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16 gennaio 2017 delle ore 13:02
L’amore e la violenza. Ovvero: i Baustelle
Molto pop e molto colta. Guarda all’arte, al cinema, alla letteratura. Quella dei Baustelle è una
musica che nutre mente e orecchie. Come dimostra l’ultimo album
La musica dei Baustelle o la si ama o la si odia.
Sarà questa capacità di dividere in maniera così
netta il pubblico, sarà la loro imprevedibilità,
ma sta di fatto che la band di Montepulciano
rappresenta un fatto del tutto singolare nel
panorama dell’odierna musica italiana e al
contempo uno di quei rari casi in cui dinamiche
di produzione e composizione sembrano avere
sullo sfondo un pensiero più attinente alle arti
contemporanee che alla musica stessa. Non
sarebbe difficile affiancare il nome dei
Baustelle a quello di Maurizio Cattelan o
Damien Hirst, o, ancora, andando a ritroso,
Andy Warhol, Lucio Fontana, Piero Manzoni,
Marcel Duchamp. Per una certa attitudine
postmoderna a macinare e rielaborare materiali
provenienti da contesti culturali differenti, per
il continuo citazionismo, il cut-up di frammenti
di mondo, di letteratura e reale, certo; ma anche
e soprattutto per l’indiscutibile capacità di aver
dato vita ad un immaginario potente, che al pari
di opere come Him (il celebre Hitler
inginocchiato di Cattelan), Charlie Don’t Surf
(altra opera di Cattelan dalla quale i Buastelle
traggono una delle loro più celebri hit) o For
love of God (di Damien Hirst) si manifesta
come una lettura singolare e personalissima del
mondo tutto. Come un taglio sulla tela, come
un orinatoio all’interno di un museo, sin dalle
origini della loro carriera i Baustelle hanno
mostrato cosa la musica pop potesse essere in
Italia e di cosa la musica pop potesse parlare.
Così, con buona pace dei suoi detrattori, quando
quattro anni fa, la band di Montepulciano
pubblicava Fantasma, concept album intorno ai
temi della morte e del tempo, era già chiaro che
si preparava ad entrare definitivamente nel
novero dei grandi classici del cantautorato
italiano. Non solo, con il suo sesto disco
aggiungeva una nuova pagina a questo ampio
percorso artistico che potremmo definire come
una tesi in forma di canzone sull’esigenza e i
significati del "pop” nel panorama italiano
contemporaneo.
Sulla capacità di Francesco Bianconi – testa e
fine penna della band insieme a Rachele
Bastreghi e Claudio Brasini – di raccontare il
presente molto è stato già detto. È ormai
assodato che l’intera discografia della band - a
partire da Sussidiario Illustrato Della
Giovinezza, per passare a La Moda del Lento,
La Malavita, Amen, I Mistici dell’Occidente rappresenti la sintesi migliore degli ultimi
vent’anni della storia italiana, con i suoi
retroscena politici, le sue mode, le sue perdite,
le sue glorie, le sue produzioni culturali, le sue
giovinezze conquistate, rubate, esiliate e
sciupate. Qualcosa che sposta il brand
"Baustelle” ancora una volta fuori dall’ambito
meramente musicale lasciandolo approdare nel
terreno meno definito di un immaginario
collettivo diffuso, che, tra suggestioni letterarie
e cinema, nel nome della band si concentra e
concretizza, come una galassia fotografata da
uno spazio-tempo lontanissimo. Questa
effimera "eternità” dei Baustelle, questa
distanza siderale (Qui disco volante, non
temeteci, sul pianeta terra cerchiamo un cuore –
L in Amen), sta tutta nella capacità di fuggire
fotografie ravvicinate e in velocità del presente,
quasi che la scrittura di Bianconi si nutra
costantemente della consapevolezza di un
necessario salto nel passato - quel luogo in cui
memoria e immaginario si sedimentano - per
guardare l’oggi - quel luogo in cui memoria e
immaginario sono definitivamente persi. Il
rumore di questa perdita potrebbe essere, per i
Baustelle, una buona definizione del "pop”:
l’esplosione del presente che si scontra con
l’immaginario del suo passato più prossimo,
tutti gli ieri che soccombono all’oggi, una bolla
di sapone che si sfalda nell’aria. "Pop” come il
suono di un’immagine che entra in un’altra
immagine e che richiama, inevitabilmente,
quanto di più lancinante ed eterno ci sia nella
vita: la sua inconsistenza. Così l’adolescenza,
età che attraversa tematicamente tutta la
produzione musicale del gruppo, non è altro che
la perfetta rappresentazione di questo rapporto:
una condizione eterna, quella della storia – della
provincia italiana - che fa i conti con se stessa
e le sue rovine, con la sua indecifrabilità (Ed i
cantanti dalle radio cantano, ed ogni anno foglie
morte nascono, comete nuove cadono per un
errore cosmico, e l’universo è inutile – A vita
bassa in La Malavita).
