attualità - La Riviera on-line

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CONTROCOPERTINA
LA PROPOSTA
“
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DOMENICA 21 GIUGNO
3
“Facciamo in modo che i criminali diventino i borghesi così da mettere
in atto quella rivoluzione liberale che la nostra classe media stracciona,
la nostra burocrazia parassitaria e sanguisuga non ha mai fatto”
Con i soldi condonati alla‘ndrangheta,
cambiamo la Calabria!
“Inizialmente
saranno rozzi e
cafoni ma solo
un po’ di tempo
e avremo i
commendatori
di casa
De Stefano,
i cavalieri
Piromalli,
e quindi
Sua Eccellenza
Nirta e
Sua Eminenza
Morabito!”
ILARIO AMMENDOLIA
a ‘ndrangheta ha molti soldi e li
investe. Li investe in Germania, in
Olanda, in Brianza, in Umbria, a
Roma. Soldi che diventano alberghi, castelli, tenute, imprese. Una
montagna di denaro che dal fondo del
mare aspettano di riscaldarsi e ossigenarsi
alla luce del sole.
Non so quanto sia il bilancio della ‘ndrangheta ma gli esperti concordano che
avrebbe un fatturato annuo di 53 miliardi
di euro, più della Deutsche Bank e del
McDonald’s messi insieme.
Se investiti in Calabria, cambierebbero il
volto della nostra Regione.
Se poi i capitali accumulati illegalmente in
tutti questi anni potessero “emergere” ed
essere “sanamente” investiti, la Calabria
diventerebbe il nuovo Eldorado.
Se fossi nelle condizioni, farei un “condono” dei soldi di “dubbia” provenienza per
renderli legali.
Un condono subordinato a un piano di
investimenti in Calabria.
Non chiamate l’esorcista. So bene che
quei capitali grondano di sangue e di
morte. So bene che consentiremmo a
delle canaglie di godersi il frutto dei loro
loschi traffici. Ed è proprio questo che
propongo! Trasformare i criminali in borghesi. Esattamente come avviene da secoli!
Cosimo dei Medici era un crudele usuraio
che fece la fortuna di Firenze. La FIAT,
Breda, Pirelli si sono ingrassate sul sangue
di centinaia di migliaia di ragazzi morti
L
nella guerra mondiale. I “petrodollari”
dovrebbero avere come effigie le stragi in
Iraq e la rovina della Libia. Le cosiddette
transazioni finanziarie, lo spread, le raffinate operazioni di borsa condotte da tecnici in giacca e cravatta nascondono la
distruzione del Pianeta, la fame di milioni
di bambini.
Sgombriamo l’orizzonte dall’immensa
cascata di ipocrisia.
Lo sanno tutti ma non lo possono dire: la
‘ndrangheta è una bottega artigianale di
traffici e di morte che imita i grandi “marchi” che governano la terra.
È una holding che ha come fine il profitto,
come mezzo la violenza, esattamente
come le grandi lobby che invocano “legge”
e “ordine”.
Purtroppo la ‘ndrangheta non può investire nella Regione di origine perché in un
mare di miseria i capitali sarebbero facilmente individuati e quindi sequestrati e
ridotti in rovine. Così dell’immenso traffico ‘ndranghetista, in Calabria restano solo
le macerie dei beni in abbandono e il
dramma di tanti giovani uccisi e dei tanti
ragazzi in galera.
Dobbiamo avere il coraggio di trarre le
logiche conseguenze.
Machiavelli non negava che il Valentino
fosse un assassino esattamente come tutti
noi sappiamo che lo sono i mafiosi. Però
comprendeva perfettamente che Cesare
Borgia, a determinate condizioni, si sarebbe trasformato in un potente fattore di
felicità per il suo popolo. Non dava un giudizio morale ma “politico”.
Se dovessi dare un giudizio morale non mi
limiterei ai mafiosi.
Qualche mese fa, un servizio della
Gabanelli mostrava l’immensa Gomorra
dorata in cui abitano gli straricchi d’Italia.
Fermiamoci alla soglia della Gomorra dei
galantuomini. Ma se ‘ndrangheta deve
essere, ‘ndrangheta sia! Si arrivi sino in
fondo!
Facciamo in modo che i figli dei “signori”
della ‘ndrangheta diventino i borghesi.
Mettiamo loro in condizioni di fare quella
“rivoluzione liberale” che la nostra borghesia stracciona, la nostra burocrazia
parassitaria e sanguisuga non ha mai fatto.
Siano loro la nuova borghesia della
Calabria.
Inizialmente saranno rozzi e cafoni ma
con il tempo diventeranno più raffinati ed
eleganti dei re di casa Savoia, dei nobili
Ruffo o dei principi di casa Orsini.
Solo un po’ di tempo e avremo i “commendatori” di casa De Stefano, i “cavalieri” Piromalli, e quindi “Sua Eccellenza
Nirta” e “Sua Eminenza Morabito”!
Sono sicuro che non avendo il peso di una
cultura della subalternità, tipica della
“classe dirigente” calabrese i risultati
saranno straordinari.
L’unica cosa è fare presto prima che la
‘ndrangheta griffata si estranei del tutto
dal territorio e prima che possa essere
definitivamente contaminata e corrotta
dalla borghesia parassitaria.
Il re è nudo ma nessuno lo dice.
Ne avrei fatto volentieri a meno anche io,
ma amo troppo questa Terra e questo
popolo perché oltre alla miseria debba
tenermi nello stomaco anche la verità!
“
Senza il
peso di una
cultura della
subalternità,
tipica della
“classe dirigente”calabrese i
risultati saranno
straordinari.
RIVIERA
ATTUALITÀ
GIUDIZIARIA
Calcio
malato???
“
“Il dato più raccapricciante che
emerge dall’intera indagine è
quello consistente nell’amara
quanto palese constatazione di
cosa sia diventato lo sport calcistico gestito dagli indagati del
presente procedimento, in cui emergono palesemente le condotte di tali direttori sportivi,
presidenti e manager calcistici che ormai concepiscono la gestione delle proprie società calcistiche o di quelle da acquisire di volta in volta,
esclusivamente come una ‘fonte di reddito’
derivante dalle scommesse che essi stessi piazzano e fanno piazzare sulle partite che sono
stati in grado di truccare; è la patologica conseguenza del tramonto della vecchia innocente
Schedina, soppiantata ormai da scommesse
sulle singole partite e addirittura sugli eventi
all’interno delle singole partite, sicchè diventa
molto forte la tentazione per i protagonisti di
quel singolo evento, magari scevro da particolari tensioni sportive per mancanza di obiettivi
da raggiungere, di lucrare ingenti somme da un
risultato sportivo che essi stessi sono in grado di
determinare e condizionare; urge evidentemente una riforma radicale della normativa
che regolamenta tali tipologie di scommesse
che hanno finito per inquinare il mondo sportivo ad esse collegato”.
È quanto si legge nel primo fermo relativo
all’indagine sullo scandalo del calcio scommesse che ha investito il mondo del pallone nelle
ultime settimane. Nel medesimo scritto si sottolinea la presunta esistenza di “un mondo
malato, quello del calcio gestito dagli indagati
del procedimento che ci occupa, dove la fragilità di giocatori, sedotti dal mito del guadagno
rapido e facile, ovvero dalla prospettiva di
ingaggi con altre squadre, si intreccia con la
spietatezza di scaltri dirigenti sportivi e con la
criminalità organizzata, passando attraverso
l’indifferenza delle società calcistiche”.
Le pesanti considerazioni generali proseguono
rilevando come: “Questo mondo del calcio
sommerso della LND e della Lega Pro si è
allontanato dallo Sport vero e proprio ed è
diventato simile alla “Borsa”, in cui le maggiori società calcistiche del campionato professionistico sono quotate. Purtroppo, però, dalla
Borsa, il calcio ha anche mutuato, come accennato in precedenza, il fenomeno illecito di chi
anticipa e vende notizie riservate sullo stato
delle società e/o azioni (meglio conosciuto in
ambito societario-commerciale come insider
trading), solo che in questo caso si anticipano e
si vendono, corrompendo i partecipanti all’evento sportivi ed in primis i giocatori, i risultati
delle partite, spesso associati al numero di gol
segnati, realizzando in un solo momento
immensi guadagni a scapito, come già detto dei
tifosi, di chi crede realmente nello sport e, sotto
un profilo anche economico, degli scommettitori onesti che quotidianamente, attraverso i
diversi canali disponibili, effettuano le scommesse sul quel risultato previsto quale normale
conseguenza del corretto e leale svolgimento
della competizione sportiva”.
L’inchiesta avrebbe individuato dei collegamenti con l’estero, in particolare laddove si
legge di: “Un’organizzazione criminale, quella
svelata dalle presenti investigazioni, alimentata
anche dal denaro che proviene dai “signori”
delle scommesse e cioè personaggi, di cui alcuni ancora non identificati, che vivono in Asia
(Kazakistan), nell’est d’Europa (Serbia e
Slovenia) e in Russia e che, comunque, in Italia
hanno la loro longa manus nel gruppo criminale. Attraverso la mediazione di dirigenti sportivi disonesti e avventurieri in cerca di facili profitti, i finanziatori stranieri irrorano le casse
delle organizzazioni criminali oggetto d’indagine fornendo denaro ai criminali “nostrani”,
che lo usano in primis per “corrompere” i calciatori in modo da avere, sia gli stranieri che i
criminali di casa, partite combinate su cui
scommettere e realizzare ingenti guadagni,
sempre senza l’alea propria della scommessa
(fatti salvi, ovviamente, i casi in cui – per una
sorta di perfida nemesi del Dio del Calcio – la
combine ‘salta’, con tutte le conseguenze del
caso, generando poi ulteriore attività criminale
– a base violenta stavolta – come emerge dai
capi di imputazione dedicati alle estorsioni e al
sequestro di persona a scopo di estorsione)”.
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“
DOMENICA 21 GIUGNO
4
Mammoliti scaglia la prima pietra,
ma ha l’umiltà di chiedere scusa
In settimana, a Locri, ha tenuto banco una disputa tra il consigliere Pino Mammoliti
e don Giuseppe De Pace. Un comunicato velenoso accusava il modo ecclesiastico di
non riconoscere la vera povertà, eppure il politico è dovuto tornare sui suoi passi.
Ci sono voluti i
moniti di molti
cittadini,
dell’amministrazione
comunale e dello
stesso vescovo Oliva
ma, alla fine,
Mammoliti ha voluto
incontrare don
Giuseppe per
chiedere scusa “al
prete e all’uomo”
o scorso fine settimana un comunicato al vetriolo di Pino
Mammoliti denunciava un fatto
increscioso avvenuto all’interno di
una chiesa di Locri. La denuncia
del consigliere di minoranza riguardava
l’allontanamento di un questuante con
metodi scortesi da parte di un noto prete
della comunità locrese, tanto che
Mammoliti si spingeva a definire questa
categoria di “Lupin travestiti da prete”
dei veri e propri “Kapò”. Il giudizio, estremista quanto giustificato da una versione
dei fatti che pareva effettivamente condannare un officiante
reo di aver interrotto
una messa per tuonare contro con una
pecorella smarrita, si
è dovuto ridimensionare nei giorni
seguenti, quando il
prete in questione, lo
stimato
don
Giuseppe De Pace,
ha avuto modo di
confrontarsi dapprima su Facebook
quindi faccia a faccia
con lo stesso Mammoliti.
Chi conosce don Giuseppe sa bene che il
suo carattere, che lo porta ad essere gentile e disponibile al di là della sua carica,
difficilmente si sarebbe potuto rendere
protagonista di un avvenimento che, così
come narrato dal politico, avrebbe in
effetti dovuto far storcere il naso a più di
un fedele. E, in effetti, la sua comunità
L
non ha certo potuto perdere la stima che
gli riserva, considerato che testimonianze
successive hanno appurato che gli eventi
si sarebbero susseguiti in maniera diversa
rispetto a quanto riportato a Mammoliti
(che, si badi bene, non era presente
durante la funzione).
Durante la messa delle 8.00 del giorno di
Sant’Antonio, dunque, nella chiesa di
Santa Caterina non si sarebbe presentato
un demone in abito talare, ma il don
Giuseppe di sempre che, durante il sermone, notando circolare tra i banchi un
mendicante che chiedeva insistentemente l’elemosina disturbando i fedeli, gli
avrebbe chiesto di attendere il termine
del rito per poterlo fare, cosa che è poi
avvenuta appena fuori dall’edificio ecclesiastico.
Ci sono voluti i moniti di molti cittadini,
dell’amministrazione comunale e dello
stesso vescovo Oliva ma, alla fine,
Mammoliti ha voluto incontrare don
Giuseppe e, resosi conto di aver espresso
un giudizio davvero troppo frettoloso,
così come aveva diffuso un comunicato in
cui si scagliava contro il prete, ha posto
altrettanto pubblicamente le sue scuse.
Mentre palava con don Giuseppe, scrive
Mammoliti “ne coglievo l’amarezza e la
sofferenza di chi si è sentito ingiustamente colpito da un giudizio violento e sommario, condito da un lessico altrettanto
duro.
