Lavoro Bancario e Assicurativo
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Lavoro Bancario e Assicurativo
Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. d.l. 393/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n.46) art.1, com.2, dcb Roma rivista trimestrale, numero 3 Luglio/Settembre 2008 p.22 I servizi della Fiba Cisl La Fiba offre ai propri iscritti opportunità di risparmio, dalla spesa quotidiana agli acquisti straordinari. Come iscritto, ti sono riservati vantaggi e servizi. Hai a tua disposizione consulenze gratuite che puoi richiedere per posta, fax o e-mail. Consulenze (giuridica e assicurativa) Alberghi e centri termali convenzionati Corsi di formazione Ristorazione Assicurazioni (conciliazione – polizze) Turismo (tour operator e agenzie di viaggio) Credito (cerca il miglior mutuo) Grande distribuzione [ gli autori ] Giuseppe Gallo segretario generale Fiba Cisl Andrea Baccherini redazione Conquiste del lavoro Alberto Berrini consulente economico Fiba Cisl Mario Capocci comp. esecutivo coord QD Fiba Cisl Angela Cappuccini resp. ufficio stampa Fiba Cisl Giusi Esposito resp. coord. femminile Fiba Cisl Domenico Iodice comp. ufficio ricerca Fiba Cisl Pier Luigi Ledda resp. dip. com. inf. form e ricerca Fiba Cisl Maurizio Locatelli resp. formazione Fiba Lombardia Pietro Mariani segr. nazionale Fiba Cisl Anna Masiello comp. ufficio formazione Fiba Cisl Mario Mocci segr. naz. Fiba Cisl Gabriele Olini ricercatore uff studi Cisl Carlo Piarulli segr. generale Assonova Giulio Romani segr. nazionale Fiba Cisl Andrea Scaglioni resp uff. ricerca Fiba Cisl Luigi Verde resp. uff. legale Fiba Cisl Paola Vinciguerra resp. formazione Fiba Sicilia Antonio Zanelli segr. Fiba Cisl Allianz Achille Cadeddu e Giuseppe Gargano sono gli autori della vignetta [ [ n. 3 luglio/settembre 2008 4 5 6 7 8 10 Direttore Responsabile: Giuseppe Gallo Comitato di direzione Giuseppe Gallo, Giovanni Casiroli, Guido Cavalieri, Roberto Garibotti, Sergio Girenti, Pier Luigi Ledda, Pietro Mariani, Mario Mocci, Giacinto Palladino, Giulio Romani, Alessandro Spaggiari, Elena Vannucci Redazione: Angela Cappuccini (caporedattore) Andrea Baccherini, Umberto Bognani, Giusi Esposito, Maurizio Locatelli, Anna Masiello, Paola Vinciguerra Progetto grafico e impaginazione: Raimondo Giuliani LAVORO BANCARIO E ASSICURATIVO Aut. decreto n. 236/92 del 15/04/1992 - reg. stampa Roma Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. d.l. 393/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n.46) art.1, com.2, dcb Roma Direzione e amministrazione Via Modena, 5 - 00184 Roma Tel. 06/4746351 - Fax 06/4746136 e-mail: [email protected] sito web: www.fiba.it Fotolito: Jumbo Services srl - Via Carpi, 19 - 00040 Pomezia (Roma), tel. 0691607624 Stampa: Società Tipografica Romana srl Via Carpi, 19 - 00040 Pomezia (Roma), tel. 0691251177 Tiratura: 85.000 copie sommario ] 22 24 25 26 27 28 30 32 34 ] Editoriale di Giuseppe Gallo Il punto di Mario Mocci Il punto di Pietro Mariani Dalla confederazione a cura di Andrea Baccherini Libriamoci a cura di Anna Masiello Focus Le tasche dei lavoratori Dall’integrazione alla complementarietà di Giulio Romani Allarme salari di Angela Cappuccini Crisi globale, alla ricerca delle cause di Pier Luigi Ledda La crisi alimentare di Alberto Berrini Tra bolle finanziarie ed inflazione di Gabriele Olini Mutui casa, la situazione italiana di Andrea Scaglioni La lettera A cosa serve il sindacato di Antonio Zanelli Mifid Una lettura dalla parte del bancario di Mario Capocci Promotori Assonova, al via un’indagine di Carlo Piarulli Donne La storia di Giusi Esposito La pagina della musica a cura di Anna Masiello I luoghi dell’anima di Paola Vinciguerra Legale a cura di Luigi Verde Società civile a cura di Paola Vinciguerra Internazionale a cura di Maurizio Locatelli [ editoriale ] di Giuseppe Gallo Giuseppe Gallo, Segretario Gen. Fiba Cisl Il liberismo è in rotta. Per unanime riconoscimento. Non ha mai avuto, del resto, il rango di una teoria economica; piuttosto l’arroganza ideologica di un assunto – il potere taumaturgico di autoregolazione del mercato – privo di evidenze empiriche e sistematicamente contraddetto dalla storia del capitalismo. Serviva a favorire un modello di crescita anarchica e deregolata e gli interessi economici che in essa avrebbero trovato le condizioni ottimali per dispiegare le loro potenzialità. J. Stiglitz ha definito quella ideologia e quegli interessi “Washington Consensus” per designare la concezione dominante della globalizzazione senza regole che aveva nel Fmi e Tesoro Usa i centri propulsori, ed è diventata