o meno dichiarato, della “selezione”: ma qual è il presupposto della individuazione dei “migliori”?
La risposta non è diicile: gli alunni hanno gli stessi diritti, a prescindere dalle loro appartenenze sociali. Bando ai particolarismi sociali, culturali
e famigliari ed ai privilegi di ceto: la scuola è chiamata a costruire una
società nazionale uniicata dall’uguaglianza dei cittadini. Dichiaratamente,
i valori di riferimento sono l’“Universalismo” e l’“Uguaglianza”. A guardar
bene la dinamica propria dei valori, si tratta di una Valutazione indiferente
alle diferenze, che dividono strutturalmente la realtà sociale, e mette in
subordine il valore della “Solidarietà”: in questo modo, obiettarono studiosi
come Bordieu e Passeron (1970), l’uguaglianza mirata è solo formale, e di
fatto l’ineguaglianza sociale diventa, con la Valutazione, una ineguaglianza
scolastica.
La prova di questa portata etica non si limita all’emergenza della sociologia critica, ma entra direttamente a determinare l’evoluzione scientiica e
metodologica della Valutazione, che nella fase susseguente da docimologica diventa “ermeneutica”. Negli anni Sessanta e Settanta le procedure della
Valutazione attingono non più (o non tanto) alla Psicometrìa, bensì alla
“nuova” Sociologia dell’educazione, alla Etnograia ed alla Psicologia della
personalità, adottando un approccio “qualitativo” e indagando l’intreccio
del condizionamento ambientale – non solo esterno, ma anche interno alla
stessa scuola (Bernstein, 1975, 1973a, 1973b, 1977) – sulle caratteristiche
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
28
Elio Damiano
individuali degli alunni. I voti numerici non apparvero più in grado di rendere visibili queste dimensioni della valutazione, venne il tempo delle schede e di altri formati verbali come, altrove, dei portfolios. Anche qui evitiamo
di riferire dell’afermarsi delle pedagogie non-direttive, e delle loro inibizioni per l’azione dell’insegnante, e dell’educazione compensativa. Quello che
conta, ai ini del nostro discorso, è la postulazione etica della “Solidarietà”
per lo svantaggio e di “Empatìa” per il soggetto da decondizionare. La causa
dei deboli e dei diversi, divenuta la missione della scuola, dava forma ad una
Valutazione alternativa, superando l’ingiustizia degli standard di Procuste.
Capitava che non sempre e non tutti gli insegnanti individualizzavano il
lavoro educativo, rinunciando ad una “norma” uguale per tutti o adattando
la scuola ai bisogni di ciascun alunno. Ma soprattutto la scuola dovette
prendere atto, nella nobiltà degli intenti, della sua impotenza nei riguardi
della stratiicazione sociale, con gli esiti del fatalismo sociologico – il riiuto
di prestarsi ingenuamente all’immobilità sociale, rinunciando all’insegnamento o trasferendo il proprio impegno altrove – oppure rassegnandosi
nei limiti di un insegnamento “compassionevole” (Payet, Sanchez-Mazas,
Giuliani, Fernandez, 2011). Certamente non sono mancate linee di impegno al positivo, con le scuole impegnate a “fare la diferenza” (Brookover et
al., 1978; Reynolds, Jones, St. Leger, 1976).
La nuova consapevolezza della collocazione sociale della scuola ha
ispirato una terza via dei valori della Valutazione, che va sotto il nome
di “Teoria del Curricolo” o, più semplicemente, di “Programmazione” (o
“Pedagogia per Obiettivi”) (Besse, 1977; Damiano, 1994). In questa prospettiva, da noi pervenuta negli anni Settanta e rapidamente difusa per la
sua “razionalità”, la Valutazione si aferma come motivo primario e conduttore dell’intera attività educativa, ai diversi livelli, concepita in chiave
sistemica o cibernetica, ma a condizione di discendere esplicitamente e
pubblicamente, per deduzione, da opzioni di valore: i Fini, formulati come
progetto storico nel contesto di una data società, da declinare – per l’istituzione scolastica – come Finalità educative. A questo punto il processo di
deduzione diventava internamente scolastico e procedeva verso la determinazione degli Obiettivi, deiniti via via come “generali” e “speciici”, in
vista della loro operazionalizzazione mirata a decidere il lavoro didattico
di aula. Gli Obiettivi erano da considerare a tutti gli efetti la “valutazione
anticipata” al momento di pensare e decidere l’azione d’insegnare: dichiarati pubblicamente – agli alunni ed alle loro famiglie – per guidare le scelte
di dettaglio esecutive e per essere ritrovate – auspicabilmente – attraverso
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
29
le prove conclusive (ma nelle sue espressioni più rigorose, gli obiettivi, già
all’atto della loro deinizione, consistono nella determinazione di prove di
controllo).
