LA TARTARUGA PIU` PAZZA DEL MONDO da Meridiani

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LA TARTARUGA PIU` PAZZA DEL MONDO da Meridiani
LA TARTARUGA PIU’ PAZZA DEL MONDO
da Meridiani
Lo sapevate che la tartaruga delle Galàpagos è
tutt'altro che lenta? E che avanza sempre in linea
retta, illudendosi di superare tutti gli ostacoli che
incontra sulla sua strada? Un animale davvero strano,
che ha calamitato l'attenzione di due personaggi
molto diversi tra loro.
Il primo è Charles Darwin, che sbarcò nell'arcipelago
nel 1835 e lo descrisse in un capitolo del "Viaggio di
un naturalista intorno al mondo".
L'altro è Herman Melville: vi giunse qualche anno
più tardi e rievocò la sua avventura in un racconto
dal forte affiato mistico, "Encantadas"
Una corsa in salita per fare il pieno d’acqua.
Di Charles Darwin. La tartaruga è amatissima dell'acqua; ne beve grandi quantità e diguazza nel
fango. Soltanto le isole più grandi hanno sorgenti e
queste si trovano sempre verso le parti centrali e
a considerevole altezza.
Le tartarughe che abitano le zone inferiori, quando
hanno sete, devono quindi percorrere una lunga
distanza. Sentieri larghi e ben battuti si diramano
perciò in ogni direzione dalle sorgenti verso la costa
e gli spagnoli, seguendoli, scoprirono la prima volta
i punti per rifornirsi di acqua.
Quando sbarcai nell'isola Chatham, non potevo
immaginare quale animale si spostasse così metodicamente lungo sentieri bene scelti.
Era uno spettacolo curioso vedere presso le sorgenti
molte di queste grandi creature, un gruppo che
camminava pesantemente innanzi col collo proteso,
e un altro che tornava indietro dopo aver bevuto a
sazietà.
Quando la tartaruga arriva alla sorgente, senza
badare a nessuno spettatore, tuffa il capo nell'acqua
fin sopra gli occhi e inghiotte avidamente grandi
sorsate, alla media di circa dieci al minuto.
Gli abitanti dicono che ogni animale resta tre o
quattro giorni nelle vicinanze dell'acqua e poi ritorna
nella regione bassa, ma non sono d'accordo sulla
frequenza delle visite.
Probabilmente gli animali si regolano secondo la
natura del cibo che hanno mangiato. È certo però
che le tartarughe possono vivere anche su quelle
isole dove non v'è altra acqua di quella che cade
durante i pochi giorni piovosi dell'anno.
Credo che sia bene accertato che la vescica delle
rane agisca come un serbatoio per l'umidità necessaria alla loro esistenza e mi sembra che ciò avvenga
analogamente anche per le tartarughe.
Per un certo tempo dopo la visita alle sorgenti, le
loro vesciche urinarie sono piene di liquido e si dice
che esso diminuisca gradatamente di volume e
diventi meno puro.
Gli abitanti, quando girano nella regione inferiore e
hanno sete, approfittano spesso di questo fatto e
bevono il contenuto della vescica, quando è piena.
In una tartaruga che vidi uccisa, il liquido era perfettamente limpido e aveva soltanto un leggerissimo
sapore amaro. Gli abitanti però bevono sempre per
prima l'acqua contenuta nel pericardio, che dicono
sia migliore.
Quando le tartarughe si dirigono con uno scopo verso
qualche punto, viaggiano giorno e notte e arrivano
alla meta molto più presto di quanto ci si aspetterebbe. Gli abitanti, osservando degli animali contrassegnati, pensano che percorrano una distanza di circa tredici chilometri in due o tre giorni.
Una grande tartaruga che osservai, camminava a
una velocità di cinquantacinque metri ogni dieci
minuti e cioè di trecento e trenta metri all'ora, ossia
quasi sette chilometri al giorno, concedendole un
po' di tempo per mangiare lungo la strada.
Durante la stagione della riproduzione, quando il
maschio e la femmina stanno insieme, il maschio
emette un aspro muggito, che si dice possa venir
udito a più di cento metri di distanza.
La femmina non usa mai la sua voce e il maschio
soltanto in quell' epoca, così che quando la gente
sente questo suono sa che i due animali sono
insieme.
Le femmine stavano in quell'epoca (ottobre) deponendo le uova. Esse, dove il terreno è sabbioso, le
depongono vicine e le ricoprono di sabbia, ma dove
il fondo è roccioso, le depongono indiscriminatamente in ogni cavità; il signor Bynoe ne trovò sette
messe in una fessura.
