Lavoro Bancario e Assicurativo

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Lavoro Bancario e Assicurativo
Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. d.l. 393/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n.46) art.1, com.2, dcb Roma
rivista trimestrale, numero 3 Luglio/Settembre 2008
p.22
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[ gli autori ]
Giuseppe Gallo segretario generale Fiba Cisl
Andrea Baccherini redazione Conquiste del lavoro
Alberto Berrini consulente economico Fiba Cisl
Mario Capocci comp. esecutivo coord QD Fiba Cisl
Angela Cappuccini resp. ufficio stampa Fiba Cisl
Giusi Esposito resp. coord. femminile Fiba Cisl
Domenico Iodice comp. ufficio ricerca Fiba Cisl
Pier Luigi Ledda resp. dip. com. inf. form e ricerca Fiba Cisl
Maurizio Locatelli resp. formazione Fiba Lombardia
Pietro Mariani segr. nazionale Fiba Cisl
Anna Masiello comp. ufficio formazione Fiba Cisl
Mario Mocci segr. naz. Fiba Cisl
Gabriele Olini ricercatore uff studi Cisl
Carlo Piarulli segr. generale Assonova
Giulio Romani segr. nazionale Fiba Cisl
Andrea Scaglioni resp uff. ricerca Fiba Cisl
Luigi Verde resp. uff. legale Fiba Cisl
Paola Vinciguerra resp. formazione Fiba Sicilia
Antonio Zanelli segr. Fiba Cisl Allianz
Achille Cadeddu e Giuseppe Gargano sono gli autori della vignetta
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n. 3 luglio/settembre 2008
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Direttore Responsabile:
Giuseppe Gallo
Comitato di direzione
Giuseppe Gallo, Giovanni Casiroli, Guido Cavalieri,
Roberto Garibotti, Sergio Girenti, Pier Luigi Ledda,
Pietro Mariani, Mario Mocci, Giacinto Palladino,
Giulio Romani, Alessandro Spaggiari, Elena Vannucci
Redazione:
Angela Cappuccini (caporedattore)
Andrea Baccherini, Umberto Bognani, Giusi Esposito,
Maurizio Locatelli, Anna Masiello, Paola Vinciguerra
Progetto grafico e impaginazione:
Raimondo Giuliani
LAVORO BANCARIO E ASSICURATIVO
Aut. decreto n. 236/92
del 15/04/1992 - reg. stampa Roma
Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. d.l. 393/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n.46)
art.1, com.2, dcb Roma
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Tiratura:
85.000 copie
sommario ]
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Editoriale
di Giuseppe Gallo
Il punto
di Mario Mocci
Il punto
di Pietro Mariani
Dalla confederazione
a cura di Andrea Baccherini
Libriamoci
a cura di Anna Masiello
Focus Le tasche dei lavoratori
Dall’integrazione alla complementarietà
di Giulio Romani
Allarme salari
di Angela Cappuccini
Crisi globale, alla ricerca delle cause
di Pier Luigi Ledda
La crisi alimentare
di Alberto Berrini
Tra bolle finanziarie ed inflazione
di Gabriele Olini
Mutui casa, la situazione italiana
di Andrea Scaglioni
La lettera A cosa serve il sindacato
di Antonio Zanelli
Mifid Una lettura dalla parte del bancario
di Mario Capocci
Promotori Assonova, al via un’indagine
di Carlo Piarulli
Donne La storia
di Giusi Esposito
La pagina della musica
a cura di Anna Masiello
I luoghi dell’anima
di Paola Vinciguerra
Legale
a cura di Luigi Verde
Società civile
a cura di Paola Vinciguerra
Internazionale
a cura di Maurizio Locatelli
[ editoriale ]
di Giuseppe Gallo
Giuseppe Gallo,
Segretario Gen. Fiba Cisl
Il liberismo è in rotta. Per unanime riconoscimento. Non ha mai avuto, del
resto, il rango di una teoria economica;
piuttosto l’arroganza ideologica di un
assunto – il potere taumaturgico di autoregolazione del mercato – privo di evidenze empiriche e sistematicamente contraddetto dalla storia del capitalismo.
Serviva a favorire un modello di crescita
anarchica e deregolata e gli interessi
economici che in essa avrebbero trovato le
condizioni ottimali per dispiegare le loro
potenzialità. J. Stiglitz ha definito quella
ideologia e quegli interessi “Washington
Consensus” per designare la concezione
dominante della globalizzazione senza
regole che aveva nel Fmi e Tesoro
Usa i centri propulsori, ed è diventata
trasversale nell’ultimo trentennio.
L’arroganza ideologica è un grave peccato,
per questo era destinata al contrappasso
dantesco che, negli ultimi mesi, ha
iniziato, clamorosamente a manifestarsi.
Ben Bernanke ha chiesto al Congresso
Usa poteri di vigilanza e di intervento
straordinari sugli intermediari sino ad
oggi non regolati: Società di merchant
banking e di investiment banking, Hedge
Funds, altri intermediari fuori controllo.
Non solo. Nel salvataggio di Bear
Stearns, da parte di J.P. Morgan, la Fed
è intervenuta con linee di finanziamento
a favore di J.P. Morgan (27miliardi di
dollari) ed assunzione del rischio del
portafoglio titoli di Bear Stearns.
Non diversamente, la Banca Centrale
inglese ha istituito un Fondo di 50
mld di sterline per offrire alle banche
britanniche titoli del tesoro in cambio
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di obbligazioni strutturate garantite da
mutui subprime.
Bernanke ha sostenuto, esplicitamente,
che il suo compito più urgente risiede nel
garantire la liquidazione ordinata delle
grandi banche e dei grandi intermediari
finanziari Usa, quando saranno prossimi
alla bancarotta, seguendo il modello
Bear Stearns / J.P. Morgan o attraverso
l’intervento pubblico diretto.
Ecco, allora, prender corpo il contrappasso infernale: il salvataggio pubblico
come soluzione obbligata per risolvere la
crisi finanziaria internazionale.
L’intervento dello Stato, diffidato per
un quarto di secolo dall’interferire con
gli autonomi meccanismi del mercato
capaci comunque di garantire sviluppo
e benessere, come “extrema ratio” per
evitare la catastrofe della crisi finanziaria
più grave dopo quella degli anni trenta
del secolo scorso!!!
Liberisti di tutto il mondo pentitevi!!!
I vessilliferi del credo liberista, una
fattispecie assai sgradevole di imbonitori da fiera di paese, mascherati con
la “gravitas” triste dell’economista,
dovrebbero avere il pudore dell’autocritica. Sappiamo, naturalmente, che
non accadrà.
Già li vediamo affannarsi, con angoscia,
sulle sudate carte dando fondo al gioco
delle distinzioni: liberalismo – liberismo,
mercato – mercatismo, globalismo
– localismo. Li attende al varco,
almeno in casa nostra, il nuovo dogma
Tremontiano: il mercato se possibile, lo
Stato se necessario.
Non occorre essere dotati di spirito
profetico per prevedere repentine
conversioni in massa al nuovo credo del
ministro dell’Economia.
Ciò che ci sembra rilevante, oltre alla
ritirata del liberismo, è l’orientamento
diffuso e crescente, nel dibattito e
nei centri decisionali internazionali,
ad un nuovo modello di regolazione
e di riforma dei mercati finanziari
capace di sancire la fine della finanza
d’azzardo. Lo rivendichiamo da tempo.
Ne deriverebbe un mutamento radicale
delle strategie e della gestione delle
imprese, a partire dalle banche, dalle
assicurazioni, dalle imprese finanziarie.
Politiche commerciali non esasperate,
maggiore qualità della prestazione
lavorativa, minor culto demiurgico
dell’azionista e maggior equilibrio
tra tutti gli stakeholder (lavoratori,
clienti, azionisti, fornitori, comunità di
riferimento) sia nel modo di produrre
valore, sia nei criteri di distribuzione del
valore prodotto.
Ci impegneremo, insieme alla Cisl,
perché l’alternativa alla disfatta storica
del liberismo, le cui premesse sono
già tendenzialmente in atto, assuma i
caratteri nitidi e riconoscibili di una
economia socialmente ed ambientalmente responsabile.
L’efficacia della contrattazione aziendale
(premi aziendali, sistemi incentivanti,
inquadramenti, salute e sicurezza, pari
opportunità, previdenza ed assistenza)
che, comunque, il ccnl 8-12-2007 ha
notevolmente accresciuto, potrebbe
godere dei benefici rilevanti di un
contesto decisamente più favorevole.
[ il punto ]
di Mario Mocci
Mario Mocci,
Segretario Naz. Fiba Cisl
Il sensibile aumento del costo della vita ha accentuato Nel secondo semestre del 2010 si avvierà la trattativa per il
notevolmente un problema già presente e sentito: il costo rinnovo del ccbl Abi e, nel corso della stessa, si procederà al
della vita aumenta, ma non allo stesso modo le retribuzioni. recupero del differenziale inflattivo tra il 4,7% riconosciuto
L’incremento dei beni, soprattutto di prima necessità, rende il come inflazione programmata (2008-1,7%; 2009-1,5%;
problema urgente, ma come sappiamo, non di facile soluzione. 2010-1,5%) e l’inflazione reale relativa allo stesso periodo. Alla
L’economia non va bene, ed in particolare nel nostro paese che luce dell’attuale andamento del costo della vita il margine da
si caratterizza, oltre che per stipendi scarsamente rivalutati ed recuperare sarà presumibilmente elevato.
alta inflazione, anche per un’elevata imposizione fiscale. In un Nel più generale mondo del lavoro il problema dell’aumento
quadro come quello delineato, ovviamente, i consumi calano del costo della vita è percepito in maniera molto più accentuata.
vistosamente e si orientano in maniera selettiva.
Le altre categorie, mediamente, hanno recuperato meno del
Il sindacato dei bancari, nello scorso anno, con buon tempismo, settore bancario e soprattutto sono prevalentemente prive di
ha avviato e concluso la trattativa per il rinnovo dei contratti contrattazione aziendale che invece, nelle banche, è consolidata
nazionali tenendo al centro il problema salariale ed ottenendo, e sarà sempre più individuata come il vero luogo di confronto
nel caso dell’Abi, un rinnovo che tra biennio pregresso (2006- sulle rivendicazioni economiche.
2007) ed il triennio di rinnovo (2008-2010) porterà, a regime, Il dibattito sulla necessità di rinnovare i contratti nazionali,
ad incrementi di oltre l’11%. Tale percentuale, ancorché basandosi su indici inflattivi capaci di fotografare realmente il
importante rispetto ai rinnovi di altre categorie, non riesce costo della vita, è diventato l’elemento centrale del possibile
certo a far fronte all’attuale impennata inflattiva. In tal senso accordo sulla riforma della contrattazione che sindacati,
è importante specificare che parte dell’11% di
incremento non va riferito all’inflazione, infatti “Le altre categorie, mediamente, hanno recuperato
una quota pari al 3% riconosce l’importante meno del settore bancario e soprattutto sono
contributo che i lavoratori bancari hanno dato al prevalentemente prive di contrattazione aziendale
rilancio del sistema creditizio, che solo dieci anni che invece, nelle banche, è consolidata e sarà sempre
fa era considerato una “foresta pietrificata” ed più individuata come il vero luogo di confronto
oggi vanta una redditività che non teme confronti sulle rivendicazioni economiche”.
con altri settori. Va da sé che, nonostante un
contratto che agli occhi delle altre categorie ha dato incrementi governo e Confindustria hanno in cantiere con l’obiettivo di
importanti, anche fra i bancari sono presenti lavoratori che rinnovare il Protocollo sulla politica dei redditi stipulato il 23
hanno stipendi non rilevanti e devono fare mensilmente i conti luglio 1993.
Tale accordo, nelle intenzioni del sindacato, dovrà garantire:
con la forte crescita del costo della vita.
Il positivo andamento del settore, ancorché in una congiuntura un più regolare rinnovo dei contratti evitando, quindi,
economica tutt’altro che favorevole, permette di operare a penalizzazioni economiche dovute a recuperi salariali
livello aziendale su tutte le leve economiche disponibili ed una tantum; l’individuazione di un indice inflattivo in
in particolare il Premio aziendale che negli anni scorsi non è sostituzione dell’attuale che nei fatti non misura il reale
riuscito ad intercettare appieno la crescita della produttività e incremento del costo della vita; un meccanismo certo di
redditività e, sul versante del salario differito, la Previdenza recupero dell’inflazione pregressa. Il raggiungimento di
integrativa che deve, tra l’altro, recuperare, in molte aziende, la tali obiettivi sarebbe già un grande passo in avanti per una
differenza di contributo a favore dei giovani rispetto al livello adeguata tutela del salario dei lavoratori italiani, rispetto agli
incrementi inflattivi del futuro.
fin qui ottenuto per i più anziani.
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[ il punto ]
di Pietro Mariani
Pietro Mariani,
Segretario Naz. Fiba Cisl
Al momento del passaggio del sistema della riscossione dalla
gestione in regime concessorio a mezzo di società private
per lo più appartenenti a gruppi bancari, a quello pubblico
(Società Capogruppo di proprietà 51% della Agenzia delle
Entrate - 49% dell’Inps) l’attenzione della Fiba e della Cisl
si è incentrata soprattutto sull’impostazione organizzativa
che si stava via delineando. Già alla presentazione del piano
industriale furono evidenziate tutte le contraddizioni insite nel
piano industriale che gli amministratori avevano predisposto
per il Gruppo Equitalia.
Da allora la Fiba Cisl ribadisce in tutte le occasioni ed in
tutte le sedi competenti la necessità e l’opportunità di una
scelta politica volta ad organizzare la riscossione mediante la
costituzione di un’unica società nazionale.
Tenendo presente che la legge di riforma individua la suddetta
opzione come obiettivo, ancora oggi i responsabili del Gruppo
Equitalia perseguono la strada della semplificazione del sistema
mediante fusioni per incorporazione delle società esistenti.
Obiettivo, secondo quanto affermato dell’amministratore
delegato di Equitalia spa, è quello di passare da un numero di
47 soggetti addetti (ex società di gruppi bancari e, in numero
ridotto, di concessionari privati) a 19 società costituenti il
gruppo.
Tale assetto non appare assolutamente funzionale in quanto
tutte le decisioni vengono assunte a livello di capogruppo e
le società debbono necessariamente allinearsi ed eseguire. I
vari consigli di amministrazione, presidenti, amministratori
delegati, direttori generali e le strutture amministrative sono
di conseguenza soggetti senza alcuna autonomia e quindi
meramente esecutivi.
E’, pertanto, evidente che la vera semplificazione a vantaggio
dell’efficienza e di una riduzione di costi strutturali si realizza con
la costituzione di un’unica società avente articolazioni territoriali
adeguate per l’assolvimento dei compiti istituzionali.
Sicuramente l’impostazione che la Fiba sollecita per
Equitalia spa non appassiona quei centri di potere
che nominano presidenti, amministratori delegati e, a
caduta, altri dirigenti con emolumenti assai interessanti,
ma sicuramente dovrebbe richiamare l’attenzione della
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politica e dei governanti che dovrebbero avere come
scopo lo snellimento della macchina amministrativa
con l’eliminazione di duplicazioni di spese a vantaggio
dell’efficienza della pubblica amministrazione.
Nel programma elettorale del governo in essere c’è la
realizzazione del federalismo fiscale: tema di notevole peso per
il rinnovo delle forme di democrazia organizzata del nostro
paese. Sicuramente il dibattito sull’argomento sarà interessante,
ma soprattutto non ne sarà semplice la realizzazione.
Tante sono le opinioni politiche sull’argomento e certamente
anche la maggioranza non avrà vita facile nel predisporre e
fare approvare un progetto tanto ambizioso che al di là dei
riferimenti ad assetti statuali federali di paesi assai più grandi
e complessi dell’Italia, dovrà realisticamente tener conto della
realtà italiana.
Per quanto ci riguarda, ossia le ricadute che potranno esserci
sul sistema della Riscossione per effetto dell’introduzione di
un modello di federalismo fiscale, riteniamo che l’innovazione
non comporterà la diversificazione dell’operatività all’interno
dei confini nazionali.
Il sindacato nel suo complesso e le diverse articolazioni
associative che realizzano la democrazia nel nostro pese
saranno in grado di contribuire al dibattito politico in
maniera efficace.
La Fiba oggi conferma che, impegno prioritario dato lo scopo
istituzionale affidato ad Equitalia, la riscossione coattiva,
attività che qualifica la società come un Ente pubblico
strumentale, deve essere il presidio continuo dell’assetto
organizzativo per salvaguardare il patrimonio umano e
professionale degli addetti.
L’ultimo rinnovo contrattuale, inoltre, ha realizzato per la
categoria un ancoraggio reale e certo al settore del credito e,
pertanto, la specificità categoriale rimane garantita anche nel
nuovo assetto pubblico che il settore ha assunto.
Grande attenzione, inoltre, dovrà essere posta al rinnovo
della contrattazione aziendale, in particolare riguardo ai
temi dello sviluppo professionale, della realizzazione di una
adeguata formazione per tutte le lavoratrici e lavoratori e della
redistribuzione della produttività aziendale.
