La casa e l`arte: architetti e artisti per il progetto domestico
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La casa e l`arte: architetti e artisti per il progetto domestico
Estratto dalla tesi di Laurea in Architettura La casa e l’arte: architetti e artisti per il progetto domestico di Laura Costa e Angiola Mainolfi relatore: Elena Dellapiana Riccardo Palma a.a. 2003-2004 1 ANTONIO PRESTI, “PRINCIPE” DI SICILIA È difficile decidere se considerare Antonio Presti un semplice mecenate oppure un artista o un collezionista. perché, si può dire, che egli sia contemporaneamente tutte queste cose insieme. Le sue iniziative, di solito interamente sostenute dal suo patrimonio personale, hanno suscitato immancabilmente dibattiti molto accesi sull’arte: dall’idea dell’opera, al ruolo sociale dell’arte, dal rapporto tra etica e arte, a quello tra religione e arte. Di certo, per Presti, l’arte è una scelta di vita, quasi una missione esistenziale. Nel 1983, dopo la morte del padre, che era proprietario di un avviato cementificio a Castel di Tusa in provincia di Messina, Antonio Presti eredita l’azienda paterna, specializzata nella produzione di materiali per la costruzione di strade. Quando il padre morì, Antonio fece a se stesso due giuramenti: avrebbe continuato a mandare avanti l’azienda e avrebbe ricordato il padre con una gigantesca croce da piantare nel letto del torrente Tusa, vicino al mare. Ma all’età di 29 anni Antonio capisce che la strada aperta dal padre non rappresenta il suo futuro. Il valore eccessivo attribuito al denaro è in contrasto con la sua filosofia di vita; capisce che è importante dare un senso all’esistenza e sceglie l’arte come dimensione che permette di dare continuità alla vita. Decide così di interrompere gli studi di ingegneria per dedicarsi anima e corpo alla sua vocazione di “artista”. L’arte e l’etica diventano i due obiettivi conduttori di tutte le sue scelte. «Non volevo dedicare la mia vita al denaro. Ho scoperto l’arte e quali possibilità poteva offrirmi. Ho preso quindi quei soldi e li ho messi al servizio di un ideale.»1 In ricordo della figura paterna s’immagina un percorso artistico che esprima continuità tra la vita e la morte, a simboleggiare la conservazione della memoria, non più tramite una semplice croce, ma attraverso l’arte contemporanea. Per realizzare un’opera monumentale che sia un atto d’amore verso il padre, si rivolge allo scultore Pietro Consagra. L’artista realizza La 2 materia poteva non esserci, dove due figure astratte si fronteggiano senza toccarsi, formando un geroglifico in cemento dell’altezza di 18 metri: “Con i miei grandi oggetti, con strutture curve e aperte, invito a un percorso spirituale, a un’armoniosa integrazione tra uomo, natura Fiumara d’Arte, Pietro Consagra , La materia poteva non esserci Santo Stefano di Camastra, Messina 3 e arte.”2 Colorata con i non colori del bianco e del nero l’opera è dedicata alla memoria di Angelo Presti. Malgrado la durezza del materiale e la sua imponenza, questa scultura non disturba il paesaggio, soprattutto grazie agli effetti di trasparenze e al dosaggio dei pieni e dei vuoti, che rivelano un armonico equilibrio con l’ambiente che l’accoglie. Antonio pensa di non limitare questa scultura a un fatto privato; per questo decide di donarla alla collettività, collocandola nella fiumara, un paesaggio caro alla sua infanzia e dove il padre ha perso la vita. Da ciò inizia il suo progetto della Fiumara, progetto che si identifica con la sua vita, concepita come un succedersi di opere lungo un percorso che si snoda dalla montagna al mare. Egli mette a disposizione il suo patrimonio per realizzare il sogno della sua vita: quello di creare un parco di sculture che faccia coesistere il linguaggio contemporaneo alla bellezza dei luoghi. Nel territorio della Fiumara, letto di un antico fiume a secco da secoli, si trova un’ampia vallata tra i monti Nebrodi, in cui il mancato completamento dell’autostrada tirrenica aveva contribuito a generare e mantenere un clima di pesante isolamento. Presti regala a questo territorio, che alterna pietrosa desolazione a tratti di vegetazione rigogliosa, opere d’arte di artisti di fama internazionale,«affinché l’uomo potesse riscoprire quel Fiumara d’Arte, Pietro Consagra , La materia poteva non esserci Santo Stefano di Camastra, Messina 4 luogo insieme a se stesso, per spiritualizzare il paesaggio.»3 Oggi questa terra è diversa perché risulta diverso il suo territorio. Fonda, dunque, la Fiumara d’arte, la prima associazione etica, culturale ed estetica in Italia. Grazie ad essa, tra il 1984 e il 1990, centinaia di milioni di lire e tonnellate di cemento, hanno abbandonato il loro «naturale asservimento alla logica del profitto», come dice Presti, e si sono trasformate in una collezione di opere monumentali. Percorrendo la statale SS113, ci si imbatte nella Finestra sul mare, una gigantesca cornice in cemento armato di venti metri su progetto di Tano Festa, dipinta di azzurro con piccole nuvole naif e un enorme monolito nero che viola, attraversandola, quell’armonia. Piazzata sulla spiaggia, a pochi metri dal mare, ritaglia una porzione di orizzonte Fiumara d’Arte, Tano Festa , Finestra sul mare e consente allo sguardo di scivolare nell’infinito, come se fosse la cornice di una nostalgia. È un segno che separa la terra dal mare, terra di nessuno e quindi anche di chi non c’è più. Seguono, come apparizioni fuori dal tempo, altre presenze, tra le quali Energia mediterranea di Antonio Di Palma, un’immensa onda azzurra gonfiata dal vento: se onda del mare, della terra o della mente non è dato sapere, di fatto sta lì, tra i monti e vive immobile il suo eterno 5 Fiumara d’Arte, Tano Festa , Finestra sul mare 6 Fiumara d’Arte, Antonio Di Palma , Energia mediterranea istante di energia. Continuando a salire verso la montagna si arriva a un bivio dove s’incontra una strana vela metallica: si tratta di Una curva gettata alle spalle del tempo di Paolo Schiavocampo. Come improbabile spartitraffico, l’opera separa la via antica da quella nuova ergendosi come Fiumara d’Arte, Paolo Schiavocampo , Una curva gettataalle spalle del tempo 7 una vela attraversata dal vento. Intorno, tre grandi monoliti dialogano silenziosamente. Poco oltre si giunge ad Arianna, di Italo labirinto Lanfredini, a spirale un di oltre un chilometro cui si Fiumara d’Arte, Italo Lanfredini , Arianna particolare accede attraverso un antro imponente a forma di cruna d’ago. Posto sulla sommità della collina gode di un bel panorama. L’opera, realizzata in cemento colorato di rosa, potrebbe far pensare al tempio di una civiltà perduta. Il vero labirinto in realtà è nella mente, mentre il corpo è costretto a seguire il percorso forzato, fino al centro della struttura. Al termine del cammino, un piccolo ulivo sovrasta la grotta terminale, in cui la propria immagine è riflessa in un piccolo specchio d’acqua. Nonostante le opere sin dall’inizio siano state realizzate con il consenso di sindaci e amministratori locali, (e addirittura donate ai comuni della zona), il fondatore della Fiumara ha subito un processo penale per abusivismo edilizio. Il processo si è concluso positivamente, in quanto la Cassazione ha riconosciuto l’eccezionalità del caso, prosciogliendo Antonio Presti da ogni accusa, ma impedendo che quei manufatti “abusivi” venissero demoliti. La Sicilia è una terra di forti contraddizioni e così, nella regione Fiumara d’Arte, Italo Lanfredini , Arianna 8 dell’abusivismo selvaggio, delle coste devastate dalle ville e i villini dei potenti, l’unica iniziativa a tutela del paesaggio è stata quella contro la Fiumara d’arte, che fortunatamente, però, è stata difesa da molti personaggi in vista per il suo valore culturale e artistico, come ad esempio l’architetto Bruno Zevi. La Fiumara è come una misteriosa mappa da seguire, al termine della quale il viaggiatore può interrogarsi sulla reale natura di questo “tesoro” e guardarsi dentro per cercare di scoprire se lo possiede. È una valle magica, un luogo che parla di libertà, concepita come un museo che si è liberato dalle leggi del mercato e dalle costrizioni. Le opere in essa installate vivono in piena armonia con la realtà che le circonda. Non si tratta di sculture appoggiate o costruite sulla natura, ma di opere che vivono insieme alla natura, soggette quindi alla luce, al vento, all’acqua, ai rumori delle montagne, dei colli e del mare. È una nuova dimensione dell’arte. È l’arte posta nella condizione di poter parlare a chi riesce a cogliere questo principio di esistenza, che coinvolge tutti: la terra in cui viviamo, noi e le nostre sensazioni. Nella sua vita interamente dedicata all’arte Antonio Presti