Giancarlo Ossola - 13 Ott. 2010

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Giancarlo Ossola - 13 Ott. 2010
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Interni del secolo breve
mostra personale di Giancarlo Ossola
a cura di Piero Del Giudice
Testo critico in catalogo di Piero Del Giudice
Progetto grafico di Dorino Iemmi
Allestimento di Adriana Grippiolo
Fotografie delle opere di Andrea Angelucci e Dorino Iemmi
La fotografia in b/n del giovane Giancarlo Ossola è di Enrico Cattaneo
GALLERIA-STUDIO OSTRAKON
Via Pastrengo 15/Via Moscova 66
tel. 3312565640, [email protected]
Orari: da Martedì a Sabato dalle 15 30 alle 19 30
GIANCARLO OSSOLA
INTERNI DEL SECOLO BREVE
a cura di Piero Del Giudice
Conobbi il maestro Ossola nel 1972.
Lo scambio fra di noi è stato sempre a senso unico. Da lui a me. Che traevo dal rapporto benefici di
formazione al costo sopportabile di qualche sbeffeggio, a volte amabile a volte caustico, per certi miei
giudizi disinvolti nel campo dell'arte.
Anche le mete delle vacanze, quelle che abbiamo fatto insieme, erano stabilite da lui.
"Chi ti ha portato qui?" usava dire.
E ancora oggi, dopo decenni di carriera estranea: cosa mi ha indotto a fare il gallerista se non l'agire di
quella lontana inoculazione, che mi ha portato peraltro a visitare gallerie e musei d'arte ovunque mi
trovassi nel mondo.
Sono perciò felice e grato di potere presentare una retrospettiva del Maestro, nonché mio speciale
istitutore, con una mostra di opere rappresentative del suo percorso di pittore, dagli anni '50 ad oggi.
E con ciò non estinguo il debito, ma lo accresco.
Dorino Iemmi
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Ossola, interni del secolo breve
La parabola artistica di Giancarlo Ossola inizia
con una sostanziale adesione all'informale
europeo mediato dai protagonisti della pittura di
materia norditaliana. La sua adesione non può che
essere adesione di linguaggio, adozione di una
tecnica, investimento emotivo e secondo
tradizione, anarchico e assertivo della autonomia
dell'arte, illusorio e utopico, in una materia che
"germina da sé". Per Costantino Guenzi - fratello
maggiore e alter ego degli anni della sua
formazione - scrive di "automatismo dell'azione
pittorica" desiderandola per sé. Riflettendo nel
tempo l'informale sarà stato a bilancio:
"…un tuffo nelle pulsioni profonde, un rinnovamento degli
schemi figurativi accademici, ma anche la perdita di un
mondo figurale. L'informale ha saputo cogliere
l'impazienza, la rapidità della percezione propria della vita
moderna e con la libertà tecnica ci ha lasciato anche una
fiducia nelle espressioni spontanee dell'inconscio. La
difficoltà di percepire il reale, oltre le apparenze illusorie,
viene superata, a caldo, da un impiego più istintuale della
materia e dalla fede di un gesto dettato dal flusso
interno…la materia dà risultati straordinari, le macchie che
tracci sono un mondo autonomo, un paesaggio e possono
essere portate a sistema, a esperienza totale."
Fragile epigono dell'informale storico e intenso
protagonista della stagione neomaterica in
Lombardia, Ossola è consapevole che la
simulazione della e la comparazione con la
materia organica - messe in atto sulla tela dalla
generazione dei padri con l'invaso e il cretto delle
paste cromatiche - hanno perso le spinte originali,
le ragioni sorgive e insorgenti. La stratificazione
di materia germinante nel quadro, la materia
originaria, il natura-naturans delle poetiche di
Francesco Arcangeli per la generazione degli
"ultimi naturalisti" [Morlotti, Moreni, le hautes
pâtes di Chighine e le messi di Giunni], non
trovano più sostegno e supporto perché - nell'arco
di una generazione e al cuore del secolo - è
avvenuta una gigantesca mutazione sociale e
culturale. I luoghi dell'informale sono vuoti, un
processo di enclosure of commons - di
espropriazioni e recinzioni di territori liberi
interni ed esterni - ha scardinato i territori, le
campagne sono state svuotate, le cascine e i campi
abbandonati, disdette e sanmartini con povere
suppellettili, nuove recinzioni, voragini e vuoti,
architetture dell'abbandono e del buio, lo
sfasciume del panorama percepibile sconvolto, la
scena e la vita circostante da rurale si è fatta
metropolitana, il tempo circolare delle stagioni
esiliato, nella città fordista "si costruisce e
rappezza, fino a togliere tra le case anche l'ultimo
pollice di terra libera ancora suscettibile di essere
utilizzata".
Scompare così - di giorno in giorno e nei giorni
mutando la stessa luce nell'ora - il grande
retroterra contadino, il serbatoio di natura. I padri
pittori - scrittori come Gadda, poeti come
Bertolucci, narratori come Fenoglio - ne avevano
fatto una risorsa e una alternativa alla scena
storica, una sostanziale riserva quando la
generazione aveva affrontato la caduta delle
grandi speranze nell'immediato dopoguerra. Si
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interrompe - epocale cesura mediana del secolo quella circolazione dal primigenio a noi che
Ossola asserisce "…attraverso la linea delle
cellule germinali siamo collegati alle forme
viventi più remote…" e il poeta canta "…La forza
che attraverso la verde miccia sospinge il fiore/
Sospinge anche la mia verde età; quella che le
radici degli alberi dissecca/ E' la mia
distruttrice…" (Dylan Thomas).
