come fiori nel deserto - Parrocchia Divina Provvidenza

Transcript

come fiori nel deserto - Parrocchia Divina Provvidenza
2008 - 2013: Cinque anni di Consiglio Pastorale Parrocchiale
Il prossimo settembre si terranno le elezioni per il rinnovo. Una commissione è stata incaricata di predisporle. Per prepararci, ecco
la testimonianza di chi in questo quinquennio ha svolto il prezioso servizio di Segretario del Consiglio.
21 Settembre 2008: scelta dei candidati eleggibili al consiglio
5 Ottobre 2008: elezione dei membri del nuovo Consiglio Pastorale Parrocchiale.
22 Ottobre 2008: primo incontro del C.P.P ed elezione del segretario.
Questi i tre passi che cinque anni fa mi hanno portato a diventare segretario del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Un compito che mi
ha colto impreparato: la mia precedente partecipazione all’attività parrocchiale era saltuaria, non avevo esperienze precedenti di questo
tipo, mi sentivo impreparato. Ora, a distanza di cinque anni, provo a fare un bilancio.
Innanzitutto, come viene formato il Consiglio?
Per statuto, sono membri di diritto i religiosi presenti in parrocchia: i sacerdoti e il diacono. E’ membro del consiglio anche la responsabile delle suore della Carità di S.Giovanna Antida Thouret, che hanno la loro sede nei locali della parrocchia.
Ci sono poi 3 membri laici, scelti direttamente dal parroco, e 15 membri eletti, scelti per votazione direttamente dall’assemblea dei
parrocchiani. La votazione viene fatta nelle domeniche di Settembre, per consentire che il consiglio possa insediarsi con l’inizio del
nuovo Anno Liturgico.
In totale un gruppo di una ventina di persone, normalmente impegnate in parrocchia a vario titolo, rappresentanti di tutta la comunità
dei fedeli, che si incontrano con l’obiettivo di aiutare il parroco a definire, preparare e realizzare il programma pastorale della parrocchia.
Il consiglio si riunisce 6 - 7 volte l’anno, circa una volta ogni due mesi. La partecipazione alle riunioni è sempre stata molto alta, mediamente è stato presente oltre il 75% dei membri, positivo segno che l’impegno assunto è stato preso in modo serio. Chi per tante ragioni
(malattia, impegni di lavoro) non poteva partecipare ne dava avviso in anticipo al parroco o al segretario.
A distanza di cinque alcuni membri del consiglio sono cambiati: alcuni hanno lasciato per causa di forza maggiore, come don Raffaele
o suor Maria Chiara o suor Teresina, destinati fuori parrocchia. Altri si sono avvicendati per favorire la rappresentanza del proprio
gruppo parrocchiale. Altri infine hanno deciso di rassegnare le proprie dimissioni. Nessun dimissionario eletto dall’assemblea è stato
sostituito da altri. Unica sostituzione si è avuta per un membro dimissionario che, scelto dal parroco, è stato sostituito da un altro rappresentante scelto anch’esso dal parroco, come nelle sue prerogative.
Cosa ha fatto in questi cinque anni il consiglio? Come ha operato?
Come si ricordava in precedenza, l’attività del consiglio è quella di aiutare il parroco nel definire, preparare e realizzare il programma
pastorale della parrocchia. Ma come vengono individuati i temi pastorali da portare avanti ?
La prima indicazione arriva dalla diocesi: all’inizio di ogni anno liturgico il vescovo di Torino, dopo aver sentito gli operatori pastorali
di tutta la diocesi, definisce un piano pastorale di indirizzo per la diocesi, un tema pastorale che viene presentato in una lettera distribuita ai fedeli. Ai parroci e alle parrocchie viene richiesto, per quanto è nelle loro possibilità, di attenersi a queste direttive diocesane.
Da queste direttive sono nate i grandi temi di pastorale diocesana degli anni scorsi, cui la nostra parrocchia ha aderito con entusiasmo.
Ad esempio: l’iniziazione cristiana, la pastorale neo catecumenale, la pastorale dei giovani, la catechesi degli adulti, la formazione degli operatori parrocchiali, il nuovo rito delle esequie, la pastorale Battesimale e, quest’anno, la valorizzazione del fonte battesimale.
Un secondo spunto proviene dall’Unità Pastorale (U.P.). I parroci e i membri delle Equipe individuano dei temi di cammino comune
per le parrocchie della U.P. In questo caso possiamo ricordare la formazione delle catechiste, i corsi per i lettori, la Via Crucis comune
per le strade dell’Unità Pastorale.
Sono stati affrontati anche temi di carattere socio-culturale, come il Cineforum, la mostra su Antonio Testa (l’artista che ha realizzato il
quadro posto in alto nella nostra abside, oltre che i mosaici della pala d’altare), la mostra sul cardinal Massaia, il concerto-meditazione
“Frammenti di Luce” e altri momenti.
Ci sono poi i momenti di attualità che caratterizzano la vita della nostra parrocchia. Ad esempio, il cambio dell’orario delle S.Messe,
la valorizzazione dei gruppi di volontariato a valenza extra parrocchiale, come l’Azione Cattolica e la Conferenza di S.Vincenzo, ma
anche la preparazione del calendario pastorale, l’organizzazione per la festa patronale, per i ritiri spirituali, la valorizzazione del nostro
teatro, del giornalino e del sito internet parrocchiale.
Cosa mi ha colpito di più in questi cinque anni?