[ dalla confederazione ]
a cura di Andrea Baccherini
Patto sociale su lavoro e salari
Sviluppo economico, taglio di sprechi e lotta all’evasione
fiscale. E’ il triplice obiettivo del Patto sociale su lavoro e salari:
una proposta rilanciata da Raffaele Bonanni in occasione del
Comitato Esecutivo Confederale del 3 luglio scorso.
La Cisl ha chiesto e continua a chiedere al Governo di contribuire
al rafforzamento del secondo livello di contrattazione,
incentivando il salario di produttività e di aumentare in modo
significativo le detrazioni a favore di lavoratori e pensionati.
C’è apprezzamento per alcune aperture da parte dei ministri
Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. Ma il Governo, insiste il
numero uno della Cisl, deve rivedere la decisione di assumere
l’inflazione programmata all’1,7%: una previsione insostenibile
che rende molto difficile il confronto con Confindustria
sulla riforma della contrattazione e compromette il ruolo dei
contratti nazionali.
A partire da quello del pubblico impiego. E a proposito, sulla
riforma della pubblica amministrazione la Cisl esprime un
dissenso netto poiché si interviene “da un lato su condizioni
normative e salariali regolate dall’autonomia contrattuale
e, dall’altro, sugli assetti e sul funzionamento nella logica
di un modello unico e accentrato, dominato dalla politica e
dalla legge”. No anche al taglio sommario degli organici che
azzera le prospettive di sistemazione dei lavoratori precari
e rinvia i processi di riorganizzazione delle amministrazioni.
Bonanni apprezza il pacchetto fiscale del Governo e il cumulo
tra redditi da lavoro e pensioni. Bocciate invece molte delle
misure contenute nella manovra: dalla mancanza di interventi
sul fronte degli investimenti e dei consumi al pacchetto
Brunetta sulla pubblica amministrazione, alle scelte su scuola,
istruzione e ricerca, sino ai tagli previsti per il Sud. Per la Cisl
“occorre mettere in campo misure di crescita sul terreno degli
investimenti e dei consumi, sacrificate nella manovra, tutta
mirata al rispetto del ‘patto di stabilità’ comunitario, con gli
obiettivi della progressiva riduzione del debito pubblico e
soprattutto del pareggio di bilancio”. Il segretario generale
della Cisl ribadisce l’apprezzamento per l’allarme lanciato dal
Governatore della Banca d’Italia Draghi sugli stipendi. E torna
a chiedere alla politica di concentrarsi sulle emergenze sociali
ed economiche del Paese. Osserva ancora Bonanni: siamo in
presenza di un Governo che ha una solida maggioranza e di una
opposizione che deve ancora assestarsi. La legislatura insomma
è lunga e il sindacato ha il dovere di fare proposte concrete
e non trincerarsi dietro le parole d’ordine dell’antagonismo.
Un messaggio diretto alla Cgil, alla quale Bonanni chiede di
appoggiare la proposta del patto e di lavorare con convinzione
alla trattativa sulla riforma del modello contrattuale.
Un negoziato che “va a rilento ma va”. Ma ancora ieri Epifani
ha avvertito: “Se i provvedimenti economici del Governo
Berlusconi non cambieranno la Cgil non starà ferma.
Anche se con Cisl e Uil non si dovessero trovare punti di
incontro”.
Dal documento finale del comitato esecutivo
La Cisl ribadisce l’urgenza di un Patto sociale per la crescita e per
valorizzare il lavoro sulla base della piattaforma unitaria……
Si tratta di negoziare con il governo: a) il rafforzamento del secondo
livello del nuovo modello di contrattazione, in discussione tra le
parti sociali, rendendo strutturale l’incentivazione del salario di
produttività dei lavoratori privati e pubblici, acquisito con gli accordi
aziendali o territoriali; b) la ”restituzione fiscale” a lavoratori e
pensionati, aumentando in modo significativo le detrazioni, ed il
sostegno alla famiglia, attraverso la dote fiscale per i figli e il fondo
per la non autosufficienza, con le risorse della maggiore crescita del
Pil e delle maggiori entrate da extragettito per la lotta all’evasione
fiscale e al lavoro irregolare; c) la condivisione delle priorità degli
investimenti infrastrutturali e la partecipazione delle forze sociali
ai processi di riqualificazione della spesa pubblica, con particolare
riferimento al funzionamento delle Pubbliche amministrazioni, a
sanità, scuola, mercato del lavoro, riposizionando in questo modo
anche la manovra 2009-2011. Occorre mettere in campo misure di
crescita sul terreno degli investimenti e dei consumi, sacrificate nella
manovra 2009-2011, tutta mirata al rispetto del ”patto di stabilità”
comunitario, con gli obiettivi della progressiva riduzione del debito
pubblico e soprattutto del pareggio di bilancio a fine triennio.
[ libriamoci ]
a cura di Anna Masiello
La solitudine dei numeri primi
Uno sguardo intenso in copertina, un titolo che rimane
impresso, una bella storia, che ti prende dalle prime pagine e
non ti molla più. I numeri- è proprio il caso di dirlo- questo
libro li aveva tutti per diventare un grande successo ed infatti il
passaparola lo ha fatto salire in testa alle classifiche, recensioni
entusiastiche si sono avvicendate su tutti i giornali, e i
riconoscimenti ufficiali non hanno tardato a d arrivare : migliore
opera prima al Campiello e vincitore della sessantaduesima
edizione del premio Strega. E’ la quarta volta in assoluto nella
storia del premio Strega che la vittoria và ad uno scrittore
esordiente. Prima di lui Flaiano nel 1947, La Capria nel ’61 e
Barbero nel ’96.
L’autore, giovane e pieno i talento, è un torinese di ventisei
anni con l’ aria da primo della classe – confessa che a scuola
bravo lo era per davvero- laureato in fisica teorica, musicista
mancato, allievo della scuola di Holden.
Anche se un po’ abusata, la metafora dei numeri primi,
conserva sempre il suo fascino, divisibili solo per uno e per se
stessi, i numeri primi sono diversi da tutti i numeri naturali che
li circondano, sono anomali e solitari, mai consecutivi; quelli
gemelli, al massimo della vicinanza sono sempre divisi da un
numero pari, non si toccano mai.
I numeri primi in questione sono Alice e Mattia, due personaggi
che ci mettono poche righe a diventare persone, e poche
pagine a sembrare conoscenti, due individui feriti, uniti da un
legame speciale, personalità complesse, quasi borderline, che si
muovono nel mondo con i loro pensieri ossessivi, le loro ferite
fisiche e psichiche, i loro escamotage per controllare l’ansia del
vivere.
Sono due adolescenti che passano, attraverso varie fasi,
dall’infanzia all’età adulta, le cui vite, segnate entrambi da un
profondo dolore, scorrono parallele, all’inizio addirittura a
capitoli alterni, si sfiorano senza davvero toccarsi, vicine ma
distanti.
La spinta propulsiva del romanzo viene dalle prime pagine,
dalle vicende che li segnano nell’infanzia e con cui entrambi
cercheranno di fare i conti per il resto della vita, vicende che
verranno disciolte, lungo tutto l’arco della loro esistenza.
La trama è interessante, si fa seguire, ma non è certo il punto
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di forza del libro. L’originalità risiede nella capacità dell’autore
di guardare la realtà con gli occhi delle sue creature, tutte
con un dolore dentro, di fornirle di uno sguardo laterale sulle
cose che solo l’estrema sensibilità procura, e nella capacità di
esprimere quello che provano, sentimenti, debolezze, cattiverie,
sensi di colpa con una verità, una intensità, una precisione
quasi matematica, che rende la compenetrazione immediata e
inevitabile.
Altra caratteristica di rilievo è che il linguaggio e la scrittura
si evolvono assieme ai protagonisti, in modo molto naturale,
per nulla artefatto. I primi due capitoli, che presi da soli sono
di per sé due racconti compiuti, sono molto semplici, come
lo sono i pensieri dei bambini, andando più avanti nel libro e
nell’età dei personaggi, la scrittura esprime via via riflessioni e
sensazioni sempre più complesse, come in effetti accade nella
realtà. Il tutto con asciuttezza di linguaggio, poche parole, solo
quelle essenziali e necessarie, come sempre dovrebbe essere.
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondatori,
Milano, 2008
[ libriamoci ]
a cura di Anna Masiello
I neuroni allo specchio
Ci sono ancora punte di eccellenza nel nostro paese, a tutti
i livelli, anche nella ricerca scientifica, ambito in cui ci si
rammarica spesso di non avere grandi risultati e di non investire
abbastanza. La scoperta dei neuroni specchio è una di quelle
cose che fanno andar fieri delle intelligenze nostrane. E’ un
ricerca tutta italiana, in quanto l’equipe dai cui esperimenti
hanno avuto avvio gli studi su questo tipo particolare di neuroni
è quella del prof. Giacomo Rizzolatti, dell’Università di Parma.
Come in molti altri casi anche questa scoperta è stata dovuta al
caso. Circa vent’anni fa durante un esperimento in cui i ricercatori
del gruppo del prof Rizzolatti stavano studiando le reazioni dei
neuroni dei macachi a determinate azioni legate ai movimenti
della mano, si accorsero che certe risposte neuronali avvenivano
nei macachi sia che l’azione, ad esempio di afferrare una banana,
la compissero loro, sia che la vedessero compiere ad un altro.
Come era possibile se fino a quel momento si era pensato che
quei neuroni si attivassero solo per funzioni motorie? Da allora
si sa che esistono, localizzati in precise regioni del cervello - non
solo dei primati superiori, ma anche degli esseri umani- alcuni
neuroni che si attivano sia per una azione reale che per una azione
osservata, in cui evidentemente ci si immedesima totalmente. Si
ribalta quindi il concetto di percezione passiva e azione attiva, la
semplice osservazione non ha nulla di passivo, in quanto le cellule
cerebrali interessate subiscono le stesse reazioni biochimiche.
Da allora, erano gli anni ’80, si è indagato e scritto molto sulle
conseguenze di questa scoperta, soprattutto nella comprensione
di quella capacità intuitiva, che sperimentiamo ogni giorno e che
comunemente chiamiamo empatia, di metterci nei panni dell’altro,
di sapere quello che prova e di prevedere quello che farà.
Sui neuroni specchio e tutta la interessantissima teoria che li
riguarda è uscito di recente un libro scritto da Marco Iacoboni,
docente all’Università di Los Angeles, l’ha scritto in inglese
per il mercato americano e internazionale, noi beneficiamo
dell’edizione italiana di Bollati e Boringhieri. Undici capitoli
in cui l’autore spiega come funziona il meccanismo dello
specchiamento, perché riusciamo a capire le intenzioni dei nostri
interlocutori aldilà delle loro parole, perché solo ascoltando i
suoni sappiamo cosa sta succedendo nella stanza attigua alla
nostra, perché piangiamo quando vediamo un film, perché ogni
volta che vediamo la scena della testata di Zidane a Materazzi
proviamo la stessa sensazione, pur sapendo già cosa succederà.
E’ un testo serio e rigoroso, ma a carattere divulgativo,
facilmente leggibile, anche perché laddove il dettaglio del
percorso sperimentale a supporto dei concetti espressi eccede,
da lettori consapevoli e liberi (memori anche del decalogo
di pennacchiana memoria) ci concediamo di saltare a piè
pari, a beneficio di argomenti di maggiore interesse, come le
ricadute di queste scoperte sugli studi delle interazioni psicocomportamentali e relazionali tra gli individui che questa teoria
comporta, ne e ce ne sono tanti.
Marco Iacoboni, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri,
Torino, 2008.
Indovina dall’incipit
“Senza togliere la mano dalla manopola sinistra vedo dal mio
orologio che sono le otto e mezza. Il vento, anche a cento all’ora, è
caldo e umido. Chissà come sarà nel pomeriggio, se già alle otto e
mezza c’è tanta afa. ”
Inviare la soluzione a [email protected].
Sarà pubblicato il nome del primo lettore che indovinerà la risposta
esatta.
La soluzione al quesito del numero precedente è “Marcovaldo ” di
Italo Calvino.
Il lettore che ha risposto per primo, dei tanti che hanno indovinato,
è Lorenzo Bussi di Portogruaro. Grazie a tutti!
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Giulio Romani
Giulio Romani,
Segretario Naz. Fiba Cisl
Per mantenere il valore delle retribuzioni occorre cambiare il modello di contrattazione
aziendale.
La diffusa e giustificata preoccupazione sulla capacità d’acquisto
dei lavoratori dipendenti, induce la necessità di fare alcune
riflessioni sulle prospettive della nostra retribuzione e su quali
debbano essere le scelte negoziali da fare, per incrementarne il
valore nel tempo.
Comincerei da due osservazioni di fatto, che non mi dilungo
a giustificare ritenendole un punto di partenza già da tutti
ampiamente condiviso:
- la retribuzione totale di un lavoratore bancario è sempre
di più composta anche da trattamenti (contrattati o no) che
hanno origine in azienda;
- l’esperienza degli anni passati ci suggerisce che l’equazione
“+ profitti per l’azienda = + salario per i lavoratori” non si è
adeguatamente realizzata.
Partendo da questi due assunti e provando a dare ordine alla
riflessione, occorre quindi scindere le due componenti della
retribuzione: nazionale e aziendale.
Gli aumenti retributivi nazionali sono dal 1993 legati
all’andamento dell’inflazione e questo meccanismo ha consentito,
per molto tempo, una sufficiente tenuta del potere d’acquisto.
Il buon funzionamento di questa forma di adeguamento degli
stipendi al costo della vita si fonda su due presupposti:
- la puntualità nei rinnovi contrattuali;
- una corretta politica di previsione dell’inflazione da parte del
Governo, che stabilisca una “programmata” più realistica possibile,
riducendo al minimo la necessità di conguaglio a fine contratto.
Facendo autocritica, devo rilevare che nell’ultimo quindicennio
il primo requisito è, per molte ragioni, mancato.
Gli effetti negativi dei ritardi sono stati però mitigati da un
trend inflattivo prevalentemente calante e dalla brevità dei
periodi di riferimento (due anni). Con la triennalizzazione
degli aumenti economici, sancita nell’ultimo ccnl, diventa
quindi inderogabile il rispetto rigoroso delle scadenze, tanto più
che, diversamente dal passato, negli ultimi mesi, l’inflazione ha
ricominciato a crescere in modo preoccupante.
Ma, aldilà della contingenza attuale, resta da risolvere la
contraddizione tra l’inflazione cosiddetta “percepita” e
quella misurata dall’Istat, come più volte denunciato dalle
confederazioni sindacali.
10
È ovvio che il perdurare di una significativa divaricazione, tra
ciò che la gente misura al supermercato e ciò che l’Istat misura
nei suoi uffici, potrebbe portare alla necessità di superare,
almeno in parte, l’accordo del ’93.
La partita più importante è però quella del livello aziendale.
Se è vero, infatti, che la componente salariale aziendale è perlopiù
legata ai risultati e che, ciononostante, la crescita dei profitti
delle imprese non ha avuto una proporzionale corrispondenza
sulle retribuzioni dei lavoratori, allora occorre rapidamente
adeguare anche l’impostazione del confronto decentrato.
Anche in questo caso due sono le questioni sul tavolo:
- negoziare meglio ciò che finora abbiamo negoziato (premi di
produttività);
- negoziare anche ciò che sino ad oggi non abbiamo potuto
negoziare.
In quest’ottica si può parlare di passaggio da contrattazione
integrativa a contrattazione complementare.
Cito dal dizionario.
Integrativo: che serve ad aggiungere; si dice di ciò che completa,
aggiungendo i quantitativi mancanti a cose della stessa tipologia.
Complementare: che serve a completare; si dice di cose, aventi
diverse caratteristiche, che si completino a vicenda.
La retribuzione nazionale ha due caratteristiche fondamentali
che la identificano: la stabilità e l’universalità.
Entrare nell’ordine di idee che il secondo livello debba
essere complementare significa, di fatto, accettare che alcune
delle forme di retribuzione che concorrono a comporre
l’insieme possano non possedere, in tutto o in parte, queste
caratteristiche.
Credo che proprio questo sia il punto.
La contrattazione decentrata si è concentrata, fino ad oggi,
soprattutto sui premi di produttività, tendendo, il più
possibile, a consolidarne la quantità nella retribuzione fissa.
L’assimilazione dei premi di produttività alle voci stipendiali
ha, però, determinato che la crescita degli stessi risultasse
disgiunta dal reale andamento aziendale e, piuttosto, connessa
alla crescita delle retribuzioni ordinarie, subendo pertanto un
progresso inferiore a quello dei bilanci delle imprese.
L’atteggiamento dei negoziatori è stato, nel tempo, di tipo
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
integrativo: aggiungere denaro alla retribuzione del ccnl
cercando di stabilizzarne le quantità, quasi a costituire una
sorta di “quattordicesima”.
