La casa e l`arte: architetti e artisti per il progetto domestico

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La casa e l`arte: architetti e artisti per il progetto domestico
Estratto dalla tesi di Laurea in Architettura
La casa e l’arte: architetti e artisti
per il progetto domestico
di Laura Costa e Angiola Mainolfi
relatore: Elena Dellapiana
Riccardo Palma
a.a. 2003-2004
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ANTONIO PRESTI, “PRINCIPE” DI SICILIA
È difficile decidere se considerare Antonio Presti un semplice mecenate
oppure un artista o un collezionista. perché, si può dire, che egli sia
contemporaneamente tutte queste cose insieme. Le sue iniziative,
di solito interamente sostenute dal suo patrimonio personale, hanno
suscitato immancabilmente dibattiti molto accesi sull’arte: dall’idea
dell’opera, al ruolo sociale dell’arte, dal rapporto tra etica e arte, a
quello tra religione e arte. Di certo, per Presti, l’arte è una scelta di vita,
quasi una missione esistenziale.
Nel 1983, dopo la morte del padre, che era proprietario di un avviato
cementificio a Castel di Tusa in provincia di Messina, Antonio Presti
eredita l’azienda paterna, specializzata nella produzione di materiali
per la costruzione di strade. Quando il padre morì, Antonio fece a se
stesso due giuramenti: avrebbe continuato a mandare avanti l’azienda
e avrebbe ricordato il padre con una gigantesca croce da piantare nel
letto del torrente Tusa, vicino al mare. Ma all’età di 29 anni Antonio
capisce che la strada aperta dal padre non rappresenta il suo futuro. Il
valore eccessivo attribuito al denaro è in contrasto con la sua filosofia
di vita; capisce che è importante dare un senso all’esistenza e sceglie
l’arte come dimensione che permette di dare continuità alla vita.
Decide così di interrompere gli studi di ingegneria per dedicarsi anima
e corpo alla sua vocazione di “artista”. L’arte e l’etica diventano i due
obiettivi conduttori di tutte le sue scelte.
«Non volevo dedicare la mia vita al denaro. Ho scoperto l’arte e quali
possibilità poteva offrirmi. Ho preso quindi quei soldi e li ho messi al
servizio di un ideale.»1
In ricordo della figura paterna s’immagina un percorso artistico
che esprima continuità tra la vita e la morte, a simboleggiare la
conservazione della memoria, non più tramite una semplice croce, ma
attraverso l’arte contemporanea.
Per realizzare un’opera monumentale che sia un atto d’amore verso
il padre, si rivolge allo scultore Pietro Consagra. L’artista realizza La
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materia poteva non esserci, dove due figure astratte si fronteggiano
senza toccarsi, formando un geroglifico in cemento dell’altezza di 18
metri: “Con i miei grandi oggetti, con strutture curve e aperte, invito a
un percorso spirituale, a un’armoniosa integrazione tra uomo, natura
Fiumara d’Arte, Pietro Consagra , La materia poteva non esserci
Santo Stefano di Camastra, Messina
3
e arte.”2
Colorata con i non colori del bianco e del nero l’opera è dedicata alla
memoria di Angelo Presti. Malgrado la durezza del materiale e la sua
imponenza, questa scultura non disturba il paesaggio, soprattutto
grazie agli effetti di trasparenze e al dosaggio dei pieni e dei vuoti, che
rivelano un armonico equilibrio con l’ambiente che l’accoglie.
Antonio pensa di non limitare questa scultura a un fatto privato; per
questo decide di donarla alla collettività, collocandola nella fiumara, un
paesaggio caro alla sua infanzia e dove il padre ha perso la vita. Da
ciò inizia il suo progetto della Fiumara, progetto che si identifica con
la sua vita, concepita come un succedersi di opere lungo un percorso
che si snoda dalla montagna al mare.
Egli mette a disposizione il suo patrimonio per realizzare il sogno della
sua vita: quello di creare un parco di sculture che faccia coesistere
il linguaggio contemporaneo alla bellezza dei luoghi. Nel territorio
della Fiumara, letto di un antico fiume a secco da secoli, si trova
un’ampia vallata tra i monti Nebrodi, in cui il mancato completamento
dell’autostrada tirrenica aveva contribuito a generare e mantenere un
clima di pesante isolamento. Presti regala a questo territorio, che alterna
pietrosa desolazione a tratti di vegetazione rigogliosa, opere d’arte di
artisti di fama internazionale,«affinché l’uomo potesse riscoprire quel
Fiumara d’Arte, Pietro Consagra , La materia poteva non esserci
Santo Stefano di Camastra, Messina
4
luogo insieme a se stesso, per spiritualizzare il paesaggio.»3
Oggi questa terra è diversa perché risulta diverso il suo territorio.
Fonda, dunque, la Fiumara d’arte, la prima associazione etica,
culturale ed estetica in Italia. Grazie ad essa, tra il 1984 e il 1990,
centinaia di milioni di lire e tonnellate di cemento, hanno abbandonato
il loro «naturale asservimento alla logica del profitto», come dice
Presti, e si sono trasformate in una collezione di opere monumentali.
Percorrendo la statale SS113, ci si imbatte nella Finestra sul mare,
una gigantesca cornice in cemento armato di venti metri su progetto
di Tano Festa, dipinta di azzurro con piccole nuvole naif e un enorme
monolito nero che viola, attraversandola, quell’armonia. Piazzata sulla
spiaggia, a pochi metri dal mare, ritaglia una porzione di orizzonte
Fiumara d’Arte, Tano Festa , Finestra sul mare
e consente allo sguardo di scivolare nell’infinito, come se fosse la
cornice di una nostalgia. È un segno che separa la terra dal mare,
terra di nessuno e quindi anche di chi non c’è più.
Seguono, come apparizioni fuori dal tempo, altre presenze, tra le quali
Energia mediterranea di Antonio Di Palma, un’immensa onda azzurra
gonfiata dal vento: se onda del mare, della terra o della mente non
è dato sapere, di fatto sta lì, tra i monti e vive immobile il suo eterno
5
Fiumara d’Arte, Tano Festa , Finestra sul mare
6
Fiumara d’Arte, Antonio Di Palma , Energia mediterranea
istante di energia.
Continuando a salire verso la montagna si arriva a un bivio dove
s’incontra una strana vela metallica: si tratta di Una curva gettata
alle spalle del tempo di Paolo Schiavocampo. Come improbabile
spartitraffico, l’opera separa la via antica da quella nuova ergendosi come
Fiumara d’Arte, Paolo Schiavocampo , Una curva gettataalle spalle del tempo
7
una vela attraversata dal
vento. Intorno, tre grandi
monoliti
dialogano
silenziosamente.
Poco
oltre si giunge ad Arianna,
di
Italo
labirinto
Lanfredini,
a
spirale
un
di
oltre un chilometro cui si
Fiumara d’Arte, Italo Lanfredini , Arianna
particolare
accede attraverso un antro
imponente a forma di cruna d’ago. Posto sulla sommità della collina
gode di un bel panorama. L’opera, realizzata in cemento colorato di
rosa, potrebbe far pensare al tempio di una civiltà perduta. Il vero
labirinto in realtà è nella mente, mentre il corpo è costretto a seguire il
percorso forzato, fino al centro della struttura. Al termine del cammino,
un piccolo ulivo sovrasta la grotta terminale, in cui la propria immagine
è riflessa in un piccolo specchio d’acqua.
Nonostante le opere sin dall’inizio siano state realizzate con il consenso
di sindaci e amministratori locali, (e addirittura donate ai comuni della
zona), il fondatore della Fiumara ha subito un processo penale per
abusivismo edilizio. Il processo si è concluso positivamente, in quanto
la Cassazione ha riconosciuto l’eccezionalità del caso, prosciogliendo
Antonio Presti da ogni accusa, ma impedendo che quei manufatti
“abusivi” venissero demoliti.
La Sicilia è una terra di forti contraddizioni e così, nella regione
Fiumara d’Arte, Italo Lanfredini , Arianna
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dell’abusivismo selvaggio, delle coste devastate dalle ville e i villini dei
potenti, l’unica iniziativa a tutela del paesaggio è stata quella contro
la Fiumara d’arte, che fortunatamente, però, è stata difesa da molti
personaggi in vista per il suo valore culturale e artistico, come ad
esempio l’architetto Bruno Zevi.
La Fiumara è come una misteriosa mappa da seguire, al termine
della quale il viaggiatore può interrogarsi sulla reale natura di questo
“tesoro” e guardarsi dentro per cercare di scoprire se lo possiede. È
una valle magica, un luogo che parla di libertà, concepita come un
museo che si è liberato dalle leggi del mercato e dalle costrizioni.
Le opere in essa installate vivono in piena armonia con la realtà che le
circonda. Non si tratta di sculture appoggiate o costruite sulla natura,
ma di opere che vivono insieme alla natura, soggette quindi alla luce,
al vento, all’acqua, ai rumori delle montagne, dei colli e del mare.
È una nuova dimensione dell’arte. È l’arte posta nella condizione di
poter parlare a chi riesce a cogliere questo principio di esistenza, che
coinvolge tutti: la terra in cui viviamo, noi e le nostre sensazioni.
Nella sua vita interamente dedicata all’arte Antonio Presti si è occupato
di diverse altre iniziative.