Anche qui rinunciamo alla critica della “Pedagogia per Obiettivi”, in
relazione ad una didassi frammentaria e, prima ancora, alle questioni poste
dalla procedura della deduzione, lungo la sequenza che dai Fini conduce
agli Obiettivi educativi e didattici (Frey, 1977; Meyer, 1977; Filograsso,
1979). Sottolineiamo, piuttosto, che la Valutazione, oltre che essere concepita e praticata come “intelligenza dell’azione razionale”, rendendosi organica e pervasiva di tutto il processo decisionale dell’insegnamento, traeva
la sua legittimazione, mediante il rigore della deduzione, dai valori di riferimento che la illuminavano dal vertice del progetto storico della società.
La questione irrisolta restava quella della identiicazione di Fini in una
società pluralista, che non siano procedurali: ovvero non di Valori contenutisticamente declarati, bensì relativi soltanto ai modi – di conlitto organizzato, maggioranza rappresentata, rispetto delle minoranze, pubblicità
e trasparenza… – secondo i quali pervenire a indicarli in base ai costumi
democratici all’occidentale. Valori sì, ma “formali”, dove la legittimazione
equivale al rispetto delle regole convenute per arrivare a sceglierli, ed ai
quali sottomettersi per rispetto delle regole, non per intima convinzione
(da parte delle minoranze).
La tensione uniicante della “Programmazione” ha ceduto, da subito,
sotto la pressione delle soggettività numerose e dirompenti della società
post-moderna. Il valore emergente ora è quello del “Riconoscimento”, in
base al quale la diferenza non va accettata per essere reintegrata nell’unitarietà dell’educazione, bensì aiutata a scegliersi ed a deinirsi come rispetto e
promozione della particolarità, tenuta a sua volta – quale essa sia – ad essere
“pride”, orgogliosa di se stessa: ino a guardarsi da qualsiasi forma di proselitismo, come accadeva per le minoranze di una volta. Il Riconoscimento
corrisponde ad una nuova semantica pedagogica, quella dell’“inclusione”
e quindi assegna alla Valutazione il compito di realizzare una “uguaglianza educativa a giustiicazione multipla”, ciascuna commisurata alle singole
speciicità dei gruppi proliferanti. Non sono più i soggetti deboli ad esigere interventi peculiari, ma ciascuno – in base alla sua condizione – ad
aver diritto a traiettorie su misura. Il “Riconoscimento” è più di una presa
d’atto delle diferenze, è una teorizzazione della loro incommensurabilità
(Ricoeur, 1990; Taylor, 1994). I valori dell’Uguaglianza universalista, come
l’Equità e la Legittimazione, postulavano un parametro comune: quale può
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
30
Elio Damiano
essere in una “Società degli Individui” (Yonnet, 2006), dove ogni cultura,
ogni comunità, al limite ogni soggetto va riconosciuto in quanto diverso?
A guardar bene, viene il dubbio che il riconoscimento non sia, tutte
sommate le diferenze, che una sorta di vestito variopinto che a malapena
nasconde alla vista la resa alla stratiicazione sociale. Gli istituti scolastici
– noti come quelli “alla carta” o gli altri, più usuali, che si diferenziano per
“utenze” particolari – mettono in piena luce il paradosso: per ottenere il
massimo di uguaglianza fra i diversi si specializzano per l’oferta formativa
e, insieme, per la discriminazione più rigorosa fra le diversità degli alunni in
base alle loro appartenenze. Perseguire l’inclusione attraverso l’esclusione:
riconoscere le diferenze per assegnare a ciascuno il suo ghetto… Avremo
comunque una Valutazione al plurale, ciascuna corrispondente al progetto
identitario del gruppo interessato, dove non mancheranno probabilmente,
per i igli dei ceti più mondializzati, il ricorso alle comparazioni con le altre
scuole associate ad una rete internazionale.