“Chiedo scusa al Prete e all’uomo.”
Il comunicato continua con una riflessione relativa alla povertà nella nostra diocesi: “Abbiamo […] convenuto che i poveri
e la povertà rappresentano il primo problema emergenziale dell’intera diocesi
ma più diffusamente di un sistema sociale fortemente frastagliato.
“I poveri (quelli veri) quelli cioè non
sfruttati da organizzazioni criminali fanno
parte dell’arredo della Chiesa senza l’aiuto loro rivolto, la missione di rappresentanti di Cristo sarebbe orfana di uno dei
riferimenti più preziosi lasciati in eredità
da Dio a tutti gli uomini, nessuno escluso.
“Saprà la Chiesa di Locri nella sua interezza migliorare la rete di protezione che
già offre agli ultimi e ai più bisognosi di
ogni razza e di ogni latitudine.
“Compito della politica che su questo terreno è molto indietro, sarà quello di sintonizzarsi con gli esempi di Papa
Francesco.
“Compito delegato a noi comuni mortali
è e sarà quello di aiutare sempre come
diceva Don Gallo la maggioranza; ‘La
mia maggioranza è quella dell’80% di
popolazione mondiale senza volto che
viene messa in schiavitù dal ricco capitalismo del restante 20%. Sono con loro, con
almeno cinque miliardi di persone’”.
La riflessione del consigliere ci permette
di comprendere il sincero rammarico di
una persona che ha riconosciuto di aver
sbagliato e che, nell’esercizio più adeguato della morale cristiana, va stimata per
aver chiesto perdono allo stesso modo di
come aveva osato scagliare la prima pietra.
Tuttavia, sarebbe stato forse più opportuno confrontarsi prima di puntare il dito.
Jacopo Giuca
Ad Agnana Calabra due borse di studio intitolate all’imprenditore
Domenico Gullaci e al giornalista Nicola Zitara, ex direttore de « la Riviera»
La politica che investe e ha coraggio,
che mette al primo posto il futuro delle
nuove generazioni.
La politica che sta a fianco dei giovani,
per aiutarli nella loro formazione,
nella realizzazione dei progetti di vita.
È ciò che ha fatto l’amministrazione di
Agnana Calabra lo scorso mercoledì
10 giugno, deliberando due borse di
studio per le Scuole Secondarie di
Primo e Secondo Grado (ex medie e
licei), intitolate a Domenico Gullaci e
Nicola Zitara.
“Mimmo” Gullaci seppe fare dell’impresa di famiglia un’opportunità di
lavoro, portando nei territori di
Canolo, Agnana e Siderno un certo
benessere, ma soprattutto la fiducia
nelle possibilità della nostra terra.
Domenico era un uomo semplice e alla
mano, disponibile e premuroso. Fu fermato da un’oscura presenza che l’ha
ucciso, strappando la speranza alla
famiglia e alla cittadinanza che, grazie
al suo coraggio, aveva rialzato la testa e
ritrovato la speranza in un futuro di
prosperità.
Sul piano economico, ma teorico, si è
mosso anche il giornalista Nicola
Zitara, un uomo colto e saggio che ha
denunciato gli errori commessi al
momento dell’unificazione dell’Italia, i
massacri compiuti dai Mille e da
Garibaldi, dai vari generali dell’esercito dei Savoia. Zitara propose soluzioni
a volte scomode ed estreme, portando
alla luce dei temi che hanno ricondotto a una ritrovata dignità per giovani e
adulti.
Le borse di studio vengono conferite
agli studenti del comprensorio
Agnana-Canolo-Salvi, e allo studente
agnanese più meritevole, presso qualunque istituto superiore abbia studiato. La prima è di 1500 euro, e la seconda di 500. Una somma interamente
finanziata per i prossimi anni grazie
alla rinuncia dell’indennità della Prima
Cittadina, Caterina Furfaro, promotrice dell’iniziativa assieme ai consiglieri.
Lo spirito con cui vengono istituite
queste borse di studio è quello di dare
una solida istruzione, necessaria a chi
vuol essere aperto al confronto e al
dialogo, ma soprattutto garantire a
tutti i giovani studenti la speranza di un
avvenire di concretezza che solo l’istruzione può donare: punto di partenza e
di arrivo che consente alle nuove generazioni di trovare il coraggio e la
dignità per vivere nella società. Ma
questo compito spetta alla politica,
chiamata al suo dovere oggi più che
mai.
Durante il civico consesso la famiglia
Gullaci sottolinea che in un momento
di crisi di valori questo gesto è un positivo segnale da e verso la cittadinanza.
Lidia Zitara ringrazia a nome della
famiglia e si dice felice della scelta
presa dal consiglio comunale di
Agnana: un gesto che ci auguriamo
possa essere d’esempio per le altre
realtà
Paolo Piscioneri
RIVIERA
ATTUALITÀ
LA CALABRIA ESULTA
“
A incassare lingotti al David di Donatello è stato un film sulle
viscere della ’ndrangheta non sulla Calabria, un’opera
realistica, cruda, che, per chi ha scelto di non accorgersi
dell’inquadratura di sbieco, aggiungerà pregiudizio al pregiudizio.
Anime d’oro
“Il film non si
avventura nel
bello qui presente
e altrove fredda
cenere. Il bello
nessuno intende
cambiarlo, ce lo
teniamo stretto. Il
film mostra il
brutto, perché
quello bisogna
narrare e
correggere”.
“
MIMMO GANGEMI
Oscar.
Ha stravinto. Su tutti Munzi e Gioacchino
Criaco. Già, Gioacchino. Senza nulla togliere al Maestro Munzi, è evidente la sua mano,
di fatto, me lo si passi, un aiuto regista: uno
spaccato così crudo e veritiero è possibile
solo a chi si è pasciuto d’Aspromonte, a chi
ne ha respirato l’aria e sentito i sospiri, le
sferzate dei venti, la rabbia delle fiumare, me
lo rivelano tanti particolari, minuzie che
sono il sale, il tocco di magia.
Ha stravinto con buona pace di chi vorrebbe
che non si scrivesse e non si facessero film
sulla ‘ndrangheta, quasi che evitarlo sia un
modo per sconfiggerla. Non capiscono che
bisogna trattarla invece, perché il primo
passo per affrontarla, vincerla e ricostruirsi
migliori è guardarla in faccia, rovistarle le
visceri putride fino a prendere piena coscienza del mostro sanguinario che è. Poi, è un
film sulla ’ndrangheta e null’altro, non vi è
rappresentata la Calabria, non è l’immagine
della Calabria, è piuttosto la denuncia di un
fenomeno che la incancrenisce, che ammorba l’aria, che appesantisce la vita – apposta
dissento fortemente dalla Spagna che ha
invece inteso speculare, intitolando proprio
“Calabria” per il suo pubblico.
Detto questo, mi piace esporre qui di seguito le sensazioni che la visione del film, e già
prima la lettura del romanzo, mi hanno
indotto.
“Anime nere” ha trionfato. Facendo incetta
dei premi più importanti ai David di
Donatello. Alla faccia di chi non ci credeva,
o storceva il muso, censurando che opere
così – il film di Munzi oggi e il romanzo di
Gioacchino Criaco prima – potevano solo
fare danno alla Calabria e decidendo che
non si dovessero dare appoggi e finanziamenti istituzionali (unica eccezione, il Parco
Nazionale dell’Aspromonte, onore al merito) come sarebbe stato normale per un’opera girata in Calabria, con attori calabresi, con
tecnici e operatori calabresi, con la gente di
Africo e della Locride in prima linea a raccontarsi, a collaborare, a fare il tifo, a mostrare una civiltà che l’Italia schizzinosa fa di
tutto per non riconoscerci, preferendo il pregiudizio.
Ha trionfato e ora in tanti si mangiano le
mani e non sanno come aggrapparsi al carro
del vincitore, non salirci sopra, sarebbe troppo, ma almeno camminarci a lato, al passo,
con una mano a lisciare il cavallo, se non il
cavaliere.
Ha stravinto. E sarebbe potuto essere molto
di più, se Venezia non avesse consumato un
tradimento da sospettare figlio di logiche
commerciali e se si fosse tenuto conto che
toccava al film più osannato dai critici e dal
pubblico essere il candidato italiano agli
Un pastorello sveltisce, con fischi festosi, alla
caprara, senza dita in bocca, e con un bastone, un gregge di pecore e di capre che si
muove parallelo alla battigia della Riviera
dei Gelsomini, nel cuore della Locride, nel
cuore del triangolo più infestato di ‘ndrangheta, laddove il mare partorisce il sole e il
levante, che è lesto a salire su pettinando le
erbe.
Così apre la parte calabrese di “Anime nere
di Munzi – e di Gioacchino Criaco, l’autore
del bellissimo romanzo omonimo. E così
chiude: stesso mare, stesso gregge, stessi
fischi. E stesso sorriso del giovane. Gioioso
prima e gioioso dopo. Eppure, nel mezzo ha
commesso l’infamità d’esser complice nell’uccisione dell’amico.
Se torno alla mia infanzia, manca l’ombrello
che pastori e massari tenevano agganciato
per il manico al colletto di dietro della giacca
di tarpa. Pure, mi guasta i ricordi vedere
camminare sulla spiaggia pecore e capre, che
appartengono alle alture. Ma è un attimo.
Ché Africo è sì sul mare, a ridosso della mortale SS 106, poco oltre, una linea ferrata da
Far West, con i treni a gasolio lenti da invogliare a una spinta, quindi l’ampia spiaggia
dalla sabbia granulare e dorata e le acque
cristalline dello Ionio, è sì sul mare ma continua ad appartenere alla montagna. Africo è
un pezzo d’Aspromonte preso di peso e spo-
Quei figli dei bosc
La montagna di
Criaco non si è mai
piegata
all’incursore, ha
sempre vantato
un’ origine
guerriera e una
causa di libertà
primigenia da
difendere. Nessun
impero ha mai
violato e
sottomesso la
gente
d’Aspromonte
ANTONIO ROSELLI
e Memorie del mondo sommerso di
Corrado Alvaro sembravano compiersi con l’ultimo romanzo Tutto è
accaduto. Ma l’autore ha rinviato il
suo ciclo a una durata infinita. Il suo
protagonista, Rinaldo Diacono, con la sua
“vita ridotta al semplice istinto di conservazione, con l’idea di un grande fallimento”
aspettava un “avvenire ancora da creare,
ignoto ma senza grandi speranze”.
E Corrado Alvaro affidava un’eredità narrativa sempre protesa a cogliere i sintomi di
trasformazione nella società meridionale.
Se i pellegrinaggi nell’inferno fanno parte
delle Memorie del mondo sommerso, allora
si collochi in una pagina di essi l’opera di
Gioacchino Criaco.
Il retaggio di Gente in Aspromonte e del suo
autore è un’imposta troppo cara da pagare
se si è figli dei boschi .
«Se per decenni l’unica persona conosciuta
positivamente da quel territorio, è stata
Corrado Alvaro, significa o che i suoi abitanti
sono geneticamente tarati o che vi è un interesse, perpetuato storicamente, alla riproduzione
in serie di criminali », sono parole di Criaco.
Anime Nere è una memoria occulta e cruenta della nostra letteratura contemporanea.
L
Tre studenti normali- in apparenza - occupano la trama narrativa.
Sono aspri, loro. Sono i figli dei boschi.
Fanno parte di una gioventù insidiata dal
dramma
dell’ingiustizia
sociale.
L’indignazione intossica le loro vite. «Questo
in fondo chiedevamo, una vita da esseri
umani e non da bestie», gridano.
Quelli di Gioacchino Criaco sono antieroi
ipocondriaci, dalla scatenata vivacità amorale.
Vivono nel buco del culo del mondo e credono di esserne al centro.
Sono legati da un rapporto battesimale alla
ruga dell’Aurora, il loro mondo agropastorale da decine di anime saldate da un vincolo che trascendeva il legame di sangue.
Una tribù sprangata, arcaica ed elementare,
quindi; che rigetta la modernità e se ne infischia del flusso continuo della storia, con le
sue conquiste e le sue guerre.
Un luogo per nulla diverso dalla Basilicata
descritta da Carlo Levi, dalla Puglia raccontata da Tommaso Fiore.
I tre protagonisti (Luigi, Luciano e la voce
narrante) sono immersi nel disegno genetico
della malavita. Il loro temperamento, apparentemente bonario, diviene un presagio
dell’ Aspromonte. Dice il protagonista :
«Questo faceva parte della natura aspromon-
tana, anche la cosa più santa doveva avere un
che di profano, il fiore più bello una spina e
l’uomo più retto un fucile nascosto da qualche
parte del bosco».
Sanno chi sono i pungiuti (gli ‘ndranghetisti),
che armavano nell’ombra la tragedia; sanno
come far fronte a uno stato corrotto. Scrive
Criaco: «In queste terre, per secoli, tutti e due
i lati della barricata sono stati governati dai
briganti». E anche: «Bisognava scegliere tra
una vita da servi o la morte se non sapevi
difenderti. Noi avevamo scelto di vivere liberi,
ma armati, fossero i nemici malandrini o sbirri».