La complementarietà presuppone, invece, che il premio di
produttività non sia omogeneo alla retribuzione ordinaria, avendo
altre caratteristiche, che derivano dalla sua natura: il legame con
i risultati aziendali e, quindi, la mancanza di stabilità.
Ma tale mancanza costituisce un’opportunità rispetto
alla possibilità di ottenere dinamiche di crescita che, se
correttamente ancorate alle performance aziendali, non
avrebbero i limiti percentuali di quelle nazionali e potrebbero,
quindi, raggiungere livelli molto superiori, come dimostrato
dai dati storici.
Le opportunità insite nella complementarietà sono ancora più
evidenti se riportate alle voci retributive che sino ad oggi sono
rimaste nella totale discrezionalità delle aziende (incentivi, patti
di stabilità, bonus di entrata, ecc.).
La pretesa di rendere queste fattispecie, di fatto, integrative
della retribuzione nazionale è alla base dell’impossibilità di
avviare un vero confronto con le imprese.
La natura prevalentemente individuale (o, comunque, legata
ai risultati di una “squadra”) di queste voci le rende infatti
incompatibili con una pretesa di universalità, così come il
legame con i risultati raggiunti tempo per tempo ne rende
impossibile la stabilità.
Si tratta di oggetti diversi rispetto ai quali occorre ragionare in
modo diverso, comprenderne e legittimarne la finalità, al fine
di partecipare alla loro determinazione.
All’uopo mi soccorre un paragone recentemente ascoltato da
un caro amico: da sempre il principale strumento utilizzato
dalle imprese per esercitare la propria discrezionalità nel
riconoscere “denaro e soddisfazioni” ai lavoratori è la promessa
di carriera.
Analizziamola: alta discrezionalità nella concessione,
attribuzione individuale, contenuto economico potenzialmente
elevatissimo. Come gli incentivi…, ma, per il momento, con
una fondamentale differenza: gli inquadramenti, i percorsi
professionali e , quindi, le carriere sono diventati, nel tempo,
almeno in parte, oggetto di contrattazione.
All’origine le organizzazioni sindacali aziendali agirono
sul piano dell’integrazione, aumentando il numero degli
automatismi. Ma con la revisione dei processi organizzativi ed
il venir meno delle “carriere automatiche”, furono capaci di
elaborare progetti di inquadramento che si ponevano nella
logica della complementarietà rispetto ad una base retributiva
universale.
Su questo tema, dunque, le oo.ss. si misero in gioco e si
misurarono (e ancora oggi continuano a farlo, perché il
percorso non si esaurirà mai) su un terreno che non era nella
loro tradizione e che comportava fare accordi comunque
parziali nel regolare la materia, che non potevano in ogni caso
escludere un margine significativo di discrezionalità aziendale.
Ci volle coraggio, allora, per incamminarsi su una strada che
oggi consente trasparenza e certezza per una quota significativa
di avanzamenti e quindi di incrementi retributivi.
Altrettanto coraggio ci vorrà per affrontare nel prossimo futuro,
con lo stesso spirito, il tema dei sistemi premianti.
Noi oggi sappiamo che anche la capacità del sindacato di
regolare, seppur parzialmente, il sistema delle carriere ha
indotto le banche a spingere sugli incentivi, sostituendo in
parte con essi la promessa di promozione.
È per questo che dovremo acquisire la capacità di misurarci
su questo terreno con maggior convinzione, coinvolgendo i
lavoratori nell’elaborazione e nel sostegno della nostra proposta e
accettando, tuttavia, che l’obiettivo sia da graduare nel tempo.
Sarà, dunque, questo il nostro muovo orizzonte: la contrattazione complementare.
11
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Angela Cappucini
La Cisl chiede un Patto per la crescita. Il monito di Draghi. Il rapporto Ocse.
L’attività economica cresce appena, i consumi e gli investimenti
ristagnano, il ritmo di aumento dei prezzi sui dodici mesi
raggiunge il 4%, il valore più elevato dalla metà degli anni ’90,
l’inflazione al 3,8% erode quotidianamente il potere di acquisto
di salari e pensioni.
“C’è un emergenza sociale – ha dichiarato recentemente il
segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni – il governo
convochi subito tutte le parti sociali e affronti il tema della ripresa
dei consumi con una terapia d’urto attraverso una alleanza tra
tutti i soggetti responsabili. I consumi sono bassi perché gli
stipendi e le pensioni sono troppo bassi. Per questo ribadiamo
l’urgenza di un Patto sociale per la crescita.”
A lanciare l’allarme, recentemente, anche il governatore della
Banca D’Italia, Mario Draghi: “Stipendi e salari perdono potere
d’acquisto, è minacciata la tranquillità dei risparmi. I salari sono
tornati ai livelli di 15 anni fa, ma i costi del lavoro per le imprese
italiane sono cresciuti del 30%:” L’autorevolezza del nostro
governatore imprime un forte impulso alle tesi del sindacato che
ha in corso con il Governo la diatriba sull’inflazione programmata.
Infatti, è inaccettabile che il potere esecutivo insista nell’indicare
un’inflazione prevista dell’1,7%, quando già è ufficiale che
l’inflazione viaggia attorno al 4%. Pertanto, non solo stipendi
e salari vengono nei fatti decurtati, come sostiene Draghi, ma
addirittura falcidiati per la furbesca impostazione del governo.
E bisogna dire che l’allarme della Banca d’Italia è suonato da
tempo: a ottobre del 2007, ad un Prodi ormai infiacchito dalle
liti interne, aveva ricordato che ormai da otto anni le retribuzioni
mensili nette italiane sono in media inferiori del 10% a quelle
tedesche, del 20 a quelle inglesi, e del 25 a quelle francesi. Il
differenziale cresce in misura inversamente proporzionale all’età:
più sei giovane, meno guadagni. Poi, a maggio di quest’anno a
Berlusconi fresco di nomina ha ricordato che “la definizione
di un percorso pluriennale di riduzione di alcune importanti
aliquote d’imposta migliorerebbe le aspettative delle famiglie.”
L’accusa che Bankitalia muove al Dpef e alla Fiananziaria è quindi
“che resta troppo elevata la pressione fiscale. E’ ora di introdurre
quanto prima riduzioni delle aliquote d’imposta, soprattutto
quelle gravanti su lavoratori e imprese”.
Che la corsa dell’inflazione stia neutralizzando gli aumenti
salariali che i lavoratori italiani si sono trovati in busta paga nei
primi quattro mesi 2008 lo rivela anche la seconda edizione
12
MEL CANTO & MEL SUONO
All’alba della Nuova Legislatura una task-force di economisti
progetta di riempire le tasche degli Italiani (o almeno di coloro che
non dichiarino di averle già piene).
Gli strateghi della finanza sociale hanno in cantiere alcune misure
ad alto contenuto di innovazione e di forte impatto. Eccone alcune
anticipazioni:
1) La riforma del calendario.
I mesi raddoppieranno di numero e avranno una durata di 15 giorni,
in considerazione del ridotto potere d’acquisto degli attuali stipendi.
La geniale misura affronta il disagio psico-esistenziale di chi non può
arrivare alla fine del mese.
2) La campagna del grano.
A mesi alterni, quando sperimenteranno la mancanza di grano, gli
Italiani saranno impegnati a dissodare orti e aiuole condominiali.
Circondati da messi biondeggianti, essi apprezzeranno il ritorno
ai valori di un tempo. Trasuderanno soddisfazione troneggiando a
torso nudo sui trattori di quartiere o improvvisando bucolici cori a
voci alterne, durante la spigolatura cittadina.
3) La tessera annonaria.
Tale inedito calmiere sarà testato in alcune città-campione. Gli
abitanti di Roma sgomiteranno per assicurarsi l’esclusivo, segreto
gusto della cicoria: quella contenuta nelle generose razioni di caffè
autarchico dispensate dallo Stato.
4) Le passeggiate collettive.
L’opposizione parlamentare le definisce sprezzantemente “ronde”.
La verità è che, in una società che ha smarrito la sua identità
collettiva, occorre favorire i processi di aggregazione. E così alla sera,
dopo il lavoro dei campi, le persone potranno percorrere insieme
strade e vicoli, munite di strumenti agricoli (falci, vanghe e badili)
atti a dimostrare ai più riottosi la superiore bellezza del ritrovato
stile di vita.
5) La politica ricreativa e il salvataggio dell’Alitalia.
Non può dirsi completo un piano di riforme sociali che ignori due
cose che stanno molto a cuore agli Italiani: l’attività ricreativa e il
salvataggio dell’Alitalia.
La proposta è di riaprire le case chiuse, garantendo ristoro e
soddisfazione ai cittadini al termine di una giornata di duro lavoro.
Ma il vero colpo di genio è situare le stesse sulle rotte degli aerei della
Compagnia di bandiera. Da proiezioni statistiche risulta infatti che
l’installazione del “servizio” a bordo sulla sola tratta Napoli-Milano
basterebbe a risollevare in un solo anno i destini dell’Alitalia.
6) La poligamia delle sfigate.
Per quelle donne che, nonostante le mille occasioni di lavoro, non
riuscissero a trovare mezzi di sostentamento, si favorirà (mediante
Agenzie di Stato) la ricerca di ricchi partner da sposare. Difficilmente
il Premier potrà ottemperare in prima persona al “Patto con le
Italiane”; è dunque pronta al varo una riforma concordataria che
introdurrà sperimentalmente la poligamia femminile. Che varrà
nei soli casi in cui il reddito documentabile dal marito sia inferiore
alla soglia di voracità femminile. A Milano è già operativa l’Onlus
assistenziale “L’ harem di via Montenapoleone”.
Domenico Iodice
Consumi in calo: la voce dei lavoratori
del nono Rapporto sulle retribuzioni in Italia realizzato da
Od&M Consulting, che ha messo in fila la dinamica salariale
dei primi quattro mesi dell’anno per operai, impiegati, quadri
e dirigenti. Se confrontate con il primo quadrimestre del
2007, le quattro categorie presentano variazioni tendenziali
differenziate, comprese tra il +2,8% degli stipendi degli
impiegati e il +5,6% per quelli dei dirigenti. Un’accelerazione
della dinamica retributiva che, tuttavia, è insufficiente per
pareggiare il costante andamento al rialzo dei prezzi al consumo.
Di recente è stato l’Ocse, nel suo Rapporto annuale sull’andamento
del mercato del lavoro, a evidenziare che in Italia la crescita dei
salari risulta particolarmente bassa: il salario medio da lavoro
dipendente è del 13,8% inferiore rispetto alla media dell’area
dell’euro: se nell’Ue-15 la busta paga annuale ammonta a 34.651
dollari, in Italia è pari a 29.844 dollari ( il 13,8% inferiore
rispetto alla media). Si tratta di dati riferiti all’anno 2006, i tecnici
dell’istituzione parigina spiegano che i paragoni vanno effettuati
utilizzando i dati ricalcolati a “parità di potere d’acquisto”, e che il
gap italiano riflette due grandi questioni: la maggior percentuale di
lavori a bassa qualifica - statisticamente ‘gonfiata’ negli anni scorsi
dalle maxi regolarizzazioni di immigrati - ma anche la cronica bassa
crescita della produttività, a cui si assiste in Italia da circa 10 anni.
I salari italiani sono lievemente superiori a quelli spagnoli, greci
o portoghesi, ma decisamente più bassi se comparati a quelli
americani, inglesi, tedeschi e francesi, per non parlare di quelli
svizzeri e dei paesi del Nord Europa. Il rapporto Ocse colloca
dunque l’Italia in un virtuale 18° posto nella classifica delle buste
paga dei paesi più sviluppati.
Nella capitolo dedicato al nostro paese, l’Ocse ha poi scelto di dare
rilievo ad alcuni problemi cruciali del mercato del lavoro italiano:
negli ultimi anni l’Italia è riuscita a conseguire “considerevoli
miglioramenti” sul fronte della disoccupazione, che è calata ai
minimi da oltre 25 anni, ma i punti dolenti del suo mercato
restano tutti da risolvere: la partecipazione generale resta tra le più
basse dei paesi avanzati, in particolare sulle donne e sui giovani,
che incontrano grandi difficoltà a trovare la prima occupazione.
In più ora, mentre il rallentamento dell’economia mette e rischio
i progressi compiuti, emerge anche un preoccupante aumento
dei disturbi mentali legati al lavoro, come stress, ansia o insonnia.
E aumenta il numero degli insoddisfatti aumenta più rapidamente
rispetto agli altri paesi.
La notizia era nell’aria, anticipata da tutti bollettini statistici degli
ultimi mesi, ora l’ufficialità: nel 2007 le famiglie italiane hanno speso
meno che l’anno precedente. La spesa in termini nominali è rimasta
ferma – 2.480 euro mensili, lo 0,8% in più rispetto al 2006 – ma quella
reale, al netto dell’1,8% dell’inflazione, è diminuita. Ed è la prima
volta dal 2002 che accade. Gli italiani comprano meno prodotti o
scelgono quelli di qualità inferiore per risparmiare. Le spese per gli
alimentari sono ferme, crescono solo quelle incomprimibili, come
sanità e casa. In calo pronunciato l’acquisto di abbigliamento e
calzature, e la quota di spesa per combustibili ed energia.
Ma come vivono questa stagione di crisi i lavoratori del nostro
settore?
Riccardo, Intesasanpaolo Roma: gli italiani più che non spendere,
sono indebitati…nella mia famiglia già da anni abbiamo dovuto
ridurre i consumi, a parte quelli alimentari. Basti pensare che
nelle bancarelle, prima tutto era a mille lire, ora ad 1 euro: è tutto
raddoppiato, tranne i salari…Non ho più fiducia, né nel governo, né
nel sindacato. Il tavolo sulla riforma della contrattazione arriva con
10 anni di ritardo…
Francesco, Banco di Napoli Bari: la crisi incide pesantemente sui
miei consumi, perché il salario non si adegua alla crescita dei costi
generata dall’inflazione reale. Ultimamente io e mia moglie ( anche
lei lavora) abbiamo rinunciato a comprare una macchina, perchè
costava troppo in termini di spese di manutenzione e di gestione.
Quest’estate non andremo in vacanza, ci accontenteremo di qualche
week end. Abbiamo ridotto le spese per l’abbigliamento, prima
andavamo in negozi di marca, ora frequentiamo Stock house e
grande distribuzione. Il governo scorso, nel momento in cui stava
per varare una manovra ad hoc è caduto, quello attuale finora ha
varato provvedimenti a scarsissimo impatto, come la detassazione
dello straordinario di cui beneficiano fasce esigue di lavoratori.
Affrontare questo problema e porre qualche rimedio a questa
situazione penso che sia il vero banco di prova per salvaguardare la
credibilità e la compattezza del sindacato nei prossimi anni.
Alessandro, Grupama Roma: ho dovuto ridurre di circa il 20% i
miei consumi e tra i tagli effettuati al momento ho rinunciato agli
optional, come ad esempio Sky. Non ho fiducia nel governo, ma
spero nel tentativo del sindacato di un patto per lo sviluppo e la
crescita.
Tiziana, Intesasanpaolo Torino: la crisi inizia a pesare. Mio marito
è ristoratore e il suo settore è molto in crisi. In famiglia abbiamo
eliminato il superfluo, a partire dai week end fuori. Poi le cene al
ristorante e in pizzeria, gli abiti firmati, l’estetista, tecnologie e
giochi, sport per il figlio. Da quando c’è l’euro la spesa è raddoppiata
e i salari no. Non alcuna fiducia nel governo e nei politici in genere,
di qualsiasi parte essi siano. Ho poca fiducia anche nel sindacato,
penso che non possa incidere più di tanto…
Gennaro, Napoli: la mia è una famiglia monoreddito per cui
ha risentito della crisi in modo particolare, abbiamo dovuto
abbandonare l’appartamento che avevamo in affitto e andare a
vivere con i genitori. Io e mia moglie abbiamo ridotto tutte le spese
cosiddette superflue: nessuna uscita a cena, o viaggi, ma alla nostra
bambina cerchiamo di non far mancare nulla. Ritengo che sia un
problema di potere d’acquisto dei salari. Non ho nessuna fiducia nel
governo, e ripongo invece qualche speranza nel sindacato che può
sicuramente fare qualcosa per noi lavoratori.
(A.C.)
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Pier Luigi Ledda
Pier Luigi Ledda,
Resp. Dipartimento CIFR Fiba
Dai subprime all’impennata dei prezzi del greggio e delle materie prime.
L’onda lunga della crisi nata nell’estate scorsa dai mutui
subprime, che non ha certo esaurito i suoi effetti negativi
come emerge dallo stato di salute delle banche europee, è stata
affiancata da un’altra crisi globale che ha portato all’impennata
dei prezzi delle derrate alimentari e del petrolio.
In particolare il costo dell’”oro nero” è lanciato in una crescita
esponenziale che non sembra avere fine. Infatti, in un tempo
reativamente breve (60 mesi), è passato dai 35 dollari al barile
del 2003 ai 65 del 2007, sino a toccare i 146 nella metà di
luglio 2008. La sua corsa non sembra arrestarsi avvalorando la
profezia della banca Goldman Sachs circa il raggiungimento
dei 200 dollari al barile. Intanto gli italiani fanno i conti con
il pieno del carburante sempre più caro e, soprattutto con
l’approssimarsi dell’inverno, faranno i conti con una bolletta
energetica sempre più pesante.