trasversale nell’ultimo trentennio. L’arroganza ideologica è un grave peccato, per questo era destinata al contrappasso dantesco che, negli ultimi mesi, ha iniziato, clamorosamente a manifestarsi. Ben Bernanke ha chiesto al Congresso Usa poteri di vigilanza e di intervento straordinari sugli intermediari sino ad oggi non regolati: Società di merchant banking e di investiment banking, Hedge Funds, altri intermediari fuori controllo. Non solo. Nel salvataggio di Bear Stearns, da parte di J.P. Morgan, la Fed è intervenuta con linee di finanziamento a favore di J.P. Morgan (27miliardi di dollari) ed assunzione del rischio del portafoglio titoli di Bear Stearns. Non diversamente, la Banca Centrale inglese ha istituito un Fondo di 50 mld di sterline per offrire alle banche britanniche titoli del tesoro in cambio 4 di obbligazioni strutturate garantite da mutui subprime. Bernanke ha sostenuto, esplicitamente, che il suo compito più urgente risiede nel garantire la liquidazione ordinata delle grandi banche e dei grandi intermediari finanziari Usa, quando saranno prossimi alla bancarotta, seguendo il modello Bear Stearns / J.P. Morgan o attraverso l’intervento pubblico diretto. Ecco, allora, prender corpo il contrappasso infernale: il salvataggio pubblico come soluzione obbligata per risolvere la crisi finanziaria internazionale. L’intervento dello Stato, diffidato per un quarto di secolo dall’interferire con gli autonomi meccanismi del mercato capaci comunque di garantire sviluppo e benessere, come “extrema ratio” per evitare la catastrofe della crisi finanziaria più grave dopo quella degli anni trenta del secolo scorso!!! Liberisti di tutto il mondo pentitevi!!! I vessilliferi del credo liberista, una fattispecie assai sgradevole di imbonitori da fiera di paese, mascherati con la “gravitas” triste dell’economista, dovrebbero avere il pudore dell’autocritica. Sappiamo, naturalmente, che non accadrà. Già li vediamo affannarsi, con angoscia, sulle sudate carte dando fondo al gioco delle distinzioni: liberalismo – liberismo, mercato – mercatismo, globalismo – localismo. Li attende al varco, almeno in casa nostra, il nuovo dogma Tremontiano: il mercato se possibile, lo Stato se necessario. Non occorre essere dotati di spirito profetico per prevedere repentine conversioni in massa al nuovo credo del ministro dell’Economia. Ciò che ci sembra rilevante, oltre alla ritirata del liberismo, è l’orientamento diffuso e crescente, nel dibattito e nei centri decisionali internazionali, ad un nuovo modello di regolazione e di riforma dei mercati finanziari capace di sancire la fine della finanza d’azzardo. Lo rivendichiamo da tempo. Ne deriverebbe un mutamento radicale delle strategie e della gestione delle imprese, a partire dalle banche, dalle assicurazioni, dalle imprese finanziarie. Politiche commerciali non esasperate, maggiore qualità della prestazione lavorativa, minor culto demiurgico dell’azionista e maggior equilibrio tra tutti gli stakeholder (lavoratori, clienti, azionisti, fornitori, comunità di riferimento) sia nel modo di produrre valore, sia nei criteri di distribuzione del valore prodotto. Ci impegneremo, insieme alla Cisl, perché l’alternativa alla disfatta storica del liberismo, le cui premesse sono già tendenzialmente in atto, assuma i caratteri nitidi e riconoscibili di una economia socialmente ed ambientalmente responsabile. L’efficacia della contrattazione aziendale (premi aziendali, sistemi incentivanti, inquadramenti, salute e sicurezza, pari opportunità, previdenza ed assistenza) che, comunque, il ccnl 8-12-2007 ha notevolmente accresciuto, potrebbe godere dei benefici rilevanti di un contesto decisamente più favorevole. [ il punto ] di Mario Mocci Mario Mocci, Segretario Naz. Fiba Cisl Il sensibile aumento del costo della vita ha accentuato Nel secondo semestre del 2010 si avvierà la trattativa per il notevolmente un problema già presente e sentito: il costo rinnovo del ccbl Abi e, nel corso della stessa, si procederà al della vita aumenta, ma non allo stesso modo le retribuzioni. recupero del differenziale inflattivo tra il 4,7% riconosciuto L’incremento dei beni, soprattutto di prima necessità, rende il come inflazione programmata (2008-1,7%; 2009-1,5%; problema urgente, ma come sappiamo, non di facile soluzione. 