Iniziano, così, sotto la guida dell’anima nera
di Sante, la loro scalata delittuosa. Superano
la soglia della pietà umana e, con rapine,
sequestri e omicidi, diventano padroni del
destino altrui.
Presto, l’Aurora e
l’Aspromonte diventeranno spazi troppo
angusti per soddisfare la loro cupidigia.
Iniziano, pertanto, a tramare commerci illeciti fra l’Italia, la Spagna e la Francia, trafficano eroina con il favore degli arabi.
Il romanzo viene narrato in prima persona.
A parlare è il protagonista che, nell’inesausto flusso di coscienza, spesso si arena in un
descrittivismo pedante, altre volte si abbandona in confessioni di debolezza, in esorcismi. È consapevole che il mostro che lo
SETTIMANALE
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stato giù a forza. È però rimasto
Aspromonte fin nelle viscere più profonde.
E gli Africoti, trasferiti dopo l’alluvione catastrofica del ’51, non sono gente di mare. Non
vogliono esserlo. Non ci hanno fatto abitudine al mare, lo sentono ostile, nonostante più
di sessant’anni a farsi carezzare dalla brezza
salmastra e a vedersi imbrunire la pelle dal
sole cocente. Non a caso, su quel tratto di
spiaggia mancano i passi, bagnanti poco e
niente, né barche tirate in secca, né pescatori. Né tra le vie assolate del paese nuovo si
fanno chiacchiere di mare. Gli Africoti, vecchi e giovani, rivolgono gli occhi e i sospiri
verso la montagna vestita di querceti da
migliaia di maiali – il valore di un bosco si
stima ancora da quanti ne riesce a sfamare
con le ghiande.
Occorre aver vissuto l’Aspromonte, esserne
figli, per comprendere appieno il film,
comunque grandioso e appassionante per
chiunque, e amaro e inquietante. Io, da
aspromontano, riconosco in “Anime nere”
un’opera realistica, cruda, che magari
aggiungerà pregiudizio al pregiudizio. Ma è
dannatamente vera, uno spaccato impietoso
ripreso da un’angolazione buia, dalla sponda
del male.
Un’opera che non si avventura nel bello, nei
valori umani, nella natura, nelle tante positività qui presenti e altrove fredda cenere, al
più tizzone agli ultimi fumi. Il bello nessuno
intende cambiarlo, ce lo teniamo stretto. Lo
racconteranno altri, se vorranno. È il brutto
che bisogna narrare e correggere. E film e
romanzi come “Anime nere” aiutano in questo: scoperchiandolo, si comportano da
denuncia, diventano catartici.
Finalmente i calabresi riusciamo a raccontarci. Senza menzogna, senza addolcire, mettendoci a nudo con la crudezza di immagini
e parole che inchiodano le responsabilità di
tutti, che inducono a prenderne atto e a forgiare pensieri nuovi, sani. C’è tuttavia da
precisare che “Anime nere” descrive una
situazione estrema, un mondo arcaico che
persiste solo in alcune aree. E che però è
innegabile. Vederla sullo schermo nulla
toglie alla Calabria, non la mortifica. La soccorre piuttosto.
DOMENICA 21 GIUGNO
7
Peccato che tanta parte d’Italia non abbia
capito. In un programma Radiofonico Rai,
“finalmente un film che racconta la vera
Calabria”, il commento dei conduttori. E giù
fantasie lugubri che non stanno né in cielo né
in terra. Hanno scelto di non accorgersi dell’inquadratura di sbieco. Hanno scelto di alimentare gli stereotipi.
La chiave di lettura? Ce n’è più d’una, credibili tutte, a volte sovrapponibili. E il regista o
lo scrittore ne possono solo prendere atto:
appena offerta l’opera al pubblico, l’autore
se ne spoglia ed essa diventa di tutti.
Le due scene del gregge, uguali, trasmettono
l’idea di un’immutabilità su cui nulla può lo
scorrere del tempo, qui immobile, molto più
lento che altrove. Sono anche l’accusa di un
popolo estirpato dalle origini.
L’epilogo, feroce e sconcertante, induce
anch’esso pessimismo, il pensiero - a cui in
verità credo poco, lo ritengo utopia - che la
’ndrangheta possa sconfiggersi solo con
un’implosione dall’interno, che solo la
’ndrangheta può uccidere se stessa.
Luciano, che gratta dalla statua di San Leo
esorcista, raccoglie la polvere e la beve con
l’acqua, per togliersi il male da dentro, poi
però uccide: è il rifiuto esasperato, anche
condito di follia, di un mondo che lo incatena e gli ha frantumato la vita, e per uscirne
non conosce altro modo che la violenza a cui
ha sempre allattato.
chi, liberi e armati
divora è un grumo sanguinolento del male.
Ciò che scorre nella vena di sdegno del protagonista, e percorre tutta la narrazione,
non è soltanto un feroce ritratto della malavita, con la sua degradazione, la sua amoralità; siamo dinnanzi a un manifesto di protesta sociale.
Nell’abietta vita civile e culturale, nelle ferite di una millenaria arretratezza di un paese
del Sud; ferve l’anima candida del riscatto,
della redenzione. Dice Luciano: «Noi siamo
responsabili del male che facciamo, non c’è
alibi che tenga, siamo i peggiori nemici di noi
stessi. Abbiamo la scelta su come indirizzare le
nostre energie, scegliamo la vita che ci porta
più in fretta al benessere individuale, ma se
questi dittatorelli non avessero stretto così
tanto le briglie, per secoli, oggi saremmo stati
meno cattivi e disperati».
Quando l’autore condanna la feroce situazione sociale, umanamente priva di opportunità di salvezza; richiama alla memoria la
dimensione della nostalgia per una civiltà
che svanisce, celebrandola poeticamente in
una distanza mitica ed epica.
Il popolo dell’Aspromonte di Criaco non si è
mai piegato all’incursore, ha sempre vantato un’ origine guerriera e una causa di
libertà primigenia da difendere. Nessun
impero ha mai violato e sottomesso la terra dei
figli dei boschi !
Ritorna ad agitarsi il tema dell’Unità
Nazionale. Quella dello Stato indifferente,
distante e punitivo è una ferita ancora aperta nel cuore del protagonista, una diluita
metafora illusoria. È interessante osservare
nelle parole di Bino come la presenza della
malavita, dei briganti, fosse un male necessario e benefico: «Quando venne l’alluvione
del cinquantuno che devastò metà dei paesi
dell’Aspromonte, e ci fece abbandonare la
montagna per la palude putrida in cui viviamo
ora, sfamarono più poveracci i briganti che lo
Stato, il quale infastidito della loro fama
mandò un nutrito esercito per disperderli ».
La spaccatura tra la regione e la nazione è
resa con evidente clamore nelle pagine
milanesi, dove si marca la separazione tra la
vita agropastorale del paese e quella alto borghese della città. Tornano così, alla
mente, le reminiscenze alvariane.
I protagonisti di Anime nere sono quelli che
si inabissano nei lussi più smodati della
Milano da bere; che lì smistano la morte e si
placano sadicamente nella loro bassezza
morale.
La città, ciononostante, opera un ruolo fondamentale nei personaggi e nella loro ambizione di riscatto. «Milano ci amava, noi e
tutti i figli dei boschi come noi. I calabresi la
inondarono Milano, di miliardi, distribuendo
bocconi a tutti. Fu, per un lungo periodo, una
luna di miele».
I figli dei boschi cercano la redenzione, ma
sono irredimibili fino alla fine.
Gioacchino Criaco ci consegna un’ulteriore
amara pillola narrativa, quando ci racconta
la vita nel carcere e la disgrazia del pregiudizio che si insinua nella mente dei giudici, dei
magistrati e dei poliziotti.
«La disgrazia peggiore per un detenuto –
afferma il protagonista – era essere meridionale, e di più essere calabrese, e ancora provenire dalla Locride... Eravamo la feccia dell’umanità, bestie immorali e amorali, da annichilire solamente».
I figli dei boschi vedranno il loro mondo
giungere al tramonto, solo quando sapranno di essere comparse e non protagonisti
della loro storia esistenziale. E, senza saperlo, dolorosamente, apparterranno a un’epoca già passata.
RIVIERA
ATTUALITÀ
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L’inchiesta
Trasporti nella Jonica
DOMENICA 21 GIUGNO
8
Nel 1873, l’inaugurazione della ferrovia sembrava aver cancellato
le difficoltà di collegamento tra Calabria e resto della nazione, ma
oggi quella distanza si è allungata così tanto da farci temere che il
nostro isolamento sia di interesse per qualcuno.
Ferrovia:
un isolamento calcolato
“
“La statalizzazione
delle ferrovie
cambiò il modo di
viaggiare degli
italiani che, con gli
anni, avanzarono
pretese sui tempi e
le metodologie di
collegamento tra le
città più importanti
della nazione”
JACOPO GIUCA
el 1873 l’Unità d’Italia era
ancora un ricordo freschissimo
e il fervore tecnico e intellettuale del Risorgimento lo stimolo
per il conseguimento di obiettivi straordinari. Di questione meridionale
ancora non si parlava e, benché il popolo
già avvertisse che la differenza tra gli stili
di vita condotti tra il nord e il sud del Paese
avrebbe avuto conseguenze importanti
(come di lì a poco sarebbe stato raccontato da Giovanni Verga), la giovane età di
una Nazione che finalmente ragionava in
armonia faceva sì che il progresso venisse
equamente registrato anche negli angoli
più remoti della penisola.
Certo, la Calabria subiva una condizione
di minorità anche all’epoca: la conformazione unica del territorio, che madre natura aveva reso tanto aspro quanto meraviglioso, unitamente alla minore intensità
demografica che si registrava nella regione, aveva impedito la realizzazione di
infrastrutture adatte collegare la zona con
il resto del Paese. Eppure, in quel 1873, l’inaugurazione della prima strada ferrata
sarebbe stata considerata dagli storici un
punto di svolta per la Calabria e per i calabresi, che avrebbero potuto, grazie ad
essa, uscire per la prima volta dall’isolamento.
La successiva statalizzazione delle ferrovie
nazionali cambiò moltissimo il modo di
viaggiare degli italiani che, con il passare
dei decenni, guardando anche ai nuovi
modi di spostarsi che con la globalizzazione andavano diffondendosi, avanzarono
giustamente pretese sui tempi e le metodologie di collegamento tra i centri urbani
più importanti dell’intera nazione.
Il costante miglioramento della linea ferroviaria calabrese, tuttavia, contrariamente a quanto poi avvenuto nel resto d’Italia,
ha subito una pesante battuta d’arresto già
diversi anni fa, dimenticando progressiva-
N
mente le esigenze di decine di migliaia di
pendolari che avevano il diritto di spostarsi in tempi brevi lungo gli assi più importanti della propria terra.
Già nel 1998, quando nel nord Italia si
cominciava a sentire parlare di treni che
potessero accorciare le distanze tra i grandi centri urbani ed economici del Paese, i
calabresi venivano costretti agli orari più
assurdi, a viaggiare su treni che sembravano risalire a 125 anni prima e a osservare
sconsolati il singolo binario che attraversava la propria città immaginando che, di lì
a qualche altro anno, si sarebbe trasformato in una semplice, quanto sterile barriera
architettonica. Il pretesto di ammodernamento della linea Catanzaro LidoLamezia, addirittura, avrebbe riguardato
la sostituzione della struttura di supporto
del binario, fatta oggi di materiali che non
possono più supportare il peso del locomotore di un treno ad alta percorrenza,
senza che si pensasse piuttosto a introdurre l’elettrificazione, che avrebbe invece
decisamente migliorato la situazione. La
recente introduzione dell’orario estivo,
poi, ha impedito persino ai turisti di spostarsi in orari umani tra una paese e l’altro.
Costringendo chi era abituato a usare il
treno a ritornare all’usufrutto dell’ormai
più rapido trasporto su gomma, l’ente statale del trasporto pubblico su strada ferrata avrebbe avuto via libera nel dichiarare
che la mancanza dell’utenza lo “costringeva” a un taglio dei costi e, conseguentemente, dei mezzi che circolavano non solo
all’interno della regione, ma che erano
diretti anche verso fuori.
Il collegamento diretto verso Roma?
Sarebbe divenuto realtà solo su una delle
due coste della Regione, quella Tirrenica.
Il collegamento per Bologna? Effettuabile
solo con uno o più cambi, proprio come
sarebbe accaduto con Firenze, Milano,
Torino, persino Bari e Brindisi, punti di
riferimento portuale per chi doveva poi
imbarcarsi per i paesi dell’est.
Inutile dire che il “ramo secco” che,
secondo l’ente ormai rinominato
Trenitalia, era diventato la nostra regione,
sarebbe stato ancora più marcio proprio
nel suo versante jonico, una zona dal
potenziale incredibile per la sua bellezza e
le sue potenzialità di sviluppo, eppure
completamente abbandonata da una
società che, secondo i più, aveva un vero e
proprio interesse a sviluppare altrove.