si è occupato di diverse altre iniziative. Egli è molto interessato al lato sociale dell’arte, preoccupandosi di concretizzare l’arte e di educare tutti gli animi, professandosi come “l’alfiere dell’arte”. «Per me arte contemporanea significa che, sia l’artista quanto l’opera, devono interagire con il loro contemporaneo, fatto soprattutto di gente comune, e tale interazione, a mio avviso, si concreta soltanto attraverso la comunicazione diretta in una realtà di fatto. Fiumara nasce come una scommessa ideologica, come dovere civile e sociale di un privato, verso il territorio.»4 In un antico palazzo di fronte a piazza Stesicoro, nel centro di Catania, Antonio Presti trasferisce la sua dimora, dedicandosi a una nuova iniziativa: realizza una casa-museo, la casa Stesicorea, in cui il modulo funzionale di abitazione viene modificato in uno spazio creativo per gli artisti. Ogni stanza viene realizzata da giovani artisti, 9 una stanza, un’artista, un titolo. Attraversabili e comunicanti, le stanze sono come osservatori degli stati dell’essere che come gli stati della materia mutano. Spiega Presti: «Ogni stanza non è un’opera formale, bensì un pensiero vivo, un comunicare di stanze in nome di istanze d’amore. Se l’arte riesce ancora a creare un rapporto di stupore, di emozione, di estasi fra l’opera e il fruitore, lì c’è punto di contatto dello spirito. Questa casa mostra un modo diverso di come l’arte contemporanea possa interagire con il proprio tempo, con la propria società. Non restare chiusa nelle gallerie o nei musei, ma aprirsi al pubblico, il più vasto possibile.». Casa Stesicorea è la rappresentazione del problematico rapporto tra arte e luogo, che avviene attraverso la consapevolezza del possibile ribaltamento dovuto al passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica. La casa viene visitata da gente che ha modo di vivere un rapporto interattivo con l’arte, un momento emozionale. Infatti chi entra nelle stanze di casa Stesicorea diventa egli stesso parte dell’opera. L’arte è la presenza che ha consentito il capovolgimento tra privato e pubblico, consegnando idealmente le chiavi di casa al pubblico, aprendo le porte a visitatori sconosciuti, porgendo il benvenuto col calore di un’intimità rivisitata nel segno della creatività. Ricostruire un luogo, come hanno fatto gli artisti della casa Stesicorea, significa agire materialmente sullo spazio, ma anche modificare radicalmente, e in modo profondo, la relazione tra arte e società e gli schemi sulla base dei quali si svolge la fruizione dell’opera stessa. Ogni due anni le stanze vengono cambiate, le opere “distrutte”, per creare nuove stanze ancora, per lanciare nuovi messaggi. Oggi la casa esprime il valore delle comunità Extraordinarie che vivono a Catania, dove i valori vengono trasformati in materia artistica e ogni stanza diventa un passaggio verso le altre: le porte sono aperte alla conoscenza e all’accoglienza. Ogni artista, in accordo con un gruppo etnico, ha interpretato varie tematiche: spiritualità, libertà-solidarietà, 10 La facciata di Casa Stesicorea a Catania oggi vitalità della luce, origine della civiltà, famiglia, tradizione. Entrando nella casa si viene investiti da una serie di sensazioni, luminose, spaziali e olfattive che marcano il passaggio da un territorio collettivo e aperto, quale è la città, a un territorio chiuso e individuale, quali sono le mura domestiche. La cucina diventa il luogo della grande famiglia dell’Africa nera, con fichi d’India smeraldo alle pareti Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Africa 11 Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Madre terra e il soffitto come cielo azzurro e argento. La madre terra dell’America latina, realizzata con la cenere nera dell’Etna, accoglie invece un letto d’oro e una maternità laica. Ammantata di cielo, è una fotografia di una donna peruviana col suo bambino tra le braccia. La stanza filippina è realizzata con assi di legno che diventano gabbia violenta e zattera salvifica: la stanza è tutta ricoperta di legno. Al centro una grande struttura nasconde un letto avvolto dall’essenza che emana il legno di cedro. Una volta all’interno della Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Filippine struttura, sulle pedane instabili, si ha la sensazione di trovarsi dentro una carretta di mare maltrattata dalle onde. L’arte diventa in questo modo evocazione e promemoria. La stanza della poesia e dell’innocenza è un igloo della poesia, candido come l’innocenza, con pareti bianche di cera e un letto enorme, bianco, 12 sopra il quale posano bianche piume. Accendendo una luce blu si disegnano sul soffitto le ali di un angelo mentre su una parete compaiono i versi di Elio Pecora. Precedentemente la casa è stata La casa dei poeti, un omaggio alla poesia. Ogni stanza era ispirata a una lirica per creare un’opera. Prima ancora è stata La casa degli artisti, in cui ciascun artista è stato libero di esprimere la propria creatività Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Stanza della poesia e dell’innocenza relazionandosi con uno spazio privato qual è la casa. Offrire la propria casa all’arte e offrire arte nella propria casa presuppone l’adesione ad una concezione dell’arte come etica della condivisione di valori sociali, oltre che estetici. Casa Stesicorea, Andrea Buglisi, La casa dei poeti, camera da letto L’opera d’arte non è contenuta nella casa e, come tale, è esposta ai visitatori, ma è la casa stessa, nei suoi spazi interni, con i suoi contenuti, a essere opera d’arte. Il pubblico che si reca in una casa privata a fruire dell’arte, non fa che confermare la forza e l’alterazione compiuta su schemi precostituiti e ormai superati. 13 Casa Stesicorea, Tuccio, La casa dei poeti, corridoio Le opere d’arte di casa Stesicorea non sono opere eterne, ma “a tempo”5, dato che ogni due anni vengono riproposti nuovi temi e nuovi lavori. Ogni ambiente è un’opera, e ogni opera viene vissuta. Viene così dato un nuovo valore al concetto stesso d’arte, non all’opera in sé. La casa è la dimostrazione di come l’arte contemporanea possa interagire proprio ambiente società, senza con il e la rimanere imprigionata in gallerie o musei, ma aprendosi a un pubblico molto vasto. La casa stessa diventa pensiero che evolve e non rimane immobile. Casa Stesicorea, Minaldi, La casa degli artisti, cucina 14 Casa Stesicorea, Extraordinario, la sala con le fotografie dei bambini di Librino «Se l’arte riesce a creare un rapporto di stupore, di emozione, di estasi fra l’opera e il fruitore, lì c’è un punto di contatto dello spirito. Così si scopre che anche nei momenti più intimi, come quelli che sono vissuti in casa, si può vivere un rapporto di spirito. »6 In questo periodo Presti sta lavorando a un nuovo progetto, Terzocchio di luce. È un’iniziativa che prevede la realizzazione di un Museo monumentale dell’immagine a Catania, nel quartiere popolare di Librino. Il sobborgo ha un alto tasso di criminalità giovanile, in esso vivono circa centomila persone. Librino è simile a molti quartieri di altre città del mondo. In realtà doveva diventare una periferia modello, con molte aree verdi, punti d’incontro e tanti servizi. Una città satellite vivibile: questo era il progetto del 1971 affidato all’architetto Kenzo Tange, che doveva garantire un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente. Il progetto di Tange era legato al nuovo concetto di interdipendenza tra idea di città e composizione architettonica, grazie alla quale il cittadino avrebbe dovuto sentirsi più legato all’ambiente e pronto a valicare il limite della propria individualità per sentirsi parte della collettività. Ma di tutto il progetto non sono rimasti nient’altro che i palazzi, alti e grigi, uniti da portici squadrati o con inserti circolari. 15 Presti vuole affermare il valore dell’arte anche in zone marginali, come stimolo per la crescita civile e sociale. «Sarà un’utopia, ma gli artisti non devono solo guardare i parchi e i musei dove mettere in ordine le loro opere. Integrare l’opera all’architettura, questa è la cosa che sento davvero.» 