Bisogna tener conto che la realtà è molto più complessa dello schema nel
quale ho cercato di imprigionarla, perché le concezioni identiicate non si
sono, “evolutivamente”, soppiantate fra di loro, ma convivono contaminandosi reciprocamente nelle posture e nelle pratiche degli istituti scolastici e
dei singoli insegnanti, in modi a volte congruenti, spesso contraddittori. A
livello di terreno, il peso del non-pensato e dell’implicito nell’azione degli
insegnanti quasi mai conferisce alle opzioni etiche della Valutazione una
portata politica e pertanto lascia gli attori in balia di sentimenti ambivalenti
di libertà individuale e insieme di impotenza di fronte alle disuguaglianze
sociali che si riverberano fra i banchi. Su questo bricolage delle valutazioni
scolastiche sopraggiungono le valutazioni internazionali prodotte in sede
OCDE e IEA e riprodotte, integralmente o con qualche adattamento, a livello nazionale: anch’esse segno, come abbiamo visto, di un’altra impotenza,
quella dei governi che stentano a realizzare politiche scolastiche eicaci e
si aidano al lustro delle istituzioni internazionali: e quel che è veramente
grave, nascondendo alla vista – sotto la bandiera della tecnologia docimologica – il progetto di omologazione che li anima e inanche i valori che li
ispirano. Con la complicità di una parte dei ricercatori, afascinati dall’idea
di disporre di un’accumulazione di dati sull’apprendimento che sta realizzando l’impresa, appunto, del “mondo come laboratorio educativo”. Un
sogno, oppure un’allucinazione, se hanno ragione le critiche dei comparativisti (Schriewer, 2004, 1993; Schriewer, Heinze et al., 1999).
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
31
Un’agenda per la Valutazione
Proviamo ad abbozzare, sulla base dell’analisi condotta in qui, una proposta di lavoro, rivolta principalmente ai pedagogisti, non solo a quanti
si occupano di valutazione, ma anche a chi si interessa di scuola e di insegnanti. Che cosa si può fare, dinanzi alle dimensioni ipertroiche della
Valutazione ed alle sue derive tecnologiche e neo-istituzionalistiche?
Una prima linea d’impegno riguarda una svolta epistemologica che si può
considerare matura: spostare l’oggetto di studio della Valutazione – e della
ricerca pedagogica in generale – “dall’apprendimento all’insegnamento”.
Non si tratta di dimettersi dallo studio dell’apprendimento – che mantiene
intatta la sua rilevanza scientiica – ma di uscire dal paradigma causalista
che ritiene di poter conoscere l’insegnamento solo attraverso gli efetti che
si possono ritrovare presso l’apprendimento. Una svolta che discende dalla
ricerca sull’apprendimento e che ha portato al “Ritorno del Soggetto”, rivalutato come produttore in proprio delle trasformazioni che lo connotano,
lungo l’età evolutiva ed oltre (Giaconi, 2008). Riorientamento innanzitutto
epistemologico, quindi metodologico e relazionale, per quel che si richiede
ad un’indagine che tocca, attraverso le azioni, i “pensieri” degli insegnanti
che le operazioni didattiche incarnano e il tipo di collaborazione intensiva
che questo genere di ricerca esige, anche sul piano etico (Damiano, 2006).
Il cambiamento prospettico consentirà di recuperare quegli aspetti che
non rientrano nel novero di quelli che si possono cercare fra le prestazioni
di apprendimento, tantomeno negli aspetti misurabili, e che però fanno
parte intrinseca della validità dell’insegnamento: la responsabilità, l’aidabilità, la lealtà, il coraggio, tutte virtù che si possono ritrovare nella conduzione del gruppo-classe come negli scambi informali, nella gestione della
disciplina, nelle scelte relative ai contenuti del curricolo e in generale nel
clima del lavoro d’aula: anche quando si tratta delle procedure riguardanti
la stessa valutazione. Ci sono “lezioni” che non mirano all’acquisizione delle competenze, perché riguardano quelle credenze, più o meno appropriate,
afermate mediante istruzioni esplicite, ammonimenti occasionali e vari
altri interventi mirati a plasmare i comportamenti degli alunni. Ci sono
anche azioni educative che sono importanti, come la cortesia, il rispetto per
chi non riesce, ma che non trovano alcun corrispettivo di risultato, ma che
sono valide anche se ini a se stesse (Campbell, 2003).
La valutazione dell’insegnamento è sollecitata a cambiare lo “sguardo”,
tale che rinunci all’ottica “normativa” – secondo la quale l’azione didattiEDUCATION SCIENCES & SOCIETY
32
Elio Damiano
ca viene vista per come dovrebbe essere, in chiave di idealizzazione – per
adottare un orientamento descrittivo e interpretativo, in modo da cogliere
l’insegnamento dal punto di vista dell’operatore, nelle efettuali condizioni
d’esercizio. Per ragioni diverse e pur convergenti, di tipo epistemologico
e sindacalista, l’insegnamento è stato oscurato e inanche protetto, certamente condannato, ma non studiato nella sua “realtà”, per gli “adattamenti”
che produce nei contesti nei quali si compie, nei suoi limiti come nella sua
creatività. Fuori dal “Modello del Deicit”, i vantaggi di “Nuovi Sguardi”
sul lavoro di aula e di scuola, per la ricerca e lo sviluppo della didassi, sono
facilmente intuibili; altrettanto si dica per le riforme scolastiche, che potrebbero trovare agganci incisivi su una realtà divenuta inalmente visibile,
non solo a scopi imputativi, ma anche di supporto organizzativo e di “cura”
delle risorse umane (Damiano, 2009).