Il sogno di un collegamento ferroviario
efficiente, di cui tutti i calabresi avrebbero
diritto di usufruire, dopo 142 anni rischia
di infrangersi definitivamente. Il progetto
di una ferrovia elettrificata e in grado di
servire tutti i paesi della costa per poter
essere integrata da un trasporto gommato
a pettine che colleghi con i centri urbani
dell’entroterra, viene in queste stesse ore
fatto a pezzi dallo smantellamento progressivo che Trenitalia conduce impietosamente nei confronti delle stazioni delle
nostre città.
Ma la cosa che fa maggiormente male, è
che le preghiere, le proteste, la rabbia di
una popolazione che sta avviando moltissime iniziative con il solo obiettivo di salvare quella strada ferrata menomata che
oggi le rimane, continuano a rimanere
inascoltate dalla società di Stato come dai
capi i Governo.
L’impressione è che, come ha ipotizzato
qualcuno, ci sia un interesse generalizzato
da parte di chi prende le decisioni nel far
morire la ferrovia Jonica, del resto non è
un mistero che la stessa Trenitalia, che ha
già chiuso i binari “in eccesso” nelle stazioni Roccella e Gioiosa, impedendo l’incrociarsi di treni che procedono in direzioni
opposte, si sarebbe dichiarata pronta a sviluppare invece una nuova linea qualora la
Regione avesse presentato un progetto
valido.
Il progetto, invece, non arriva mai né si
finge di parlarne e noi ci domandiamo
perché stiamo così antipatici a chi ci governa.
2009, VENGONO
SOPPRESSI I SEGUENTI
TRENI:
•Reggio Calabria - Roccella Jonica
- Catanzaro Lido - Lamezia Terme
- Roma Termini - Bologna Milano
•Reggio Calabria - Roccella Jonica
- Catanzaro Lido - Lamezia Terme
- Roma Tiburtina - Pisa - Genova
– Torino
2011, Vengono soppressi i
seguenti treni:
•Reggio Calabria - Roccella Catanzaro Lido - Roma Termini
•Intercity diurno Roccella Jonica Roma Termini
•Reggio Calabria - Roccella Jonica
- Catanzaro Lido - Crotone - Sibari
- Bari *
•Reggio Calabria - Roccella Jonica
- Taranto - Brindisi (Porto per la
Grecia) - Bari *
*Già nel 2009, questi due treni ad
alta percorrenza erano stati
sostituiti da littorine che
obbligavano i passeggeri a
cambiare a Crotone, Sibari e
Taranto con orari così ravvicinati
da non rendere infrequente la
perdita della coincidenza.
La genuina bontà de La Fontanella
e il rubino coinvolgente dell'azienda
Capogreco Carthago
Il nono matrimonio
celebrato durante il
Meeting di Enoicamente,
che si è svolto lo scorso 13
aprile presso l'incantevole
Palazzo di Moschetta, è
stato quello
tra il vino Carthago
dell’azienda Capogreco
e il ristorante La Fontanella
della famiglia Simone
u una graziosa e magica collina che sa di arte e
di storia, nella piazza principale di Moschetta a
Locri, sorge il ristorante La Fontanella della
famiglia Simone. Per chi vuole scoprire i sapori
della vera gastronomia calabrese, non c'è posto
migliore. Quella della signora Anna e della nuora
Maria è una cucina attenta e capace di coniugare
sapientemente gusto, tradizione e benessere, dove
ciò che è buono è anche naturale, autentico e genuino. In occasione del meeting di Enoicamente, il
ristorante La Fontanella ha proposto un delizioso e
delicato finger food di stoccafisso alla trappitara
con olio biologico e olive nostrane con dentro tutto
il gusto del mare. Ad accompagnarlo il rosso dell'azienda Capogreco Carthago, un blend di
Sangiovese, Nero D'Avola e Magliocco. "È frutto di
una vendemmia precoce, effettuata intorno al 10
S
agosto. L'uva viene raccolta di notte per evitare
shock termici - ci confida Nicola Capogreco - Il
vigneto viene illuminato a giorno; si inizia alle 20.30
e si tira fino al mattino, a mezzanotte si fa un break
con una grande festa, come vuole la vecchia
tradizione contadina". Fino a 8 anni fa quello dell'azienda Capogreco era l'unico vino rosso prodotto
nella Locride.
È di un rubino carico e intenso con tannini ben
bilanciati, morbidi e persistenti. In bocca ha una
progressione sorprendente: l'ingresso è potente e
nel contempo raffinato. Si susseguono rincorrendosi fragranti profumi di frutta matura, che si fanno
apprezzare per l'approccio sussurrato, e sfumature
floreali coinvolgenti. Il 50% della produzione
Capogreco viene assorbito dall'azienda di proprietà, "Il Palazzo"; il restante 50% viene esportato
all'estero, in particolare in Germania e in Svizzera.
Da oggi presso il ristorante La Fontanella sarà possibile lasciarsi conquistare dalla genuina bontà del
finger food proposto da Anna e Maria in abbinamento al rosso coinvolgente dell'azienda
Capogreco Carthago.
È soddisfatto di aver aderito al progetto
Enoicamente, Nicola Capogreco e per la prossima
edizione suggerisce di coinvolgere un direttore tecnico affinchè giudichi l'abbinabilità di un piatto a un
vino. Anche Antonio Simone, proprietario de La
Fontanella, ha accolto con favore il progetto: "Nel
nostro ristorante serviamo solo vino calabrese al
100%. Enoicamente potrà dare una spinta consistente alla commercializzazione dei vini della nostra
terra e noi saremo ben lieti di fare loro spazio nella
nostra carta dei vini".
RIVIERA
LA SETTIMANA
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DOMENICA 21 GIUGNO
10
Lucano accolto a
braccia aperte da SEL
Uragano Fuda
In settimana Mimmo Lucano, sindaco di Riace, si
è recato in visita dal segretario regionale di SEL,
dove è stato accolto con enorme piacere da Mario
Melfi, che ha dichiarato di essere stato davvero
contento di poter ospitare “uno dei migliori
rappresentanti istituzionali della Calabria”. Solo
grazie alla sua capacità amministrativa e a una
grande forza di volontà, infatti, Lucano è riuscito
a rendere Riace un comune virtuoso, in grado di
integrare perfettamente 400 migranti nella
propria comunità.
Il senatore sidernese ha spazzato via quella parte del Pd che non si mette mai
in discussione, poiché crede di avere, in eterno, il coltello dalla parte del manico.
ria fresca e trasparente
di ponente e aria torbida
di
scirocco,
molto
umida,
proveniente
dallo Stretto si sono
incontrate, poi si sono combattute
per diciannove giorni. Tempesta,
tra Piero Fuda e quella parte del
Pd di MariaTeresa Fragomeni, la
segretaria, il colonnello di ferro di
Reggio nella “sottosviluppata”
Locride, territorio di litigio pieddino: litigi a Gioiosa Marina, litigi
a Locri, musi cagneschi a
Roccella, risposte biliose e
mugugni velenosi dappertutto.
Questo Pd litiga ovunque, quando
pone una prima pietra in questi
nostri paesi stremati, dove
servirebbero degli scatti che cambino di colpo il corso di una storia
recente molto triste. Questo Pd
non si mette mai in discussione,
ripudia gli outsider, gli originali e i
disoccupati eccellenti. Si nutre di
altro, che non combacia quasi mai
con qualcosa di fecondo per le
comunità.
E comunque, la tempesta annunciata s’è materializzata nella serata di giovedì quando la segretaria
e il “mastino” Cecè Carnà hanno
messo per l’ennesima volta il veto
a Paolo Fragomeni come presidente del Consiglio Comunale.
Venerdì mattina la Fragomeni, ha
giocato la sua ultima carta, “il suo
ultimo tentativo di stupire” il navigato senatore: «Io presidente,
Giorgio Ruso vicesindaco»,
avrebbe riferito.
A quel punto, la tempesta è
degenerata in uragano. L’uragano
A
Scalzo e la Boldrini
a confronto
sull’immigrazione
Il Presidente del Consiglio Regionale Antonio Scalzo, ha
incontrato nei giorni scorsi la Presidente della Camera dei
Deputati Laura Boldrini, con la quale ha discusso di immigrazione: “La Calabria - ha dichiarato Scalzo prima di spiegare
le idee del direttivo regionale - ha un'ottima legge su rifugiati e
richiedenti asilo: dobbiamo applicarla”. Dalla terza carica dello
Stato è giunto un “sincero apprezzamento” per il percorso indicato da Scalzo, incoraggiato così a proseguire su questa strada.
Fuda ha spazzato via quella parte
del Pd che da troppo gioca sul
sicuro a carte coperte e con l’umiliazione degli altri, cittadini in
primis. Mentre, al contrario,
l’uragano Fuda ha risparmiato
l’altra parte del Pd, ovvero Anna
Romeo e, soprattutto, quel “brutto
anatroccolo”
di
Paolo
Fragomeni, sinistra the original,
razza pura che sta al Partito
Democratico e alla laicità come
l’uomo al bing bang.
Di tutt’altro spessore è stato
invece il comportamento di Pietro
Sgarlato, durante la conferenza
stampa per la nomina degli assessori. Con uno smartphone in
mano tentava di continuo di
fotografare Peppe Venuto, come a
voler marcare una differenza di
razza, come tutti quelli con il naso
all’insù che, nonostante abbiamo
preso una batosta epocale,
trovano sempre il concime adatto
per la rinascita della coda.
La #fabbricadipietro, già in movimento, ingranerà la marcia tentando di essere competitiva in
ambiti creativi, progettuali, sociali
e culturali.
Siderno, forse proprio perché
attraversata dalla fase di massima
decadenza, soprattutto per colpa,
grandissima
colpa
dei
Commissari, diventerà un laboratorio in cui si coltiverà una rinascita, un nuovo stile di vita, un nuovo
modo di rapportarsi all’ambiente,
un altro senso di appartenenza
alla propria città.
Vladimir
A Soveria Mario
Oliverio discute
delle nuove strategie
delle aree interne
Giovedì 18 giugno si è tenuto, nell’ex sede
della comunità montana di Soveria, una conferenza dal titolo: “La Calabria nella strategia
nazionale delle aree interne”. Oltre al presidente dell’Uncem Calabria Vincenzo Mazzei,
al consigliere nazionale dell’Anci Attilio
Mazzei, Francesco Aiello del dipartimento
economia dell’Unical e Giovanni Soda, sono
intervenuti anche i consiglieri regionali di
maggioranze e il presidente Mario Oliverio,
che ha tracciato le conclusioni dell’incontro
con Nino De Gaetano.
Arrestata a Locri
l’autrice di
decine di furti.
È caccia ai complici
Qualcuno l’aveva ribattezzata il “Terrore di
Locri” e qualcuno giurava che fosse stata in
grado di compiere fino a dieci rapine in un
giorno. Domenica scorsa, però, la carriera criminale di Raluca Silaghi, 28enne rumena, è stata
stroncata da una signora, che si è resa conto per
tempo di aver fatto entrare in casa una malintenzionata, e dalle forze dell’ordine, che hanno
dovuto addirittura salvarla dal tentato linciaggio
di una folla rabbiosa. Gli inquirenti, adesso, sono
sulle tracce dei suoi complici.
SOCIETÀ
Festa della Mus
e che l’estate abbia
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO
nche quest’anno Siderno sarà
pizzicata dal morso della tarantola
e saluterà il solstizio d’estate al
ritmo della catartica e indomabile
musica popolare. Grazie allo sforzo
organizzativo della Pi Greco Communication
torna l’elettrizzante appuntamento con la
Festa della Musica, realizzata in collaborazione con il Comune di Siderno, iWorld,
fm eventi e il settimanale free press Riviera.
Per l’edizione 2015 dell’evento, la Pigreco
Communication è stata affiancata dalla
iCompany (www.i-company.it), l’importante
network discografico diretto da Massimo
Bonelli che, a partire da quest’anno, gestisce
anche l’organizzazione generale del
A
Concertone del Primo Maggio di Roma. Una
ubriacatura solenne di musica è in programma, dunque, per oggi a partire dalle 21, in
piazza Portosalvo che, dopo la proiezione del
docu-film Kaulonia Tarantella Festival
(prodotto proprio da iCompany), sarà animata dalle note dei Sabatum Quartet, da uno
showcase di Mimmo Cavallaro e dai Gioia
Popolare nell’ambito di una manifestazione
che si inserisce nel grande progetto di
Calabriasona. Abbiamo intervistato uno dei
protagonisti di questa sera, Mimmo
Cavallaro, tra i più autorevoli interpreti della
tradizione musicale calabrese, fondatore
della band TaranProject che con i suoi ritmi
ha fatto scatenare nonni e nipoti, ritmi che
mettono al bando la noia e scatenano quell’allegria assurda che ti cinge alla vita mentre
i sederi ballano e un piacere sconosciuto solletica e palpita.
Qualcuno disse “L’anima domanda, la
musica risponde”. Che risposte dà la
sua musica?
La mia musica richiama le nostre radici
popolari, ha a che fare con il passato e in particolare con il mondo contadino ma vengono
sperimentate nuove strade così da far
scattare scintille creative nella tradizione.