7 L’obiettivo è quello di ridisegnare il quartiere nella sua fisionomia urbanistica, manifestandone l’identità con la bellezza. Trenta facciate per la bellezza, trenta condomini per la qualificazione estetica: gigantografie, proiezioni multimediali, illuminazione artistica, slides fotografiche, immagini e musica. Gli stessi cittadini saranno attori della bellezza della città in tutto il mondo. «Essi», aggiunge Presti, «consegneranno agli occhi di tutti quella bellezza esistente ma negata, trasformeranno il malessere in orgoglio e appartenenza. In questo modo, la consapevolezza di riscoprirsi spiritualmente belli permetterà a Librino di acquistare il diritto di cittadinanza in nome non più di una cultura della solidarietà e del recupero, ma della dignità.» Abbiamo soprannominato Antonio Principe di Sicilia, ma la sua non è la semplice esaltazione di una ricchezza materiale. Ricalcando le orme dell’epoca del Rinascimento, egli pone come ideale di vita la bellezza, che non persegue per puro scopo egoistico, ma intende diffonderla tra gli uomini, dai più colti ai più semplici. L’arte per Presti diventa il mezzo per raggiungere lo scopo. La conoscenza di tutte le forme artistiche, o anche la semplice visione, può portare a un miglioramento della vita, intesa come continua ricerca del sapere. 16 NOTE 1 G. SALVAGNI, Giganti nell’oblio, in “Avvenimenti”, 21 Marzo 1999. 2 A. AMENDOLA, Intervista a Pietro Consagra, in “Domenica del Corriere”, anno 88, n.36, 6 settembre 1986. 3 Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003. 4 G. BERTINI, Il progetto di Fiumara, in “Flash Art”, anno XXIX, n.195, dicembre 1995-gennaio 1996. 5 D. DE JOANNEN, Le di-stanze di Antonio Presti, in “Centonove”, 18 febbraio 2000, p. 36. 6 Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003. 7 C. CELI, Quando l’arte si fonde col territorio, in “La Sicilia”, 16 febbraio 2000. 17 L’ATELIER SUL MARE, MUSEO-ALBERGO L’Atelier sul mare si trova ai piedi dei monti Nebrodi, nel tratto della Sicilia settentrionale compresa tra Cefalù e Messina, sulle rive del mare di Castel di Tusa. Il museo è un’esperienza unica nel suo genere, che consente di vivere l’arte in modo diverso. Tutto ciò è reso possibile grazie alla passione di Antonio Presti, ideatore e creatore del Museo Albergo Atelier sul mare. Presti ha un suo preciso punto di vista sull’arte: è convinto che per apprezzarla non basta guardarla, ma occorre viverci dentro, deve entrare a far parte della nostra vita quotidiana. «Non c’è da meravigliarsi», assicura, «che tanta gente trascuri l’arte contemporanea, quando anche chi visita le mostre passa solo qualche secondo davanti ad ogni quadro, scultura o installazione» Appassionato d’arte, come se la sua fosse una missione, Presti ha utilizzato il patrimonio di famiglia per erigere un parco di sculture sulle colline tra Palermo e Messina. Il passo successivo è stato quello di acquistare un albergo in disarmo, in un paese nel nord-est della Sicilia, per trasformarlo in un’esperienza d’arte dal vivo. Atelier sul mare, Castel di Tusa, Messina 18 L’albergo è una grande costruzione bianca che si sviluppa su tre piani a qualche metro dal mare. Lo stile architettonico è tipicamente mediterraneo. L’ingresso è sostenuto da una maestosa Nike, di Maria Villano, giovane artista romana. Il vecchio garage è diventato un bar, interamente ricoperto da graffiti. Nell’atrio dell’albergo si trova un’enorme fornace per la cottura della terracotta, attività alla quale tutti sono invitati a partecipare. La reception è decorata da ritagli di giornale con articoli sull’Atelier, dal Atelier sul mare, Atrio del museo albergo soffitto al pavimento. Delle quaranta camere, quindici sono state interpretate da diversi artisti. L’impegno verso l’arte è totale. Si dorme dentro un’opera d’arte in ognuna di queste stanze. Al pari dei Medici e dei Borghese, Presti ha realizzato un luogo che prende vita dalla presenza di chi lo abita. «Questa è la storia di un principe del Rinascimento. Questo principe aveva la corte, invitava gli amici, gli artisti, i papi. Il popolo, all’epoca, era sempre fuori a lavorare e si trovava sempre morto di fame. Intanto il principe chiedeva agli artisti di realizzargli grandi opere d’arte e architettoniche. Poi il principe muore, e a distanza di cento anni, il suo palazzo diventa un museo. Il popolo, pagando un biglietto, può entrare nel palazzo del principe e vedere come il principe dormiva nella stanza fatta da quel tale, come si lavava, ecc. Ma quel popolo mai nella contemporaneità ha avuto la possibilità di dormire e lavarsi come faceva il principe. Questo albergo non diventerà mai un museo. Io ho dato la possibilità alla gente più semplice di entrare in un luogo speciale. Il fruitore fa parte dell’opera stessa. Pensa una persona che non ha mai visto arte e chiude la porta e si trova dentro una delle stanze: può vivere l’arte, toccarla, dormire, sognare. L’albergo non sarà mai chiuso alla vita, la casa del principe non diventerà mai 19 museo, morirà solo se diventerà tale.»1 Ogni artista ha ricostruito in modo originale lo spazio e gli arredi di una camera, facendo di ogni stanza un’opera d’arte. Non si tratta di quadri e sculture disseminate in spazi architettonici, è l’arte che crea questi spazi e chi vi soggiorna vive l’esperienza unica di abitare in simbiosi con una creazione artistica. «È solo entrando ed abitando in una camera che l’opera d’arte sarà pienamente realizzata; la presenza, l’uso della stanza sarà parte integrante e fondamentale dell’opera.»2 L’arte si mescola intimamente alla vita, diventando elemento decorativo della vita stessa. Antonio vuole diffondere l’arte tra la gente comune. «Io sono un artista del pensiero», dice. Egli dà un nuovo significato all’arte: l’arte non deve essere appesa nei musei, o collezionata; l’arte deve essere vissuta e deve creare spazi architettonici. Spinto dalla funzione sociale dell’arte e Presti ne stravolge i significati e le funzioni. Egli sente come missione della sua vita diffondere l’idea di bellezza tra la gente comune, bellezza che emoziona e fa sognare. L’arte ha il potere di emozionare e di far sognare. «Per accogliere lo spirito, la bellezza, l’arte, bisogna destrutturalizzare la funzionalità. Se tutto ciò che crei non è funzionale ad un qualcosa di particolare, di utile, un servizio, ma è funzionale solo allo spirito, allora ti emozioni. L’arte si riprende lo stato emozionale, partendo da un presente in cui il potere umano ha abbassato lo stato emozionale, in cui non ti emozioni quasi più per niente. Si tratterà di un viaggio emozionante attraverso l’arte con la quale l’ospite non avrà un rapporto contemplativo ma interattivo. Non più arte come privilegio di pochi, ma accadimento quotidiano che si realizza nel vivere quotidiano (mangiare, dormire, sedersi, guardare il mare) o, semplicemente, concentrarsi su di sé e pensare.» 3 Entrare e sostare in queste stanze significa vivere una nuova dimensione dello spirito, godendo di quella gioia dell’esistere che soltanto la creatività dell’arte può donare. 20 Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca della verità Il mare parla, l’architettura ascolta e i pensieri diventano forma attraverso l’arte. Ogni spazio è diverso, e ogni spazio comunica qualcosa, in quanto l’arte è messaggio, ed è tale da secoli. La prima stanza che ha dato inizio a questa rivoluzione dell’arte è La bocca della verità di Mario Ceroli. Essa è rappresentata da mobili scultura che trasformano una stanza apparentemente comune in un mondo fantastico. Elemento centrale è il grande letto, un’ampia piattaforma di legno da cui parte una testiera che disegna la parete bianca al cui centro c’è una grande faccia. Due buchi sono gli occhi, mentre la bocca è sovrastata da due mustacchi che ne delineano la forma. È la bocca della verità che si riflette nello specchio della cassettiera di fronte al letto. Da qualsiasi parte Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca della verità, particolare della testiera 21 ci si trovi all’interno della stanza, grazie a questo gioco di riflessi, la faccia ti osserva mentre la bocca della verità appare come protesa a ricordare il suo ruolo. Il grande armadio e la sedia con spalliera, sembrano prolungarsi lungo il muro. Pare di essere Alice nel mondo delle meraviglie, quando beve una goccia d’acqua e rimpicciolisce. Mario Ceroli lavora materiali Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca della verità, cassettiera naturali, primo fra tutti il legno, e pone primario, l’accento sul sull’elemento senso emergente delle cose reali. Gioca tra realtà e simbolo nella contiguità di materiali, forme, spazi dell’ambiente umano. L’invenzione plastica di Ceroli offre al legno una nuova stagione, attraverso un uso poetico che sfiora la Pop Art, ma ricco di significati metaforici, investendo di una nuova e forte capacità di rappresentazione Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca della verità, particolare il materiale naturale e povero. Con le sue forme ritagliate nel legno grezzo ha reso fisica l’idea, traducendola in gesto e materia e, nello stesso tempo, ha occupato lo spazio in una stupefacente proliferazione di forme, nell’intento di disegnare la realtà e l’ambiente umano in ogni sua declinazione; ma nel farlo, li oltrepassa, idealizzandoli. 