Gli economisti di tutto il mondo discutono circa le cause che
hanno concorso a determinare questa situazione e sulle ricette
utili a contenere gli aumenti e stemperare il prezzo del greggio
e delle altre materie prime.
I dati dell’International Energy Agency (Iea) riportano che
nel 2007 la domanda mondiale di petrolio è stata lievemente
superiore rispetto all’offerta determinando un calo nelle scorte
private nei principali Paesi. È quanto emerge dal bollettino
economico della Banca d’Italia di aprile nel quale si sostiene che
le cause delle tensioni sul mercato del petrolio sono molteplici.
In primo luogo la rapida espansione della domanda nelle
economie emergenti: in pratica i continui rialzi sono la
diretta conseguenza della crescita della domanda proveniente
dalle superpotenze asiatiche, Cina ed India, che con milioni
di nuovi consumatori che accedono al benessere economico,
sono la causa di fondo dell’incremento dei costi di tutte le
materie prime. Vanno poi considerati l’aumento nei consumi
provenienti dagli altri Paesi, Russia e Brasile in testa. Si aggiunga
come la stessa Indonesia, uscita dall’Opec in quanto le sue
esigenze di greggio superano la produzione interna, da Paese
esportatore si è trasformato in Paese importatore. Un secondo
fattore di tensione è poi rappresentato dalla limitata elasticità
dell’offerta dovuta al duplice effetto contenimento dell’attività
estrattiva dal cartello dell’Opec (ridimensionata ai livelli del
14
2006) / difficoltà ad ampliare la produzione dei produttori
non appartenenti al cartello, considerato che la costruzione di
nuovi impianti richiede costi rilevanti nelle attività di sviluppo
e ricerca nonché tempi di realizzazione molto lunghi.
Allo stesso tempo, sempre nel bollettino della B.I., non trovano
conferme le ipotesi di una correlazione tra l’aumento del costo del
greggio, la debolezza del dollaro, l’andamento dei mercati finanziari.
Nonostante ciò, da quanto si legge sulla stampa, la tesi sulla
speculazione trova molti sostenitori. In molti condividono
l’analisi di Soros che sostiene che i futures del petrolio siano la
nuova bolla speculativa tanto che al Nymx i contratti di futures
sul petrolio movimentano un miliardo di barili al giorno
(virtuali) mentre la produzione del greggio è di 85 milioni di
barili al giorno e la quantità di carta finanziaria scambiata sia
immensamente superiore al consumo mondiale.
Nel suo intervento all’assemblea annuale dell’Abi, lo stesso
Governatore della Banca d’Italia ha affermato che la speculazione
finanziaria ha inciso sull’incremento del prezzo del petrolio per
almeno un 20%. Di conseguenza è facile cadere nella tentazione
e teorizzare un accostamento alla vicenda dei mutui subprime.
Un fatto è certo, i subprime ci hanno messo di fronte ad una
spirale di perdite che sembra senza fine e che ha coinvolto diverse
istituzioni finanziarie andando oltre i titoli legati ai mutui a
rischi subprime e riguarda larghe aree del credito. La scarsa
liquidità e la crisi del credito che ne è derivata ha determinato
in questi tre anni la crescita del costo del denaro nonostante la
Bce non avesse variato i tassi dal giugno del 07 sino al luglio
del 2008 (dal 4% sono passati al 4,25%). A spingerre in alto
il costo dei mutui ci ha pensato l’Euribor, il parametro cui le
banche ancorano le variazioni dei tassi sui mutui.
In ogni caso per i cittadini e per i lavoratori la corsa del
prezzo del greggio, il notevole rincaro delle materie prime e la
crescita dei tassi sui mutui rappresentano un grosso problema e
alimentano, una crisi ben lontana dall’essere risolta e che frena
le economie occidentali.
La Fiba e la Cisl seguono da tempo questi temi ed hanno in
cantiere un iniziativa che si terrà in autunno a Roma su “Crisi
e riforma dei mercati finanziari: nuove regole per un economia
socialmente responsabile”.
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Alberto Berrini
Introduzione
Gli anni della crescita senza inflazione sono ormai un ricordo.
Al contrario lo spettro della stagflazione (recessione + inflazione)
anni ’70 rischia di divenire sempre più reale. All’origine di
questa congiuntura c’è la lunga espansione monetaria, che,
partita dagli Stati Uniti (almeno dal 2003) e allargatasi al resto
del mondo, ha stimolato per anni la domanda globale e la
speculazione finanziaria. “L’esperienza dell’inflazione degli anni
’70 aveva convinto della necessità di dedicare la politica monetaria
al controllo dell’inflazione, rinunciando a cercare di gestire il
ciclo economico attraverso la variazione dei tassi di interesse. (…)
Con Greenspan, il banchiere centrale sembrava aver realizzato il
miracolo di riprendere una piena discrezione nella gestione dei tassi
di interesse senza perdere il controllo dei prezzi né destabilizzare
l’economia. In realtà, ora si comincia a capire che l’inflazione
era mantenuta bassa dalla concorrenza dei Paesi emergenti sul
mercato dei beni, mentre la politica monetaria espansiva della Fed
sosteneva i consumi e la crescita americana grazie all’aumento dei
corsi azionari e del prezzo delle case”. (S. Micossi, Il tempo darà
ragione alla prudenza di Trichet, Il Sole 24 Ore – 05.10.2007).
Dello scoppio della bolla immobiliare e finanziaria (=crisi
subprime) ci siamo già occupati in un precedente articolo.
Analizziamo ora il “versante reale” della crisi ossia delle pesanti
pressioni inflazionistiche attualmente presenti sui mercati delle
commodoties, in particolare dei beni alimentari.
Sembra un’altra storia rispetto alla crisi subprime. In realtà è
l’altra faccia di una stessa medaglia: un paradigma economico
che non funziona più.
I dati
Secondo l’ultimo rapporto della Fao (11.04.08) la bolletta
cerealicola delle nazioni povere aumenterà del 56% nell’annata
2007/2008. (Nell’annata 2006/2007 era già salita del 37%).
Questo significa che molti Paesi importatori non potranno
pagare il cibo di cui hanno bisogno.
I prezzi alimentari mondiali sono cresciuti del 45% negli
ultimi nove mesi. In particolare, secondo i dati della Banca
Mondiale, dal 2005 al 2007 il grano è aumentato del 70%,
i cereali dell’80% ed i prodotti caseari del 90%. E questi tre
elementi assieme costituiscono la base dell’alimentazione della
grande maggioranza della popolazione mondiale, soprattutto
nei Paesi del Sud del mondo.
In proposito, il presidente della Banca Mondiale Robert
Zoellick ha dichiarato: “Se si calcola che i poveri spendono in
media il 75% del proprio reddito per il cibo, e che solo il costo del
riso è aumentato negli ultimi due mesi del 75%, si constata come
per i più deboli sopravvivere sia difficile”.
La conclusione è che questo carovita globale rischia di far
diventare ancora più poveri 100 milioni di persone che vivono
nei Paesi a basso reddito e di rialzare dal 3% al 5% il tasso di
povertà della popolazione mondiale.
Ed i prezzi a breve non potranno tornare ai livelli precedenti
perché i costi della produzione sono oggi più elevati e per
qualche anno ci sarà la necessità di ricostituire le riserve.
Quindi, anche in assenza di eventi atmosferici sfavorevoli, si
può solo sperare che i prezzi dei beni alimentari rimangano ai
livelli attuali.

[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
Nel frattempo le “rivolte per il pane” hanno messo in subbuglio
Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Etiopia,
Indonesia, Madagascar, le Filippine e Haiti. In Pakistan e
Thailandia è intervenuto l’esercito per scongiurare l’assalto
a campi e magazzini alla ricerca di cibo. La crisi alimentare
riguarda per ora 37 Paesi nel mondo. E “le rivolte per il pane
non si fermeranno se i Paesi ricchi non faranno un passo indietro di
almeno 20 anni per correggere politiche di sviluppo errate”. Sono le
parole del direttore della Fao Jacquef Diouf che ci introducono
al tema del perché si è arrivati ad una tale situazione.
Le cause
Questa “trappola malthusiana” contemporanea, in cui le risorse
alimentari prodotte dal pianeta non sono sufficienti ai bisogni
di una popolazione che cresce in numero e ricchezza, non è
certo un problema transitorio ma un problema strutturale
destinato a permanere nel tempo.
Da qui il caro prezzi le cui cause sono schematizzabili nei
seguenti punti.
Gasolio e fertilizzanti: L’impennata dei prezzi del gasolio
particolarmente utilizzato in agricoltura, e di quelli fertilizzanti,
hanno inciso sui listini dei prodotti alimentari. Infatti il
carburante e i fertilizzanti, anch’essi ricavati dal greggio,
rappresentano il 25-30% dei costi di un agricoltore. Vi è poi il
costo delle spedizioni, dei macchinari e di tutta l’infinita catena
che dipende dal greggio.
Siccità: Il clima ha fortemente influito sulla produzione.
Recentemente si è verificata infatti la peggiore siccità da cento
anni a questa parte.
Carne: A causa del generale miglioramento delle condizioni
di vita nei Paesi emergenti è aumentato il consumo di carne
e di conseguenza sono aumentati anche i costi dei mangimi.
La produzione di un chilogrammo di carne ne implica otto di
produzione di mais.
Biocarburanti: L’utilizzo del mais per produrre biocarburanti
ha ridotto in misura considerevole le risorse alimentari e
provocato un innalzamento dei costi.
Futures: E’ aumentata la speculazione sui futures per l’acquisto
di beni alimentari. E ciò ha contribuito ad innalzare i prezzi.
Infatti è in luoghi come il Chigago Mercantile Exchange che
16
“uomini in divise colorate si scambiano ordini di acquisto per
tonnellate di grano, oceani di soia e orde di suini, senza nessuna
intenzione di comprarli per davvero. Proprio come succede al
petrolio del New York Mercantile Exchange, il prezzo dei futures è
basato sulle aspettative e le aspettative sulla produzione di greggio e
di mais sono tutt’altro che sovrabbondanti”. (M.Magrini, Effetto
domino sui raccolti, Il Sole 24 ore, 26.04.08).
Così commenta De Cecco: “Quelli che manovrano i loro
poderosi computer in uffici situati nei palazzi di vetro-cemento e
acciaio delle principali piazze finanziarie non sono più personaggi
remoti. Il grande pubblico occidentale si accorge a un tratto
della loro esistenza, e non si diverte al pensiero che a causa loro
dovranno sentire un po’ più freddo o fare un po’ meno chilometri
con le loro auto o spendere di più per pane e pasta. Con la loro
azione gli uomini nelle torri di vetro dei grandi centri finanziari
determinano anche il destino di coloro che, nei Paesi poveri, sono
in bilico tra la vita e la morte. Il prezzo del pane per sfamarsi e
del cherosene per cucinare e riscaldarsi dipende anche da loro”. (Il
Capitalismo delle bische, Affari e Finanza, 09.11.07).
La risposta del mercato
Un primo rimedio è quello che fa riferimento ai meccanismi
automatici del mercato. Sicuramente l’aumento dei prezzi
spingerà positivamente sulla produzione, per cui l’operare della
legge della domanda e dell’offerta nel medio periodo dovrebbe
portare alla riduzione dei prezzi. Ovviamente a parità di tutte
le altre condizioni (ceteris paribus come dicono gli economisti)
cioè a condizione che non intervengano altri fattori come per
esempio degli eventi climatici sfavorevoli.
Il problema è che esistono “distorsioni” che possono ostacolare
questa reazione positiva del mercato.
In primo luogo le restrizioni delle esportazioni da parte di
alcuni Paesi per evitare che ci sia un eccesso di produzione di
taluni prodotti. Ciò implica infatti una riallocazione troppo
brusca di risorse a favore del settore agricolo a danno di altri
settori e il pericolo di un effetto boomerang di ritorno in caso
di inversione di tendenza della domanda. Un esempio per tutti
è quanto sta facendo l’Argentina per la produzione di carne.
Ciò determina ovviamente una reazione più lenta del mercato
all’innalzamento dei prezzi.
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
E’ l’esatto contrario di ciò che avviene nel caso dei sussidi
che rappresentano l’altro tipo di distorsione che desideriamo
mettere in evidenza.
Un primo caso è rappresentato da politiche che incentivano
le colture agricole per la produzione di carburanti che non
inquinano e contribuiscono all’autosufficienza energetica dei
singoli Stati. Ma al di là dell’efficacia nel raggiungimento di
tali obiettivi, è evidente che ciò implica la riduzione della
produzione di altri tipi di cereali che invece servono per
l’alimentazione. L’esempio più eclatante sono i sussidi per
l’etanolo in Usa. Questi spostano la produzione dal mais alla
soia, la cui produzione è al massimo negli ultimi trent’anni.
Ciò determina un aumento del prezzo del mais mondiale e
di tutti quegli alimenti (per esempio alcuni tipi di carne)
la cui produzione dipende più o meno direttamente dalla
disponibilità di tale prodotto agricolo.
Un secondo caso di sussidio si concretizza nelle costosissime
e spesso deleterie politiche di protezione dell’agricoltura dei
Paesi industrializzati. Nate a sostegno dei produttori del Nord
in periodi di bassi prezzi oggi non hanno più senso. Finiscono
per danneggiare i consumatori e contemporaneamente
non permettono agli agricoltori più efficienti di rispondere
all’aumento della domanda di mercato. In definitiva sono una
forma di “dumping occidentale” a danno dei Paesi poveri dal
sapore etico assai amaro. Mentre un miliardo di persone nel
mondo oggi vive con un dollaro al giorno, in Europa ogni vitello
che nasce riceve circa un paio di dollari al giorno di sussidio.
Conclusioni
Dunque il mercato da solo non basta anzi a volte le distorsioni
provengono proprio dal suo interno come si è visto nel caso
dei “futures”.
Piuttosto il caro-cibo richiede interventi di lungo periodo ed
una modifica radicale delle prospettive di politica economica.
L’insufficiente offerta di prodotti agricoli a livello globale
è figlia di dieci anni di prezzi bassi che hanno prodotto non
solo politiche economiche distorte ma anche e soprattutto
investimenti scarsi.
La ricetta della Fao è chiara: “occorre sostenere gli agricoltori
poveri, garantire loro l’accesso ai fattori produttivi e ai prodotti
alimentari. Fornire loro tecnologie più efficienti. Per raggiungere
tali traguardi i Paesi donatori e le istituzioni internazionali
dovranno accollarsi aiuti per 1,2 – 1,7 miliardi dollari. Ieri la
Fao ha annunciato uno stanziamento di 17 milioni di dollari,
una misura che servirà solo a tamponare, e per poco, l’attuale
crisi”. (R.Bongiorni, Cibo, prezzi fuori controllo, Il Sole 24
ore, 12.04.08).
Ma soprattutto occorre un cambio di mentalità, un approccio
che sia veramente globale. Dichiara senza mezzi termini Diouf:
“L’inflazione globale non dipende solo da elementi contingenti,
ma da fattori strutturali e se il cosiddetto Nord del mondo non
cambierà modello di sviluppo, la bolletta per i cereali nei Paesi
poveri continuerà a crescere e le rivolte popolari (…) in tanti Paesi
poveri dilagheranno”.
Si tratta di gestire un cambiamento epocale che la globalizzazione
impone. Ma proprio perché globale è necessario un approccio
di tipo multilaterale.
Oggi i singoli Paesi non possono più agire in maniera autonoma
se vogliono in qualche modo cercare di “regolare il mercato”
al fine di indirizzarlo alla riduzione di squilibri sempre più
dirompenti. “Perché forse mai, prima d’ora, l’interdipendenza
delle vite umane – l’ultima frontiera della globalizzazione – sta
mettendo così crudamente in luce gli squilibri dell’ineguale ed
esagerato sfruttamento delle risorse. “Il battito delle ali di una
farfalla in Brasile può innescare un tornado in Texas”, diceva
E.Lorenz, il pioniere della Teoria del caos. Oggi si sente il battito
di tutte le farfalle del mondo”.
(M.Magrini, Effetto domino sui raccolti, Il Sole 24 ore,
26.04.08).
17
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Gabriele Olini
La corsa dei prezzi
L’inflazione in Italia rimane elevatissima, ai livelli massimi
dal 1996.
L’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale
è cresciuto a giugno del 3,8% (al 4% se si considera, invece,
l’indice armonizzato europeo) rispetto allo stesso mese del
2007. Gli incrementi tendenziali più elevati sono stati registrati
nei capitoli abitazione, acqua, elettricità e combustibili (più 7,2
per cento), trasporti (più 6,9 per cento) e prodotti alimentari
e bevande analcoliche (più 6,1 per cento). E’ una magra
consolazione sapere che l’aumento dei prezzi per i consumatori
è agli stessi livelli in Europa e su ritmi ancora più accentuati in
America e in Asia.