Ha rispolverato la lira calabrese.
Cos’ha questo strumento da regalare
alla musica?
La lira calabrese è uno strumento arcaico
arrivato dall’Oriente. Stando alla mitologia
greca, l’invenzione della lira è da attribuire a
Mercurio, che in giovane età, intrattenendosi a colloquio con una tartaruga, la privò
crudelmente della sua casa e tese, all’interno
del guscio, sette corde di budello di pecora,
costruendo così la prima lira. Donò quindi lo
strumento ad Apollo, che a sua volta elargì al
figlio Orfeo, il più famoso poeta e musicista
che la storia abbia mai avuto. Sono state le
Muse a insegnare la lira al giovane Orfeo,
che divenne talmente abile al punto da riuscire ad ammansire gli animali feroci e far
commuovere persino le divinità degli inferi.
La lira stava per scomparire negli anni ‘80
ma è stata riportata alla luce da un gruppo di
ragazzi che hanno setacciato i paesini della
Locride scoprendo che ancora c’era qualcuno che la suonava. Oggi è uno strumento
che fa parte di quasi tutti i gruppi popolari
calabresi perchè è in grado di riprodurre la
sonorità tipica del nostro territorio. È uno
“
Stasera Siderno sarà
invasa da quei ritmi
che mettono al
bando la noia e
scatenano
un’allegria assurda
che ti cinge alla vita
mentre i sederi
ballano e un piacere
sconosciuto solletica
e palpita.
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sica...
a inizio!
strumento straordinario che vale la pena
suonare e far conoscere alle nuove generazioni.
Con i TaranProject è riuscito a far
straripare le piazze non solo in Italia
ma anche all’estero e far ballare nonni
e nipoti. Qual è la vostra forza?
Il nostro pregio è aver riportato nelle piazze
la musica popolare vestita da sonorità moderne. E questo riesce ad accomunare e far
divertire generazioni differenti.
A un certo punto della sua vita conosce
Eugenio Bennato. Cos’ha significato
questo incontro per la sua carriera?
Eugenio Bennato è da sempre considerato
uno dei precursori e maestri della musica
popolare del Sud. Lo ha fatto in tempi non
sospetti fondando la «Nuova Compagnia di
Canto Popolare», una ricerca poi proseguita
attraverso i «Musicanova» fino a generare il
famoso movimento «Taranta Power», un
progetto musicale esportato in tutto il
mondo. È stato tra i primi a capire la forza di
questo genere musicale. Mi ha incoraggiato a
continuare il mio progetto e mi ha dato una
grande mano nella realizzazione del mio
album d’esordio,”Sona Battenti”.
Il brano a cui è più legato?
E perchè?
In realtà sono legato a diversi
brani. Quello che senz’altro ha
avuto un grande riscontro e che
per me significa tanto è Passa
lu mari, che ha come tema il
fenomeno dell’immigrazione
ed è caratterizzato da suoni che
si aprono verso il mare, perchè
quella è la vera matrice della
nostra musica: il Mediterraneo.
Quando è sul palco e
abbraccia la sua chitarra è
come se la sua musica invitasse ad abbandonarsi a
un piacere sensuale senza
peccato per il quale
richiede il massimo rispetto. È così?
Sì, quando ho di fronte il mio
pubblico cerco di comunicare al meglio la
mia passione per la musica attraverso le
corde vocali, le corde della chitarra e non da
ultima l’espressività. Spero di riuscire a solleticare nel modo giusto l’appetito e la voglia
di divertimento della gente e coinvolgerla in
questo fantastico mondo della musica popolare.
Si sente un po’ il punto di riferimento
per i gruppi emergenti locali?
Ascoltando i giovani gruppi di musica popolare mi rendo conto che si lasciano un po’
ispirare da noi e questo mi lusinga.
A chi si dice stanco della tarantella
cosa replica?
Non ascoltatela, non siete obbligati. Peggio
per voi!
DOMENICA 21 GIUGNO
13
“
A partire dalle
21, piazza
Portosalvo dopo
la proiezione del
docu-film
Kaulonia
Tarantella
Festival sarà animata dalle note
dei Sabatum
Quartet, da uno
showcase di
Mimmo
Cavallaro e dai
Gioia Popolare
Tra i protagonisti Mimmo Cavallaro, uno dei più
autorevoli interpreti della tradizione musicale
calabrese, fondatore della bandTaranProject che
con i suoi ritmi ha fatto scatenare nonni e nipoti.
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rubriche in cui si esprimono giudizi o riflessioni personali,
sono da ritenersi direttamente responsabili.
Direttore responsabile:
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO
Editorialista:
ILARIO AMMENDOLIA
COLLABORATORI:
Jacopo Giuca, Cristina Caminiti, Eleonora
Aragona, Franco Parrello, Lidia Zitara,
Domenico Spanò, Sara Leone, Sara
Jacopetta.
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Sette anni
senza Albalucia
e Federica
Lunedì 15 giugno è stato il settimo
anniversario da quel terribile giorno,
giorno in cui le nostre vite sono state
stravolte per sempre… giorno in cui
siete volate in cielo... senza una spiegazione logica.
Ancora nessuno ha pagato… e ogni
anno che passa è sempre più pesante…
Siete sempre con noi.
Le famiglie Caricari e Petrolo
A Reggio il 3°
Memorial Anna
Multari
Mercoledì sera, alle ore 19:00, presso lo “Sport village di Catona”, a
Reggio Calabria, si è svolto un torneo di calcio a 5 in ricordo della
compianta Anna Multari, originaria
di Siderno. Il torneo è organizzato
dal Cral del Consiglio regionale della
Calabria ossia il circolo ricreativo dei
dipendenti del consiglio. Anna
Multari, infatti, faceva parte del
comitato direttivo.
Ci lascia
Domenico
Chianese
È morto Mimmo Chianese. Persona
seria, gentiluomo di altri tempi.
Lascia un vuoto tra gli amici che il
sabato mattina sorseggiavano insieme a lui il caffè, discutendo dei problemi di Siderno e Locri. Ad attenderlo ci sarà il Paradiso degli uomini
dolci e generosi con il sorriso brioso
e lo sguardo buono.
“
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Siderno
DOMENICA 21 GIUGNO
14
Paolo, da quaggiù
ti vedo sorridermi
“Hai dato
tanto alla
nostra
comunità,
forse troppo,
affrontando
non poche
battaglie e
sopportando
grandi
ingiustizie”
Abidjan 11 Giugno 2015
Quando sei lontana dalla tua terra é
come se quella distanza allontanasse
temporaneamente da te i volti familiari, sbiadisse i ricordi, confondosse
gli odori a cui eri abituata fino a quando fatichi a risentirli nella tua
mente…ma quando apprendi una
notizia come quella della scomparsa
di Paolo Catalano che è un pezzo
importante di me stessa, allora tutto
ad un tratto i ricordi diventano nitidi,
gli odori intensi e i volti si materializzano come per magia nella tua
mente.
Pur sforzandomi non riesco proprio a
ricordare un momento o traguardo
della mia vita in cui Paolo e Cornelia
non siano stati presenti, partecipandomi il loro affetto con i loro sguardi,
con le loro parole, soprattutto quelle
scritte di Paolo… Si, ad ogni ricorrenza che lo ha visto testimone mi ha
reso omaggio con il mezzo più prezioso: la sua sensibilità, cultura senza
limiti (come direbbero i matematici
«asintotica a più infinito») e saggezza.
Con te Paolo, va via un pezzo della
mia magnifica fanciullezza e adolescenza. Negli ultimi anni, a causa
delle terribili vicende che hanno toc-
cato la mia famiglia, mi sono allontanata, non per scelta, bensì per necessità, dalla mia Siderno e con lei da
tutti i miei affetti più cari, tra cui tu,
che occupi un posto di grande rilievo.
Inutile dirti che sono oltremodo
dispiaciuta per non averti potuto salutare come avresti meritato, ma so che
da lassù mi guardi e mi guarderai
come hai sempre fatto.
Ti vedo in questo momento sorridermi dolcemente come facevi d’abitudine, sprigionando tutta la tua signorilità seppur dietro un po’ di amarezza… Hai dato tanto alla nostra comunità, forse troppo, affrontando non
poche battaglie e sopportando grandi
ingiustizie a mio avviso… Ma questa
è un’altra storia, la stessa purtroppo
che accomuna gli uomini straordinari
come te… forse perché solo voi conoscete la nobile arte di perdonare e
comprendere gli orrori del nostro
genere umano senza «emigrare nei
vicini lidi della follia umana»…
Esprimo le mie condoglianze a te,
cara Cornelia e a voi, Giusy,
Giampiero e Francesco che siete il
più bel risultato di questa splendida e
indimenticabile coppia.
Con affetto e
stima immensa
Il City Camp Basketball
arriva a Siderno
I ragazzi dell’YMCA hanno avuto il
privilegio di essere allenati dal Coach
Rick Walrond, allenatore statunitense
Da lunedì 15 a venerdì 19 giugno, presso i campetti dell’YMCA Siderno, è
andato in scena il City Camp Basketball
organizzato dalla BGT Sport
Company. Il camp ha visto la partecipazione di bambini e ragazzi, di età compresa tra i 7 e 18 anni, appartenenti perlopiù alla “cantera” dell’YMCA
Basketball. I ragazzi hanno avuto il privilegio di essere allenati dal Coach Rick
Walrond, allenatore statunitense
(amico di Mike D’Antoni, vecchia
conoscenza del nostro basket) conosciuto per la sua capacità di insegnamento dei fondamentali del gioco della
palla a spicchi, e con un passato a South
Carolina nella NCAA( basket universitario USA) e nella massima Lega cinese.
Oltre agli allenamenti del Coach nordamericano, i ragazzi hanno avuto occasione di apprendere tecniche di gioco
dal coach reggino Pasquale Iracà,
cofondatore di BGT Sport ed ex allenatore della Viola Reggio Calabria, e di
confrontarsi con l’Ala di Roseto (Serie
A2 Silver), nonché ex Fortitudo
Bologna e fondatore di BGT Sport,
Salvatore Genovese.
Il City Camp ha rappresentato l’ennesimo successo dell’Associazione YMCA,
che fa il paio con l’YMCA Village, progetto istituzionale che tende a valorizzare nello sport, nella musica e nelle arti; i
bambini che vi partecipano durante
tutto il periodo estivo.
Sport e formazione, i due pilastri su cui
si regge l’YMCA.
Antonello Tinelli
ATTUALITÀ
Dal padre quercia al padre bambù:
l'identikit dei nuovi padri calabresi
Nuovi esemplari di padre tentano di contrastare l'onnipotenza delle madri: dall'agente
procuratore al banchiere, dal cavaliere bianco alla guardia del corpo, dal falco al sindacalista.
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO
adri che spingono passeggini, che saggiano
con il gomito l'acqua del bagnetto, che sterilizzano biberon e tettarelle. Padri che sui
social network postano orgogliosi foto dei
propri pargoli con tanto di dedica strappalacrime. Padri che hanno preso i difetti delle madri,
primo tra tutti l'ansia.
Per troppo tempo - e giù da noi in particolare - al
padre è stato chiesto di essere il presidio, il baluardo del divieto e dell’obbligo, lo strenuo difensore
del dovere. E per far questo è stato costretto a
costruirsi una maschera di severità, di impenetrabilità; ha dovuto rinunciare alle parole, trattenere i
gesti, ricacciare le lacrime. Per troppo tempo al
padre è stata riservata una paternità monca, atrofizzata, dove non c’era spazio per l’emotività che
sembrava congelata, ibernata. Il padre era quello
che contava fino a tre, quello che bastava uno
sguardo, quello di cui si aveva paura quando rincasava perché la mamma gli avrebbe raccontato tutte
le birbanterie della giornata, quello che È cosi perché lo dico io e giù in picchiata un fragoroso pugno
sul tavolo in segno di inappellabile ratificazione.