Le conseguenze di questa ricontestualizzazione hanno un signiicato
che va ben oltre le vicende pur importanti della ricerca pedagogica e docimologica. Tocca profondamente la “rappresentazione sociale della scuola
come istituzione”. Difatti, la centratura della Valutazione sull’alunno designa la scuola, contemporaneamente, come un’“agenzia di promozione e di
retrocessione sociale”; con tutte le distorsioni e le strumentalizzazioni che
questo può comportare, a cominciare dal formalismo delle certiicazioni –
la “promozione” come pezzo di carta – ino all’alienazione della relazione
insegnante-alunni in termini di opportunismo e di diidenza. Un esito
perverso della valutazione centrata sull’apprendimento, che ostacola il riconoscimento della scuola come risorsa – “talento” – per lo sviluppo delle persone e dell’insegnamento come professione di servizio, ordinata alla solidarietà culturale a favore delle nuove generazioni. Una Valutazione dedicata
all’insegnamento può incidere positivamente sulla dimensione espressiva
della scuola e dei suoi operatori, denotando la funzione della scuola come
promozione culturale delle persone inalizzata alla giustizia sociale.
C’è un secondo viraggio da annotare sull’agenda pedagogica, amministrativa e politica, della Valutazione scolastica. Connesso evidentemente al
precedente, ma di rilevanza tale che richiede una indicazione speciica. Per
il formato che ha assunto negli ultimi svolgimenti, la Valutazione scolastica è divenuta tecnocratica, non solo in senso metodologico – aidata a
ricercatori specialisti – ma anche in quanto pratica centralizzata, riservata
ed esclusiva. Con la conseguenza che vengono esautorati dalla Valutazione
gli insegnanti, ovvero i diretti interessati, se non imputati. È vero che vengono introdotte, da tempo, una serie di condizioni che mirano a lenire la
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
33
marginalizzazione: al netto, però, l’insegnante partecipa al processo di valutazione da assistente e somministratore. Né possono considerarsi men che
compromessi irrisori l’aiancamento – alla valutazione degli esperti esterni,
sovranazionali e nazionali – di altre “valutazioni”, a livello locale, perché la
moltiplicazione delle azioni valutative non riesce a nascondere “la” valutazione che conta veramente, per il prestigio dell’istituzione da cui promana e
l’afermata superiorità tecnica dell’arsenale di cui consiste. Se ne deve concludere che l’accentramento – internazionale e nazionale – della Valutazione
costituisce un atto di “de-professionalizzazione degli insegnanti”. E mentre
da un lato se ne aferma la responsabilità per i risultati di apprendimento,
dall’altro si banalizza il loro ruolo in termini di esecutore, sorprendendosi
se non sono né docili né sottomessi, ma si dedicano come possono al sabotaggio delle prove… Le cronache di oggi, in Italia, confermano le vicende di
una opposizione documentata da sempre dall’evoluzione della Educational
Evaluation (Guba, 1969; Guba, Collins, 1989). Ma ben al di là dei problemi
di fattibilità, quel che conta rilevare è la gravità della sottrazione della funzione valutativa dall’intero della funzione docente: basti prendere coscienza
che la valutazione è l’intelligenza dell’azione o – detto ciberneticamente – il
controllo del processo didattico. Perché “la Valutazione ha la capacità di far
diventare quel che misura”: incide come nessun’altra contingenza sui modi
dell’insegnamento come sui modi dell’apprendimento.
Di fatto, quel che in realtà può accadere dell’insegnamento, deprivato
uicialmente della Valutazione che gli è connaturata, è che l’insegnante
continuerà – a modo suo – ad esercitare le sue forme di valutazione in base
alle sue credenze, mentre il valutatore centrale formulerà i suoi giudizi ben
consapevole dell’inaidabilità della somministrazione delle sue prove…
La questione va afrontata dimettendo il centralismo tecnocratico e restituendo la Valutazione agli insegnanti: ovviamente in un quadro istituzionale di professionalizzazione che comprenda la competenza valutativa
e la capacità di rispondere pubblicamente della loro attività. Al centro va
riconosciuto il compito valutativo di accertare (e qualiicare) gli standard
amministrativi del servizio scolastico, ma senza entrare nel merito della valutazione speciicamente pedagogica, da aidare senza remore agli operatori di prima linea. I quali, con la collaborazione dei ricercatori e il supporto
dell’amministrazione, sapranno disporsi in rete e confrontarsi a livello nazionale ed internazionale. Mantenendo il pieno controllo di una componente costitutiva della loro professionalità e del suo sviluppo (Damiano,
2004 e, in via di pubblicazione, b).