Tuttavia per Ossola il linguaggio internazionale
dell'espressionismo astratto, la densità
dell'informale materico non sono solo le tracce, i
resti di un paradiso perduto, la nostalgia di un
remoto contadino [del Paese e del mondo], ma
concorrono in una comunicazione che rende
possibile la rappresentazione di un tempo presente
tumultuoso e plurale. Questo passaggio - la
trasformazione continua della materia e del segno
sulla tela - fondano l'originalità del suo esordio
negli anni Sessanta e consolidano la sua
fisionomia e originalità negli anni Settanta. Il
gesto dettato dagli automatismi psichici che si
produce in continuità e ripetizione del segno, il
fermento che insiste nella pasta della materia e
ramifica e si espande, pulsano quasi in sincronia,
all'unisono, con la complessità metropolitana. La
città è ganglo, complesso vitale, ne hanno parlato
le tele di Tobey che seguono le linee
dell'underground come ramificazione pulsante e
vitale, gli stessi intrecci e le linee vegetali di Wols,
ne parlano - decenni dopo - le tele di Ossola delle
periferie e delle città. Sono città queste d'Europa
le cui strutture, i cui varchi, sono ferite e aporie
per distruzioni della guerra e olocausti, su di esse,
sulle loro macerie del confronto bellico mondiale,
è passato poi il rullo della mutazione industriale di
metà secolo. Le tele informali della Milano di
Ossola articolano strutture che sono quasi una
citazione delle esplicite tele e serie illustrative per
Londra bombardata di Sutherland. Movenze
sutherlandiane di Ossola per le architetture di una
città desolata, torsioni dei ferri nei blocchi di
cemento armato, voragini pendule. L'artista ne
scrive così: "…frammenti iconici disastrati e
sconquassati che si articolano in una rete pararazionale (la città appunto) su cui si impigliano
resti volanti di materia naturale che reca tracce
della violenza subita…". Ma subito i notturni
urbani palpitano di luci, di filamenti luminosi, i
conflitti di materie ai confini della città
costituiscono un racconto, aprono pluralità e
possibilità, il secolo racconta l'antinomia cittàcampagna e il pittore cerca di condensarla, di
renderla allegorica con alte e dense paste
cromatiche attraversate dalla vitalità del segno,
abitate da un pullulare di cose e movimenti
percepiti, da tracce e memorie, distruzioni e
presenze vitali, magma e racconti possibili, la città
bombardata e la città nuova, l'esilio dalla natura e
il teatro nuovo di esistenze possibili, il limite
trovato all'action painting del soggetto ai suoi
dettati ai suoi automatismi, la città dunque, la
scena urbana come spazio del racconto, il luogo
dove le cronache accendono il movimento
collettivo della Storia. Si alzano - al limite della
tela e dentro cupole gigantesche, nella luce
compressa tra natura e artificio, nella notte
metropolitana - i panorami e i piani lunghi dei
fermenti materici urbani e delle strutture urbane
evidenti in quadri caposaldo come Evocazione
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1975, Città 1977, Fuga dalla città 1977 [catalogo
pag 29]. Le città sono i luoghi dove si svolge un
racconto, interni dunque, recinzioni e contenitori
per un'epica collettiva. Città e Storia come grandi
interni. Il secolo è allora l'enorme cisterna della
Storia, la tela lo schermo, l'ambito e la proiezione
fantastica e narrativa di avvenimenti e storie,
movimenti e drammi.
Negli anni Settanta, da subito, sotto e dalle hautes
pâtes dell'esperienza informale emergono strutture
e architetture, prospettive di interni, resti e
pulviscoli, fantasime e animazioni, un naufragio
delle icone e una emersione delle cose,
sedimentazioni e resti, bisbigli e sciamare. Si
aprono a noi gli interni della città. Periferie
urbane, cinture urbane, boite e spazi confinari,
architetture-metafore della marginalità, luoghi
rifiutati, ambiti di vicende collettive che non
hanno voce, di una storia collettiva che attende un
riscatto. Confluiranno sulla tela nei grandi cicli
dalla metà degli anni Settanta e per tutto il
mirabile decennio degli anni Ottanta interni,
depositi, ai margini del territorio, fonderie,
fabbriche, prospettive industriali in disuso.
Attraversando con il pittore i suoi interni, condotti
per prospettive e successione di spazi,
attraversiamo gli interni del secolo, il secolo
breve. E quelli del secolo sono interni kafkiani,
negli angoli bisbigliano quelle presenze informi
che sono gli "aiutanti" di Kafka, aiutanti inutili come Arthur e Jeremias ne Il castello - "sistemati
per terra in un angolo, su due vestiti smessi da
donna" - come quelli che soccorrono in concreto e
inutilmente lo scrittore malato terminale.
"Creature inette ed incompiute, dall'esistenza
crepuscolare, la loro natura è incerta e fluttuante,
vivono ai margini, respinti o sottomessi" [G.
Roccheggiani]. Ne dirà Ossola (1981): "Gli spazi
marginali sono un superstite luogo
"pittorico"…questi luoghi marginali sono serbatoi
di una realtà declassata e di una umanità latente in
gestazione per un futuro risveglio. Strati di
immagini e di oggetti, sedimentati nell'angolo del
cortile, calati in una luce da cavedio, che delimita
e protegge questo breve limbo." Interni di violenza
consumata e di tortura, di coazione e sfinimento il punto più alto della confrontazione di Ossola
con il Lissandrino, antenato d'elezione. In mostra
l'alta drammaticità dell'olio su tela Interno 1983
[catalogo pag 31] e, non esposto, la felicità
narrativa della tecnica mista su carta Interno 1980
(vedi iconcina in calce a pag 12).
Di che interni si tratta, di quali città? Ossola con
una qualità e un furore che non ha in quegli anni
rivali, con una sequenza febbrile di opere dipinge quasi inseguendoli - gli interni di una città
industriale, interni di lavoro ora disabitati, in cui si
accumulano le tracce e le bave delle esistenze che
li hanno abitati costrette, sono spazi di un
collettivo coatto, ghetti operai, luoghi di
concentrazione di destini e di corpi, opifici e
baracche di lager. Non presiede al secolo breve e
all'immaginario che si alza - proiezione e
narrazione - del secolo stesso la prospettiva seriale
della fabbrica dell'operaio massa e dei quartieri
operai? "Quanto più in massa sono centralizzati i
mezzi di produzione, tanto maggiore è il
corrispondente ammucchiarsi degli operai nello
stesso spazio, che quindi quanto più è rapida
l'accumulazione capitalistica, tanto più misere
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sono le condizioni d'abitazione degli operai" la
città di Manchester in Engels a metà Ottocento.
Interni di Milano, di Manchester nella prima
industrializzazione, di Bhopal nel Madya Pradesh
[uomini e donne come nel genocidio per pesticidi
della Union Carbide], interni di Treblinka. Ma
quella di Ossola non è una pittura di realtà come
fu nella irruzione dirompente dei pittori del
"realismo esistenziale", nei poemi dei poeti della
nuova narrazione urbana come Elio Pagliarani de
La ragazza Carla
[a loro rivolge negli scritti doverosi omaggi di
stima - loro (Banchieri, Guerreschi, Vaglieri,
Romagnoni, Ceretti) che hanno percorso dure vie
ed esperienze artistiche da cui non può
prescindere la pittura di racconto, la narrazione
della realtà sulla tela.
A loro, questi nobili fratelli maggiori che hanno
tenuto aperto il varco di una figurazione critica e
antidogmatica, portatori di un nuovo sguardo,
pittori delle periferie e degli interni, di fatiscenze
e indigenze, coree e fosse, anfratti suburbani e
spazi marginali, confini della città, zone e
recinzioni operaie].
Ma Ossola, non è per una pittura di realtà apertis
verbis. Che realtà sarebbe questa della serie
drammatica di tele di soli interni? Di soli ateliers?
