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La dicotomia tra globalizzazione e regionalismo. L’opinione controcorrente di
uno dei più grandi architetti italiani. Che sottolinea i rischi derivanti dalla
perdita delle singole identità nazionali e mette in guardia dalla tentazione di
Aulenti: fare architettura
nella globalizzazione
ARTI&MESTIERI
a cura di Sasa Carpaneda
abbattere gli edifici esistenti, anziché cercare di valorizzarli. E che spiega come una seria programmazione da parte delle amministrazioni pubbliche debba sempre essere alla base della ristrutturazione di qualsiasi “brano di città”
una delle più autorevoli “matite” dell’architettura italiana e internazionale.
La sua esperienza è vastissima: dalla
collaborazione con una delle riviste che
“fanno” l’architettura nel nostro Paese
(“Casabella”) all’insegnamento
all’Università di Venezia e al Politecnico di
Milano; dalla progettazione o ristrutturazione di case, ville, interi quartieri, musei, uffici, fabbriche, aeroporti allo studio di piani
urbanistici; dall’ideazione di soluzioni di
interior design agli allestimenti espositivi;
dalla creazione di oggetti di industrial design
alla realizzazione di scenografie teatrali.
Famosa e apprezzata in tutto il mondo, Gae
Aulenti ha lavorato – oltre che in Italia – a
Parigi, Barcellona, Siviglia, Ginevra,
Amsterdam, Berlino, Istanbul,
Gerusalemme, New York, San Francisco,
Buenos Aires, Tokyo. E l’elenco potrebbe
continuare.
Incontrandola nel suo studio di Milano, vicino a Brera, l’impressione è quella di una
persona schiva, di grande rigore intellettuale,
che unisce il guizzo e la sensibilità dell’artista a un profondo senso della realtà. E che si
definisce, semplicemente, “un architetto”.
È
È un periodo di grandi trasformazioni,
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moltissime città stanno cambiando volto.
Si moltiplicano i progetti di rinnovo urbano con interventi di grande respiro e
complessità. Il rischio, però, è quello di
creare dei poli che non si integrino con
il contesto esistente. Qual è il suo punto
di vista?
Questo secolo – anche se si tratta di una
tendenza iniziata già negli anni ’90 – sta
producendo delle architetture caratterizzate
da una maggiore forza di apparenza piuttosto che di sostanza o, come si dice tecnicamente, di “fondazione”. La causa è da
imputarsi a una cultura che va sempre più
frammentandosi. La globalizzazione, infatti,
se da un lato permette espressioni le più
differenti, dall’altro le sradica da un pensiero filosofico più legato direttamente al territorio e alle nazioni, frastagliando e mescolando tutto in un grande coacervo. Un
esempio emblematico in questo senso è rappresentato da Shanghai che, al di là del
fiume, fa nascere una città che non ha nulla
dell’Oriente: gli edifici non sono altro che
copie di quelli già costruiti in America.
Anche se non si può dimenticare che in
Cina l’esigenza di creare città per milioni di
abitanti obbliga probabilmente a una nonricerca e gli stessi architetti di profilo inter-
Grazia Neri_ Titti Fabi / Team
AULENTI: FARE ARCHITETTURA NELLA GLOBALIZZAZIONE
Quale deve essere allora, a suo avviso,
il rapporto tra globalizzazione e regionalismo nell’architettura contemporanea?
La globalizzazione risponde al desiderio
di rendere il pianeta unico ma porta con sé
anche il rischio – secondo me fortissimo –
di perdita delle singole identità regionali.
Nonché di perdita delle differenze. E proprio tener conto delle differenze è l’unico
modo per far sì che un pensiero venga elaborato. Pensiamo solo agli aeroporti dove ci
è capitato di sostare: sono talmente uguali
che è impossibile riconoscere il luogo che ci
ospita. E questo determina nell’uomo una
totale perdita di orientamento che, dal mio
punto di vista, è negativa. Io credo invece
che non ci si debba staccare dal contesto di
una città: questo, ovviamente, non significa
lavorare in stile, ma semplicemente in
un’ottica di continuità.