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
34
Elio Damiano
Sono ben consapevole che il detournement proposto per la Valutazione
richieda uno “straniamento” che punti a modiicare il modo di vedere la situazione scolastica comunemente percepita, ritagliandola dal suo contesto
d’abitudine e ricollocandola in una dimensione diversa. L’attesa è un superamento della rappresentazione uiciale della realtà dell’insegnamento, tale
da squilibrare la sua immagine bloccata in un canone issato remotamente e
mutare le coordinate della sua “natura” come inora l’abbiamo concepita. In
sintesi, è un invito a cambiare il codice di una tradizione: la “visione” epistemologica dell’insegnamento e della funzione della scuola nella società.
Per due cambiamenti che sono uno solo e richiedono una decisa ristrutturazione del campo percettivo, a cominciare dai pedagogisti.
Presentazione dell’Autore: Elio Damiano è professore ordinario di Didattica
generale presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Parma. Si occupa di innovazione scolastica, formazione degli insegnanti, modelli didattici, educazione
interculturale, teoria e pratica, epistemologia. La sua più recente monograia si
intitola Jean Piaget. Epistemologia e didattica, Milano, 2010.
Bibliografia
Aa.Vv. (2003), «L’inluence des organisations internationales sur les politiques
d’éducation», Dossier, in Education et Sociétés, n. 12, 5-110.
Apple, M. (1989), «How equality has been redeined in the conservative restoration», in W. Secada (ed.) Equity and Education, New York, Falmer Press.
— (1993), «he politics of knowledge: Does the national curriculum make sense?», in Teachers College Record, n. 2, 222-241.
Baudouin, J.-M., Friedrich, J. (dirs.) (2001), héories de l’action et éducation, Bruxelles, De Boeck.
Bauman, Z. (2001), Voglia di comunità, Bari, Laterza.
— (2002), La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Bologna,
Il Mulino.
Beck, U., Giddens, A., Lash, S. (1999), Modernizzazione rilessiva, Trieste, Asterios.
Beck, U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci.
Bennett, J., Lubben, F., Hogarth, S., Campbell, B. (2005), «Systematic Reviews of research in science education: rigour or rigidity?», in International
Journal of Sciences Education, n. 4, 387-406.
Bernstein, B. (1973a), Class, Codes and Control, vol. I, heoretical Studies towards
a Sociology of Language, London, Routledge and Kegan Paul.
— (1973b), vol. II, Applied Studies towards a Sociology of Language, in ibidem.
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
35
— (1975), Classe et Pédagogies: visibles et invisibles, Paris, OCDE-CERI.
— (1977), vol. III, Towards a heory of Educational Transmissions, in ibidem.
Bertagna, G. (2001), «Verso i nuovi piani di studio», in Annali della Pubblica
Istruzione, numero speciale sugli Stati Generali della Scuola, n. XLVII, 1-2.
Besse, J.M. (1977), «Vers une pédagogie par objectives?», in Bullettin Binet &
Simon, n. 556, III, 114-147.
Bloom, B.S. et al. (1956), Taxonomy of Educational Objectives. he Cognitive Domain, (Handbook I), New York, David McKay & Co.
— et al. (1964), Taxonomy of Educational Objectives. he afective Domain,
(Handbook II), New York, David McKay & Co.
— (1972), «Innocence in education», in School review, University of Chicago Press,
n. 80, 333-352.
Bordieu, P., Passeron, J.C. (1970), La Reproduction. Eléments pour une théorie du
système d’enseignement, trad. it. (1972), Rimini, Guaraldi.
Bottani, N. (2002), Insegnanti al timone? Fatti e parole dell’autonomia scolastica,
Bologna, Il Mulino.
— (2006), «Le niveau de l’huile, le moteur et la vecture: les enjeux d’une évaluation de la qualité de l’enseignement par les indicateurs», in Education et Sociétés,
n. 18, 141-161.
Brezinka, W. (2002), Obiettivi e limiti dell’educazione, Roma, Armando.
Brookover, W.B., Schweitzer, J., Schneider, J., Beady, C., Flood, P.K., Wisenbaker, J. (1978), «Elementary school social climate and school achievement», in American Educational Research Journal, n. 2, 301-318.
— (1979), School social climate and student achievement: Schools make a diference,
New York, Praeger.
Calidoni, P. (2001), «Tra standardizzazione e mondi vitali», in Dirigenti Scuola,
n. 8, 19-30.