La serietà e compostezza con cui sono stati affrontati tutti i temi. Alcune volte le decisioni sono state semplici, altre volte sono state il
frutto di un lungo confronto, di una meditazione, di una rivisitazione della proposta. Sempre però i membri del consiglio hanno avuto
ben chiaro il servizio cui erano stati chiamati: valutare la proposta dal punto di vista della pastorale parrocchiale, la sua rilevanza, la
sua attinenza. Non sempre le decisioni sono state prese all’unanimità, ma poi sono state portate avanti concordemente.
Una cosa molto bella che ho percepito è stato il cammino del consiglio che in questi cinque anni è diventato sempre più un gruppo
affiatato. Nel gruppo si è creato un forte sentimento di amicizia e condivisione delle proprie esperienze. Credo che sia stato molto
importante per tutti la consapevolezza del proprio compito, la serietà nell’affrontarlo e la preghiera e l’ascolto del Signore nel cercare
le risposte e nel prendere decisioni che non devono limitarsi al proprio ambito individuale ma devono essere pensate come pastorale
per tutta la comunità parrocchiale.
Per finire, una considerazione, in vista delle prossime rielezioni del Consiglio.
A tutti i fedeli della nostra parrocchia dico: le prossime elezioni saranno a Settembre, tra pochissimo. Non aspettate l’ultimo momento per individuare un parrocchiano in cui riporre la vostra fiducia, di cui conosciate la figura ma non il nome. Non siate timidi,
avvicinate la persona, chiedetele il nome. Siamo una comunità: è importante che impariamo a conoscerci di più.
Un caro saluto a tutti.
Il segretario del C.P.P.
Guido Castello
Foglio interno di collegamento della comunità parrocchiale - maggio 2013
L’ANNO DELLA FEDE
COME FIORI NEL DESERTO
Tra le mie avventure di giovane prete c’è stata la collaborazione per la nascita e il primo sviluppo dell’Associazione che si occupava di giovani tossicodipendenti che chiedevano aiuto. Un bel gruppo di laici e
laiche costituivano la struttura portante dell’iniziativa. Tra questi, ben presto ci fu anche chi era passato
attraverso la devastante esperienza della droga e che voleva mettere a disposizione di altri la sua storia. Li
ricordo con viva riconoscenza.
Decidemmo di chiamare l’associazione “La ginestra”. Qualcuno dei più istruiti tra noi ricordava la splendida e triste poesia del Leopardi. Ma tutti riconoscevano in quel fiore che nasce e cresce in terra vulcanica
e non teme l’aridità e la solitudine l’espressione dell’indomita forza della vita. Questo volevamo realizzare con l’associazione, questo voleva esprimere quel nome di fiore vulcanico.
L’anno della fede è stato voluto e avviato da Papa Benedetto XVI, il quale non ha esitato a parlare della
“desertificazione” delle nostre città causata dalla devitalizzazione della fede (nella sua duplice valenza: mi
fido di…e credo che…). Ci ha aiutati con le sue illuminanti catechesi e anche con il suo grande esempio.
Nella Chiesa e nel mondo la fede fa la differenza.
Anche noi, nel nostro piccolo, ci siamo impegnati a rivisitare la nostra fede e a sostenerla con alcune catechesi. Abbiamo cercato di valorizzare alcuni esempi, che grazie a Dio non mancano. Proprio come fiori
in terra desertica!
Dice bene il parroco di S. Rita, nel suo editoriale dell’ultimo numero del giornalino, quando invita a riconoscere i cristiani di Nazareth (come Bruno, pensionato di Porta Palazzo, e Piccolo Fratello di Charles De
Foucauld), i “fedeli nessuno”: “non parlano mai, le loro opere sono così feriali, non si fanno mai notare”.
Da queste presenze nascoste è arricchito il nostro mondo, è sostenuta la nostra poca fede.
Ma di che cosa si tratta? Come possiamo esprimere questa forza che li muove nell’umiltà e nell’amore?
E’ vero che qualcuno ce l’ha e altri, più sfortunati, no?
Di questa realtà parla con felice espressione la poetessa Alda Merini:
“la fede è una mano
che ti prende le viscere,
la fede è una mano
che ti fa partorire”.
Chissà se questo anno della fede ci aiuterà a smontare questo luogo comune, che giustifica tanti nella loro
pigrizia e impedisce a molti di vedere la realtà? Come l’apostolo che, entrato anche lui nel sepolcro vuoto,
“vide e credette”!
Che il Signore aumenti la nostra fede! Ci aiuti a vedere nei problemi, nei vuoti, nelle sfide altrettanti spazi
per la libertà, l’azione. Appunto: la fede!