L'uovo è bianco e sferico; ne misurai uno che aveva
diciannove centimetri di circonferenza e perciò era
più grande di un uovo di gallina. Le giovani tartarughe,
appena fuori dal guscio, diventano in gran numero
preda della poiana che mangia le carogne.
Quelle vecchie sembrano morire generalmente per
incidenti e per cadute nei precipizi e non se ne trova
mai una morta senza una causa evidente.
Gli abitanti credono che questi animali siano assolutamente sordi; certamente non si accorgono di una
persona che cammini vicino, dietro a loro.
Mi divertivo sempre, quando sorprendevo uno di
questi grandi mostri, mentre stava pascolando
tranquillamente, nel vedere come d'improvviso,
nell'istante in cui lo superavo, ritraesse la testa e le
zampe ed emettendo un profondo sibilo, cadesse a
terra con un tonfo, come se fosse stato colpito a
morte.
Salivo frequentemente sul loro dorso e quando davo
alcuni colpi sulla parte posteriore della corazza, essi
si alzavano e camminavano in avanti, ma trovavo
molto difficile mantenere l'equilibrio. La carne di
questo animale è molto usata, sia fresca sia salata e
dal grasso si estrae un bell' olio limpido.
Quando una tartaruga viene catturata, l'uomo le fa
un taglio nella pelle vicino alla coda, per vedere nel
corpo se il grasso sotto la corazza dorsale è spesso.
Se non lo è, l'animale viene lasciato libero e si dice
che guarisca subito da questa strana operazione.
Per mettere al sicuro queste tartarughe non basta
rovesciarle come le testuggini, perché esse riescono spesso a rimettersi sulle zampe.
E’ quasi certamente sicuro che questa tartaruga è
un abitante aborigeno delle Galàpagos, perché si
trova su tutte, o quasi tutte le isole, anche su alcune delle più piccole, dove non v'è acqua; se
fosse una specie importata, ciò sarebbe accaduto
ben difficilmente, in un gruppo che è stato così
poco frequentato.
Gli antichi bucanieri inoltre, trovarono queste tartarughe ancora più abbondanti di adesso; anche
Wood e Rogers, nel 1708, dicono che sia opinione
degli spagnoli che non si trovi in nessun'altra località in questa parte del mondo. Essa è ora largamente diffusa, ma ci si può chiedere se sia indigena in qualche altro luogo. Le ossa di una tartaruga nell'isola Maurizio, trovate insieme a quelle
dell'estinto Dodo, sono state generalmente considerate come appartenenti a questo tipo di tartaruga; se è così, indubbiamente essa vi deve essere stata indigena, ma il signor Bibron mi comunica
che egli crede che fosse diversa, come lo è certamente la specie che vi vive ora.
Stupida o testarda? Di certo, è buona da mangiare.
Di Herman Melville
Alcuni mesi dopo il mio primo sbarco su quell'arcipelago, il mio bastimento incrociava nelle vicinanze. Un pomeriggio ci trovavamo al largo del
capo meridionale di Albemarle, non molto lontani
da terra. In parte per bizzarro capriccio, in parte
anche per il desiderio di esplorare un paese così
strano, si spedì una scialuppa a riva, con l'ordine
di esaminare tutto ciò che capitasse sotto gli occhi, e inoltre di riportare a bordo quante tartarughe fosse possibile catturare.
Gli avventurosi esploratori tornarono dopo il tramonto. Io guardavo dall'alta murata, come dall'orlo di un pozzo, e confusamente intravidi la scialuppa, che pareva sprofondare sotto un incredibile
peso. Furono abbassate delle gomene e, poco dopo, vennero, con grandi sforzi, issate a bordo tre
enormi tartarughe dall'aria antidiluviana. Non
sembravano quasi animali di questa terra. Ci trovavamo in mare da cinque lunghi mesi, periodo
più che sufficiente perché il vaneggiante spirito
conferisca a quanto viene da terra un alone favoloso.
Se tre funzionari delle dogane spagnole fossero saliti a bordo allora, è più che probabile che io li avrei
scrutati con molta curiosità, e palpati, e tasteggiati,
come sogliono fare i selvaggi coi loro ospiti civilizzati.
Ma invece dei tre funzionari di dogana, ecco queste
tartarughe veramente incredibili, non le vostre tartarughine da giardino, con cui si divertono gli scolaretti, ma nere come le gramaglie di un vedovo, grevi come cofani di argenteria, con enormi loriche, incise e tondeggianti quali scudi, e incrinate e peste
quali scudi che abbiano affrontato una feroce battaglia, e per di più fiorite qui e là di un musco verdenero, e viscide per gli spruzzi del mare.