2010-1,5%) e l’inflazione reale relativa allo stesso periodo. Alla L’economia non va bene, ed in particolare nel nostro paese che luce dell’attuale andamento del costo della vita il margine da si caratterizza, oltre che per stipendi scarsamente rivalutati ed recuperare sarà presumibilmente elevato. alta inflazione, anche per un’elevata imposizione fiscale. In un Nel più generale mondo del lavoro il problema dell’aumento quadro come quello delineato, ovviamente, i consumi calano del costo della vita è percepito in maniera molto più accentuata. vistosamente e si orientano in maniera selettiva. Le altre categorie, mediamente, hanno recuperato meno del Il sindacato dei bancari, nello scorso anno, con buon tempismo, settore bancario e soprattutto sono prevalentemente prive di ha avviato e concluso la trattativa per il rinnovo dei contratti contrattazione aziendale che invece, nelle banche, è consolidata nazionali tenendo al centro il problema salariale ed ottenendo, e sarà sempre più individuata come il vero luogo di confronto nel caso dell’Abi, un rinnovo che tra biennio pregresso (2006- sulle rivendicazioni economiche. 2007) ed il triennio di rinnovo (2008-2010) porterà, a regime, Il dibattito sulla necessità di rinnovare i contratti nazionali, ad incrementi di oltre l’11%. Tale percentuale, ancorché basandosi su indici inflattivi capaci di fotografare realmente il importante rispetto ai rinnovi di altre categorie, non riesce costo della vita, è diventato l’elemento centrale del possibile certo a far fronte all’attuale impennata inflattiva. In tal senso accordo sulla riforma della contrattazione che sindacati, è importante specificare che parte dell’11% di incremento non va riferito all’inflazione, infatti “Le altre categorie, mediamente, hanno recuperato una quota pari al 3% riconosce l’importante meno del settore bancario e soprattutto sono contributo che i lavoratori bancari hanno dato al prevalentemente prive di contrattazione aziendale rilancio del sistema creditizio, che solo dieci anni che invece, nelle banche, è consolidata e sarà sempre fa era considerato una “foresta pietrificata” ed più individuata come il vero luogo di confronto oggi vanta una redditività che non teme confronti sulle rivendicazioni economiche”. con altri settori. Va da sé che, nonostante un contratto che agli occhi delle altre categorie ha dato incrementi governo e Confindustria hanno in cantiere con l’obiettivo di importanti, anche fra i bancari sono presenti lavoratori che rinnovare il Protocollo sulla politica dei redditi stipulato il 23 hanno stipendi non rilevanti e devono fare mensilmente i conti luglio 1993. Tale accordo, nelle intenzioni del sindacato, dovrà garantire: con la forte crescita del costo della vita. Il positivo andamento del settore, ancorché in una congiuntura un più regolare rinnovo dei contratti evitando, quindi, economica tutt’altro che favorevole, permette di operare a penalizzazioni economiche dovute a recuperi salariali livello aziendale su tutte le leve economiche disponibili ed una tantum; l’individuazione di un indice inflattivo in in particolare il Premio aziendale che negli anni scorsi non è sostituzione dell’attuale che nei fatti non misura il reale riuscito ad intercettare appieno la crescita della produttività e incremento del costo della vita; un meccanismo certo di redditività e, sul versante del salario differito, la Previdenza recupero dell’inflazione pregressa. Il raggiungimento di integrativa che deve, tra l’altro, recuperare, in molte aziende, la tali obiettivi sarebbe già un grande passo in avanti per una differenza di contributo a favore dei giovani rispetto al livello adeguata tutela del salario dei lavoratori italiani, rispetto agli incrementi inflattivi del futuro. fin qui ottenuto per i più anziani. 5 [ il punto ] di Pietro Mariani Pietro Mariani, Segretario Naz. Fiba Cisl Al momento del passaggio del sistema della riscossione dalla gestione in regime concessorio a mezzo di società private per lo più appartenenti a gruppi bancari, a quello pubblico (Società Capogruppo di proprietà 51% della Agenzia delle Entrate - 49% dell’Inps) l’attenzione della Fiba e della Cisl si è incentrata soprattutto sull’impostazione organizzativa che si stava via delineando. Già alla presentazione del piano industriale furono evidenziate tutte le contraddizioni insite nel piano industriale che gli amministratori avevano predisposto per il Gruppo Equitalia. Da allora la Fiba Cisl ribadisce in tutte le occasioni ed in tutte le sedi competenti la necessità e l’opportunità di una scelta politica volta ad organizzare la riscossione mediante la costituzione di un’unica società nazionale. Tenendo presente che la legge di riforma individua la suddetta opzione come obiettivo, ancora oggi i responsabili del Gruppo Equitalia perseguono la strada della semplificazione del sistema mediante fusioni per incorporazione delle società