Se guardiamo nello specifico all’Europa
dell’Est, che è oggi un grande cantiere
grazie a una fase di sviluppo economi-
_Sotto, alcuni interventi tra i più noti di Gae Aulenti: il
Musée d’Orsay a Parigi, la ristrutturazione di Palazzo
Grassi a Venezia e la ristrutturazione del nuovo Asian Art
Museum di San Francisco
Corbis
nazionale che vengono chiamati a lavorare
in quel Paese creano modelli che finiscono
per perdersi nella globalità.
Diverso è il caso dell’Occidente: qui, invece, si creano dei modelli nuovi, assolutamente pieni di seduzione e di forme, ma
anch’essi totalmente slegati dal contesto
urbano e culturale. E mi riferisco molto
chiaramente a Frank Gehry, l’architetto
più internazionalista, e al suo
Guggenheim realizzato a Bilbao, nel Paese
più nazionalista della Spagna. Oppure a
Rem Koolhaas per il quale l’immagine e la
comunicazione contano più dell’essenza
dell’architettura, che consiste nel creare
“brani di città”.
ARTI&MESTIERI
Di fronte a certe “brutture” – nei Paesi
dell’Est come a casa nostra – vale la
pena di fare “tabula rasa” o di recuperarle comunque, valorizzandole in una
nuova dimensione?
Io credo che non si debba mai buttare via
nulla. C’è un esempio di grande attualità
che è emblematico. Quando si spostano i
coloni dalla striscia di Gaza, si bombarda, si
rade al suolo, si crea un campo di macerie.
Ma anche i palestinesi che si stabiliranno lì,
avranno bisogno di case. È questo uno spreco che non tiene conto della povertà del
mondo, tanto più che gli ammassi di macerie sono difficilissimi da far sparire.
Il rapporto dell’architetto con le amministrazioni pubbliche e con i gruppi finanziari. Quali sono state le sue peggiori e
migliori esperienze?
Ogni Paese ha le proprie regole. Io ho
appena finito un museo a San Francisco, di
proprietà municipale, ma la cui ristrutturazione è stata pagata dagli “amici del
Kaz Tsuruta/Asian Art Museum, San Francisco
Grazia Neri
co particolarmente intenso, quali sono
le principali tendenze che si evidenziano? Sono sorte in questi Paesi scuole
di architettura e professionisti che possono finalmente dare libero sfogo alla
loro creatività, con una propria identità
di pensiero?
L’Europa dell’Est ha dato vita nel XX
secolo a una scuola fortissima di architettura (il costruttivismo) che si è diffusa
anche nel resto del mondo occidentale.
Rotta questa tradizione con i grandi grattacieli di Mosca dello stalinismo, oggi si sta
lavorando per il ritrovamento di un’identità. Vi sono validi architetti che con difficoltà – anche perché l’impero sovietico,
unificando i vari stati in un unico blocco,
aveva annullato le peculiarità di ciascuno di
essi – cercano di recuperare le tradizioni
dei propri Paesi, pur progettando architetture contemporanee. Del resto, citando un
verso del poeta Thomas S. Eliot che amo
molto, “la tradizione non si eredita, ma la
si costruisce giorno per giorno”.
Olycom
AULENTI: FARE ARCHITETTURA NELLA GLOBALIZZAZIONE
museo”. Negli Stati Uniti è facile far lavorare insieme pubblico e privato. Con trasparenza e chiarezza di intenti, perché il progetto viene studiato solo dopo la stesura dei
piani economici e finanziari, sulla base dei
costi e limiti stabiliti. A differenza dell’Italia
dove invece è molto difficile conoscere in
anticipo i limiti di spesa e i committenti –
soprattutto quelli pubblici – non paiono
generalmente interessati alla continuità e
alla conclusione dell’opera. Basta vedere
quanti concorsi in Italia, a progetto già assegnato, si arrestano al cambio d’amministrazione. Nonostante i soldi già spesi, che sono
per di più della comunità.
