Relazione 5 febbraio 2016 - Ordine dei Dottori Commercialisti e

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Relazione 5 febbraio 2016 - Ordine dei Dottori Commercialisti e
Pescara, 5 febbraio 2016
FONDO PATRIMONIALE, PATTI DI FAMIGLIA E TRUST
Aspetti civilistici e negoziali
(Sabrina Numa)
I molteplici potenziali rischi che minacciano il patrimonio degli
imprenditori, dei professionisti e dei privati spingono a valutare
con attenzione l’opportunità di ricorrere a strumenti di
protezione. Oggi ci focalizziamo su alcuni, evidenziandone gli
aspetti civili e negoziali, con particolare attenzione alle
tempistiche di attuazione.
L’art. 2740 c.c. prevede che il debitore risponda
dell’inadempimento delle proprie obbligazioni con tutto il suo
patrimonio, presente e futuro, ponendo un limite alla piena
disponibilità sia di quello personale che di quello societario;
tuttavia, alla garanzia patrimoniale dei creditori, si
contrappongono i limiti che trovano espressione nelle formule
normativamente previste.
Parleremo quindi di protezione patrimoniale come distacco di
beni da un patrimonio originario, tanto che il patrimonio non si
intende più come un complesso unitario di beni ma come un
insieme di risorse separabili anche se facenti capo, a volte, allo
stesso soggetto.
Il fondo patrimoniale
Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo,
anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale,
destinando determinati beni immobili, beni mobili registrati o
titoli di credito, per far fronte ai bisogni della famiglia (art. 167
c.c.). La funzione del negozio è perciò quella di mettere al riparo
determinate consistenze patrimoniali contro rischi di eventuali
azioni esecutive derivanti da iniziative economiche dei coniugi
estranee alla famiglia e quindi, per lo più, a carattere speculativo
o imprenditoriale; il fondo patrimoniale ha la funzione di
salvaguardare la casa di abitazione ed altri specifici beni
dall’eventuale fallimento del coniuge imprenditore.
La costituzione del fondo per atto tra vivi (sia da parte dei coniugi
che di un terzo) va ricompresa tra le convenzioni matrimoniali ed
è soggetta alle disposizioni di cui all’art. 162 c.c.; essa comporta,
salvo quando sia fatta da entrambi i coniugi, una donazione
indiretta alla quale è applicabile la disciplina della donazione
obnuziale. Per questa ragione la costituzione del fondo
patrimoniale può essere fatta prima o durante il matrimonio, mai
dopo il suo scioglimento.
Come accennavo prima, possono essere costituiti in fondo
patrimoniale solo:
beni immobili;
beni mobili registrati (autovetture, motoveicoli, aerei e
imbarcazioni);
titoli di credito (ivi comprese le azioni di società).
L’art. 168 c.c. stabilisce che la proprietà dei beni costituiti in
fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, ma l’atto
costitutivo può disporre diversamente e quindi attribuire il diritto
ad uno solo degli sposi oppure riservarlo al terzo costituente.
L’amministrazione dei beni del fondo è regolata dalle norme
relative all’amministrazione della comunione legale (art. 168,
comma 3). L’art. 169 c.c. stabilisce poi che, se non è stato
espressamente consentito nell’atto della costituzione, non si
possono alienare, dare in pegno o comunque vincolare i beni
medesimi se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi
sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice nei soli
casi di necessità e utilità evidente. La competenza spetta al
tribunale ordinario in composizione collegiale del luogo ove il
minore ha il suo domicilio; prevale l’opinione che il tribunale
possa (non debba) determinare le modalità per il reimpiego del
prezzo dell’alienazione, essendo un presupposto logico
indispensabile della necessità o utilità evidente che legittimano
l’autorizzazione concessa dal giudice.
La costituzione del fondo patrimoniale, e le sue modifiche, non
possono essere opposte ai terzi se non in quanto risultino
annotate nei registri dello stato civile, a margine dell’atto di
matrimonio (artt. 162 e 163 c.c.); ove abbiano ad oggetto beni
immobili o mobili registrati, devono inoltre essere trascritte nei
relativi registri a norma degli artt. 2647 e 2685 del c.c.
La destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento,
dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del
matrimonio (art. 171 c.c.) o in conseguenza della morte di uno dei
coniugi (art. 149 c.c.). Riferendoci all’art. 163 del c.c. che
consente in ogni momento la modifica delle convenzioni
matrimoniali, la dottrina maggioritaria ritiene possibile anche uno
scioglimento convenzionale del fondo (mutuo dissenso). Se vi
sono figli minori, il fondo dura comunque fino al compimento
della maggiore età dell’ultimo nato e il giudice può dettare, su
istanza di chi ne abbia interesse, norme per l’amministrazione del
fondo; considerate le condizioni economiche dei genitori e dei
figli e ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli
maggiorenni, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del
fondo.
Il patto di famiglia
Il patto di famiglia viene introdotto nel nostro ordinamento con la
Legge n. 55/2006 che aggiunge al codice civile gli artt. da 768 bis
c.c. a 768 octies c.c.
E’ una disciplina profondamente innovativa che deroga
parzialmente al divieto dei patti successori, contenuto nell’art.
458 c.c.
Il patto di famiglia, attraverso una fattispecie contrattuale tipica a
struttura rigida, coniuga un’attribuzione liberale diretta,
dall’imprenditore all’assegnatario, con una finalità
essenzialmente distributiva e liquidatoria nel passaggio
generazionale; attua quindi un vero e proprio patto successorio
tra l’imprenditore in vita e coloro che sarebbero i sui successori
legittimari in quel momento.
Con il contratto si individua a quale/i tra i discendenti verranno
attribuite le attività imprenditoriali.
Quali sono le preoccupazioni dell’imprenditore?
1. La tutela dell’integrità del patrimonio evitando la
disgregazione dell’impresa;
2. Individuare colui (o coloro) fra gli eredi che potrà proseguire
l’attività;
3. Tutelare il patrimonio aziendale in un’ottica di asset
protection;
4. Mantenere il controllo dell’azienda fino a che se ne può
occupare;
5. Mantenere un diritto di pentimento sulla scelta compiuta se
non si è rivelata idonea.
Il patto di famiglia si presenta come risolutivo rispetto alle carenze
della donazione sul piano della soddisfazione degli interessi
dell’imprenditore, appena evidenziati.
Dal punto di vista strutturale si tratta di un contratto inter vivos, a
cui devono partecipare (per orientamento dominante) tutti coloro
che sono legittimari dell’imprenditore alla data di stipula, e che
determina il trasferimento immediato del bene-azienda (o delle
partecipazioni sociali), compreso il profilo gestionale, al successore
nell’impresa, con obbligo a suo carico di liquidare gli altri
legittimari.
Quali sono i pregi di questo istituto?
Consente di individuare il successore nell’impresa ed elimina il
rischio dell’azione di riduzione e della collazione, a tutela della
stabilità definitiva dell’assegnazione, e quindi a tutela della
continuità aziendale.
Evita il rischio di disgregazione del patrimonio aziendale
Soddisfa l’interesse 4), poiché si ammette in dottrina, la possibilità
di stipulare con riserva di usufrutto a favore del disponente;
Soddisfa l’interesse 5), perché, per legge, è possibile convenire il
diritto di recesso del disponente, e quindi la facoltà di pentimento.
Inoltre ritengo opportuno evidenziare che:
- il patto di famiglia cristallizza il valore dell’azienda alla data di
stipula per quanto riguarda i rapporti fra successori
legittimari, attuali o sopravvenuti, del disponente;
- è l’unico istituto che consente di neutralizzare l’azione di
riduzione e la collazione;
- consente la liquidazione degli
sopravvenuti solo in denaro.
eventuali legittimari
Rispetto ai legittimari sopravvenuti la norma di riferimento è
l’art.768 sexties c.c.. Il valore è quello definito in sede di stipula
da coloro che erano presenti, aumentato dei soli interessi legali
(Si pensi al caso, non irrealistico, dell’imprenditore che intenda
convolare a seconde nozze, ed abbia uno o più figli di primo letto
che partecipano all’azienda. Prima che l’imprenditore si sposi è
opportuno stipulare un patto di famiglia con i figli. Il patto di
famiglia è valido anche se non ci sono legittimari ulteriori oltre
all’assegnatario o agli assegnatari. In tal modo si sterilizza il
valore dell’aspettativa di legittimari futuri - secondo coniuge e
figli di secondo letto - sull’azienda).
