Relazione di M.Laini VIII Congresso CGIL MB

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Relazione di M.Laini VIII Congresso CGIL MB
VIII Congresso
CGIL Monza e Brianza
6 e 7 marzo 2014
Relazione introduttiva
di Maurizio Laini
Segretario generale uscente
sceglidiesserci
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INDICE
0. Ringraziamento alle autorità e ai cortesi ospiti...............................pag.4
1. I giovani (precari, frustrati, indifferenti, disoccupati...).....................4
2. Giovani e sindacato: perché un sindacato?.....................................5
3. Il territorio di Monza e Brianza.......................................................7
4. La crisi occupazionale....................................................................10
5. L’idea di “sistema”: una conquista recente per MB.........................12
6. Territorio, Amministrazioni locali e impatto con la crisi....................14
7. Le piste dello sviluppo...................................................................17
8. Territorio: qualche tema da affrontare............................................18
9. La Provincia..................................................................................20
10. La politica sul territorio..................................................................21
11. La legalità e la criminalità organizzata...........................................22
12. Il paese: la crisi, il lavoro, i redditi, il welfare...................................23
13. Le categorie tartassate..................................................................25
14. La CGIL: difesa senza speranza?....................................................27
15. Il protocollo sulla democrazia........................................................28
16. Lo scenario sociale, economico e politico da qui ai prossimi quattro anni
29
17. Devo ringraziare...................................................................................... 30
scegli di esserci
0.
Ringraziamento alle Autorità e ai cortesi ospiti
1.
I giovani (precari, frustrati, indifferenti, disoccupati…..)
Bamboccioni, choosy, comodi a casa
Voglio aprire la relazione al congresso con alcune valutazioni sulla condizione giovanile.
Sento su di me, su di noi, il peso di una grave responsabilità nei confronti dei giovani: temo che non saremo capaci di lasciare a
loro un mondo almeno “vicino” a quegli ideali, a quei valori che la mia generazione ha assunto e tentato di praticare.
Eppure questo sentimento nei loro confronti non è proprio così largamente condiviso: ogni tanto ministri saccenti, accademici
astrusi, imprenditori interessati e stupidi, avanzano dubbi pesanti sulle qualità dei giovani d’oggi. Coprono le loro responsabilità scaricandole vigliaccamente su figure che oggi appaiono nel contesto sociale come tra le più deboli.
“Bamboccioni, choosy, troppo comodi a casa propria”: i giovani sono dipinti come incapaci di affrontare il futuro, indecisi a
tutto, molli, senza nessun credo.
Rassegnati a non affrontare la competizione, rannicchiati perennemente tra le gonne della mamma. Giovani incapaci di assumersi le responsabilità; senza nessuna voglia di lavorare.
Giudizi di questo tipo sono lasciati cadere dall’alto di posizioni privilegiate, da gente che non ha mai frequentato il lavoro da
questa parte della macchina o della scrivania…..
Da persone che leggono i dati della disoccupazione giovanile in Italia solo nel quadro delle dinamiche statistiche globali del
mercato del lavoro, che valutano e giustificano irridenti e non vedono le facce, i desideri, i progetti, le storie di giovani che hanno
studiato e non trovano impieghi coerenti, che sono pronti a tutto e finiscono nel call center a quattro euro l’ora tutto compreso;
che accumulano una sfilza di “incarichi” tre mesi qui e due là e nel frattempo appassiscono con i loro sogni.
Giovani che tentano la sorte nel mondo del lavoro autonomo, dell’artigianato: si fanno imprenditori di se stessi e durano non
più di tre anni. Giovani che ogni giorno rischiano la sconfitta definitiva.
I giovani di 40 anni fa, il mondo di 40 anni fa…….
La mia generazione negli anni ha costruito un sistema economico produttivo progressivamente eccellente; un sistema di tutele
sociali, un welfare rassicurante; un complesso di diritti qualificato ed esteso.
Ma così come l’abbiamo costruito l’abbiamo anche sgretolato: un ventennio di battaglie per lo sviluppo, per i diritti, il lavoro, la
qualità della vita è stato sostituito da un ventennio di declino, di decrescita lenta e poi di crisi aperta, devastante.
Quella che per noi, giovani di allora, è stata una cavalcata persino gioiosa verso il futuro (faticosa, non sempre lineare, complicata, ma orientata al progresso e alla crescita, condita da una insopprimibile fiducia) è diventata una stanca, strascicata,
defatigante corsa in salita per i giovani di oggi.
Con un’aggravante terribile: c’è sempre qualcuno che prova a convincere i giovani che è colpa loro, che dovrebbero fare questo
e quello, che noi – ai nostri tempi -……..
Invece offriamo loro un mondo statico, appesantito dai debiti e ingrato, caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione al
lavoro, dal blocco della mobilità sociale, dalla contrazione obiettiva dei posti di lavoro a partire da quelli storicamente eccellenti
della P.A., dall’abbassamento della competitività e quindi della base occupazionale del manifatturiero. Ma poi la crisi – da sei
anni in qua - con la scarsità di risorse, di possibilità di accesso al credito, di investimenti pubblici e privati sulla formazione,
sull’innovazione, sulla ricerca…. allarga progressivamente la massa di ragazzi e ragazze che non studiano più e non lavorano.
La disoccupazione in Italia è al 13%. Quella giovanile è al 43%. Nel sud al 55%!
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Giovani e lavoro
Molti se ne vanno.
Per una laureata in storia dell’arte lavorare come cameriera precaria in una pizzeria di periferia a 400 euro al mese a Vimercate,
oppure in un pub inglese a 1.000 sterline è diventata un’alternativa realistica.
Esportiamo cervelli, ma anche braccia.
Emigriamo. I nostri giovani, emigrano.
Come nei primi anni del secolo scorso.
Perché, qui da noi, chi investe sugli asset di carattere storico e culturale che costituiscono la risorsa principale del paese (con l’arte non si mangia!)? Chi investe nel patrimonio artistico, paesaggistico; nella messa in sicurezza del territorio; nella produzione
di energia a costi competitivi; nel riassetto idrogeologico……..
La CGIL scrive un “Piano del Lavoro” perché questa è la priorità del paese. La ripresa degli investimenti per una crescita ecosostenibile, per un’occupazione qualificata e finalmente disponibile ai giovani nativi digitali.
Non l’ennesima revisione delle regole per il mercato del lavoro, vecchia litania cominciata con la voglia di rivincita – tutta
ideologica e politica – del sistema delle imprese sui diritti del lavoro, ma la pianificazione di interventi che raccolgano risorse e
le investano nella costruzione di lavoro nuovo, coerente con gli asset ambientali del paese e la formazione dei nostri giovani.
La crisi ha fatto giustizia delle battaglie ideologiche decretandone l’assoluta inutilità e ci ha scaraventato davanti problemi concreti e quotidiani, mostrandoci le prime vittime, i giovani, del nostro (del paese, intendo) dibattito sulla necessità di flessibilità,
di precarietà, di progressivo abbassamento del valore dei salari e dei redditi.
Ci siamo dolorosamente avvitati su problemi che con i tagli non risolveremo mai.
Il precariato come destino
Ai giovani offriamo un destino quasi obbligatorio: dieci, quindici anni di precariato; oppure l’emigrazione; oppure
attività in proprio comunque caratterizzate da redditi sotto la soglia della sopravvivenza e diritti sul lavoro deboli
o inesistenti.
La crisi come esperienza perpetua
E c’è una generazione di giovani che non solo non ha conosciuto battaglie collettive, buona politica, rivendicazione dei diritti, solidarietà; una generazione che è cresciuta con la crisi, che non conosce una realtà che non
sia la crisi, che mai ha avuto risposte che prescindessero dalla “crisi”. Questa crisi eterna, interminabile è la loro
condizione storica.
2.
Giovani e sindacato: perché un sindacato?
Il conflitto generazionale
In questo loro percorso, i giovani hanno difficoltà ad incontrare il sindacato; o meglio: il Sindacato ha difficoltà ad incontrare i
giovani. Di loro teniamo conto sempre, quando ci confrontiamo con le controparti, quando progettiamo le nostre offerte di servizio o rimoduliamo le nostre strutture organizzative e le nostre piattaforme politiche: ma non possiamo dire di avere un’offerta
adeguata. Di essere cercati o addirittura creduti, dai giovani.
Beh, vent’anni di parole d’ordine tese a “fomentare” un conflitto generazionale qualcosa hanno prodotto…… Qualcuno è
certamente convinto che siamo il sindacato “dei vecchi”: è falso e con tranquillità lo si può affermare.
Diritti dei garantiti contro precarietà e povertà dei giovani sciolti è un’immagine ingenerosa della politica sindacale. Si potrebbe
scrivere un libro sul valore del contratto collettivo e la contrattazione individuale.
Ma di certo l’azione nostra è insufficiente: è insufficiente la presenza nei piccoli luoghi di lavoro, nelle piccole e piccolissime
scegli di esserci
aziende sul territorio; nello sforzo di contrattualizzazione e di estensione delle tutele; è insufficiente l’offerta di assistenza per i
ragazzi lavoratori “autonomi”; è insufficiente l’orientamento e l’accompagnamento verso il lavoro……….
Il nostro modello organizzativo di sindacato novecentesco, è ancora largamente mirato sulle necessità di rappresentanza della
grande fabbrica operaia e manifatturiera, frequentata da lavoratori bianchi, a tempo indeterminato e contrattualizzati.
La riflessione sull’innovazione organizzativa della CGIL è insufficiente e soprattutto è lontana dal condurre alle necessarie scelte.
Alla frantumazione della fabbrica attraverso riorganizzazioni e scorpori; alla diversificazione dei rapporti di lavoro che hanno
moltiplicato le forme della flessibilità; alle diverse forme di tutela contrattuale a seconda della natura giuridica delle imprese
presenti in fabbrica, alla presenza ormai quantitativamente significativa di lavoratori migranti non abbiano ancora dato una
risposta organizzativa convincente.
Rappresentare il lavoro nuovo, includere nella contrattazione forme e posizioni, valorizzare la dimensione aziendale e territoriale,
intercettare e offrire copertura a diverse professionalità e diversi luoghi nuovi di lavoro è questione vitale per il sindacato. Serve
una autoriforma organizzativa, una risposta trasparente agli attacchi della politica e allo sfilacciamento del rapporto con i lavoratori, un’idea di sindacato del futuro che rivalidi il tema della rappresentanza. E che si ponga il problema del rapporto con i giovani.
Un sindacato di 40 anni fa?
Quarant’anni fa la fabbrica era “maestra di vita”; fonte di acculturamento, di apprendimento; ascensore sociale e luogo di relazione tra persone che condividevano non solo bisogni materiali, esperienze professionali, rivendicazioni; ma anche aspettative,
aspirazioni, valutazioni, cultura.
Oggi la grande fabbrica è un’area dismessa oppure un conglomerato di aziende, cooperative, di S.r.l. di servizi, di interi reparti
di lavoratori interinali…….
Non ha più identità né riesce a trasmettere, ovviamente e a maggior ragione, identità e status sociale.
E i giovani lavoratori – i pochi che frequentano la fabbrica – fanno percorsi totalmente diversi rispetto al passato: confusi,
separati, precari, privi della dimensione sociale.
Allora il sindacato era una palestra di crescita, di partecipazione, di condivisione: il sindacato è stato uno straordinario luogo di
creazione di esperienze collettive anche vincenti e i giovani sono stati, nel passato, la spinta all’innovazione, alla trasformazione,
alla battaglia valoriale. Oggi solo un sindacato riformato, meglio: trasformato e capace di concentrarsi sul lavoro nuovo può
pensare di interpretare adeguatamente la propria missione di rappresentanza.
A MB la CGIL per i giovani
La CGIL a Monza e Brianza ha investito decisamente – nonostante le difficoltà economiche – sull’incontro con i
giovani, assumendo già in questi ultimi quattro anni la priorità di affrontare realisticamente i temi del precariato,
della disoccupazione giovanile, della tutela dei lavoratori giovani o peggio, dei giovani disoccupati.
Abbiamo costituito l’”Area Giovani & Lavoro”, riorganizzando le risorse che già insistevano sul questa materia e
abbiamo implementato il “Servizio Orientamento Lavoro”.
Abbiamo dotato Nidil dello statuto di Sindacato, rafforzandone la dimensione organizzativa e ricevendone in
cambio una significativa crescita in termini di consenso, attività ed iscritti.
Abbiamo costituito in CdLT un “Gruppo Giovani”, informale e agile, che potenzialmente fosse luogo di valorizzazione delle risorse giovani della CGIL MB, di promozione della loro partecipazione alla vita della struttura e
contestualmente fosse luogo di progettazione e realizzazione di attività rivolte ai giovani.
Abbiamo così avviato iniziative di formazione sindacale dedicate a questo specifico target, inventato la “festa dei
giovani della CGIL MB”, consolidato contatti con il mondo del lavoro giovanile diffuso, disperso, anche autonomo e con diritti deboli.
Il 2014 sarà l’anno di due progetti in particolare – con risorse importanti – sul terreno della relazione con giovani.
Il primo riguarda i giovani lavoratori con contratti “deboli”, fin qui scarsamente frequentati dal Sindacato. Sul
modello dell’”organising” immaginiamo di dedicare risorse alla relazione con lavoratrici e lavoratori delle coope-
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rative nei diversi settori e con i diversi contratti.
Il secondo – di carattere territoriale – riguarda la costituzione di un’associazione con il primario obiettivo di allestire una “scuola di formazione politica” per giovani interessati. Non solo per potenziali amministratori o sindacalisti
o giovani a diverso titolo impegnati in politica, ma per tutti coloro che volessero approfondire in modo serio le
fondamenta valoriali della nostra democrazia e la storia della conquista dei diritti, da quelli sindacali a quelli di
cittadinanza.