Piuttosto che al dispiegamento narrativo dei
realisti esistenziali, Ossola sta in rapporto con la
vicenda anteriore di Franco Francese - qui in
mostra quasi un d'aprés del ciclo degli Imbarchi
nella piccola tela Bagno turco 1987 [catalogo pag
37] -, Ossola risolve il suo rapporto con la realtà
con soluzioni analoghe a quelle che Francese si
dà nella sua solitaria vicenda artistica. Vi è nelle
sue tele - ma ormai sinistra, inconciliabile,
sulfurea - eco del gigantesco mantice collettivo
della città operaia che vibra e avvolge le grandi
tele di Francese e una estrema resurrezione della
pittura come "arte della fisicità" analoga agli
assunti del novarese - "la pittura è arte della
fisicità; ridà consistenza fisica e rende visibile ciò
che si vela nel magma caotico delle apparizioni"
(Diario, 1976). Vi è in Ossola una soluzione
emblematica delle evidenze del tempo e del secolo
così come nell'antecedente. Le Malinconie, gli
Imbarchi, gli Atelier di Franco Francese sono
emblemi del nostro tempo, proiezioni sullo
schermo del secolo - figure alte sopra di noi,
dentro architetture e prospettive di un teatro
ultimo, di strada e disadorno, in piedi sulle assi
della scena e del patibolo.
Gli interni di Ossola sono allora i luoghi deputati
del secolo, le evidenze, le architetture archetipiche
del secolo breve, le scansioni emblematiche della
storia del XX° secolo, gli interni del secolo breve.
I luoghi-teatro di vicende collettive accadute, vi
hanno agito corpi e conflitti, speranze e il loro
esilio. Sono le cisterne della Storia.
Non segnano forse il secolo, come stigma, non ne
sigillano gli spazi, l'universo concentrazionario
della fabbrica fordista e quello seriale del lager lager, iperbole della fabbrica (arbeit macht frei)?
Queste le installazioni del secolo: montagne di
occhiali, montagne di scarpe, montagne di capelli,
valige del viaggio in mucchi - di cartone e di pelle
-, vestiti a mucchi dell'ultima spoliazione prima
dell'addio negli androni sulla soglia dei luoghi
della transustanziazione nelle camera a gas? "…a
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terra volano pezze da rammendo accuratamente
riposte, matasse di filo, mutande da bambino,
camiciole, lenzuola, pullover, forbicine, rasoi e
pennelli da barba, fasci di lettere, fotografie,
ditali, boccette di profumo, specchi, cuffiette,
scarpe, stivali per i giorni più freddi ricavati da
vecchie coperte imbottite, scarpe da donne, pizzi,
pigiami, panetti di burro, caffè, vasetti di cacao,
abiti da preghiera, candelabri, libri, gallette,
violini, cubetti di legno…" Vasilij Grossman
L'inferno di Treblinka; "…il binario si svuotò, gli
uomini vestiti di blu spazzarono dall'asfalto
stracci, pezzi di bende, una caloscia strappata che
qualcuno aveva buttato, un cubetto di legno
caduto a un bambino e poi chiusero
fragorosamente le porte del treno merci…"; "…le
panche di legno di assi spesse e ruvide con i
numeri verniciati a olio si perdevano nella
semioscurità. In mezzo alla stanza e sino alla
parete di fronte all'ingresso correva un tramezzo
basso, da una parte si spogliavano gli uomini
dall'altra donne e bambini…calze, calzini e pezze
da piedi andavano infilati nelle scarpe e ognuno
doveva tenere a mente il numero della fila e il
posto…" Vasilij Grossman, Vita e destino.
Sono questi gli interni? Dei molti esegeti di
Ossola nessuno affronta la narrazione degli
abitanti degli interni. Lo fa in esergo Gianni
Testori, in una memorabile pagina del Corriere
della sera (2. 11. 1983) in occasione della
personale alla Galleria 32 di Milano : "…il "luogo
deputato" alla sua pittura. Tale luogo è, nulla più,
ma anche nulla meno, che il "lazzaretto" di ieri e
di oggi. C'è aria, murmure, colore, spazio e dolore
di penitenza, in questi desolati "interni-esterni" di
Ossola. Quasi che dai secoli delle famose,
laceranti pesti carliane e federiciane, dai secoli
cioè di quello che il Borromeo nel suo
"Memoriale ai milanesi" aveva chiamato
"esterminio", il tempo sia mutato solo per
cambiare (ma cambiare, poi, di molto?)
l'apparenze di quei luoghi di segregazione,
d'agonia e di morte. Negli "interni-esterni" di
Ossola che kafkianamente s'infilano l'uno
nell'altro, in una sinistra grigia, sulfurea
prospettiva senza esiti e fine, l'uomo è scomparso,
gli appestati o sono stati - ben più atrocemente di
quel che si faceva ai tempi di Frà Cristoforo - tutti
inceneriti e, dunque, ridotti a polvere; o, uno a
uno, hanno lasciato il terribile immondezzaio
dell'habitat umano, sapendo cosa mai li avrebbe
attesi…certo è difficile non sentire e non vedere le
orme di tutti i viventi che, inceneriti o ammassati
altrove come cose o oggetti, hanno strisciato su
questi muri grigi, gialli, bavosi, unti…La terra in
questi quadri è prossimissima a quella dei
cimiteri; e così, la sterminata, vuota misura delle
prospettive, come se seguissimo file interminabili
di colombari, sulle cui lastre i nomi dei defunti
siano stati cancellati. La società rivuole le fosse
comuni?..."
Testori volge al suo repertorio l'ermeneutica e
l'intuizione. E "inceneriti", "fosse comune"
reinviano a quei topoi del secolo, alle Treblinke
della nostra Storia. Interni certo di sofferenza,
forse di tortura, laboratori, sotterranei di luce del
lavoro e dello sfruttamento, dei processi di
proletarizzaione e della fatica. Ma non si sente il
bisogno di evocare quaresime e mantra
penitenziali. Sono molto semplicemente luoghi
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della condizione operaia e della Storia della
condizione operaia: "…si ricercavano soprattutto
le dita piccole e agili. Subito sorse l'abitudine di
procurarsi apprendisti (!) dalle diverse workhouses
delle parrocchie, da Londra, Birmingham e
altrove. Molte e molte migliaia di queste
creaturine derelitte, dai sette ai tredici o
quattordici anni, vennero così spedite al nord. Era
costume che il padrone (cioè il ladro di ragazzi)
vestisse e nutrisse i suoi apprendisti e li
alloggiasse in una casa degli apprendisti vicino
alla fabbrica. Venivano nominati dei guardiani per
sorvegliare il loro lavoro. Era interesse di questi
aguzzini di far sgobbare i ragazzi fino all'estremo,
perchè la loro paga era in proporzione della
quantità di prodotto che si poteva estorcere al
ragazzo. La conseguenza di ciò fu naturalmente la
crudeltà... In molti distretti industriali queste
creature innocenti e prive d'amici, consegnate al
padrone della fabbrica, venivano sottoposte alle
torture più strazianti. Venivano affaticati a morte
con gli eccessi di lavoro, frustati, incatenati e
torturati coi più squisiti raffinamenti di crudeltà...