22 Il carattere invasivo del suo lavoro lo ha portato allo sconfinamento in altri ambiti quali il teatro, il cinema, il disegno di interi ambienti e la progettazione di chiese e del loro arredo interno. Uscendo e percorrendo il corridoio dell’albergo, si notano poesie scritte sulle pareti e sculture poste sul Mario Ceroli, Chiesa di Porto Rotondo (Sardegna), 1972, pianta 800 cm x 1600 cm pavimento, quasi a delinearne un percorso. Entriamo ne La stanza della pittura di Dorazio e Marini. Appena aperta la porta si viene come investiti da una carica di luce e colore. Le pareti del corridoio sono gialle, rosse e arancio, e alcune figure geometriche interrompono l’omogeneità della tinta, intrecciandosi tra loro e creando così nuove gradazioni. In fondo al corridoio una grande finestra, la cui luce si riflette sulle pareti affrescate, giocando allegramente con i colori. Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura, corridoio 23 Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura, vista dal corridoio 24 Dal corridoio si accede alla stanza come se ci si trovasse in una dimensione diversa. Qua le pareti sono verdi, blu, rosa, cosa che fa apparire la stanza differente a seconda del punto da cui la si osserva. Le linee curve, girando intorno a ai muri rincorrersi, quasi danno all’intera stanza una forza centripeta, che costringe all’immobilità. Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura Al centro della stanza c’è il letto, che è una cassaforma grigia come il pavimento, e dà sulla grande vetrata che porta a un balcone. Questo è il proseguimento della stanza, verde come le ante che chiudono la vista del mare. Questo spazio è la dimostrazione di come il linguaggio della pittura esalti il valore di una stanza affrescata. L’affascinante gioco cromatico, l’utilizzo delle pareti come quinte, offrono, a chi si trova nella stanza, la possibilità di diventare egli stesso un quadro. Il bagno invece non è colorato, ma grigio. È atono come il letto. Il colore è dato dai tubi di ferro, color ruggine, che si arrampicano sulle pareti, e Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura 25 circondano gli specchi frammentati posti sulle pareti, e formando poi la doccia. La pittura della stanza è morbida e vibrante, ricchissima di effusioni cromatiche, tipica di Piero Dorazio, pittore astratto ma concreto. Egli ritiene che la pittura debba liberarsi dalla linea come contorno del disegno, mentre il colore non deve più limitarsi a fare da sfondo. Il disegno deve nascere dai rapporti cromatici mentre la linea deve diventare un veicolo di Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura, particolare del bagno sensazioni. La trama delle sue opere non risulta da un disegno e le Piero Dorazio, Presente e passato, 1963 197 cm x 197 cm linee nascono dalla stesura dei colori con la punta del pennello. Anche è Graziano legato alla Marini, tradizione il quale moderna dell’astrattismo e del concretismo, due poetiche apparentemente incongrue ma 26 Graziano Marini, Sfogliato, 1995 olio su tela 65 cm x 95 cm necessarie nella sua opera. Egli somma il piacere tattile del colore al rigore della forma geometrica. I suoi quadri esprimono da una parte la passionalità vibrante del colore e di tutta la materia cromatica, dall’altra la necessità di ordine, soprattutto mentale. Entrambi gli artisti giocano con i colori riuscendo Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni, corridoio a realizzare una giusta collaborazione e una sintesi del loro lavoro. La stanza della pittura è ricca di variazioni polifoniche, quasi come se essa stessa fosse una sinfonia musicale. Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni 27 Nel 1994 viene realizzata una stanza da Renato Curcio, Agostino Ferrari e Gianni Ruggeri come omaggio all’utopia ideologica: si intitola Sogni tra i segni. L’opera intende rappresentare l’evoluzione della scrittura umana a partire dai graffiti primordiali per arrivare, passando per i geroglifici, i caratteri runici, il greco e il latino, a una simbolizzazione dei caratteri che evolvono in semplici Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni, particolare dei graffiti aste, quasi a rappresentare una decadenza dei caratteri espressivi. Sono i codici della comunicazione, delle religioni, delle ideologie, quelli che ingabbiano il livello di conoscenza dell’uomo. Al centro della stanza vi è un letto particolarmente alto dal quale è possibile ammirare e studiare gli stucchi che compongono l’opera. Dal pavimento di una parete fino al soffitto della parete opposta, la scrittura umana su roccia, pergamena e carta, sovrasta il letto avvolgendolo come se fosse un foglio di carta e catalizzando l’attenzione sul significato dei Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni 28 simboli. Distesi sul letto si viene rapiti da questo fiume di rappresentazioni. Si resta ipnotizzati, cercando di scoprire il vero significato di questo torrente in piena. Studiandolo con attenzione è possibile decifrare delle frasi logiche, il cui senso completo rimane però sempre avvolto nel mistero. Sogni tra i segni è la condizione di chiusura alla quale la scrittura dell’arte riesce a dare una pulsione di libertà. La vera libertà nasce e finisce col codice. La stanza da bagno è realizzata in modo particolare: l’ambiente è stato strutturato per ricreare l’interno di una caverna preistorica. Sulla roccia viva, che costituisce le pareti, vi sono pitture rupestri e simbolismi di antiche scene da caccia e rituali primitivi. Il lavabo è costituito da Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni, particolare del bagno una grande vasca di pietra che sporge dalla roccia dalla quale, agendo su sculture primitive in ferro battuto, sgorgano fiotti d’acqua calda e fredda. In un vasto angolo della stanza è Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni, lavandino 29 ricavata la doccia: dalle pareti di roccia sgorgano cascatelle d’acqua che vengono convogliate in una piccola sporgenza dalla quale vengono poi diffuse. La stanza del profeta, del 1995, è un omaggio alla memoria di Pier Paolo Pasolini realizzata dal poeta Dario Bellezza4, da Adele Cambria e dallo stesso Antonio Presti. Nell’angolo del corridoio del secondo piano è scritta metà sul muro e metà sulla porta, una poesia di Pasolini Alla mia nazione. Per entrare nel mondo del profeta Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta, parte finale del corridoio bisogna innanzitutto disprezzarne l’opera. La porta si abbatte come un ponte levatoio facendo in modo che si acceda all’interno della stanza calpestando il pensiero del poeta. L’ambiente si rivela esser uno strettissimo e lungo corridoio privo di luci: la sua funzione è quella di maturare insieme angoscia e desiderio di scoperta. In fondo a esso Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta 30 si intravede una fioca luce che altro non è che il riflesso di un secondo ambiente: un labirinto di specchi posti sulle pareti e sul soffitto che danno un senso di stordimento e frustrazione tipico della ricerca non soddisfatta. È il labirinto della conoscenza. Si accede quindi alla stanza da letto, progettata per conferire il senso della liberazione e della pace. La struttura della stanza prende a modello una tipica abitazione yemenita: paglia e fieno sono gli unici materiali qui utilizzati. Si notano tre linguaggi differenti: il bordo superiore delle pareti è decorato da frasi in lingua araba (la traduzione di alcuni brani degli Scritti corsari); Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta una grossa teca di cristallo svetta ai piedi del letto che occupa il centro della stanza; lo stesso tappeto di sabbia, che fa da pavimento, rimanda invece alla non scrittura, alla lingua negata, a quella progressiva incapacità di parlare, portata dal trionfo dell’immagine televisiva. Assolutamente vuota da suppellettili, di proporzioni gigantesche, al centro della stanza c’è il letto, i cui piedi poggiano sulla teca che racchiude la sabbia dell’idroscalo dove Pasolini trovò la morte. Il grande letto riporta a un immaginario suggestivo, La deposizione del cristo morto5 di Mantegna (1485), per suggellare l’immensa sacralità 31 del luogo. Delle quattro pareti, quella da dove si guarda stando in posizione sdraiata sul letto, è un’enorme lastra di cristallo, dalla quale si vede e non si è visti. È l’enorme vetrata-finestra che chiude la prospettiva della stanza affacciandosi sul mare azzurro di Castel di Tusa. Arte, poesia, cinema e islamismo qui si fondono. Il mare fa da set cinematografico all’ultimo film di Pasolini, ambientato nello Yemen. Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta 32 La bellezza e la pace che si vivono all’interno di questa stanza sono indescrivibili. Osservare il tramonto, la notte che scende e godere dell’alba all’interno di quest’opera, dà realmente la sensazione di cosa voglie dire vivere un’opera d’arte. Il bagno rappresenta la parte violenta e cruda di Pasolini, è il luogo del Pasolini privato. Sulla porta, interamente, è riportata la poesia che Dario Bellezza scrisse all’indomani del delitto. Non esiste pavimento, ma solo una rigida griglia di pesante metallo. Alle pareti un groviglio di tubi metallici forma una cupa ragnatela di morte. I tubi emettono acqua con una violenta pressione e un’enorme ventola sul soffitto trasforma l’ambiente in una specie di autolavaggio come se volesse detergerci dalla colpa.6 Il nido, di Paolo Icaro, è una stanza al cui interno è racchiuso un letto a forma di ala di uccello, il cui tessuto emula il piumaggio degli alati. “Poco a poco i muri nella mia immaginazione cominciarono a staccarsi, il pensiero diventò omogeneo e visualizzato come un oggetto unico, non piazzato come un fungo, ma un oggetto-soggetto”.7 Il letto bianco, rotondo con un copriletto a nidi di tela arruffati, fa tutt’uno con la parete di lucente candore: un effetto avvolgente. Dal nido, dalle pareti, dal baldacchino, da un’apertura ristretta, si ha la vista del mare. I gessi di Icaro non si situano nello spazio, ma crescono in esso, seguendo l’espansione del proprio spazio intimo e investondolo della loro fisicità e della loro immaginazione. Le pareti si strutturano spazialmente assumendo un proprio carattere, una propria identità, una precisa modalità dell’apparire. Lo spazio si converte nel luogo dove la scultura Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido, vista dal balcone 33 Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido 34 abita, questo rappresenta il senso della scultura che può essere fruita non solo con gli occhi, ma con tutto il corpo e lo spirito. Il balcone è il proseguimento della stanza, delimitato da due porte scorrevoli di vetro, che da una parte lo chiudono e dall’altra aprono l’armadio. Il balcone è separato dall’armadio da una parete che non arriva sino al soffitto, ma lascia uno spazio dal quale filtra uno spicchio di luce appena percepibile. Il bagno è separato dalla stanza Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido, vista sul mare da un’altra porta di vetro che non nasconde niente. Le pareti giocano sul contrasto delle mattonelle bianche con il resto del muro grigio. La doccia è aperta. In alto, un blocco quadrato fuoriesce dalle pareti e dal soffitto, delimitando idealmente la doccia e nascondendo l’acqua che ne sgorga. Icaro ha trovato la propria materia nel gesso, egli ha prima intuito e poi chiaramente capito che non avrebbe potuto usarlo per dare forma a un pensiero preesistente. Avrebbe dovuto Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido, bagno invece accordarsi con la sua natura, favorendone i comportamenti, concedendosi alla materia in modo tale da poter agire come aiutante del proprio immaginario. Icaro 35 osserva i diversi passaggi attraverso i quali la materia passa. Si lascia sedurre, fino a intuire i modi per cui le qualità fisiche e percettive dei diversi stati si fanno scultura. Il Soffio è una macchia di gesso non ancora rappreso che dà una visione che sembra creata senza l’intervento della mano umana o di altri strumenti. In Unfinished, invece, lo scultore ferisce, dopo averlo fatto crescere per strati, un tronco, un corpo, che ha avuto il tempo di indurirsi. L’artista si sofferma su due stati dell’emozione: dare corpo alla sostanza e poi, una volta prosciugata, imporle delle ferite che ne accendano le luci, ne agitino i volumi. L’opera di Icaro non trae origine da un pensiero premeditato della forma, la sua è una scultura di corpi Paolo Icaro, Carezza, 1999 che nascono e crescono in armonia con il farsi e il rivelarsi della materia. Il gesso è il luogo dell’orma, del segno fuggevole di un momento irripetibile in cui si è congelato il pensiero. La scultura di Icaro rifiuta il basamento, posando direttamente a terra o scegliendo di vivere sulla parete. Non si installa in uno spazio dato, ma cerca il rapporto diretto, il contatto fisico con la dimensione dello spazio ambientale. La scultura di Icaro produce dei luoghi e crea dei rapporti intensi tra la sua plasticità e ciò che già esiste. Quando si entra nella Stanza del mare negato, di Fabrizio Plessi, sembra di arrivare in una sorta di cella di contemplazione, dove la realtà esterna non è raggiungibile. Tutte le pareti sono coperte da innumerevoli e pesanti porte di legno recuperate da paesi vicini: la loro storia, i passaggi, le gioie, i dolori conferiscono alla stanza una grande sacralità. Di fronte al letto, che è come una zattera, vicino al soffitto, sei grandi monitor trasmettono a ciclo continuo un mare virtuale e sembrano spruzzarti di schizzi. È la registrazione della vista del mare che si 36 Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato, particolare delle pareti godrebbe dalla stanza, mentre da una finestra (che si dovrà scoprire), si rivela il mare vero. La realtà è stata sviscerata e costruita da un’altra parte grazie all’elettronica. In questa stanza la natura non è solo immagine, ma anche suono e movimento, potenziata dall’introduzione di una dimensione spaziale e temporale, scandita da movimenti reali. L’ambiente marino Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato 37 Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato è reinventato dall’artista. Chi abiterà la stanza, anche se vi entrerà a mezzanotte, troverà la luce del giorno e la voce del mare. I materiali di Plessi sono l’acqua, l’onda, l’onda elettronica, la continuità delle immagini, lo scorrere dell’acqua e delle linee elettroniche, la luce mediterranea e la luce artificiale del tubo catodico. Il video stesso per l’artista è un materiale che non ha privilegi nei confronti della 38 Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato, particolare di una porta pietra o del legno. Gli artisti nei secoli hanno sempre utilizzato, se il loro linguaggio lo richiedeva, i ritrovati della scienza e della tecnica del tempo. Piero della Francesca con la geometria prospettica, gli impressionisti con la fisica della luce, l’action painting con i colori chimici hanno trasformato i propri codici, conservando però la specificità dell’arte figurativa. Plessi, dunque, sviluppa quel linguaggio che ha portato la scultura all’installazione, alla creazione dello spazio. Il video non ha funzioni narrative, perlomeno non più di quelle che ha l’acqua nella Nascita di Venere del Botticelli. Ne L’Anima di pietra ventuno piedistalli di ferro sostengono un blocco di pietra con accanto un televisore. Dalla pietra fuoriesce un’immagine registrata con l’aiuto di un metaldetector, che penetra nei monitor dei televisori. Su ogni piedistallo, in questo modo, si vede una delle Fabrizio Plessi, Anima della pietra, 1995 video installazione ventuno teste scultoree dei re francesi che ornarono, nel medioevo, la facciata della cattedrale Notre Dame di Parigi. Fabrizio Plessi libera ciò che racchiude la pietra, la sua anima. Questa non è più rivelata dallo scalpello e dalla mano, ma dalla tecnologia del video e del metaldetector. Il tema dell’installazione de L’anima di pietra è il rapporto tra finzione e realtà, tra l’immagine Fabrizio Plessi, Anima della pietra, disegno preparatorio 39 registrata e la pietra. Il televisore diventa, nell’installazione, un mezzo di conoscenza e di comprensione del reale. Le immagini televisive non hanno un carattere di consumo passivo, ma acquistano, nel video, un confronto critico con l’immagine elettronica stessa. Il passaggio dal reale alla finzione è sempre riconoscibile, in modo che ognuno possa vivere la tecnica in maniera consapevole. Il video è quindi un mezzo, una parte integrante dell’opera, come lo sono i colori di una tavolozza. Trinacria, di Mauro Staccioli, è un ambiente dove dominano le forme Atelier sul mare, Mauro Staccioli, Trinacria triangolari. La porta dalla quale si entra è un pesante prisma di pietra rossa, che ruota su di un cardine, lasciando uno spazio ridotto per il passaggio nella camera. Ciò che si vede è il nulla; il rosso della porta, infatti, contrasta con il nero della stanza che immerge gli occhi in un buio dispersivo. Non appena gli occhi si abituano a questa oscurità, le uniche forme che si intravedono sono i triangoli colorati, il bianco del letto e il rosso di una specie di parete che si erge perpendicolare ad un vertice del letto, suddividendo la stanza e nascondendo in 40 parte la finestra. Tutto lo spazio è segnato