don Sergio
In questo numero:
pagg. 2 e 3: Quando Don Plassa “tornò a casa”
pag. 4: Il rinnovo del Consiglio Pastorale Parrocchiale
ALLEGATO: Lettera ai Parrocchiani sul nuovo Rito delle Esequie
Il sito internet della Parrocchia
ha un nuovo indirizzo:
www.madonnadivinaprovvidenza.it
mentre l’indirizzo mail rimane invariato:
[email protected]
simili scelte, che possono sottintendere concezioni panteistiche o naturalistiche. Soprattutto nel caso di spargimento delle ceneri o di sepolture anonime si impedisce la possibilità di esprimere con riferimento ad un luogo preciso il dolore personale e comunitario. Inoltre, si rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo. Per le generazioni successive la vita di coloro che le hanno precedute scompare senza lasciare tracce”. Parrocchia Madonna della Divina Provvidenza ‐ Unità Pastorale 10 “Parella” Il funerale non si “paga” Dal 1981, per una decisione dell’allora Arcivescovo Card. Ballestrero, nella nostra Diocesi non ci sono tariffe né per i matrimoni né per i funerali. Il Sinodo diocesano del 1997 ha confermato tale orientamento. E’ consuetudine che le famiglie cristiane, in occasione del funerale di un congiunto, facciano un’offerta alla parrocchia, tenendo anche conto dell’impegno di alcune persone (organista, pulizie), e dei costi (luce e, in periodo invernale, riscaldamento). Ma in ogni caso l’offerta è libera e chi non può dare nulla, non deve nulla. CELEBRARE LE ESEQUIE NEL SEGNO DELLA SPERANZA Maggio 2013 LETTERA AI PARROCCHIANI “La liturgia cristiana dei funerali è celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore. Nelle esequie, la Chiesa prega che i suoi fedeli, incorporati per il Battesimo a Cristo morto e risorto, passino con Lui dalla morte alla vita e, debitamente purificati nell’anima, vengano accolti con i santi e gli eletti nel cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della venuta di Cristo e la risurrezione dei morti” Nuovo rito delle esequie, Premesse generali, 1 Brevi parole di cristiano ricordo del defunto Sempre nelle parole dei Vescovi italiani nel presentare il nuovo Rito della Esequie, troviamo questa importante raccomandazione: al momento del commiato, “possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si eviti il ricorso a testi o immagini registrati, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia”. L’esperienza insegna che il cristiano ricordo è aspetto delicato, che richiede pazienza e reciproca stima e fiducia. I Vescovi chiedono di preparare un testo scritto, breve, concordato con il parroco (da questo colloquio possono venire buoni suggerimenti e anche aiuti per vivere l’emozione del momento, e mantenere l’intervento nel clima della liturgia cristiana). Carissimi Parrocchiani, prendo spunto da quest’ultima raccomandazione dei Vescovi per ricordare l’importanza di due cose: • nell’imminenza o nel probabile rischio di morte di una persona cara, non esitate a chiamare il sacerdote per i Sacramenti e la preghiera (in parrocchia se il malato è in casa, chiedendo l’intervento del cappellano in ospedale). Si è diffusa una specie di superstizione per cui chiamare il prete sembra un segno infausto. L’esperienza invece insegna che la presenza del sacerdote è di grande conforto spirituale per il malato in pericolo di vita e per i familiari. Inoltre, il valore dei Sacramenti (confessione quando possibile, unzione degli infermi e Viatico) e della preghiera in punto di morte è una certezza della nostra fede: chi siamo noi per arrogarci il diritto di negarlo ai nostri cari? • il momento in cui si va in parrocchia a segnalare il decesso e concordare i funerali rischia spesso di ridursi a un “passaggio burocratico”. Noi parroci, preti e diaconi siamo invece a disposizione per trasformare questo momento in un dialogo nel segno della speranza e del conforto che ci vengono dalla fede nell’amore di Dio. Il vostro Parroco don Sergio Baravalle
4
Carissimi Parrocchiani, dal 2 novembre 2012 è in vigore il nuovo Rito delle Esequie. Di che cosa si tratta? Di un bel dono del Concilio Ecumenico Vaticano II! I grandi orientamenti del Concilio erano già stati recepiti nel Rito delle Esequie entrato in vigore nel 1975. Ora, alla luce dell’esperienza e di un’ampia consultazione, i nostri Pastori hanno rinnovato il Rito, tenendo conto anche dei segni dei tempi che viviamo. Tra le novità introdotte dal Concilio, già presenti nella precedente edizione del Rito e confermate in quello nuovo, credo si debba mettere in evidenza la forte centratura sul Mistero pasquale. Riporto a titolo esemplificativo l’orazione del Messale Romano, riproposta in tante versioni nel nuovo Rito delle Esequie: “Dio, Padre misericordioso, tu ci doni la certezza che nei fedeli defunti si compie il mistero del tuo Figlio morto e risorto; per questa fede che noi professiamo concedi al nostro fratello …, che si è addormentato in Cristo, di risvegliarsi con lui nella gioia della risurrezione….” In questa lettera vi propongo in sintesi i punti più rilevanti del nuovo Rito e vi presento le linee che la nostra Parrocchia seguirà per metterlo in pratica. Un confronto A molti di noi può capitare oggi di osservare il modo in cui alcuni migranti vivono il lutto. Un modo che ci ricorda – almeno ai più maturi e anziani di noi – il costume diffuso e praticato anche in Italia fino alla fine degli anni ’60, cioè prima della “mutazione culturale” che ha investito la nostra società modificando profondamente stili di vita e tradizioni. Quel modo di elaborare il lutto riguardava i tempi della vita, il vestito con la prevalenza del colore nero, le solidarietà corte e lunghe nel paese e nella città, la dimensione pubblica con il corteo, il suono delle campane. Tutto questo si è sfaldato e spesso smarrito, lasciandoci più poveri. Riforma nella continuità Il nuovo Rito offre, in continuità e in rinnovamento col precedente, possibilità varie e provvidenziali per vivere bene il momento della morte dei nostri cari, e quindi vivere bene la nostra vita “tout court ”. Perché di questo si tratta! Il modo di seppellire i morti è testimonianza di civiltà di un popolo, è espressione della fede pasquale del popolo di Dio. Il nuovo Rito non cambia radicalmente il precedente, lo ribadisce per gli aspetti incompresi o sottovalutati e lo integra felicemente per quelli proposti dai tempi che viviamo (ad esempio affrontando il tema della cremazione). 1