I profitti dei fabbricanti erano enormi"; "…Lo
sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali
simili a caserme. Sulla riva destra, più
pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di
fabbriche; già la seconda casa è diroccata, senza
tetto, piena di macerie, e la terza è così bassa che
il piano inferiore è inabitabile e quindi è
sprovvisto di finestre e di porte. Lo sfondo è
costituito qui dal cimitero dei poveri, dalle
stazioni delle ferrovie di Liverpool e di Leeds, e
dietro ad esse è la casa di correzione, la "Bastiglia
della legge sui poveri" di Manchester, che come
una cittadella guarda minacciosa dall'alto di una
collina, dietro alte mura e merli, verso il quartiere
operaio…(Friedrich Engels La classe operaia in
Inghilterra). Ondate di uomini e di donne passate
negli interni e di Ossola e lì consunte chiedono
piuttosto riscatto e giustizia se non vendetta. A più
di un secolo la condizione di lavoro e di
abitazione per interi strati sociali non è molto
cambiata, la scena è gonfia per le crescenti
marginalità, affollata da vite precarie, uomini e
donne senza diritti, lavoratori immigrati, fantasmi,
in funzione di esercito di riserva - "Pauper ubique
jacet ".
Così vero è questo passo che i luoghi successivi
messi a fuoco dal pittore - li fotografa e li dipinge
- sono interni espliciti di fabbrica. In mostra Il
mistero della fabbrica 2001 e Breda 13 del 2003
[catalogo pagg 44]. Grandi tele in cui il tempo è
sospeso, le tracce di ciò di cui questi spazi sono
stati teatro sono meno evidenti, meno espressive.
Né thriller, né suspense, ciò che doveva accadere è
accaduto, l'azione si è consumata non rimane che
pulviscolo e resti, stracci e carte sollevate da
refoli. Nessuna attesa, nessuna dimensione
prospettica. Nel tempo sospeso non vi è conflitto
né agire, non i è Storia. Sono tele della fine della
Storia, di un fermo immagine che insisterà per
tutto il tempo immaginabile.
La fotografia per gli sfocati e le dissolvenze, il
cinema hanno abitato qui. Cinema perché una
pluralità di avvenimenti-movimenti è stata
registrata, è accaduta, ne è saturo lo spazio e
questa saturazione è dovuta alla diffusione della
luce, al retino pulviscolare su cui si appoggia la
luce da cavedio e che costituisce la materia
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immateriale degli interni, l'animazione, le
animule, le fantasime degli interni. E sempre più
nulla vi accade - nella mostra, per scansioni
evidenti, da Stanza 1995 a Luce tempo sedimento
2005 [catalogo pag 42] - come su uno schermo
televisivo quando la comunicazione animata è
interrotta. Il pulviscolo che galleggia nello spazio
- nel tempo sospeso - veicola una luce incerta da
cavedio sempre più innaturale. Luce livida,
seppia, fotogramma virato al livido, azzurri filtrati
degli interni. Così la luce di Yitzhak Katzenelson
ne Il canto per il popolo ebraico massacrato il
poema commissionato dai resistenti del ghetto di
Varsavia e sopravvissuto in bottiglie sepolte
all'autore scomparso ad Auschwitz
polvere una lenta polluzione del nulla, un fallout,
una ricaduta radioattiva, si deposita lentamente su
un mondo non più animato.
Piero Del Giudice
["…Non invocare il cielo: non ti sente. Né ti sente la
terra, questo mucchio di letame./ Non invocare il sole:
non si supplica una lampada…Oh se potessi/
Spengerlo come una lampada in questa tana di
assassini!/ Popolo mio, tu del sole sei stato per me ben
più radiosa luce!..."].
Forse dal suo secolo l'Europa, certo, non si
risolleverà più. Finita ogni centralità e ogni
proposta, finito il suo tempo e la sua Storia. Senza
antenati, senza nozze, senza discendenti. Bettola,
tana, boita, reparto di fabbrica, linea e nastro della
produzione fordista, ghetto e block, capannone
industriale e quartieri operai, la pena e la lotta, la
condizione servile e il riscatto, sono esiliati dalla
tela in una diaspora del mondo, nella
immaterialità dei nuovi domini, delle microfisiche
del potere, nella dilatazione globale del mondo. E
in queste ultime tele, nelle stratificazioni di
Interno, 1980, tecnica mista su carta, 25x32cm
12
d i s e gonl i
Interno, 1955, olio su tela, 50x70 cm
14
Filippo con la tuta azzurra,1955/56, olio su tela, 70x50 cm
15
Figura, 1956/57, olio su tela, 105x55 cm
16
Natura morta, 1958, olio su tela, 50x70 cm
17
Figura, 1960, olio su tela, 70x50 cm
18
Interno-Esterno, 1963, olio su tela, 70x100 cm
19
Interno-Esterno, 1963, olio su tela, 80x100 cm
20
Interno-Esterno, 1963, olio su tela, 80x100 cm
21
Paesaggio, 1964, olio su tela, 110x130 cm
22
Apparizione del fungo gigante, 1967, olio su tela, 40x40 cm
23
Fumetto, 1967, olio su tavola, Ø 26 cm
24
Germoglio che sostiene un recipiente passionale, 1969, olio su tela, 100x100 cm
la,100x150 cm
25
Notturno verde, 1973, olio su tela, 50x50 cm
26
Evocazione, 1975, olio su tela, 130x120 cm
27
Città, 1977, olio su tela,115x94 cm
28
Fuga dalla città, 1977, olio su tela, 150x150 cm
29
Hinterland, 1979/80, olio su tela, 150x145
30
Interno,1983, olio su tela, 80x100 cm
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Distanza dagli oggetti, 1987, olio su tela, 200x150 cm
32
Stanza, 1995, olio su tela, 70x100 cm
33
Studio di figura, 1999, olio su tela, 50x35 cm
34
Il mistero della fabbrica, 2001, olio su tela, 150x200cm
35
Nomadi, 2001, olio su tela, 35x45 cm
36
Bagno turco, 2001, olio su tela, 35x25 cm
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Riflessi, 2002, olio su tela,100x140 cm
38
Luce radente, 2002, olio su tela,100x150 cm
39
Stanza, 2003, olio su tela, 100x120 cm
40
Domicilio provvisorio, 2003/2004, olio su tela, 120x170 cm
41
Luce-Tempo-Sedimenti, 2005, olio su tela,100x130 cm
42
Pausa trasloco, 2005, olio su tela, 100x100 cm
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Breda 13, 2006, olio su tela,100x80 cm
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tt ee m
m pp ee rr ee
Memoria epica, 1975/81, tecnica mista su carta, 38x36 cm
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Reliquie, 2004, tempera su carta a mano, 70x50 cm
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Specchio, 1991, tempera su carta a mano, 70x50 cm
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Specchio, 1987/88, tempera su carta, 77x57 cm
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m pp ee rr ee
disegni
Polittico con la storia del lichene tutta disegnata a mano, 1968,
china su carta, 48x35 cm
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Proietto la mia ombra, 1968, carbone e grafite su carta, 48x35 cm
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Sequenza poetica, 1968, china su carta, 48x35 cm
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Senza titolo, 1970, china su carta, 35x48 cm
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Senza titolo, 1970, china su carta, 48x35 cm
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Senza titolo, 1971, china su carta, 35x48 cm
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Senza titolo, 1973, china su carta, 48x35 cm
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Senza titolo, 1973, china su carta, 48x35 cm
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tat eep m
p appreearrteei
m
Biografia
Gli Ossola sono originari di Castello Cabiaglio
(Varese).