Campbell, E. (2003), he Ethical Teacher, Maidenhead-Philadelphia, Open University Press.
CEF (Conseil de l’Education et de la Formation) (2003), La Méthode Ouverte
de Coordination et la politique européenne en matière d’éducation et de formation,
Bruxelles, Rapport intermédiaire pour le Conseil du 23 mai 2003.
Charlier, J.-E. (2003), «La douce violence de la “Méthode ouverte de Coordination” et de ses équivalents», in Education et Sociétés, n. 12, 5-11.
Chesi, M.L. (2002), «Competenza è…», in Scuola Insieme, n. 3, Dossier “La didattica modulare”, 29-32.
CNAM (2000), L’analyse de la singularité de l’action, Paris, PUF.
Comoglio, M. (2002), «Il portfolio: strumento di valutazione autentica», in
Orientamenti Pedagogici, n. 2, 199-224.
Corradini, A., Galvan, S. (1992), «Teorie della causa», in Il Quadrante Scolastico,
n. 52, 12-42.
Damiano, E. (1980), «La pianiicazione scolastica fra tecnologia e politica, II,
Vent’anni di pianiicazione nei Paesi occidentali, 1959-1978», in Cultura e
Scuola, n. 76, 143-151.
— (1994), L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, Roma, Armando.
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
36
Elio Damiano
— (2004), L’insegnante. Identiicazione di una professione, Brescia, La Scuola.
— (2004), «Didattica ed epistemologia. Indagine sui fondamenti di alcuni modelli d’insegnamento», in Pedagogia e Vita, n. 4, 75-106.
— (2006), La “Nuova Alleanza”. Temi problemi e prospettive della “Nuova Ricerca
Didattica”, Brescia, La Scuola.
— (2009), «Nouveaux Regards. Studiare l’insegnamento oltre la ricerca normativa», in Orientamenti pedagogici, n. 4, 551-571.
— (in via di pubblicazione a), Diventare quel che si misura? Indagine sulla “internazionalizzazione” della ricerca pedagogica.
— (in via di pubblicazione b), «La valutazione agli insegnanti», in Dirigenti Scuola.
Derouet, J.L. (2002), Politiques éducatives et évaluation, Paris, PUF.
— (2000), L’école dans plusieurs mondes, Paris, De Boeck.
— (2003), «Du temps d’études à la formation tout au long de la vie. À la recherche
de nouvelles références normatives», in Education et Société, n. 11, 65-86.
Dodier, N. (2003), Leçons politiques de l’épidémie du SIDA, Paris, EHESS.
Duterq, Y. (1997), L’établissement scolaire, autonomie scolaire et service publique,
Paris, ESF-INRP.
Earl, L., Cousins, J.B. (1995), Classrooom assessment: Changing the face, facing the
change, Toronto, OPSTE.
Fenstermacher, G. (1986), «Philosophy of research on teaching. hree aspects»,
in M.C. Wittrock (ed.), Handbook of research on teaching, New York, Macmillan, 37-49.
Filograsso, N. (1979), Gli obiettivi dell’educazione. Fondamenti epistemologici, Venezia, Marsilio.
Foucault, M. (1978), La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli.
— (1994), «Le sujet et le pouvoir», in Dits et Ecrits, vol. IV, Paris, Gallimard.
— (1998), Bisogna difendere la società, Milano, Feltrinelli.
— (2001), «Omnes et singulatim», in O. Marzocca (a cura di), Biopolitica e liberalismo, Milano, Feltrinelli.
— (2004), Sicurezza popolazione territorio, Milano, Feltrinelli.
— (2005), La nascita della biopolitica, Milano, Feltrinelli.
Frey, K. (1977), Teorie del curricolo, Milano, Feltrinelli.
Gage, N.L. (1964), «heories of Teaching», in E.R. Hilgard (ed.), heories of learning and Instruction, he Sixty-hird Yearbook of the NSSE, part I, Chicago
(IL), he University of Chicago Press, 255-311.
Gagné, R. (1965), he condition of learning, New York, Holt.
Giaconi, C. (2008), Le vie del costruttivismo, Roma, Armando.
Gipps, C., Murphy, P. (1994), A fair test? Assessment, achievement and equity, London, Open University Press.
Goldstein, H., Lewis, T. (eds.) (1996), Assessment: problems, developments and
statistical issues, Chichester, John Wiley & Sons.
Guasti, L. (2000), «Curricolo, competenze, signiicati», in Pedagogia e Vita, n. 4,
102-131.
— (2003), «Il sistema degli standards», in Pedagogia e Vita, n. 3, 139-149.
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
37
Guba, E.G., Collins, Y.S. (1989), Fourth generation evaluation, Newbury Park,
SAGE.