Più precisamente, troviamo una più ampia e articolata proposta rituale e la traduzione rinnovata delle preghiere e dei testi biblici (secondo la nuova versione della CEI), che integra i testi delle monizioni e delle preghiere, offre apposite indicazioni per nuove situazioni pastorali e presenta nuove melodie per i canti. • valorizziamo tutto il dispositivo rituale, riconoscendolo come dono coerente con le sfide del nostro tempo • per un periodo di prova di cinque anni, celebreremo abitualmente le Esequie con la Liturgia della Parola, invitando i parenti ad unirsi alla comunità parrocchiale nella S. Messa festiva più prossima e nella trigesima (a trenta giorni circa dalla morte), avendo cura di prepararsi nel modo migliore, se necessario anche con il Sacramento della Riconciliazione. Vediamo più da vicino Ogni fedele e ogni famiglia ha a disposizione un insieme articolato di preghiere, simboli e gesti, codificati dalla tradizione e opportunamente adattabili alle varie circostanze (se il parente è morto in casa o in ospedale, se dopo lunga malattia o improvvisamente…). Innanzi tutto, vengono offerte indicazioni per una preghiera immediatamente dopo la morte, con la possibilità di respirare da subito (proprio quando il dolore è così forte che fa mancare il fiato!) l’aria fresca e sana della preghiera della Chiesa, soprattutto con i Salmi. In questo momento la presenza di un Ministro Ordinato (vescovo, prete o diacono), pur preziosa se è possibile, non è indispensabile: un laico, parente o amico di famiglia, preparato per questo servizio, o un membro idoneo della comunità parrocchiale può aiutare a vivere bene questo momento. Una seconda possibilità è data dalla Veglia in casa o in chiesa. E’ una celebrazione diversa dal tradizionale Rosario, si basa sull’ascolto della Parola di Dio e dà l’occasione di rinnovare con i congiunti e gli amici la Professione di Fede. Nella Veglia non si esclude la preghiera del Rosario, che rimane una grande preghiera, ma è sempre meno compresa, nel clima secolarizzato e impoverito che viviamo, e rischia di diventare in molti casi la ripetizione “meccanica” di una serie di Ave Maria. Anche nella Veglia proposta dal nuovo Rito c’è posto per una varietà di collaboratori: per il canto, così prezioso se ben fatto; per la lettura della Parola, che è proclamazione della buona notizia; per le preghiere e per la testimonianza. Se è presente un Ministro Ordinato, all’ascolto della Parola di Dio segue la predicazione. C’è una terza possibilità, è nuova e merita fiducia e coraggio. Poco prima della chiusura della bara, il nuovo Rituale propone un piccolo grande gesto: un velo bianco sul volto del nostro defunto, con alcune preghiere illuminanti e consolanti. Di quel volto ci resterà traccia nella memoria, fino al Giorno della Risurrezione, quando risplenderà trasfigurato “ad immagine del Suo volto glorioso”. Proteggendo il volto, il velo custodisce simbolicamente questa speranza. Il Card. Martini ha scritto: “Il volto non può essere usato o sfruttato per nessun motivo, deve essere soltanto riconosciuto, rispettato, amato. ‘Il volto dell’altro’ ci parla per sé stesso, senza bisogno di altri argomenti”. Quarto elemento: la celebrazione in chiesa. I Vescovi italiani scrivono: “si raccomanda di conservare come normale consuetudine lo svolgimento dei funerali nella chiesa parrocchiale con la celebrazione della Messa. Possono presentarsi situazioni pastorali nelle quali è opportuno, o addirittura doveroso, tralasciare la celebrazione della Messa e ordinare il rito esequiale in forma di liturgia della Parola” (Precisazioni 1 e 2). A questo proposito, noi preti e diaconi dell’Unità pastorale 10 “Parella” (Parrocchie Madonna della Divina Provvidenza, S. M. Goretti, S. Ermenegildo, Visitazione e S. G. d’Arco) ci siamo confrontati e abbiamo consultato l’Equipe dell’Unità Pastorale, per una interpretazione di queste indicazioni nel contesto che ci caratterizza. A seguito di questa consultazione, ho portato il tema all’attenzione del nostro Consiglio Pastorale Parrocchiale, e abbiamo deciso che nella nostra Parrocchia procederemo così: 2