esistenti. Obiettivo, secondo quanto affermato dell’amministratore delegato di Equitalia spa, è quello di passare da un numero di 47 soggetti addetti (ex società di gruppi bancari e, in numero ridotto, di concessionari privati) a 19 società costituenti il gruppo. Tale assetto non appare assolutamente funzionale in quanto tutte le decisioni vengono assunte a livello di capogruppo e le società debbono necessariamente allinearsi ed eseguire. I vari consigli di amministrazione, presidenti, amministratori delegati, direttori generali e le strutture amministrative sono di conseguenza soggetti senza alcuna autonomia e quindi meramente esecutivi. E’, pertanto, evidente che la vera semplificazione a vantaggio dell’efficienza e di una riduzione di costi strutturali si realizza con la costituzione di un’unica società avente articolazioni territoriali adeguate per l’assolvimento dei compiti istituzionali. Sicuramente l’impostazione che la Fiba sollecita per Equitalia spa non appassiona quei centri di potere che nominano presidenti, amministratori delegati e, a caduta, altri dirigenti con emolumenti assai interessanti, ma sicuramente dovrebbe richiamare l’attenzione della 6 politica e dei governanti che dovrebbero avere come scopo lo snellimento della macchina amministrativa con l’eliminazione di duplicazioni di spese a vantaggio dell’efficienza della pubblica amministrazione. Nel programma elettorale del governo in essere c’è la realizzazione del federalismo fiscale: tema di notevole peso per il rinnovo delle forme di democrazia organizzata del nostro paese. Sicuramente il dibattito sull’argomento sarà interessante, ma soprattutto non ne sarà semplice la realizzazione. Tante sono le opinioni politiche sull’argomento e certamente anche la maggioranza non avrà vita facile nel predisporre e fare approvare un progetto tanto ambizioso che al di là dei riferimenti ad assetti statuali federali di paesi assai più grandi e complessi dell’Italia, dovrà realisticamente tener conto della realtà italiana. Per quanto ci riguarda, ossia le ricadute che potranno esserci sul sistema della Riscossione per effetto dell’introduzione di un modello di federalismo fiscale, riteniamo che l’innovazione non comporterà la diversificazione dell’operatività all’interno dei confini nazionali. Il sindacato nel suo complesso e le diverse articolazioni associative che realizzano la democrazia nel nostro pese saranno in grado di contribuire al dibattito politico in maniera efficace. La Fiba oggi conferma che, impegno prioritario dato lo scopo istituzionale affidato ad Equitalia, la riscossione coattiva, attività che qualifica la società come un Ente pubblico strumentale, deve essere il presidio continuo dell’assetto organizzativo per salvaguardare il patrimonio umano e professionale degli addetti. L’ultimo rinnovo contrattuale, inoltre, ha realizzato per la categoria un ancoraggio reale e certo al settore del credito e, pertanto, la specificità categoriale rimane garantita anche nel nuovo assetto pubblico che il settore ha assunto. Grande attenzione, inoltre, dovrà essere posta al rinnovo della contrattazione aziendale, in particolare riguardo ai temi dello sviluppo professionale, della realizzazione di una adeguata formazione per tutte le lavoratrici e lavoratori e della redistribuzione della produttività aziendale. [ dalla confederazione ] a cura di Andrea Baccherini Patto sociale su lavoro e salari Sviluppo economico, taglio di sprechi e lotta all’evasione fiscale. E’ il triplice obiettivo del Patto sociale su lavoro e salari: una proposta rilanciata da Raffaele Bonanni in occasione del Comitato Esecutivo Confederale del 3 luglio scorso. La Cisl ha chiesto e continua a chiedere al Governo di contribuire al rafforzamento del secondo livello di contrattazione, incentivando il salario di produttività e di aumentare in modo significativo le detrazioni a favore di lavoratori e pensionati. C’è apprezzamento per alcune aperture da parte dei ministri Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi. Ma il Governo, insiste il numero uno della Cisl, deve rivedere la decisione di assumere l’inflazione programmata all’1,7%: una previsione insostenibile che rende molto difficile il confronto con Confindustria sulla riforma della contrattazione e compromette il ruolo dei contratti nazionali. A partire da quello del pubblico impiego. E a proposito, sulla riforma della pubblica amministrazione la Cisl esprime un dissenso netto poiché si interviene “da un lato su condizioni normative e salariali regolate dall’autonomia contrattuale e, dall’altro, sugli assetti e sul funzionamento nella logica