Per quanto riguarda la determinazione del valore delle quote
evidenzio che:
• L’art. 768 quarter c.c. prevede che l’assegnatario dell’azienda
o delle partecipazioni societarie debba liquidare, ove questi
non vi rinuncino, i legittimari con una somma di denaro
corrispondente alla quota di legittima o in alternativa con
l’attribuzione, in tutto o in parte, di beni in natura.
• Dal punto di vista temporale, il momento della
determinazione del valore è normalmente quello della
redazione del patto.
• Dal punto di vista dei criteri per la determinazione del
quantum, la legge non prevede specifici procedimenti,
rimettendo all’autonomia privata i criteri di valutazione.
• E’ opportuno indicare in contratto il procedimento seguito ai
fini della determinazione del valore delle quote al momento
della sottoscrizione, posto che la previsione di non
soggezione a riduzione o collazione delle attribuzioni
patrimoniali, rende irrilevanti i successivi mutamenti di valore
e di consistenza dei cespiti aziendali, dell’avviamento ed in
genere degli altri beni oggetto del contratto.
Queste premesse sembrano far emergere un istituto pieno di
luci, ma il suo scarso utilizzo pratico denuncia la presenza di
ombre significative.
Vediamo quali sono i profili di criticità del patto di famiglia:
a) Per dottrina assolutamente dominante, la legge pretende la
partecipazione al contratto di tutti coloro che sono legittimari
conosciuti del titolare dell’azienda (o delle partecipazioni
sociali) alla data di stipula. Coloro che, invitati a presenziare
non l’abbiano fatto, potranno richiedere solo il pagamento
della loro quota di legittima in relazione al valore del bene,
eventualmente contestando la perizia di stima a suo tempo
effettuata senza la loro adesione (non di poco conto le
difficoltà, sul piano probatorio, di individuare quanto degli
eventuali pretesi incrementi o decrementi di valore del
patrimonio aziendale siano da imputare alle “potenzialità
intrinseche” dell’azienda e quanto sia invece riferibile
all’apporto, in positivo o in negativo, dell’assegnatario
dell’azienda. Dunque, è necessario un contesto familiare
pacifico; in tale situazione si dimostra strumento perfetto,
perché sgombra il campo dalla possibilità di future
contestazioni (e quindi pone al riparo da mutamenti
imprevedibili di clima familiare).
Ne deriva altresì che qualora il contesto familiare non sia
sereno, non si può che prendere in considerazione il trust, di
cui vedremo successivamente le caratteristiche.
b) E’ poi ricorrente il problema dell’obbligato alla liquidazione
dei legittimari diversi dall’assegnatario. Per legge obbligato è
quest’ultimo, solitamente privo dei mezzi necessari; nella
prassi, tale onere è adempiuto, anche per un diffuso
sentimento sociale, dal disponente – imprenditore, con la
tecnica dell’adempimento del terzo, a titolo di liberalità
indiretta a favore dell’assegnatario, che guadagna la
liberazione dall’obbligo di liquidare gli altri legittimari. Di qui
il dibattito dottrinale in ordine all’esenzione da riduzione e
collazione anche delle liberalità comprese nel patto diverse
dall’azienda (o dalle partecipazioni sociali); possono essere
valorizzate ai fini liquidatori eventuali donazioni pregresse
compiute dall’imprenditore disponente a favore di legittimari
diversi dall’assegnatario dell’azienda, purché partecipino
all’atto e le stesse siano richiamate ai fini della valorizzazione.