Abbiamo deciso così per i seguenti motivi: • la S. Messa con la Comunione merita da parte di tutti noi il massimo rispetto. Partecipiamo a volte a celebrazioni caratterizzate da grande spirito di fede, dove la sofferenza trova espressione nella preghiera, il canto rende ragione della speranza, la partecipazione numerosa di parenti e amici è testimonianza di solidarietà umana e cristiana. Altre volte però, e non raramente, incontriamo assemblee ammutolite non solo dal dolore, ma anche da una certa distanza che si è andata consolidando nel tempo, fino a diventare estraneità, e abbiamo l’impressione che le parole e i riti non intercettino l’attenzione dei presenti; talvolta, finisce col prevalere l’emozione. In questi casi, sempre più frequenti, la Santa Messa con la Comunione sembra ridotta a rito civile • si riduce vistosamente il numero dei preti, mentre rimane alto il numero dei funerali cristiani; la Diocesi di Torino dispone, grazie a Dio, di un buon numero di Diaconi permanenti, che non “celebrano” la Messa, ma possono presiedere la Liturgia della Parola. Affinché il nuovo Rituale sia valorizzato a dovere, è auspicabile che nei prossimi mesi e anni le comunità parrocchiali possano esprimere persone idonee ad accompagnare le famiglie e i singoli nel tempo della morte del lutto. E speriamo di offrire loro, in accordo con l’Ufficio Liturgico diocesano, opportunità formative. Pensiamo in particolare alla preghiera in famiglia subito dopo la morte, al momento della chiusura della bara, alla Veglia e al Cimitero. Il canto “Le esequie, per quanto è possibile, siano celebrate con il canto”. Così scrivono i nostri Vescovi. L’indicazione è chiara e realistica. Fa riferimento al grande valore del canto e anche, implicitamente, alle difficoltà di ottenerlo: un canto ben fatto non si improvvisa; il celebrante non può e non deve, di norma, fare da solo; il grande tenore Alfredo Kraus diceva: “Per cantare ci vuole anche la voce, ma è l’uso che se ne fa … quello che conta ”. Anche per questo aspetto importante, potremo applicarci per assicurare un buon livello di qualità alle nostre celebrazioni, favorendo la partecipazione di un bravo organista e di cantori idonei, a sostegno del canto e della preghiera dell’assemblea. La cremazione Nel nuovo Rituale i Vescovi esprimono in dettaglio le considerazioni e le motivazioni della posizione della Chiesa su questo tema. Le riassumo così: 1. La Chiesa ha sempre privilegiato la sepoltura del corpo dei defunti. La tradizione che custodisce la fede nella risurrezione dei morti esprime così da due millenni la pietà dei fedeli, e favorisce la preghiera di suffragio. 2. La Chiesa, però, non si oppone alla cremazione, purché questa scelta non sia motivata da considerazioni contrarie alla fede. 3. Ai fedeli che compiono questa scelta, la Chiesa offre apposite indicazioni liturgiche e pastorali. 4. C’è invece una motivata contrarietà di fronte alla prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero: “La Chiesa ha molti motivi per essere contraria a 3
Più precisamente, troviamo una più ampia e articolata proposta rituale e la traduzione rinnovata delle preghiere e dei testi biblici (secondo la nuova versione della CEI), che integra i testi delle monizioni e delle preghiere, offre apposite indicazioni per nuove situazioni pastorali e presenta nuove melodie per i canti. • valorizziamo tutto il dispositivo rituale, riconoscendolo come dono coerente con le sfide del nostro tempo • per un periodo di prova di cinque anni, celebreremo abitualmente le Esequie con la Liturgia della Parola, invitando i parenti ad unirsi alla comunità parrocchiale nella S. Messa festiva più prossima e nella trigesima (a trenta giorni circa dalla morte), avendo cura di prepararsi nel modo migliore, se necessario anche con il Sacramento della Riconciliazione. Vediamo più da vicino Ogni fedele e ogni famiglia ha a disposizione un insieme articolato di preghiere, simboli e gesti, codificati dalla tradizione e opportunamente adattabili alle varie circostanze (se il parente è morto in casa o in ospedale, se dopo lunga malattia o improvvisamente…). Innanzi tutto, vengono offerte indicazioni per una preghiera immediatamente dopo la morte, con la possibilità di respirare da subito (proprio quando il dolore è così forte che fa mancare il fiato!) l’aria fresca e sana della preghiera della Chiesa, soprattutto con i Salmi. In questo momento la presenza di un Ministro Ordinato (vescovo, prete o diacono), pur preziosa se è possibile, non è indispensabile: un laico, parente o amico di famiglia, preparato per questo servizio, o un membro idoneo della comunità parrocchiale può aiutare a vivere bene questo momento. Una seconda possibilità è data dalla Veglia in casa o in chiesa. E’ una celebrazione diversa dal tradizionale Rosario, si basa sull’ascolto della Parola di Dio e dà l’occasione di rinnovare con i congiunti e gli amici la Professione di Fede. Nella Veglia non si esclude la preghiera del Rosario, che rimane una grande preghiera, ma è sempre meno compresa, nel clima secolarizzato e impoverito che viviamo, e rischia di diventare in molti casi la ripetizione “meccanica” di una serie di Ave Maria. Anche nella Veglia proposta dal nuovo Rito c’è posto per una varietà di collaboratori: per il canto, così prezioso se ben fatto; per la lettura della Parola, che è proclamazione della buona notizia; per le preghiere e per la testimonianza. Se è presente un Ministro Ordinato, all’ascolto della Parola di Dio segue la predicazione. C’è una terza possibilità, è nuova e merita fiducia e coraggio. Poco prima della chiusura della bara, il nuovo Rituale propone un piccolo grande gesto: un velo bianco sul volto del nostro defunto, con alcune preghiere illuminanti e consolanti. Di quel volto ci resterà traccia nella memoria, fino al Giorno della Risurrezione, quando risplenderà trasfigurato “ad immagine del Suo volto glorioso”. Proteggendo il volto, il velo custodisce simbolicamente questa speranza. Il Card. Martini ha scritto: “Il volto non può essere usato o sfruttato per nessun motivo, deve essere soltanto riconosciuto, rispettato, amato. ‘Il volto dell’altro’ ci parla per sé stesso, senza bisogno di altri argomenti”. Quarto elemento: la celebrazione in chiesa. I Vescovi italiani scrivono: “si raccomanda di conservare come normale consuetudine lo svolgimento dei funerali nella chiesa parrocchiale con la celebrazione della Messa. Possono presentarsi situazioni pastorali nelle quali è opportuno, o addirittura doveroso, tralasciare la celebrazione della Messa e ordinare il rito esequiale in forma di liturgia della Parola” (Precisazioni 1 e 2). A questo proposito, noi preti e diaconi dell’Unità pastorale 10 “Parella” (Parrocchie Madonna della Divina Provvidenza, S. M. Goretti, S. Ermenegildo, Visitazione e S. G. d’Arco) ci siamo confrontati e abbiamo consultato l’Equipe dell’Unità Pastorale, per una interpretazione di queste indicazioni nel contesto che ci caratterizza. A seguito di questa consultazione, ho portato il tema all’attenzione del nostro Consiglio Pastorale Parrocchiale, e abbiamo deciso che nella nostra Parrocchia procederemo così: 2