di un modello unico e accentrato, dominato dalla politica e dalla legge”. No anche al taglio sommario degli organici che azzera le prospettive di sistemazione dei lavoratori precari e rinvia i processi di riorganizzazione delle amministrazioni. Bonanni apprezza il pacchetto fiscale del Governo e il cumulo tra redditi da lavoro e pensioni. Bocciate invece molte delle misure contenute nella manovra: dalla mancanza di interventi sul fronte degli investimenti e dei consumi al pacchetto Brunetta sulla pubblica amministrazione, alle scelte su scuola, istruzione e ricerca, sino ai tagli previsti per il Sud. Per la Cisl “occorre mettere in campo misure di crescita sul terreno degli investimenti e dei consumi, sacrificate nella manovra, tutta mirata al rispetto del ‘patto di stabilità’ comunitario, con gli obiettivi della progressiva riduzione del debito pubblico e soprattutto del pareggio di bilancio”. Il segretario generale della Cisl ribadisce l’apprezzamento per l’allarme lanciato dal Governatore della Banca d’Italia Draghi sugli stipendi. E torna a chiedere alla politica di concentrarsi sulle emergenze sociali ed economiche del Paese. Osserva ancora Bonanni: siamo in presenza di un Governo che ha una solida maggioranza e di una opposizione che deve ancora assestarsi. La legislatura insomma è lunga e il sindacato ha il dovere di fare proposte concrete e non trincerarsi dietro le parole d’ordine dell’antagonismo. Un messaggio diretto alla Cgil, alla quale Bonanni chiede di appoggiare la proposta del patto e di lavorare con convinzione alla trattativa sulla riforma del modello contrattuale. Un negoziato che “va a rilento ma va”. Ma ancora ieri Epifani ha avvertito: “Se i provvedimenti economici del Governo Berlusconi non cambieranno la Cgil non starà ferma. Anche se con Cisl e Uil non si dovessero trovare punti di incontro”. Dal documento finale del comitato esecutivo La Cisl ribadisce l’urgenza di un Patto sociale per la crescita e per valorizzare il lavoro sulla base della piattaforma unitaria…… Si tratta di negoziare con il governo: a) il rafforzamento del secondo livello del nuovo modello di contrattazione, in discussione tra le parti sociali, rendendo strutturale l’incentivazione del salario di produttività dei lavoratori privati e pubblici, acquisito con gli accordi aziendali o territoriali; b) la ”restituzione fiscale” a lavoratori e pensionati, aumentando in modo significativo le detrazioni, ed il sostegno alla famiglia, attraverso la dote fiscale per i figli e il fondo per la non autosufficienza, con le risorse della maggiore crescita del Pil e delle maggiori entrate da extragettito per la lotta all’evasione fiscale e al lavoro irregolare; c) la condivisione delle priorità degli investimenti infrastrutturali e la partecipazione delle forze sociali ai processi di riqualificazione della spesa pubblica, con particolare riferimento al funzionamento delle Pubbliche amministrazioni, a sanità, scuola, mercato del lavoro, riposizionando in questo modo anche la manovra 2009-2011. Occorre mettere in campo misure di crescita sul terreno degli investimenti e dei consumi, sacrificate nella manovra 2009-2011, tutta mirata al rispetto del ”patto di stabilità” comunitario, con gli obiettivi della progressiva riduzione del debito pubblico e soprattutto del pareggio di bilancio a fine triennio. [ libriamoci ] a cura di Anna Masiello La solitudine dei numeri primi Uno sguardo intenso in copertina, un titolo che rimane impresso, una bella storia, che ti prende dalle prime pagine e non ti molla più. I numeri- è proprio il caso di dirlo- questo libro li aveva tutti per diventare un grande successo ed infatti il passaparola lo ha fatto salire in testa alle classifiche, recensioni entusiastiche si sono avvicendate su tutti i giornali, e i riconoscimenti ufficiali non hanno tardato a d arrivare : migliore opera prima al Campiello e vincitore della sessantaduesima edizione del premio Strega. E’ la quarta volta in assoluto nella storia del premio Strega che la vittoria và ad uno scrittore esordiente. Prima di lui Flaiano nel 1947, La Capria nel ’61 e Barbero nel ’96. L’autore, giovane e pieno i talento, è un torinese di ventisei anni con l’ aria da primo della classe – confessa che a scuola bravo lo era per davvero- laureato in fisica teorica, musicista mancato, allievo della scuola di Holden. Anche se un po’ abusata, la metafora dei numeri primi, conserva sempre il suo fascino, divisibili solo per uno e per se stessi, i numeri primi sono diversi da tutti i numeri naturali che li circondano, sono anomali e solitari, mai consecutivi; quelli gemelli, al