E – infine – mi auguro che questo congresso sia attento – nel momento di rinnovare gli organismi di direzione
della CGIL – a valorizzare i contributi di delegate e delegati giovani.
La dimensione del futuro
Se questo congresso che stiamo celebrando nel suo faticoso itinerario dalle assemblee di base all’assise di Rimini in maggio
non è stato il luogo per una discussione strategica sul futuro della CGIL è bene che questa discussione troviamo il modo di
cominciarla velocemente.
Non c’è un bel quadro, attorno alla CGIL; non certo un quadro che favorisca serene riflessioni sul futuro: il paese
è quello che vediamo ogni giorno, l’offerta politica è quella che conosciamo, le aspettative delle persone sono
pressanti e non ammettono mezze risposte.
Ma i 120 anni di storia della CGIL di MB, la tumultuosa cavalcata attraverso la storia che in nome del lavoro abbiamo fatto, stanno lì a supportare i nostri sforzi: anche in questa situazione saremo capaci (e lo sarà il paese) di
costruire il futuro.
3.
Il territorio di Monza e Brianza
Fabbrica e territorio
La grande fabbrica – dicevamo – ha chiuso i battenti. Il manifatturiero perde colpi significativi.
Il “piccolo è bello” che ha contribuito a punteggiare i nostri territori di grandiose piccole imprese eccellenti rischia di essere
cancellato dalle mappe.
Il sindacato presidia – giustamente, com’è naturale – i luoghi di lavoro di dimensioni più significative e fatica invece a investire
le proprie risorse e le proprie energie sul lavoro disperso, frammentato, frantumato sul territorio.
La CGIL è strutturata per categorie verticali che corrispondono a settori merceologici che irrazionalmente separano in compartimenti stagni filiere che oggi hanno una loro omogeneità non certamente merceologica: territoriale, per esempio; per processo
produttivo; per grandi luoghi di lavoro nei quali si affacciano professionalità, mestieri, contratti diversi. Siti – un aeroporto, un
grande centro commerciale, una catena di produzione e lavorazione e poi distribuzione di prodotti agricoli – territoriali da organizzare efficacemente e attraverso un’offerta orizzontale di rappresentanza, tutela e servizi.
Semplificare categorie e contratti è una cosa indispensabile. Così come offrire risposte territoriali a problemi anche di rappresentanza impossibili da risolvere per singole piccolissime unità produttive.
La dimensione confederale del sindacato, il suo insediamento territoriale, la sua capacità di costruire proposte di politiche territoriali partecipando alle dinamiche di governance economica e istituzionale rappresenta il nuovo asse della rappresentanza.
L’occupazione – vera, unica priorità della fase – si difende certamente in azienda, certamente, necessariamente con le bandiere
ai cancelli delle aziende che chiudono, ma anche attraverso politiche di rafforzamento della competitività territoriale, del marketing territoriale, dell’attrattività.
Parole d’ordine come reindustrializzazione dei siti o sono accompagnate da concrete scelte – pubbliche e private – di investi-
scegli di esserci
mento sui quali il sindacato deve essere così “intelligente” da avere una riflessione disponibile e opzioni, proposte in campo,
da sostenere anche con la mobilitazione, o sono pure invocazioni.
Un paesaggio ancora dolce?
Ma andiamo con ordine, perché tutta questa riflessione ci porta diritti in Brianza, a parlare di “questo” territorio,
prima ancora che di modelli sindacali e governance territoriali.
La cartolina, lo stereotipo della Brianza mostra un territorio verde, dolce, dai connotati riposanti.
Sembrerebbe costruito apposta per offrire un’alternativa, una compensazione al paesaggio metropolitano di
quella Milano affarista, superveloce, trafficata e cinica.
Una Brianza capace di compensare con il parco e il verde l’inquinamento e l’eccesso di urbanizzazione; di ingentilire
con le ville preziose e i centri storici puliti gli accatastamenti di caseggiati dei quartieri periferici della grande metropoli.
C’è da chiedersi se lo stereotipo sopravviva alla storia reale di questo territorio: al suo effettivo tasso di urbanizzazione e di deterioramento della qualità dell’aria, all’affollamento in termini di densità della popolazione, alla
veloce proliferazione di edilizia privata, di strade e di centri commerciali. Insomma, questo paesaggio è ancora
così dolce? Il tratto è così caratterizzante?
La cultura del lavoro
Di sicuro un tratto identificativo del territorio che ha contribuito a fare la storia di Monza e Brianza è la cultura della sua gente,
la gerarchia dei valori detti e praticati, il costume.
L’identità del brianzolo è largamente costruita attorno alla propensione per il lavoro; quello manuale, quello che costruisce,
quello che trasforma.
Non deve stupire quindi la vocazione manifatturiera dell’economia brianzola: una formazione scolastica storicamente debole si
accompagna ad una voglia straordinaria (e di straordinario successo) di fare, di lavorare.
Il lavoro è benessere, soddisfazione economica, base per la realizzazione di progetti di vita e di consumo; il lavoro è anche la
sfida, la misura del valore di sé, l’identità, più di ogni altro elemento sociale.
Il lavoro è stabilità, rassicurazione, certezza.
Nel lavoro il brianzolo si specchia e si gratifica.
E il successo è l’impresa, la moltiplicazione del lavoro, per sé, per la sua famiglia, per gli altri.
L’eccellenza del mobile ha una storia semplice, che si costruisce nei cortili di edifici rurali: appena prima dell’alba nelle corti si
accendevano le presse e si cominciava a lavorare. Nelle piccole botteghe, nelle cantine, nei grandi cortili. Erano falegnami eccellenti nel piallare, forare, levigare, tornire e persino intarsiare il legno. E i primi tra loro a “metter su un capannone” reclutavano
altri colleghi eccellenti, capaci di lavorare al meglio e disponibili per vocazione a tanto, grande, prezioso lavoro.
Il valore del lavoro
Su questo lavoro e sull’intelligente lungimiranza dei fondatori, primi imprenditori, delle aziende brianzole del
legno e poi del mobile e dell’arredo si fonda la storia della Boffi, della Giorgetti, della Cassina, della Flou, della
Molteni, della Lema, della Zanotta….. dei grandi brand dell’eccellenza mobiliera di Monza e Brianza.
Persino l’intelligenza innovativa – che poi si è avvalsa di prestigiosi architetti e designer – agli inizi dell’era industriale è una dimensione collettiva, un pensiero che nasce e si fonda solidamente sull’esperienza del lavoro e dei
lavoratori, che spingono, premono, credono nel loro lavoro e nel valore del loro lavoro.
Peraltro questo valore, nella storia del nostro territorio, è stato spesso riconosciuto: imprenditore e lavoratori – soprattutto nelle piccole e medie aziende, nelle imprese artigiane manifatturiere diffuse sul territorio, sono il patrimonio dell’azienda, la sua ricchezza.
Il know how è spalmato, le professionalità preziose; i lavoratori si riconoscono nella storia dell’azienda e, fino ad un certo punto,
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ne condividono i percorsi con adesione e solidarietà.
Finché non si spezza il filo – il lavoro, la partecipazione e il riconoscimento - che tiene uniti lavoratori e impresa il lavoro
è ricchezza, per le famiglie, per l’impresa e per il territorio.
Ma poi, appunto, questo filo si spezza, quasi ovunque. Ad un certo punto della storia si scollina: le grandi imprese si
frantumano, l’appartenenza viene meno, le norme sul lavoro disintegrano i rapporti e riducono i diritti, i giovani assunti
valgono – per le leggi e i contratti – meno dei più anziani, il lavoro viene retribuito e riconosciuto meno di quanto serva e
poi la crisi, questa cesura della storia; questo scenario mai visto che devasta anche la Brianza e la sua cultura del lavoro.
La vocazione manifatturiera
Questo rapporto positivo con il lavoro, questa disponibilità del lavoratore brianzolo è un elemento di competitività territoriale non irrilevante: da noi si lavora bene, intensamente, con passione.
E il territorio è “naturalmente” vocato alla manifattura.
In modo quasi automatico: nella cultura brianzola altre attività di produzione del valore e del reddito vengono dopo.
Viene “dopo” la formazione, l’istruzione.
Viene dopo il turismo, la valorizzazione ambientale e del territorio.
Viene dopo, molto dopo, l’attività di promozione, di comunicazione, di marketing, di vendita diretta…
Vengono dopo i servizi alle imprese, il terziario, le attività finanziarie………
E con la crisi il lavoratore brianzolo si sorprende e si smarrisce. Com’è possibile? Com’è possibile che la voglia e la capacità
di lavorare non basti più? Che si debba chiudere; che si debba “stare a casa” in cassa o in mobilità? Si diffonde la paura:
cresce la “paura di perdere il posto”.
L’appannamento degli scenari
Sta di fatto che oggi, in epoca di crisi, anche la Brianza vive una frattura di continuità.
Quello che pareva un territorio ben impostato dal punto di vista economico e produttivo, con un panorama manifatturiero
sufficientemente ricco e articolato, tale da garantire benessere e sviluppo nel futuro, si ritrova a fare i conti con un impoverimento significativo.
Tre famiglie su dieci hanno in casa (in provincia di Monza e Brianza) un problema occupazionale (una cassintegrata, un
lavoratore in mobilità, un disoccupato, un giovane in cerca di prima occupazione una lavoratrice dichiarata “in esubero”,
un esodato…..).
Il reddito familiare disponibile a Monza e Brianza – come nel resto del paese, peraltro – è significativamente diminuito: le
analisi di commercianti e gestori di servizi dicono di cifre considerevoli.
Solo nel settore meccanico sono diecimila i posti scomparsi nel quadriennio o interessati dagli ammortizzatori sociali o i
contratti di solidarietà, in esubero o a rischio.
Per cause diverse, in questi ultimi anni sono maturate condizioni pesanti per il mercato del lavoro del territorio.
Se buona parte delle chiusure di aziende, delle difficoltà occupazionali più in generale derivano direttamente dalla crisi
economica, dalle condizioni di mercato e dalla scarsa competitività delle produzioni locali, almeno altre tre cause di
difficoltà vanno segnalate, soprattutto a carico del sistema produttivo manifatturiero: 1. scelte di carattere geo-politico
da parte di multinazionali presenti sul territorio; 2. più in generale scelte di delocalizzazione alla ricerca di scorciatoie sui
costi del lavoro e dei diritti; 3. utilizzo della crisi da parte di alcune aziende per riorganizzare o ristrutturare con sofferenze
occupazionali conseguenti.
Sta di fatto – si potrebbe chiudere così il capitolo – che la mappa del sistema produttivo si ridisegna, la piena occupazione
lascia il posto ad una difficoltà occupazionale e reddituale sconosciuta per questo territorio e la certezza che il lavoro è riscatto, è fatica necessaria giustamente retribuita si trasforma in una condizione di insicurezza occupazionale, un’incertezza
delle prospettive se non in una disperata rabbia nei confronti del sistema.
scegli di esserci
Queste persone e questa cultura del lavoro sono la base di insediamento della CGIL in Brianza, la spina dorsale di una
storia che è fatta di rivendicazione e di partecipazione; di responsabilità e di mobilitazione. Senza estremismi, ma con la
schiena diritta.
4.
La crisi occupazionale
Le aziende con nome e cognome
Anche la più distratta stampa locale ha cominciato da qualche tempo a segnalare ai lettori le difficoltà occupazionali e
le aziende in crisi, a rischio di chiusura, e le lotte degli operai a sostegno delle vertenze in corso. Non è poi così vero che
Monza e Brianza se la passa molto meglio di altri, esattamente come la Lombardia manifatturiera paga più di altre economie il vertiginoso calo della produzione manifatturiera.
Il Sindacato - in crisi sulle pagine dei giornali e attraversato da presunte beghe personalistiche interne al gruppo dirigente -;
il sindacato in difficoltà a coinvolgere i lavoratori su tematiche importanti quali la natura della crisi economica piuttosto
che le politiche necessarie per l’uscita dalle difficoltà;
il sindacato, questo sindacato ritrova improvvisamente i numeri, il consenso, la compattezza dei lavoratori rappresentati
sulle questioni più concrete, più quotidiane, sulle difficoltà.
La CGIL di questi quattro ultimi anni è un sindacato che mette in evidenza un forte radicamento nelle aziende e negli
uffici; un riferimento certo nelle difficoltà occupazionali o reddituali; anzi: l’unico punto di tenuta per la difesa del lavoro
e dei lavoratori.
Basta controllare gli esiti delle elezioni delle RSU (anche nel Pubblico Impiego e nella Scuola), riguardare
le foto delle mobilitazioni: quelle della CGIL anche da sola, in piazza a Monza o fuori dalla Alcatel o dalla
Roche; quelle unitarie, i presidi; quelle delle categorie, in particolare della FIOM nel vimercatese…….
E sui giornali, appunto, da qualche tempo arrivano notizie e foto delle aziende in difficoltà, dei lavoratori
che sfilano, che presidiano, che occupano. Degli incontri istituzionali e delle assemblee, grandi e piccole:
tutti i giorni di questi quattro anni sono stati impiegati dalla CGIL per rendere viva la vicinanza, la relazione
con i lavoratori.
E sui giornali arrivano nomi e cognomi di aziende importanti, fin qui fiore all’occhiello dell’operosa realtà
manifatturiera brianzola.
I numeri preoccupanti
E il numero dei lavoratori e delle famiglie che fanno i conti con difficoltà reddituali ed occupazionali diventa
consapevolezza e senso comune.
Si fanno i conti con la crisi, ma ci si rende conto anche che parecchi “esuberi” sono dovuti a scelte delle
multinazionali su siti fin qui ampiamente redditivi. Alcatel, Micron, ST, Linkra, Compel rappresentano il
fallimento delle politiche industriali del paese.
O si investe, si sostiene, si compete o si guardano le multinazionali fare scelte alternative.
Stare fermi non è possibile. Stare a guardare equivale a subire le chiusure.