Quell'io che peso probatorio aveva? Perchè sfidare i figli in quel modo? Un atteggiamento che produceva inevitabilmente due effetti: padri da cui
scappare, padri assassini di bussole con figli incassati nelle loro bare verticali. A lungo il padre è stato
tenuto da parte, ma utile nei momenti difficili, perché quando le madri non riuscivano da sole a sbrogliare la matassa dell'educazione, ecco che scattava
il solito: “Parlane con tuo padre!”. Oggi, al grido di
“voglio esserci”, i padri cercano di recuperare il terreno perduto e contrastare l’onnipotenza manifestata dalle madri, che per tanto tempo hanno occupato tutto lo spazio della genitorialità. Abbiamo
intervistato 60 papà calabresi di età compresa tra i
28 e 55 anni, concentrandoci su quello che è il compito considerato meno mascolino, ovvero cambiare
il pannolino. Tra i padri di età compresa tra i 28 e i
35 anni, il 20% ha dichiarato di cambiare abitualmente i pannolini al proprio bebè (e qualcuno
aggiunge di conoscere bene le marche delle salviettine che irritano meno), il 40% lo fa solo se la
moglie non è in casa, il restante 40% non l'ha mai
fatto, nè saprebbe farlo, nè intende cimentarsi. Solo
un decennio fa la percentuale dei padri in grado di
cambiare un pannolino era molto più bassa. Tra i
P
“
Per troppo tempo il padre era
quello che È cosi perché lo dico
io. Un atteggiamento che
produceva inevitabilmente
due effetti: padri da cui
scappare, padri assassini di
bussole con figli incassati nelle
loro bare verticali.
padri di età compresa tra i 35 e i 45 anni solo il 30%
dichiara di aver cambiato almeno una volta il pannolino. Per i padri che hanno avuto un bebè più di
20 anni fa (fascia tra i 45 e i 55) la percentuale si
abbassa al 10%. In compenso sono padri che ascoltano, consigliano, consolano i loro figli ormai adolescenti. Sono padri che cercano di ritagliarsi nicchie di intimità e dar voce a quelle parti di sé che
nel tempo si sono atrofizzate per il mancato utilizzo. Padri che finalmente si commuovono, aiutano i
figli a fare i compiti, fanno shopping con loro, ascoltano i loro piccoli problemi di cuore. Gli esperti
sostengono che questi nuovi padri, spesso definiti
"mammi", abbiano, però, dato luogo a processi di
infantilizzazione. Si è passati, ad esempio, dal
padre-padrone al padre-coglione, per dirla con
Stefano Zecchi; a “un idiota seduto davanti alla
televisione”, per citare Luigi Zoja; ai babboccioni
che crescono bamboccioni come sostiene, invece,
Antonio Polito, il quale parla anche di papà-orsetto
che cercano la complicità dei figli-peluche. Si è parlato, poi, di helicopter parents, ovvero di genitori che
volano basso e in maniera persistente sulla testa del
figlio, accompagnandolo in ogni aspetto della sua
esistenza. Tra i padri intervistati di età compresa tra
i 35 e i 55 anni è possibile rintracciare le diverse
tipologie di padre descritte da De Vanna, D'Elia e
Gigante in "Di padre in padre": l'agente procuratore,
colui che definisce contratti e lima le difficoltà che
il figlio incontra; il banchiere che, sempre presente,
risolve tutti i problemi di natura finanziaria; il cavaliere bianco che si materializza all’insorgere del problema per risolverlo e poi sparire nell’ombra; la
guardia del corpo che protegge il figlio attraverso
specifici interventi difensivi; il falco che si adopera
con qualsiasi mezzo – lecito o illecito – per garantire dei vantaggi al proprio figlio. Sommando la tipologia dell’agente procuratore e del falco si ottiene
quello che Antonio Polito chiama il padre “sindacalista”, esemplare assai diffuso nella Locride, sempre pronto a spianare la strada al figlio, convinto a
suon di diritti che il successo e il benessere non si
conquistano, ma sono dovuti.
Quello che emerge è, dunque, un padre mansueto
e accomodante, spesso un muro di gomma contro
il quale non c'è più gusto a sbattere. Ma in compenso è possibile dire addio al padre-quercia di un
tempo e benvenuto al padre-bambù che, se in
grado di dosare bene la sua flessibilità, può far fronte a terremoti e tsunami.
“
I padri di oggi cercano di ritagliarsi
nicchie di intimità e dar voce a
quelle parti di sé che nel tempo si
sono atrofizzate per il mancato
utilizzo. Padri che ascoltano,
consolano e finalmente si
commuovono.
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DOMENICA 21 GIUGNO
17
A tu per tu con i
maturandi
Li abbiamo aspettati all'uscita da
scuola il giorno della prima e della
seconda prova per farci
raccontare una tappa importante
della loro vita: quella che segna
l'ingresso nel mondo dei grandi
della
Locride
1) Francesco A. Lucà, Francesco Catanzariti, Daria Commiso, 5B Liceo Classico di Locri 2) Stefano Multari, Saverio Bumbaca ITG Marconi Siderno, 3) Andrea Ratuis, Kevin Costa, Stefano Panetta, Carlo B. Longo, Gianluca Giuffrida, 5E Liceo Scientifico di Locri
MARIA GIOVANNA COGLIANDRO
arlo Bruno, Andrea, Kevin, Gianluca e
Stefano la notte prima degli esami
l'hanno trascorsa attorno a un falò.
Francesco Antonio ascoltando musica.
Saverio e Stefano M. hanno festeggiato
fino alle 5 del mattino e poi 2 ore di sonno e 6
ore di tema. Veronica non ha chiuso occhio.
Daria, Francesco, Monica, Maria Teresa e
Mariana hanno dormito beatamente.
Comunque l'abbiano trascorsa sarà una notte
che ricorderanno per sempre, con tutto il suo
impasto di emozioni da tirare e rilasciare come
elastici, una notte che sentiranno insinuarsi nelle
viscere e che li farà sobbalzare nel sonno anche
quando avranno ormai i capelli bianchi.
Li ho aspettati per due giorni all'uscita da scuola
i maturandi della Locride, insieme a papà intenti a fissare il disegno che due mosche tracciavano sul parabrezza e mamme che si tormentavano i capelli.
Ne ho fermati alcuni intromettendomi nella
chiamata a casa in cui annunciavano che per
quel giorno la tortura era finita. Come sono fieri
e baldanzosi i ragazzi di oggi. Non hanno più
quelle facce scavate e provate dall'ansia delirante dei maturandi di un tempo che sembravano
fuggite da un quadro del Caravaggio, ma hanno
i volti luminosi e distesi che dipingeva Stieler.
Certo, tra loro c'è ancora chi preme dal basso il
tubetto del dentifricio ma c'è soprattutto chi ha
dentro un caos che non lo spaventa e che non
ostenta come quei bohémien che fingono che il
loro disordine sia un ordine superiore dello spirito. Schopenhauer non ha mozzato la loro spensieratezza nè Kierkegaard ha fatto loro dubitare
che la vita è bella.
Hanno immaginato a lungo quali potessero
essere le tracce della maturità 2015 ma tutti i
pronostici sono andati fuori bersaglio: niente
Expo, niente Charlie Hebdo, niente Isis o immigrazione. Sei opzioni a sorpresa ma abbordabili.
La traccia scelta dalla maggioranza dei ragazzi
intervistati è stata quella di ambito tecnico scientifico: il mondo connesso è un argomento con
cui andare a nozze per i nativi digitali. Al secon-
do posto, la traccia di ambito artistico letterario
con la letteratura come esperienza di vita, scelta
dai più romantici. Al terzo posto, tema su
Yousafzai Malala, la coetanea premio Nobel per
la pace che parla ai ragazzi di istruzione e coraggio. A tu per tu con i maturandi della Locride
La prima prova è quella che temevano di meno,
la terza, il cosiddetto quizzone, "in onda" domani, è per loro la più scottante. Gli argomenti che
discuteranno all'orale sono dei più vari: L'utilità
dell'inutile, Il senso della vita, L'infinito oltre ogni
limite, Il viaggio, La natura, Il teatro dell'assurdo,
Il doppio. Quanto ai progetti post esami, relax
relax relax. C'è chi ha già scelto l'università:
medicina va per la maggiore, secondo gradino
Isef, terzo ingegneria. Possibilmente fuori dalla
Calabria "perchè qui la sera è un mortorio" - sorride Kevin ed è quasi zuffa con Carlo Bruno che
guai a chi gliela tocca la sua terra. C'è poi chi proverà a entrare all'accademia militare come
Saverio, chi cercherà un lavoro come Stefano
M., chi potrà optare per l'università in Francia
grazie alla certificazione ESABAC rilasciata dal
Liceo Magistrale G.Mazzini di Locri.
Sono pronti a lasciare la Calabria i nostri ragazzi. Loro sì, le mamme un po' meno. Quella valige piene di cinghie e di ombre sono uno scudiscio che staffila abbattendosi sul cordone ombelicale, in modo sottile e insopportabile. Ma
dovranno accettarlo prima o poi che i loro figghiolelli sono diventati grandi. Una nuova età si
spalanca per loro, un'età in cui le emozioni si
descrivono, si analizzano, si definiscono ma si
smette di nuotarci dentro. Perchè diventare
adulti - ancora non lo sanno - ma è un merito che
si paga caro. Qualcuno di loro avrà vite smarrite
di vodka e affitto non pagato, qualcuno, peggio
ancora, vite rimaste impigliate in fogli di carta
carbone. Ci saranno esistenze da pappa reale e
altre con nebbie pigramente propizie. Tra loro
medici, poeti, saltabarriere e burladogane.
Perchè è così che va la vita.
Saluto questi straordinari ragazzi, tutti con due
puntini luminosi al posto degli occhi, sperando
che quella luce non si spenga mai. Nel frattempo una rondine con le sue affilate forbici ritaglia
per loro nuovi cieli.
Come sono fieri e
baldanzosi i ragazzi di oggi.
Schopenhauer non ha
mozzato la loro spensieratezza nè Kierkegaard ha
fatto loro dubitare che la
vita è bella.
Una nuova età
si spalanca per
loro, un'età in cui le
emozioni si descrivono,
si analizzano, si definiscono
ma si smette di nuotarci
dentro.
C
“
“
RIVIERA
L’associazione “Amicizia è Pace” saluta Fuda
Giovedì mattina, presso il Comune di Siderno, l’associazione Amicizia è Pace, presieduta da Bruno Gasparro, ha voluto portare i suoi saluti al sindaco Pietro Fuda.
Insieme a loro, una folta delegazione proveniente da tutta la Locride ha augurato
buon lavoro all’ingegnere scelto con un’ampia maggioranza dalla cittadinanza per
guidare la città fuori dalla crisi che l’ha colpita.
CULTURA E SOCIETA’
Aspettando il Premio Pericle d’Oro 2015
L’intervista immaginaria di Lidia Zitara
Moretti trombato ai
La Kermesse
David da Anime Nere
di luglio sarà
dedicata alla
Comunicazione
“Il Premio Ellade” va, al Dr. Giovanni
Battista Macrì Presidente Della Corte
D’Appello di Reggio Calabria. “Quella
che sto per presentarvi è una delle personalità più illustri in questo trentesimo
premio. Del resto da frammenti della sua
vita professionale si può già intravedere
la statura del personaggio”. Così esordisce il maestro Domenico Savica organizzatore del Premio Prericle d’Oro, che si
terrà l’ultima domenica di luglio a
Bovalino. Giovanni Battista Macrì è nato
ad Acireale, si è laureato in
Giurisprudenza presso l'Università degli
Studi di Catania il 12.11.1963. È coniugato con due figli. Superato il concorso per
l'accesso in magistratura, classificatosi al
secondo posto in graduatoria, nominato
uditore giudiziario il 27.12.1965, ha esercitato le funzioni di Pretore mandamentale fino al febbraio 1974 quando è stato
destinato al Tribunale di Catania esercitando le funzioni di giudice, prima presso la terza sezione civile (che tratta di
diritti reali e successioni) e la sezione
specializzata agraria e, successivamente,
presso la sezione fallimentare e commerciale, ricoprendo anche l'incarico di giudice del Registro delle Imprese e di giudice delegato ai provvedimenti in materia di stampa periodica. Destinato alla
Corte di Appello di Catania. Trasferito al
Tribunale di Catania con funzioni di
Presidente di sezione, è stato destinato a
presiedere la I sezione della Corte di
Assise di Catania, successivamente, la I
sezione penale e, in questa ultima veste,
contestualmente, dal luglio 1994 al giugno 1996 il Tribunale del riesame. Dal 18
marzo 1997, oltre a presiedere la sezione
penale, è stato destinato a presiedere in
supplenza la Sezione IV civile e fallimentare. Dal 16 luglio 1997 ha presieduto
quest'ultima sezione che si occupa, oltre
che di fallimentare, di diritto commerciale (societario, bancario) e che compone
la Sezione Specializzata per la tutela
della proprietà intellettuale e industriale.