L’inflazione alla produzione in Italia è triplicata in sette
mesi, passando dal 2,5% tendenziale ad ottobre 2007 al
7,5% a maggio; occorre tener conto che, solo nell’ultimo
mese, l’aumento è stato dell’1,5%. Un quadro appena meno
complicato si ha considerando i prezzi alla produzione al netto
dell’energia; in questo caso la variazione congiunturale è pari
a più 0,2 per cento, mentre quella tendenziale è stata pari a
più 3,8 per cento. I prodotti energetici sono aumentati in un
anno del 25% e quelli alimentari intorno al 10%. Al netto
di queste due componenti i prezzi, sia alla produzione, che
al consumo hanno una dinamica molto meno accentuata;
l’inflazione, anche se elevata, resta abbastanza confinata negli
ambiti critici.
Il ruolo delle bolle
D’altra parte il costo del petrolio, arrivato a livelli considerati
stratosferici (100$ a barile) a novembre, ha proseguito la corsa,
trovandosi ora intorno a 140$. Si discute molto sul ruolo
della speculazione nel mercato del greggio e delle materie
prime attraverso gli strumenti finanziari derivati. L’origine
di questa corsa viene vista nei tassi di interesse bassi e costanti
degli ultimi anni, che hanno spinto verso impieghi sempre
più redditizi, ma anche più rischiosi e speculativi. L’enorme
liquidità crea sempre nuove bolle; cosi dopo la bolla tecnologica,
quella immobiliare e, appena scoppiata quest’ultima, si sono
rapidamente create le condizioni per la bolla sull’energia e
le commodities. Infatti una notevole liquidità, uscita dai
18
mercati immobiliari ed azionari, si è riversata sul segmento
più promettente, appunto petrolio e materie prime; d’altra
parte la crescita dei prezzi indotta ha reso meno sicuri i mercati
obbligazionari tradizionali, soprattutto i titoli di stato americani.
E, dunque, altre risorse finanziarie hanno cercato rifugio nei
prodotti di base. Si vedono i presupposti di una nuova “bolla”.
Ma perché la corsa apparentemente senza fine del prezzo del
greggio? Non solo e non tanto per la ridotta disponibilità a
medio e a lungo termine della risorsa energetica e i problemi
geopolitici a fronte di una domanda in rapida crescita per lo
sviluppo asiatico. E’ avvenuto anche che nei paesi in via di
sviluppo, ed in particolare in Cina gli aumenti dei prezzi del
greggio sono stati “sterilizzati” dallo stato; ciò ha impedito che
l’aumento dei costi si riflettesse sulla domanda, così come sta
avvenendo invece in Europa e nei Paesi più sviluppati.
La Bce e l’inflazione
Intanto l’inflazione ha mutato le politiche monetarie.
Negli Usa la Federal Reserve ha interrotto la riduzione dei
tassi di interesse, nonostante una situazione non proprio
rosea. In Europa la Bce, che si era guardata dall’abbassare i
propri, nonostante grossi nuvoloni sullo sviluppo, ha deciso
ora di aumentarli; con una decisione largamente attesa, il 2
luglio ha alzato i tassi di un quarto di punto, portandolo al
4,25%, il massimo da sei anni. La banca centrale si trova tra
i timori di una nuova impennata dei prezzi e quelli di una
recrudescenza improvvisa della bolla finanziaria e del rischio
sistema creditizio. La decisione è stata vivacemente contestata
da alcuni Governi, come Francia, Spagna, ma anche Germania
sulla base della constatazione di una situazione non brillante
dal punto di vista congiunturale; si teme che l’aumento del
costo del denaro provochi uno scivolamento dello sviluppo.
Non pochi economisti hanno notato che l’aumento dei tassi di
interesse potrebbe non incidere affatto su un’inflazione che è
largamente importata e non determinata da fattori endogeni.
L’inflazione programmata e le previsioni per il 2008-2009
Nell’audizione in Parlamento per il Dpef l’Isae (2 luglio)
ha indicato che, anche in un’ipotesi di stabilizzazione
delle quotazioni del greggio, l’inflazione italiana nel 2008
difficilmente si situerà sotto il 3,5-3,6% nella media dell’anno.
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
Il precedente Rapporto di Consenso al Cnel di Cer, Prometeia e
Ref (6 giugno 2008) aveva previsto una crescita pari al 3,1% nel
2008 ed al 2,7% nel 2009. Il Dpef 2009-2011 ha, invece, senza
confronto con le parti sociali, fissato l’inflazione programmata
all’1,7% nel 2009 e all’1,5 % negli anni successivi. Si è creata
di nuovo una frattura insanabile tra inflazione “attesa” ed
inflazione programmata, tentazione ricorrente, che alla lunga
ha logorato questo strumento per il governo delle dinamiche
salariali. Occorre, inoltre, tener conto che se l’accelerazione dei
prezzi nel 2008 è stata “inattesa” fino a verso la fine del 2007,
per l’anno prossimo lo scarto è prevedibilissimo, non foss’altro
per ragioni di trascinamento. Prendendo a riferimento il dato
dell’Isae per il 2008 e quello di Consenso per il 2009 l’inflazione
programmata accumulerebbe nel biennio una minore crescita
del 2,8% (6,2-3,4%) Per una retribuzione media di 25 mila
euro questo determinerebbe una perdita nel 2008 di 450 € a
cui si aggiungerebbe, in caso di mancato recupero, quella di
600 € nel 2009.
Peggiorano le aspettative delle famiglie, specie quelle
più colpite
Le caratteristiche di questa fase di accelerazione inflazionistica,
che colpisce soprattutto prodotti a domanda difficilmente
comprimibile, come energia ed alimentari, si scaricano
soprattutto sui redditi bassi. D’altra parte il combinato
disposto di aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione incide
pesantemente sulle famiglie più indebitate, che devono gestire
mutui a tasso variabile o hanno ricevuto crediti al consumo.
L’Isae segnala da parte delle famiglie un ulteriore aggravamento
del giudizio sull’inflazione attuale (ai massimi storici); si
attenuano, però, leggermente le attese inflazionistiche per
i 12 mesi successivi, probabilmente vi è la percezione di una
situazione di bassa domanda che dovrebbe comprimere la
crescita dei prezzi. Un’analoga attitudine è segnalata dalla Banca
d’Italia da un sondaggio presso le imprese (a maggio 2008): il
rialzo dell’inflazione viene considerato da queste abbastanza
temporaneo e nel 2009 si dovrebbe tornare intorno al 2,5%.
19
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di Andrea Scaglioni
Tra tassi in crescita, valore degli immobili e accesso al credito.
In questo articolo si affronterà la situazione riferita alle famiglie
italiane riguardo l’indebitamento per l’acquisto della propria
casa. Faremo riferimento ai recentissimi studi di Banca d’Italia
e dell’Istat proprio sulla questione in oggetto.
Anche per il nostro paese gli ultimi anni hanno visto il boom
degli investimenti immobiliari, così com’è accaduto in molte altre
nazioni. C’è stato un evidente forte legame tra l’andamento dei
tassi, particolarmente bassi negli anni scorsi, l’incremento del
valore degli immobili e l’accesso al credito da parte delle famiglie.
Tutt’e tre questi elementi hanno concorso ad autoalimentarsi.
Partendo dal primo, come si nota dalla tabella 1 ed 1 bis, ci
sono stati anni all’inizio del decennio in cui i tassi a breve erano
particolarmente interessanti e così contenuti da invogliare
l’accensione di un finanziamento. Questo soprattutto se
guardiamo i tassi di riferimento a breve, a cui sono collegati i
mutui a tasso variabile. Non altrettanto, quindi, i tassi a lunga
scadenza che sono utilizzati per i finanziamenti a tasso fisso.
Nel 2004 il tasso il tasso Irs a 30 anni era molto più del doppio
del tasso Euribor ad 1 mese. Chi accendeva un mutuo perché
invogliato dall’appetibilità della rata, in questo caso doveva
rivolgersi a mutui a tasso variabile.
Era facile indebitarsi a tasso variabile pagando un interesse
contenuto. La corsa all’acquisto della casa di abitazione ha
spinto il prezzo degli immobili, con le società costruttrici
che, magari anch’esse a debito, fornivano sempre maggiori
opportunità di acquisto di nuove unità immobiliari.
Data
Euribor 1
mese
07-2008
4.47
01-2008
4.24
01-2007
3.63
01-2006
2.40
01-2005
2.12
01-2004
2.10
01-2003
2.90
01-2002
3.31
01-2001
4.85
Tabella 11, andamento dei tassi.
Irs 1 anno
Irs 10 anni
5.27
4.61
4.07
2.80
2.38
2.30
2.79
3.35
4.71
4.93
4.59
4.15
3.41
3.74
4.35
4.51
5.16
5.43
Irs 30
anni
4.90
4.78
4.25
3.75
4.34
4.98
5.05
5.43
5.85
Anche grazie al sistema delle cartolarizzazioni, che consentiva
di far fuoriuscire l’impiego dal bilancio della banca, il sistema
20
bancario ha contribuito all’aumento delle erogazioni. In più,
come assolutamente logico, il sistema ha cercato di venire
incontro alle esigenze della clientela attivando prodotti sempre
più flessibili per favorire l’accesso al credito.
Rata necessaria
Reddito medio familiare
all’acquisto di
un’abitazione media
(mutuo a 20 anni)
1989
16.828
27.085
1991
19.386
27.492
1993
20.289
26.561
1995
18.499
26.450
1998
13.194
27.088
2000
12.297
28.057
2002
12.771
29.064
2004
12.642
30.325
Tabella 1 bis 2 l’ accessibilità dei mutui, dati fino al 2004.
Nelle tabelle 2,3,4 infatti osserviamo come le banche abbiano
offerto negli ultimi tempi contratti con la possibilità di: avere un
finanziamento di durata almeno di 30 anni, un finanziamento
pari o superiore all’80% del valore dell’immobile, un mutuo
a rata costante e durata variabile. Il primo ed il terzo tipo
[ focus - Le tasche dei lavoratori ]
di contratto è offerto da più del 90% degli istituti bancari
maggiori o grandi, e da più del 50% delle altre banche.
Incidenza dei mutui con durata
maggiore od uguale a 30 anni
Banche maggiori o grandi
Banche piccole e minori
B.C.C.
Totale banche
3
Tabella 2
Durata variabile, rata costante
Banche maggiori o grandi
Banche piccole e minori
B.C.C.
Totale banche
4
% sui mutui erogati nel
2006
15.8
25.7
6.7
18.2
% sui mutui erogati nel
2006
6.8
8.8
9.2
7.6
Tabella 3
Ammontare del finanziamento
superiore all’80% del valore
dell’immobile
Banche maggiori o grandi
Banche piccole e minori
B.C.C.
Totale banche
5
Tabella 4
% sui mutui erogati nel
2006
4.9
8.9
9.6
6.4
Questi contratti hanno condizioni che riducono o l’impegno
finanziario immediato, quando finanziano una buona parte
del valore dell’immobile, o l’esborso periodico, quando hanno
durate molto lunghe od una pseudo rata costante variando
il periodo di ammortamento. Comunque l’ammontare
complessivo dell’onere, soprattutto in caso in aumento
dei tassi, rimane rilevante, e con un mercato immobiliare
in continuo apprezzamento il costo della casa in partenza è
sempre maggiore.
E’ statistico, quindi un aumento delle famiglie che hanno
utilizzato tali finanziamenti. La quota delle famiglie che hanno
un debito per un acquisto immobiliare è tornato ai valori
d’inizio anni novanta: oltre il 10% sul totale delle famiglie (per
precisione dal picco inferiore del 1995 con un 9% al 13% del
2006). Tuttavia, e qui c’è una grande differenza rispetto al sistema
statunitense, Banca d’Italia ci dice che le aziende di credito
hanno comunque continuato a selezionare il credito, anche con
procedure innovative come i sistemi di credit scoring.
Per quanto riguarda direttamente le famiglie le considerazioni
poc’anzi fatte portano ad un addensarsi di nubi sul bilancio
familiare. Il peso dei mutui è più gravoso di anno in anno: le
famiglie che hanno contratto un mutuo per la casa di residenza
destinano il 17% del reddito disponibile (valore mediano)
contro il 12% del 1995 e del 2005. Però la situazione è più
critica perché sono le famiglie con reddito più basso a
destinare una grande fetta del reddito per ripianare il debito:
32% per le famiglie con reddito più basso, più del 20% per
le famiglie con reddito medio-basso, poco più del 17% per
le famiglie con reddito medio-alto, 13% circa le famiglie con
reddito alto.
E’ ovvio che il malessere percepito dalle famiglie italiane6
è estremamente rilevante. Più del 65% delle famiglie che
hanno contratto un mutuo dice di ritenere “molto oneroso”
sostenere l’onere per l’abitazione. Se il reddito disponibile è
dell’1% in meno dal 1995 al 2005 ed i mutui a tasso variabile,
la maggioranza, sono collegati ad un indice in crescita.
Per ultimo segnaliamo che anche l’onere dell’affitto in
proporzione al reddito disponibile dalle famiglie è in aumento
(dal 13,8% del reddito familiare del 1995 al 18,9% del 2004.
Per vari motivi nel nostro paese servono certamente interventi
tampone per chi è in difficoltà sul pagamento dei debiti
contratti e degli affitti ma soprattutto serve una politica
abitativa complessiva.
A novembre Banca d’Italia, infatti, concludeva “I risultati
indicano che, nonostante la larga diffusione della casa di
proprietà, problemi abitativi caratterizzano circa il 20 per cento
delle famiglie italiane.7”
Ns. elaborazione su dati provenienti da: www.akerfinance.com
Ns. elaborazione su dati provenienti da: www.akerfinance.com
3
Ns elaborazione su dati Banca d’Italia.
4
Ns elaborazione su dati Banca d’Italia.
5
Ns elaborazione su dati Banca d’Italia.
1
2
Dal sito www.lavoce.info “case e debiti: il malessere percepito
dalle famiglie italiane”
7
“L’accesso all’abitazione di residenza in Italia”, Banca d’Italia
11/2007
6
21
[ la lettera ]
di Antonio Zanelli
A cosa serve il sindacato: alcune considerazioni.
Chi è il fornaio da cui si compra il pane
E’ ormai da qualche tempo che, sempre più frequentemente,
sui principali organi di stampa, e non solo, si leggono articoli,
pieni di “sana indignazione democratica”, in cui si dipinge il
sindacalismo italiano come inefficace, inefficiente, avulso da
gran parte del modo del lavoro, scarsamente rappresentativo.
Gli appartenenti alle organizzazioni sindacali come una
congrega di privilegiati, nullafacenti: una casta insomma. Basti
leggere il libro di Livadiotti, “L’Altra Casta”, o, in passato e
con ben altro spessore, a parere di chi scrive, il testo di Pietro
Ichino, “A che cosa serve il Sindacato”. Bene.
Chi è il fornaio da cui compriamo il pane?
I principali quotidiani italiani sono di proprietà del cd. “salotto
buono” del capitalismo nazionale o di imprenditori il cui core
business, la cui attività principale, non è certo l’editoria. Non
esistono imprenditori “puri”. Senza malizia ma solo nel senso
testè spiegato. Trattasi di datori di lavoro, imprenditori che tra le
tante attività, incroci azionari, scatole cinesi, detengono anche
il controllo dei principali quotidiani e organi di informazione.
Dai quotidiani di costoro provengono sempre più spesso,
sempre con maggiore “violenza” gli attacchi descritti. Significa
forse che, solo per questo, il mondo sindacale è esente da colpe?
Che le critiche mosse sono tutte infondate e strumentali?
Fare quello che il prete dice non quello che il prete fa
Il sistema di relazioni industriali è esente da pecche? La
contrattazione collettiva va bene così com’è? Le organizzazioni
sindacali sono immuni da colpe? Credo che nessuno voglia
affermarlo. A parere di chi scrive le critiche costruttive devono
essere sempre bene accette a maggior ragione se ci si accorge che
fanno male. L’autocritica delle diverse organizzazioni sindacali
è pratica salutare. La controparte datoriale, però, fa altrettanto?
Gli alti dirigenti, il top management, fanno lo stesso?
I risultati ottenuti, i compensi strappati sono analizzati dai
mezzi d’informazione con lo stesso puntiglio e animo critico?
Si parla, giustamente, di meritocrazia. Che dire di top manager,
e anche di minor rilievo, strapagati, beneficiari di ricchi premi e
benefit, a fronte di risultati portati a casa a dir poco fallimentari?
Che dire di coraggiosi capitani d’impresa pontificanti sulle
22
virtù taumaturgiche del più sfrenato liberismo economico poi
riversare sul pubblico le conseguenze del loro agire scellerato?
Se va bene pochi guadagnano tantissimo, se va male allora
si chiedono sacrifici ai lavoratori. Sacrifici da parte dei top
manager, se sono stati affrontati, il sottoscritto non ne ha
conoscenza. Si può pretendere come lavoratore e consumatore
analisi dettagliate, critiche, sull’operato di costoro, dei diversi
amministratori delegati, sul rapporto benefici personali / utili
per l’impresa ( o meglio, espansione dell’impresa: a far utili
buttando fuori i lavoratori dovrebbero essere buoni in tanti)?