Queste mitiche creature, improvvisamente trasferite, nella notte, da ineffabili solitudini al gremito
ponte della nostra nave, mi colpirono in un modo
che non è facile spiegare. Si sarebbe detto che fossero strisciate pur allora da sotto le fondamenta del
mondo. Sì, sembravano esattamente le tartarughe,
su cui gli indù fanno poggiare l'universo intero. Mi vi
accostai con una lanterna, per meglio ispezionarle.
Che venerabile maestà! Quel verde vello muscoso
che ammantava i solchi,copriva e saldava gli spacchi
delle loro screpolate loriche. Non erano più tartarughe. Si erano espanse, trasfigurate.
Avevo l'impressione di contemplare tre Colossei di
Roma, nel pieno fulgore della loro decadenza! "O
voi, le più antiche abitatrici di questa o di ogni altra
isola", esclamai io, "vi prego, concedetemi d'entrare
nella triplice cerchia delle vostre città".
L'impressione più viva destata da queste creature
era quella della loro antichità, della loro incommensurabile, inconcepibile durata. E infatti, personalmente, non potrò mai credere che altra creatura
terrestre possa vivere e respirare tanto a lungo
quanto le tartarughe delle Encantadas.
tate, gonfie, quasi obliterate, eppure deformate come quelle che talvolta si incontrano nella corteccia
di alberi secolari - avevo l'impressione di essere un
antico geologo, che studi tracce di uccelli e geroglifici sopra le esumate rocce, percorse da inimmaginabili creature, di cui siano ora defunti perfino gli
spettri.
Quella notte, steso nella mia cuccia, udii sul capo il
lento e greve strascicare di quei tre ponderosi stranieri che si aggiravano per il gremito ponte. La loro
stupidaggine, o la loro pertinacia, era così immensa, che non deviavano per ostacolo veruno.
Una si immobilizzò completamente, proprio prima
della seconda guardia. All'alba la trovai puntata
come un ariete contro l'inamovibile base dell'albero
maestro, ancora decisa, con ogni sua energia, a
vincere l'invincibile ostacolo.
Che queste tartarughe subiscano la retribuzione di
un qualche maligno, o forse addirittura diabolico,
incantatore, da nulla risulta così evidente come da
quella strana mania, che così sovente le possiede,
di compiere cose assolutamente impossibili.
Le ho viste, nel loro cammino, cozzare eroicamente
contro rocce, e restare a lungo impuntate a spingere, strisciare, impennarsi per smuovere la roccia,
tanto da non dover deflettere dalla loro immutabile
direzione. La loro maledizione suprema è questa
loro estenuante volontà di seguire sempre la linea
retta, in un mondo così gremito di ostacoli.
Le altre due tartarughe, non avendo, come la loro
compagna, incontrato un ostacolo, si limitarono a
cozzare contro minori impedimenti, quali secchie,
bozzelli, duglie di gomene, e talvolta, mentre cercavano di superarli, scivolavano e producevano un
frastuono terribile.
Per non accennare alla ben nota capacità di poter
sopravvivere a un anno intero di digiuno, considerate l'inespugnabile armatura della loro vivente corazza. Chi altri possiede siffatta cittadella, entro la quale resistere agli assalti del tempo?
Nel tender l'orecchio a questi movimenti, a questi
rumori, pensavo al loro luogo d'origine, a quell'isola piena di metallici crepacci e di gole, che affondano a perdita d'occhio tra schistose montagne, e
coperta per miglia e miglia da impraticabili cespugli.
Mentre, sempre con la lanterna in mano, grattavo
quei dorsi muscosi e contemplavo le antiche cicatrici
di ferite, prodotte da improvvise cadute tra le schistose montagne dell'isola - ferite stranamente dila-
E poi mi figuravo questi tre mostri dall'anima retta
che, un secolo dopo l'altro, neri come fabbri, s'insinuano tra quei rami, e strisciano così lenti e ponderosi, da lasciar crescere funghi e muffe sotto i
piedi, e un fuligginoso museo germinare sulle
schiene.
Con loro mi persi per vulcanici labirinti, mi strusciai
contro infiniti rami di putrefatti cespugli, finché in
sogno mi trovai seduto con le gambe incrociate a
sommo della tartaruga più elevata, tra due bramini
che avevano assunto la mia stessa posa, e con me
formavano un tripode di fronti, che reggeva la volta
dell'universo.
Tale fu il terribile incubo che in me produsse il primo incontro con le tartarughe delle Encantadas. Ma
la sera successiva, per strana che la cosa possa
sembrare, sedetti a tavola coi miei compagni di bordo e feci una splendida cena a base di bistecche di
tartaruga e zuppa di tartaruga, e dopo cena anch'io
estrassi il coltello e aiutai a convertire le possenti e
concave loriche in tre splendide zuppiere, e lustrai le
tre gialle piastre pettorali per trasformarle in altrettanti splendidi vassoi.