massimo della vicinanza sono sempre divisi da un numero pari, non si toccano mai. I numeri primi in questione sono Alice e Mattia, due personaggi che ci mettono poche righe a diventare persone, e poche pagine a sembrare conoscenti, due individui feriti, uniti da un legame speciale, personalità complesse, quasi borderline, che si muovono nel mondo con i loro pensieri ossessivi, le loro ferite fisiche e psichiche, i loro escamotage per controllare l’ansia del vivere. Sono due adolescenti che passano, attraverso varie fasi, dall’infanzia all’età adulta, le cui vite, segnate entrambi da un profondo dolore, scorrono parallele, all’inizio addirittura a capitoli alterni, si sfiorano senza davvero toccarsi, vicine ma distanti. La spinta propulsiva del romanzo viene dalle prime pagine, dalle vicende che li segnano nell’infanzia e con cui entrambi cercheranno di fare i conti per il resto della vita, vicende che verranno disciolte, lungo tutto l’arco della loro esistenza. La trama è interessante, si fa seguire, ma non è certo il punto 8 di forza del libro. L’originalità risiede nella capacità dell’autore di guardare la realtà con gli occhi delle sue creature, tutte con un dolore dentro, di fornirle di uno sguardo laterale sulle cose che solo l’estrema sensibilità procura, e nella capacità di esprimere quello che provano, sentimenti, debolezze, cattiverie, sensi di colpa con una verità, una intensità, una precisione quasi matematica, che rende la compenetrazione immediata e inevitabile. Altra caratteristica di rilievo è che il linguaggio e la scrittura si evolvono assieme ai protagonisti, in modo molto naturale, per nulla artefatto. I primi due capitoli, che presi da soli sono di per sé due racconti compiuti, sono molto semplici, come lo sono i pensieri dei bambini, andando più avanti nel libro e nell’età dei personaggi, la scrittura esprime via via riflessioni e sensazioni sempre più complesse, come in effetti accade nella realtà. Il tutto con asciuttezza di linguaggio, poche parole, solo quelle essenziali e necessarie, come sempre dovrebbe essere. Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondatori, Milano, 2008 [ libriamoci ] a cura di Anna Masiello I neuroni allo specchio Ci sono ancora punte di eccellenza nel nostro paese, a tutti i livelli, anche nella ricerca scientifica, ambito in cui ci si rammarica spesso di non avere grandi risultati e di non investire abbastanza. La scoperta dei neuroni specchio è una di quelle cose che fanno andar fieri delle intelligenze nostrane. E’ un ricerca tutta italiana, in quanto l’equipe dai cui esperimenti hanno avuto avvio gli studi su questo tipo particolare di neuroni è quella del prof. Giacomo Rizzolatti, dell’Università di Parma. Come in molti altri casi anche questa scoperta è stata dovuta al caso. Circa vent’anni fa durante un esperimento in cui i ricercatori del gruppo del prof Rizzolatti stavano studiando le reazioni dei neuroni dei macachi a determinate azioni legate ai movimenti della mano, si accorsero che certe risposte neuronali avvenivano nei macachi sia che l’azione, ad esempio di afferrare una banana, la compissero loro, sia che la vedessero compiere ad un altro. Come era possibile se fino a quel momento si era pensato che quei neuroni si attivassero solo per funzioni motorie? Da allora si sa che esistono, localizzati in precise regioni del cervello - non solo dei primati superiori, ma anche degli esseri umani- alcuni neuroni che si attivano sia per una azione reale che per una azione osservata, in cui evidentemente ci si immedesima totalmente. Si ribalta quindi il concetto di percezione passiva e azione attiva, la semplice osservazione non ha nulla di passivo, in quanto le cellule cerebrali interessate subiscono le stesse reazioni biochimiche. Da allora, erano gli anni ’80, si è indagato e scritto molto sulle conseguenze di questa scoperta, soprattutto nella comprensione di quella capacità intuitiva, che sperimentiamo ogni giorno e che comunemente chiamiamo empatia, di metterci nei panni dell’altro, di sapere quello che prova e di prevedere quello che farà. Sui neuroni specchio e tutta la interessantissima teoria che li riguarda è uscito di recente un libro scritto da Marco Iacoboni, docente all’Università di Los Angeles, l’ha scritto in inglese per il mercato americano e internazionale, noi beneficiamo dell’edizione italiana di Bollati e Boringhieri. Undici capitoli in cui l’autore spiega come funziona il meccanismo dello specchiamento, perché riusciamo a capire le intenzioni dei nostri interlocutori aldilà delle loro parole, perché solo ascoltando i suoni sappiamo