Il capostipite Leonello, padre di Giancarlo, nasce
nel 1888, si trasferisce a Milano nei primi anni del
secolo e qui frequenta la scuola di Arti e Mestieri
della Umanitaria. Chiamato alle armi nella prima
guerra mondiale, viene ferito gravemente. Al
ritorno dal fronte intraprende la professione di
disegnatore e pittore, decoratore e affrescatore.
Sposa, a metà degli anni Venti, Virginia Anessi di
Cocquio Sant'Andrea paese e comunità vicino a
Cabiaglio. Andranno ad abitare a Milano, in Corso
Como, 10.
In corso Como nascono la primogenita Giulia nel
1928 - poi in Storti (anche lei artigiana creativa,
produce manufatti in stoffa e altri materiali) - e
Giancarlo nel 1935.
1940-1950
Già da bambino - alle elementari - dimostra una
precoce attitudine al disegno, ma la parabola degli
studi è un percorso ad ostacoli nelle difficoltà e
nei drammi della guerra. Negli anni del conflitto
mondiale (1940-45) il capoluogo lombardo è
pressochè quotidianamente bombardato, la
famiglia decide allora di dividersi. Il padre rimane
in città per lavoro, Virginia, la madre, con i figli
Giulia e Giancarlo, si rifugia per lunghi periodi in
campagna, nella casa di famiglia di Castello
Cabiaglio.
Il quadro Città del 1958 (72x80) evoca un
bombardamento notturno su Milano del 1942.
"Ho aperto la finestra e vedevo i bagliori degli
incendi sulla città" dice il pittore. Nel quadro opera fortemente espressiva e libera, una svolta
nel lavoro del giovane artista - dalle finestre
spalancate sulla facciata di un isolato di corso
Como, le persone si sbracciano impaurite (in una,
Giancarlo a sette anni), le mura delle case hanno
le tracce maculate del tempo, sull'insegna
sghimbescia: "Vini", un tram passa, sullo sfondo i
bagliori degli incendi.
Forti virgolettature di origine espressionista
tracciano i nervi scoperti di una tela che urla.
Finita la guerra la famiglia si ricongiunge, a
Milano in corso Como. Giancarlo riprende le
scuole, termina le medie al Parini e poi - di giorno
lavorerà - affronta la fatica di studi serali duplici:
quelli di ragioneria sempre al Parini - nelle aule
62
dove di giorno gli studenti del liceo - e dal 1949 al
1954 i corsi serali dell'Accademia di Brera e della
scuola comunale di pittura del Castello.
Frequenta l'oratorio della Santa Maria Incoronata
in corso Garibaldi, qui - crisi mistiche a parte accumula una discreta cultura religiosa con alla
base i testi biblici.
Passa dal disegno alla pittura. E' ancora ragazzo
ma è figlio d'arte, i primi rudimenti gli vengono
dal padre, lui ha un talento straordinario.
1950-1960
I temi delle prime tele sono di realtà contadina nei
luoghi di origine dei genitori - Prealpi varesine schizzi dal vero, nature morte e ritratti di
personaggi del posto.
La vocazione di Ossola a "figurare le cose e le
persone" diventerà più problematica con le prime
influenze culturali di peso (Morandi, De Pisis). Il
viaggio a Parigi del 1959 gli apre la conoscenza ai
pittori del postimpressionismo, sua matrice
europea.
Il padre, invalido di guerra, muore nel 1951.
Giancarlo così, a soli 16 anni, inizia a lavorare
come commesso in via Maroncelli alla società
metallurgica Africa orientale: un grossista che
esporta nelle ex-colonie italiane casalinghi e
utensili.
Si diploma in ragioneria e per otto lunghi anni
lavora negli uffici e agli sportelli della Banca
Lombarda di Depositi e Prestiti, sia nella sede
centrale di via Silvio Pellico, sia nella agenzia 8,
in via Mac Mahon. Lavora e dipinge, divide la sua
giornata tra il "pane e le rose". Dopo gli otto anni
di banca fa l'operatore turistico in Val Brembana a
Foppolo.
C'è un curioso servizio fotografico su un fascicolo
del gennaio 1964 del settimanale Le ore - testata
con velleità per allora scandalistiche. La
didascalia - sotto grande foto di prestante giovane
Ossola in tenuta da montagna vicino a una bella
ragazza bruna, in piedi nella neve - recita " il rag.
Ossola e la signorina Lodigiani [forse della
famiglia proprietaria dell'impresa omonima]…la
conca di Foppolo dominata dalla presenza di
Cupido".
"Mi occupavo di alberghi, impianti-sci, relazioni
con la clientela e turismo - dice - avevo un ufficio
a Milano in via Mac Mahon, una villetta con un
piccolo giardino. Lì svolgevo - oltre a quello di
operatore turistico - un lavoro di antiquariato.
Trattavo mobili d'epoca che recuperavo in baite
sperdute e facevo restaurare."
E' il periodo in cui conosce e frequenta Giorgio
Gaber, Celentano ("Celentano mi ha insegnato a
ballare il twist e il rock and roll") e Ombretta
Colli, cioè la nouvelle vague della canzone di
impegno milanese. Si frequentano in una trattoria
di via Procaccini con pittori e critici d'arte come
Mario De Micheli.
1960-1970
La ricerca artistica va avanti e il pittore raccoglie i
primi consensi.
Guarda al "realismo esistenziale",
all'espressionismo tedesco, e ben presto
all'informale. Esordisce come appartenente al
movimento neomaterico. Adotta come linguaggio
l'informale storico, dipinge i primi interni-esterni,
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sullo sfondo - convulsa di materie e segni - una
città tra distruzioni e progetto.
Il progetto sta in un presente urbano in grande
movimento, ricco dei nuovi fermenti della
ricostruzione e della vitalità di rapporti innescati
dall'imminenza del cosidetto "boom" economico.