Egli è molto interessato al lato sociale dell’arte, preoccupandosi di
concretizzare l’arte e di educare tutti gli animi, professandosi come
“l’alfiere dell’arte”.
«Per me arte contemporanea significa che, sia l’artista quanto l’opera,
devono interagire con il loro contemporaneo, fatto soprattutto di
gente comune, e tale interazione, a mio avviso, si concreta soltanto
attraverso la comunicazione diretta in una realtà di fatto. Fiumara
nasce come una scommessa ideologica, come dovere civile e sociale
di un privato, verso il territorio.»4
In un antico palazzo di fronte a piazza Stesicoro, nel centro di
Catania, Antonio Presti trasferisce la sua dimora, dedicandosi a una
nuova iniziativa: realizza una casa-museo, la casa Stesicorea, in
cui il modulo funzionale di abitazione viene modificato in uno spazio
creativo per gli artisti. Ogni stanza viene realizzata da giovani artisti,
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una stanza, un’artista, un titolo. Attraversabili e comunicanti, le stanze
sono come osservatori degli stati dell’essere che come gli stati della
materia mutano.
Spiega Presti: «Ogni stanza non è un’opera formale, bensì un
pensiero vivo, un comunicare di stanze in nome di istanze d’amore.
Se l’arte riesce ancora a creare un rapporto di stupore, di emozione,
di estasi fra l’opera e il fruitore, lì c’è punto di contatto dello spirito.
Questa casa mostra un modo diverso di come l’arte contemporanea
possa interagire con il proprio tempo, con la propria società. Non
restare chiusa nelle gallerie o nei musei, ma aprirsi al pubblico, il più
vasto possibile.».
Casa Stesicorea è la rappresentazione del problematico rapporto tra
arte e luogo, che avviene attraverso la consapevolezza del possibile
ribaltamento dovuto al passaggio dalla dimensione privata a quella
pubblica.
La casa viene visitata da gente che ha modo di vivere un rapporto
interattivo con l’arte, un momento emozionale. Infatti chi entra nelle
stanze di casa Stesicorea diventa egli stesso parte dell’opera.
L’arte è la presenza che ha consentito il capovolgimento tra privato
e pubblico, consegnando idealmente le chiavi di casa al pubblico,
aprendo le porte a visitatori sconosciuti, porgendo il benvenuto col
calore di un’intimità rivisitata nel segno della creatività.
Ricostruire un luogo, come hanno fatto gli artisti della casa Stesicorea,
significa agire materialmente sullo spazio, ma anche modificare
radicalmente, e in modo profondo, la relazione tra arte e società e gli
schemi sulla base dei quali si svolge la fruizione dell’opera stessa.
Ogni due anni le stanze vengono cambiate, le opere “distrutte”, per
creare nuove stanze ancora, per lanciare nuovi messaggi.
Oggi la casa esprime il valore delle comunità Extraordinarie che vivono
a Catania, dove i valori vengono trasformati in materia artistica e ogni
stanza diventa un passaggio verso le altre: le porte sono aperte alla
conoscenza e all’accoglienza. Ogni artista, in accordo con un gruppo
etnico, ha interpretato varie tematiche: spiritualità, libertà-solidarietà,
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La facciata di Casa Stesicorea a Catania oggi
vitalità della luce, origine della civiltà, famiglia, tradizione.
Entrando nella casa si viene investiti da una serie di sensazioni,
luminose, spaziali e olfattive che marcano il passaggio da un territorio
collettivo e aperto, quale è la città, a un territorio chiuso e individuale,
quali sono le mura domestiche. La cucina diventa il luogo della
grande famiglia dell’Africa nera, con fichi d’India smeraldo alle pareti
Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Africa
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Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario, Madre terra
e il soffitto come cielo azzurro e argento. La madre terra dell’America
latina, realizzata con la cenere nera dell’Etna, accoglie invece un letto
d’oro e una maternità laica. Ammantata di cielo, è una fotografia di una
donna peruviana col suo bambino tra le braccia. La stanza filippina è
realizzata con assi di legno
che
diventano
gabbia
violenta e zattera salvifica:
la stanza è tutta ricoperta di
legno. Al centro una grande
struttura nasconde un letto
avvolto
dall’essenza
che
emana il legno di cedro.
Una volta all’interno della
Casa Stesicorea, Stanze Extraordinario,
Filippine
struttura, sulle pedane instabili,
si ha la sensazione di trovarsi dentro una carretta di mare maltrattata
dalle onde. L’arte diventa in questo modo evocazione e promemoria.
La stanza della poesia e dell’innocenza è un igloo della poesia, candido
come l’innocenza, con pareti bianche di cera e un letto enorme, bianco,
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sopra il quale posano bianche piume.
Accendendo una luce blu si disegnano sul
soffitto le ali di un angelo mentre su una
parete compaiono i versi di Elio Pecora.
Precedentemente la casa è stata La casa
dei poeti, un omaggio alla poesia. Ogni
stanza era ispirata a una lirica per creare
un’opera. Prima ancora è stata La casa
degli artisti, in cui ciascun artista è stato
libero di esprimere la propria creatività
Casa Stesicorea, Stanze
Extraordinario, Stanza della poesia e
dell’innocenza
relazionandosi con uno spazio privato
qual è la casa.
Offrire la propria casa all’arte e offrire arte
nella propria casa presuppone l’adesione ad una concezione dell’arte
come etica della condivisione di valori sociali, oltre che estetici.
Casa Stesicorea, Andrea Buglisi, La casa dei poeti, camera da letto
L’opera d’arte non è contenuta nella casa e, come tale, è esposta
ai visitatori, ma è la casa stessa, nei suoi spazi interni, con i suoi
contenuti, a essere opera d’arte. Il pubblico che si reca in una casa
privata a fruire dell’arte, non fa che confermare la forza e l’alterazione
compiuta su schemi precostituiti e ormai superati.
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Casa Stesicorea, Tuccio, La casa dei poeti, corridoio
Le opere d’arte di casa Stesicorea non sono opere eterne, ma “a
tempo”5, dato che ogni due anni vengono riproposti nuovi temi e nuovi
lavori.
Ogni ambiente è un’opera,
e ogni opera viene vissuta.
Viene così dato un nuovo
valore al concetto stesso
d’arte, non all’opera in sé. La
casa è la dimostrazione di
come l’arte contemporanea
possa
interagire
proprio
ambiente
società,
senza
con
il
e
la
rimanere
imprigionata in gallerie o
musei, ma aprendosi a
un pubblico molto vasto.
La casa stessa diventa
pensiero che evolve e non
rimane immobile.
Casa Stesicorea, Minaldi, La casa degli artisti, cucina
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Casa Stesicorea, Extraordinario, la sala con le fotografie dei bambini di Librino
«Se l’arte riesce a creare un rapporto di stupore, di emozione, di estasi
fra l’opera e il fruitore, lì c’è un punto di contatto dello spirito. Così si
scopre che anche nei momenti più intimi, come quelli che sono vissuti
in casa, si può vivere un rapporto di spirito. »6
In questo periodo Presti sta lavorando a un nuovo progetto,
Terzocchio di luce. È un’iniziativa che prevede la realizzazione di un
Museo monumentale dell’immagine a Catania, nel quartiere popolare
di Librino. Il sobborgo ha un alto tasso di criminalità giovanile, in esso
vivono circa centomila persone. Librino è simile a molti quartieri di
altre città del mondo. In realtà doveva diventare una periferia modello,
con molte aree verdi, punti d’incontro e tanti servizi.
Una città satellite vivibile: questo era il progetto del 1971 affidato
all’architetto Kenzo Tange, che doveva garantire un rapporto
equilibrato tra uomo e ambiente. Il progetto di Tange era legato al
nuovo concetto di interdipendenza tra idea di città e composizione
architettonica, grazie alla quale il cittadino avrebbe dovuto sentirsi più
legato all’ambiente e pronto a valicare il limite della propria individualità
per sentirsi parte della collettività.
Ma di tutto il progetto non sono rimasti nient’altro che i palazzi, alti e
grigi, uniti da portici squadrati o con inserti circolari.
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Presti vuole affermare il valore dell’arte anche in zone marginali, come
stimolo per la crescita civile e sociale.
«Sarà un’utopia, ma gli artisti non devono solo guardare i parchi
e i musei dove mettere in ordine le loro opere. Integrare l’opera
all’architettura, questa è la cosa che sento davvero.» 7
L’obiettivo è quello di ridisegnare il quartiere nella sua fisionomia
urbanistica, manifestandone l’identità con la bellezza. Trenta facciate
per la bellezza, trenta condomini per la qualificazione estetica:
gigantografie, proiezioni multimediali, illuminazione artistica, slides
fotografiche, immagini e musica. Gli stessi cittadini saranno attori della
bellezza della città in tutto il mondo.
«Essi», aggiunge Presti, «consegneranno agli occhi di tutti quella
bellezza esistente ma negata, trasformeranno il malessere in orgoglio
e appartenenza. In questo modo, la consapevolezza di riscoprirsi
spiritualmente belli permetterà a Librino di acquistare il diritto di
cittadinanza in nome non più di una cultura della solidarietà e del
recupero, ma della dignità.»