Si possono pretendere indagini accurate e aggressive sulle
transazioni azionarie e sui movimenti di borsa da parte di alcuni
dirigenti alla vigilia di importanti ristrutturazioni societarie.?
Soci o salariati? Perché fare sindacato oggi
Nel settore assicurativo, a fronte di andamenti più che positivi
per le compagnie, tutte le organizzazioni sindacali hanno dovuto
davvero sudare non poco e non per poco tempo per strappare
A Terra futura Bonanni e Gallo incontrano i giovani.
[ la lettera ]
un aumento in busta paga che si possa ritenere soddisfacente
e riuscire ad evitare che interi comparti essenziali venissero
“esternalizzati”, al momento della stipula del ccnl di settore.
Ritorno al titolo del paragrafo: quando si tratta di fare sacrifici per
l’azienda, di fare straordinari non pagati, per il raggiungimento
degli obiettivi allora si è “soci”, “ si è tutti sulla stessa barca
e bisogna remare tutti insieme”, “siamo una grande famiglia”
e amenità del genere. Quando, però, si tratta di riconoscere
ai lavoratori quanto profuso, allora si torna al ritornello dei
semplici salariati che pare assurdo possano e vogliano dire
la loro anche sulla strategia aziendale, sulle ristrutturazioni
prospettate, sulle scelte, sulle condotte imprenditoriali e
organizzative più efficaci.
Ritengo utile nell’analizzare l’andamento di un’impresa e
la qualità delle scelte operate dai vertici anche distinguere
quanto, tali risultati, siano da ricondursi ad un reale
sviluppo dell’attività economica, del core business,
dell’azienda o da altro. E’ possibile che un amministratore
delegato, i vertici di un’azienda portino a casa, a fine anno,
utili record ma che tale risultato non dipenda da un reale
sviluppo dell’attività economica che, anzi, può risultare
piuttosto stagnante. E’ possibile che i risultati brillanti
derivino da attività finanziarie portate a buon fine. E
se tali investimenti si fossero rivelati troppo rischiosi? E’
possibile, oppure, che i risultati derivino da scelte che
nell’immediato portano utili ma che anche solo nel breve
medio termine possono rivelarsi controproducenti o letali
per l’attività dell’impresa e dunque per i lavoratori. E’ il
caso del ritornello della razionalizzazione dei costi: in certi
casi può essere l’eliminazione di reali sprechi in altri tagliare
su investimenti che a medio termine possono rivelarsi assai
produttivi, in altri ancora limitarsi alla classica riduzione
del personale.
Scumpeter, se non ricordo male, affermava che l’imprenditore
è l’innovatore: fare utili limitandosi a eliminare quello che di
volta in volta si battezza come sprechi, come costi, è, in molti
casi, emblematico della pigrizia della classe imprenditoriale
italiana e del suo management. In fondo l’amministratore
delegato, il top manager, ha il mandato di realizzare un tot per
gli azionisti: da qui la possibilità di operare scelte che possono
rivelarsi fallimentari anche solo nel breve-medio periodo ma
che nell’immediato pagano. Del resto, dopo qualche anno ci
sarà qualche altro prestigioso incarico da ricoprire, magari con
la fama di di grande amministratore, di tagliatore di teste: le
azioni, poi, si vendono, si comprano, ci si specula o le si rifila
ai consumatori disinformati. Oltre a questi ultimi, gli altri
che rimangono con il cerino acceso in mano sono i lavoratori:
coloro che hanno il reale interesse che l’impresa prosperi e
non solo per qualche anno ma a lungo anche se magari più
lentamente.
Ecco, battersi affinché chi abbia tale interesse, chi è pronto a
sacrificarsi per l’impresa, a chi tali sacrifici sono richiesti possa
anche contribuire a segnalare, ad indicare le scelte più efficaci
per l’impresa.
Battersi affinché i lavoratori possano partecipare realmente
insieme alla controparte datoriale ( ma in un caso simile si
potrebbe parlare di collaboratore o autenticamente di “socio”)
nell’individuazione delle migliori strategie, dei migliori modelli
organizzativi e funzionali, credo sia un buon motivo per fare
sindacato.
Far sì che il lavoratore possa partecipare effettivamente alla vita
e ai risultati della comunità ( impresa) alla quale dedica gran
parte della sua vita. Credo che questa sia un’ottima ragione per
fare, anche oggi, il sindacalista.
Ma per ottenere ciò deve cambiare il sindacato? Non deve
cambiare anche l’altra parte, il datore di lavoro? Rendersi
conto che non può considerare i lavoratori soci solo quando è
il momento di chiedere e semplici salariati quando si tratta di
condividere.
Se tale scenario si ritiene auspicabile siamo sicuri che la parte più
distante sia quella delle organizzazioni sindacali? Forse i mezzi
d’informazione, i pensatori realmente liberi, coloro che hanno
il coraggio di correre il rischio di rinunciare a ricchi contratti
pubblicitari dovrebbero puntare le loro penne acuminate, le
loro critiche, le loro analisi severe, con lo stesso coraggio anche
verso la classe imprenditoriale italiana.
La lettera è stata pubblicata su “LiberoMercato” del 6/5/2008
23
[ mifid ]
di Mario Capocci
50 riunioni in tutta Italia, ma non è finita…
Come è noto, il 1 novembre 2007 è stata recepita nel nostro
ordinamento la Direttiva Europea denominata Mifid, che
istituzionalizza il quadro normativo relativo al mercato
finanziario ed ai suoi strumenti.
L’obiettivo della Mifid è rafforzare le garanzie a tutela dei
risparmiatori, applicando regole di protezione, d’informazione,
di trasparenza. Essa rappresenta uno scudo di protezione non
solo per il risparmiatore ma anche per il bancario, che, stretto
fra Scilla, la rigorosa osservanza delle norme da una parte, e
Cariddi, le aggressive politiche commerciali delle aziende
dall’altra, trova nella Mifid il faro di riferimento.
Va sottolineato, infatti, come il nuovo quadro normativo
attribuisca responsabilità individuali in relazione alla violazione
delle norme. Il quadro direttivo in primis e comunque ogni
collega in posizione lavorativa relazionale con il pubblico
degli investitori/risparmiatori si trova così ad operare in una
condizione problematica in cui è difficile orientarsi.
Questo scenario prefigura così una nuova frontiera di tutela,
con l’esigenza di un’azione preventiva di informazione e di
protezione dei colleghi.
In questa ottica la Fiba-Cisl, su iniziativa del Coordinamento
nazionale quadri direttivi, come già indicato nello scorso
numero, ha organizzato incontri con i colleghi per offrire loro
una lettura “dalla parte del bancario” e non “dalla parte del
banchiere” del nuovo contesto normativo, al fine di renderli
“consapevoli”, nel loro lavoro quotidiano, che l’osservanza
della normativa rappresenta la migliore salvaguardia.
Grazie al grande spirito organizzativo delle segreterie regionali e
territoriali della Fiba-Cisl, in collaborazione con i responsabili dei
Coordinamenti dei quadri direttivi, è stato raggiunto l’ambizioso
traguardo delle 50 riunioni in tutto il territorio nazionale. Questi
incontri hanno registrato un’ampia partecipazione dei colleghi,
che è stata inoltre di grande spessore, perché ha prodotto un
proficuo scambio d’esperienze in un arricchimento reciproco
d’informazioni e di casistica operativa.
Il traguardo dei 50 incontri non è un punto d’arrivo. La scadenza
del 30 giugno, data di perenzione della proroga concessa dalla
Mifid per la sistemazione della contrattualistica della vecchia
clientela, ma soprattutto per la definizione della “profilatura”
24
della stessa, pena la non operatività, ha reso, se ce ne fosse stato
bisogno, ancora più pressante l’interesse dei colleghi. Per questo,
dopo la sospensione per le ferie estive, già da settembre, sono in
calendario altre riunioni in giro per tutta l’Italia.
Molti i temi da approfondire ancora insieme ai colleghi. Qui è
meritevole di attenzione la problematica inerente al c.d. “test
di adeguatezza”, specie in relazione al tema della “consulenza”.
Dice la Mifid (reg. Consob 16190 articoli 39 e 40) che quando
una società di investimento offre il servizio di consulenza o di
gestione di portafoglio è obbligatorio il test di adeguatezza.
Mentre sull’identificazione della gestione di portafoglio nulla
quaestio, sulla consulenza è bene fare il punto. Si ha consulenza
ogni qualvolta si dice al cliente cosa deve fare rispetto ad un
preciso prodotto di investimento (comprarlo, venderlo, tenerlo
in posizione) e non solo quando si è fatto firmare alla clientela
un contratto di consulenza ad hoc. Per la Mifid, infatti, è
consulenza la prestazione di raccomandazioni personalizzate
ad un cliente su uno specifico strumento finanziario.
La materia è delicata soprattutto riguardo ai prodotti in conflitto
di interesse e sui quali premono le campagne d’incentivazione.
Riassumendo: ogni volta che un collega indica al cliente cosa
deve fare rispetto ad un prodotto finanziario (consulenza) deve
eseguire il test di adeguatezza e non quello di appropriatezza.
Se il test di adeguatezza è negativo oppure il cliente si rifiuta
di dare le risposte, l’operazione si blocca irrimediabilmente.
Non si può tornare indietro, magari ipotizzando che il cliente,
sullo stesso prodotto, si ripresenti su “sua iniziativa” o, peggio
ancora, ripetendo, con nuove risposte, il test.
Per un’analisi più approfondita di questa e delle altre tematiche
legate alla Mifid, si rimanda ad un approfondimento sul sito della
Fiba-Cisl (www.fiba.it).
[ promotori ]
di Carlo Piarulli
I risultati in un convegno in autunno.
Assonova, l’associazione professionale dei promotori finanziari
dipendenti e agenti costituita da Fiba, Fabi e Sinfub , si sta
occupando di tutto quanto concerne il mondo della vendita di
prodotti fuori sede, della consulenza, dell’applicazione di MiFID
e più in generale delle novità che intervengono nel settore.
Tra le prime iniziative assunte da Assonova, e che stiamo
portando a conoscenza dei promotori c’è il progetto di
comunicazione per i promotori finanziari, che si avvarrà della
piattaforma di indagini online www.consulentecensus.com,
strumento fornito dalla Nmg Financial Services Consulting.
La società opera nel settore della consulenza marketing e
strategica, svolgendo anche attività di ricerca e monitoraggio
in merito a comportamenti e tendenze di business nella
distribuzione dei servizi finanziari, i cui risultati sono poi
periodicamente pubblicati sulle principali riviste finanziarie.
All’uopo abbiamo strutturato un questionario e messo in linea
nel sito www.consulentecensus.com e chiediamo ai promotori
di dare il loro contributo rispondendo alle varie domande. Gli
argomenti che vogliamo approfondire e che sono oggetto di
indagine riguardano il livello di soddisfazione dei clienti nei
confronti di servizi ricevuti, oppure la gamma dei prodotti a
disposizione dei consulenti. In ogni caso, vengono affrontati
temi “caldi”.
Il promotore finanziario, che accede al sito citato ove è inserito
il questionario, avrà diritto di ricevere una newsletter con
i risultati chiave e l’accesso all’archivio contenente tutti gli
estratti delle ricerche svolte fino ad ora.
Infatti le indagini Consulente Census vengono utilizzate per
diversi obiettivi da gestori italiani ed esteri, banche, reti di
promotori finanziari e compagnie di assicurazione, in quanto
forniscono supporti pratici per prendere decisioni di marketing e
di sviluppo dell’attività, misurando anche il livello di soddisfazione
dei clienti nei confronti di certi prodotti o servizi.
Nello stesso tempo, può essere importante per i promotori
sapere che cosa pensano i colleghi delle altre reti su vari temi,
in modo da avere il polso di cosa significa lavorare come
promotore finanziario oggi.
Facciamo un esempio: l’ultima indagine Consulente Census
del dicembre 2007 è stata sul tema “Cosa vuol dire per i
promotori finanziari competere nel 2008?” Dai risultati è
emerso che il 75% degli intervistati si ritiene soddisfatto del
proprio lavoro, e tuttavia ambisce a diventare un promotore
ancora più di successo nel 2008. Ma cosa significa, nella mente
degli intervistati, essere un promotore di successo? La maggior
parte (circa 35% di coloro che hanno risposto) ha dichiarato
che significa “fare sempre gli interessi del cliente”, il 25%
ritiene che si possa avere successo solo se si ha una gamma
prodotti adeguata e un altro 25% circa sostiene la consulenza
indipendente come vero vantaggio competitivo per il 2008.
Soltanto il 15% sostiene che nell’aver “successo” non gioca
tanto la competenza sugli strumenti finanziari o sui rischi
associati agli investimenti finanziari, quanto piuttosto l’avere
una solida base di clienti e sviluppare solide relazioni con gli
stessi, in modo che possano referenziare il promotore presso i
propri amici e famigliari.
Assonova inoltre sta lavorando ad un evento di presentazione
ufficiale dell’associazione che interesserà molto i promotori
finanziari e che si svolgerà tra fine settembre ed inizio di
ottobre: in questa occasione, si illustreranno anche i risultati
dell’indagine che Assonova ha preparato con Nmg.

25
[ donne - la storia ]
di Giusi Esposito
Emma Marra è la nuova segretaria generale della Campania
ed attualmente tra tutti i segretari regionali è l’unica donna.
Ma non è una novità per lei ricoprire incarichi elevati, infatti
poco più che quarantenne si è trovata contemporaneamente
a ricoprire l’incarico di segretario territoriale di Caserta,
segretario responsabile della sua azienda, ora Polis, e per due
mandati è stata segretario aggiunto della regione Campania
al fianco del responsabile ora in pensione. Cerchiamo ora
di scoprire meglio chi è la donna che pur appartenendo
contemporaneamente a tutte le minoranze della Fiba, donna,
giovane ed esattoriale, oggi si ritrova anche alla guida di una
regione molto rappresentativa sia per numero di iscritti sia per
l’alta qualità dei suoi quadri sindacali.
Emma è laureata in biologia. “Sognavo di fare medicina ma a
quel tempo gli stereotipi erano forti, i turni, le guardie mediche,
l’allontanamento dalla famiglia e dal ruolo tipico della donna in
seno alla famiglia mi portarono a fare uno studio che ritenevo
simile, ma più adatto ad una donna”. Dopo la laurea, il concorso
nella scuola nella quale ha lavorato per un po’ di tempo da
precaria, ma non era quella la sua aspirazione, sentiva che non
era ancora quello il suo posto e nell’86 entra in esattoria. Ed è qui
che la giovane biologa, ancora in cerca del suo posto nel mondo,
incontra il sindacato. Se prima le scelte erano state in qualche
modo stentate e contraddittorie, da quel momento il suo cammino
è diventato un’autostrada. Il suo primo congresso nel ’93 quando
ancora in maternità viene inserita nel direttivo poi su, sempre più
su. “Nel sindacato mi sono sentita subito a casa. Certo il lavoro
di esattoriale non era proprio il lavoro dei miei sogni, io ero e
sono curiosa, sempre a mettermi alla prova con nuove esperienze
e nel sindacato ho visto la luce. I primi convegni, la formazione,
una chance per me. Sentivo reale la possibilità di aver un ruolo di
partecipazione attiva nel mondo del lavoro, di comprenderne le
dinamiche, ma soprattutto la possibilità di utilizzarle per risolvere
i problemi quotidiani dei colleghi” .
Aggiunge: “Ai tempi del liceo militavo nei movimenti
femministi, il mio si chiamava Lillith, ma la mia non è mai
stata una militanza assoluta, mai ligia totalmente alla ideologia.
Ero affascinata ma provavo anche disagio e in qualche modo ho
vissuto quel periodo con contraddizione: sempre fortemente
26
ancorata ai miei valori familiari, e nella famiglia d’origine e
nella famiglia che ho creato con mio marito, ma una curiosità
forte mi spingeva con impegno ad esplorare ed a verificare il
nuovo. Per fortuna molto è rimasto in me della ragazzina che
ero e continuo nella mia militanza a muovermi tra valori certi
e sana curiosità”
La famiglia è quindi la sua forza. Un marito musicista e
insegnante che tra lezioni private e concerti è spesso fuori casa
la sera, ma l’aiuta, come può e come sa fare, nella gestione
dell’unico figlio di sedici anni, che reclama ancora a gran voce
la sua presenza.” Per questo, quale che sia l’impegno lavorativo,
faccio di tutto per essere fisicamente a casa entro una certa ora,
anche se non riesco ad essere subito pienamente disponibile e
devo continuare al computer il lavoro non completato durante
la mattina. La contrattazione aziendale mi porta spesso fuori
sede ma cerco sempre di limitare i pernottamenti fuori nei
limiti dell’indispensabile”. Un valido aiuto le viene dalla madre,
che forse è quella che risente maggiormente del poco tempo
disponibile e pur soffrendo della sua assenza è molto orgogliosa
dei suoi successi.