da questi grandi spaccati triangolari. L’ispirazione viene dalla Sicilia e dalla sua forma, dai colori rosso e nero, cioè il sole ed i vulcani, che dominano il suo paesaggio e che hanno condizionato la storia e i comportamenti dei suoi abitanti. Le pareti sono state realizzate con l’impasto della pietra lavica dell’Etna, simbolicamente, cioè, dalla forza del fuoco del vulcano, da cui è nata la terra di Sicilia. L’idea che la scultura debba essere qualcosa di vitale, di energico, che irrompe nella nostra vita, ha sempre caratterizzato l’operare artistico di Mauro Staccioli, teso ad affrontare la realtà fisica e sociale dello spazio, che diventa parte integrante dell’opera. Interazione è una parola chiave dell’opera di Staccioli, esprimendo non solo relazioni tra l’opera e l’ambiente, ma anche rapporto tra l’uomo e l’ambiente e le implicazioni che l’osservatore è chiamato a rintracciare all’interno di uno spazio “turbato dall’opera”8. Il suo lavoro, Mauro Staccioli, Bruxelles ‘96, 1996 negli interni, si propone come approssimazione in negativo del chiuso; è l’individuazione di uno spazio diversamente umano contro la quale agiscono i suoi volumi dalle superfici opache. Volumi che determinano l’incontro di piani diversi attraverso rotazioni prestabilite. Quelle di Staccioli non sono sculture, ma “presenze volumetriche”9, che Mauro Staccioli, Ozieri ‘95, 1995 interrompono visivamente lo spazio, piuttosto che inserirsi direttamente e passivamente in esso. Spigoli vivi, come l’angolo, o superfici ruotanti, come l’arco, sono elementi sufficienti per determinare una dimensione inconsueta dello spazio circostante, variazione che obbliga a riconsiderare la forma e la funzione dei singoli luoghi, così come la nostra presenza al loro interno. 41 Negli ambienti esterni, invece, le strutture volumetriche sono libere di sfuggire alla loro tensione interna, libere di muoversi secondo percorsi Mauro Staccioli, Il girotondo dei bambini, 2002 autonomi. “Io mi pongo il problema di una scultura in grado di agire nel luogo e per il luogo. I miei punti di riferimento sono da sempre l’architettura, con i suoi profili, i suoi spazi e le sue morfologie, e i luoghi urbani o naturale, i parchi, i boschi, i fiumi.(…). Non mi pongo il problema di avere una scultura da guardare come oggetto, ma invece di realizzare una forma da sentire come presenza capace di attivare un rapporto diverso con il contesto. Quindi non mi pongo il pensiero di avere una scultura da osservare e magari da toccare, tento invece di costruire qualcosa che rimandi all’intorno, capace di produrre motivi di riflessione.”10 La Torre di Sigismondo è di Raul Ruiz11, un regista cileno, che per il progetto della stanza si ispira alla Vita è sogno di Calderon de la Barca. Da un angusto e scuro corridoio si giunge a un’alta torre circolare, chiusa da un porta che scorre dentro la parete curva, che delimita la stanza. Si entra dentro, la porta viene chiusa e il buio invade il corpo insieme alla paura. L’ambiente Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo, corridoio è soffocante e le luci che si accendono sono molto basse e non annullano il senso di chiusura. Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo, entrata 42 Tutto lo spazio è occupato da un gigantesco letto rotondo che si può far ruotare manualmente. Lo spazio è appena quello necessario per muoversi Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo e, quasi toccando a tentoni le pareti, si scoprono due manovelle. Con grande sorpresa, muovendole a fatica, il soffitto si apre in due e, dal sollievo dell’aria che entra dalla fessura appena aperta, continuando a girare le manopole, il Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo tetto della torre si apre totalmente, facendo inondare la stanza dalla luce del sole, o Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo dal calore freddo della luna. Il tetto si apre, ed ecco il prodigio dell’arte: le stelle ruotano insieme al letto, e dalla condizione di prigione oppressa, viene offerta la possibilità di essere altrove. In Mistero per la Luna di Nagasawa12 il pavimento e il letto sono interamente foderati in ottone. Quando si entra, le lastre di ottone vibrano sotto i piedi e durante l’estate è meglio non aprire la finestra perché un raggio di sole potrebbe trasformare la stanza in un inceneritore “Io immagino l’ipotetico visitatore che entra nell’Atelier, va alla reception, 43 Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna 44 sale su nella sua stanza con la chiave e si chiude dentro. Da quel momento quello spazio diventa il suo spazio, un museo vivo da fruire. Non un albergo con le opere d’arte in bella mostra, ma un luogo dove le persone possano vivere nel museo, un museo a misura umana, con tutte le opere a misura umana. Chi vuole per un’ora, due giorni, una settimana, può vivere nell’opera: secondo me questa Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna, particolare è una situazione unica”13 Sopra il letto è presente una piccola nicchia, dove si trova una piccola candela. Accendendola, si crea un’atmosfera meditativa e di concentrazione, che pervade tutta la stanza. Quella di Nagasawa è la storia di un percorso artistico che si configura come un susseguirsi di poetiche legate l’una all’altra, con un’ininterrotta Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna, particolare interrogazione sui limiti trascendenti del reale. L’artista si muove liberamente sul confine tra il visibile e l’invisibile, con l’obiettivo ultimo di dare forma all’immateriale attraverso le opere d’arte. L’arte, per Nagasawa, è la visualizzazione e la materializzazione di ciò che sfugge alla vista, l’artista è colui che modifica la natura e la sollecita attraverso immagini e figure che rimandano ad altro. Fin dal suo esordio ha voluto mostrare quanto siano ingannevoli la razionalità, la volontà di classificare, di ordinare e di dividere il visibile. Per gli orientali la ragione modifica i sensi, mentre la verità può essere 45 raggiunta attraverso l’esercizio delle facoltà intuitive. Come insegna il pensiero Zen, bisogna rompere i confini della realtà razionale per entrare in una altra realtà, in cui le cose nel loro mutamento continuo seguono una legge naturale e conferiscono all’uomo la capacità di mutare con esse. Nel mondo orientale l’uomo, alla pari degli altri esseri viventi, compie il suo percorso, e il mondo materiale non è nient’altro che una piccola parte della realtà. Il Taoismo insegna che non esiste altra legge se non quella della natura, un ordine spontaneo che governa tutte le cose. Questo ordine universale si esprime attraverso coppie di contrari, si dispiega attraverso la molteplicità delle differenze e delle opposizioni, il giorno e la notte, il buio e la luce, il maschile e il femminile, il positivo e il negativo. Così in Nagasawa è il positivonegativo di Da interno a interno, o di Colonna nera e colonna, dove le facce complementari del medesimo taglio diventano generatrici di forma. L’atto creativo dell’artista si configura come volontà rivelatrice e la trasfigurazione della natura si compie attraverso il processo di trasformazione; la scultura crea una doppia natura, una natura parallela, e l’artista crea una soglia che mette in comunicazione questi due mondi. Per gli orientali il limite segna uno spazio fisico e mentale dove si concentrano tutte le energie, e così il lavoro di Nagasawa si concentra su questo luogo metafisico che i giapponesi chiamano Ma: un’entità intermedia, un interstizio impercettibile e segreto. Porta, Barca, Ponte sono tutte opere che alludono ad un passaggio, ad un luogo di transito, Idetoshi Nagasawa, Barca, 1990 46 verso luoghi in cui lo spazio e il tempo sono reversibili, le direzioni spaziali si invertono. E così le porte non lasciano aprire i battenti, le barche sono rovesciate, i ponti diventano impraticabili. Dalla fine degli anni Ottanta Nagasawa sfida la forza di gravità attraverso il peso della scultura, la lascia agire per farla levitare nell’aria. Egli cerca di individuare un punto invisibile nello spazio dell’esistenza., Idetoshi Nagasawa, Porta, 1975 come un fulcro attorno al quale tutto converge. La consapevolezza dell’altra dimensione è connaturata in noi e l’uomo può farne esperienza proprio nella sua vita quotidiana. “Bisogna risvegliare lo sguardo, imparare a vedere, riuscendo a conquistare una dimensione diversa dove lo sguardo può abbracciare in un sol colpo tutta la realtà nella sua estensione infinita.”14 In Energia di Mochetti, l’artista ha eseguito una ricerca sulla luce. Le Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia 47 pareti sono di un bianco candido e la normale illuminazione bianca