Abbiamo soprannominato Antonio Principe di Sicilia, ma la sua non è
la semplice esaltazione di una ricchezza materiale. Ricalcando le orme
dell’epoca del Rinascimento, egli pone come ideale di vita la bellezza,
che non persegue per puro scopo egoistico, ma intende diffonderla tra
gli uomini, dai più colti ai più semplici.
L’arte per Presti diventa il mezzo per raggiungere lo scopo. La
conoscenza di tutte le forme artistiche, o anche la semplice visione,
può portare a un miglioramento della vita, intesa come continua
ricerca del sapere.
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NOTE
1
G. SALVAGNI, Giganti nell’oblio, in “Avvenimenti”, 21 Marzo 1999.
2
A. AMENDOLA, Intervista a Pietro Consagra, in “Domenica del Corriere”, anno
88, n.36, 6 settembre 1986.
3
Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003.
4
G. BERTINI, Il progetto di Fiumara, in “Flash Art”, anno XXIX, n.195, dicembre
1995-gennaio 1996.
5
D. DE JOANNEN, Le di-stanze di Antonio Presti, in “Centonove”, 18 febbraio
2000, p. 36.
6
Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003.
7
C. CELI, Quando l’arte si fonde col territorio, in “La Sicilia”, 16 febbraio 2000.
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L’ATELIER SUL MARE, MUSEO-ALBERGO
L’Atelier sul mare si trova ai piedi dei monti Nebrodi, nel tratto della
Sicilia settentrionale compresa tra Cefalù e Messina, sulle rive del
mare di Castel di Tusa. Il museo è un’esperienza unica nel suo genere,
che consente di vivere l’arte in modo diverso. Tutto ciò è reso possibile
grazie alla passione di Antonio Presti, ideatore e creatore del Museo
Albergo Atelier sul mare.
Presti ha un suo preciso punto di vista sull’arte: è convinto che per
apprezzarla non basta guardarla, ma occorre viverci dentro, deve
entrare a far parte della nostra vita quotidiana.
«Non c’è da meravigliarsi», assicura, «che tanta gente trascuri l’arte
contemporanea, quando anche chi visita le mostre passa solo qualche
secondo davanti ad ogni quadro, scultura o installazione»
Appassionato d’arte, come se la sua fosse una missione, Presti ha
utilizzato il patrimonio di famiglia per erigere un parco di sculture sulle
colline tra Palermo e Messina.
Il passo successivo è stato quello di acquistare un albergo in disarmo,
in un paese nel nord-est della Sicilia, per trasformarlo in un’esperienza
d’arte dal vivo.
Atelier sul mare, Castel di Tusa, Messina
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L’albergo è una grande costruzione bianca che si sviluppa su tre
piani a qualche metro dal mare. Lo stile architettonico è tipicamente
mediterraneo. L’ingresso è sostenuto da una maestosa Nike, di Maria
Villano, giovane artista romana.
Il vecchio garage è diventato un
bar,
interamente
ricoperto
da
graffiti. Nell’atrio dell’albergo si trova
un’enorme fornace per la cottura
della terracotta, attività alla quale
tutti sono invitati a partecipare. La
reception è decorata da ritagli di
giornale con articoli sull’Atelier, dal
Atelier sul mare, Atrio del museo albergo
soffitto al pavimento. Delle quaranta
camere, quindici sono state interpretate da diversi artisti. L’impegno
verso l’arte è totale. Si dorme dentro un’opera d’arte in ognuna di
queste stanze.
Al pari dei Medici e dei Borghese, Presti ha realizzato un luogo che
prende vita dalla presenza di chi lo abita.
«Questa è la storia di un principe del Rinascimento. Questo principe
aveva la corte, invitava gli amici, gli artisti, i papi. Il popolo, all’epoca,
era sempre fuori a lavorare e si trovava sempre morto di fame. Intanto
il principe chiedeva agli artisti di realizzargli grandi opere d’arte e
architettoniche. Poi il principe muore, e a distanza di cento anni, il
suo palazzo diventa un museo. Il popolo, pagando un biglietto, può
entrare nel palazzo del principe e vedere come il principe dormiva
nella stanza fatta da quel tale, come si lavava, ecc. Ma quel popolo
mai nella contemporaneità ha avuto la possibilità di dormire e lavarsi
come faceva il principe. Questo albergo non diventerà mai un museo.
Io ho dato la possibilità alla gente più semplice di entrare in un luogo
speciale. Il fruitore fa parte dell’opera stessa. Pensa una persona
che non ha mai visto arte e chiude la porta e si trova dentro una
delle stanze: può vivere l’arte, toccarla, dormire, sognare. L’albergo
non sarà mai chiuso alla vita, la casa del principe non diventerà mai
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museo, morirà solo se diventerà tale.»1
Ogni artista ha ricostruito in modo originale lo spazio e gli arredi di una
camera, facendo di ogni stanza un’opera d’arte. Non si tratta di quadri
e sculture disseminate in spazi architettonici, è l’arte che crea questi
spazi e chi vi soggiorna vive l’esperienza unica di abitare in simbiosi
con una creazione artistica.
«È solo entrando ed abitando in una camera che l’opera d’arte sarà
pienamente realizzata; la presenza, l’uso della stanza sarà parte
integrante e fondamentale dell’opera.»2
L’arte si mescola intimamente alla vita, diventando elemento decorativo
della vita stessa.
Antonio vuole diffondere l’arte tra la gente comune. «Io sono un artista
del pensiero», dice. Egli dà un nuovo significato all’arte: l’arte non deve
essere appesa nei musei, o collezionata; l’arte deve essere vissuta e
deve creare spazi architettonici.
Spinto dalla funzione sociale dell’arte e Presti ne stravolge i significati
e le funzioni. Egli sente come missione della sua vita diffondere l’idea
di bellezza tra la gente comune, bellezza che emoziona e fa sognare.
L’arte ha il potere di emozionare e di far sognare.
«Per accogliere lo spirito, la bellezza, l’arte, bisogna destrutturalizzare
la funzionalità. Se tutto ciò che crei non è funzionale ad un qualcosa
di particolare, di utile, un servizio, ma è funzionale solo allo spirito,
allora ti emozioni. L’arte si riprende lo stato emozionale, partendo da
un presente in cui il potere umano ha abbassato lo stato emozionale,
in cui non ti emozioni quasi più per niente.
Si tratterà di un viaggio emozionante attraverso l’arte con la quale
l’ospite non avrà un rapporto contemplativo ma interattivo. Non più
arte come privilegio di pochi, ma accadimento quotidiano che si
realizza nel vivere quotidiano (mangiare, dormire, sedersi, guardare il
mare) o, semplicemente, concentrarsi su di sé e pensare.» 3
Entrare e sostare in queste stanze significa vivere una nuova
dimensione dello spirito, godendo di quella gioia dell’esistere che
soltanto la creatività dell’arte può donare.
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Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca della verità
Il mare parla, l’architettura ascolta e i pensieri diventano forma
attraverso l’arte. Ogni spazio è diverso, e ogni spazio comunica
qualcosa, in quanto l’arte è messaggio, ed è tale da secoli.
La prima stanza che ha dato inizio a questa rivoluzione dell’arte è
La bocca della verità di Mario Ceroli. Essa è rappresentata da mobili
scultura che trasformano una stanza
apparentemente comune in un mondo
fantastico.
Elemento centrale è il grande letto,
un’ampia piattaforma di legno da cui
parte una testiera che disegna la
parete bianca al cui centro c’è una
grande faccia. Due buchi sono gli
occhi, mentre la bocca è sovrastata
da due mustacchi che ne delineano
la forma. È la bocca della verità che si
riflette nello specchio della cassettiera
di fronte al letto. Da qualsiasi parte
Atelier sul mare, Mario Ceroli, La bocca
della verità, particolare della testiera
21
ci si trovi all’interno della
stanza,
grazie
a
questo
gioco di riflessi, la faccia ti
osserva mentre la bocca
della verità appare come
protesa a ricordare il suo
ruolo. Il grande armadio
e la sedia con spalliera,
sembrano prolungarsi lungo
il muro. Pare di essere Alice
nel mondo delle meraviglie,
quando beve una goccia
d’acqua e rimpicciolisce.
Mario Ceroli lavora materiali
Atelier sul mare, Mario Ceroli,
La bocca della verità, cassettiera
naturali, primo fra tutti il legno,
e
pone
primario,
l’accento
sul
sull’elemento
senso
emergente
delle cose reali. Gioca tra realtà e
simbolo nella contiguità di materiali,
forme, spazi dell’ambiente umano.
L’invenzione
plastica
di
Ceroli
offre al legno una nuova stagione,
attraverso un uso poetico che sfiora
la Pop Art, ma ricco di significati
metaforici, investendo di una nuova
e forte capacità di rappresentazione
Atelier sul mare, Mario Ceroli,
La bocca della verità, particolare
il materiale naturale e povero. Con
le sue forme ritagliate nel legno grezzo
ha reso fisica l’idea, traducendola in gesto e materia e, nello stesso
tempo, ha occupato lo spazio in una stupefacente proliferazione di
forme, nell’intento di disegnare la realtà e l’ambiente umano in ogni
sua declinazione; ma nel farlo, li oltrepassa, idealizzandoli.
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Il carattere invasivo del suo
lavoro lo ha portato allo
sconfinamento in altri ambiti
quali il teatro, il cinema, il
disegno di interi ambienti e la
progettazione di chiese e del
loro arredo interno.
