Il sesto lato dell`amore

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Il sesto lato dell`amore
Il sesto lato dell’amore
“… Vennero meno / i punti cardinali / dell’amore. / Cominciò allora / questo disamore …” Quando ho
cominciato a leggere le poesie di Lucilla mi sono ritornati subito in mente i versi iniziali di uno dei testi più
emblematici della poetessa polacca Wislawa Szymborska, Nell’arca: tra le impalpabili cose da salvare sotto
il diluvio che già si scatena c’è “la voglia di guardare le cose da sei lati” introdotta a fine strofa da un “e tu” a
sottolinearne l’importanza, l’essenzialità. Basterebbe quest’unico verso a sintetizzare lo slancio che spinge
a scrivere, quell’hic et nunc irripetibile che un lettore riconosce anche quando viene espresso in dettagli
minimi o che possono apparire tali, e che in realtà aprono a mondi, domande, inquietudini condivise. Così
accade per la parola “disamore” (pag.21) – sembra una lama di coltello, ma incontrandola ci si chiede se
non sia il sesto lato dell’amore, un sentimento talmente misterioso e insondabile da essere declinato anche
con quel prefisso che funziona per la logica ma non per il suono della parola, egualmente bello, come
venato di nostalgia, al di là della nostra razionalità e dei punti cardinali ben saldi dell’educazione
sentimentale ricevuta. La vecchiaia, la malattia, la morte: sono accomunate da una sorta di solennità, di
oltranza, di alterità, che la logica vorrebbe ignorare, ma la compassione si esercita, passo dopo passo, a
sfiorare…
E se comprendere è molto difficile, forse impossibile, c’è un ventaglio infinito di possibilità durante il
cammino, come in questo libro, di una madre e di una figlia. Già il bisogno di affidarsi alla poesia, decidendo
per una autenticità senza sconti né tenerezze di troppo; chi scrive si rappresenta come una donna riservata,
perfino scontrosa, in lotta contro la tentazione dell’abbandono, considerato in entrambi i significati del
lasciare l’altro e di lascare andare se stessi, allentando difese e scoprendo quello che non si sa. Anche le
parole lei le sceglie misurate, poche, versi brevi, brevissimi, scandagli acuminati della sua anima in fuga
dalla materna fragilità, ma se torniamo a leggere e a rileggere (a guardare le cose da sei lati, appunto),
scorgiamo a poco a poco il delinearsi della figura di una donna amata, bella, elegante, accanto a un marito
che le ha insegnato forse bellezza e amore; un padre, la cui morte quasi solo suggerita è impossibile da
racchiudere nei versi ma aleggia, come “l’altra grande morte” – e basta quell’aggettivo, grande, per
esprimere la ferita ancora aperta in chi scrive (pag 51). A noi l’immaginare cosa c’è nello spazio bianco dopo
i due ultimi versi di pag 25 : “accanto a lui stremato /di venerazione impotente.”
“Desiderarti morta / per sfuggire all’offesa / di vederti cambiata.” A pag 15 questa dichiarazione lapidaria
sembra senza appello – tempo inutile quello dell’attesa della morte quando si sa che non c’è possibilità di
guarigione. La madre vista soltanto come specchio di sofferenza, alla figlia il peso della lucidità da portare
per entrambe, ma basta confrontare i versi citati con l’ultima poesia per ricevere subito una smentita e per
accorgersi che una distanza è stata in parte colmata: salendo a fatica i tornanti di una quotidiana via crucis
la vista si è allargata, la confessione dei sentimenti affidata alle parole, ordinata nell’esercizio della
concisione e dello stile, apre uno spazio nuovo. Si ammette il non ritorno, il rito e la solennità della morte,
l’unione possibile di chi va e di chi resta nel gesto simbolico e anticipato dell’offerta: l’obolo da dare a
Caronte perché le anime abbiano una loro dimora nell’aldilà e non si smarriscano. E la visione messa in
clausola spiazza, fa crollare muri e divisioni additando lontanamente lo scorrere; ammette ogni attimo di
vita, di ricordo, di stupore, di sorriso infantile, di incongrua ritrosia, nel grembo caldo della vita che resiste e
della vita che si sfoglia come i petali di una rosa che ritornano alla terra.
“Tu non puoi saperlo / non te lo dirò mai / ma questa confessione / mi fa entrare ogni volta / con un’altra
premura. / La moneta infilata / in bocca al morto / per ammettere lui / ma anche chi lo pensa / nella
caverna / di un mondo / che non dà ritorno.”
Ecco, se i libri si possono leggere al dritto e al rovescio, se proviamo a leggere il primo libro pubblicato forse
un po’ timidamente da una scrittrice che ha alle sue spalle una quantità di altre scritture, sempre con il suo
tocco “poetico” capace di schiuderti frammenti di arte paesaggi personaggi, arrivando al cuore delle cose e
dei lettori, ricominciando dalla fine, potremo compiere un altro viaggio, scoprendo quanto amore si cela,
ogni volta, in ogni dettaglio, dietro il velo del disamore, e quanto la speranza possa ancora illuminare la
vista che si apre su impensati orizzonti.
Maria Grazia Maiorino