della camera fa apparire l’opera assolutamente normale. Dentro la stanza si viene pervasi dalla presenza Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia del colore rosso dei mobili che sono volutamente sproporzionati in rapporto al volume. Il grande armadio non è più un contenitore di abiti, ma diventa spazio, così come la cassettiera. Il rosso viene anche ripreso dalla cornice della finestra che dà sul balcone, la cui ringhiera è trasparente e non impedisce così, la visuale splendida sul mare. Dopo l’apparizione di queste strane forme e delle suppellettili, si accende l’altra luce rossa, e lo spazio si trasforma. Il caldo colore rosso avvolge l’ambiente conferendogli un’atmosfera di grande intimità ed emozione, creando un momento di sospensione quasi spirituale, esaltato dalla grande finestra basculante, attraverso la quale la vista del mare appare infinita. Fin dai suoi primi lavori la ricerca di Maurizio Mochetti si incentra sulla possibilità offerta dalla tecnologia di produrre, nello spazio, fenomeni visivi. La luce è il suo principale punto di indagine e la usa come oggetto e materia. Per Mochetti l’arte si fonda sulla possibilità infinita di indagare la realtà. Nei suoi lavori l’identità esteriore Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia 48 Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia 49 dell’oggetto è scontata, ma il significato di quell’oggetto che è proposto come opera d’arte è diverso da quello noto. A partire dagli anni Ottanta Mochetti, continuando a lavorare sui rapporti delle forme con lo spazio e sulla loro percezione, individua nel laser il mezzo più idoneo per investigare più a fondo la luce, lo spazio e l’infinito. Su barca di carta m’imbarco, Maria Lai ha inventato uno Maurizio Mochetti, Neop, 1988 spazio tentando di far coincidere le emozioni del visitatore rispetto alle grandi isole del mediterraneo: la Sicilia e la Sardegna. Il pensiero dell’opera nasce dal bagno, luogo d’acqua e energia. Parallela al soffitto c’è una lastra trasparente e, aprendo la doccia, l’acqua vi scorre sopra, creando molti rigagnoli che, seguendo percorsi ogni volta diversi, confluiscono gettandosi a cascata dal bordo della lastra. Trovandosi sotto il soffitto, con la cascata d’acqua, ci si immerge in un viaggio di pesci e colori marini, che sono riproposti in tutte le pareti e in ogni componente del bagno. Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco, bagno 50 Usciti dall’acqua ci si trova nella stanza immersi nel blu e nel nero, che come il mare e il vento, sono per l’artista due colori e i due elementi predominanti delle isole. Nel buio s’intravedono piccole luci, quasi come se ci si trovasse nello spazio. Le costellazioni immaginarie sono state riprodotte nel grande copriletto e nei fili di ottone che attraversano la stanza. Questo grande gomitolo di fili sottolinea come dal caos può nascere una scrittura di emozione e stupore. Il silenzio della Sicilia e della Sardegna è contenuto nella forza di una pietra spaccata ai piedi del letto. Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco La finestra è occultata da una pesante tenda di velluto nera, che, anche in una giornata di sole, impedisce alla luce di entrare. Quello di Maria Lai è un percorso di ricerca appartato ai grandi rispetto fenomeni Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco 51 artistici del dopoguerra. Un percorso durato cinquant’anni, mantenendo vivo il senso dell’origine, della terra sarda, aspra e difficile, ricca di tradizione e di paradossi. Gli elementi del paesaggio, terra, acqua e vento, costituiscono l’atmosfera del lavoro dell’artista, attraverso il dialogo costante con la terra e la materia. Le sue opere non si fondano mai su assiomi, bensì Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco, particolare su una creatività in progresso, con immagini simboliche che assumono una qualità evocativa, che non danno certezze, ma si propongono come possibilità del reale. Assemblando legno, plastica, filo, terracotta e parola scritta, l’artista compone una scrittura evocativa, come se narrasse, a frammenti, la storia dell’integrazione tra uomo, paesaggio e idea. Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco, particolare finestra I lavori cuciti rappresentano una tappa essenziale del suo percorso formativo: carichi di segni del tempo, della storia, offrono una comunicazione efficace sul piano percettivo: i fili si trasformano in pagine, mappe, costellazioni che rimangono sospese tra passato e futuro. “Guardando le tele cucite tornano alla mente le carte geografiche di terre e mari e dei cieli del Cinquecento e del Seicento, quando l’uomo cercava di comprendere l’universo.(…). Qui, però, le geometrie si perdono in 52 un intersecarsi di mondi e le visioni di un universo sereno nello si disgregano sfilacciarsi delle ragnatele dei segni e nel ricadere aggrovigliato dei fili.”.15 La Stanza della terra e del fuoco di Mainolfi è coperta da frammenti di Maria Lai, La notte di Janas, 1987 fili su velluto 184 cm x 134 cm terracotta, come se questi si fossero infranti nelle pareti, nel pavimento e sul soffitto a causa di un’improvvisa esplosione. Le pareti, il soffitto, il pavimento e la stessa porta d’ingresso sono interamente tappezzate da lastre di terracotta rossa, utilizzata sia per intero, che rotta e spezzata in un accostamento ritmico e vario. Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco 53 Maria Lai, Maria Pietra, 1993 terracotta smaltata e ottone 40 cm x 40 cm x 70 cm Solo una delle quattro pareti si apre verso il mare, tramite una grande e larga finestra, dagli scuri rossi e ruvidi che fanno pensare a un impasto di terracotta. I due elementi essenziali per vivere quest’opera sono, quindi, la terracotta e il fuoco. Le pareti creano un’atmosfera suggestiva; il grande letto sorretto da un piccolo pilastro, al centro della stanza, determina un momento di Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco 54 grande sospensione. L’elemento scultoreo è affidato e rappresentato dalla grande sedia di ferro che, stravolta dal suo essere funzionale di oggetto, comunica la libertà dall’essere conoscenza, pensiero. Infatti, la sedia, nell’allungarsi dello schienale che si aggroviglia, diventa un segno piccolissimo, fino a toccare, come per magia, la parete esplosa di terracotta. Sulla sedia, ci si libera e si scopre l’appartenenza allo spazio, in Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco, particolare quel vuoto, in quel togliere, in quel passaggio dal particolare al generale. “La scala è la contemplazione, la realizzazione mentale, che si manifesta fisicamente e ci porta nei suoi vortici, nei suoi movimenti il più lontano possibile. La scala ci dà quella sensazione di estraneamento da questa terribile realtà umana. Ci porta ad una sensazione di riposo, di contemplazione, di elevazione.”16 Una suggestione di terracotta erosa dall’acqua si ha invece nelle pareti del bagno, nel piano della doccia e in particolare nel lavandino. Quest’ultimo, infatti, presenta una soluzione artistica molto suggestiva: è un buco scavato dall’acqua che rimanda ad un’idea di terracotta morbida o soggetta a una forza erosiva naturale. La Stanza della terra e del fuoco, di giorno, è vibrante di luce grazie Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco, particolare del bagno 55 Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco 56 al rosso del soffitto, del pavimento e delle pareti. La sera, assume un diverso aspetto grazie a quattro riflettori posti negli angoli che mandano la loro luce verso i cocci di terracotta espandendo nella stanza un colore rosso, che avvolge completamente nel suo calore, in un’atmosfera calda e intima. Linea d’ombra è di Michele Canzoneri, autore delle vetrate del duomo di Cefalù.17 Un’ambientazione molto scenografica: si entra da un piccolo corridoio che sembra l’entrata di in sottomarino. Il pavimento è ricoperto da lastre metalliche, che fanno rimbombare il suono dei passi. Il corridoio continua oltre la porta d’entrata della stanza, e non porta da nessuna parte. Passa dietro le grandi vetrate colorate e al termine della camminata, una piccola fessura permette di sbirciare Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, corridoio all’interno. Nella stanza, il letto è installato su una grande zattera di legno. Il pavimento è costituito da strisce di ceramica blu di diverse gradazioni che evocano le onde marine. Il vero colpo di scena è la vasca da bagno ricavata dall’intero terrazzo e quasi sospesa sul mare. Dice l’artista: “Un mare azzurro e sopra una zattera che, come suggerisce la parola stessa, costituisce una sorta di ancoraggio, di appiglio, di approdo, di isola lignea, di punto di riferimento essenziale. La zattera fa da sedia, da letto, da tavolo, Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, vista dal corridoio 57 Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra mentre il pavimento è di ceramica azzurra, quasi un prolungamento del mare.”