Conclude dicendo “ SI, si può fare, Si può vivere una sana vita da
donna, da moglie, da mamma, da figlia e contemporaneamente
vivere una intensa vita lavorativa tutta improntata sul sociale.
Costa sacrifici, sacrifici che ti trovi a condividere con le
persone che ami di più e che ti amano di più proprio quando
non ostacolano il tuo essere sempre fuori anche fra le mura
domestiche. La mia forza: la mia famiglia, i miei valori. La mia
benzina : la mia curiosità e la mia tenacia. Esse mi spingono ad
esplorare sempre nuove soluzioni e nuovi percorsi per dare il
mio contributo al benessere dei lavoratori, e mi permettono di
mettermi in gioco sempre come se fosse la prima volta e senza
mai aver paura di ricominciare daccapo.”
Emma Marra, Seg. generale Fiba Campania.
[ la pagina della musica ]
a cura di Anna Masiello
Tarantoliamoci
“Una macchina di prodigi, sorprese e incantamento che si
reinventa ogni anno” questa nelle parole di Nichi Vendola, la
festa che nelle notti di agosto da ormai 11 anni invade le piazze
dei comuni della cosiddetta Grecia salentina, La Notte della
Taranta la più grande manifestazione musicale dedicata al
recupero e alla valorizzazione della pizzica salentina attraverso
l’incontro con altre tradizioni e diversi generi musicali.
La pizzica, oltre ad essere suonata nei momenti di festa di
singoli gruppi familiari o di intere comunità locali, costituiva
in passato anche il principale accompagnamento del rito
etnocoreutico del tarantismo. Era considerata l’unica medicina
contro il morso delle tarante. Nacque, quindi, come ballo
terapeutico, di antica origine medievale, come esorcismo per le
donne tarantate, contaminate dalle punture di tarantola.
Oggi il tarantismo è quasi completamente scomparso, e rimane
solo nella memoria degli anziani.
Quest’anno il festival itinerante è dedicato al “pezzo di notte
che manca” cioè al tamburellista attore Pino Zimba, scomparso
lo scorso febbraio, personaggio carismatico e amatissimo dal
pubblico, grande protagonista di “Sangue Vivo” di Winspeare.
A dirigerla, per il secondo anno, Mauro Pagani, musicista
raffinato, che per quest’anno presenta un’edizione che
propone i brani più importanti, conservati con sempre più
consapevolezza da tutta la regione.
Nella scaletta c’è la pizzica, ma anche, in nome della
contaminazione, la tarantella del Gargano, e ci si accosterà alla
tradizione di Villa Castelli.
Tanti i nomi di rilievo che intervengono: il jazzista francese
Richard Galliano, la cantautrice del Mali Rokia Traorè, oltre
alla grande Orchestra Notte della Taranta da trentaquattro
elementi con l’innesto di Mario Arcari assistente del maestro
concertatore e Arnaldo Vacca alle percussioni.
Nei quattordici giorni di festival suoneranno anche musicisti
croati albanesi e greci, e poi tanti gruppi noti ed emergenti
come gli Ariacorte, i Fiamma Fiumana, i Kamafei, Cisco, ex
leader dei Modena City Ramblers e le Mondine di MOvi.
Per la serata finale il 23 agosto sul palco ci sarà Caparezza, Après
la Classe, Sud Sound System e Radiodervish, si ballerà fino
all’alba, tarantolando fino all’ultimo respiro sperando di tenere
lontano il maligno almeno per un anno, fino alla prossima
edizione.
Siti da visitare: www.pizzicata.it; www.lanottedellataranta.it
L’arca
Beatles-Let it be
Ci sono fatti piccoli o grandi, che, nello stesso istante in cui accadono,
percepiamo che condizioneranno la nostra vita futura. Ognuno di
noi ha avuto le proprie “sliding doors”; più volte hanno prodotto le
loro dolci od amare conseguenze sulle nostre esistenze. Soprattutto
la vita adolescenziale è piena zeppa di questi eventi che costituiscono
il nostro personale, unico romanzo di formazione.
Dopo questa terrificante e moralistica intro è tempo di confessare
da quale disco nasce la mia psico-patologia discografica. 14 anni, 4°
ginnasio, una mia compagna di classe, grande fan dei Beatles, mi
propone di assistere alla proiezione, in un vicino cinema d’essai,
di Let it be il film – documentario, epitaffio della storia dei 4 di
Liverpool. Presto fatto; da quel pomeriggio non è nato alcun amore
adolescenziale con la mia compagna di classe, quanto piuttosto una
violenta passione per la musica dei Beatles.
Passione tanto violenta da spingermi ad
acquistare il 33 giri (il mitico padellone di
vinile) Let it be senza neppure possedere lo
stereo e ad innescare la mia successiva febbre
(a volte carsica ma comunque sempre latente)
per la musica pop e rock, per i dischi ed ogni
successivo supporto fonografico.
Chissà come, chissà perché successivamente
ho incontrato tenebrosi dark, colorati punk,
algidi epigoni della new-wave, epicurei appassionati di musica
lounge, la cui formazione musicale, come per il sottoscritto, era
partita dai Beatles o aveva incrociato la loro strada; come se il
gruppo, nato nelle cantine del Cavern, fosse un gigantesco bignami
contenente tutti gli elementi delle successive culture musicali.
Che dire del disco. Primo: non è il migliore del quartetto, anche se
contiene alcune gemme come la struggente Let it be, la classica The
long and winding road (Mc Cartney che gioca a fare un pezzo alla
Frank Sinatra), la sognante Across the universe e la ruvida chiusura
rock di Lennon, Get back. Secondo: molti dei guasti sono stati causati
dal produttore Phil Spector, colpevole di aver sovrarrangiato il
suono, farcendolo di archi e di soluzioni incapaci di interpretare le
originarie scelte del gruppo. Detto questo è un disco bellissimo, non
voglio mica rovinare i miei amori di quattordicenne per dei dettagli.
P:S.: mia madre allora pensò che, come tutte le infatuazioni giovanili,
la mia passione sarebbe passata con i Beatles. Poi, un giorno, mi vide
arrivare con un disco dei Jethro Tull.
(G. C.)
[ i luoghi dell’anima ]
Il borgo di Scopello in Sicilia
Possono passare sei mesi, forse un anno, a volte due, ma prima
o poi riemerge in me l’urgenza di tornare a Scopello. Ecco cosa
intendo quando parlo di un luogo dell’anima, un luogo dove ti
senti in armonia con te stesso e con l’ambiente, dove fermarsi
in contemplazione e staccare la spina, dove appunto la tua
anima ostinatamente ti riporta.
L’ho scoperto dieci anni fa ed è un posto magico: Scopello
(dal greco Skopelòs: scoglio) è un piccolo borgo contadino in
provincia di Trapani, sorto sul sito di un antico casale arabo e
costituito da un baglio seicentesco (dall’arabo bahal: cortile)
- tipica costruzione rurale spagnola con ampia corte interna e
strutture abitative intorno - ancora splendidamente conservato,
una piazzetta e una stradina lastricata, un abbeveratoio in
pietra, ancora in uso, un bar, un ristorantino e quattro case
intorno, la maggior parte delle quali danno d’estate accoglienza
ai turisti. Tutto incastonato tra la magnifica montagna rosa,
sovrastata da torre Bennistra (XVI sec.), i vigneti ed un mare
tra i più belli e puliti di Sicilia. Sullo sfondo il bosco di monte
Sparagio (1200mt), un tempo dimora di cervi, lupi e cinghiali,
che ricorda le battute di caccia di Ferdinando III di Borbone,
che lo elesse a rango di riserva reale.
È fondamentale scegliere il periodo giusto per visitare Scopello,
mai d’estate, mai durante i ponti e le festività, quando viene
presa d’assalto dai turisti predatori e rumorosi. Provate ad
andare in primavera, quando la natura è rigogliosa, i colori
vividi e il cielo terso, o in autunno o ancora meglio in inverno,
vi ritroverete a discutere amabilmente con uno dei 29 abitanti
stanziali del posto, che sonnecchiano in attesa dell’orda
turistica.
Fermatevi almeno tre giorni, se volete assaporare l’atmosfera
del posto. Passeggiate lentamente per il borgo, fermatevi ad
assaggiare i magnifici dolci alla ricotta del bar della piazza –
soprattutto le straordinarie cassatelle fritte – visitate il baglio
e, se il tempo è bello, percorrete il sentiero che tra rovi e fiori
variopinti scende giù fino alla Tonnara. La vista che si schiude
davanti ai vostri occhi è di una bellezza mozzafiato. La Tonnara
di Scopello - Dimora Storica ed esempio di archeologia
industriale documentata già agli inizi del sec. XIII e attiva fino
agli anni Settanta - è costituita da un affascinante complesso
28
di edifici antichi racchiusi da un muro di cinta e sovrastati da
un’antica torre federiciana e si erge maestosa su una caletta di
acqua azzurra chiusa da suggestivi faraglioni sul mare.
Comprate dall’unico panificio lo squisito pane cunzatu (pane
casereccio, pecorino, pomodoro, olio e acciughe) e passate
l’intera giornata successiva alla Riserva Naturale Orientato
dello Zingaro, che si estende per circa 7 Km e che vi incanterà
per la sua aspra e selvaggia bellezza, i colori intensi, le palme
nane, la rigogliosa macchia mediterranea, i tenaci olivastri e i
maestosi carrubi e per le bianche calette incassate in un mare
turchese, dove è possibile prendere il sole e fare il bagno.
La costa dello Zingaro è una delle pochissime in Sicilia senza
litoranea. La costruzione della strada fu bloccata grazie
all’impegno di associazioni naturalistiche che coinvolsero
migliaia di cittadini in una marcia di protesta nel maggio
1980, e che riuscirono ad ottenere nel 1981 l’istituzione allo
Zingaro della prima riserva in Sicilia. Potete completare la
visita perlustrando i dintorni di Scopello, i vigneti, le montagne
dolomitiche, le spiagge, come quella di Baia Guidaloca,
stupenda striscia di sabbia racchiusa tra costoni di roccia a
picco sul mare, o recandovi a Segesta, centro archeologico tra
i più importanti e suggestivi, con il suo tempio dorico del IV
secolo a.c. perfettamente conservato e chiudendo la giornata
Riserva Zingaro.
[ i luoghi dell’anima ]
immergendovi nelle acque calde e salutari delle Terme di
Segesta, aperte agli ospiti fino a mezzanotte.
Dove alloggiare
Ci sono molte locande, piccoli alberghi di charme, b&b, case ed
appartamenti che possono essere affittati anche per settimane,
tutti mediamente carini e inseriti con garbo nel contesto
ambientale. Io vado sempre da Vito Mazzara che possiede,
immersi in un giardino rigoglioso e in un silenzio irreale,
miniappartamenti e camere sobrie, semplici ma accurate nei
dettagli recuperati dalla tradizione siciliana. Anche Vito è un
monumento di Scopello, flemmatico e accogliente senza essere
invadente.
Cosa e dove Mangiare
A Scopello si mangia bene dappertutto. I piatti tipici sono a
base di pesce, eccellenti soprattutto i primi piatti, le busiate
(pasta fresca tipica del posto) a base di frutti di mare, o al
pesto trapanese o ancora al sugo di carne e ricotta. Ottimo
anche il cuscus alla trapanese. Io preferisco andare a cena nel
ristorante al baglio, che si trova proprio nel contesto seducente
e pittoresco del baglio seicentesco. Non dimenticate i gelati ed
i dolci alla ricotta, i cannoli e le cassatine.
La ricetta
Cuscus alla trapanese
Si tratta di un piatto tradizionale di origini arabe ma rivisitato
con il gusto e l’estro siciliano. Ingredienti (per sei persone): per
la zuppa: 1,5 kg di pesci misti da zuppa (scorfano, gallinella,
sampietro, grongo); 500 g di pomodori; una bustina di
zafferano; olio extravergine di oliva; una cipolla; uno spicchio
d’aglio; prezzemolo; sale e pepe. Per il cuscus: 600 gr di cuscus
(quello istantaneo); 200 g di mandorle tritate; cannella.
Procedimento: Pulite tutti i pesci. Sfilettate i più grossi
lasciando interi quelli piccoli e molto spinosi. Tritate la cipolla
e fatela rosolare i ½ bicchiere d’olio con lo spicchio d’aglio
schiacciato e una manciatina di prezzemolo tritato. Quando il
soffritto è ben appassito, aggiungete i pomodori spellati privati
dei semi e spezzettati e fate cuocere a fuoco vivace per una
decina di muniti quindi unite i pascetti interi e gli scarti degli
altri pesci (teste e lische). Bagnate con circa due litri d’acqua
e aggiungere lo zafferano, sale e pepe. Fate cuocere per circa
un’ora e quindi filtrare il brodo. Dividete il brodo in due parti.
Con una parte fate cuocere il cuscus e con l’altro cocetevi
brevemente i filetti di pesce. Quando il cuscus è cotto, versatelo
in un ampio piatto da portata, amalgamatevi le mandorle e un
pizzico di cannella, bagnatelo con poco brodo e fatelo riposare
per qualche minuto. Al momento di servirlo, adagiatevi i filetti
di pesce tenuti in caldo e servite a parte il brodo di cottura
dei filetti ben caldo che servirà da condimento per il cuscus.
(ricetta tratta da L’Italia del Gambero Rosso: la Sicilia)
(Paola Vinciguerra)
Mandateci i vostri consigli di viaggio, i luoghi a voi più cari,
i suggerimenti su dove dormire o mangiare, le ricette e noi li
pubblicheremo sui prossimi numeri di LBA o sul portale www.
fiba.it
Tonnara.
[ legale ]
a cura di Luigi Verde
Patti di ampliamento del preavviso
in caso di dimissioni
Si va diffondendo nel nostro settore il fenomeno del
prolungamento del periodo di preavviso in caso di dimissioni
del lavoratore. Alcune banche infatti, in deroga alla disciplina
contrattuale, sottopongono alla firma dei lavoratori, in
genere all’atto della costituzione del rapporto, ma, talvolta,
anche successivamente, patti - a livello individuale - che
obbligano il lavoratore, appunto in caso di dimissioni, ad un
periodo di preavviso più lungo, non solo di quello stabilito
dal contratto collettivo, ma addirittura di quello che la stessa
norma contrattuale prevede a carico del datore in caso di
licenziamento (ad es. 12, o anche 18 mesi). Tale prassi risponde
evidentemente all’esigenza delle banche di contenere, in una
situazione di mercato del lavoro più “aperto”, il passaggio dei
lavoratori da una banca all’altra (ovviamente concorrente). Si
pone, pertanto, l’esigenza di un sintetico approfondimento
della materia con particolare riguardo alla valutazione di
legittimità di tali clausole.
Le fonti normative che disciplinano le dimissioni sono, oltre
quelle di legge, quelle contrattuali, e segnatamente l’art. 73 del
ccnl dell’ 8 dicembre 2007 (settore Abi). Nel nostro settore,
sulla base del rinvio dell’ art. 2118 c.c. alla contrattazione
collettiva, la durata del preavviso è stabilita nella misura di
un mese. Le considerazioni che seguono, fondate sulla poca
giurisprudenza in argomento, si basano prevalentemente su
alcuni approfondimenti degli studiosi. Esse si riferiscono a due
diverse fattispecie: a) quella in cui a fronte della dilatazione
del preavviso non è prevista alcuna “compensazione”, di
alcuna natura, al lavoratore; b) quella in cui alla dilatazione
del preavviso corrisponde: b1) una dilatazione del preavviso
-a carico del datore- in caso di licenziamento, oppure, b2) un
compenso in danaro, oppure, b3) una “contropartita” costituita
dall’ attribuzione di una qualifica superiore e/o dall’inserimento
in un percorso privilegiato di formazione.
Quanto all’ipotesi sub a), l’orientamento prevalente
degli esperti sostiene la nullità dell’ accordo individuale
di ampliamento del termine di preavviso previsto dalla
contrattazione collettiva. La fonte collettiva, cui l’ art. 2118
c.c. rinvia per la fissazione della durata del preavviso, è, per sua
natura, inderogabile in peius essendo vietato alle fonti inferiori
30
la previsione di un preavviso più lungo, che risulterebbe
in contrasto con il principio del favor per il lavoratore. Il
vincolo alla libertà del lavoratore risultante da un preavviso
di dimissioni troppo lungo è intollerabile, in particolare,
secondo questo orientamento, a causa della disposizione del
comma 2 dell’art. 2118, secondo cui la parte contrattuale che
non adempia all’obbligo del preavviso deve pagare all’altra un
importo pari alle retribuzioni relative al periodo di preavviso
(cosiddetta “indennità di mancato preavviso”). Infatti, nel
caso di una durata eccessiva del preavviso di dimissioni (ad es.
dodici mesi), l’entità di questa “penale” sarebbe così elevata
da inibire, di fatto, al lavoratore la risoluzione anticipata del
rapporto di lavoro, costringendolo ad osservare un obbligo
di durata ritenuto incompatibile con la libertà della persona.