—, Bidwell, C.E. (1959), Administrative Relationship, Chicago (IL), Midwest
Administration Center;
— (1969), «he Failure of Educational Evaluation», in Educational Technology, 2938.
Habermas, J. (1986), Teoria dell’agire comunicativo, vol. II, Bologna, Il Mulino.
Hume, D., «An enquiry concerning human understanding», orig. 1758, trad. it.
(1987) in Opere ilosoiche, vol. II, Bari, Laterza.
Johnson, M., Lakoff, G. (eds.) (1987), he body in the mind. he bodily basis of
meaning, imagination and reason, Chicago (IL), University of Chicago Press.
Lantheaume, F. (2008), «De la professionalisation à l’activité: nouveaux regards
sur le travail enseignant», in Le travail enseignant. Crises et recomposition, du
local à l’international, retour sur le métier, numero monograico di Recherche et
Formation (a cura di F. Lantheaume), n. 57, 9-22.
Lawn, M. (2008), An Atlantic crossing? he work of international examination inquiry, its researchers, methods and inluence, Oxford, Symposium Books.
Lynch, K., Payet, J.-P. (2011), «L’égalitè en éducation: redistribution, reconnaissance, représentation et relations afectives», in Education et Sociétés, n. 1,
5-22.
Maccario, D. (2006), Insegnare per competenze, Torino, SEI.
Maclure, M. (2005), «Clarity bordering on stupidity: where’s the quality in systematic review?», in Journal of Education Policy, n. 4, 393-416.
Madaus, G. (1994), «A technological and historical consideration of equity issues
associated with proposal to change the nation’s testing policy», in Harvard
Educational Review, n. 1, 76-95.
Malizia, G., Cicatelli, S. (a cura di) (2001), Verso la scuola delle competenze,
Roma, Armando.
Mcneil, L.M. (2000), Contradictions of School Reform. Educational costs of standardized testing, London, Routledge,
Meyer, H.L. (1977), Introduzione alla metodologia del curriculum, Roma, Armando.
Meyer, J.W., Ramirez, F.O (2000), he World Institutionalization of Education.
Origins and implication, in J. Schriewer (ed.), Discours Formation in Comparative
Education, Comparative Studies Series, vol. 10, Peter Lang, Frankfurt a. M., 111132.
Nardi, E. (2001), «La ricerca OCSE-PISA», in Annali dell’Istruzione, nn. 1-2,
302-310.
Normand, R. (2003), «Les comparaisons internationales des résultats: problèmes
épistémologique et question de justice», in Education et Sociétés, n. 2, 73-89.
— (2004), «La formation tout au long de la vie et son double. Contribution à une
critique de l’économie politique de l’eicacité dans l’éducation», in Education et
Sociétés, n. 13, 109.
— (2006), «Les qualités de la recherche ou les enjeux du travail de la preuve en
éducation», in Education et Sociétés, n. 18, 73-91.
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY
38
Elio Damiano
Oakes, J. (1986), Education Indicators. A guide for Policy-Makers, Center for Policy
Research in Education, Santa Monica (CA), he Rand Corporation.
Pacchiani, G. (a cura di) (1980), Filosoia pratica e scienza politica, Abano, Francisci.
Payet, J.-P., Sanchez-Mazas, M., Giuliani, F.-E., Fernandez, R. (2011),
«L’agir scolaire entre régulations et incertitudes. Vers une tipologie des postures enseignantes de la relation à autrui», in Education et Sociétés, n. 1, 23-37.
Pochet, P. (2001), Méthode Ouverte de Coordination et modèle social européen, Note
de Recherche n. 03/01, Università di Montréal, Institut d’études européennes.
Rey, B. (2003), Ripensare le competenze trasversali, Milano, FrancoAngeli.
— (2006), «Les compétences professionnelles et le curriculum: des réalités conciliables?», in Y. Lenoir, M.-H. Bouillier-Oudot (dirs.) Savoirs professionnels et
curriculum de formation, Saint-Nicolas (Québec), Les Presses de l’Université de
Laval, 83-108.
Reynolds, D., Jones, D., St. Leger, S. (1976), «School do make a diference», in
New Society, n. 29, 223-225.
Ricoeur, P. (1990), Soi même comme un autre, Paris, Editions du Seuil.
Rossi, P.G. (2005), Progettare e costruire il portfolio, Roma, Carocci.
Sanderson, I. (2003), «Is it what works that matter? Evaluation and evidencebased policy making», in Research papers in education, n. 4, 2003, 331-347.
Saussez, F., Lessard, C. (2009), «Entre orthodoxie et pluralisme, les enjeux de
l’éducation basée sur la preuve», Note de Sinthèse, in Revue Française de Pédagogie, n. 168, 111-136.