La lotta dei lavoratori non è finita, ma sono almeno millecinquecento- millesettecento quelli che rischiano
pesantemente.
Sono invece già “a casa”, in mobilità, o sul percorso che inesorabilmente porta alla disoccupazione, almeno
altri mille lavoratori: vittime direttamente della crisi di mercato o della “gestione” della crisi, quella operazione di ristrutturazione dei costi aziendali che fatalmente si scarica sui lavoratori: Carrier, Bames, Sem,
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Salvarani…….. E ancora: Candy, Cassina, T70, Elettrolux . Tra queste anche quelle chiusure sciagurate derivate
dai saccheggi che “cattivi padroni” hanno fatto incorrendo in reati di bancarotta fraudolenta (la CGIL da tempo
ha provato anche nelle sedi istituzionali a raccontare la storia di strategie aziendali dolose…..).
La CGIL si è mossa su questi fronti con coerenza: dalla parte della competitività, ma senza scorciatoie su redditi e diritti.
Abbiamo provato, anche su questo territorio, a non svendere il lavoro; a non accettare i ricatti pesanti che costituiscono la tentazione di tantissime imprese in questi ultimi anni: vuoi il lavoro, ridammi i diritti. Azzera la contrattazione aziendale. Firma le
flessibilità più arbitrarie.
Siamo sicuri di non aver mai orientato i lavoratori allo scambio purchessia: per loro, per i loro diritti, ma anche per la qualità
dell’economia e del sistema produttivo di questo territorio; che deve difendere le sue eccellenze senza rinunciare a riconoscere
valore al lavoro.
Abbiamo fatto centinaia di accordi, in questi quattro anni: molti anche accettando situazioni di necessità, molti anche semplicemente per utilizzare gli ammortizzatori e la mobilità.
Ma – e siamo orgogliosi della nostra diversità – abbiamo difeso sempre diritti e contratti, senza deroghe.
Le eccellenze: l’high tech, il mobile arredo, le costruzioni, il chimico-farmaceutico…..
Con le unghie e con i denti la CGIL è impegnata a difendere le eccellenze del sistema di Monza e Brianza: l’high
tech (il distretto del vimercatese) costituisce per il territorio il luogo della prospettiva, del lavoro buono, delle
professionalità alte.
Quando si dice innovazione, ricerca, applicazione tecnologica; quando si illustrano le sorti progressive del manifatturiero italiano si parla di questo: perché non dovremmo batterci fino in fondo per tenere qui settori vitali,
parti del nostro futuro?
Questo rischiamo di perdere con le annunciate delocalizzazioni delle multinazionali: non possiamo permettercelo.
Così come per gli altri settori eccellenti, le nicchie che fanno parte della nostra immagine nel mondo e rischiano di
ricevere colpi mortali: il mobile e l’arredo (abbiamo già perso brend e marchi storici) vive il ridimensionamento del
mercato domestico e un qualche ritardo nel presentarsi adeguato per dimensioni, organizzazione qualità sul mercato internazionale, sempre più esigente in termini di contratti chiavi in mano, installazioni e servizi post vendita.
Calano del 25% in questi ultimi due –tre anni anche gli addetti alle costruzioni. Anche in questo settore pesano
le penalizzazioni del mercato interno, l’assenza di investimenti pubblici, le restrizioni del patto di stabilità. Ci piacerebbe ripartire con progetti di qualità, quelli dell’abitare sostenibile, dell’efficienza energetica, del recupero dei
centri storici e della ristrutturazione del patrimonio artistico. Ma temo che ne riparleremo al prossimo congresso.
A MB la CGIL sulla gestione degli stati di crisi e un lavoro per il futuro
La CGIL di Monza e Brianza ha – con grande rammarico – fatto il suo mestiere, di fronte a questa progressiva
desertificazione del territorio industriale.
In questi quattro anni, mentre altri si affannavano a ricercare segnali di una ripresa che non abbiamo visto né
ci aspettiamo alle porte, abbiamo gestito centinaia di stati di crisi aziendali: con gli ammortizzatori sociali, con i
contratti di solidarietà, con la promozione di politiche attive per il lavoro, con tutti i contatti istituzionali possibili
per salvaguardare in qualche modo i posti di lavoro e la continuità delle produzioni, delle imprese.
In queste ultime settimane abbiamo tentato, senza grande successo, di definire con Confindustria MB un protocollo condiviso per la gestione degli stati di crisi che partisse dalla valorizzazione dei contratti di solidarietà,
chiedendo ad AIMB di cambiare la propria valutazione – scettica, nel tempo - sul valore di questo strumento.
La discussione è partita con le migliori intenzioni, ma non è ancora arrivata ad un punto positivo.
Del resto la CGIL MB ha lavorato in questi quattro anni in difesa, ma ha anche sviluppato da sola o unitamente a CISL e UIL un
proprio itinerario di mobilitazione.
scegli di esserci
Non abbiamo mai smesso di ritenere la partecipazione dei lavoratori e la mobilitazione momenti decisivi sia per le vertenze
specifiche in atto, sia per richiamare il territorio alle proprie responsabilità, all’assunzione di una visione seria delle criticità,
all’individuazione di azioni positive nei confronti del lavoro, dei lavoratori e delle imprese. Nel novembre 2011 CGIL CISL UIL di
Monza e Brianza hanno insieme scioperato sulla base di una piattaforma territoriale e per il lavoro. In campo, oggi, abbiamo
anche documenti importanti che costituiscono la proposta della CGIL e di CGIL CISL UIL sul futuro del lavoro in provincia.
La CGIL ha elaborato un proprio dossier di analisi e proposte sul futuro dello sviluppo e dell’occupazione a MB: nel quadro della
riflessione più generale della CGIL sul lavoro, ha scritto un “Piano del Lavoro” in Brianza.
Il 31 maggio scorso CGIL CISL UIL hanno licenziato – in un approfondito seminario – un documento di sintesi delle proposte
del sindacato confederale sul territorio.
Ecco: la nostra ambizione è di essere queste tre cose insieme, per i lavoratori di MB: uno strumento di difesa, di tutela, di fronte
alle straordinarie difficoltà della fase; un luogo di partecipazione, di mobilitazione e di lotta perché al lavoro venga riconosciuta
dignità e il suo valore venga salvaguardato; una risorsa di pensiero, di riflessione, di analisi e di proposta che contribuisca ad
orientare i destini di Monza e Brianza, costruendo percorsi, azioni, scelte condivise che garantiscano sviluppo, lavoro, benessere
anche per il futuro.
Non ci siamo tirati indietro anche nella discussione con le “controparti”: con Assolombarda abbiamo sottoscritto
un protocollo sulle politiche territoriali che riteniamo utile per orientare il percorso di costruzione di una logica
territoriale orientata da buone prassi.
5.
L’idea di “sistema”, una conquista recente per MB
La competitività territoriale
È ormai assodato che le dinamiche dello sviluppo, dell’occupazione, dell’attrattività dipendono da fattori diversi,
il primo dei quali però è la competitività territoriale, l’insieme di quei fattori esterni all’impresa che accompagnano positivamente il suo business e quindi l’occupazione.
Pensare che la competitività derivi esclusivamente da fattori “interni” all’azienda finisce fatalmente per considerare il terreno dei costi (del lavoro, dei diritti, addirittura della ricerca) come unica variabile della politica
dell’impresa.
Certamente sono determinanti ai fini della competitività complessiva del sistema l’innovazione, la qualità delle
produzioni, l’efficienza dell’organizzazione dei processi di produzione e chi più ne ha; ma sono altrettanto determinanti per lo sviluppo economico e la solidità delle prospettive di sviluppo di un territorio e delle imprese che
su di esso insistono gli elementi costitutivi e tipici di quel territorio: la disponibilità e la qualità delle infrastrutture
materiali e immateriali (dalla viabilità, alla mobilità fino alla rete virtuale e alla fibra ottica….); la disponibilità di
intelligenza e professionalità, di lavoro formato; il funzionamento della pubblica amministrazione e l’efficienza
delle risposte pubbliche (procedure e burocrazie, amministrazioni e giustizia….) all’esigenza delle imprese; la
disponibilità e la qualità dei servizi alle imprese e, non ultimo, la qualità delle amministrazioni e della politica:
la competenza della politica, la sua capacità di progettare, di interagire in modo trasparente con il privato, etc.
La competizione tra territori
In un periodo di crisi come questo gli elementi di competitività territoriale diventano ancora più rilevanti.
L’idea che l’offerta di supporto nei territori ai diversi sistemi produttivi sia un fattore di competitività si afferma
anche in Lombardia in modo sempre più evidente: le diverse reti innervano i territori e ne valorizzano le potenzialità, esaltando le criticità di quelli che non dispongono di adeguate soluzioni infrastrutturali. Poiché la delocalizzazione colpisce il manifatturiero a ritmi sconsiderati, la reindustrializzazione è possibile solo laddove l’offerta
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di accoglienza è accompagnata non solo da politiche, ma da risorse infrastrutturali adeguate.
E prima ancora: trattenere aziende tentate di delocalizzare è il prodotto non delle voglie e delle passioni e
forse neppure delle lotte, ma dalle condizioni materiali offerte alla permanenza: quanto soffriamo i ritardi
nell’avvio dell’agenda digitale? Nella messa in disponibilità della banda larga e larghissima? Quanti posti di
lavoro perdiamo o non costruiamo per l’odore di ‘ndrangheta che attraversa il nostro territorio?
La governance sui processi
Per Monza e Brianza la prospettiva di “essere sistema territoriale” non è un dato storico.
La Lombardia ha province centenarie, dotate di una solida capacità di autorappresentarsi come sistema anche sociale
ed economico e non solo come ambito istituzionale. Province caratterizzate da un forte senso di appartenenza delle popolazioni locali e da un percorso di costruzione di luoghi di concertazione di sistema che vanno ben oltre i limiti politici
piuttosto che le titolarità amministrative dell’ente provincia.
Si tratta di territori abituati a “fare sistema”, ad accettare la sfida della competizione tra territorio, a ragionare in termini
di lobbing territoriale, di politiche costruite oltre i partiti, le filiere di interessi, i gruppi di pressione.
Almeno in certe situazioni critiche o su determinati asset territoriali (aeroporti, università, gestione di acqua e rifiuti, sistema del turismo, eccellenze manifatturiere, sistema viario e dei trasporti locali….) Bergamo, Brescia, Mantova, Varese fanno
scuola: le associazioni, le rappresentanze sindacali o di interesse, gli enti locali e le istituzioni stanno ad un unico tavolo e
provano a condividere e determinare scelte per il territorio sul luogo o ai più alti livelli istituzionali.
Per Monza e Brianza questo percorso non ha tradizioni storiche: l’identità territoriale risulta ancora debole (al di là dell’esistenza dell’Ente-Provincia) l’identificazione degli interessi territoriali ancora incerta e legata nel bene o nel male a riferimenti (Milano) molto più consistenti e sperimentati.
Del resto le rappresentanze di interesse, qui, sono più sparpagliate, qualche volta conflittuali e la politica decisamente più
orientata alla costruzione di filiere verticali facenti capo a questo o a quel personaggio piuttosto che alla condivisione di
obiettivi trasversali, territoriali, in dimensione provinciale.
Gli stessi Comuni di Monza e Brianza mantengono intatto l’orgoglio municipale e l’abitudine a considerare i problemi a
misura di campanile, rappresentandosi in una buona parte dei casi come punti di un’area riferibile alla città metropolitana
più che al capoluogo di provincia.
Spiace dover proporre la seguente riflessione: anche questo strabismo (politiche territoriali e relazione con Milano) ha
impedito la messa in campo forte – come avrebbe potuto essere – di azioni, misure, fatti capaci di offrire al territorio una
gestione della crisi più governata e alla fine meno dolorosa.
Avessimo fatto in tempo a condividere un progetto territoriale, a concertare misure (tutta la politica di MB, tutte le rappresentanze di interesse, i sindacati, gli enti locali…..) e azioni di pressione e rivendicazione forse il distretto dell’high tech
soffrirebbe di meno e l’eccellenza del mobile piuttosto che il settore delle costruzioni o le politiche del credito avrebbero
visto criticità se non inferiori almeno governate.
La condivisione tra soggetti diversi e l’azione di lobbying
Il presupposto per la realizzazione di politiche di sistema condivise non è tanto l’esistenza della provincia
come livello istituzionale, quanto l’assunzione di volontà politica da parte dei soggetti interessati:
1. occorre condividere un’analisi approfondita della realtà sociale, economica e produttiva del territorio e
dotarsi di seri strumenti di osservazione delle dinamiche territoriali (mercato del lavoro, caratteristiche e
trend del sistema produttivo, dinamiche demografiche, scolarità…….; ancora oggi alcuni dati sono disponibili solo aggregati con quelli milanesi; la Camera di commercio, che già fa un buon lavoro di “osservazione”
forse ha qualche carta in più da giocare);
2. occorre condividere gli elementi che possono caratterizzare lo scenario economico e sociale futuro, sul
quale questo territorio si sta avviando: a crisi superata – perché ne usciremo, vivaddio – come sarà cambiato
scegli di esserci
il sistema territoriale? La sua vocazione manifatturiera? I suoi punti di eccellenza? L’emergere di settori diversi di
produzione del valore?
3. occorre condividere le poche priorità di intervento e di investimento, individuando insieme quelle azioni che
pubblico e privato dovrebbero garantire per orientare lo sviluppo territoriale e la ripresa occupazionale; occorre
ricomporre beghe e smontare diffidenze reciproche o presunte superiorità storiche per decidere le poche determinanti direzioni di marcia dello sviluppo territoriale;
4. occorre abituarsi a costruire insieme azioni di pressione territoriale efficaci, presentando Monza e Brianza ai
tavoli diversi non come un’accozzaglia di clientes famelici, ma come un territorio, coeso, consapevole di sé e delle
proprie prospettive, capace di lottare per il proprio futuro.