Abbiamo deciso così per i seguenti motivi: • la S. Messa con la Comunione merita da parte di tutti noi il massimo rispetto. Partecipiamo a volte a celebrazioni caratterizzate da grande spirito di fede, dove la sofferenza trova espressione nella preghiera, il canto rende ragione della speranza, la partecipazione numerosa di parenti e amici è testimonianza di solidarietà umana e cristiana. Altre volte però, e non raramente, incontriamo assemblee ammutolite non solo dal dolore, ma anche da una certa distanza che si è andata consolidando nel tempo, fino a diventare estraneità, e abbiamo l’impressione che le parole e i riti non intercettino l’attenzione dei presenti; talvolta, finisce col prevalere l’emozione. In questi casi, sempre più frequenti, la Santa Messa con la Comunione sembra ridotta a rito civile • si riduce vistosamente il numero dei preti, mentre rimane alto il numero dei funerali cristiani; la Diocesi di Torino dispone, grazie a Dio, di un buon numero di Diaconi permanenti, che non “celebrano” la Messa, ma possono presiedere la Liturgia della Parola. Affinché il nuovo Rituale sia valorizzato a dovere, è auspicabile che nei prossimi mesi e anni le comunità parrocchiali possano esprimere persone idonee ad accompagnare le famiglie e i singoli nel tempo della morte del lutto. E speriamo di offrire loro, in accordo con l’Ufficio Liturgico diocesano, opportunità formative. Pensiamo in particolare alla preghiera in famiglia subito dopo la morte, al momento della chiusura della bara, alla Veglia e al Cimitero. Il canto “Le esequie, per quanto è possibile, siano celebrate con il canto”. Così scrivono i nostri Vescovi. L’indicazione è chiara e realistica. Fa riferimento al grande valore del canto e anche, implicitamente, alle difficoltà di ottenerlo: un canto ben fatto non si improvvisa; il celebrante non può e non deve, di norma, fare da solo; il grande tenore Alfredo Kraus diceva: “Per cantare ci vuole anche la voce, ma è l’uso che se ne fa … quello che conta ”. Anche per questo aspetto importante, potremo applicarci per assicurare un buon livello di qualità alle nostre celebrazioni, favorendo la partecipazione di un bravo organista e di cantori idonei, a sostegno del canto e della preghiera dell’assemblea. La cremazione Nel nuovo Rituale i Vescovi esprimono in dettaglio le considerazioni e le motivazioni della posizione della Chiesa su questo tema. Le riassumo così: 1. La Chiesa ha sempre privilegiato la sepoltura del corpo dei defunti. La tradizione che custodisce la fede nella risurrezione dei morti esprime così da due millenni la pietà dei fedeli, e favorisce la preghiera di suffragio. 2. La Chiesa, però, non si oppone alla cremazione, purché questa scelta non sia motivata da considerazioni contrarie alla fede. 3. Ai fedeli che compiono questa scelta, la Chiesa offre apposite indicazioni liturgiche e pastorali. 4. C’è invece una motivata contrarietà di fronte alla prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero: “La Chiesa ha molti motivi per essere contraria a 3
simili scelte, che possono sottintendere concezioni panteistiche o naturalistiche. Soprattutto nel caso di spargimento delle ceneri o di sepolture anonime si impedisce la possibilità di esprimere con riferimento ad un luogo preciso il dolore personale e comunitario. Inoltre, si rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo. Per le generazioni successive la vita di coloro che le hanno precedute scompare senza lasciare tracce”. Parrocchia Madonna della Divina Provvidenza ‐ Unità Pastorale 10 “Parella” Il funerale non si “paga” Dal 1981, per una decisione dell’allora Arcivescovo Card. Ballestrero, nella nostra Diocesi non ci sono tariffe né per i matrimoni né per i funerali. Il Sinodo diocesano del 1997 ha confermato tale orientamento. E’ consuetudine che le famiglie cristiane, in occasione del funerale di un congiunto, facciano un’offerta alla parrocchia, tenendo anche conto dell’impegno di alcune persone (organista, pulizie), e dei costi (luce e, in periodo invernale, riscaldamento). Ma in ogni caso l’offerta è libera e chi non può dare nulla, non deve nulla. CELEBRARE LE ESEQUIE NEL SEGNO DELLA SPERANZA Maggio 2013 LETTERA AI PARROCCHIANI “La liturgia cristiana dei funerali è celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore. Nelle esequie, la Chiesa prega che i suoi fedeli, incorporati per il Battesimo a Cristo morto e risorto, passino con Lui dalla morte alla vita e, debitamente purificati nell’anima, vengano accolti con i santi e gli eletti nel cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della venuta di Cristo e la risurrezione dei morti” Nuovo rito delle esequie, Premesse generali, 1 Brevi parole di cristiano ricordo del defunto Sempre nelle parole dei Vescovi italiani nel presentare il nuovo Rito della Esequie, troviamo questa importante raccomandazione: al momento del commiato, “possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si eviti il ricorso a testi o immagini registrati, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia”. L’esperienza insegna che il cristiano ricordo è aspetto delicato, che richiede pazienza e reciproca stima e fiducia. I Vescovi chiedono di preparare un testo scritto, breve, concordato con il parroco (da questo colloquio possono venire buoni suggerimenti e anche aiuti per vivere l’emozione del momento, e mantenere l’intervento nel clima della liturgia cristiana). Carissimi Parrocchiani, prendo spunto da quest’ultima raccomandazione dei Vescovi per ricordare l’importanza di due cose: • nell’imminenza o nel probabile rischio di morte di una persona cara, non esitate a chiamare il sacerdote per i Sacramenti e la preghiera (in parrocchia se il malato è in casa, chiedendo l’intervento del cappellano in ospedale). Si è diffusa una specie di superstizione per cui chiamare il prete sembra un segno infausto. L’esperienza invece insegna che la presenza del sacerdote è di grande conforto spirituale per il malato in pericolo di vita e per i familiari. Inoltre, il valore dei Sacramenti (confessione quando possibile, unzione degli infermi e Viatico) e della preghiera in punto di morte è una certezza della nostra fede: chi siamo noi per arrogarci il diritto di negarlo ai nostri cari? • il momento in cui si va in parrocchia a segnalare il decesso e concordare i funerali rischia spesso di ridursi a un “passaggio burocratico”. Noi parroci, preti e diaconi siamo invece a disposizione per trasformare questo momento in un dialogo nel segno della speranza e del conforto che ci vengono dalla fede nell’amore di Dio. Il vostro Parroco don Sergio Baravalle
4
Carissimi Parrocchiani, dal 2 novembre 2012 è in vigore il nuovo Rito delle Esequie. Di che cosa si tratta? Di un bel dono del Concilio Ecumenico Vaticano II! I grandi orientamenti del Concilio erano già stati recepiti nel Rito delle Esequie entrato in vigore nel 1975. Ora, alla luce dell’esperienza e di un’ampia consultazione, i nostri Pastori hanno rinnovato il Rito, tenendo conto anche dei segni dei tempi che viviamo. Tra le novità introdotte dal Concilio, già presenti nella precedente edizione del Rito e confermate in quello nuovo, credo si debba mettere in evidenza la forte centratura sul Mistero pasquale. Riporto a titolo esemplificativo l’orazione del Messale Romano, riproposta in tante versioni nel nuovo Rito delle Esequie: “Dio, Padre misericordioso, tu ci doni la certezza che nei fedeli defunti si compie il mistero del tuo Figlio morto e risorto; per questa fede che noi professiamo concedi al nostro fratello …, che si è addormentato in Cristo, di risvegliarsi con lui nella gioia della risurrezione….” In questa lettera vi propongo in sintesi i punti più rilevanti del nuovo Rito e vi presento le linee che la nostra Parrocchia seguirà per metterlo in pratica. Un confronto A molti di noi può capitare oggi di osservare il modo in cui alcuni migranti vivono il lutto. Un modo che ci ricorda – almeno ai più maturi e anziani di noi – il costume diffuso e praticato anche in Italia fino alla fine degli anni ’60, cioè prima della “mutazione culturale” che ha investito la nostra società modificando profondamente stili di vita e tradizioni. Quel modo di elaborare il lutto riguardava i tempi della vita, il vestito con la prevalenza del colore nero, le solidarietà corte e lunghe nel paese e nella città, la dimensione pubblica con il corteo, il suono delle campane. Tutto questo si è sfaldato e spesso smarrito, lasciandoci più poveri. Riforma nella continuità Il nuovo Rito offre, in continuità e in rinnovamento col precedente, possibilità varie e provvidenziali per vivere bene il momento della morte dei nostri cari, e quindi vivere bene la nostra vita “tout court ”. Perché di questo si tratta! Il modo di seppellire i morti è testimonianza di civiltà di un popolo, è espressione della fede pasquale del popolo di Dio. Il nuovo Rito non cambia radicalmente il precedente, lo ribadisce per gli aspetti incompresi o sottovalutati e lo integra felicemente per quelli proposti dai tempi che viviamo (ad esempio affrontando il tema della cremazione). 1
Quando Don Plassa “tornò a casa”
Il 26 aprile 1959 la salma di Don Michele Plassa, fondatore e primo Parroco della Madonna della Divina Provvidenza, fu traslata dal Cimitero Monumentale alla chiesa, dove tuttora riposa.
E’ trascorso da poco l’anniversario di quell’evento e ricordiamo Don Plassa con un profilo della sua attività di pastore e una raccolta di aneddoti, scritta proprio nel ’59,
che ne tratteggia con amore e simpatia la personalità.
I Fioretti di Don Plassa
Tratto dal giornale parrocchiale pubblicato in occasione della traslazione
della salma in Parrocchia, il 26 aprile 1959
Molto spesso il tempo riesce a tramandarci, di molte personalità, una fisionomia completamente diversa da
quella che fu nella vita reale, in quanto il ricordo si condensa intorno alle realizzazioni che, se ci rappresentano quel dato di fatto per cui una persona viene ricordata, sono indubbiamente un riflesso molto incompleto
di chi le concretò.
Guardando oggi la Chiesa linda, chiara, maestosa dedicata alla Madonna della Divina Provvidenza, si pensa
con difficoltà alla figura piccola, bonaria, faceta e sacrificata insieme del suo primo animatore.
Per questo abbiamo dedicato un cantuccio di questo foglio ai….fioretti di Don Plassa, e un riferimento francescano ci pare che si attagli alla sua figura.
***
La sua opera stava faticosamente nascendo.
Scarsamente conosciuta e valutata e senza mezzi.