Nel contempo è stato delegato a provvedere nelle materie di cui agli artt. 148 c.c.,
814 c.p.c. Negli anni 1998, 1999, 2000,
2002 e 2003, mantenendo sempre la
responsabilità della quarta sezione civile
e fallimentare, ha presieduto in supplenza la prima sezione della Corte di Assise,
definendo cinque procedimenti per omicidi e associazione mafiosa; applicazione,
la Corte di Assise di Appello. Nel contempo ha anche presieduto la seconda
sezione stralcio del Tribunale. È stato
responsabile della biblioteca unificata
del Tribunale e della Corte di Appello di
Catania per cui ha provveduto alla selezione dei libri da acquistare e per cui ha
vigilato sul relativo personale. Con riferimento alla sua esperienza nel settore
penale ha presieduto la prima sezione
della Corte di Assise di Catania occupandosi non solo di ordinari processi di criminalità, ma anche dirigendo il dibattimento di due maxi-processi a organizza-
zioni mafiose, (concernente ben 115
capi di imputazione e 70 imputati). Da
presidente della prima sezione penale, si
è occupato sia di processi concernenti
associazioni di tipo mafioso e associazioni a delinquere dedite al traffico di stupefacenti, per cui ha più volte presieduto il
Tribunale in udienze presso le più diverse aule bunker d'Italia onde procedere
all'audizione di collaboratori di giustizia,
sia di processi concernenti false comunicazioni sociali, di bancarotta e di criminalità e di politica. Ha diretto il dibattimento estendendo la motivazione della relativa sentenza del processo alla tangentopoli catanese (c.d. scandalo di Viale
Africa) che ha visto coinvolti venti nove
imputati appartenenti alla classe politica
locale e nazionale. Di processi concernenti la c.d. criminalità politico-amministrativa e in materia di associazione a
delinquere di stampo mafioso si è occupato anche negli anni 1997 e 1998. Ha
presieduto il Tribunale del riesame di
Catania, per cui si è occupato, tra l'altro,
di tutte le maggiori inchieste svolte dalla
D.D.A. catanese. Con riferimento al settore civile, è stato presidente della sezione quarta civile e fallimentare del
Tribunale di Catania, che si occupa di
tutti i rami del diritto commerciale (dal
diritto societario a quello della navigazione, dal diritto industriale a quello bancario). Ha presieduto, inoltre, dalla sua istituzione la sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale
per i territori ricompresi nei distretti di
Corte di Appello di Catania, Messina,
Reggio Calabria e Catanzaro. È coautore di un volume, edito da Giuffrè dal titolo "I nuovi patti agrari\ di due volumi
"Legislazione agraria. Contratti, credito,
prelazione" e "Diritto delle società", editi
rispettivamente da Giuffrè e da Ipsoa
nonché di vari scritti in materia fallimentare e societaria. Ha rivestito l'incarico di
segretario generale del Tribunale per gli
adempimenti in materia amministrativa,
e di componente dell'U.D.A. Dal
18.12.2007 ha presieduto il Tribunale di
Messina. Dal 12.11.2012 presiede la
Corte di Appello di Reggio Calabria.
- Egregio dottor Moretti, grazie di averci dedicato un po’ del suo tempo per questa intervista, le va di parlare del fatto di essere stato trombato ai David di Donatello da un film
calabrese?
- Cioè, a me quello che mi dà sempre fastidio è che in queste occasioni… sai, io ci vedo
come una sorta di esorcismo. I film sono fatti di momenti drammatici e momenti comici:
non si possono misurare con il bilancino, e così la vita.
- Cioè se l’è “stricata” parecchio, dottò?
- Tutto dipende dalla sceneggiatura, che te
lo dico a fare? La sceneggiatura è il mio
modo di esprimermi, di comunicare (si
schiarisce la voce). Vedi, nella sceneggiatura del mio film, c’è l’alternarsi di questi
due toni, oserei dire di questi due registi
linguistici, ma anche una dicotomia tra
visioni, sogno, immagini oniriche e realtà.
- Ho capito dottò, diciamo che la sceneggiatura della sua vita in questo momento
ha avuto un picco minimo. Ma lei se l’aspettava che un film così complesso come
“Anime nere” sarebbe stato compreso e
così largamente apprezzato dalla giuria
dei David? Non temeva il confronto con
Munzi, che detta libera, è pure più bono di
lei, che ormai va verso la decadenza subatomica?
- Ahò, ma che stai a di’? Ah bella, nun vedi
che c’ho un appeal sexy che me svengono
dietro? Dopo “Caos calmo” me so’ trombato mezza Roma!
- Ah, ecco dov’è la sua vera natura! Ha
perso freschezza con l’età! E poi, dottò,
ma chi le viene dietro? Le milf, mica le
giovani! Forse le sessantenni che ancora
credono sia esistita la sinistra, tipo le expresidenti di sedi provinciali, quella roba
andante che trova anche sui siti porno!
- Ma te pare che Munzi sta messo mejo de
me come anagrafe, gioia?
- Ma se lei è del ’53, dottò! E poi Munzi non è così imbalsamato! Tra un po’ le crescono i
funghi sulla schiena!
- Me consolo de una sola cosa, me consolo…
- Di che dottò?
- Quer fijo de ‘na mignotta almeno nun è calabrese come te, ma romano come mme!
“Creativa… mente”arricchisce
gli allievi e abbellisce l’Alvaro
Il progetto “Creativa… mente” ha permesso agli
allievi della scuola media “Alvaro”, guidati dalla
professoressa Rossella Verdiglione, di realizzare
tre trompe-l'œil, pitture che inducono l'illusione
di guardare oggetti tridimensionali. I dipinti,
dedicati a Corrado Alvaro, rappresentano
l’Aspromonte le opere più famose dello scrittore. Il professor Francesco Cavallaro ha realizzato per l’occasione il ritratto di Alvaro. Gli
allievi vorrebbero ripetere l’esperienza per dare
nuovo volto all’Istituto.
RIVIERA
LA ROSA DEIVENTI
Gioconda laVagabonda
LA GIOCONDA. Famosissima opera di Leonardo
Da Vinci, uno dei quadri se non IL QUADRO più
famoso al mondo, "nasce" in Italia, si trasferisce in Francia nella primavera del 1516, insieme con il suo Autore, e si stabilisce in un bellissimo
palazzo messole a disposizione dal re Francesco I, il quale la compra per 12 mila scudi d'oro. Qui, resta fino alla morte di Leonardo, poi si sposta a Fontaimbleu. Vi rimane fino al 1962, quando a bordo di un transatlantico, il France, attraversa l'Atlantico, dentro una cassa impermeabile.
Più tardi, ritorna a Parigi e qui si stabilisce per sempre.
di Maria Verdiglione
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ALB:L’incontroconPadreGiovanniLadiana
si trasforma in un’occasione culturale
Padre Giovanni Ladiana ricorda un po’ Papa
Francesco quando dice: “Mi hanno definito ‘il
prete che prende a ceffoni la ‘ndrangheta’, ma
io prendo a ceffoni le persone a cui voglio
bene, la ‘ndrangheta la combatto”.
Durante l’incontro-dibattito tenutosi a Locri la
scorsa settimana, padre Giovanni ha voluto
raccontare le sue esperienze di vita, più che
presentare il volume edito da Laterza “Anche
se tutti… io no”.
La manifestazione è stata organizzata
dall’ALB (Associazione Amici del Libro e
della Biblioteca), che per una casualità si è
imbattuta in questo saggio poetico e narrativo,
e che ha tenuto a incontrare padre Giovanni a
Reggio, dove lavora e promuove le attività di
“Reggio non tace”, un vasto movimento anti‘ndrangheta.
Cosimo Pellegrino, presidente dell’ALB ci
dice: “È difficile restituire a parole la pregnanza di quanto è accaduto a Locri la scorsa settimana, la solidità culturale e l’autodeterminazione di una persona così carismatica, la den-
sità e l’attualità dei temi che sono stati affrontati, la maturità e la saggezza di una visione
anticonvenzionale. Sembra che tutto si sia
dato appuntamento per una felice riuscita,
anche se l’incontro con il libro di Ladiana è
stato casuale, anche se è vero che le cose si trovano seguendo una determinata rotta.
L’interesse suscitato dal libro in seno all’associazione ci ha fatto pensare ad un incontro un
po’ più esteso di quello che avevamo preventivato, trasformandolo in vera e propria occasione culturale. Ci è stata poi gentilmente proposta una sede che avrebbe potuto accogliere un
buon numero di persone, la Casa di Santa
Marta a Locri, una sede Caritas, a cui vanno i
nostri ringraziamenti. L’affluenza e la partecipazione del pubblico ci ha testimoniato che
non solo noi siamo rimasti felicemente colpiti
dal libro. Tant’è che l’incontro sarebbe dovuto
finire alle 20:30, mentre alle 22 c’era ancora
gente che sarebbe rimasta volentieri. Ciò che
in Ladiana ci ha colpiti è l’atteggiamento antigerarchico, nonostante egli faccia parte dei
Gesuiti, che è anche lo spirito che anima la
nostra associazione. Non abbiamo mai preteso
di dirci professionisti degli eventi culturali, e
–riprendendo una frase di padre Giovanni
Ladiana- su dieci passi magari ne facciamo
nove indietro, ma quell’unico passo avanti è
solido, forte, partecipato. Abbiamo avuto la
partecipazione di monsignor Francesco Oliva
e di molte associazioni: siamo orgogliosi di dire
che per noi quest’evento è stato un passo avanti importante”.
La filosofia di Ladiana è complessa, frutto
anche delle sue attività nella zona di Reggio,
della frequentazione quotidiana con situazioni
di illegalità, malavita e criminalità diffuse.
Ladiana ha fatto dell’inclusione e della partecipazione una vera e propria filosofia di vita e
strategia d’azione. Da tutti descritto come un
ascoltatore, impegnato attivamente. Il libro è il
racconto del suo percorso filosofico e spirituale, oltre che la narrazione della sua attività a
Reggio Calabria con il movimento “Reggio
non tace”.
Booksharing a Siderno, una sola regola:
se prendi un libro, lasciane un altro!
A fronte di articoli di giornali nazionali che ci raccontano di
quanto sia diminuito il numero di lettori e di come sia involuta la qualità dei pochi libri letti e acquistati, l’Associazione
Amici del Libro e della Biblioteca non demorde. Da settimane, infatti, sono disponibili alcuni libri presso lo storico negozio “Domus Musicae” al centro di Siderno, grazie alla disponibilità del titolare, Tonino D’Agostino, che con grande entusiasmo da lettore forte, ha accettato di fare da “bibliotecario”
alla piccola raccolta di libri donata dall’ALB e da privati, per
incentivare la lettura.
Il meccanismo è dei più semplici: prendere un libro e lasciarne un altro, qualunque sia (purché in buone condizioni). Tra
cassette vintage, diffusori acustici hi-tech e dvd, troverete un
ripiano dedicato alle letture. Se un libro piace, si può anche
tenere, altrimenti si restituisce. I libri sono in ottimo stato,
perlopiù romanzi, ma anche saggi, alcuni sono fuori catalogo
altri di recente uscita.
La casa editrice Rubbettino ha cortesemente offerto una
copia di “Anime Nere” e “Zefira” di Gioacchino Criaco (il
film tratto da “Anime Nere” si è recentemente aggiudicato
nove David di Donatello), mentre un privato ha donato il
volume “Il ragazzo con lo zaino arancione” di Francesco
Ceniti e Alberto Tufano, uscito in allegato con «La Gazzetta
dello Sport». Un racconto sulla strage dell’Heysel durante la
partita Juventus-Liverpool, con delle testimonianze di Enzo
Romeo, giornalista Rai, e Massimo Cusato, batterista dei
Quartaumentata.
Tra gli altri titoli: “Istruzioni per distruggere il vento” del
poeta roglianese Daniel Cundari (Rubbettino), “Kafka sulla
spiaggia” di Murakami Haruki (Einaudi), “Gorky Park”, il
celebre giallo di Martin Cruz Smith, “Grottesco” di Patrick
McGrath.
La libreria sarà aggiornata periodicamente e le speranze
dell’ALB sono che in numerosi aderiscano all’iniziativa.
Lidia Zitara
DOMENICA 21 GIUGNO
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RIVIERA
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DOMENICA 21 GIUGNO
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Il cardiologo e medico dello sport
Dr Michele Iannopollo
Caffè e fumo un cocktail
dannoso per la salute
cardiovascolare
fumo di tabacco è attualmente la causa maggiore di morte
nei paesi sviluppati e il beneficio della cessazione del fumo è
stato ampiamente dimostrato. In particolare il rischio cardiovascolare e le malattie polmonari possono essere notevolmente ridotte se i fumatori smettessero di fumare.
L’aspettativa di vita aumenta da 4 a 10 anni tra i fumatori che smettono di fumare, a seconda della loro età al momento della cessazione, e si riduce di più di 10 anni fra i fumatori rispetto ai non fumatori. In termini di benefici per la salute non è mai troppo tardi per
smettere di fumare. La prevenzione dei danni alla salute derivanti
dall’esposizione attiva e passiva al fumo di tabacco costituisce un
obiettivo prioritario della politica sanitaria del nostro paese e
dell’UE. Nel mondo
muoiono per patologie correlate al fumo
4 milioni di persone
all’anno (85.00090.000 in Italia) che
diventeranno
10.000.000 nel 2020,
se si dovesse mantenere l’attuale tendenza. A tale proposito in Italia nel gennaio 2005 è stata
introdotta la legge
che vieta di fumare
in tutti i luoghi pubblici e sono state emanate le linee guida al fine di promuovere la cessazione del fumo.
Purtroppo nonostante le evidenze scientifiche dimostrano che il fumo faccia male alla
parecchie persone continuano a
IA ERCHIETTO salute,
fumare, non rispettano i canoni per uno stile
IDERNO di vita corretto che prevede l’abolizione del
DIETRO fumo, l’incremento dell’attività fisica, la
riduzione del peso corporeo, il controllo
LOSPEDALE della pressione arteriosa, della glicemia e dei
lipidi nel sangue.