A MB la CGIL sul sistema territoriale
CGIL CISL UIL con lo sciopero del novembre 2011 avevano definito la propria posizione e le conseguenti rivendicazioni: era necessario dare una governance alla crisi sul territorio di Monza e Brianza; era indispensabile costruire
un tavolo di confronto convocato dalla Provincia (allora ancora viva) e chiamare i decisori territoriali ad assumere
responsabilità comuni sulle dolorose trasformazioni dell’economia territoriale e ai pesanti risvolti sociali di queste.
La CGIL di MB in questi quattro anni è orgogliosa di aver costruito le condizioni di questo abbozzo di discussione.
Di aver spinto perché la discussione sull’identità territoriale, sulla necessità della concertazione, sul ruolo delle
istituzioni provinciali producesse azioni positive nei confronti del lavoro e del sistema economico e sociale. Anche
la presenza in camera di Commercio è stata giocata per la gran parte su questi obiettivi: la revisione dell’assetto
dell’istituzione provincia ha poi distratto (dapprima) la provincia di MB dalle proprie responsabilità su questo
fronte e oggi, Provincia a scadenza e incertezza sull’assetto futuro, quel tavolo per lo sviluppo è fermo, colpevolmente immobile. Ma la CGIL MB non rinuncia alla prospettiva e alla propria elaborazione e rivendicazione.
6.
Territorio, Amministrazioni Locali e impatto con la crisi
In alternativa alla costruzione di un tentativo di “governance” territoriale, non tanto istituzionale quanto reale, composta dai
decisori territoriali in materia di economia e società, oggi, qui, sono le persone da sole, le famiglie da sole ad affrontare la crisi,
a mani nude.
Se nessuno è in grado di offrire dei riferimenti sul futuro, un pensiero sul futuro, qualche pista di lettura delle dinamiche economiche e sociali – se non può per debolezza e incompetenza farlo la politica, se non possono farlo coloro che dalla politica
hanno fatto dipendere i loro destini associativi o di rappresentanza, se non possono farlo per mancanza di risorse gli enti locali
e le istituzioni – i lavoratori, gli imprenditori, i cittadini in cosa possono sperare?
Come possono essere aiutati a scegliere o a difendersi? Un lavoratore in mobilità cosa può aspettarsi? Che tempi
deve attendere? Come può essere rassicurato sul suo futuro, sul futuro della sua disponibilità a lavorare? E un
imprenditore, un piccolo imprenditore, stremato dalla resistenza su un mercato ormai inaccessibile come può
essere aiutato a decidere? A innovare? A riposizionare la sua impresa? Solo la delocalizzazione è una scelta? C’è
un futuro? E se c’è dov’è? E per un giovane? Solo delocalizzarsi in una pizzeria inglese o spagnola è una scelta?
Una riflessione territoriale va costruita e condivisa. Sapendo ovviamente che questa è una condizione necessaria, ma non
sufficiente a garantire il futuro di benessere che questo territorio si attende: servono politiche industriali per il paese; serve un
governo; serve una ripresa degli investimenti pubblici, politiche per il lavoro e giustizia nella distribuzione dei redditi. Ma ne
parlo dopo.
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Il ruolo degli enti locali
Tra le cose che rischiano di essere archiviate perché non contano più (rottamate, si direbbe oggi) ci sono gli enti locali, i comuni.
Non dico le province: nonostante il mio parere sono di fatto sull’orlo di una trasformazione definitiva, transeat.
Dico i comuni: la battaglia federalista si è trasformata in un bagno di sangue.
Le promesse di valorizzazione delle autonomie sono state ridimensionate drasticamente: dalla crisi economica e dalla indisponibilità di risorse, da politiche di accentramento e di centralizzazione nazionale e regionale, dall’incapacità di ricavare risorse
attraverso la riforma della pubblica amministrazione piuttosto che dalla tassazione locale, da ritardi e incompetenza legislativa.
Persino la modifica del titolo V della costituzione si è rivelata un disastroso autogol.
I Comuni sono alle prese con il patto di stabilità e la necessità di caricare sui cittadini (tasse locali, rette e tariffe) parte del costo
di servizi che fino a poco tempo fa erano universali, e gratuiti o quasi. Intervenendo pesantemente sulla rimodulazione dei diritti
e della qualità della vita delle persone e in particolare di quelle più deboli, bambini e pensionati.
E quel che più preoccupa è che il ridisegno delle titolarità e del ruolo delle autonomie locali non sarà – nel breve – determinato
da una riflessione sui livelli ottimali di partecipazione, di gestione, di coordinamento e di programmazione delle politiche pubbliche, ma dalla disponibilità complessiva di risorse economiche. Anzi: dalla indisponibilità. Dall’emergenza. Dall’improvvisazione.
Dalle lettere della BCE?
Le risorse e il patto di stabilità
Insomma: soldi non ce ne sono più non solo per investimenti e politiche pubbliche, ma neppure per mantenere uno standard di
servizi alle persone capace di mantenere livelli di inclusività soddisfacenti. E con i soldi finiscono le stagioni in cui amministrare
voleva dire riuscire quasi sempre a corrispondere ai bisogni, costruire, anzi, politiche di qualità, tendere a garantire i cittadini, tutti. Figuriamoci se si può ancora pensare al Comune come soggetto di finanziamento per politiche di sviluppo: vengono dismesse,
a Monza e Brianza come quasi ovunque, le esperienze di agenzie per l’orientamento al lavoro, per la costruzione di politiche
attive, per la formazione e l’avviamento.
A MB la CGIL con CISL e UIL sulla negoziazione sociale e territoriale
In questi ultimi quattro anni CGIL CISL UIL hanno tenuto viva una pratica di confronto con i Comuni sui bilanci di
previsione: l’obiettivo del sindacato è quello di presidiare in primo luogo i diritti delle persone, a maggior ragione
in questa fase di difficoltà. Sotto la lente d’ingrandimento dei Sindacati (con il contributo determinante dei sindacati dei pensionati) sono finite le politiche per l’assistenza e gli orientamenti di politica fiscale comunale.
Nel suo complesso questo impegno difensivo e di rappresentanza ha ottenuto qualche significativo risultato,
almeno in termini di attenzione dei Comuni alle fasce deboli.
Proseguire su questa strada e consolidare una pratica unitaria di negoziazione sociale vuol dire lavorare per una
più ampia copertura del sistema di Welfare, sperimentando un patto di welfare territoriale che abbia l’ambizione
di rimodellare il sistema dei servizi, di integrare le varie fonti di finanziamento pubblico privato e contrattuale e di
rafforzare il ruolo programmatorio dei Comuni, con i Piani di Zona.
Con i Comuni, ad iniziare da quelli più rilevanti per dimensione, diventa indispensabile trovare forme di negoziazione capaci di dare concrete risposte sul terreno dell’equità nella tassazione locale, nella lotta all’evasione fiscale,
nella qualificazione dei servizi sociale ed una migliore integrazione con i servizi sociosanitari.
La nuova ISEE impone la ridefinizione dei criteri di accesso e compartecipazione alla spesa sociale attraverso una
sintesi di interessi e i bisogni sociali e assistenziali complessivi della comunità.
L’intelligenza della politica e delle amministrazioni.
Pubblico e privato: un progetto strategico per il territorio
Il ruolo delle amministrazioni cambia dunque: da erogatori di risorse e gestori di servizi a soggetti di coordinamento territoriale e di garanti dei diritti dei cittadini attraverso risorse derivate dalle tasse dei cittadini e dagli asset
scegli di esserci
pubblici. In questo senso il compito delle amministrazioni si fa più difficile: i sindaci devono essere titolari di un
progetto di governo del territorio, devono avere idee di sviluppo, devono essere in grado di negoziare con il
privato interventi e azioni a tutela dei propri cittadini, della qualità della loro vita, del loro benessere.
Il comune deve trasformarsi in un player attivo sul territorio: idee e proposte vanno promosse con comportamenti proattivi e non attese per essere semplicemente finanziate. Come si crea lavoro? quale, lavoro? Come si sviluppa il paese? Anche qui: come si costruisce il futuro? Essere capaci di costruire relazioni, di coordinare interessi,
di orientare la qualità dello sviluppo, insomma: di fare politica davvero è la nuova grande sfida delle autonomie
che corrisponde, nei fatti, alla grande sfida che il sindacato confederale dovrebbe rapidamente assumere: presidiare il territorio valorizzandone le specificità e le opportunità; determinarne le politiche e i processi; tutelare
con la contrattazione territoriale la qualità della vita delle persone e i disegni di trasformazione sono impegni che
abbiamo assunto e vorremmo onorare.
Per esempio: rifiuti, acqua, energia……..
La valorizzazione degli asset territoriali
C’è un banco di prova di straordinaria attualità, capace di misurare l’intelligenza delle politiche territoriali in termini di valorizzazione degli asset di cui le amministrazioni dispongono e contemporaneamente in termini di efficienza nella gestione dei servizi,
di economicità e di qualità per i cittadini, di attenzione alla dimensione occupazionale etc.
È il terreno delle utilities, sul quale il territorio è atteso a scelte indifferibili. Il sindacato guarda a queste scelte – di
carattere evidentemente strategico – con grande interesse e preoccupazione. Possono rivelarsi un baratro, nel
quale potrebbero finire i comuni, ma prima ancora i cittadini e i lavoratori, costretti a pagare scelte – appunto –
sbagliate. La direzione che il sindacato indica nella gestione di rifiuti, acqua, energia è quella dell’accorpamento
su base territoriale delle attuali frammentate aziende ex municipalizzate e il mantenimento del controllo pubblico delle attività (raccolta, smaltimento, distribuzione, trading etc.). I sindaci hanno oggi anche il dovere di essere
manager capaci di valorizzare i patrimoni che sono di proprietà dei cittadini, costruiti nel tempo con il loro lavoro
e le loro tasse. La gestione di questi patrimoni deve essere prudente, trasparente, eticamente incensurabile ed
economicamente efficace. E rispondere ad un disegno territoriale che corrisponda ai diritti dei cittadini di Monza e Brianza nella stessa maniera, costruendo condizioni omogenee di accesso ai servizi. Il percorso – indotto
anche dalla normativa – compiuto relativamente alla gestione dell’acqua si è rivelato complicato ma positivo.
Brianza Acque finirà per essere il gestore unico e pubblico dell’acqua sul territorio, dopo che i comuni sono sati
coinvolti in un lavoro di dismissione delle patrimoniali, di conferimento delle funzioni gestite direttamente o di
fusione delle diverse mini aziende cui precedentemente il servizio era affidato. Così come è stato per l’ATO promosso dalla normativa regionale per la gestione dell’acqua, si potrebbe procedere sia per il gas che per l’igiene
ambientale, per lo spazzamento, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, procedendo dalla positiva chiusura del
consorzio tra comuni alla fusione delle diverse aziende e alla costituzione di un luogo economico per la gestione
dei rifiuti su base territoriale. La CGIL ritiene positivo l’avvio delle operazioni di valutazione di ACSM-AGAM e
GELSIA propedeutiche alla fusione delle due aziende e ritiene necessario aprire con BEA un analogo percorso.
La Camera di Commercio custode del profilo territoriale
In questa delicata fase istituzionale (superamento della provincia di prima istanza e povertà degli enti locali), economica (la
crisi e più in generale le difficoltà del sistema produttivo) e sociale (le difficoltà occupazionali e la scarsità di reddito disponibile per le famiglie) la Camera di Commercio è l’unico ente pubblico dotato di risorse e di visione, in gradi di giocare un ruolo
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territoriale di primo piano sui temi della promozione dello sviluppo. E dotata di sufficiente credibilità per assumersi il carico di
contribuire alla visione degli scenari territoriali con una sua elaborazione e una attività di monitoraggio da rendere fruibile per
l’intero territorio.
Il nocciolo del sistema territoriale, di quello economico e produttivo, almeno, è rappresentato in Camera di Commercio: il fatto che manchino politica e istituzioni locali rende necessario un tavolo successivo di sintesi, ma non è
di per sé una limitazione insuperabile. Certo: come più volte è stato ribadito il ruolo della Camera deve rimanere
nell’ambito di un supporto, di un’offerta al territorio e non di immediata supplenza all’inerzia o all’assenza di
altri soggetti territoriali. Ma è fondamentale che la Camera osservi, elabori e suggerisca; partecipi, insomma, con
grande senso di responsabilità alla costruzione dei destini territoriali.
Preoccupa piuttosto che valutazioni coerenti con la “cupio dissolvi” che tenderebbe a smontare le articolazioni della nostra
democrazia tagliando con l’accetta gli enti intermedi e i corpi sociali intermedi (che hanno fatto la ricchezza della nostra storia
sociale) affermano sia in campo la volontà di sopprimere le Camere insieme al contributo annuale delle aziende. Ci vuole un
attimo a rottamare. Più complicato è costruire. Soprattutto per chi manca di visione.
La bilateralità e il mondo artigiano
Del resto la disponibilità di dati territoriali – lo diciamo sempre alla CCIAA - è propedeutica anche per l’analisi di
quel mondo diffuso, flessibile e oggi in grande sofferenza rappresentato dall’artigianato. Le aziende artigiane
costituiscono una fetta maggioritaria, rilevantissima, del sistema produttivo della provincia: la nostra sensazione
è che senza fare notizia, senza clamori, questo mondo sia in decisa sofferenza. Abbiamo incontrato – e la dice
tutta – aziende costrette a chiudere asfissiate dai “crediti” e cinicamente ignorate dalle banche, anche di interesse
locale.