(Qualora oggetto di assegnazione siano partecipazioni,
occorre non dimenticare l’ausilio che all’assegnatario può
provenire dalla disposizione dell’art.2358 c.c., che può
indurre a procedere ad una preventiva trasformazione della
società in spa se già non fosse di tal tipo, oltre al più
tradizionale strumento del leveraged buyout - detto, nella
circostanza family by out.
L’art. 2358 c.c. consente alla s.p.a., entro determinati limiti e
a determinate condizioni, di finanziare l’acquisto di azioni
della società stessa da parte di terzi, a differenza di quanto
previsto nella s.r.l. [art.2474]. Il ricorso a tale possibilità è
certamente agevolato dal ridotto capitale sociale richiesto
oggi per la s.p.a., anche se occorre che ricorrano una serie di
caratteristiche da valutare preventivamente).
c) Debole è anche la possibilità di avvalersi effettivamente del
recesso, e quindi del diritto di ripensamento, per una precisa
ragione: vi è stato un esborso economico compensativo a
favore degli altri legittimari.
Dovendo sopportare un sacrificio economico, l’assegnatario
non accetta solitamente l’inserzione di simile clausola nel
patto di famiglia.
Se il peso economico della liquidazione ricade sul disponente,
occorre avere l’accortezza di subordinare l’efficacia delle
attribuzioni ai legittimari diversi dall’assegnatario alla
condizione risolutiva dell’esercizio del diritto di recesso dal
patto di famiglia, con le conseguenti complessità attuative.
In termini generali, il diritto di ripensamento dovrebbe
opportunamente essere condizionato al verificarsi di cause
specifiche, sia di natura aziendale, sia di natura familiare
(anche se, a dire il vero, pochi o nessuno è disponibile ad
intavolare una trattativa sul tema).
Ne consegue, che sia in linea di diritto, sia di fatto, il patto di
famiglia comporta il trasferimento definitivo della proprietà
dell’azienda all’assegnatario. Ciò non assicura alcuna
protezione del compendio aziendale di fronte a sventure
patrimoniali dell’assegnatario.
Al fine di completare l’analisi del patto di famiglia, accenno alla
rinunzia totale o parziale alla liquidazione che è ammessa per
testuale previsione di legge (art. 768 quarter comma 2); la rinunzia
può essere pura e semplice o verso corrispettivo. La rinunzia alla
liquidazione è equiparata alla liquidazione ai fini della
“stabilizzazione” del trasferimento dell’azienda o delle
partecipazioni, mediante esclusione della riduzione e della
collazione nei limiti del proporzionale valore dei beni aziendali. La
rinunzia alla liquidazione si differenzia dalla rinunzia all’eredità che
fa subentrare per rappresentazione il discendente del rinunziante
(artt. 522 e 467 c.c.) e non integra rinunzia neanche parziale
all’azione di riduzione.
Il patto di famiglia, alla prova dei fatti, è una scelta che non si è
rivelata felicissima, tenendo conto dello scarso impiego
dell’istituto e del rilevante numero di proposte di legge e di tavoli
di lavoro in prospettiva volti a migliorare le zone d’ombra appena
evidenziate.
Il trust
La protezione patrimoniale è insita nello strumento di trust, è una
delle sue caratteristiche! Per questa ragione, la segregazione, la
finalità del trust, ossia la causa che sorregge il negozio, deve
essere “lecita e meritevole di tutela”.
La Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata con il D. Lgs.
n. 364 del 16/10/1989 entrato in vigore il 1 gennaio 1992, ha
dato pieno riconoscimento ai trust nel nostro ordinamento
giuridico.
L’art. 2 della Convenzione dell’Aja dice che “per trust si intendono
i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, con atto
tra vivi o mortis causa, qualora dei beni siano stati posti sotto il
controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per un
fine determinato; il comma 1) stabilisce che i beni in trust
costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio
del trustee; il comma 2 lettera c) della Convenzione dell’Aja
recita testualmente: “il trustee è investito del potere e onerato
dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o
disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e
secondo le norme imposte dalla legge al trustee.”