Va poi detto che, anche nel caso in cui l’inciso ”salvo diverso
termine concordato”, che rimanda all’autonomia delle parti
individuali, contenuto nella norma del ccnl che fissa la durata
del preavviso in un mese, non dovesse essere interpretato, come
invece noi sosteniamo, come possibilità rimessa alle parti di
modificare solo in senso riduttivo il preavviso di un mese, ma,
all’opposto, come possibilità anche di ampliare il termine del
preavviso, quel patto individuale che contempli un preavviso
di dimissioni più lungo di quello massimo (4 mesi) previsto
dal rdl 1825/1924 per gli impiegati (“macro-categoria”
professionale dell’epoca che, oggi comprenderebbe la 2° e la
3° area professionale nonché i quadri direttivi), dovrebbe
comunque considerarsi nullo, per violazione non solo e non
tanto dell’art. 2118 c.c. ma, soprattutto, delle disposizioni del
menzionato rdl del 1924.
Quanto, invece, alle ipotesi sub b), in cui le parti, nel contratto
individuale, pattuiscono forme di compensazione del maggior
preavviso va osservato che:
1) per quanto riguarda l’ipotesi in cui la contropartita è
rappresentata da un compenso aggiuntivo ad hoc e, soprattutto,
quella che elimina consensualmente la onerosa “penale”
(indennità di mancato preavviso) sostituendola, per il caso di
violazione da parte del lavoratore dell’obbligo pattuito, con la
perdita o la restituzione del compenso aggiuntivo rimasto privo
di causa, c’è da dire che, in questo caso, non è violata alcuna
[ legale ]
a cura di Luigi Verde
norma inderogabile, poiché il lavoratore può liberarsi del
rapporto senza rispettare il maggior preavviso semplicemente
rinunciando al compenso aggiuntivo convenuto ad hoc e
senza ulteriori conseguenze pregiudizievoli. In questa ipotesi
si dovrebbe più correttamente parlare, più che di obbligo di
maggior preavviso, di onere per conseguire e per mantenere il
maggior compenso;
2) quanto all’ipotesi in cui, al posto del compenso in denaro,
è prevista l’attribuzione di una qualifica superiore o di una
ulteriore formazione professionale, il discorso è più articolato,
tale da impedire una valutazione netta e aprioristica sulla
legittimità di siffatte pattuizioni. Infatti, se la qualifica o
l’inquadramento superiori sono stati già attribuiti e sono state
svolte le corrispondenti mansioni, il corrispondente trattamento
retributivo non può più essere oggetto di richiesta di restituzione
da parte del datore di lavoro, così come non è più “restituibile”
la formazione professionale già erogata. Pertanto, in questi
casi, per valutare la legittimità dell’ accordo individuale nel suo
complesso, occorre verificare in concreto quali conseguenze
siano previste a carico del lavoratore per l’inadempimento
dell’obbligo di un preavviso più lungo. Si potrebbe altresì
osservare, con una più approfondita analisi della prospettiva
dinamica di queste fattispecie -in particolare di quella in cui la
contropartita del prolungamento è l’inserimento in un percorso
formativo ad hoc- che l’equilibrio fra le rispettive obbligazioni,
mentre appare formalmente realizzarsi all’ atto della firma dell’
accordo individuale, dal punto di vista sostanziale si realizza,
invece, a nostro avviso, in un momento successivo, quello
appunto della conclusione del processo formativo. Si vuol dire
cioè che, all’atto dell’ accordo individuale, la “contropartita”
a favore del lavoratore che si obbliga al prolungamento del
preavviso (obbligo già perfetto), non si è ancora concretizzata,
dovendosi attendere per la sua “perfezione” l’esito del percorso
formativo. In questo caso l’esigenza di un equilibrio pieno
fra le due obbligazioni postulerebbe l’effettiva decorrenza
dell’obbligo del prolungamento a carico del lavoratore dal
momento in cui lo stesso ha concluso l’iter formativo, con
piena soddisfazione, aggiungiamo noi, del suo esito, in termini
di crescita professionale.
Si consideri, infine, l’ipotesi in cui il patto sul prolungamento
del preavviso sia bilanciato dal corrispondente e proporzionale
ampliamento del preavviso in caso di licenziamento. A tal
proposito possiamo escludere la nullità del patto individuale
in quanto contrastante con la norma contrattuale, dovendosi
appunto considerare che tale pattuizione nel suo insieme non
appare peggiorativa per il lavoratore.
In via conclusiva possiamo dire che le fattispecie indicate al
punto b), che potremmo definire di patto “bilanciato”, sono,
in linea di massima da considerarsi lecite, con l’avvertenza
che esse devono sempre esaminate nella loro concreta
configurazione. Quanto, invece, ai casi in cui il lavoratore
risulta penalizzato da un preavviso più lungo senza alcuna
contropartita a suo vantaggio, possiamo concludere nel
senso che tali patti, in quanto “a senso unico”, sono nulli: il
lavoratore non è quindi tenuto a rispettarli né a corrispondere
l’indennità di mancato preavviso, con il conseguente diritto a
richiedere in giudizio quanto indebitamente trattenuto a tale
titolo dal datore di lavoro.
[ società civile ]
a cura di Paola Vinciguerra
Dialogo con i protagonisti
del nostro tempo
INTERVISTA a Rosario Crocetta
Sindaco antimafia, omosessuale dichiarato e comunista. Questo
l’identikit laconico e ovviamente riduttivo di Rosario Crocetta,
il più alto modello di riferimento nella lotta alla criminalità
organizzata in Sicilia.
Sindaco di Gela - grosso comune nisseno tristemente famoso
per il petrolchimico e per sanguinosi fatti di mafia - è stato
eletto nel 2003 per una manciata di voti (e dopo un ricorso al
Tar per irregolarità nello spoglio delle schede) e riconfermato
nel 2007 con il 64,8% di preferenze. Vive blindato da anni
e l’8 febbraio scorso, giorno del suo 57simo compleanno,
un’indagine dei magistrati di Caltanissetta ha sventato un
piano di attentato della mafia nei suoi confronti. Da allora gli è
stata raddoppiata la scorta, che gli garantisce oggi una sicurezza
uguale a quella delle più alte cariche dello Stato.
Rosario Crocetta è la persona più lontana dalla retorica
politichese che si possa immaginare, lo incontriamo in occasione
della manifestazione nazionale antimafia per il trentennale
dell’omicidio di Peppino Impastato. È cordiale e alla mano,
anche se i 6 energumeni della scorta, che lo seguono ovunque,
sono piuttosto torvi.
Qual è la situazione di Gela oggi?
Gela è un caso eclatante in Sicilia. È stato il primo paese che
ha dato vita ad un’associazione antiracket ma anche il luogo
dove nel 1991 fu ucciso un imprenditore sorteggiato a caso tra
i commercianti che si ribellavano al pizzo. Esempio insuperato
di spregio per la vita umana. Eppure in questa città, dove Cosa
Nostra ha sparato e ucciso, si è prodotta una rivolta senza
precedenti perché la gente ha capito che si fa sul serio, che
c’è un’amministrazione comunale dalla loro parte e che polizia
e magistratura, incoraggiati e sostenuti da questo clima di
legalità, stanno facendo un lavoro eccezionale.
Che può fare un sindaco per incidere nella lotta alla mafia?
L’esperienza di Gela dimostra che, anche in mancanza di
leggi, si può fare tantissimo se si è capaci di dialogare con la
società, con i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali,
con i magistrati e le forze dell’ordine, con i commercianti e
gli imprenditori. Nella mia esperienza di sindaco sono riuscito
a controllare il sistema degli appalti inserendo delle clausole
32
di trasparenza molto restrittive, come la richiesta preventiva
antimafia per tutte le imprese che partecipano alle gare, aldilà
dell’importo e tracciando tutta la filiera produttiva: ogni società
deve dichiarare a quale altra ditta subappalterà e quali sono le
sue imprese fornitrici. Tutte le aziende coinvolte devono essere
in regola con la certificazione antimafia e non impiegare lavoro
nero. Ciò per impedire che una azienda pulita vinca la gara e
che poi la mafia si insinui successivamente. Chiunque vuole
lavorare per l’amministrazione di Gela deve sottostare a queste
direttive. Il risultato è stato positivo anche in termini economici
e di competitività: se prima operavano sempre le solite tre
aziende oggi sono decine le ditte che lavorano con il nostro
comune e vengono da tutta la Sicilia. Certo tutto sarebbe più
semplice se si istituisse per legge un albo delle aziende in regola,
magari anche a livello europeo.
Quali istituzioni dello Stato ha sentito ostili in questi anni?
Non mi sento di generalizzare. Io mi sento Stato, come Stato
erano Falcone e Borsellino e persino Peppino Impastato. Ci
sono istituzioni che in questi anni hanno lavorato bene e pezzi
dello Stato che hanno fatto e fanno ancora affari con i mafiosi.
Se non ci fossero connivenze forti con la mafia, questa sarebbe
già stata sconfitta come è stato sconfitto il terrorismo. Bisogna
scardinare innanzitutto il rapporto tra economia, politica e
criminalità organizzata perché storicamente la cosche stanno
sempre dove stanno i soldi.
Lei ha definito Peppino Impastato un eroe. Fino a quando
questo paese continuerà ad avere bisogno di eroi?
Sono contrario alle frasi fatte come “beati i popoli che non
hanno bisogno di eroi”. Io penso che come la chiesa cattolica
ha i suoi santi, la società laica abbia bisogno di eroi. Esistono
delle persone eccezionali che rischiano la vita per un ideale di
giustizia e dobbiamo rendergli onore. Credo però che la lotta
alla mafia non si faccia solo con gli eroi. Bisogna lottare,
ad esempio, nei luoghi di lavoro dove non si rispettano
le norme di sicurezza ed i contratti. Anche quella è lotta
alla mafia. Il sindacato può fare tantissimo senza bisogno
di eroi. Ognuno di noi può avere un ruolo, il commerciante,
l’insegnante, il giornalista, senza retorica, senza ergersi a
vittima sacrificale. C’è però bisogno oggi, più di ieri, di uno
[ società civile ]
a cura di Paola Vinciguerra
sforzo eccezionale, in una società che ha perso di vista i valori
fondamentali, di rispetto e solidarietà. La questione morale è
sempre più un’emergenza non solo siciliana ma nazionale.
L’invasione pacifica dei ciclisti
Critical Mass è un evento internazionale che si tiene in più di
400 città del mondo - ed in molte città italiane - ogni ultimo
venerdì del mese quando i ciclisti vanno in massa a percorrere le
strade delle loro città normalmente occupate dalle automobili.
La massa critica è un manifestazione di difficile definizione,
trattandosi di un evento spontaneo privo di struttura
organizzativa formalizzata. Il fenomeno si è sviluppato a partire
da San Francisco, dove nel 1992 si svolse la prima Critical
Mass, e si propone di sensibilizzare la cittadinanza sui benefici
che derivano dall’utilizzo delle bici come mezzo di trasporto
urbano in alternativa all’auto. La bicicletta è infatti ecologica:
non vi è consumo di ossigeno, nessun gas di scarico, nessun
rumore. Andare in bicicletta fa bene alla salute, previene
l’infarto, l’ipertensione, l’obesità e i disturbi del sonno. È
facile da usare ed economica: usando una bicicletta al posto
di un’auto si risparmiano circa 2000 € all’anno. La bicicletta
è veloce - per i percorsi urbani è più veloce dell’automobile
- e non è pericolosa per gli altri utenti della strada. Andare in
bicicletta è soprattutto stimolante e divertente, permette un
contatto diretto con le persone, i paesaggi, i suoni e gli elementi
naturali.
Solidarietà piccola piccola
Esiste una rete costituita da 253 piccoli e medi comuni italiani (e 4.051.126 abitanti) che hanno deciso di fare della
solidarietà Nord - Sud del mondo un preciso progetto “politico” e “amministrativo” da condividere con i cittadini e con
le altre comunità del territorio.
La rete nasce dall’esigenza di portare avanti progetti chiari di interventi piccoli ma precisi e concreti (ad esempio
realizzazione di un pozzo, di una casa, l’acquisto di 100 zappe ecc) e attraverso modalità di realizzazione snelle senza
troppi passaggi di mano nella certezza che la offerta giunga a destinazione senza realizzare cattedrali nel deserto e
senza troppa burocrazia. Dal sito www.comunisolidali.org è possibile ricavare informazioni sui vari progetti adottati dai
comuni, ma soprattutto è possibile prendere spunto per far diventare anche il proprio comune un Comune Solidale.
[ internazionale ]
a cura di Maurizio Locatelli
Mondi che si incontrano
Mama Africa, Passage to Benin
Incontro un collega, Eros Ambrogio Tavernar, impiegato del
Banco di Sicilia di Milano, iscritto al nostro sindacato.
Nello scorso mese di febbraio, si candida per partecipare ad
un’iniziativa lanciata da Unidea, fondazione privata costituita
da UniCredito Italiano nel marzo 2003 per sostenere interventi
nel campo della solidarietà e della cooperazione allo sviluppo.
Offrire l’opportunità a 10 dipendenti di Unicredit Group,
uno per ciascun paese in cui il gruppo è presente, di entrare in
contatto con la realtà sociale e culturale del Benin, stato africano
in cui la Fondazione sta intervenendo per il miglioramento
della salute di base della popolazione dell’Alto Benin.
A maggio Eros viene scelto come partecipante italiano. Trascorre
10 giorni tra il Burkina Faso e il Benin, ex colonia francese
“Dahomey”, famosa come “Costa degli schiavi”, perché da
qui sono stati imbarcati più di un milione di schiavi per essere
venduti nelle Americhe.
Eros, con quale spirito sei partito?
Tanta voglia di conoscere realtà e civiltà “lontane” dagli schemi
mentali dell’Occidente, un forte desiderio di condividere sul
campo la progettualità di una Fondazione nata da una banca,
impegnata nell’assistenza sanitaria ed educativa.
Raccontaci dove siete stati.
Arrivati a Ouagadougou, in Burkina Faso, abbiamo conosciuto
l’Associazione Keoogo che offre sostegno ad oltre 1200
bambini di strada che giungono dai villaggi rurali per ricevere
un’educazione. Il focus del viaggio è stato nel nord del Benin,
per il progetto “Tata Somba”. Un impegno nel comparto
socio-sanitario che si sviluppa su tre livelli: villaggi, centri di
salute e ospedale. Nei villaggi viene svolta una capillare attività
informativa di prevenzione , grazie all’opera di “agenti” sanitari.
Interessante la modalità, che fa molto uso di immagini, di
cultura locale: l’apprendimento viene favorito in un contesto
di festa, di coinvolgimento globale di tutta la popolazione, con
musiche e danze. I centri di salute, funzionalmente tramite tra
il villaggio e l’ospedale, si rivolgono principalmente a donne
gestanti, che si cerca di inserire in un percorso di osservazione
per tutto il periodo della gestazione. Dal Nord al Sud del paese
è stato poi un infinito susseguirsi di paesaggi, colori,odori e
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popoli. A Cotonou, principale città del Benin, grande ed
affollato porto, l’immersione in un involontario “purgatorio”
di esseri umani, ma non si avverte disperazione, quasi fosse
questa una delle “magiche pozioni” africane.
Se ripensi a questa esperienza, cosa ti sei portato a casa?
Nel congedarci dal Benin abbiamo fisicamente varcato la “porta
del non ritorno”, a Ouidah, da dove partivano gli schiavi.
Per me è stato un passaggio vissuto realmente, un cambio
di atteggiamento nei confronti di alcuni aspetti del vivere
quotidiano, un “non ritorno” a modelli e comportamenti che
possono anche soddisfare nel breve, ma che deludono nel lungo.
E in certi momenti faremo un po’ di pausa, e il pensiero tornerà
alla moltitudine di volti di bimbi e ai loro bellissimi sorrisi.
Nel salutarci, hai alcune immagini che ci lasci, scolpite nel
tuo cuore e nella tua mente?
Sì, un paio di sensazioni in cui i bambini, figli di mamma
Africa, sono ancora protagonisti:
“un bambino mi si avvicina con un foglio di carta in mano
e disegna cose semplici. Una casa, una donna, un uomo. Poi
scrive di fianco alle tre figure tre parole “casa, mamma, papà”…
Il bambino è un orfano e non ha nemmeno un riparo. È un
“bambino di strada”, uno delle migliaia di bambini che vivono
per le strade di Ouagadogou. Il bambino non chiede né soldi,
né aiuto: sogna e mi sorride…
Cammino come se fossi qualcuno che arriva da un altro pianeta nel
mezzo di un mercato a Cotonou. La polvere è ovunque, il rumore
è fortissimo, dei giovani lavorano in fonderie improvvisate. In
questo posto misero un bambino mangia del cibo da un barattolo,
un altro cerca di dormire. E’ un incubo o è reale? Sono confuso:
vorrei fare qualcosa ma allo stesso tempo mi sento impotente.
Esco da questo “inferno”, un altro bimbo mi sorride…”
Ora sogno molto, quello che ho vissuto sembra molto lontano,
ma anche così vicino allo stesso tempo…
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