In questo senso L’Amore e la Violenza, ultimo
album del gruppo, pubblicato il 13 Gennaio e
distribuito da Warner Music, rappresenta la
cristallizzazione di cosa il pop sia per i Baustelle
e di cosa i Baustelle siano per il pop italiano:
un "soulèvement”. «Sollevarsi è spaccare un
certo presente anche a colpi di martello, come
vorranno fare Friedrich Nietzsche o Antonin
Artaud, e sollevare le braccia verso il futuro che
si apre. È un segno di speranza e di resistenza.
È un gesto e un’emozione», scrive George DidiHuberman. Questo segno abita la copertina de
L’amore e la violenza, ispirata ad un
fotogramma del film If… (1968), diretto da
Linsay Anderson, che non a caso si chiude con
una violentissima "rivolta”, una sparatoria dai
tetti della scuola da parte di un gruppo di
studenti contro loro coetanei e professori (e un
certo leitmotiv sessantottino attraversa silenziosamente l’intero album della band). Questo
gesto vive nella patinatura vintage e
spudoratamente pop del disco («pop come una
bestemmia» lo ha definito lo stesso Bianconi).
Se in Fantasma Mahler, Ligeti, Stravinskij
incontravano le colonne sonore di Morricone,
fotogrammi dal cinema di Dario Argento e
Sergio Leone, i versi di Pasolini, Montale, De
André, le parole di Gadda, Dickens, Edgar
Allan Poe, la voce di Leo Ferré, L’amore e la
Violenza incunea, nelle dieci tracce che lo
compongono, riferimenti alla discomusic anni
‘70 e ‘80, dagli Orchestral Manoeuvres in the
Dark a Giorgio Moroder, alla canzone italiana,
da Battiato a De Gregori, alla canzone
sanremese passando per Amanda Lear, Viola
Valentino, Diana Est, Ricchi e Poveri, unendo
"Sandokan” ai Duft Punk e facendo propri
contemporaneamente David Foster Wallace e
De Sade, D’Annunzio e Jacques Prévert e
ancora Leo Ferrè. Un disco capace di suonare "
gaiamente” kitsch, di tuffarsi audacemente nel
trash, per riemergere come un album doloroso –
forse l’album più doloroso dei Baustelle – e al
contempo luminoso come una falena, la stessa
che in Lepidoptera si attacca follemente alla vita
(Io non sono stato mai così schiavo del mondo
e attaccato alla vita, una falena di luce drogata –
in L’Amore e la Violenza).
La scrittura usualmente narrativa di Bianconi
si sfalda nella giustapposizione di frammenti in
cui l’idiozia di questi anni (in rima ne Il vangelo
di Giovanni) emerge spietata nella fine di un
amore sovrapposto all’icona di Amanda Lear
(Amanda Lear), nella crisi di un’Europa alla sua
ultima canzone (Eurofestival) in quella di
Elisabetta anche lei tremante come una foglia
tra droghe e social network (Betty), tra turisti
giapponesi al giubileo, lettere del Papa sulla
fedeltà dei cani, attentati, bombe, esplosioni,
jihadisti, scambisti, separatisti, etero e gay. A
fare da contropartita a questa decadenza è
l’autoironia dei Baustelle, sempre tagliente e
capace di tramutarsi in una forma di leggerezza,
in "canzonette” di speranza, in una gradevole
resa all’essere delle cose (Torneremo a fare
l’amore vedrai, a guardarci dritto negli occhi,
ci si abitua a tutto, alle bombe, alle esplosioni,
alla storia, al calendario. Non aver paura, non
piangere mai…- L’era dell’Acquario in
L’Amore e La Violenza). Ecco la vita che
avanza, nonostante i padri, nonostante tutto,
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come nelle strofe, cantate su citazione musicale
de La donna cannone e dedicate alla figlia dello
stesso Bianconi, in Ragazzina, uno dei brani più
struggenti del disco. Sollevarsi lievemente,
vivere a perdere. Perché «la vita è tragica, però
è fantastica, essendo inutile, è solo immagine,
è tutta estetica», cantano i Baustelle per far
cantare anche noi. Ed è tutto qui. Ed è molto pop.
Matteo Antonaci
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