Nel 1960 riceve il premio per la pittura giovane da
una giuria in cui Eva Tea e Giorgio Kaisserlian uno dei teorici del realismo esistenziale.
Nel 1961 la sua prima personale al Salone
Annunciata di Milano in via Manzoni, lo presenta
Mario De Micheli.
Nel 1963 gli viene assegnato il 1° premio San
Fedele, è presente alla rassegna con alcuni
"interni-esterni".
Si susseguono da allora i cicli e i temi che
costituiscono l'architettura del suo progetto
artistico e della sua complessiva opera: "interniesterni", "fumetti", "memorie epiche", "interni",
"depositi", "atelier", "ai margini" etc.
1970-1980
La casa di corso Como dove abita e dipinge non
basta più, ma non è una questione solo di spazio:
"Volevo essere libero" dice "Volevo un contatto
diretto con la natura". Nasce così la decisione di
allestire lo studio di Castellazzo di Bollate, una
vecchia cascina - la storica "Cascina Sessa" quattro stanze su due piani, a fianco di Villa
Arconati. Ci rimarrà sino al 1989.
Il suo bacino figurale è costituito dalla città - le
periferie - e la campagna, con una crescente
attenzione e attrazione per gli interni urbani di
lavoro, laboratori, fabbriche, mense operaie,
depositi dismessi.
Qui inizia anche il suo rapporto - sempre più
preciso - con la fotografia. Per camminamenti e
divieti violati va quotidianiamente in fabbriche
abbandonate, nei luoghi del lavoro chiusi dalle
mutazioni e dalle crisi e ne fotografa gli interni e
le strutture abbandonate.
Ci sono industrie che gli commissionano cicli di
interni, ci sono luoghi di pena - come l'exmanicomio di Genova - dove Ossola chiede di
poter lavorare e si insedia per tele seriali e
ossessive.
Negli anni Settanta incontra Maria Camurati,
insegnante di lettere, emiliana di origine, milanese
di adozione. Nasce un sodalizio affettivo e
intellettuale. Con lei abita in via Goldoni per un
lungo periodo di anni felici, con Maria fa della
casa di vacanze a Mesenzana di Luino - sulle
colline immediate al lago Maggiore - un luogo di
incontro. Lo frequenta l'intellighentia artistica e
letteraria laghista-luinese, tra i tanti Dante Isella e
Piero Chiara, entrambi esegeti in varie occasioni
della sua opera.
Dagli anni Settanta è scrittore di pagine di
riflessione artistica, per una non frammentaria
storia e cronaca della pittura contemporanea,
nonché di osservazioni sulla società e i costumi
del tempo. E' recensore sistematico di varie
mostre dell'area lombarda ed europea per le
pagine di cultura de l'Umanità - sul quotidiano del
partito socialdemocratico ha una propria rubrica e contemporaneamente per i programmi culturali
64
della radio della Svizzera Italiana.
1989
In novembre Maria muore, travolta dalle
dinamiche di un incidente stradale, in via
Fatebenefratelli.
Ossola si stabilisce in un nuovo ampio spazio - di
lavoro e abitazione - in via Pastrengo, nel cuore
della sua città, all'Isola - il quartiere più
eccentrico e autonomo rispetto all'anomìa della
metropoli.
1990-2000
L'attenzione dei critici d'arte, le numerose mostre,
le crescenti collocazioni di sue opere in collezioni
private, lo hanno convinto da tempo a dedicarsi
unicamente alla pittura. La sistemazione all'Isola,
corona la sua autonomia e rende possibile la
continuazione di un lavoro sempre più febbrile su
tele anche di notevoli dimensioni.
Con il trasferimento in via Pastrengo, abbandona
lo studio in campagna di Castellazzo, non prima
tuttavia di avere chiuso il ciclo di dipinti su villa
Arconati, uno dei suoi topos.
Dedica agli interni della residenza Arconati un
biennio di lavoro:1987-1988. Nelle tele del ciclo
agiscono in modo esplicito le fascinazioni sempre subite - per il barocco e le sue
evanescenze. La sequenza di tele dipinte alla
vigilia del definitivo smantellamento della
residenza signorile di campagna è percorsa da una
ricorrente riflessione sulla caducità della Storia e
del potere, e da una singolare ironia. E' esaustivo
del ciclo - per immagini e riproduzioni - il volume
con scritti di Cesare De Seta e Giancarlo
Dell'Acqua, Giancarlo Ossola e Villa Arconati di
Castellazzo (Fabbri editore, Milano 1989).
Nel procedere del lavoro si fanno evidenti i
rimandi, i debiti e le affinità elettive con
esperienze antecedenti e contemporanee della
storia dell'arte. Da sempre ricorre nel suo lavoro la
memoria di alcuni maestri del '700 e del '600.
Sulla sua tela si fanno quasi corporee, fisiche, le
presenze - tra rococò e drammatica denuncia, tra
pittura di segno e contenuti eversivi - della
materia, dei temi, della drammaticità e del
movimento dell'opera del genovese Alessandro
Magnasco il "Lissandrino". Oppure incombe il
disfacimento-rinnovamento molecolare dell'amato
Hercules Seghers (Haarlem, 1589 - L'Aia, 1638)
per la "sua visionaria, molecolare parcellizzazione
cosmica di involucri grafici in disfacimento".
Per il Novecento e i contempranei, si confronta
con i pittori tra realtà e natura, figurazione e
informale, da Bacon a Sutherland, da Wols a
Giacometti. E alle sue incursioni dentro la città
cupolare - gli interni-esterni - fanno da
controcanto gli interni di atelier, i luoghi della
solitudine della pittura, in cui l'artista misura
l'efficacia degli strumenti di rappresentazione della
realtà nella loro evidente povertà dei mezzi - la
tela, lo spazio del quadro, il foglio, le materie
cromatiche, i pennelli - al confronto con il più
vasto senso delle cose e della esistenza, in balìa
dei percorsi storici tra eclissi e resurrezioni.
Nell'ultimo quarto del secolo e per oltre due
decenni - dalla fine degli anni Settanta alla vigilia
del millennio - Giancarlo Ossola ha il periodo
65
creativo e di lavoro più fecondo e di respiro, più
ambizioso e radicale. Una grandezza anche del
gesto, della immagine e della materia, che si
riflettono sull'intera vicenda artistica del secolo e
che si protraggono - per seduzioni e
sperimentazioni figurali - nel nuovo millennio. E'
il ciclo degli interni, depositi, atelier, volta a volta
dalla critica definiti "lazzaretti" (Testori), "ciclo
dei vinti" (Pontiggia), "compound dello
sfruttamento e dello sterminio" (Del Giudice).