Schmitt, C. (1967), Die Tyrannei der Werte, Stuttgart, Kohlhammer (trad. it.
2008, La tirannia dei valori. Rilessioni di un giurista sulla ilosoia dei valori, con
un saggio di F. Volpi, Milano, Adelphi; vedi anche 2008 la traduzione curata da
P. Becchi a Brescia, presso la Morcelliana).
Schriewer, J. (1993), «he Method of Comparison and the Need for Externalization: Methodological Criteria and Sociological Concepts», in J. Schriewer,
B. Holmes (eds.) heories and Methods in Comparative Education, Comparative
Studies Series, Vol. 1, Frankfurt a. M., Peter Lang.
— (2004), «L’internationalisation des discours sur l’éducation: adoption d’une
“idéologie mondiale” ou persistence du style de “rélexion systémique” spéciiquement nationale?», in Revue Française de Pédagogie, n. 146, 7-26.
— Heinze, J. et al. (1999), «Konstruktion von Internalitaet Referenzhorizonte Pedagogischen Wissens im Wandel Geselschaftlicher Systeme (Spanien,
Sowietunion-Russland, China)», in H. Kaelble, J. Schriewer (hrsg.), Gesellschaften im Vergleich, Forschungen aus Sozial und Geschichtwissenshaften, Komparatistiche Bibliotek, Frankfurt a. M., Peter Lang, 151-258.
Seligman, A.B. (2001), La scommessa della modernità. L’autorità, il sé e la trascendenza, Roma, Meltemi.
Sennet, R. (2000), L’uomo lessibile, Milano, Feltrinelli.
Sequeri, P. (2002), L’umano alla prova. Soggetto, identità, limite, Milano, Vita e
Pensiero.
VALUTAZIONE E COMPETENZE
Il “senso” della valutazione
39
Sergiovanni, T.J. (2000), he Lifeworld of Leadership. Creating Culture, Community and Personal Meaning in our Schools, San Francisco, Jossey-Bass.
Serres, M. (1999), Il mantello di Arlecchino. Il “terzo istruito”: l’educazione dell’era
futura, Venezia, Marsilio.
Shapiro, M., Stone Sweet, A. (eds.) (2002), On Law, Politics and Judicialization,
Oxford, Oxford University Press.
Slavin, R. (1998), Show Me the Evidence: Proven and Promising Programs for America’s Schools, housand Oaks (CA), Corwin.
— (2002), «Evidence-based educational policies: transforming educational practice and research», in Educational Researcher, n. 7, 15-21.
— (2004), «Education research can and must adress what works questions», in
Educational Researcher, n. 1, 27-28.
— (2008a), «What works? Issues in synthesizing educational programs evaluation», in Educational Researcher, n. 1, 5-15.
— (2008b), «Evidence-based reform in education: which evidence counts?», in
Educational Researcher, n. 1, 47-50.
Starch, D., Elliott, E.C. (1912), «Reliability of the Grading of High School
Work in English», in School Review, n. 20, 442–457.
— (1913), «Reliability of the Grading of High School Work in Mathematics», in
School Review, n. 21, 254-259.
Tate, N., Vallinder, T. (eds.) (1995), he Global Expansion of Judicial Power,
New York, New York University Press.
Taylor, C. (1994), Radici dell’io, Milano, Feltrinelli.
Teubner, G. (ed.) (1987), Juridiication of Social Spheres, Berlin, De Gruyter.
Thomas, G., Pring R. (eds.) (2010), Evidence-Based Practice in Education, Maidenhead, Open University Press.
Tiana, A. (2001), «Le monde comme laboratoire éducatif», in Politiques d’éducation et de formation: analyses et comparaisons internationales, n. 3, 47-57.
Vaca Uribe, J. (2009), «Compréhension de l’écrit et schèmes culturels», in S. Regano (dir.), Didactique: approche vygotskienne, Toulouse, Presses de l’Université
du Mirail, 87-98.
Volpi, F. (1980), «La rinascita della ilosoia pratica in Germania», in Aa.Vv.,
Filosoia pratica e scienza politica, Abano, Francisci.
Williams, G. (1978), La planiication de l’enseignement: passé, présent et avenir,
SME/ET/78.64.
— (1980), Un nouveau cadre pour la planiication de la politique de l’enseignement,
SME/ET/80.3.
Yonnet, P. (2006), L’avènement de l’individu contemporain, Paris, Gallimard.
Zanniello, G. (2011), Dagli obiettivi educativi alle competenze fondamentali, Palermo, Palumbo.
EDUCATION SCIENCES & SOCIETY