La CGIL in questi quattro anni ha consolidato la propria presenza nel settore con il dipartimento artigiano e proseguito con determinazione la strada dell’affrancamento da Milano per quanto attiene alla bilateralità. Anche su
questo settore per la CGIL è vitale recuperare risorse anche organizzativa per sviluppare progetti di dimensione
territoriale con il sistema delle imprese artigiane: la sicurezza sui luoghi di lavoro, la formazione sono temi che
possono essere gestiti in autonomia. Proprio in queste settimane abbiamo finalmente concluso il percorso di costituzione della bilateralità artigiana in Monza e Brianza sottoscrivendo il protocollo di avvio dell’OPP (Organismo
Provinciale Paritetico).
7. Le piste dello sviluppo
Qualità, innovazione, internazionalizzazione, export
Abbiamo del resto ben presente che per garantire spazi occupazionali di qualità dobbiamo accompagnare quegli
sforzi – sul territorio – che parte delle imprese stanno facendo sulla strada dell’innovazione, della qualità, dell’internazionalizzazione e della vocazione all’export. Per il sindacato non è vero che tutte le aziende sono uguali,
esattamente come per i lavoratori. Siamo fortemente orientati a premiare la volontà di contrattare, la disponibilità
a garantire accesso all’informazione e a favorire la partecipazione dei lavoratori, la disponibilità a discutere piano
industriali di sviluppo delle aziende. A partire dal lavoro di coinvolgimento e di orientamento delle RSU. Crediamo
molto nelle titolarità e nell’intelligenza contrattuale delle rappresentanze sindacali unitarie: lo sforzo di accrescerne la competenza e la capacità di movimento (anche attraverso la formazione sindacale) è un impegno che non
abbiamo derogato anche in questo momento di difficoltà.
scegli di esserci
Il nostro piano del lavoro
Anche qui rimandiamo ai contenuti del nostro “Piano del Lavoro” per Monza e Brianza. Ci aspettano momenti
importanti e crediamo di poter essere presenti non da spettatori, ma da attori.
8.
Territorio: qualche tema da affrontare
L’Expo
Il solo termine “Expò” è evocativo ormai di scenari grandemente positivi. Tutti siamo coinvolti e impegnati a fare la nostra
parte dentro un percorso che promette evento, spettacolo, lavoro, turismo e commercio, progettazione e riutilizzo, innovazione e qualità, discussione su temi di straordinario valore. Per il nostro territorio tre sono le piste che seguiamo con particolare
attenzione: quella dell’accoglienza in occasione dell’evento, quella del lavoro connesso alla realizzazione degli impianti della
mostra universale e quella delle ricadute eventuali derivate dalle relazioni che il territorio saprà costruire stabilmente con gli
ospiti, addetti ai lavori, interessati alle produzioni e al lavoro brianzolo. Va detto che non siamo in anticipo, su nessuno dei tre
fronti. Sono in campo alcune azioni importanti che presidiamo (il tavolo in Comune a Monza, il progetto della Camera di Commercio supportato in primo luogo da AIMB), ma nessuno di questi fino ad oggi garantisce un approccio di qualità all’evento
e alle sue ricadute. Perché di certo riempiremo gli hotel della città capoluogo e i suoi parcheggi (siamo a due passi da Milano,
che diamine!), ma quali eventi internazionali proporremo ai visitatori di Expò, che calendario di manifestazioni, convegni, opportunità e quali servizi di qualità metteremo a disposizione in via straordinaria per l’occasione? Basta dire che la Villa Reale
è una delle sedi di rappresentanza dell’Expò per raccogliere opportunità di lavoro e reddito? Così per il lavoro di realizzazione
dei padiglioni dell’Expò: un certo numero di subappalti sarà garantito dalla contiguità con Milano e forse anche dalla benevolente attenzione della Camera di Commercio metropolitana o dello stesso ente Fiera. Ma l’impegno di cordate Brianzole per le
costruzioni o addirittura per la fornitura chiavi in mano di strutture/tecnologie/arredi di padiglioni fieristici sembra - ogni giorno
che passa senza contratti firmati - un miraggio. A Milano CGIL CISL UIL hanno sottoscritto un buon protocollo per la tutela del
lavoro impiegato nei lavori di Expò: per noi è chiaro che l’impegno a discutere di flessibilità e stabilità del personale impegnato
eccezionalmente in Expò a Monza e Brianza è legato ai progetti reali e specifici e non all’affermazione ideologica di ipotesi o
improbabili eventualità.
L’agricoltura, la dimensione ecologico-ambientale
Siamo interessati invece a fare una discussione che non c’è, sul nostro territorio: quella fortemente connessa al tema di base
dell’Expò milanese, che, com’è noto, è l’alimentazione del pianeta. Bene: una discussione sulla nicchia che a Monza e Brianza
è rappresentata dall’agricoltura e dalle filiere che conducono al food a noi interessa a prescindere. Perché è in diretta relazione
con il consumo di suolo, con la valorizzazione ambientale, con la cultura tipica del territorio anche in tema di cibo e cucina, di
produzioni tipiche e di specialità anche di nicchia. La produzione di asparagi rosa, recuperati da una storia pluricentenaria, è
un modello di percorso. Ma il pane a chilometro zero, l’esperienza dei gas (gruppi di acquisto solidale), il circuito della ristorazione……..
Il sistema della mobilità
La situazione del Trasporto Pubblico in Brianza è particolarmente criti-ca: il TPL di MB, già compromesso dalla
pesante riduzione di trasferi-menti di risorse e dalla mancanza storica di programmazione, aggiunge problemi e
negatività alla crisi del nostro territorio.
E tutto questo, avviene in una fase storica nella quale la richiesta di trasporto Pubblico è in forte aumento. Que-
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sta crescita non riguarda infatti soltanto le fasce deboli della popolazione, ma si verifica anche a seguito di una
accresciuta sensibilità ambientale, che valuta il TPL una alternativa necessaria alla congestione del traffico privato.
Gli utilizzatori dei mezzi pubblici, in particolare del trasporto pubblico locale, negli ultimi tre anni sono cresciuti
mediamente del 15%, con punte in alcuni territori di oltre il 20%.
Investire in questo settore quindi, anche a Monza, anche in Brianza, poteva aver senso, anche per la funzione
anticiclica che questi investi-menti hanno non solo per il sistema dei trasporti, ma anche per la competitività
territoriale. MB è uno dei territori più altamente urbanizzati della Lombardia, con una capacità infrastrutturale
nettamente inferiore alla propria capacità produttiva; elemento questo che potrebbe costituire un freno alla
ripresa economica post-crisi.
La competitività delle aziende, infatti, la loro capacità di stare sul mercato, dipende non solo dalla predisposizione
agli investimenti, alla ricerca, all’innovazione, ma anche da quanto velocemente riescono a “rifornire” il mercato e,
senza una buona infrastruttura di servizio, rischiano di perdere la loro corsa. Di più: senza un buon sistema di trasporto pubblico che garantisca una buona mobilità delle persone prima ancora che delle merci, la corsa è già persa.
Per non parlare poi del valore ambientale: il trasporto pubblico locale si configura come meno inquinante rispetto
al trasporto privato. Possiamo considerare il TPL un valore sociale oltre che economico? Noi non abbiamo dubbi:
la mobilità locale è una straordinaria componente di inclusione sociale ed un importante misuratore del livello
della qualità della vita.
Oggi, a MB, è critica la situazione della mobilità per i cittadini, per i lavoratori e i pensionati, per i pendolari. Il trasporto pubblico locale è una rete senza logica; i più piccoli sistemi urbani sono largamente insufficienti: a Monza,
solo per fare un esempio, l’azienda del TPL non è in grado di utilizzare interamente il suo parco macchine e quindi
adempiere ai suoi obblighi contrattuali con l’amministrazione. Le liti (famose tristemente) tra comune e provincia
sul finanziamento del contratto di servizio per tratte cittadine si scarica – come i problemi più gravi – su cittadini
(in credito di servizi) e lavoratori (che rischiano quotidianamente i tagli di organico). Altrettanto grave la situazione dei collegamenti con Milano (l’estensione della MM piuttosto che la soluzione del traffico su rotaia delle
ferrovie) e l’incertezza delle prospettive di completamento dei grandi assi viabilistici che attraversano, in progetto,
il territorio (pedemontana in primo luogo). Il tema da porre riguarda la qualità della progettazione del sistema
viario che interessa Monza e Brianza: qual è il luogo nel quale la discussione sul sistema viabilistico viene fatta a
partire dal punto di vista di questo territorio? C’è un’elaborazione che assuma MB come punto di vista o l’inutile
agitarsi di questo o quel Comune – magari in contrasto con questo o quell’altro Comune - fa da contrappunto
all’assunzione delle decisioni solo a Milano?
Sistema sanitario e welfare assistenziale
Un tema su cui l’impegno in questi quattro anni è stato decisamente rilevante e che la CGIL ritiene di dover ulteriormente incrementare è quello relativo al welfare territoriale. È stato così in ragione della contrazione della
spesa pubblica sui sistemi sanitario e assistenziale e le significative riorganizzazioni operate sulle reti dei servizi
finalizzate per la gran parte al taglio delle risorse impiegate. La spesa sanitaria e assistenziale delle famiglie è
aumentata in modo considerevole in questi anni non solo per il valore dei ticket richiesti, delle rette o delle tariffe
ma anche in relazione al ricorso necessariamente più ampio al mercato della sanità e dell’assistenza privata. Dalle
prestazioni dismesse dal SSN ai farmaci; dalle badanti alla riduzione degli interventi assistenziali dei comuni, i
cittadini – in particolare quelli deboli e gli anziani, hanno integrato di tasca propria il costo di servizi fino a poco
tempo fa disponibili per tutti gratuitamente.
Siamo di fronte alla ridiscussione della legge di riferimento del sistema sanitario regionale: il tema non è solo la
salvaguardia dei presidi pubblici sul territorio, ma la qualità e il funzionamento dell’intero servizio. Da riconsiderare nella sua accessibilità, nei suoi costi per gli utenti, nel suo rapporto tra pubblico e privato convenzionato, nel
suo sistema di governance.
In ogni caso sul territorio c’è da sistemare la qualità delle relazioni sindacali con l’Asl per dare maggiore impulso
scegli di esserci
ai cambiamenti del sistema sanitario, per assumere la centralità della persona e la specificità delle situazioni di
fragilità e degli anziani.
La crescita delle non autosufficienze richiede la predisposizione di una efficace rete territoriale, che parta dalla
domiciliarietà senza scaricare sulle famiglie ulteriori oneri economici o assistenziali.
Un punto centrale è rappresentato dal ruolo della medicina di base e il rapporto tra il territorio, la prevenzione,
la rete ospedaliera pubblica riferita alle prestazioni di base e a quelle di eccellenza specialistica.
La dilatazione per i tempi di attesa per le visite e gli esami diagnostici nelle strutture pubbliche, sono diventati
molto rilevanti.
Salute in piazza
Credo di dover segnalare un progetto di indagine condotto unitariamente da CGIL CISL UIL MB e da tecnici operanti nel sistema sanitario territoriale finalizzato a rilevare bisogni e valutazione dei cittadini utenti delle strutture
sanitarie, in particolare pubbliche. Un lavoro di particolare interesse che testimonia l’ottimo stato delle relazioni
territoriali del sindacato confederale con il territorio, la qualità dello sforzo di ricerca e di proposta, il tentativo di
rinforzare la relazione con i cittadini utenti (e la loro partecipazione, in qualche modo, alla denuncia dei problemi
e alla ricerca di soluzioni).
Le politiche attive, Il mdl: la Regione Lombardia
Un tema infine da consolidare nella nostra riflessione ma soprattutto nella pratica degli interventi di sostegno
alla buona occupazione è quello della rete delle agenzie pubbliche e private per la gestione delle politiche attive
per il lavoro. La discussione sui destini dell’Ente Provincia rimanda alla questione delle politiche per l’orientamento, la formazione professionale, la relazione tra istruzione e lavoro, le “doti” regionali per la ricollocazione dei
lavoratori in mobilità o disoccupati. È un tema sul quale con Assolombarda e Camera di Commercio abbiamo
aperto un tavolo di ricerca e di costruzione di un repertorio territoriale: ma non è un tema solo accademico. Con
il superamento delle Province, la delega regionale della quale hanno goduto come verrà ricollocata e Afol, per
dire di un ente pubblico che fa questo lavoro e i suoi operatori, per dire di un’attività ormai ricca di professionalità ed esperienza, quale futuro ha davanti? Ha ragione o no la CGIL a chiedere con forza l’apertura di una
discussione sul tema?
9.
La Provincia
L’opportunità dell’ente di secondo livello
La CGIL, anche qui a Monza e Brianza, non ha mai nascosto il suo pesante scetticismo sull’ipotesi – ormai giunta alla scena
conclusiva, all’ultimo atto – di cancellare le Province. Per diversi motivi, primo fra tutti quello che porta la comunicazione istituzionale e politica sul tema a definire l’operazione soppressione un “taglio ai costi della politica”. Non è così: tagliare qualche
migliaio di consiglieri provinciali in Italia e qualche decina di presidenti vale un risparmio di poche decine di milioni di euro.
Qualcosa, ma poco. È il costo di un’articolazione dei livelli di partecipazione democratica e di gestione di pianificazioni territoriali consolidate, comunque di una ricchezza democratica. In compenso l’operazione avverrebbe al netto della conclusione di
un itinerario di revisione decennale del “Codice delle Autonomie Locali”; un progetto ben più ambizioso (anche nei risparmi)
di ridisegno delle titolarità, delle funzioni e dei budget dei diversi livelli istituzionali decentrati: regioni, province, comuni. Si
sarebbe risparmiato di più facendo giustizia con tagli mirati dell’inutilità di alcune regioni, di alcune province, di alcuni comuni, piuttosto che decidere di giustiziare funzioni sovracomunali che mantengono – su scala quale la nostra – senso anche
economico. A meno che il taglio delle province non trascini con sé (nascondendolo per ora) il taglio di funzioni e servizi gestiti
21
dalle province; la riorganizzazione dei servizi e dei presidi dello stato allontanandoli dai cittadini, limitandone l’accessibilità e
diradando le prestazioni.