2000-2010
Alla drammatica pennellata degli interni di ghetto
e di luoghi di lavoro e di pena, seguono - in una
stesura meno concitata, sempre più nitida e
fotografica - composizioni di interni asemantici e
astorici, del tempo sospeso, dove la presenza
umana è esiliata da stagione immemorabile, per
un avvenuto big-bang di enormi proporzioni.
Giancarlo Ossola vive e lavora a Milano
66
MOSTRE PERSONALI
1961 Milano, Salone Annunciata (presentazione
Mario De Micheli)
1963 Milano, Galleria del Mulino
(autopresentazione)
1967 Milano, Salone Annunciata
(autopresentazione)
1968 Chiasso, Galleria Mosaico (scritti di Fabrizio
Dentice e Giancarlo Ossola)
1969 Milano, Galleria di via Morone 6
1971 Milano, Galleria Bergamini (scritti di
Roberto Tassi e Giancarlo Ossola)
1972 Parma, Galleria Correggio (scritti di
Roberto Tassi, Renzo Beltrame,
Giancarlo Ossola)
1973 Napoli, Galleria il Diagramma 32 (scritti di
Fabrizio Dentice e Vittorio Fagone)
1974
Milano, Galleria Bergamini (scritti di Gianfranco
Bruno e Giancarlo Ossola)
Omegna, Galleria Spriano (presentazione Renzo
Beltrame)
Alessandria, Galleria D4 (presentazione Renzo
Beltrame e Gianfranco Bruno)
Bari, Galleria Campanile (presentazione Renzo
Beltrame e Gianfranco Bruno)
Messina, Galleria Cappolino (scritti di Gianfranco
Bruno e Giancarlo Ossola)
1978
Milano Galleria Bergamini (scritti di Gianfranco
Bruno e Giancarlo Ossola)
Alessandria, Galleria D4
1979 Bologna, Artefiera
1980
Mendrisio, Galleria L'Immagine
(autopresentazione)
Cremona, Galleria Il Triangolo (presentazione
Elda Fezzi)
Roma, Banca Popolare di Milano
Lucca, Galleria Guerrieri (presentazione Piercarlo
Santini)
1981 Busto Arsizio, Galleria Palmieri (scritti di
Giorgio Mascherpa e Giancarlo Ossola)
1982
Piacenza, Galleria L'Angolo (presentazione Elda
Fezzi)
Gallarate, Civica Galleria d'Arte Moderna
(presentazione Silvio Zanella e antologia critica)
1982-1983 Parma, Galleria La Bottega
1975 Parma, Galleria Correggio
(autopresentazione)
1976
Chiasso, Galleria Mosaico (scritti di Giuseppe
Curonici, Roberto Tassi, Giancarlo Ossola)
1983
Milano, Galleria 32 (presentazione Dante Isella,
con uno scritto di Giancarlo Ossola)
Parma, Studio Arte Nazzari
Cesena, La Permanente
67
1984
Piacenza, Galleria L'Angolo
Vicenza, Galleria F. Ponte
1985
Busto Arsizio, Galleria Palmieri (scritti di
Floriano De Santi, Dante Isella, Vittorio Sereni)
Milano, Banca Popolare di Milano
Milano, Studio R.P. D'Ars
Messina, Galleria Astrolabio (presentazione di
Riccardo Barletta)
Milano, Fiera Internazionale d'Arte
Contemporanea
Luino, Civico Istituto di Cultura (scritti di Piero
Chiara e Stefano Crespi)
1985-1986 Lissone, Galleria Radice
1986
Brescia, Galleria Lo Spazio
Salerno, Galleria Il Catalogo
Milano, Galleria 32 (presentazione Elena
Pontiggia, scritti di Stefano Crespi e Giancarlo
Ossola)
Milano, Studio d'Arte Grafica
Mendrisio, Galleria L'Immagine (presentazione
Marina De Stasio)
Parma, Studio Arte Nazzari
1987
Novara, Galleria Sorrenti (presentazione Marco
Rosci)
Varese, Musei Civici di Villa Mirabello (scritti di
Silvano Colombo e Marco Rosci)
Treviglio, Galleria Q3
1988
Lugano, Galleria Palladio (presentazione
Francesco Porzio)
Bari, Artefiera
Piacenza, Galleria Il Cenacolo
1989
Cavriago, Civica Sala Mostre, Mostra antologica
1983/88 (conversazione con Sandro Parmiggiani e
antologia critica)
Genova, Centro d'Arte La Maddalena
(presentazione Germano Beringheli)
Milano, Galleria Appiani Arte, Galleria 32, Studio
d'Arte Grafica, Ossola e Villa Arconati, (testi di
Cesare De Seta e Gian Alberto Dell'Acqua)
(Fabbri editore)
1990
Brescia, AAB Associazione Artisti Bresciani,
mostra antologica
Biella, Galleria Mercurio
Piacenza, Galleria Il Cenacolo
Piacenza, Galleria Denise Fiorani
Siracusa, Galleria La Nave
Castellazzo di Bollate, Villa Arconati
Taranto, Circolo Culturale ILVA, mostra
antologica
Torino, Torinoarte, Ia Biennale d'Arte Moderna e
Contemporanea
1991
Pordenone, Galleria Gigoletti
Novara, Galleria Sorrenti
Firenze, 6° SIAC, Palazzo Affari
68
Genova, Centro d'Arte La Maddalena
(presentazione Alberico Sala)
1992
Chiavari, Galleria Cristina Busi
Milano, Università Bocconi
Baia Domizia (Latina), Centro d'Arte Baia
Domizia
Busto Arsizio, Galleria Palmieri (presentazione
Marco Rosci)
1993
Sesto San Giovanni, Galleria dell'Auditorium,
Cassa Rurale e Artigiana, Immagine del Territorio
(presentazione Marina De Stasio)
Conegliano, Palazzo Sarcinelli, Galleria
Comunale d'Arte Moderna, Opere 1971-1993
(testi di Elena Pontiggia, Marco Goldin e
Giancarlo Ossola) (Marini editore)
Messina, Galleria Il Sagittario (presentazione di
Lucio Barbera)
Latina, Galleria del Corso
Livorno, Galleria Rotini
Ischia, Castello Aragonese
1994
Bologna, Artefiera
Piacenza, Galleria Il Cenacolo
Milano, Galleria Appiani Arte 32 (presentazione
Antonello Negri)
Milano, Studio d'Arte Grafica (presentazione
Marina De Stasio)
Piacenza, Studio Centenari, Tempere 1974-1993,
(testo Marina De Stasio) (Studio Centenari
editore)
1995
Milano, Miart '95, (1° premio per lo stand)
(allestimento Galleria Appiani Arte 32)
Milano, Spazio Linati, " Due Percorsi "
1996
Bologna, Artefiera, sala personale con la Galleria
