Gli irrazionali - Matematica e

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Gli irrazionali - Matematica e
DENIS GUEDJ – IL TEOREMA DEL PAPPAGALLO
DALL’IMPOSSIBILITÀ ALLA CERTEZZA. GLI IRRAZIONALI.
[…] «Siamo nel V secolo avanti Cristo, in una località della Magna Grecia, probabilmente sulle coste
dell’Italia meridionale, nei pressi di Crotone. Primo atto: tutto è numero! Secondo atto: dato un numero che
rappresenta il lato di un quadrato, nessun numero può rappresentare la diagonale; diagonale e lato sono
incommensurabili. Terzo atto: dunque esistono grandezze che nessun numero può esprimere. Questa
constatazione, raggiunta dagli stessi pitagorici, metteva in crisi la loro visione del mondo, quindi doveva restare
tassativamente segreta. Ricominciamo daccapo.
«Primo atto. Tutto è numero.Quali erano i numeri incaricati di esprimere il mondo e l’armonia, quei
numeri che avevano il compito di esprimere il cosmo? I numeri interi. E anche le frazioni, che in sostanza sono
rapporti di numeri interi, ma solo i numeri positivi, per la valida ragione che nelle civiltà antiche non esistevano
numeri negativi.»
Sorpresa nell’uditorio. «Non avevano il meno uno?» «Non conoscevano il meno due?» «E allora come
facevano a calcolare?»
Da buon oratore, Ruche attese che le reazioni cessassero prima di riprendere a parlare. «D’altra parte, i
greci utilizzavano i rapporti tra due numeri interi qualsiasi, mentre in Egitto esistevano soltanto ½ e qualche altra
frazione particolare: non 22/7, per esempio. La funzione principale di questi numeri, definiti in seguito ‘razionali’,
era la possibilità di esprimere numericamente grandezze geometriche, e quindi misurarle.» […]
[…] Ruche annunciò: «Secondo atto. L’arrivo della diagonale del quadrato col lato pari a 1.»
Era troppo tardi per preparare i lucidi. Ruche disegnò su un foglio un quadrato con una delle diagonali.
Sollevando il foglio sopra la testa in modo che tutti potessero vederlo, stava per annunciare che... Poi, scorgendo il
sorriso di Perrette, esclamò: «Si, lo so: ‘Non alzi il braccio così in alto’ Vi stanco, per caso?»
«Nient’affatto», dichiarò Albert. «È fantastico, non smetta signor Ruche!» E, rivolgendosi all’uditorio,
aggiunse: «Chi è stanco può andarsene a letto.»
Il suo commento fu accolto da fischi e commenti sarcastici.
Sollevando di nuovo il foglio sopra la testa, il signor Ruche impose il silenzio per annunciare: «Lato e
diagonale, i due segmenti notevoli di un quadrato!»
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«Che rapporto esiste tra loro? Prendiamo il quadrato più semplice, quello col lato 1. Qual è la lunghezza
della diagonale? Dividendolo in due , si ottengono due triangoli rettangoli isosceli uguali, in cui l’ipotenusa
comune dei due triangoli è la diagonale del quadrato. Bene: qual è l’enunciato del teorema di Pitagora?»
A quella domanda retorica, tutti risposero in coro: «Il quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla
somma dei quadrati costruiti sui due cateti».
«Se teniamo presente che 1 elevato al quadrato è 1», riprese Ruche, «la formula ci dà il seguente risultato:
quadrato dell’ipotenusa, vale a dire quadrato della diagonale. Insomma: quadrato della diagonale = 12 + 12 = 2. Ed
ecco l’informazione essenziale: la lunghezza della diagonale è un numero il cui quadrato è 2.»
Scese con la sedia a rotelle dal podio e, avvicinandosi al pubblico, lo fissò per rendere più drammatica la
domanda che stava per formulare: «Che numero è? Dire che i greci lo cercassero è dir poco, ma non esisteva
nessun numero che corrispondesse, né intero né frazionario. Allora si pone il problema: questo numero esiste
davvero? E, se non esiste, come accertarsene? Per accertarsi che qualcosa esiste, basta esibirlo, ma se non esiste?
È difficile esibire quello che non esiste. E allora? L’unico modo di affermare che una cosa non esiste è dimostrare
che non può esistere: vale a dire passare dall’impossibilità di trovarla alla certezza che non esiste. Questo
passaggio, tuttavia, ha un prezzo elevato, in quanto esige una dimostrazione; una dimostrazione d’impossibilità.
Ed è proprio quello che hanno fatti i pitagorici: hanno dimostrato che non può esistere un numero razionale che
elevato al quadrato, dia come risultato 2. Se il numero rappresenta il lato di un quadrato, nessun numero ne potrà
rappresentare la diagonale. La diagonale e il suo lato sono ‘incommensurabili’! Come avrebbero potuto pervenire
a questo risultato senza una dimostrazione? Osservate la figura».
Ruche sollevò di nuovo la figura, ma di poco, perché era molto stanco. Perrette lo trovava un
comportamento irragionevole, eppure sapeva che per nulla al mondo lui avrebbe accettato d’interrompere la
seduta.
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Ruche ripetè: «Osservate la figura. Si vede forse che la diagonale e il lato sono incommensurabili? No!