cosa sta succedendo nella stanza attigua alla nostra, perché piangiamo quando vediamo un film, perché ogni volta che vediamo la scena della testata di Zidane a Materazzi proviamo la stessa sensazione, pur sapendo già cosa succederà. E’ un testo serio e rigoroso, ma a carattere divulgativo, facilmente leggibile, anche perché laddove il dettaglio del percorso sperimentale a supporto dei concetti espressi eccede, da lettori consapevoli e liberi (memori anche del decalogo di pennacchiana memoria) ci concediamo di saltare a piè pari, a beneficio di argomenti di maggiore interesse, come le ricadute di queste scoperte sugli studi delle interazioni psicocomportamentali e relazionali tra gli individui che questa teoria comporta, ne e ce ne sono tanti. Marco Iacoboni, I neuroni specchio, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. Indovina dall’incipit “Senza togliere la mano dalla manopola sinistra vedo dal mio orologio che sono le otto e mezza. Il vento, anche a cento all’ora, è caldo e umido. Chissà come sarà nel pomeriggio, se già alle otto e mezza c’è tanta afa. ” Inviare la soluzione a [email protected]. Sarà pubblicato il nome del primo lettore che indovinerà la risposta esatta. La soluzione al quesito del numero precedente è “Marcovaldo ” di Italo Calvino. Il lettore che ha risposto per primo, dei tanti che hanno indovinato, è Lorenzo Bussi di Portogruaro. Grazie a tutti! [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Giulio Romani Giulio Romani, Segretario Naz. Fiba Cisl Per mantenere il valore delle retribuzioni occorre cambiare il modello di contrattazione aziendale. La diffusa e giustificata preoccupazione sulla capacità d’acquisto dei lavoratori dipendenti, induce la necessità di fare alcune riflessioni sulle prospettive della nostra retribuzione e su quali debbano essere le scelte negoziali da fare, per incrementarne il valore nel tempo. Comincerei da due osservazioni di fatto, che non mi dilungo a giustificare ritenendole un punto di partenza già da tutti ampiamente condiviso: - la retribuzione totale di un lavoratore bancario è sempre di più composta anche da trattamenti (contrattati o no) che hanno origine in azienda; - l’esperienza degli anni passati ci suggerisce che l’equazione “+ profitti per l’azienda = + salario per i lavoratori” non si è adeguatamente realizzata. Partendo da questi due assunti e provando a dare ordine alla riflessione, occorre quindi scindere le due componenti della retribuzione: nazionale e aziendale. Gli aumenti retributivi nazionali sono dal 1993 legati all’andamento dell’inflazione e questo meccanismo ha consentito, per molto tempo, una sufficiente tenuta del potere d’acquisto. Il buon funzionamento di questa forma di adeguamento degli stipendi al costo della vita si fonda su due presupposti: - la puntualità nei rinnovi contrattuali; - una corretta politica di previsione dell’inflazione da parte del Governo, che stabilisca una “programmata” più realistica possibile, riducendo al minimo la necessità di conguaglio a fine contratto. Facendo autocritica, devo rilevare che nell’ultimo quindicennio il primo requisito è, per molte ragioni, mancato. Gli effetti negativi dei ritardi sono stati però mitigati da un trend inflattivo prevalentemente calante e dalla brevità dei periodi di riferimento (due anni). Con la triennalizzazione degli aumenti economici, sancita nell’ultimo ccnl, diventa quindi inderogabile il rispetto rigoroso delle scadenze, tanto più che, diversamente dal passato, negli ultimi mesi, l’inflazione ha ricominciato a crescere in modo preoccupante. Ma, aldilà della contingenza attuale, resta da risolvere la contraddizione tra l’inflazione cosiddetta “percepita” e quella misurata dall’Istat, come più volte denunciato dalle confederazioni sindacali. 10 È ovvio che il perdurare di una significativa divaricazione, tra ciò che la gente misura al supermercato e ciò che l’Istat misura nei suoi uffici, potrebbe portare alla necessità di superare, almeno in parte, l’accordo del ’93. La partita più importante è però quella del livello aziendale. Se è vero, infatti, che la componente salariale aziendale è perlopiù legata ai risultati e che, ciononostante, la crescita dei profitti delle imprese non ha avuto una proporzionale corrispondenza sulle retribuzioni dei lavoratori, allora occorre rapidamente adeguare anche l’impostazione del confronto decentrato. Anche in questo caso due sono le questioni sul tavolo: - negoziare meglio ciò che finora abbiamo negoziato (premi di produttività); - negoziare anche ciò che sino ad oggi non abbiamo potuto negoziare. In quest’ottica si può