Successivamente l’art. 8 rimanda la nomina, le dimissioni e la
revoca del trustee, la capacità di esercitare l’ufficio di trustee e la
trasmissione delle funzioni di trustee alla legge regolatrice
prescelta per la regolamentazione dello strumento di trust;
definisce la possibilità che in un trust ci siano due o più trustee; il
diritto del trustee di delegare, amministrare e disporre dei beni in
trust, la possibilità per il trustee di effettuare investimenti con le
risorse del fondo in trust; e ancora: riferisce dei rapporti tra il
trustee ed i beneficiari, della distribuzione dei beni in trust,
dell’obbligo del trustee di rendicontare in merito alla gestione dei
beni in trust.
Cos’altro stabilisce la Convenzione dell’Aja? All’art. 11 che i
creditori personali del trustee non possono rivalersi sui beni in
trust perché gli stessi sono segregati rispetto al patrimonio
personale del trustee e che tali beni non rientrano nel regime
matrimoniale o successorio del trustee. All’art. 12, sempre della
Convenzione definisce che il trustee che desidera registrare beni
mobili o immobili o i titoli relativi a tali beni è abilitato a farlo
nella qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che evidenzi
l’esistenza del trust. Infine, all’art. 19 si definisce che il trustee è
sottoposto al regime fiscale dello stato in cui ha la residenza o la
sede principale.
Quindi il trust è un rapporto giuridico nel quale un soggetto,
denominato Disponente, trasferisce la proprietà di determinati
beni o la titolarità di determinati diritti ad un altro soggetto,
denominato Trustee, il quale si assume l’incarico di amministrarli
per un determinato periodo di tempo (durata del Trust), a favore
dei soggetti scelti dal Disponente, definiti Beneficiari.
Con il trasferimento dei beni al Trustee il Disponente ne perde la
titolarità giuridica; il Trustee li gestirà attenendosi al programma
di gestione predefinito dal Disponente e contenuto nell’atto di
Trust affinchè si raggiungano gli scopi che il Disponente si è
prefisso istituendo il Trust.
Ma per quale ragione l’imprenditore disponente prende in
considerazione l’istituzione di un trust?
•
•
•
•
per pianificare una successione;
per proteggere i soggetti deboli e/o disabili;
per garantire integrità al patrimonio personale;
per la gestione dei rapporti patrimoniali se ha un legame di
fatto;
• per garantire la conservazione dell’impresa e facilitare il
passaggio generazionale;
• per gestire le ipoteche;
• per gestire dei beni nell’ambito di una procedura
concorsuale;
• per garantirsi una vecchiaia serena e dignitosa;
• per risolvere le problematiche di gestione dei beni nelle crisi
di coppia.
Molteplici possono essere le motivazioni: per ragioni di tempo
approfondirò alcune di queste tematiche che, in base alla mia
esperienza, sono quelle più ricorrenti.
Il Trust per garantire la conservazione dell’impresa e facilitare il
passaggio generazionale
Ritornando alle ragioni che muovono l’imprenditore nel valutare
lo strumento del trust per facilitare il passaggio generazionale
nell’impresa, evidenzio nella produttività dell’impresa e nella
coesione familiare le principali preoccupazioni. La duttilità
strutturale dello strumento, modellabile dal disponente in
funzione del concreto assetto organizzativo dell’impresa e della
specifica composizione della compagine familiare, la snellezza
della gestione e la segregazione del fondo in trust, insensibile alle
vicende personali e patrimoniali del trustee, consentono, se
adeguatamente coniugate, soluzioni operative armoniose per i
numerosi interessi in gioco, rispetto alle soluzioni
dell’ordinamento interno.
Produttività dell’impresa: l’affidamento dell’impresa al trustee,
con il compito di traghettarla oltre la morte del titolare,
garantisce immediata stabilità al complesso produttivo, sia in
termini di integrità degli assetti proprietari che di continuità dei
criteri gestionali. Si evita il rischio di polverizzazione della
proprietà tra eredi litigiosi o disinteressati alle sorti dell’azienda
ed anche brusche interruzioni nel management aziendale, dovute
per esempio alla mancanza di una comune visione
imprenditoriale o alla mancanza di reali capacità gestorie da
parte degli eredi. La complessità e la delicatezza di questo genere
di situazioni costringe ad una attentissima valutazione nella scelta
del trustee che deve essere operata tenendo in considerazione le
sue doti professionali in funzione della tipologia di attività da
gestire. La medesima attenzione andrà riposta anche nella
redazione dell’atto istitutivo relativamente ai poteri del trustee
ed alle modalità di esercizio dei diritti inerenti le partecipazioni
sociali destinate nel fondo in trust.