Capitava spesso che la domenica sera Don Plassa partiva, con una piccola “equipe” per qualche paese vicino
alla città dove era stata annunciata una “grande rappresentazione”. Un lavoro perfettamente intonato al clima
fece per molto tempo le spese di questa strana iniziativa: “Il Piccolo Parigino”.
Don Michele PLASSA
Un breve profilo biografico del fondatore della nostra Parrocchia
Nato a Piobesi il 30 novembre 1880 e morto a Torino il 3 aprile 1953 all’età di 72 anni, di cui 33 dedicati
alla Madonna della Divina Provvidenza, di cui fu il costruttore.
La salma ritorna nella sua chiesa il 26 aprile 1959, dove è tuttora custodita nella tomba collocata a metà
circa della navata destra.
Allievo nel seminario dei Tommasini al Cottolengo dal 10 ottobre 1892 al 21 luglio 1902, passa poi al
Seminario Metropolitano, con il rettore mons. G.B. Bertagna.
Ordinato presbitero il 28 maggio 1904 dall’Arcivescovo A. Richelmy nella cappella privata dell’Arcivescovado.
Due anni di convitto alla Consolata, con rettore il can. Giuseppe Allamano (il fondatore dei Missionari
della Consolata).
Vicecurato a S. Maurizio Canavese dal 21 giugno 1905, poi a S. Barbara in Torino dal 16 aprile 1916.
Nel 1921 acquista il terreno per la erigenda chiesa della Madonna della Divina Provvidenza, la cui costruzione gli è stata affidata dal Card. A. Richelmy.
Nel 1942 due bombardamenti distruggono la chiesa da poco costruita.
Nel suo lungo servizio di parroco, si prodiga in particolare per l’oratorio, l’Azione Cattolica e i poveri.
Restano nella memoria storica del quartiere “le minestre di Don Plassa”, preparate e distribuite ogni
giorno a chi pativa la fame.
Nel 1945 è affiancato da don Michele Enriore, che alla sua morte, avvenuta il 3 aprile 1953, subentrerà
a lui come parroco.
Gli intermezzi rappresentavano il forte dello spettacolo. Una figura caratteristica di prete saliva sul palcoscenico per divertire il pubblico. Poesie dilettanti, canti ed imitazioni erano la predica a favore di una povera
Chiesa.
“Na testa, ‘n mun, na scaia
tüt a serv, per fè muraia”. (*)
Questo bonario aforisma servirà più tardi per convincere i parrocchiani della necessità di un ampliamento
delle opere intraprese, ma l’autore l’aveva esperimentato di persona assai prima.
***
Quando le offerte raccolte non corrispondevano alle sue aspettative, non celava il suo disappunto: “Se date
tutti secondo le vostre possibilità, Dio lo vede…Ma se non date niente, lo vedo anch’io”.
***
Nelle riunioni di Sacerdoti era il centro polarizzatore dell’attenzione come accade per tutte le personalità
espansive e spontanee.
Sfoderava di continuo le sue arguzie o il repertorio di poesie piemontesi e di canti così noti che occorreva
tutta la sua ingenuità per esibirli: “Il Piave”, “La Madonnina del Grappa”, “Soldato Ignoto”.
Nel teatrino arredato lussuosamente di vecchie panche, vendeva personalmente le caramelle e faceva la presentazione del film della domenica seguente, supplendo vantaggiosamente le usuali presentazioni filmate.
***
I vecchi di Borgata Parella ricordano la “motocicletta” di Don Plassa.
Abbiamo sentito il bisogno di nominarla tra virgolette perché il nome male si attaglia allo strano veicolo, che
il più delle volte non andava, oppure partiva grandiosamente, spinto da un reggimento urlante di bambini
dell’oratorio. Le riparazioni eseguite spesso dal legittimo proprietario erano evidentissime nel filo di ferro o
nella cordicella abbondantemente usati per tenere insieme le varie parti arrugginite.
Un giorno, dopo oltre due ore di accurata riparazione, l’ordigno non ne voleva sapere di partire.
Due giovanotti, “i soliti ignoti”, s’avvicinarono e chiamando don Plassa per nome, offrirono i loro servigi.
Sostituita la candela d’accensione il motore s’avviò. Si avviò insieme uno dei giovanotti e la vecchia moto
non tornò più.
***
Alle origini della carriera di Don Plassa troviamo i dettagli più pittoreschi.
Da poco tempo aveva lasciato il posto di Vice Parroco a S. Barbara. Era, allora come sempre, privo di rispetto umano, quasi nella stessa misura con cui mancava di mezzi.
Abituato a realizzare con la massima naturalezza ciò che gli pareva opportuno, acquistò un carrettino ed una
capra e se ne servì anche per le vie di Torino.
Un giorno l’animaletto sovraccarico si fermò in piazza Statuto e non volle più saperne di proseguire. Don
Plassa si procurò, lì vicino, un po’ di sale, lo fece annusare al quadrupede e s’incammino con la capretta
ingolosita e trotterellante su per corso Francia, verso la Chiesetta di via Salabertano (**).
***
Francescano nell’anima, riuscì ad essere simpatico a tutti, anche ai meno ortodossi. Fu l’uomo schietto che
portò la verità senza grandiosi paludamenti e la distribuì così, sorridendo, nascondendo con una burla e con
un atteggiamento talvolta paradossale, il volto e la misura del suo continuo sacrificio.
(*) “una testa (= un pezzo di mattone), un mattone, una scheggia di pietra, tutto serve per tirar su muri”
(**) nome italianizzato di via Salbertrand