Untitled - Caratteri Diversi
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Untitled - Caratteri Diversi
Come spesso accade, le idee nascono da curiosità e stupore, poi crescono strada facendo, lavorando e suonando insieme. La musica è capace di rinascere dai frammenti che hanno significato qualcosa per noi e di rivivere anche quando sembra appartenere ad un mondo lontano. Il repertorio è quello degli anni ’20 e ’30, il Kabarett tedesco, in particolare. Una musica non molto ascoltata, non troppo trasmessa in Italia, un po’ dimenticata. Eppure quel mondo, quel “tempo”, quella cultura, hanno molto da dire. I brani che abbiamo scelto, datati di 80 anni, avevano all’epoca un significato dirompente e contenuti straordinariamente rivoluzionari, che ci sembra interessante andare a riscoprire. I Kabarett nascevano, nell’ambito di quell’esperienza unica che fu la Repubblica di Weimer, per volontà di alcuni intellettuali, come luoghi dove esprimersi liberamente e manifestare, attraverso spettacoli, canzoni, letture e rappresentazioni teatrali il proprio dissenso verso il potere costituito, l’anticonformismo, la pungente satira sociale e politica. Fin dall’inizio i Kabarett si caratterizzarono come luogo di sodalizio artistico ed esistenziale tra scrittori, poeti, drammaturghi, attori, musicisti, filosofi, compositori; vi nacquero e si svilupparono anche le principali avanguardie europee del Novecento. Erano luoghi, i Kabarett, seppure apprezzati e frequentati anche dagli stessi militari, ritenuti pericolosi da parte del regime nazionalsocialista e quindi prima osteggiati e in seguito vietati e soppressi. La musica e le canzoni di compositori di origine ebraica, o ritenute più o meno esplicitamente contro il regime, furono messe al bando e bollate come Entartete Musik, musica degenerata. I protagonisti fecero la stessa fine degli artefici della Entartete Kunst, arte degenerata: campi di sterminio, esilio o, semplicemente ma orribilmente, ridotti al silenzio. Da qui l’idea di chiamare il progetto Entartete Zeit. Non potevamo resistere alla tentazione di definire “degenerato” anche il “tempo”. E non solo in riferimento al tempo storico in cui sono state scritte le musiche sulle quali abbiamo lavorato, ma in un senso più ampio, che si intreccia con le molteplici interpretazioni filosofiche, heideggeriane e non, che si sviluppano, proprio nel Novecento e in particolar modo in Germania, a proposito del concetto di tempo. C’è un altro aspetto, non trascurabile. Gli arrangiamenti dei pezzi, curati da Leveratto e Cabrera, tendono a scomporre la struttura sia melodica che ritmica, per trasformare radicalmente il brano e arricchirlo di sfumature, assenze, dissonanze. Le versioni originali miravano a sottolineare il contrasto tra l’interpretazione teatrale e ridondante di testi complessi e ricchi di spunti intellettuali e gli accompagnamenti spesso scarni, esili, eseguiti da orchestrine compattate, anche per esigenze di costi, che facevano da contrappunto alla voce con ritmi chiusi e ripetitivi, come Waltz, marcetta, habanera. Nella nostra interpretazione, come si può ascoltare in Wenn die Soldaten, allo stridore delle bombe e dei cannoni, al disordine della guerra, agli strappi degli affetti che si lasciano a casa per andare a combattere, corrispondono scelte musicali di un tempo allargato e disordinato, di suoni che si scontrano e si colpiscono, di stridori di corde che ricordano quelli del ferro; e la voce si trasforma, acquista e perde forza, seguendo un testo ripetitivo, fino ad arrivare allo sgomento e al silenzio di chi rimane incredulo a guardare cosa ha lasciato la guerra. Ed è proprio in questo periodo che il testo delle canzoni assume un’importanza maggiore rispetto ai decenni precedenti. Non solo perché chi scriveva musica e parole erano autori del calibro di Brecht, Weill, Tucholsky, Spoliansky, Schiffer. Il testo ci parla, fa pensare. Le sfumature della voce ondeggiano tra parlato e cantato e il cambio brusco di tono, la risata, l’ammiccamento diventano caratteristiche fondamentali per veicolare un messaggio più ancora che per conquistare l’attenzione del pubblico. Il nostro lavoro cerca di ricostruire frammenti di cultura e musica di quegli anni attraverso un percorso che cura e valorizza l’interpretazione seducente o straniante della parte testuale dei song, la timbrica strumentale di archi e batteria, tenendo conto delle molteplici esperienze di linguaggio anche non jazzistico dei musicisti, la capacità di improvvisare e sperimentare nuovi suoni su partiture particolarmente rigide e complesse. Simona Bondanza Simona Bondanza, voce La conoscenza della lingua e della cultura tedesca hanno portato Simona Bondanza ad approfondire sempre di più quel repertorio musicale che la Germania ha prodotto tra le due guerre mescolando letteratura e jazz nella straordinaria esperienza del Kabarett e nella nuova ballata popolare. Dopo avere affrontato con una vocalità sempre più completa e matura la canzone più elegante, il rhythm and blues e il jazz in piccole formazioni, ha creato recentemente due gruppi. Accanto a “Entartete Zeit”, che si dedica prevalentemente alla canzone tedesca del tempo degenerato con nuovi arrangiamenti