Appiani Arte 32
Chiavari, Galleria Cristina Busi, Ossola-Sturla
Montecchio Emila, Galleria La Rotonda
Mantova, Arianna Sartori Arte, Opere Recenti
Sondrio, Palazzo Sertoli, Galleria del Credito
Valtellinese, Interni 1977-1996 (presentazione
Giovanni Raboni, scritti di Giancarlo Ossola,
antologia critica)
1997
Genova, Centro d'Arte La Maddalena
Bologna, Galleria delle Arti, Dipinti e tempere
1979-1997 (presentazione Giovanni Raboni)
Ferrara, Galleria Tortora, Dipinti e Tempere
Volterra, Logge dei Priori, Comune di Volterra e
Associazione Caleidoscopio, Opere 1980-1997
(presentazione Nicola Micieli)
Albissola Mare, Circolo Culturale Giorgio
Monelli
Camaiore, Villa Borbone Le Pianore, Comune e
Associazione Caleidoscopio, Opere 1980-1997
(presentazione Nicola Micieli)
1998
Ascona, Museo Epper, Visioni del notturno
(presentazione Claudio Cerritelli)
Milano, Galleria Appiani Arte 32, Atelier (testo di
69
di Rolando Bellini) (Skira editore)
Piacenza, Studio Centenari, Olî, tempere, disegni
1971-1979 (testo di Stefano Crespi) (Studio
Centenari editore)
1999 Varese, Liceo Artistico, Incontri
(presentazione Marina De Stasio)
2000
Saronno, Galleria Il Chiostro, Opere 1997-2000
(testo di Giancarlo Ossola)
Pizzighettone, Museo Civico, Centro Culturale
Comunale, Opere 1955-2000 (testo Francesco
Pagliari)
2001
Piacenza, Studio Centenari, Disegni 1970-1979
(testo Flaminio Gualdoni) (Studio Centenari
editore)
Castello Cabiaglio, Oratorio di San Carlo, Cicli
della materia, Opere 1997-2001, a cura del
gruppo Ronchelli (presentazione Elena Pontiggia)
2002
Vigevano, Galleria Ducale, Opere 1995-2002
Milano, Galleria Cappelletti, Opere scelte
2004
Milano, Galleria Artetadino 6, Opere recenti,
(presentazione Gianni Cavazzini)
Milano, Galleria Agorárte, Fabbriche, stanze e
interni di luce (presentazione Claudio Cerritelli,
con una intervista a Giancarlo Ossola di Simona
Vigo)
2005
Montecchio Emilia, Galleria La Rotonda,
Giancarlo Ossola Dipinti
Teramo, Studio d'Arte Forlenza, Campi
d'Attenzione (presentazione Maria Cristina
Ricciardi)
Milano, Studio d'Arte del Lauro, Giancarlo
Ossola, Settanta (presentazione e conversazione
con il pittore di Alberto Pellegatta)
Chieti, Palazzo dei Veneziani, Il mistero della
fabbrica (presentazione Maria Cristina Ricciardi)
2007
Palermo, Galleria d'Arte Trentasette, Giancarlo
Ossola oli e tempere (presentazione di Sergio
Troisi)
Maccagno, Civico Museo Parisi Valle, Opere
2000-2007 (testi di Stefano Crespi e Claudio
Rizzi)
2010
Milano Spazio Tadini, Ossola (testo di Luca Pietro
Nicoletti) (Pagine di pittura e scrittura edizioni)
Milano Ostrakon di via Pastrengo e Moscova,
galleria e studio Ossola, interni del secolo breve
(presentazione Piero Del Giudice)
MOSTRE COLLETTIVE
partecipa tra le altre alle esposizioni collettive:
Milano, Biennali della Permanente; Roma, XIa
Quadriennale; "L'Opera Dipinta" Parma, CSAC
dell'Università e Milano, Rotonda della Besana (a
cura di Arturo Carlo Quintavalle) (1982); "Il
70
Segno della Pittura e della Scultura" Milano,
Permanente (1983); "Artisti e Scrittori" Milano,
Rotonda della Besana (1984); "Geografie oltre
l'Informale" Milano, Permanente (a cura di
Marina De Stasio, Elena Pontiggia e Claudio
Cerritelli) (1987); "Artisti Italiani" Mosca, Kiev,
Tblisi (1988-1989); "Dieci Pittori a Milano"
Parma, CSAC dell'Università (a cura di Arturo
Carlo Quintavalle) (1989); "Pittura a Milano dal
1945 al 1990" Milano, Permanente (a cura di
Giorgio Seveso e Luisa Somaini) (1992); "Tassi e
i pittori, da Fattori a Burri" Conegliano Veneto,
Palazzo Sarcinelli (a cura di Marco Goldin)
(1998); "Immagine d'impegno - Impegno
d'immagine" Roma, ex-Mattatoio (a cura di
Domenico Guzzi) (2000); "Dal Premio alla
Pinacoteca" Lissone, Galleria d'Arte
Contemporanea (a cura di Flaminio Gualdoni e
Claudio Rizzi) (2001); "Pittura in Lombardia nel
XX Secolo" Vigevano, Castello Sforzesco (a cura
di Raffaele De Grada) (2001); "Per Amore - 15
anni di scelte a Palazzo Sarcinelli" Conegliano
Veneto (a cura di Marco Goldin) (2002) ;
"L'Incanto della pittura" Mantova, Casa del
Mantegna (a cura di Claudio Cerritelli) (2004);
"Acquisizioni 2007" Maccagno, Civico Museo di
Maccagno (2007) ; "Arte oggi a Varese" e "Come
eravamo. Anni '70. Linguaggi e protagonisti
dell'Arte in Lombardia" Maccagno, Civico Museo
(2008); "Giancarlo Ossola - Antonio Pedretti.
Antitesi e simbiosi" Sabbioneta, Palazzo Ducale
(2009)
Mario De Micheli, Raffaele De Grada, Marco
Valsecchi, Luigi Carluccio, Fabrizio Dentice,
Roberto Tassi, Gianfranco Bruno, Elda Fezzi,
Arturo Carlo Quintavalle, Stefano Crespi, Giorgio
Seveso, Giovanni Testori, Marina De Stasio,
Elena Pontiggia, Dante Isella, Cesare De Seta,
Gian Alberto Dell'Acqua, Umberto Eco, Marco
Goldin, Vittorio Sereni, Marco Rosci, Giovanni
Raboni, Rolando Bellini, Alberto Pellegatta, Luca
Pietro Nicoletti, Piero Del Giudice.
In preparazione nei tipi delle edizioni ADVPagine d'arte di Lugano - a cura di Alberto
Pellegatta - il libro degli scritti di Giancarlo
Ossola sull'arte e sugli artisti contemporanei
BIBLIOGRAFIA IN BREVE
su di lui tra gli altri hanno scritto:
71
finito di stampare
Ottobre 2010