Coesione familiare: la grande flessibilità del trust consente di
articolare e determinare le posizioni beneficiarie con l’intento di
salvaguardare gli equilibri familiari, aspetto che di solito preme
molto all’imprenditore. Infatti la designazione di beneficiari di
reddito e beneficiari di capitale offre al disponente un ventaglio
di possibilità adattabili alle caratteristiche della concreta
situazione familiare.
Operando un confronto con l’istituto precedente individuo
dapprima i difetti del trust:
- Non offre alcuna protezione rispetto all’azione di riduzione e
alla collazione; secondo dottrina minoritaria lo stesso
beneficiario potrebbe agire in riduzione poiché il trust non è
strumento che soddisfa, in punto di diritto, la legittima;
- Costringe, in tali circostanze, a valutare l’azienda o le quote
sociali al momento dell’apertura della successione.
In tali casi, la protezione del trust dovrebbe essere ottenuta solo
in via di fatto assicurando ai legittimari, diversi dal beneficiario, e
al beneficiario medesimo, vantaggi economici tali da rendere non
conveniente l’impugnazione dell’atto.
Ciò nonostante, rispetto al patto di famiglia il trust presenta alcuni
vantaggi:
a) Si costituisce per atto unilaterale dell’imprenditore
disponente e non pretende il consenso di tutti i legittimari;
b) Può trovar fonte in un atto fra vivi o in un testamento; dunque
l’imprenditore può differire il passaggio generazionale al
momento in cui si aprirà la sua successione;
c) Il trasferimento a favore del beneficiario potrà avvenire senza
alcun esborso economico a suo carico;
d) Nel fondo in trust possono essere compresi anche beni
immobili, denaro o altri valori mobiliari tramite i quali
possono essere liquidati e soddisfatti i beneficiari diversi da
colui che è chiamato a continuare l’impresa;
e) Il disponente può nominare se stesso come trustee (trust
auto-dichiarato) e destinare i redditi del trust a sé o ad altri;
f) Il disponente può stabilire i criteri che dovranno essere seguiti
per amministrare le partecipazioni o l’azienda; può affiancare
al trustee dei guardiani capaci; può riservarsi una serie di
poteri nell’atto istitutivo, oltre, come detto, un reddito,
caratteristiche tali da non rendere attuale l’interesse ad
esercitare il diritto di ripensamento;
Andrea Vicari, noto esperto in materia, dice che: “il Trust risulta
preferibile quando l’imprenditore voglia dettare una precisa linea
di governo dell’impresa, da rispettare anche dopo che l’abbia
trasferita”
Due sono i vantaggi essenziali del trust:
a) consente di guadagnare tempo rispetto al profilo
dell’attribuzione al beneficiario, perché non si sa chi potrà
essere o perché il prescelto non è nelle condizioni soggettive
per acquisire immediatamente l’azienda e la sua guida;
b) assicura la protezione patrimoniale rispetto ai creditori o al
coniuge del beneficiario.
In questo tipo di trust frequente è la riserva al trustee di
margini, più o meno estesi, di discrezionalità: uno dei compiti
più delicati che è possibile affidargli è la verifica, dopo la morte
del disponente, delle attitudini e delle inclinazioni dei
potenziali beneficiari al fine di verificare chi tra essi dimostri
più capacità imprenditoriali, soprattutto se all’epoca
dell’istituzione gli stessi erano in giovane età.
Per questa ragione, la scelta del trustee idoneo e fidato per
gestire l’azienda ed assumersi un compito così delicato non è
facile, soprattutto se si pensa all’azienda come complesso di
beni, ex art. 2555 c.c.