Particolarmente negativa è stata l’esperienza
con il Teatro La Fenice a Venezia dove –
dopo aver vinto il concorso, fatto il progetto
esecutivo e lavorato per 8 mesi – il cantiere
è stato fermato perché il secondo classificato
si era rivolto al Tar. Opposto, invece, il caso
del Museo dell’Arte di Cataluña a
Barcellona. Si tratta di un museo enorme in
un edificio esistente, che abbiamo finito nel
2004 dopo 18 anni. La realizzazione è stata
molto lunga perché mancavano i fondi
necessari: abbiamo fatto quindi un progetto
generale diviso poi per fasi, che hanno preso
il via a mano a mano che sono arrivati i
capitali. La chiave del successo è stata una
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_Un esempio di architettura seducente, totalmente slegata dal contesto culturale: il famoso Guggenheim realizzato a Bilbao, in Spagna, da Frank Gehry, architetto internazionalista
programmazione seria e una coerenza da
parte degli amministratori che, pur succedendosi, hanno continuato a volere questo
progetto.
A proposito di musei, moltissime strutture
sono state da lei ripensate nel corso
degli ultimi 25 anni. Quali sono stati i
concetti ispiratori che l’hanno guidata
per creare luoghi che permettano l’avvicinamento di un più vasto pubblico e una
migliore fruizione dell’arte? Qual è stato,
in particolare, il ruolo della luce nei suoi
progetti?
Non c’è mai stata un’unica linea ispiratrice. Tutto dipende dalla città in cui si trova il
museo, dall’edificio che lo ospita e dalla collezione che contiene. Sono questi tre elementi che fanno nascere il singolo progetto e
definiscono le diversità tra un museo e l’altro. Fondamentale per me è stata l’esperienza al Musée d’Orsay, dove ebbi la fortuna di
lavorare con Michel Laclotte, allora presidente del Louvre, che mi insegnò moltissi-
Olycom
ARTI&MESTIERI
_La cupola del Parlamento tedesco a Berlino, uno dei
simboli dell’architettura “ecotech” di Norman Foster che
ha realizzato anche la torre della Commerzbank di Francoforte, sulla stessa linea
mente i costi, per esempio dei pannelli solari,
sono superiori rispetto a quelli dell’energia
classica. Proprio con l’energia solare abbiamo
realizzato una scuola, inaugurata due anni
fa, a Villar Perosa. Si tratta di una struttura
pubblica, anche se i lavori sono stati finanziati da privati. La scelta dell’energia alternativa è stata di tipo pedagogico e condivisa sia
dai committenti che dal Comune.
mo. Io faccio parte di quei professionisti per i
quali l’architettura deve seguire la collezione
e valorizzarla: da qui la ricerca degli spazi più
differenti per tante opere o, viceversa, per
un’opera sola, in una costante dialettica.
Nella sua lunga esperienza e nel suo
Quanto alla luce, questa è fondamentale pergirovagare per il mondo qual è il persoché consente una migliore fruizione dell’openaggio che più l’ha stupita o affascinata
ra d’arte. Ecco allora la necessità di uno studio
in campo architettonico?
accurato per ottimizzare i rapporti tra luce
Sicuramente Louis Kahn, grande archinaturale e luce artificiale, evitare la formazio- tetto americano (di origini estoni, ndr.) che
ne di ombre e l’entrata diretta della luce del
ha lavorato anche in Bangladesh, e sempre
sole, controllarne l’intensità e la provenienza. con un’architettura molto forte e precisa. A
mio avviso qualità nell’architettura significa
Si parla molto di architettura “ecotech”: anche progettare edifici che sembrino essere
ne sono simboli la torre della
sempre stati in quella posizione e che semCommerzbank di Francoforte e la cupola pre vi rimarranno. E così è per le opere di
del Parlamento tedesco a Berlino,
Kahn: danno il senso della continuità e mai
entrambi progetti di Norman Foster. Ma
dell’effimero.