Uscendo e percorrendo il
corridoio
dell’albergo,
si
notano poesie scritte sulle
pareti e sculture poste sul
Mario Ceroli, Chiesa di Porto Rotondo (Sardegna),
1972, pianta 800 cm x 1600 cm
pavimento, quasi a delinearne
un percorso.
Entriamo ne La stanza della pittura di Dorazio e Marini.
Appena aperta la porta si viene come investiti da una carica di
luce e colore. Le pareti del corridoio sono gialle, rosse e arancio,
e alcune figure geometriche interrompono l’omogeneità della tinta,
intrecciandosi tra loro e creando così nuove gradazioni.
In fondo al corridoio una grande finestra, la cui luce si riflette sulle
pareti affrescate, giocando allegramente con i colori.
Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura, corridoio
23
Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura, vista dal corridoio
24
Dal corridoio si accede
alla
stanza
come
se
ci si trovasse in una
dimensione diversa. Qua
le pareti sono verdi, blu,
rosa, cosa che fa apparire
la stanza differente a
seconda del punto da cui
la si osserva.
Le linee curve, girando
intorno
a
ai
muri
rincorrersi,
quasi
danno
all’intera stanza una forza
centripeta, che costringe
all’immobilità.
Atelier sul mare, Dorazio e Marini, La stanza della pittura
Al centro della stanza c’è
il letto, che è una cassaforma grigia come il pavimento, e dà sulla
grande vetrata che porta a un balcone. Questo è il proseguimento della
stanza, verde come le ante che chiudono la vista del mare. Questo
spazio è la dimostrazione di
come il linguaggio della pittura
esalti il valore di una stanza
affrescata. L’affascinante gioco
cromatico, l’utilizzo delle pareti
come quinte, offrono, a chi si
trova nella stanza, la possibilità
di diventare egli stesso un
quadro.
Il bagno invece non è colorato,
ma grigio. È atono come il
letto. Il colore è dato dai tubi
di ferro, color ruggine, che si
arrampicano sulle pareti, e
Atelier sul mare, Dorazio e Marini,
La stanza della pittura
25
circondano gli specchi frammentati
posti sulle pareti, e formando poi la
doccia.
La pittura della stanza è morbida
e vibrante, ricchissima di effusioni
cromatiche, tipica di Piero Dorazio,
pittore astratto ma concreto. Egli
ritiene che la pittura debba liberarsi
dalla linea come contorno del disegno,
mentre il colore non deve più limitarsi
a fare da sfondo. Il disegno deve
nascere dai rapporti cromatici mentre
la linea deve diventare un veicolo di
Atelier sul mare, Dorazio e Marini,
La stanza della pittura, particolare del
bagno
sensazioni. La trama delle sue opere non risulta da un disegno e le
Piero Dorazio, Presente e passato, 1963
197 cm x 197 cm
linee nascono dalla stesura dei colori con
la punta del pennello.
Anche
è
Graziano
legato
alla
Marini,
tradizione
il
quale
moderna
dell’astrattismo e del concretismo, due
poetiche apparentemente incongrue ma
26
Graziano Marini, Sfogliato, 1995
olio su tela
65 cm x 95 cm
necessarie nella sua opera. Egli somma
il piacere tattile del colore al rigore della
forma geometrica. I suoi quadri esprimono
da una parte la passionalità vibrante del
colore e di tutta la materia cromatica,
dall’altra la necessità di ordine, soprattutto
mentale.
Entrambi gli artisti giocano con i colori
riuscendo
Atelier sul mare, Renato Curcio,
Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri,
Sogni tra i segni, corridoio
a
realizzare
una
giusta
collaborazione e una sintesi del loro lavoro.
La stanza della pittura è ricca di variazioni
polifoniche, quasi come se essa stessa fosse una sinfonia musicale.
Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri,
Sogni tra i segni
27
Nel 1994 viene realizzata una stanza
da Renato Curcio, Agostino Ferrari
e Gianni Ruggeri come omaggio
all’utopia
ideologica:
si
intitola
Sogni tra i segni. L’opera intende
rappresentare
l’evoluzione
della
scrittura umana a partire dai graffiti
primordiali per arrivare, passando per
i geroglifici, i caratteri runici, il greco
e il latino, a una simbolizzazione dei
caratteri che evolvono in semplici
Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino
Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni,
particolare dei graffiti
aste, quasi a rappresentare una
decadenza dei caratteri espressivi.
Sono i codici della comunicazione, delle religioni, delle ideologie, quelli
che ingabbiano il livello di conoscenza dell’uomo.
Al centro
della stanza vi è un letto particolarmente alto dal quale è possibile
ammirare e studiare gli stucchi che compongono l’opera. Dal pavimento
di una parete fino al soffitto della parete opposta, la scrittura umana
su roccia, pergamena e carta, sovrasta il letto avvolgendolo come se
fosse un foglio di carta e catalizzando l’attenzione sul significato dei
Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni
28
simboli.
Distesi sul letto si viene rapiti da questo fiume di rappresentazioni.
Si resta ipnotizzati, cercando di scoprire il vero significato di questo
torrente in piena. Studiandolo con attenzione è possibile decifrare
delle frasi logiche, il cui senso completo rimane però sempre avvolto
nel mistero. Sogni tra i segni è
la condizione di chiusura alla
quale la scrittura dell’arte riesce
a dare una pulsione di libertà.
La vera libertà nasce e finisce
col codice.
La stanza da bagno è realizzata
in modo particolare: l’ambiente
è stato strutturato per ricreare
l’interno
di
una
caverna
preistorica. Sulla roccia viva,
che costituisce le pareti, vi sono
pitture rupestri e simbolismi di
antiche scene da caccia e rituali
primitivi. Il lavabo è costituito da
Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino
Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni,
particolare del bagno
una grande vasca di pietra che
sporge dalla roccia dalla quale,
agendo su sculture primitive in ferro
battuto, sgorgano fiotti d’acqua
calda e fredda.
In un vasto angolo della stanza è
Atelier sul mare, Renato Curcio, Agostino
Ferrari, Gianni Ruggeri, Sogni tra i segni,
lavandino
29
ricavata la doccia: dalle pareti di
roccia sgorgano cascatelle d’acqua
che vengono convogliate in una
piccola
sporgenza
dalla
quale
vengono poi diffuse.
La stanza del profeta, del 1995, è un
omaggio alla memoria di Pier Paolo
Pasolini realizzata dal poeta Dario
Bellezza4, da Adele Cambria e dallo
stesso Antonio Presti. Nell’angolo
del corridoio del secondo piano è
scritta metà sul muro e metà sulla
porta, una poesia di Pasolini Alla
mia nazione.
Per entrare nel mondo del profeta
Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario
Bellezza, Adele Cambria, La stanza del
profeta, parte finale del corridoio
bisogna innanzitutto disprezzarne l’opera. La porta si abbatte come
un ponte levatoio facendo in modo che si acceda all’interno della
stanza calpestando il pensiero del poeta. L’ambiente si rivela esser
uno strettissimo e lungo corridoio privo di luci: la sua funzione è quella
di maturare insieme angoscia e desiderio di scoperta. In fondo a esso
Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta
30
si intravede una fioca luce che altro non è che il riflesso di un secondo
ambiente: un labirinto di specchi posti sulle pareti e sul soffitto che
danno un senso di stordimento e frustrazione tipico della ricerca non
soddisfatta. È il labirinto della conoscenza. Si accede quindi alla
stanza da letto, progettata per conferire il senso della liberazione e
della pace.
La struttura della stanza prende a modello una tipica abitazione
yemenita: paglia e fieno sono gli unici materiali qui utilizzati. Si notano
tre linguaggi differenti: il bordo superiore delle pareti è decorato da
frasi in lingua araba (la traduzione di alcuni brani degli Scritti corsari);
Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta
una grossa teca di cristallo svetta ai piedi del letto che occupa il centro
della stanza; lo stesso tappeto di sabbia, che fa da pavimento, rimanda
invece alla non scrittura, alla lingua negata, a quella progressiva
incapacità di parlare, portata dal trionfo dell’immagine televisiva.
Assolutamente vuota da suppellettili, di proporzioni gigantesche,
al centro della stanza c’è il letto, i cui piedi poggiano sulla teca che
racchiude la sabbia dell’idroscalo dove Pasolini trovò la morte.
Il grande letto riporta a un immaginario suggestivo, La deposizione del
cristo morto5 di Mantegna (1485), per suggellare l’immensa sacralità
31
del luogo. Delle quattro pareti, quella da dove si guarda stando in
posizione sdraiata sul letto, è un’enorme lastra di cristallo, dalla
quale si vede e non si è visti. È l’enorme vetrata-finestra che chiude
la prospettiva della stanza affacciandosi sul mare azzurro di Castel di
Tusa.
Arte, poesia, cinema e islamismo qui si fondono. Il mare fa da set
cinematografico all’ultimo film di Pasolini, ambientato nello Yemen.
Atelier sul mare, Antonio Presti, Dario Bellezza, Adele Cambria, La stanza del profeta
32
La bellezza e la pace che si vivono all’interno di questa stanza sono
indescrivibili. Osservare il tramonto, la notte che scende e godere
dell’alba all’interno di quest’opera, dà realmente la sensazione di cosa
voglie dire vivere un’opera d’arte.