La soluzione è più facilmente reperibile se oggetto di trust sono
partecipazioni sociali, eventualmente di società unipersonale in
cui l’imprenditore individuale – disponente ha conferito
preventivamente la sua azienda, rispetto alla quale intende
organizzare il passaggio generazionale.
Se oggetto del trust sono le partecipazioni, il trustee può
limitarsi ad esercitare diritti di natura meramente proprietaria:
le istruzioni contenute nel regolamento del trust riguarderanno
le modalità di esercizio del voto e la politica dei dividendi, con
particolare attenzione alle regole e modalità di selezione degli
amministratori della società.
La soluzione più efficiente sembra allora quella di affidare la
gestione a managers di fiducia, che hanno condiviso con
l’imprenditore lunghe fasi della storia aziendale, prevedendo
nel regolamento del trust la loro nomina e revoca (a
determinate condizioni) come amministratori di società, e
attribuire al trustee la titolarità delle partecipazioni con il
compito di assicurare l’amministrazione ai managers,
svolgendo una funzione di controllo.
Nella costruzione di una governance efficace non mi sembra
secondaria nemmeno la funzione di controllo. In tal senso pare
opportuno:
- nominare un revisore in seno alla società, anche se non
obbligatorio, per relazionare al trustee in ordine all’operato
degli amministratori;
- nominare uno o più guardiani per verificare la coerenza
dell’azione del trustee con le regole fissate nel regolamento
del trust e altresì per dare pareri più o meno vincolanti in
ordine all’esercizio di voto.
Uno dei profili più critici è rappresentato dalla scelta del
beneficiario finale a cui assegnare l’azienda. Il trustee, anche se
professionale, stenterà ad assumere tale onere. La soluzione
può essere rappresentata dall’indicazione, nel regolamento
dell’atto istitutivo o con comunicazioni successive, della nomina
del beneficiario “eletto” ad amministratore della società, al fine
di saggiare il suo operato prima di attribuirgli definitivamente
l’azienda, nominando al contempo un “comitato” che,
controbilanciando quanto di competenza del trustee, si occupi
di tale valutazione, sulla base eventualmente di parametri
predefiniti dallo stesso disponente.
Il nuovo art. 2929 bis del Codice Civile
A chiusura del mio intervento ritengo indispensabile fare un
accenno al nuovo articolo 2929 bis del codice civile.
Il D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito in L. 6 agosto 2015 n. 132,
ha introdotto nel codice civile, dopo l’art. 2929, la sezione I-bis
intitolata “Dell’espropriazione di beni oggetto di vincoli di
indisponibilità o di alienazione a titolo gratuito” la quale contiene
solo l’art. 2929 bis rubricato “Espropriazione di beni oggetto di
vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito”.
Ometto una sterile valutazione tecnica e voglio concentrarmi
sulle ragioni politico economiche che hanno ispirato il legislatore.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge ci sono
dei numeri non nuovi per gli addetti ai lavori: ogni anno vengono
presentate 6.500 nuove cause aventi ad oggetto azioni di
revocatoria; il tempo medio di definizione è di 1.372 giorni per il
primo grado e 1.546 per il grado di appello. Il creditore quindi
deve attendere un tempo medio di 8 anni considerato che la
sentenza che pronuncia la revocatoria non ha natura costitutiva
ed occorre attenderne il passaggio in giudicato.
Il legislatore, consapevole di non poter ridurre questi tempi,
opera una scelta di campo fra i diversi interessi, privilegiando
quelli dei creditori a quelli dei debitori, qualsiasi siano.
La norma stravolge il sistema dell’espropriazione in vigore fino ad
ora consentendo l’espropriazione di beni che non sono del
debitore, non sono stati concessi in garanzia dal titolare e di
regola sono liberi da formalità pregiudizievoli.