Vedremo quale soluzione il Parlamento vorrà scegliere per la fine delle Province: dovesse essere approvato il Del
Rio pensiero avremmo l’istituzione di Enti di secondo livello, senza elezioni e senza amministratori retribuiti, che
però farebbero marciare – a partire dall’assemblea territoriale dei sindaci – le stesse funzioni e titolarità delle
azzerate province. Per Monza e Brianza questa potrebbe persino rappresentare un’opportunità: una squadra di
amministratori di secondo livello, rinnovata e fortemente radicata sul territorio, competente almeno per quanto
riguarda i problemi amministrativi della “provincia”, potrebbe fare bene, decidesse di mettere da parte la casacca
politica delle diverse amministrazioni e la rissosità tra campanili e dedicarsi ad una gestione effettivamente sovracomunale e orizzontale.
Con o senza interfaccia istituzionale
Va da se che la CGIL di Monza e Brianza ritiene che con o senza interfaccia istituzionale la dimensione del sistema socioeconomico territoriale andrà presidiata e rafforzata.
10.
La Politica sul territorio
Le responsabilità
Allo sforzo di costruzione di un sistema territoriale così come riteniamo necessario per la difesa delle prospettive occupazionali e
di sviluppo avrebbe dovuto corrispondere un impegno qualificato e straordinario della politica locale. La politica ha su di sé – a
meno che consideriamo l’atteggiamento del Movimento Cinque Stelle coerente con gli interessi delle persone su questo territorio – la responsabilità di indicare un percorso e di reggerne la gestione; di elaborare un pensiero e tradurlo in azioni positive; di
esprimere valutazioni di scenario e avviare con scelte coerenti il passaggio al futuro. Una “buona politica” questo dovrebbe fare:
assumersi responsabilità. Indicare le prospettive. Perseguirle con determinazione. Politica è individuare le soluzioni ai problemi.
Politica è motivare con valutazioni di senso la direzione di marcia della comunità. Politica è confronto di idee, di proposte; è
spazio di partecipazione offerto alla creatività e alla buona volontà dei cittadini. A partire dall’onestà e dalla trasparenza, delle
intenzioni e dei comportamenti.
La qualità: il pensiero
Abbiamo avuto, invece, una politica senza respiro. La gestione senza pensiero. Il rifiuto del confronto e l’affermazione ideologica. La polemica fine a se stessa o subordinata ad interessi di carattere elettorale, di gruppo e di
filiera. Non è stata espressa e neppure tentata una governance della crisi economica e sociale; non si è costruito
un confronto capace di superare i confini del municipio e la dimensione del proprio budget amministrativo o dei
propri problemi comunali. Nessuno ha tirato il gruppo proponendo scenari o scelte.
Le filiere verticali non comunicanti, gli interessi di bottega,
il sistema per il consenso e le risorse
Il modello è rimasto – anche in questa situazione di emergenza; anche in questa situazione di prosciugamento delle risorse e
di rarefazione delle titolarità conseguenti alla contrazione della possibilità di spesa; anche in questa situazione di impossibilità
a rispondere alle domande collettive primarie e più pressanti da parte delle comunità – è rimasto quello del ricorso ai potentati
romani. Tutti in fila dietro a questo o quel potente insediato nella squadra del potere romano e tutti a dire male delle file con-
scegli di esserci
tigue, quelle facenti capo al rivale, al competitore, al socio astioso – e romano – del proprio capo filiera. Questo modello (per
carità, non di tutti, non per tutti, ma per tanti….) ha negato la comunicazione orizzontale, lo scambio territoriale, il confronto
tra le diverse opzioni e le diverse ricette. Ha fatto ricorso ai favori più che ai diritti. Si è piegata ai sovrani più che agli statisti. E
questo modello – la fragilità democratica di questo modello – si è esposto ad infiltrazioni, a illegalità, a pratiche inaccettabili di
corruzione. In Italia – per carità – siamo in folta compagnia: sessanta sono i miliardi che l’EU attribuisce al giro della corruzione
nel paese, la metà dell’intero ammontare tangentizio sul suolo europeo. Però ci difendiamo bene: l’appalto per lo spazzamento
e la raccolta dei rifiuti nel comune di Monza si dice sia valso tangenti per un milione di euro.
11.
La legalità e la criminalità organizzata
Una guerra
Dalle conclusioni dell’inchiesta “Infinito” nessuno può far finta di non sapere che quella contro la criminalità organizzata a
Monza e Brianza deve essere una guerra, non una litania di buoni proponimenti. Questo territorio – pure così benpensante
e sdegnoso nei confronti di valutazioni anche solo adombrate in film recenti o in ricostruzioni giornalistiche – è un territorio
infiltrato dalla ‘ndrangheta e campo di affari per il riciclaggio di danaro, per gli investimenti mafiosi, per il consolidamento della
fitta rete di affari condotti dalla c.o. con le amministrazioni pubbliche, attraverso la partecipazione ad appalti e a gare anche
importanti, attraverso la sostituzione del ruolo delle banche con prestiti ad imprese in difficoltà a tassi d’usura………
Tolleranza indifferente: connivenza?
Quello che stupisce ancora è il tasso di indifferenza del territorio stesso nei confronti di questo fenomeno: ci
sono iniziative meritorie, soprattutto nelle scuole, di forte valore culturale; c’è un brulicare di associazioni per la
legalità e contro le mafie; ci sono – il Comune di Desio, per esempio – amministrazioni e sindaci in prima linea
contro il malaffare e la storia delle loro stesse amministrazioni; ma non c’è una mobilitazione popolare degna di
questo nome, una sollevazione della politica pulita nei confronti dell’ombra dell’associazione a delinquere che
incombe sul territorio. È troppo poco e troppo debole il richiamo alla legalità: una cultura connivente serpeggia
tra coloro che comunque sono interessati al business (un po’ di nero non ha mai fatto male a nessuno…..); coloro che chiudono gli occhi (mafia? Ma per carità, qui c’è solo gente che lavora…..) e non si mischiano; coloro
che mettono nel proprio portafogli una mazzetta, una tangentina, un contributo per la campagna elettorale
(bisogna assicurare ai cittadini i migliori servizi e nessun disagio……)
Monito anche per il sindacato
Anche per il Sindacato quello della legalità è un terreno complicato, impegnativo e in un certo senso ambiguo: tutti i giorni ci
imbattiamo in una cooperativa di logistica con mezzo organico in nero, in un’azienda in difficoltà che improvvisamente rifiorisce, in aziende di servizio dentro imprese regolari che a fatica hanno una ragione sociale e un indirizzo lontano, un numero di
telefono cui nessuno risponde mai……. Non possiamo cavarcela sostenendo che non sono affari nostri, o che per queste cose
c’è chi “è preposto”; né vale il principio che davanti ad un posto di lavoro purchessia cadono mille obiezioni. O che il ricatto è
insostenibile. Siamo la CGIL: piuttosto che un lavoro in nero, un lavoro senza diritti e senza sicurezza, piuttosto che un lavoro
non contrattualizzato e un “padrone” senza volto, meglio nessun posto di lavoro. In questi quattro anni abbiamo anche pagato:
qualche nostro delegato ha ben presente i ricatti, il licenziamento, la speranza mal riposta nella direzione Provinciale del Lavoro
per un’ispezione. Ma siamo la CGIL.
23
Su questo fronte abbiamo promosso e stipulato un protocollo con il territorio (nel 2012, con Prefettura, Enti
Locali, Associazioni Datoriali, ASL…….) a proposito di sicurezza e legalità nei cantieri. Abbiamo previsto e stiamo
gestendo un “modello” di presenza sindacale in edilizia che fa della legalità e della sicurezza due priorità organizzative. Per scongiurare infiltrazioni e garantire la presenza solo di lavoro contrattualizzato e mai nero. Il nostro
impegno sull’opera pubblica monzese più rilevante del periodo (la ristrutturazione dell’ospedale S. Gerardo, 200
milioni circa di euro per l’intervento che si protrarrà per i prossimi sei anni) è partito proprio dal modello di cantiere e dalla vigilanza sulla catena di appalti e subappalti; dalla regolarità del lavoro alle dotazioni di sicurezza,
alla formazione dei lavoratori; dall’accessibilità alla struttura stessa del cantiere: la presenza del Sindacato è un
presidio di legalità. Forse non una garanzia completa (molte cose succedono al di fuori dei cantieri, molto prima
dell’implementazione di un cantiere; la filiera di decisioni e di passaggi politici e burocratici è un percorso complesso: abbiamo promosso con la Prefettura un osservatorio su tutti i cantieri pubblici e privati del territorio) ma
certamente rappresenta un passo avanti sulla strada della trasparenza.
12.
Il paese: la crisi, il lavoro, i redditi, il welfare
Paese fermo e sofferente
Abbiamo fin qui minuziosamente dettagliato le responsabilità, le titolarità, le possibilità che il territorio di Monza e Brianza, le
sue Istituzioni e la sua classe dirigente hanno gestito e mantengono davanti a sé, per il futuro. Ma è evidente che queste analisi
non risolvono né le motivazioni delle difficoltà né le piste di risoluzione della crisi. Per definizione questa crisi viene da lontano e i
suoi livelli di gestione cominciano da molto lontano. Passano per le titolarità di una governance formale mondiale (giustapposta
alla governance potentissima dei mercati e delle lobby finanziarie internazionali), attraversano l’Europa e mettono in evidenza
le sue ferree politiche economiche degli ultimi anni, la “sua” interpretazione della crisi e delle soluzioni; arrivano a coinvolgere
i governi nazionali, quello di Roma compreso, ovviamente, obbligato a muoversi nel contesto di un’economia sofferente, da
tempo ferma, aggredita dalla crisi e ingessata dal peso dello stock del debito e della progressione del rapporto deficit/pil.
È evidente a tutti come il signor Brambilla, titolare dell’omonima “fabbrichetta” debba fare i conti ogni giorno con una complessità di determinanti politiche ed economiche che neppure se l’immagina; così come il signor Fumagalli, che lavora alle sue
dipendenze, abbia le sue idee sul cosa si dovrebbe fare, ma nel frattempo sa che il suo futuro dipende da questo complicato
groviglio di variabili, sempre di più connesse l’una con l’altra, un livello con l’altro, una scelta con un’altra. Il nostro paese
scontava già prima della crisi del 2008 un decennio di bassissima crescita, di progressiva perdita di competitività, di sostanziale
incertezza nella tenuta dei propri asset manifatturieri. E di deboli tentativi, miseramente falliti, di governare il trend del debito
e della spesa pubblica.
Un paese fermo: a basso tasso di crescita demografica (senza l’immigrazione in decrescita); a pil, salari e stipendi, investimenti
stagnanti. La crisi ha fatto il resto: i mercati hanno facilmente individuato il nostro paese come un sistema incapace di difendersi
e le difficoltà finanziarie sono diventate presto crisi dell’economia reale.
Politiche europee sbagliate: basta rigore, basta austerity
L’Europa ha scelto la sua linea di difesa dell’euro e della propria economia. Ha risposto ai mercati ponendo obiettivi di consolidamento dei conti pubblici, di rientro progressivo dal debito, di rigoroso rispetto dei vincoli del patto di stabilità europeo e
dettando un’agenda (il fiscal compact) ritenuta in grado di rassicurare e blandire i mercati finanziari, garantire stabilità della
moneta europea, tenere lontana qualsiasi prospettiva di inflazione.
I paesi “deboli” come il nostro hanno dovuto fare i “compiti a casa”. In Grecia, in Portogallo, in Irlanda, in Spagna se ne sono
scegli di esserci
accorti tutti. E da noi pure. Sono stati bruciati miliardi di euro nella difesa della credibilità degli stati mediterranei sui mercati
finanziari; sono stati pagati all’aggressività della finanza globale tassi di interesse altissimi; ma soprattutto sono stati sacrificati
diritti delle persone, pezzi di welfare consistenti, valore dei redditi e qualsiasi politica di investimento pubblico. Tagli, austerity
e rigore sono stati la linea di un’Europa senza politica, ma con irresistibili orientamenti (BCE, FMI, Governo Tedesco) liberisti.
Interi paesi sono risultati strozzati da queste politiche: hanno rinunciato alle pensioni, all’assistenza sanitaria e ai servizi sociali,
ai salari pubblici, agli investimenti a sostegno della produzione di valore. Hanno provato – senza poter battere moneta – a
fronteggiare a mani nude la speculazione finanziaria e le richieste dell’Europa. Facendo cose probabilmente necessarie, ma
con i tempi e secondo i modi dettati da una limitazione di sovranità da discutere. La Grecia insegna; o la lettera della BCE a
Berlusconi; o l’agenda del fiscal compact sottoscritta anche dal nostro governo: 40 miliardi di rientro dal debito ogni anno per
vent’anni. Come si fa?
Senza ripresa, senza sostegno alle imprese; senza investimenti pubblici; al contrario con una pressione fiscale che accelera; con
i costi dei servizi – prima pubblici e universali – che allargano la fascia della povertà fino a contenere venti milioni di persone
oggi in Italia.
Il contributo della politica italiana al superamento della crisi
Le politiche europee vanno ridiscusse e cambiate: la CGIL ha scioperato, mesi fa, con la CES, il sindacato europeo, per il cambiamento degli orizzonti della gestione europea della crisi.
Senza sostenere lo sviluppo, senza concedere alle famiglie e al sistema produttivo margini di fiducia nel futuro, il rapporto
deficit/PIL nel paese è destinato a rimanere sofferente. Non siamo in grado di agganciare la ripresa in modo spontaneo, o
comunque il nostro ritardo è tale da condurci lontano dalla classifica dei migliori paesi in ripresa. A dispetto della nostra storia
manifatturiera. Servono interventi del pubblico; politiche industriali; politiche anticicliche; incrementi nel valore dei redditi e
rilancio dei consumi interni. E servono azioni vigorose, decise. Recuperando risorse anche attraverso coraggiose scelte fiscali
sulle rendite finanziarie e i patrimoni.