sembra che vi siano problemi di tipo
“tecnico” ancora da risolvere. Qual è il
Se avesse la possibilità di scegliere oggi
suo punto di vista?
dove intervenire, senza limiti di finanziaIl problema è che non abbiamo alternatimento e ostacoli amministrativi, su quale
ve: è assolutamente necessario trovare altri
città si concentrerebbe e cosa realizzemodi per avere energia. Anche se naturalrebbe?
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AULENTI: FARE ARCHITETTURA NELLA GLOBALIZZAZIONE
Un architetto non può e non deve
sognare l’impossibile. Ma se così fosse, una
delle mie passioni è la città di Bangalore,
in India. È un luogo di grandi tradizioni
che ha saputo diventare leader nella ricerca
tecnologica. Forse realizzerei un “brano”
di quella città.
Quali sono i progetti su cui sta lavorando attualmente?
Dopo la ristrutturazione del Palavela di
Torino e la realizzazione del Palazzo del
ghiaccio per le gare di pattinaggio artistico e short-track dei Giochi Olimpici
Invernali, stiamo ora lavorando – tra le
altre opere – a un nuovo complesso industriale per la produzione di energia termica ed elettrica da fonti rinnovabili e da gas
_A destra, un’immagine di Bangalore, in India, luogo di
grandi tradizioni che oggi è diventato anche leader nella
ricerca tecnologica.
Gae Aulenti
Laureata nel 1953 al
Politecnico di Milano, dal
1955 al 1965 Gae Aulenti ha
lavorato nella redazione di
“Casabella-Continuità“ diretta da Ernesto Nathan Rogers.
Dal 1956 esercita l’attività
professionale con studio a
Milano, spaziando tra la progettazione
architettonica, l’urbanistica, l’interior e l’industrial design, gli allestimenti di mostre e la
scenografia teatrale. Nel frattempo ha insegnato all’Istituto Universitario di
Architettura di Venezia (dal 1960 al 1962),
alla Facoltà di Architettura del Politecnico di
Milano (dal 1964 al 1969) e al Laboratorio di
Progettazione Teatrale di Prato (dal 1976 al
1978). Inoltre, ha fatto parte di numerose
giurie internazionali per concorsi di architettura e urbanistica e tenuto conferenze e
seminari in tutto il mondo. È stata anche
presidente dell’Accademia di Belle Arti di
Brera a Milano (1995-96). Nel gennaio 2005
ha fondato la Gae Aulenti Architetti
Associati.
Tra gli interventi più noti, ha realizzato a
Parigi il Museé d’Orsay (1980-86) e il nuovo
allestimento del Musée National d’Art
Moderne al Centre Pompidou (1982-85); ha
curato la ristrutturazione di Palazzo Grassi a
Venezia (1985-86) e in seguito l’allestimento
in questa sede di numerose mostre temporanee, da “Futurismo & Futurismi” (1986) a
“Da Puvis de Chavannes a Matisse e Picasso.
Verso l’Arte Moderna” (2002).
Inoltre, ha vinto il concorso per il recupero
dell’ex Ambasciata d’Italia in “Accademia
delle Scienze” a Berlino (1987-92), realizzato
il Padiglione Italiano all’EXPO ‘92 di Siviglia,
ideato il nuovo accesso alla stazione S. Maria
Novella a Firenze (1990), progettato la
ristrutturazione del Palazzo del Governo
della Repubblica di San Marino (1991-1996)
e si è aggiudicata il concorso/appalto (1997)
per la ricostruzione del Teatro La Fenice di
Venezia, insieme con l’impresa Impregilo (poi
bloccato dopo 8 mesi di lavori). Gae Aulenti
ha poi curato la riqualificazione di piazzale
Cadorna a Milano (2000), mentre a Napoli
ha ridisegnato le stazioni “Museo” e “Dante”
della Metropolitana e le piazze Cavour e
Dante (1999-2002), oltre a numerosi Piani
Regolatori e Paesistici di diversi comuni italiani.