Gli elementi che differenziano l’azione ex art. 2929 bis dall’azione
revocatoria ex art. 2901 sono:
• la nuova norma si applica soltanto agli atti a titolo gratuito,
mentre la revocatoria consente di agire anche su quelli a
titolo oneroso;
• la nuova norma tutela il creditore solo di fronte ad atti
successivi al sorgere del credito, mentre la revocatoria
consente, in taluni casi, di agire anche contro atti compiuti
anteriormente;
• la nuova norma si applica soltanto ad atti aventi ad oggetto
beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri;
• occorre il titolo esecutivo, non previsto per agire in
revocatoria;
• l’azione va proposta entro il termine di una anno ; entro tale
breve termine andrà trascritto il pignoramento, mentre la
revocatoria ha una prescrizione quinquennale;
• il creditore non deve ottenere alcuna sentenza di inefficacia
dell’atto prima di trascrivere il pignoramento (il creditore
può agire “ancorchè non abbia preventivamente ottenuto
sentenza dichiarativa di inefficacia”);
• può utilizzare la nuova norma anche il “creditore anteriore
che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto
pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri
promossa”;
• la nuova norma prevede l’inversione dell’onere della prova
della mancanza di pregiudizio: è il debitore (o il terzo
assoggettato all’espropriazione o il terzo interessato) che in
sede di opposizione all’esecuzione potrà fornirla.
L’esistenza del pregiudizio può essere quindi affermata dal
creditore, senza alcun controllo preventivo, semplicemente con
l’esercizio dell’azione esecutiva! La posizione del debitore è già
perdente perché, in mancanza di sospensione dell’esecuzione, se
anche fosse accolta l’opposizione, l’immobile sarebbe comunque
compromesso o già venduto!
L’azione prevista dall’art. 2929 bis può essere attivata dal
creditore a fronte di atto di alienazione a titolo gratuito, quindi
l’ambito applicativo sfocia su una numerosissima serie di negozi:
certamente si applicherà alle donazioni e tra le donazioni si
ricomprende anche il patto di famiglia che integra una liberalità,
qualora l’azienda oggetto del patto abbia “in pancia” degli
immobili. L’azione ex art. 2929 bis potrebbe mettere a
repentaglio la sopravvivenza dell’azienda, magari già trasferita al
figlio assegnatario, con una serie di conseguenze anche sui
dipendenti della stessa, sui fornitori, ecc.
La nuova norma si applica indubbiamente anche agli atti
costitutivi di vincoli di indisponibilità, ex art. 2645 ter c.c., e agli
atti di dotazione dei trust, auto-dichiarati e non.
La riflessione che voglio in ultimo condividere con voi è che il
legislatore ha evidentemente privilegiato gli interessi dei creditori
(Stato e banche in primis) a scapito di altri: allora se i negozi che
abbiamo valutato oggi, il fondo patrimoniale, il patto di famiglia e
il trust sono strumenti giuridici che tutelano gli interessi della
famiglia, sorge spontanea la considerazione che la norma mette
nero su bianco che gli interessi della famiglia sono di rango
inferiore rispetto a quelli di un qualsiasi creditore.
L’Italia è stata spesso definita “il paese dei furbetti”: riguardo ai
trust, negli ultimi due anni si è visto un proliferare di sentenze
che hanno dichiarato gli atti di destinazione inefficaci in quanto
operati in danno ai creditori. Penso però a tutti quei trust istituiti
per una causa veramente meritevole di tutela, per proteggere
soggetti fragili, per tutelare la gestione patrimoniale delle
famiglie di fatto o strumentali alle separazioni o divorzi quando ci
sono figli minori e colloco la nuova norma nell’elenco di quelle
promosse per ragioni contingenti, disancorate dal sistema,
dimentiche di interessi costituzionali come quelli della famiglia.
In tale prospettiva, dubito che i giudici valuteranno con
attenzione le cause che stanno dietro a questi strumenti in
un’ottica del “caso per caso”, addentrandosi in ambiti che, oltre
alle caratteristiche giuridiche, prevedono un’approfondita analisi
degli interessi dei singoli non solo economici.
Mi ha recentemente colpito una frase dell’amico notaio Daniele
Muritano: “L’inadempimento deve essere consentito e ognuno
deve poter avere il diritto di resistere. La giustizia deve essere
celere e la legge non può sopperire alle deficienze di un sistema
inefficiente”.
Grazie per l’attenzione.