La politica italiana ha dato pessima prova di sé, nella gestione del paese in questi ultimi anni e della crisi in particolare. Debole,
rissosa, litigiosa, corrotta, la politica italiana è stata incapace di governare; di offrire sponde al paese reale che pure ha avuto
voglia di ripartire. Ha frustrato qualsiasi aspettativa di riforma reale, di cambiamento: si è dimostrata priva di competenza e
di visione. Indifferente ai problemi di democrazia e di autonomia. Il Governo tecnico di Monti ne certifica la sconfitta totale:
coerenti con le politiche europee fino alla genuflessione; accaniti nel recupero delle risorse sulla platea dei pensionati e dei
lavoratori; indifferenti rispetto alle necessità dell’economia reale e attenti solo ai segnali dai mercati. E in Parlamento a parlar
d’altro. Al punto che la credibilità della politica, delle istituzioni, del sistema formale complessivo del paese è, agli occhi dei
cittadini, decisamente compromessa.
Il disorientamento, la confusione, l’incertezza politica e il destino del paese
Chi di noi – anche tra coloro che hanno avuto chiaro nella storia la direzione sociale, le necessità politiche, le
strategie sociali, le opportunità – ha oggi chiaro qual è la direzione intrapresa dal paese? Dove stiamo andando?
Con quali azioni sia possibile riprendere una linea di galleggiamento sufficientemente tranquillizzante per i poveri passeggeri di questo Stato?
La distribuzione della ricchezza
Per ora, in Italia, ci è chiaro che il 10% della popolazione detiene quasi il 50% della ricchezza. Che l’effetto – qualcuno si
spinge a dire la causa – della crisi finanziaria ed economica è uno straordinario aumento della diseguaglianza economica, nella
distribuzione dezsl reddito. Che la distanza tra il salario operaio e quello di un manager privato o pubblico si è centuplicata in
quaranta anni.
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La giustizia sociale
Che curarsi per qualcuno è diventato un lusso. Che il dentista è un optional di lusso.
Gli esodati
Voglio solo citare una categoria di persone, che in camera del Lavoro abbiamo incontrato spesso: in assemblee affollate o in singoli colloqui per valutare le posizioni normative. Gli esodati. Quattromila in provincia
di Monza e Brianza. Moltissimi di loro senza pensione e senza stipendio. Protagonisti di un progetto che
la CGIL di MB e l’INCA hanno presidiato con particolare tenacia: informazione, discussione, lotta, tutela
e servizio più un percorso – per qualcuno di loro disponibile – di mutuo aiuto finalizzato ad affrontare il
disagio psicologico che deriva necessariamente dal vedersi stravolto il proprio progetto di vita senza diritto
di replica. Messi violentemente in condizione di chiedersi ogni giorno se sarà la volta buona, se è cambiato
qualcosa, se c’è speranza, se si è aperto uno spiraglio……..
Qui, nelle assemblee di esodati, abbiamo verificato quanto sia cambiata – di necessità – l’aspettativa delle
persone nei confronti del Sindacato: si sono succedute al microfono persone che non chiedevano lotta,
ribellione, rivoluzione…… Raccontavano la loro storia, la mettevano in comune, si aspettavano comprensione e solidarietà; chiedevano aiuto, al Sindacato. Qualcosa che li tenesse in un percorso, in un progetto,
che garantisse loro attenzione e addirittura cura. Trent’anni fa non sarebbe andata così……….. È diverso il
sindacato oggi, ma è diversa la domanda. Qualche volta ho avuto l’impressione che nessun altro, tranne il
sindacato e coloro che condividevano la medesima difficoltà, il medesimo disagio, frequentasse la solitudine di queste persone, la loro incertezza, la loro disperazione.
Per questo abbiamo voluto pubblicare un libro: perché ci hanno detto molto……
13.
Le categorie tartassate
Le donne. L’8 marzo
Immagino che il tema delle donne e della loro condizione sociale – oggi di nuovo all’attenzione del paese
per via dell’escalation dei reati violenti nei confronti delle donne, per le particolarità del tema nel dibattito
interculturale ed etnico e poi anche per il ruolo delle donne nella mappa del potere (non solo dei ruoli sociali) in Italia – verrà ripreso nel corso del dibattito: mancano due giorni all’8 marzo, il territorio è pieno di
iniziative, la commissione elettorale del congresso sarà impegnata a riconoscere una composizione dell’organismo direttivo della CGIL di Monza e Brianza il più vicino possibile alla parità tra i generi.
Fuori dalla Camera del Lavoro, in via Premuda, campeggia uno striscione di denuncia: la violenza sulle donne è un dato che
riguarda tutti, un vulnus alla qualità della convivenza civile, un modo aberrante di interpretare le criticità di una situazione
sociale carica comunque di tensioni e di conflitti. Ma sarebbe il caso di aggiungere altri slogan alle nostre sintesi: la CGIL,
anche in una situazione di crisi economica come quella che stiamo vivendo, anzi: proprio a partire dalla crisi, non può
rassegnarsi a considerare le donne “soggetti deboli” del mercato del lavoro, destinatarie prime dei tagli occupazionali,
lavoratrici da retribuire quel pezzetto in meno che è dato dalla risultante delle maternità, del lavoro di cura, del lavoro
familiare. O arrendersi di fronte alla cesoia che da qualche anno pota i servizi pubblici, soprattutto quelli di cura, di sostegno alla maternità e alla non autosufficienza: dai nidi all’assistenza domiciliare. Assumere un’ottica di genere nelle nostre
piattaforme territoriali o aziendali è ancora un obiettivo non raggiunto.
scegli di esserci
Gli immigrati stranieri
Così come un’attenzione particolare merita un’altra categoria di lavoratori particolarmente maltrattata dalla crisi: lavoratori che
devono subire un doppio ricatto, quello del lavoro e quello della cittadinanza. I lavoratori migranti. Le tensioni su questo tema
sono meno evidenti, il trend dell’immigrazione è certamente rallentato. Anzi: gli abbandoni del nostro territorio si fanno più
frequenti in ragione della mancanza di lavoro e della difficoltà a mantenere i titoli di soggiorno. Forse è il momento di accelerare
con un intervento legislativo che porti alla revisione della legge Bossi-Fini, all’abolizione del reato di immigrazione clandestina
e introduca il principio dello “ius soli”, il riconoscimento del diritto di cittadinanza ai bambini nati sul suolo italiano. La CGIL
non da oggi sostiene questa prospettiva che è il frutto di semplici considerazioni relative al diritto ma anche al valore culturale
ed economico della prospettiva multietnica.
Sul tema degli stranieri in questi quattro anni abbiamo lavorato molto e bene. Abbiamo riorganizzato il presidio
dei problemi di rappresentanza, tutela, servizio e iniziativa culturale nei confronti degli immigrati presenti sul
nostro territorio; abbiamo costituito l’area migranti e dotata di risorse specifiche con un organico rinforzato. Il
risultato è stato assolutamente apprezzabile: abbiamo presidiato i tavoli territoriali (primo fra tutti quello della
Prefettura) e con Confindustria MB abbiamo sottoscritto recentemente un protocollo che interessa i lavoratori
stranieri nelle nostre aziende, riconoscendone le specificità di ordine culturale e assumendo alcuni obiettivi
sindacali sia riguardo i diritti di cittadinanza che quelli relativi alle condizioni di lavoro. Protocollo di rilevanza nazionale, unitario, così come unitaria è sempre risultata la pratica sindacale di questo tema. Accanto alla funzione
di rappresentanza abbiamo potenziato anche il lavoro di tutela e di servizio: i permessi di soggiorno e l’iter per
la cittadinanza; l’asilo politico; gli itinerari burocratici del tortuoso rapporto con gli uffici (si pensi solo alle cosiddette – impropriamente – “sanatorie”) hanno visto la CGIL MB impegnata in un lavoro di consulenza, confronto
con la questura e la prefettura, assistenza ai lavoratori stranieri della quale andiamo fieri. Ma abbiamo anche
costituito un’associazione (“Diritti Insieme”) che su un terreno meno formale mantiene consistenti relazioni con
il mondo degli stranieri a Monza e Brianza: le Associazioni etniche, la cultura dei paesi di provenienza, il “pronto
intervento” contro le discriminazioni, le proposte di corsi di lingua italiana e di sostegno all’ottenimento della
patente di guida. Abbiamo anche altre idee: intanto registriamo i complimento dell’ex ministra Kyenge, in visita
all’associazione nel settembre scorso.
Tutto ciò mentre continua il trend di crescita degli iscritti stranieri alla CGIL di MB che tende (tra i lavoratori attivi)
al 13%.
I pensionati e PI
In queste recenti assemblee congressuali gli argomenti più dibattuti sono stati quello del lavoro e quello delle pensioni. Abbiamo avuto quattro anni caratterizzati dalla caduta dei dati occupazionali, dal blocco della contrattazione, degli organici,
dell’anzianità nel pubblico impiego (l’attacco ai livelli di reddito della categoria è storicamente senza precedenti e corrisponde
ad una totale mancanza di investimenti sulla qualità e l’efficienza della pubblica amministrazione) e i pesanti interventi sul
fronte delle pensioni. Sotto schiaffo sono finiti (legge Fornero) i requisiti per la pensione e il valore delle pensioni in essere.
Questo delle pensioni è un tema che deve essere ripreso: non solo è una questione di diritto (degli esodati ho detto), di qualità
della vita (accesso alla pensione in ragione dell’anzianità contributiva e della durata della vita lavorativa) e di reddito (bloccare
l’adeguamento del valore delle pensioni in specie le più basse è una vera e propria violenza nei confronti di persone che con
la loro pensione devono far fronte alla riduzione delle tutele del welfare e all’aumento della tassazione locale e del costo della
compartecipazione ai servizi pubblici primari); ma il tema delle pensioni investe la dinamica del mercato del lavoro, il patto sociale tra anziani e giovani, il cosiddetto patto generazionale; il blocco delle pensioni ferma il paese, i “normali” avvicendamenti
nell’impegno di guidare e portare avanti l’intero sistema.
Intervenire in modo così aggressivo su pensionati e pensionandi vuol dire aprire ulteriormente la forbice della disuguaglianza
economica; prelevare sui “soliti noti”; ridurre la liquidità circolante a carico di gente che non arriva ai mille euro al mese. Le
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lacrime della Fornero non solo non hanno fermato la “sua” riforma, ma neppure hanno inciso sui successivi provvedimenti
ulteriormente restrittivi: ci avviamo a fare una discussione anche sulle pensioni retributive, quelle in essere e le poche che
ancora dovranno essere calcolate? Ancora il tema delle pensioni è un tema di attualità nei pensieri del nuovo governo? C’è
da chiedersi se chi ne parla sappia veramente cosa sta succedendo nel paese.....
14.
La CGIL: difesa senza speranza?
Questo congresso e i suoi documenti………
Purtroppo questi quattro anni di crisi hanno segnato un arretramento significativo nella linea dei diritti dei lavoratori e dei
pensionati italiani.
I documenti di quattro anni fa ancora si muovevano nell’ottica di una rimonta del lavoro sulla gestione liberista della crisi.
Non è stato così. E ai lavoratori ci siamo presentati con un curricolo straordinario di lotte anche in solitudine, di iniziative
di mobilitazione continue a tutti i livelli; con un pacchetto di proposte alternative per la gestione della crisi: ciò nonostante
in questi quattro anni abbiamo registrato la fine della “concertazione” intesa come capacità del sindacato di concorrere
attraverso il confronto alle scelte più importanti del paese; la fine dell’inderogabilità dei contratti collettivi nazionali e
addirittura delle leggi dello stato in materia di lavoro; la fine della regolazione unitaria della contrattazione e la sequenza
degli accordi separati, l’attacco della Fiat ai diritti di rappresentanza e ai diritti sindacali tou court; la riforma Fornero; l’azzeramento della contrattazione nella P.A.
Abbiamo giocato una partita difensiva.
Non abbiamo perso di goleada: ma obiettivamente il campo era impraticabile, la crisi pesantissima, i vincoli
internazionali e le pressioni dei mercati difficilmente contrastabili.
In questi giorni una autorevole rivista medica americana denuncia come in Grecia, lo scorso anno, siano
decisamente aumentati i decessi degli anziani (come solo nel 1949); un terzo di questi decessi è da riferirsi
direttamente ai tagli delle coperture del sistema sanitario pubblico. Segnala, la medesima rivista, come mai
in Grecia, dalla seconda guerra mondiale, il tasso di mortalità infantile sia stato così alto.
L’itinerario politico di questo congresso è stato particolarmente complicato, e, delle complicazioni, non si
vede la fine. La CGIL nazionale si è dotata a stragrande maggioranza di un documento condiviso (la tesi “Il
lavoro decide il futuro”) sul quale verificare la condivisione degli iscritti e gli equilibri dei gruppi dirigenti da
rinnovare. La scelta è sembrata a tutti dettata da buon senso: la crisi economica e occupazionale, lo sfilacciamento del rapporto con i lavoratori, la scarsa qualità e utilità del dibattito politico, la oggettiva difficoltà
del Sindacato a portare a casa risultati (è scritto a chiare lettere anche nella tesi di maggioranza) avevano
consigliato un approccio al congresso unitario, nei limiti del possibile, e comunque non conflittuale.
L’ipotesi di un congresso di ascolto, non conflittuale, è stata assunta sin da principio anche la CGIL di Monza e Brianza, che
a fondamento di un generoso tentativo di costruire più che di denunciare ha una bella gestione unitaria della Camera del
Lavoro in questi ultimi anni.