per voce, archi e percussione, Bondanza canta e contribuisce agli arrangiamenti nel quartetto “JazzKabarett”, che oltre ai brani del repertorio tedesco offre appassionanti riletture di ballate moderne, da Bob Dylan a Tom Waits, fino ai classici della canzone americana profondamente rivisti e reinterpretati. Pietro Leveratto, contrabbasso Pietro Leveratto è uno dei contrabbassisti italiani più creativi ed eclettici, compositore di talento, arrangiatore di gran gusto e fantasia, insegnante acuto e intelligente. Ha iniziato l’attività verso la fine degli anni Settanta, collaborando con molti dei più importanti musicisti italiani, da Giorgio Gaslini a Pietro Tonolo, Claudio Fasoli, Guido Manusardi, Roberto Ottaviano, Tiziana Ghiglioni, Massimo Urbani, Enrico Rava, Stefano Battaglia, la “Big Bang” di Mario Raja, Giancarlo Schiaffini, lo “Heart Quartet” di Maurizio Giammarco, il trio di Enrico Pieranunzi. Con loro ha cambiato il panorama del jazz fatto in Italia, portandolo sia nei jazz club sia nei festival internazionali dall’italiano Umbria Jazz a quelli di Nizza, L’Aia, Amiens, Odessa, Leverkusen, Le Mans, North Carolina, Dublino, Algeri, Malta. Naturalmente ha collaborato in concerto e in studio di registrazione con un gran numero di americani di ogni generazione, un elenco di notevole prestigio: Lee Konitz, Mal Waldron, Steve Grossman, Sal Nistico, Joe Chambers, Steve Lacy, Dewey Redman, Al Cohn, Dave Liebman, Jimmy Owens, Kenny Weelher, Eddie Henderson, Bob Mover, Ray Anderson, Joe Newman, Bob Wilber, James Moody, Art Farmer, Phil Markowitz, Johnny Griffin, Vic Juris, Paul Wertico. Ha una discografia di oltre cento cd. Stefano Cabrera, violoncello Violoncellista e compositore, Stefano Cabrera si è diplomato in violoncello al Conservatorio di Genova e ha studiato composizione con Adelchi Amisano, Luis Bacalov ed Alberto Colla. Suona nell’Orchestra del Teatro Carlo Felice, le sue composizioni sono state premiate in importanti concorsi internazionali, dall’edizione 2001 di “Rumori Mediterranei” a Roccella Jonica con un pezzo presentato dai Quintorigo con Enrico Rava, allo ”Huddersfield Contemporary Music Festival 2001” e al “Città di Pescara 2001”. I suoi lavori sono eseguiti in Italia e all’estero e trasmessi da radio e televisioni. Nel 2005 ha iniziato una collaborazione con i “Violoncellisti della Scala” e ha scritto per il Teatro Carlo Felice “Let it Beatles”, una riuscitissima rilettura dei successi di Lennon e McCartney per voce solista, coro e orchestra. Attualmente fa parte del Gnuquartet con Francesca Rapetti, Raffaele Rebaudengo e Roberto Izzo. Roberto Izzo, violino Violinista tecnicamente eccellente, molto preparato e straordinariamente eclettico, Izzo ha vinto il “Premio Jazz Lighthouse 2005” come miglior giovane jazzista ligure emergente e con il suo “All Strings Trio” è invitato già da due anni al Sildajazz festival di Haugesund (Norvegia). Diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia, ha iniziato da molto giovane a collaborare con importanti orchestre sinfoniche italiane, dal 2002 stabilmente con l’Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova. Ma ha suonato anche accompagnato dall’orchestra “Aurora” di Fonopoli e in diverse trasmissioni televisive con Gnuquartet, ha inciso colonne sonore di film tv della Rai, ha partecipato alle incisioni di dischi di Renato Zero. Ha collaborato con la cantante irlandese Kay Mc Carthy con la quale ha inciso il disco “Am” ed è arrivato a partecipare al “Festival Celtique” di Aosta e al Festival “Interceltique” di Lorient in Bretagna. Rodolfo Cervetto, batteria Rodolfo Cervetto ha iniziato a suonare nel 1991 nei corsi del Louisiana Jazz Club sotto la guida di Giampaolo Casati, che poco dopo lo ha inserito nella Genova Jazz Band come riserva del grande Gil Cupini. Con loro ha suonato in diversi festival, accompagnando spesso ospiti importanti da George Masso a Gianni Basso e Ralph Sutton. Nello stesso periodo ha suonato con piccole formazioni genovesi, il Guitar Ensemble di Alex Armanino e il Dany Lamberti Group. Nel 1992 ha suonato nel Project Quartet e ha iniziato a collaborare spesso con Massimo Faraò, Aldo Zunino, Rosario Bonaccorso e Andrea Pozza. Nel 1993 sono cominciati gli incontri internazionali importanti con Red Holloway, Gary Bartz e Bruce Forman oltre alla partecipazione a seminari di Jimmy Cobb, Albert Heath e Bobby Durham. Molte le collaborazioni estemporanee tra le quali quelle con Marco Tamburini, Claudio Capurro, Stefano Di Battista, Emanuele Cisi fino ad arrivare nel 1998 al Quartetto di Benny Golson. Le ultime collaborazioni con Gianni Basso e con Gianni Coscia lo hanno portato ha lavorare sia con una big band jazz sia con un’orchestra da camera con archi, mentre nel quartetto “JazzKabarett” con Simona Bondanza, Alberto Tacchini e Alberto Malnati sta approfondendo molto rapidamente tecnica e espressività. Da quest’anno insegna alla scuola del Louisiana Jazz Club. biografie a cura di Michele Mannucci Voce: Simona Bondanza Violino: Roberto Izzo Violoncello: Stefano Cabrera Contrabbasso: Pietro Leveratto Batteria: Rodolfo Cervetto Per informazioni: [email protected] Fotografie di Giampiero Corbellini, Giorgio Ricci, Roberto Vigo.