Il bagno rappresenta la parte violenta e cruda di Pasolini, è il luogo
del Pasolini privato. Sulla porta, interamente, è riportata la poesia che
Dario Bellezza scrisse all’indomani del delitto. Non esiste pavimento,
ma solo una rigida griglia di pesante metallo. Alle pareti un groviglio di
tubi metallici forma una cupa ragnatela di morte. I tubi emettono acqua
con una violenta pressione e un’enorme ventola sul soffitto trasforma
l’ambiente in una specie di autolavaggio come se volesse detergerci
dalla colpa.6
Il nido, di Paolo Icaro, è una stanza al cui interno è racchiuso un letto
a forma di ala di uccello, il cui tessuto emula il piumaggio degli alati.
“Poco a poco i muri nella mia immaginazione cominciarono a staccarsi,
il pensiero diventò omogeneo e visualizzato come un oggetto unico,
non piazzato come un fungo, ma un oggetto-soggetto”.7
Il letto bianco, rotondo con un copriletto a nidi di tela arruffati, fa tutt’uno
con la parete di lucente candore: un
effetto avvolgente.
Dal nido, dalle pareti, dal baldacchino,
da un’apertura ristretta, si ha la vista
del mare.
I gessi di Icaro non si situano
nello spazio, ma crescono in esso,
seguendo l’espansione del proprio
spazio intimo e investondolo della loro
fisicità e della loro immaginazione.
Le pareti si strutturano spazialmente
assumendo un proprio carattere,
una propria identità, una precisa
modalità dell’apparire. Lo spazio si
converte nel luogo dove la scultura
Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido,
vista dal balcone
33
Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido
34
abita, questo rappresenta il senso
della scultura che può essere fruita
non solo con gli occhi, ma con tutto
il corpo e lo spirito.
Il balcone è il proseguimento della
stanza, delimitato da due porte
scorrevoli di vetro, che da una
parte lo chiudono e dall’altra aprono
l’armadio. Il balcone è separato
dall’armadio da una parete che non
arriva sino al soffitto, ma lascia uno
spazio dal quale filtra uno spicchio
di luce appena percepibile.
Il bagno è separato dalla stanza
Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido,
vista sul mare
da un’altra porta di vetro che non
nasconde niente. Le pareti giocano
sul contrasto delle mattonelle
bianche con il resto del muro
grigio. La doccia è aperta.
In alto, un blocco quadrato
fuoriesce dalle pareti e dal
soffitto, delimitando idealmente
la doccia e nascondendo l’acqua
che ne sgorga.
Icaro
ha
trovato
la
propria
materia nel gesso, egli ha prima
intuito e poi chiaramente capito
che non avrebbe potuto usarlo
per dare forma a un pensiero
preesistente. Avrebbe dovuto
Atelier sul mare, Paolo Icaro, Il nido, bagno
invece accordarsi con la sua
natura, favorendone i comportamenti, concedendosi alla materia in
modo tale da poter agire come aiutante del proprio immaginario. Icaro
35
osserva i diversi passaggi attraverso i quali la materia passa. Si lascia
sedurre, fino a intuire i modi per cui le qualità fisiche e percettive dei
diversi stati si fanno scultura.
Il Soffio è una macchia di gesso non ancora rappreso che dà una
visione che sembra creata senza l’intervento della mano umana o di
altri strumenti. In Unfinished, invece, lo scultore ferisce, dopo averlo
fatto crescere per strati, un tronco, un corpo, che ha avuto il tempo di
indurirsi. L’artista si sofferma su due stati dell’emozione: dare corpo
alla sostanza e poi, una volta
prosciugata, imporle delle ferite che
ne accendano le luci, ne agitino i
volumi.
L’opera di Icaro non trae origine
da un pensiero premeditato della
forma, la sua è una scultura di corpi
Paolo Icaro, Carezza, 1999
che nascono e crescono in armonia
con il farsi e il rivelarsi della materia. Il gesso è il luogo dell’orma,
del segno fuggevole di un momento irripetibile in cui si è congelato il
pensiero.
La scultura di Icaro rifiuta il basamento, posando direttamente a terra
o scegliendo di vivere sulla parete. Non si installa in uno spazio dato,
ma cerca il rapporto diretto, il contatto fisico con la dimensione dello
spazio ambientale. La scultura di Icaro produce dei luoghi e crea dei
rapporti intensi tra la sua plasticità e ciò che già esiste.
Quando si entra nella Stanza del mare negato, di Fabrizio Plessi,
sembra di arrivare in una sorta di cella di contemplazione, dove la
realtà esterna non è raggiungibile. Tutte le pareti sono coperte da
innumerevoli e pesanti porte di legno recuperate da paesi vicini: la
loro storia, i passaggi, le gioie, i dolori conferiscono alla stanza una
grande sacralità.
Di fronte al letto, che è come una zattera, vicino al soffitto, sei grandi
monitor trasmettono a ciclo continuo un mare virtuale e sembrano
spruzzarti di schizzi. È la registrazione della vista del mare che si
36
Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato, particolare delle pareti
godrebbe dalla stanza, mentre da una finestra (che si dovrà scoprire),
si rivela il mare vero.
La realtà è stata sviscerata e costruita da un’altra parte grazie
all’elettronica. In questa stanza la natura non è solo immagine, ma anche
suono e movimento, potenziata dall’introduzione di una dimensione
spaziale e temporale, scandita da movimenti reali. L’ambiente marino
Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato
37
Atelier sul mare, Fabrizio Plessi, Stanza del mare negato
è reinventato dall’artista. Chi abiterà la stanza,
anche se vi entrerà a mezzanotte, troverà la
luce del giorno e la voce del mare.
I materiali di Plessi sono l’acqua, l’onda, l’onda
elettronica, la continuità delle immagini, lo
scorrere dell’acqua e delle linee elettroniche,
la luce mediterranea e la luce artificiale del
tubo catodico. Il video stesso per l’artista è un
materiale che non ha privilegi nei confronti della
38
Atelier sul mare,
Fabrizio Plessi,
Stanza del mare negato,
particolare di una porta
pietra o del legno. Gli artisti nei secoli hanno sempre utilizzato, se il
loro linguaggio lo richiedeva, i ritrovati della scienza e della tecnica
del tempo. Piero della Francesca con la geometria prospettica, gli
impressionisti con la fisica della luce, l’action painting con i colori chimici
hanno trasformato i propri codici, conservando però la specificità
dell’arte figurativa. Plessi, dunque, sviluppa quel linguaggio che ha
portato la scultura all’installazione, alla creazione dello spazio.
Il video non ha funzioni narrative, perlomeno non più di quelle che ha
l’acqua nella Nascita di
Venere del Botticelli.
Ne L’Anima di pietra
ventuno piedistalli di ferro
sostengono un blocco di
pietra con accanto un
televisore. Dalla pietra
fuoriesce
un’immagine
registrata con l’aiuto di
un metaldetector, che
penetra
nei
monitor
dei televisori. Su ogni
piedistallo,
in
questo
modo, si vede una delle
Fabrizio Plessi, Anima della pietra, 1995
video installazione
ventuno teste scultoree dei re francesi
che ornarono, nel medioevo, la facciata
della cattedrale Notre Dame di Parigi.
Fabrizio Plessi libera ciò che racchiude
la pietra, la sua anima. Questa non è
più rivelata dallo scalpello e dalla mano,
ma dalla tecnologia del video e del
metaldetector. Il tema dell’installazione
de L’anima di pietra è il rapporto
tra finzione e realtà, tra l’immagine
Fabrizio Plessi, Anima della pietra,
disegno preparatorio
39
registrata e la pietra. Il televisore diventa, nell’installazione, un mezzo
di conoscenza e di comprensione del reale. Le immagini televisive non
hanno un carattere di consumo passivo, ma acquistano, nel video,
un confronto critico con l’immagine elettronica stessa. Il passaggio
dal reale alla finzione è sempre riconoscibile, in modo che ognuno
possa vivere la tecnica in maniera consapevole. Il video è quindi un
mezzo, una parte integrante dell’opera, come lo sono i colori di una
tavolozza.
Trinacria, di Mauro Staccioli, è un ambiente dove dominano le forme
Atelier sul mare, Mauro Staccioli, Trinacria
triangolari. La porta dalla quale si entra è un pesante prisma di pietra
rossa, che ruota su di un cardine, lasciando uno spazio ridotto per il
passaggio nella camera. Ciò che si vede è il nulla; il rosso della porta,
infatti, contrasta con il nero della stanza che immerge gli occhi in un
buio dispersivo. Non appena gli occhi si abituano a questa oscurità,
le uniche forme che si intravedono sono i triangoli colorati, il bianco
del letto e il rosso di una specie di parete che si erge perpendicolare
ad un vertice del letto, suddividendo la stanza e nascondendo in
40
parte la finestra. Tutto lo spazio è segnato da questi grandi spaccati
triangolari.
L’ispirazione viene dalla Sicilia e dalla sua forma, dai colori rosso e
nero, cioè il sole ed i vulcani, che dominano il suo paesaggio e che
hanno condizionato la storia e i comportamenti dei suoi abitanti. Le
pareti sono state realizzate con l’impasto della pietra lavica dell’Etna,
simbolicamente, cioè, dalla forza del fuoco del vulcano, da cui è nata
la terra di Sicilia.