. I sanitari del bagno sono incassati in alcuni contenitori metallici in modo da assomogliare a quelli che si utilizzano sulle navi. Di notte, quando cala il buio, le luci si accendono dietro le vetrate, e la stanza s’immerge di colore e di luce, come se fosse una nave, circondata dal mare e illuminata dal bianco splendente delle stelle e della luna. Da sempre affascinato da trasparenza e opacità del fenomeno della luce, Canzoneri dà inizio (intorno agli anni Settanta) al proprio percorso artistico rivolto alla scoperta del vetro soffiato, realizzando oggetti che trattengono la luce al proprio interno, colorandola con un elemento resinoso liquido. L’esperienza dei corpi luminosi si Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, particolre del lavandino arricchisce di uno studio sempre più articolato sulla dinamica del percepire. In Canzoneri è vivo l’interesse verso l’Oriente, che lo porta 58 Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, particolare a un fare artistico sfuggente, frammentario, volutamente giocato nell’altalena del visibile e dell’invisibile nell’incontro con materiali e forme. Canzoneri negli anni collabora anche con il teatro come scenografo, ma è dal 1984 che il suo lavoro, già ricco di misticismo e di spiritualità, incontra il tema del sacro. Nel 1985 gli viene commissionata la realizzazione delle vetrate per il Duomo di Cefalù. Si ristabilisce un 59 antico contatto tra l’artista e la committenza, che Canzoneri svolge “nella naturalezza dell’abbraccio tra sacro e profano”18. Le vetrate del Duomo sono opere che dialogano con la luce. Esse vivono di luce propria in sintonia con la tradizione filosofica medioevale che fa della vetrata il luogo in cui si manifesta il mistero divino. La luce che abita lo spazio dell’architettura è il percorso artistico di Canzoneri, il quale ricerca un linguaggio sempre più evocativo Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, particolare della vasca e sfuggente. L’ultima stanza è la Stanza del Rito Necessario di Annalisa Furnari. Entrando un’atmosfera candida pervade tutto il corpo. Il letto è apparentemente un letto normale, ma la testata, formata da elementi vegetali intrecciati, si alza fin al soffitto, dando maestosità a una stanza dipinta tutta di bianco. Questo intreccio di esili strutture in metallo e il candore del bianco sembrano ispirarsi alla semplicità orientale, accogliente e al tempo stesso essenziale. Nient’altro in questa piccola stanza, ma ciò basta a far respirare un’aria che permette di appropriarsi e sentirsi tutt’uno con essa, come se si trattasse di un luogo religioso nel quale la religione stessa e il rito Michele Canzoneri, Trasfigurazione, 2001 60 diventano il tutto. Questo albergo si pone come punto focale di un nuovo modo di intendere e fare arte: può essere un albergo, una casa, un rifugio, ma il concetto rimane lo stesso. L’arte può entrare nella vita quotidiana, di tutti i giorni e di tutti gli uomini, in un esaltante connubio con l’architettura e con l’ambiente. Tutti questi elementi fanno parte dello stesso gioco, ognuno con il proprio ruolo, di uguale importanza,e ognuno valorizza e enfatizza la propria funzione grazie alla presenza Atelier sul mare, Annalisa Furnari, Stanza del rito necessario 61 e alla collaborazione dell’altro. Si forma così uno spazio coinvolgente, che coinvolge cioè lo spirito e stimola la conoscenza, non solo materica e funzionale. Entrando in un luogo in cui la collaborazione tra l’architettura, l’arte e l’ambiente è perfetta, non si percepisce rivalità, ma equilibrio e armonia, che invadono la vita di tutti i giorni. L’innovazione a cui ci siamo trovate di fronte è pregnante e non può lasciare indifferenti. Ancora una volta sentiamo l’importanza della relazione tra arte e spazio. Atelier sul mare, Annalisa Furnari, Stanza del rito necessario 62 NOTE 1 Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003. 2 Ibidem. 3 Ibidem. 4 Dario Bellezza, poeta romano, nato nel 1944, amico di Pasolini. Ritroviamo nella sua poesia le contraddizioni pasoliniane di incontro-scontro tra la condizione umana e la razionalità contro l’ispirazione e l’istinto, tra l’uomo borghese e l’intellettuale. Il suo primo albo poetico è del 1971, Invettive e Licenze, caratterizzato da tematiche quali le amarezze quotidiane, le vergogne, i sensi di colpa, le emarginazioni, gli scandali e le perversioni sessuali, un continuo e sottile desiderio di morte. Di lui Pasolini ha detto: ”è il primo piccolo borghese che giudica se stesso.”. Bellezza è cosciente della propria inutilità in quanto borghese colto, è consapevole della propria inappartenenza storica, che si tramuta in un’ossessiva autoemarginazione. Fugge dai sensi di colpa e dai rimorsi, provocati dalla propria mentalità sociale, rifugiandosi in una tana quotidiana: il letto, le coltri, il sonno, mantenendo, però, intatto un lucido legame con la realtà e il risveglio. 5 Il riferimento non è casuale: la pittura per Pasolini era un mezzo per riflettere sul suo modo di fare cinema. Nel finale drammatico di Mamma Roma (1962) egli cita il quadro di Andrea Mantegna, forse per sottolineare il proprio amore per gli emarginati, per il sottoproletariato, per i “diversi” ai quali si sente vicino. 6 Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922. E’ considerato uno degli autori italiani più importanti e proliferi, grazie ad una produzione vasta ed interessante tra cui ricordiamo Uccellacci e Uccellini, Medea e Decameron, Il Fiore delle Mille e Una Notte. Pier Paolo Pisolini è stato ucciso sul lido di Ostia a pochi chilometri da Roma, nella notte tra il giorno dei Santi e quella dei Morti, del 1975. L’assassino, un ragazzo che all’epoca aveva diciassette anni, ha confessato di averlo dapprima ferito mortalmente a bastonate, e poi finito passandogli sul petto con la macchina rubata allo stesso Pasolini. La sua morte, infatti, secondo gli atti del processo, sarebbe stata causata da “schiacciamento del torace”. 7 D. ECCHER (a cura di), Paolo Icaro, Skira, Milano 1995, p.63. 8 G. BONOMI (a cura di), Trilogias, CERP, 1995, p. 15. 9 Ibidem. 10 Intervista nello studio di Mauro Staccioli, Milano 1994, da G. BONOMI (a cura di), Trilogias, cit., p.15. 11 Raul Ruiz nasce in Cile nel 1941. Nel 1968 firma la regia del suo primo lungometraggio, Tres tristes tigres, dove si rivela un cineasta di talento. Esiliato a Parigi nel 1974, mette subito in scena la sua esperienza in Dialogo de exilados, una riflessione sulla condizione dell’esilio. Nel 1995 gira Tre vite e una sola morte 63 con Marcello Mastroianni. Nel 2000 è la volta del drammatico Figlio di due madri, tratto dal romanzo di Massimo Bontempelli. 12 Hidetoshi Nagasawa, inoltre, ha creato per la Fiumara La stanza della barca d’oro, un ambiente sotterraneo, un corridoio di cemento armato che termina in una camera sepolcrale, al cui centro si libra una barca dorata capovolta. Questa opera è stata sepolta, per volere di Antonio Presti, per continuare a vivere nella memoria delle persone e per essere consegnata tra un secolo alle generazioni future. 13 Hidetoshi Nagasawa, www.ateliersulmare.it. 14 C. NICCOLINI, Nagasawa, tra terra e cielo, De Luca, Roma1997, p.8. 15 F. ZARU, Maria Lai, Lo scialle della luna, AD, Cagliari 2000, p. 24. 16 Intervista Luigi Mainolfi ottobre 2003. 17 La cattedrale di Cefalù, dal 1986 ad oggi, è stata soggetta ad una ristrutturazione e ad un progetto in cui il contemporaneo incontra l’antico in maniera armoniosa. Le vetrate del duomo sono state realizzate, infatti, da Michele Canzoneri, chiamato da monsignor Crispino, teologo e custode della cattedrale nonché storico dell’arte, facente parte della Soprintendenza di Palermo. Egli ha comunicato a Canzoneri, come un antico committente, i temi delle 54 vetrate del duomo, realizzate dove avrebbero dovuto esserci i mosaici, che però non furono mai realizzati. Infatti, dopo la morte di Ruggero II, il duomo rimase incompiuto e fu saccheggiato da Federico II. Dice Canzoneri: “Ho percepito la responsabilità di intervenire all’interno di uno dei capolavori dell’arte italiana elaborandone la luce. Fin quando le vetrate non c’erano, la luce entrava scandita dalle ore del giorno. Con le vetrate e i loro colori, l’ho condizionata io.”. 18 A. CASSATA, G.CIOTTA, M.RUSSO (a cura di), Apocalisse, opere per il Duomo di Cefalù, Arnaldo Lombardi, 27 dicembre 2002-2 marzo 2003, p. 130. 64