Non si nota nessun indizio che possa metterci la pulce nell’orecchio. Non si avverte affatto l’impossibilità, perché
l’incommensurabilità non è una proprietà visibile. La figura è muta, e solo il lavoro del pensiero può svelarne i
segreti. Eccoci dunque al terzo atto. Come reagì la società greca di fronte a quelle rivelazioni? Questo semplice
quadrato disegnato sul foglio cela un abisso nel quale sprofondano varie certezze. S’interrompeva brutalmente
il legame essenziale tra numeri e grandezze, che garantiva la coerenza dell’universo dei pitagorici, e tutto
questo avveniva in una delle figure base del mondo antico: il quadrato. Inoltre il colpo era stato inflitto proprio
dall’applicazione di due dei più celebri risultati ottenuti dai pitagorici, il teorema di Pitagora…» - a quel punto
fece un cenno rivolto a Jonathan - «… e la separazione dei numeri interi in pari e dispari. Come ricorderete ne
abbiamo parlato prima di cena. Che significa, esattamente, incommensurabile? Il lato e la diagonale di uno stesso
quadrato non ammettono unità di misura comuni. Se un numero è misura dell’uno, non può esserlo dell’altro.
Questo equivale a sostenere che è impossibile conoscerli esattamente tutt’e due al contempo… Eppure tutt’e due
si mostrano ai nostri occhi con lo stesso grado di…» - cercò la parola giusta - «… di realtà. La coesistenza di
queste due grandezze dimostra che la realtà è più ricca dei numeri. È stato possibile costruire questa diagonale,
ma è stato impossibile misurarla. Eppure fino a quel momento tutto ciò che si poteva costruire si poteva anche
misurare. La solidarietà tra costruzione e misura era cessata. La rivelazione consisteva in questo: nel caso di certe
grandezze non esistevano i numeri per indicarle! Ecco perché erano indicate con la definizione di ‘inesprimibili’,
o alogon».
[…] «Ecco qual era lo ‘scandalo logico’ che Ippaso di Metaponto divulgò all’esterno della cerchia dei
pitagorici», riprese il signor Ruche. «Per averlo fatti, perse la vita in un naufragio, che rappresentò anche il
naufragio di un certo pensiero che si fondava sull’armonia e sull’onnipotenza dei rapporti razionali tra le cose del
mondo; inoltre era stato provocato da una dismotrazione. La storia ricorderà che la prima dimostrazione
matematica è stata una dimostrazione d’impossibilità.»
«Non doveva essere facile dimostrarlo», meditò Perrette a voce alta.
«Si sbaglia, Perrette. In rapporto all’importanza delle conseguenze che quella dimostrazione ha avuto,
bisogna ammettere che è piuttosto facile», commentò Ruche, poi tacque, ormai allo stremo delle forze.
[…] «Supponiamo che esista una frazione a/b il cui quadrato sia uguale a 2», sussurrò jonathan,
chinandosi verso gli spettatori con aria complice.
«Dunque si avrà a2/b2 = 2», continuò Lea, scrivendo sulla lavagnetta.
«Prendiamo la frazione più piccola, detta irriducibile, che ha questa forma. I suoi termini, a e b, sono
primi tra loro, vale a dire che non hanno un divisore comune.»
«Dunque a e b non possono essere tutt’e due pari!» dichiarò Lea.
«E se a2/b2 = 2, è ovvio che a2 = 2b2.»
«Dunque a2 è un numero pari, poiché è uguale a un doppio», annunciò Lea.
[…] «Ora solo il quadrato di un numero pari è pari», li informò Jonathan, lanciando un’occhiata furtiva
alla madre.
«Quindi a è pari, insisto», esclamò Lea.
«Quindi a è un doppio, per esempio del numero c», intervenne Jonathan, scrivendo sulla lavagnetta.
«Vale a dire a = 2c.»
«Non così in fretta», protestò il signor Ruche, al quale tuttavia piaceva seguire quel procedimento.
«Torniamo all’uguaglianza iniziale: a2 = 2b2, e proviamo a sostituire a con 2c. Otteniamo (2c)2 = b2.»
«In cui b2 è uguale a un doppio…»
[…] «Ricomincio daccapo», annunciò Jonathan. «Dunque, se b2 equivale a un doppio, significa che b è
pari.»
«Esattamente come prima. Dunque b è pari, insisto!» intervenne Lea.
«Riprendiamo i tre ‘insisto’ che scandiscono il ragionamento per assurdo. Da un lato, a e b non possono
essere entrambi numeri pari; dall’altro, a e b sono tutt’e due pari. Impossibile! Qual è la causa di questa
assurdità?» domandò Jonathan, fissando gli ascoltatori con aria inquisitoria.
Vederli appassionarsi a una dimostrazione matematica era un miracolo. Perrette e il signor Ruche si
guardarono, come se si volessero chiedere a vicenda: Vede quello che vedo io? Sente quello che sento io?
Lo stupore di quei due adulti entusiasmò Max: era fiero dei gemelli.
«Qual è la causa di questa assurdità?» domandò di nuovo Jonathan.
«La mia ipotesi», confessò Lea, abbassando la testa.
«Ripetila, questa ipotesi fasulla!» ordinò Jonathan.
«Esiste una frazione il cui quadrato è pari a 2», balbettò Lea.
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