L’idea che la scultura debba essere qualcosa di vitale, di energico, che
irrompe nella nostra vita, ha sempre caratterizzato l’operare artistico
di Mauro Staccioli, teso ad affrontare la realtà
fisica e sociale dello spazio, che diventa parte
integrante dell’opera. Interazione è una parola
chiave dell’opera di Staccioli, esprimendo non
solo relazioni tra l’opera e l’ambiente, ma anche
rapporto tra l’uomo e l’ambiente e le implicazioni che
l’osservatore è chiamato a rintracciare all’interno
di uno spazio “turbato dall’opera”8. Il suo lavoro,
Mauro Staccioli,
Bruxelles ‘96, 1996
negli interni, si propone come approssimazione in
negativo del chiuso; è l’individuazione di uno spazio
diversamente umano contro la quale
agiscono i suoi volumi dalle superfici
opache.
Volumi
che
determinano
l’incontro di piani diversi attraverso
rotazioni prestabilite.
Quelle di Staccioli non sono sculture,
ma “presenze volumetriche”9, che
Mauro Staccioli, Ozieri ‘95, 1995
interrompono visivamente lo spazio, piuttosto che inserirsi direttamente
e passivamente in esso. Spigoli vivi, come l’angolo, o superfici
ruotanti, come l’arco, sono elementi sufficienti per determinare una
dimensione inconsueta dello spazio circostante, variazione che obbliga
a riconsiderare la forma e la funzione dei singoli luoghi, così come la
nostra presenza al loro interno.
41
Negli ambienti esterni, invece, le
strutture volumetriche sono libere di
sfuggire alla loro tensione interna,
libere di muoversi secondo percorsi
Mauro Staccioli, Il girotondo dei
bambini, 2002
autonomi.
“Io mi pongo il problema di una scultura in grado di agire nel luogo e per
il luogo. I miei punti di riferimento sono da sempre l’architettura, con i
suoi profili, i suoi spazi e le sue morfologie, e i luoghi urbani o naturale,
i parchi, i boschi, i fiumi.(…). Non mi pongo il problema di avere una
scultura da guardare come oggetto, ma invece di realizzare una forma
da sentire come presenza capace di attivare un rapporto diverso con
il contesto. Quindi non mi pongo il pensiero di avere una scultura da
osservare e magari da toccare, tento invece di costruire qualcosa che
rimandi all’intorno, capace di produrre motivi di riflessione.”10
La Torre di Sigismondo è di
Raul Ruiz11, un regista cileno,
che per il progetto della stanza
si ispira alla Vita è sogno di
Calderon de la Barca.
Da un angusto e scuro corridoio
si
giunge
a
un’alta
torre
circolare, chiusa da un porta
che scorre dentro la parete
curva, che delimita la stanza.
Si entra dentro, la porta viene
chiusa e il buio invade il corpo
insieme alla paura. L’ambiente
Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo,
corridoio
è soffocante e le luci che si accendono
sono molto basse e non annullano il
senso di chiusura.
Atelier sul mare, Raul Ruiz,
Torre di Sigismondo, entrata
42
Tutto lo spazio è occupato
da
un
gigantesco
letto
rotondo che si può far
ruotare manualmente.
Lo spazio è appena quello
necessario per muoversi
Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo
e, quasi toccando a tentoni le pareti, si
scoprono due manovelle. Con grande
sorpresa, muovendole a fatica, il soffitto
si apre in due e, dal sollievo dell’aria
che entra dalla fessura appena aperta,
continuando a girare le manopole, il
Atelier sul mare, Raul Ruiz,
Torre di Sigismondo
tetto della torre si
apre
totalmente,
facendo inondare
la
stanza
dalla
luce del sole, o
Atelier sul mare, Raul Ruiz, Torre di Sigismondo
dal calore freddo
della luna. Il tetto si apre, ed ecco il prodigio dell’arte: le stelle ruotano
insieme al letto, e dalla condizione di prigione oppressa, viene offerta
la possibilità di essere altrove.
In Mistero per la Luna di Nagasawa12 il pavimento e il letto sono
interamente foderati in ottone. Quando si entra, le lastre di ottone
vibrano sotto i piedi e durante l’estate è meglio non aprire la finestra
perché un raggio di sole potrebbe trasformare la stanza in un
inceneritore
“Io immagino l’ipotetico visitatore che entra nell’Atelier, va alla reception,
43
Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna
Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa, Mistero per la luna
44
sale su nella sua stanza con la
chiave e si chiude dentro. Da
quel momento quello spazio
diventa il suo spazio, un museo
vivo da fruire. Non un albergo con
le opere d’arte in bella mostra,
ma un luogo dove le persone
possano vivere nel museo, un
museo a misura umana, con
tutte le opere a misura umana.
Chi vuole per un’ora, due giorni,
una
settimana,
può
vivere
nell’opera: secondo me questa
Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa,
Mistero per la luna, particolare
è una situazione unica”13
Sopra il letto è presente una piccola nicchia, dove si trova una
piccola candela. Accendendola, si crea un’atmosfera meditativa e di
concentrazione, che pervade tutta la
stanza.
Quella di Nagasawa è la storia
di un percorso artistico che si
configura come un susseguirsi di
poetiche legate l’una all’altra, con
un’ininterrotta
Atelier sul mare, Hidetoshi Nagasawa,
Mistero per la luna, particolare
interrogazione
sui
limiti trascendenti del reale. L’artista
si muove liberamente sul confine tra
il visibile e l’invisibile, con l’obiettivo ultimo di dare forma all’immateriale
attraverso le opere d’arte. L’arte, per Nagasawa, è la visualizzazione
e la materializzazione di ciò che sfugge alla vista, l’artista è colui
che modifica la natura e la sollecita attraverso immagini e figure che
rimandano ad altro.
Fin dal suo esordio ha voluto mostrare quanto siano ingannevoli la
razionalità, la volontà di classificare, di ordinare e di dividere il visibile.
Per gli orientali la ragione modifica i sensi, mentre la verità può essere
45
raggiunta attraverso l’esercizio delle facoltà intuitive. Come insegna
il pensiero Zen, bisogna rompere i confini della realtà razionale per
entrare in una altra realtà, in cui le cose nel loro mutamento continuo
seguono una legge naturale e conferiscono all’uomo la capacità di
mutare con esse. Nel mondo orientale l’uomo, alla pari degli altri esseri
viventi, compie il suo percorso, e il mondo materiale non è nient’altro
che una piccola parte della realtà. Il Taoismo insegna che non esiste
altra legge se non quella della natura, un ordine spontaneo che
governa tutte le cose. Questo ordine universale si esprime attraverso
coppie di contrari, si dispiega attraverso la molteplicità delle differenze
e delle opposizioni, il giorno e la notte, il buio e la luce, il maschile e
il femminile, il positivo e il negativo. Così in Nagasawa è il positivonegativo di Da interno a interno, o di Colonna nera e colonna, dove
le facce complementari del medesimo taglio diventano generatrici di
forma.
L’atto creativo dell’artista si configura come volontà rivelatrice e
la trasfigurazione della natura si compie attraverso il processo di
trasformazione; la scultura crea una doppia natura, una natura
parallela, e l’artista crea una soglia che mette in comunicazione questi
due mondi.
Per gli orientali il limite segna
uno spazio fisico e mentale
dove si concentrano tutte
le energie, e così il lavoro
di Nagasawa si concentra
su questo luogo metafisico
che i giapponesi chiamano
Ma: un’entità intermedia,
un interstizio impercettibile
e segreto. Porta, Barca,
Ponte sono tutte opere che
alludono ad un passaggio,
ad un luogo di transito,
Idetoshi Nagasawa, Barca, 1990
46
verso luoghi in cui lo spazio
e il tempo sono reversibili, le
direzioni spaziali si invertono.
E così le porte non lasciano
aprire i battenti, le barche sono
rovesciate, i ponti diventano
impraticabili.
Dalla fine degli anni Ottanta
Nagasawa sfida la forza di
gravità attraverso il peso della
scultura, la lascia agire per farla
levitare nell’aria. Egli cerca di
individuare un punto invisibile
nello spazio dell’esistenza.,
Idetoshi Nagasawa, Porta, 1975
come un fulcro attorno al quale tutto converge.
La consapevolezza dell’altra dimensione è connaturata in noi e l’uomo
può farne esperienza proprio nella sua vita quotidiana. “Bisogna
risvegliare lo sguardo, imparare a vedere, riuscendo a conquistare
una dimensione diversa dove lo sguardo può abbracciare in un sol
colpo tutta la realtà nella sua estensione infinita.”14
In Energia di Mochetti, l’artista ha eseguito una ricerca sulla luce. Le
Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia
47
pareti sono di un bianco
candido e la normale
illuminazione
bianca
della camera fa apparire
l’opera
assolutamente
normale.
Dentro la stanza si viene
pervasi dalla presenza
Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia
del
colore
rosso
dei
mobili che sono volutamente sproporzionati in rapporto al volume. Il
grande armadio non è più un contenitore di abiti, ma diventa spazio,
così come la cassettiera. Il rosso viene anche ripreso dalla cornice
della finestra che dà sul balcone, la cui ringhiera è trasparente e non
impedisce così, la visuale splendida sul mare.