ARTI&MESTIERI
naturali a Coriano (Rimini) e all’ampliamento di una centrale di termoutilizzazione di rifiuti solidi urbani a Forlì. Ma anche
al progetto per l’ampliamento del piccolo
aeroporto di Perugia. Fabbriche e aeroporti, in particolare, rappresentano per me
nuove sfide perché non ne ho mai realizzati.
Grazia Neri
Corbis
Nella sua vita ha raggiunto i massimi
riconoscimenti professionali: qual è
l’obiettivo che ancora si pone per il
futuro?
Continuare a lavorare con calma finché la
testa me lo consente, cercando sempre
nuovi stimoli.
I suoi progetti architettonici sono risultati
vincitori dei concorsi per la ristrutturazione
del nuovo Asian Art Museum di San
Francisco (in associazione con la joint venture HOK/LDA/RWA di San Francisco), aperto al pubblico nel marzo 2003; delle exScuderie Papali presso il Quirinale a Roma,
nuova sede per esposizioni temporanee
inaugurata nel 1999; della Reggia di Venaria
Reale a Torino; del Museo Nazionale d’Arte
Catalana a Barcellona, completato nel
dicembre 2004 dopo 18 anni di lavori con l’inaugurazione della parte dedicata all’arte
del XX secolo; del Civico Museo d’Arte
Orientale Edoardo Chiassone a Genova (in
corso di realizzazione).
Durante il 2005 sono state inaugurate la
sede della Cancelleria dell’Ambasciata
Italiana e l’Istituto Italiano di Cultura a
Tokio, oltre al Palavela di Torino, sede delle
gare di pattinaggio artistico e short-track
per i Giochi Olimpici Invernali 2006.
Fra i più recenti progetti di allestimento, le
esposizioni “1950-2000: Theater of Italian
Creativity” a New York (2003); “Bilbao a
Genova” (2003) e “Arti &Architettura 19002000” (2004) nella sede di Palazzo Ducale a
_A sinistra, Louis Kahn, grande architetto americano di
origini estoni che ha lavorato anche in Bangladesh, le cui
opere danno il senso della continuità
Genova; “Giorgio De Chirico. Gladiatori
1927-1929” a Villa Menafoglio Litta Panza
a Biumo-Varese (2003); il nuovo percorso di
visita del Castello Estense di Ferrara, concepito come un racconto che ripercorre la storia del castello e inaugurato nel 2004 con le
due mostre “Una corte nel Rinascimento” e
“Il Camerino di alabastro - Antonio
Lombardo e la scultura all’antica”.
Famose molte sue creazioni di industrial
design: dalle lampade per Artemide, Fontana
Arte, Martinelli Luce, IGuzzini ai mobili per
Kartell, Knoll, Poltrona Frau, Zanotta; dai
vasi per Venini agli accessori per Louis
Vuitton; dalle cucine per Snaidero agli elementi di arredo urbano per JCDecaux.
Nel corso della sua carriera Gae Aulenti è
stata insignita di numerosi premi e riconoscimenti: “Chevalier de la Legion
d’Honneur” (Parigi, 1987); Membro
Onorario dell’American Institute of
Architects - Hon. FAIA (1990); Praemium
Imperiale per l'Architettura (Tokyo, 1991);
“Cavaliere di Gran Croce” al merito della
Repubblica Italiana (Roma, 1995); laurea ad
honorem in Belle Arti dalla Rhode Island
School of Design (Providence, Usa 2001).