SCALA
alla nicotina contenuta nel fumo di sigaNFO Se
retta si aggiunge l’abuso quotidiano di caffeina contenuta nel caffè si costituisce un
cocktail dannoso per il sistema cardiovascolare che comporta un aumento della pressione arteriosa, un incremento delle aritmie e un aumento di rischio di infarto e incidenti
cerebro vascolare. La cosiddetta pausa lavorativa diventa una pausa
fatale per il cuore. È quanto emerso da un studio condotto da un
team di ricercatori greci. (“A sentir loro, i fumatori, non ci sarebbe
niente di meglio di un caffè e una sigaretta per favorire un attimo
di relax in una giornata stressante e ricca d’impegni”).
Lo studio greco sopracitato è stato articolato in due fasi: In una
prima fase è stato valutato il danno immediato sul sistema cardiovascolare e in una seconda fase è
stato valutato il danno a medio e
lungo periodo. In entrambi i casi si
è proceduto alla misurazione del
-VISITA CARDIOLOGICA
grado d’irrigidimento dell’aorta e
alla misurazione del flusso sangui-ECG A RIPOSO
gno al suo interno, due parametri
-ECG SOTTO SFORZO
fondamentali per la valutazione del
-HOLTER ECG
rischio cardiovascolare. Lo studio
-HOLTER PRESSORIO
condotto su volontari, ha messo in
evidenza come entrambe le sostan-CARDIOLOGIA dello SPORT
-ECOCARDIOGRAMMA COLOR ze , assunte singolarmente siano
dannose per l’organismo. Allo
DOPPLER
stesso tempo è però emerso che nel
-ECOCARDIOGRAMMA COLOR brevissimo periodo, i danni causati
dall’azione contemporanea delle
DOPPLER TRANSESOFAGEO
due sostanze sono maggiori di
-ECOCARDIOGRAMMA CON
quelli causati dalla somma dell’aSTRESS FARMACOLOGICO
zione dannosa prodotta singolar-ECOCOLOR DOPPLER TSA
mente. Il meccanismo che rende
-ECOCOLOR DOPPLER TRAN- possibile questa dannosa sinergia
è ancora chiaro ma altri studi
SCRANICO PER RICERCA DI PFO non
condotti in passato avevano già evidenziato come la combinazione di
caffè e sigarette influenzasse negativamente la pressione del sangue, aumentando il rischio d’infarto. I
ricercatori hanno confermano che smettere di fumare rappresenta
comunque il primo e più importante passo verso la conquista della
salute cardiaca, ma chi proprio non riesce ad abbandonare le cosiddette “bionde”, abbia almeno l’accortezza di non associarle al consumo di caffè o bevande con caffeina. Evita così oltre al danno vascolare di cui si è già ampiamente parlato anche un danno estetico alla
vita e ai denti che diventano gialli e un fiato puzzolente che disturba
sicuramente anche chi sta vicino.
Il
Stefano Scarfò ci ha lasciati
Nelle sue opere descrive un mondo, oggi scomparso,
ma la sua penna ci trasporta in un’atmosfera di sogno
GIOVANNI PITTARI
Stefano Scarfò ci ha lasciati per
ritornare alla casa del Padre.
“Cantore della mammolesità”,
maestro nel più alto valore del termine, ha saputo trarre, sin dal suo
primo approccio con la scuola, dalle
idee pedagogiche più avanzate, la
fonte del suo insegnamento, facendo
proprie le dottrine che più si adattavano alla mentalità della sua terra,
per la quale ha sempre avuto un
amore sviscerato.
Si sentì maestro e ne ebbe la consapevolezza e come tale venne considerato da chi lo ha conosciuto e ha
potuto accostarsi alla sua cultura e
godere della sua umanità, pertanto è
assurto a “professore” malgrado
continuasse a dire di essere un umile
maestro.
Divenne tale nel quotidiano applicando i valori cristiani professati
apertamente e vivendoli intimamente nella più rigorosa ortodossia
cattolica.
Vorrei soffermarmi sul suo vissuto di
mia diretta conoscenza ed evocare
con accenni di ammirazione e di
affettuosa stima il suo valore professionale, la sua alta umanità e il
grande attaccamento alla scuola e
alla sua famiglia, i suoi sacrifici per
portarla avanti decorosamente, in
questo aiutato e sorretto dalla
moglie che è sempre stata compagna
fedele e intelligente nella conduzione, spesso difficile per le
ristrettezze del magro bilancio di un
modesto maestro di scuola.
È stato un uomo ricco di sentimenti
per cui lo si vedeva sostare per le
viuzze più inaccessibili del suo “antico borgo” per cogliere rumori e sensazioni dalla viva voce della gente
che abitava in vere e proprie
spelonche, prima che arrivasse il
boom economico che spazzasse via i
resti di un passato troppo dileggiato
e abbandonato come rottame tra i
ferri vecchi della storia.
Non per niente fu un grande agitatore politico, sempre primo nelle
questioni sociali che portava tra i
banchi del consiglio comunale con la
sua voga e veemenza che avevano
larga incidenza nella gente.
Ma è nella scuola che devolve le sue
energie morali, spirituali e sociali,
specie nei confronti degli alunni
appartenenti alle famiglie più disagevoli, operando con disinteresse e
altruismo sempre tenendo presenti
gli alunni più poveri in osservanza
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delle regole evangeliche.
Pur operando nella scuola a tutto
campo, organizzando convegni,
incontri didattico-culturali di grande
spessore, non mise mai da parte la
sua vena fluida di scrittore e di storico che alimentò cercando, non solamente nei libri antichi, ma interrogando i vecchi, gli ottuagenari, per
sapere dalla loro viva voce i fatti più
salienti della Mammola di altri tempi
e ne venne fuori il suo primo libro
“Calabria - Alla ricerca delle radici”,
nel quale le sue novelle, tratte dalla
viva realtà popolare e dalla storia del
paese, lo fanno diventare il vero cantore della mammolesità.
Non che fosse la prima volta a pubblicare i suoi scritti, già l’aveva fatto
con successo molti anni prima presentando un volume di carattere
storico-agiografico su “Nicodemo
del Kellerana - I santi della
Calabria” collaborando poi nella
pubblicazione di “Mammola - 120
anni di scuola” trovandosi fianco a
fianco col sottoscritto, che come
Direttore Didattico del Circolo di
Mammola si era assunto la paternità
dell’edizione, e dopo nel secondo
volume edito dallo stesso Circolo
didattico, sempre a mia firma, intitolato “Mammola 950 - 1950 Millennio della fondazione” in cui si
fa notare come valido scrittore e
storico, mentre raggiunge il massimo
della notorietà con la pubblicazione
del volume “Calabria … ieri - Le
botteghe artigiane tra arte e leggenda” in cui si evidenzia come storico e
saggista.
Scarfò ci descrive un mondo, oggi
scomparso, ma la sua penna ci
trasporta in un’atmosfera di sogno e
ci par di rivedere gli artigiani nelle
loro botteghe alle prese con i capola-
vori della loro arte insigne che hanno
fatto di Mammola un paese rinomato e affermato creando quello che
definisce “l’aristocrazia del lavoro”
in contrapposizione con la vecchia
nobiltà, vacua, parassitaria e imbelle.
Con tutti i mezzi a sua disposizione si
batte per far emergere dalle nebbie
del passato la storia della cittadina
scrivendo su riviste specializzate
quali “Il Provinciale”, “La città del
sole”, “L’eco del Chiaro”, ma, soprattutto, su “Calabria Letteraria”, della
quale divenne collaboratore. Grande
interesse hanno riscosso i suoi saggi
apparsi su “Scholae Praetoriatis”,
organo ufficiale del 32° Distretto
Scolastico di Gioiosa Jonica,
destando l’ammirata attenzione dei
lettori per i dotti e impegnativi argomenti scritti con penna leggera, incisiva, comprensibile a tutti, anche ai
meno istruiti.
Per questa sua feconda attività di
uomo di scuola, fervente operatore
della vita sociale e come storico, è
stato insignito, su mia proposta, dal
Presidente della Repubblica della
Medaglia d’Argento dei “Benemeriti
della scuola, della cultura e dell’arte”.
Malgrado gli acciacchi è rimasto
sempre sulla breccia e abbiamo continuato a leggerlo su “Calabria
Letteraria” e sul mensile “L’Eco del
Chiaro” del quale, il fiore all’occhiello, sono stati i suoi articoli di fondo,
sempre pronti a risvegliare le menti
dei giovani in ricordo di un passato,
fatto sì di sacrifici, ma anche di febbrile e splendida attività artistica, di
quando l’essere prevaleva sull’avere
e la vera amicizia legava gli uomini a
fondamento della quale c’erano le
virtù basilari della vita civile e
sociale.
INOSTRISERVIZI
RIVIERA
di Antonio Calabrò
Alba a Roccella Il chiarore s’irradia dalle dita dipinte di rosa, sosteneva Omero, e poi il Carro
del Sole emerge nel cielo. Era stato in vacanza a Roccella, regno delle albe solenni, il mare che
lascia sfuggire il sole e i profumi, la nostalgia inquieta della storia, la presenza silente degli
Olimpici e d’antichi eroi come una fantasia benedetta e come sicurezza ancestrale, ed il giorno
che giunge ottimo por poetare d’Ulisse e i suoi ladroni.
Il vescovo benedice i bambini di San Luca
Il vescovo della diocesi di Locri Gerace, sue Eccellenza Monsignor
Francesco Oliva, durante una funzione che ha tenuto a San Luca
durante la settimana. La sua benedizione ai bambini del centro abitato ricorda quale bene prezioso essi siano per ogni comunità.
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“Labor Locride” si rimette al lavoro!
Riprendono le attività del campus estivo dell’associazione “Labor Locride”,
centro socio ricreativo per disabili di
ogni età e bambini normodotati, con
sede a Locri in via Gerace. Nella foto un
momento dell’inaugurazione alla presenza del presidente Antonella
Caccamo, del vice presidente Angelica
Iaconis e delle operatrici.
Meeting Edoardo
Il noto attore Edoardo Leo, salito alla
ribalta grazie a commedie di successo,
concede in quel di Roma una fotografia
al nostro ex collaboratore di Riviera
Giuseppe Colombo.
Da Martone a Locri, a Roma, a Siderno!
Giorgio Calvi, da Martone, è finito a Locri
a fare il dentista, ma doveva arrivare fino
a Roma per incontrare l’imprenditore
Ferreri di Siderno!
Frigideur “Never Alone”
Quel famoso frigorifero insiste nel suo
“standing” sul marciapiede. Almeno, però,
non è più “alone”, visto che gli fa compagnia una porta a vetri!
Macagnino senza biglietto
Eh, sì, questa volta il Calabrò controllore
l’ha beccato in flagranza di reato e non
può esimersi dal fargli una bella multa!
Fuori il portafoglio!
L’unione fa la forza
Il comitato rionale Sbarre e l’associazione “Gli amici
della Pichetta“, uniscono i loro sforzi nel tentativo di
fare pulizia nell’area del minigolf di Siderno.
Quando fatto seriamente, l’associazionismo può
funzionare!
SETTIMANALE
www.larivieraonline.com
DOMENICA 21 GIUGNO 23
a poetica
L’anima nera e l’anim
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autore di decine e
“Cartoline”…
Campeggiatori d’altri tempi
Luigi Errigo, detto “Ragioniere”, Luca Avellis e Giò Oppedisano, oggi professionisti sparsi per il globo, una volta adoravano riunirsi per scampagnate all’aria aperta.
Ultimi ritocchi alla ciclabile
La pista ciclabile che si snoda
lungo la Valle del Torbido è
ormai un’opera che può considerarsi compiuta. Anche se
mancano gli ultimi ritocchi, il
percorso è pienamente fruibile
e permette di godere di uno
splendido panorama mentre si
conduce una bella attività fisica. Aspettiamo solo l’inaugurazione ufficiale!
I ragazzi del muretto di Portigliola
È bellissimo vedere che, nei paesi del
nostro entroterra, ancora si vedono delegazioni di giovani uomini che si riuniscono
nei caldi pomeriggi d’estate!
Due Panetta a lume di candela
Il leader di Fattore Comune Mimmo e la
portavoce PD Barbara, accomunati da un
unico cognome.
le Lumiére
Siderno come la VilCorso della Repubblica di
Da qualche giorno, ritmo di blues, grazie alla
Siderno si anima a ro indianello che, anziché
presenza di un pove chiedendo l’elemosina, la
limitarsi a disturbareun magnifico sax. Che si
ottiene suonando
chiami anche lui Bill?
Due neoeletti in rodaggio
I due neosindaci di Bianco (Aldo Canturi) e
Samo (Giovanbattista Bruzzaniti), si rimboccano le maniche pronti ad affrontare i problemi dei rispettivi paesi. Un breve periodo di
rodaggio prima di governare sotto la spada
di Damocle più inquietante: il giudizio dei cittadini che li hanno eletti. Bianco ha scelto la
politica al commissarioamento, Samo vuole
uscire dall’isolamento. Le scelte dei due
saranno vincenti? Noi crediamo di sì!
Bonelli e il placet di Mattarella
Massimo Bonelli, il direttore artistico
del grande evento di questa sera, La
Festa della Musica, ha incontrato in
settimana il presidente della
Repubblica Mattarella. Non c’è
modo migliore di darsi la carica!