Dopo l’apparizione di queste strane forme e delle suppellettili, si accende
l’altra luce rossa, e lo spazio si trasforma. Il caldo colore rosso avvolge
l’ambiente conferendogli un’atmosfera di grande intimità ed emozione,
creando un momento di sospensione quasi spirituale, esaltato dalla
grande finestra basculante,
attraverso la quale la vista del
mare appare infinita.
Fin dai suoi primi lavori la
ricerca di Maurizio Mochetti si
incentra sulla possibilità offerta
dalla tecnologia di produrre,
nello spazio, fenomeni visivi.
La luce è il suo principale
punto di indagine e la usa
come oggetto e materia.
Per Mochetti l’arte si fonda
sulla
possibilità
infinita
di
indagare la realtà. Nei suoi
lavori
l’identità
esteriore
Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia
48
Atelier sul mare, Maurizio Mochetti, Energia
49
dell’oggetto è scontata, ma
il significato di quell’oggetto
che è proposto come opera
d’arte è diverso da quello
noto.
A partire dagli anni Ottanta
Mochetti, continuando a
lavorare sui rapporti delle
forme con lo spazio e sulla
loro percezione, individua
nel laser il mezzo più
idoneo per investigare più
a fondo la luce, lo spazio e
l’infinito.
Su barca di carta m’imbarco,
Maria Lai ha inventato uno
Maurizio Mochetti, Neop, 1988
spazio tentando di far coincidere le emozioni del visitatore rispetto alle
grandi isole del mediterraneo: la Sicilia e la Sardegna.
Il pensiero dell’opera nasce dal
bagno, luogo d’acqua e energia.
Parallela al soffitto c’è una
lastra trasparente e, aprendo la
doccia, l’acqua vi scorre sopra,
creando
molti
rigagnoli
che,
seguendo percorsi ogni volta
diversi, confluiscono gettandosi
a cascata dal bordo della lastra.
Trovandosi sotto il soffitto, con la
cascata d’acqua, ci si immerge in
un viaggio di pesci e colori marini,
che sono riproposti in tutte le
pareti e in ogni componente del
bagno.
Atelier sul mare, Maria Lai,
Su barca di carta m’imbarco, bagno
50
Usciti dall’acqua ci si trova nella stanza immersi nel blu e nel nero, che
come il mare e il vento, sono per l’artista due colori e i due elementi
predominanti delle isole. Nel buio s’intravedono piccole luci, quasi
come se ci si trovasse nello spazio. Le costellazioni immaginarie sono
state riprodotte nel grande copriletto e nei fili di ottone che attraversano
la stanza. Questo grande gomitolo di fili sottolinea come dal caos può
nascere una scrittura di emozione e stupore.
Il silenzio della Sicilia e della Sardegna è contenuto nella forza di una
pietra spaccata ai piedi del letto.
Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco
La finestra è occultata
da una pesante tenda di
velluto nera, che, anche
in una giornata di sole,
impedisce alla luce di
entrare.
Quello di Maria Lai è
un percorso di ricerca
appartato
ai
grandi
rispetto
fenomeni
Atelier sul mare, Maria Lai, Su barca di carta m’imbarco
51
artistici
del
dopoguerra.
Un
percorso durato cinquant’anni,
mantenendo
vivo
il
senso
dell’origine, della terra sarda,
aspra e difficile, ricca di tradizione
e di paradossi. Gli elementi del
paesaggio, terra, acqua e vento,
costituiscono
l’atmosfera
del
lavoro dell’artista, attraverso il
dialogo costante con la terra e
la materia. Le sue opere non si
fondano mai su assiomi, bensì
Atelier sul mare, Maria Lai,
Su barca di carta m’imbarco, particolare
su una creatività in progresso,
con immagini simboliche che
assumono una qualità evocativa,
che non danno certezze, ma si
propongono
come
possibilità
del reale. Assemblando legno,
plastica, filo, terracotta e parola
scritta, l’artista compone una
scrittura
evocativa,
come
se
narrasse, a frammenti, la storia
dell’integrazione
tra
uomo,
paesaggio e idea.
Atelier sul mare, Maria Lai,
Su barca di carta m’imbarco, particolare finestra
I lavori cuciti rappresentano una
tappa essenziale del suo percorso formativo: carichi di segni del tempo,
della storia, offrono una comunicazione efficace sul piano percettivo:
i fili si trasformano in pagine, mappe, costellazioni che rimangono
sospese tra passato e futuro.
“Guardando le tele cucite tornano alla mente le carte geografiche di terre
e mari e dei cieli del Cinquecento e del Seicento, quando l’uomo cercava
di comprendere l’universo.(…). Qui, però, le geometrie si perdono in
52
un intersecarsi di mondi
e le visioni di un universo
sereno
nello
si
disgregano
sfilacciarsi
delle
ragnatele dei segni e nel
ricadere aggrovigliato dei
fili.”.15
La Stanza della terra e
del fuoco di Mainolfi è
coperta da frammenti di
Maria Lai, La notte di Janas, 1987
fili su velluto
184 cm x 134 cm
terracotta, come se questi
si fossero infranti nelle pareti, nel
pavimento e sul soffitto a causa di
un’improvvisa esplosione.
Le pareti, il soffitto, il pavimento
e la stessa porta d’ingresso sono
interamente tappezzate da lastre
di terracotta rossa, utilizzata sia
per intero, che rotta e spezzata in
un accostamento ritmico e vario.
Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco
53
Maria Lai, Maria Pietra, 1993
terracotta smaltata e ottone
40 cm x 40 cm x 70 cm
Solo una delle quattro pareti si apre verso
il mare, tramite una grande e larga finestra,
dagli scuri rossi e ruvidi che fanno pensare
a un impasto di terracotta.
I due elementi essenziali per vivere
quest’opera sono, quindi, la terracotta e il
fuoco. Le pareti creano un’atmosfera suggestiva; il grande letto sorretto
da un piccolo pilastro, al centro della stanza, determina un momento di
Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco
54
grande sospensione.
L’elemento scultoreo è affidato
e rappresentato dalla grande
sedia di ferro che, stravolta dal
suo essere funzionale di oggetto,
comunica la libertà dall’essere
conoscenza, pensiero. Infatti,
la sedia, nell’allungarsi dello
schienale che si aggroviglia,
diventa un segno piccolissimo,
fino a toccare, come per magia,
la parete esplosa di terracotta.
Sulla sedia, ci si libera e si scopre
l’appartenenza allo spazio, in
Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della
terra e del fuoco, particolare
quel vuoto, in quel togliere, in
quel passaggio dal particolare al generale.
“La scala è la contemplazione, la realizzazione mentale, che si
manifesta fisicamente e ci porta nei suoi vortici, nei suoi movimenti il più
lontano possibile. La scala ci dà quella sensazione di estraneamento
da questa terribile realtà umana. Ci porta ad una sensazione di riposo,
di contemplazione, di elevazione.”16
Una suggestione di terracotta erosa
dall’acqua si ha invece nelle pareti
del bagno, nel piano della doccia
e in particolare nel lavandino.
Quest’ultimo, infatti, presenta una
soluzione artistica molto suggestiva:
è un buco scavato dall’acqua che
rimanda ad un’idea di terracotta
morbida o soggetta a una forza
erosiva naturale.
La Stanza della terra e del fuoco,
di giorno, è vibrante di luce grazie
Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza
della terra e del fuoco, particolare del bagno
55
Atelier sul mare, Luigi Mainolfi, La stanza della terra e del fuoco
56
al rosso del soffitto, del pavimento e delle pareti. La sera, assume
un diverso aspetto grazie a quattro riflettori posti negli angoli che
mandano la loro luce verso i cocci di terracotta espandendo nella
stanza un colore rosso, che avvolge completamente nel suo calore, in
un’atmosfera calda e intima.
Linea d’ombra è di Michele Canzoneri,
autore delle vetrate del duomo di
Cefalù.17
Un’ambientazione molto scenografica: si
entra da un piccolo corridoio che sembra
l’entrata di in sottomarino. Il pavimento è
ricoperto da lastre metalliche, che fanno
rimbombare il suono dei passi.
Il corridoio continua oltre la porta d’entrata
della stanza, e non porta da nessuna
parte. Passa dietro le grandi vetrate
colorate e al termine della camminata,
una piccola fessura permette di sbirciare
Atelier sul mare,
Michele Canzoneri, Linea d’ombra,
corridoio
all’interno.
Nella stanza, il letto è installato su una
grande zattera di legno. Il pavimento è costituito da strisce di ceramica
blu di diverse gradazioni che
evocano le onde marine.
Il vero colpo di scena è la vasca da
bagno ricavata dall’intero terrazzo
e quasi sospesa sul mare. Dice
l’artista: “Un mare azzurro e sopra
una zattera che, come suggerisce
la parola stessa, costituisce una
sorta di ancoraggio, di appiglio, di
approdo, di isola lignea, di punto di
riferimento essenziale. La zattera
fa da sedia, da letto, da tavolo,
Atelier sul mare, Michele Canzoneri,
Linea d’ombra, vista dal corridoio
57
Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra
mentre il pavimento è di ceramica azzurra, quasi un prolungamento
del mare.”.
I sanitari del bagno sono incassati in alcuni contenitori metallici in
modo da assomogliare a quelli che si utilizzano sulle navi.