Insomma: la scelta sia a livello nazionale che a livello territoriale era stata quella di presentare ai lavoratori le difficoltà, le
valutazioni del Sindacato e i percorsi che si intende compiere nei prossimi anni supportando con un documento unitario
e dal contenuto fortemente valoriale le schede (un’autentica piattaforma) delle “azioni” in gran parte condivise, in parte
arricchite da emendamenti alternativi.
A percorso congressuale avviato la discussione sul “Testo Unico della rappresentanza” ha divaricato le posizioni, radicalizzato letture e interpretazioni, assunto i toni del conflitto interno al gruppo dirigente.
scegli di esserci
Questa discussione ha attraversato il congresso e rischiato di soffocare qualsiasi tentativo di preservare la qualità del rapporto
tra CGIL e lavoratori, spesso accantonando i contenuti congressuali e dimenticando le origini e le finalità di questo congresso,
di un congresso.
Il tema è importante, ma è piombato come un macigno sul congresso.
Qui non vorremmo mettere da parte lo sforzo che abbiamo sostenuto: stiamo da tempo lavorando all’analisi del territorio;
stiamo provando a individuare obiettivi, scenari e progetti di sviluppo da inserire in un “Piano del Lavoro” locale; abbiamo
ricercato attraverso una serie di worshop precongressuali un confronto aperto con gli interlocutori territoriali; abbiamo cercato
di ascoltare i lavoratori nelle assemblee più che convincerli di avere ragione.
Tra di noi ci sono ampie differenze di ordine politico e addirittura culturale; ci sono differenze nel modo di intendere il Sindacato
e sul modo di affrontare le sfide che sono aperte davanti al mondo del lavoro per scongiurare l’affossamento dei diritti e anzi
per affermare il loro consolidamento per tutti.
Ma consideriamo queste diversità dei valori e, credo di parlare per tutti, siamo disponibili a ricercare con determinazione una
sintesi condivisa sulle azioni da intraprendere.
Del resto condividiamo tutti insieme la grandissima parte dell’analisi della CGIL contenuta nella mozione di maggioranza: condividiamo l’analisi sugli errori delle politiche europee e sull’unilateralità delle politiche dei governi
che in Italia si sono succeduti dall’avvio della crisi; condividiamo il giudizio sulla necessità di sostenere la crescita
svoltando:
• riforma fiscale (debitamente corredata da una patrimoniale sulle grandi ricchezze e una diversa tassazione
delle rendite finanziarie e invece abbassamento delle tasse sul lavoro e delle aliquote IRPEF per pensionati e lavoratori dipendenti);
• politiche industriali (sostenibili, ecocompatibili, declinate secondo le esigenze di tutela della competitività
del manifatturiero e supportate da un impegno pubblico diretto nella ripresa economica alle porte);
• rilancio del welfare (a salvaguardia del diritto delle persone, in specie più fragili, ma anche per poter disporre di un volano occupazionale indispensabile)
• e poi investimenti per la tutela e il risanamento ambientale, interventi di valorizzazione del patrimonio
storico e artistico e urbanistico del paese……….
• Politiche che devono avere posto nell’agenda di qualsiasi governo voglia bene al paese e alla sua gente;
che subordini gli interessi della politica a quelli dei cittadini.
15.
Il protocollo sulla democrazia
Le polemiche in CGIL
La democrazia e la rappresentanza
Il cosiddetto Testo Unico sulla rappresentanza (adesso ci mettiamo anche a formulare Testi Unici, nemmanco i nostri protocolli
fossero tomi di provvedimenti legislativi raccolti ogni tanto in sintesi parlamentari...) sarà oggetto di assemblee con i lavoratori;
verrà diffuso e analizzato; i lavoratori discuteranno e voteranno.
Il Comitato Direttivo Nazionale ha già espresso il suo giudizio, le sue valutazioni, peraltro statutariamente vincolanti.
Ciò, dopo che nelle assemblee congressuali e in parte dei congressi di categoria sin qui tenuti la discussione è stata fatta:
qualcuno, tra i lavoratori, ha votato il “quinto emendamento” (anche qui: adesso ci mettiamo anche ad invocare la costituzione
americana, prendendo a prestito il linguaggio dei telefilm USA?) e altri hanno approvato un ordine del giorno di condivisione
del giudizio del CD Nazionale della CGIL.
Le posizioni in campo sono chiare.
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Da una parte si valorizza la portata storica di un accordo che finalmente riconosce al referendum dei lavoratori l’ultima
parola in materia di validazione degli accordi; che “pesa” le Organizzazioni Sindacali in ragione degli iscritti e del consenso e impedisce la validità “erga omnes” di accordi siglati da Organizzazioni di minoranza; che dà una mano, quindi,
al superamento della pratica degli accordi separati e ribadisce il valore del contratto collettivo nazionale; che incardina
definitivamente sulle RSU (elette direttamente dai lavoratori secondo un metodo seccamente proporzionale) le titolarità di
contrattazione aziendale.
Secondo i partigiani di questa tesi, gran parte dell’accordo sancisce gli obiettivi che la CGIL da vent’anni a questa parte
prova ad affermare nella pratica democratica del rapporto con i lavoratori e sconfigge le pretese della Fiat di scegliersi gli
interlocutori e cacciare i riottosi.
Secondo i partigiani dell’altra tesi ci sono parti, nel protocollo, di dubbia costituzionalità e in particolare sarebbero inaccettabili i capitoli relativi alle sanzioni per chi – assunto il protocollo – violasse le regole; e poi c’è l’”arbitrato”, luogo
paritetico istituito per dirimere le controversie nell’applicazione del protocollo. Le prime rischiano di scaricarsi non solo
sulle Organizzazioni ma anche – in qualche modo – sui delegati; il secondo violerebbe le prerogative delle categorie, trasferendole automaticamente alla CGIL.
In ogni caso, il punto politico di discussione è: le determinazioni del Comitato Direttivo della CGIL Nazionale si applicano
a tutti o le Categorie possono decidere in piena autonomia di starsene fuori, di non accettare il livello confederale come
ultima istanza?
La questione è importante: si tratta di assumere un giudizio condivisibile sulla natura confederale del nostro sindacato, che
attualizzi la sua ambizione ad unificare il mondo del lavoro e faccia salva la primazia del rapporto tra la CGIL e ciascun
lavoratore e pensionato iscritto. In tutti i corsi di formazione per delegati si comincia con: “l’iscrizione dei lavoratori è alla
CGIL; siamo un sindacato confederale, un sindacato di lavoratori e non una confederazione tra strutture”. Di questo siamo
sempre stati giustamente orgogliosi.
Comunque i lavoratori giudicheranno: abbiamo poco tempo e ancora una volta regole complicate. Ma tant’è: se siamo
riusciti ad arrivare fin qui con un regolamento congressuale come quello che sta alla base del XVIII congresso della CGIL
ce la faremo anche a fare il referendum sul Testo Unico.
16.
Lo scenario sociale, economico e politico da qui ai prossimi quattro anni
Il bisogno di politica e di progetto
La ripresa, il governo
Mi piacerebbe che riuscissimo a ritrovare, con questo congresso, le ragioni di fondo per proseguire con determinazione il
lavoro che l’adesione ai valori e ai principi della CGIL ci propone ogni giorno. Che cioè fossimo sufficientemente lucidi per
inserire nella nostra riflessione congressuale il senso della nostra missione prima ancora che l’agenda delle cose da fare,
pure pulita dai pregiudizi, dagli ideologismi, dai dogmatismi. Mi piacerebbe avessimo, insieme, in questo percorso collettivo, un’iniezione di nuova determinazione e fiducia.
Perchè da fare c’è molto e tutto serve meno che abbandonare il campo per stanchezza o frustrazione.
1.
In primo luogo c’è bisogno di buona politica e di progetto. Questo paese ha nel proprio profilo identitario intelligenza, cultura, laboriosità sufficiente a uscire dalle difficoltà. Conosce crisi gravi e profonde, abbassa il capo e sembra
rassegnato, ma poi ce la fa..... La storia insegna che ce la fa, addirittura qualche volta in modo eroico. Per farcela abbiamo
bisogno di capire dove stiamo andando; di chiarire la vocazione del paese, le possibili coordinate del futuro; dobbiamo
ricostruire un quadro realistico e ripartire dai valori che, appunto, sono il frutto del superamento di altre gravissime crisi
(la Resistenza, la Democrazia, la Costituzione e i suoi valori, la Pace). Qualche giorno fa di pace non avremmo parlato: il
scegli di esserci
tema poteva essere considerato fuori moda. La situazione dell’Ucraina e della Crimea rimandano invece al tema della sovranità,
dell’autodeterminazione, della libertà. La situazione è confusa e grave come mai dall’epoca della guerra fredda: sfido invece a
decretare la ragione e il torto così come avremmo fatto usando l’ideologia di quel tempo; ma è certo che in quell’area sono in
gioco valori importanti e primo fra tutti quello della pace. L’Europa dimostra ancora una volta di essere colpevolmente in ritardo,
e incapace di parlare con una voce sola. E l’Italia è distratta: le priorità sembrano altre.
C’è bisogno dunque di politica e di progetto. Una politica credibile e determinante in Europa; veloce, forse, ma soprattutto equa
e onesta in patria, capace di partire dalle priorità: il lavoro, i giovani........
2.
Non possiamo pensare che il superamento della crisi sarà automatico, o indotto dalle economie di altri paesi: come
ogni anno si dice dell’Atalanta, “la salvezza bisognerà conquistarsela”; nessuno ce la regalerà. Avremo una piccolissima ripresa
nel ‘14, forse – con le misure adeguate – saremo in grado di consolidarla nell’anno successivo. Per ricostruire i livelli occupazionali del 2007 dovremo però attendere il 2017. La strada verso la ripresa dell’occupazione è ancora lunga e incerta. La CGIL
deve esserci. Oltre le dinamiche del suo gruppo dirigente deve puntare a rappresentare il lavoro, il bisogno di inclusione sociale
ed economica, di giustizia.
3.
C’è quindi bisogno di Governo: tengo per me i miei personali giudizi sul nuovo Presidente del Consiglio e sul suo
Governo. Noto semplicemente che: a) le parole sono cambiate; la dichiarata direzione di marcia è diversa; rispetto agli ultimi
governi sono state “rottamate” alcune parole d’ordine e altre si sono affermate, corrispondendo a forti aspettative nel paese; b)
queste parole d’ordine, quelle sin qui esplicitate, non possono che essere condivise: vanno nella direzione che anche la CGIL ha
sostenuto negli ultimi anni; c) mancano tante cose però, prima di poter dire che questo Governo marcia sulla strada giusta: le
parole d’ordine mancano di un quadro di riferimento chiaro sul complesso dei problemi del paese e non solo su alcuni; manca
il merito delle misure che dovrebbero realizzare le parole d’ordine, e nella coda si nasconde spesso il veleno; non si sa dove potranno essere recuperate le risorse per mettere in campo le azioni positive che si intende assumere: così come siamo messi non
possiamo che constatare l’indisponibilità di risorse e noi….. abbiamo già dato. Prendere i soldi dalla cassa in deroga per metterli
sulla estensione del salario di disoccupazione non mi sembra una bella trovata; aumentare la tassazione locale (qualsiasi sia il suo
nome) per garantire risorse ai comuni non mi sembra una genialata, né una novità; insistere sui tagli alle pensioni aggredendo il
valore delle pensioni retributive per pensionati e pensionandi invocando equità mi sembra un vero e proprio dramma, anche se la
promessa fosse una proposta redistributiva. Ma staremo a vedere senza pregiudizi. C’è da augurarsi per il paese (il paese sì che
sta rischiando tutto, non il premier la faccia) che i prossimi mesi registrino un cambiamento, nelle politiche e nei risultati.
17.
Devo ringraziare
Ho finito.
A Monza sto facendo un’esperienza inaspettatamente positiva.
La CGIL di MB è una bella struttura: ha grandi potenzialità, disponibilità e risorse umane adeguate. Mancano un po’ di risorse
finanziarie, ma non si può avere tutto dalla vita.
Devo ringraziare in particolare la Segreteria: abbiamo fatto un percorso di crescita insieme che mi pare evidentissimo. Dalle
riunioni prudenti dei primi tempi nei quali ci siamo “annusati” alle discussioni recenti molto più vere; dal timore di fronte all’organizzazione di eventi ed iniziative ad un proliferare di proposte e di occasioni…… Grazie a Valota, Pulici, Pirovano, Brusa e
31
Ziliani per la straordinaria collaborazione ( i risultati dovrebbero essere evidenti a tutti….).
Devo ringraziare – se no mi tratta male – Giovanna Fassi. Ha lavorato, con grande dedizione e senza controllare l’orologio. E poi
mi sopporta, che non è da tutti.
Devo ringraziare in particolare e con particolare partecipazione i responsabili dei servizi della CGIL di MB: abbiamo avuto quattro
anni di continui rivolgimenti organizzativi, alla ricerca della migliore organizzazione. Abbiamo fatto prove e commesso errori: ma
abbiamo risanato il budget del sistema, “pensato” l’organizzazione e prodotto tanta qualità. Non è finita: il loro contributo ad
una politica di pieno rispetto degli iscritti in particolare, di costruzione delle soluzioni ai loro problemi di servizio e di tutela sarà
decisivo in questa fase di consolidamento dei modelli che abbiamo adottato. Grazie a Cigna, Volpi, Piccoli e Rovelli.
Ringrazio i Segretari Generali delle Categorie di MB, nuovi (alla FLC) o confermati (tutti gli altri). Non è stato facilissimo avviarci
su una strada positiva e condivisa, ma siamo in marcia. E di cammino ne abbiamo già fatto insieme un bel tratto.
Infine grazie a tutti coloro che lavorano in CGIL o con la CGIL collaborano: il mio giudizio congressuale è che siamo una grande
squadra.
Abbiamo dalla nostra buoni risultati e migliori prospettive.
A noi non ci ammazza nessuno………………………