Di notte, quando cala il buio, le luci si accendono dietro le vetrate, e la
stanza s’immerge di colore e di luce,
come se fosse una nave, circondata
dal mare e illuminata dal bianco
splendente delle stelle e della luna.
Da sempre affascinato da trasparenza
e opacità del fenomeno della luce,
Canzoneri dà inizio (intorno agli anni
Settanta) al proprio percorso artistico
rivolto alla scoperta del vetro soffiato,
realizzando oggetti che trattengono
la luce al proprio interno, colorandola
con un elemento resinoso liquido.
L’esperienza dei corpi luminosi si
Atelier sul mare, Michele Canzoneri,
Linea d’ombra, particolre del lavandino
arricchisce di uno studio sempre più articolato sulla dinamica del
percepire. In Canzoneri è vivo l’interesse verso l’Oriente, che lo porta
58
Atelier sul mare, Michele Canzoneri, Linea d’ombra, particolare
a un fare artistico sfuggente, frammentario, volutamente giocato
nell’altalena del visibile e dell’invisibile nell’incontro con materiali e
forme.
Canzoneri negli anni collabora anche con il teatro come scenografo,
ma è dal 1984 che il suo lavoro, già ricco di misticismo e di spiritualità,
incontra il tema del sacro. Nel 1985 gli viene commissionata la
realizzazione delle vetrate per il Duomo di Cefalù. Si ristabilisce un
59
antico contatto tra l’artista e la
committenza, che Canzoneri svolge
“nella naturalezza dell’abbraccio tra
sacro e profano”18. Le vetrate del
Duomo sono opere che dialogano
con la luce. Esse vivono di luce
propria in sintonia con la tradizione
filosofica medioevale che fa della
vetrata il luogo in cui si manifesta il
mistero divino. La luce che abita lo
spazio dell’architettura è il percorso
artistico di Canzoneri, il quale ricerca
un linguaggio sempre più evocativo
Atelier sul mare, Michele Canzoneri,
Linea d’ombra, particolare della vasca
e sfuggente.
L’ultima stanza è la Stanza del Rito Necessario di Annalisa Furnari.
Entrando
un’atmosfera
candida
pervade tutto il corpo. Il letto è
apparentemente un letto normale,
ma la testata, formata da elementi
vegetali intrecciati, si alza fin al
soffitto, dando maestosità a una
stanza dipinta tutta di bianco.
Questo intreccio di esili strutture
in metallo e il candore del bianco
sembrano ispirarsi alla semplicità
orientale, accogliente e al tempo
stesso essenziale.
Nient’altro in questa piccola stanza,
ma ciò basta a far respirare un’aria
che permette di appropriarsi e
sentirsi tutt’uno con essa, come
se si trattasse di un luogo religioso
nel quale la religione stessa e il rito
Michele Canzoneri, Trasfigurazione, 2001
60
diventano il tutto.
Questo albergo si pone come punto focale di un nuovo modo di
intendere e fare arte: può essere un albergo, una casa, un rifugio, ma
il concetto rimane lo stesso. L’arte può entrare nella vita quotidiana,
di tutti i giorni e di tutti gli uomini, in un esaltante connubio con
l’architettura e con l’ambiente. Tutti questi elementi fanno parte dello
stesso gioco, ognuno con il proprio ruolo, di uguale importanza,e
ognuno valorizza e enfatizza la propria funzione grazie alla presenza
Atelier sul mare, Annalisa Furnari, Stanza del rito necessario
61
e alla collaborazione dell’altro.
Si forma così uno spazio coinvolgente, che coinvolge cioè lo spirito e
stimola la conoscenza, non solo materica e funzionale.
Entrando in un luogo in cui la
collaborazione tra l’architettura,
l’arte e l’ambiente è perfetta,
non
si
percepisce
rivalità,
ma equilibrio e armonia, che
invadono la vita di tutti i giorni.
L’innovazione a cui ci siamo
trovate di fronte è pregnante
e non può lasciare indifferenti.
Ancora
una
volta
sentiamo
l’importanza della relazione tra
arte e spazio.
Atelier sul mare, Annalisa Furnari,
Stanza del rito necessario
62
NOTE
1
Intervista ad Antonio Presti, ottobre 2003.
2
Ibidem.
3
Ibidem.
4
Dario Bellezza, poeta romano, nato nel 1944, amico di Pasolini. Ritroviamo
nella sua poesia le contraddizioni pasoliniane di incontro-scontro tra la condizione
umana e la razionalità contro l’ispirazione e l’istinto, tra l’uomo borghese
e l’intellettuale. Il suo primo albo poetico è del 1971, Invettive e Licenze,
caratterizzato da tematiche quali le amarezze quotidiane, le vergogne, i sensi di
colpa, le emarginazioni, gli scandali e le perversioni sessuali, un continuo e sottile
desiderio di morte. Di lui Pasolini ha detto: ӏ il primo piccolo borghese che giudica
se stesso.”. Bellezza è cosciente della propria inutilità in quanto borghese colto, è
consapevole della propria inappartenenza storica, che si tramuta in un’ossessiva
autoemarginazione. Fugge dai sensi di colpa e dai rimorsi, provocati dalla propria
mentalità sociale, rifugiandosi in una tana quotidiana: il letto, le coltri, il sonno,
mantenendo, però, intatto un lucido legame con la realtà e il risveglio.
5
Il riferimento non è casuale: la pittura per Pasolini era un mezzo per riflettere
sul suo modo di fare cinema. Nel finale drammatico di Mamma Roma (1962) egli
cita il quadro di Andrea Mantegna, forse per sottolineare il proprio amore per gli
emarginati, per il sottoproletariato, per i “diversi” ai quali si sente vicino.
6
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922. E’ considerato uno
degli autori italiani più importanti e proliferi, grazie ad una produzione vasta ed
interessante tra cui ricordiamo Uccellacci e Uccellini, Medea e Decameron, Il Fiore
delle Mille e Una Notte. Pier Paolo Pisolini è stato ucciso sul lido di Ostia a pochi
chilometri da Roma, nella notte tra il giorno dei Santi e quella dei Morti, del 1975.
L’assassino, un ragazzo che all’epoca aveva diciassette anni, ha confessato di
averlo dapprima ferito mortalmente a bastonate, e poi finito passandogli sul petto
con la macchina rubata allo stesso Pasolini. La sua morte, infatti, secondo gli atti
del processo, sarebbe stata causata da “schiacciamento del torace”.
7
D. ECCHER (a cura di), Paolo Icaro, Skira, Milano 1995, p.63.
8
G. BONOMI (a cura di), Trilogias, CERP, 1995, p. 15.
9
Ibidem.
10
Intervista nello studio di Mauro Staccioli, Milano 1994, da G. BONOMI (a cura
di), Trilogias, cit., p.15.
11
Raul Ruiz nasce in Cile nel 1941. Nel 1968 firma la regia del suo primo
lungometraggio, Tres tristes tigres, dove si rivela un cineasta di talento. Esiliato a
Parigi nel 1974, mette subito in scena la sua esperienza in Dialogo de exilados,
una riflessione sulla condizione dell’esilio. Nel 1995 gira Tre vite e una sola morte
63
con Marcello Mastroianni. Nel 2000 è la volta del drammatico Figlio di due madri,
tratto dal romanzo di Massimo Bontempelli.
12
Hidetoshi Nagasawa, inoltre, ha creato per la Fiumara La stanza della barca
d’oro, un ambiente sotterraneo, un corridoio di cemento armato che termina in una
camera sepolcrale, al cui centro si libra una barca dorata capovolta. Questa opera
è stata sepolta, per volere di Antonio Presti, per continuare a vivere nella memoria
delle persone e per essere consegnata tra un secolo alle generazioni future.
13
Hidetoshi Nagasawa, www.ateliersulmare.it.
14
C. NICCOLINI, Nagasawa, tra terra e cielo, De Luca, Roma1997, p.8.
15
F. ZARU, Maria Lai, Lo scialle della luna, AD, Cagliari 2000, p. 24.
16
Intervista Luigi Mainolfi ottobre 2003.
17
La cattedrale di Cefalù, dal 1986 ad oggi, è stata soggetta ad una ristrutturazione
e ad un progetto in cui il contemporaneo incontra l’antico in maniera armoniosa.
Le vetrate del duomo sono state realizzate, infatti, da Michele Canzoneri, chiamato
da monsignor Crispino, teologo e custode della cattedrale nonché storico dell’arte,
facente parte della Soprintendenza di Palermo. Egli ha comunicato a Canzoneri,
come un antico committente, i temi delle 54 vetrate del duomo, realizzate dove
avrebbero dovuto esserci i mosaici, che però non furono mai realizzati. Infatti, dopo
la morte di Ruggero II, il duomo rimase incompiuto e fu saccheggiato da Federico
II. Dice Canzoneri: “Ho percepito la responsabilità di intervenire all’interno di uno
dei capolavori dell’arte italiana elaborandone la luce. Fin quando le vetrate non
c’erano, la luce entrava scandita dalle ore del giorno. Con le vetrate e i loro colori,
l’ho condizionata io.”.
18
A. CASSATA, G.CIOTTA, M.RUSSO (a cura di), Apocalisse, opere per il Duomo
di Cefalù, Arnaldo Lombardi, 27 dicembre 2002-2 marzo 2003, p. 130.
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