parlare di passaggio da contrattazione integrativa a contrattazione complementare. Cito dal dizionario. Integrativo: che serve ad aggiungere; si dice di ciò che completa, aggiungendo i quantitativi mancanti a cose della stessa tipologia. Complementare: che serve a completare; si dice di cose, aventi diverse caratteristiche, che si completino a vicenda. La retribuzione nazionale ha due caratteristiche fondamentali che la identificano: la stabilità e l’universalità. Entrare nell’ordine di idee che il secondo livello debba essere complementare significa, di fatto, accettare che alcune delle forme di retribuzione che concorrono a comporre l’insieme possano non possedere, in tutto o in parte, queste caratteristiche. Credo che proprio questo sia il punto. La contrattazione decentrata si è concentrata, fino ad oggi, soprattutto sui premi di produttività, tendendo, il più possibile, a consolidarne la quantità nella retribuzione fissa. L’assimilazione dei premi di produttività alle voci stipendiali ha, però, determinato che la crescita degli stessi risultasse disgiunta dal reale andamento aziendale e, piuttosto, connessa alla crescita delle retribuzioni ordinarie, subendo pertanto un progresso inferiore a quello dei bilanci delle imprese. L’atteggiamento dei negoziatori è stato, nel tempo, di tipo [ focus - Le tasche dei lavoratori ] integrativo: aggiungere denaro alla retribuzione del ccnl cercando di stabilizzarne le quantità, quasi a costituire una sorta di “quattordicesima”. La complementarietà presuppone, invece, che il premio di produttività non sia omogeneo alla retribuzione ordinaria, avendo altre caratteristiche, che derivano dalla sua natura: il legame con i risultati aziendali e, quindi, la mancanza di stabilità. Ma tale mancanza costituisce un’opportunità rispetto alla possibilità di ottenere dinamiche di crescita che, se correttamente ancorate alle performance aziendali, non avrebbero i limiti percentuali di quelle nazionali e potrebbero, quindi, raggiungere livelli molto superiori, come dimostrato dai dati storici. Le opportunità insite nella complementarietà sono ancora più evidenti se riportate alle voci retributive che sino ad oggi sono rimaste nella totale discrezionalità delle aziende (incentivi, patti di stabilità, bonus di entrata, ecc.). La pretesa di rendere queste fattispecie, di fatto, integrative della retribuzione nazionale è alla base dell’impossibilità di avviare un vero confronto con le imprese. La natura prevalentemente individuale (o, comunque, legata ai risultati di una “squadra”) di queste voci le rende infatti incompatibili con una pretesa di universalità, così come il legame con i risultati raggiunti tempo per tempo ne rende impossibile la stabilità. Si tratta di oggetti diversi rispetto ai quali occorre ragionare in modo diverso, comprenderne e legittimarne la finalità, al fine di partecipare alla loro determinazione. All’uopo mi soccorre un paragone recentemente ascoltato da un caro amico: da sempre il principale strumento utilizzato dalle imprese per esercitare la propria discrezionalità nel riconoscere “denaro e soddisfazioni” ai lavoratori è la promessa di carriera. Analizziamola: alta discrezionalità nella concessione, attribuzione individuale, contenuto economico potenzialmente elevatissimo. Come gli incentivi…, ma, per il momento, con una fondamentale differenza: gli inquadramenti, i percorsi professionali e , quindi, le carriere sono diventati, nel tempo, almeno in parte, oggetto di contrattazione. All’origine le organizzazioni sindacali aziendali agirono sul piano dell’integrazione, aumentando il numero degli automatismi. Ma con la revisione dei processi organizzativi ed il venir meno delle “carriere automatiche”, furono capaci di elaborare progetti di inquadramento che si ponevano nella logica della complementarietà rispetto ad una base retributiva universale. Su questo tema, dunque, le oo.ss. si misero in gioco e si misurarono (e ancora oggi continuano a farlo, perché il percorso non si esaurirà mai) su un terreno che non era nella loro tradizione e che comportava fare accordi comunque parziali nel regolare la materia, che non potevano in ogni caso escludere un margine significativo di discrezionalità aziendale. Ci volle coraggio, allora, per incamminarsi su una strada che oggi consente trasparenza e certezza per una quota significativa di avanzamenti e quindi di incrementi retributivi. Altrettanto coraggio ci vorrà per affrontare nel prossimo futuro, con lo stesso spirito, il tema dei sistemi premianti. Noi oggi sappiamo che anche la capacità del sindacato di regolare, seppur parzialmente, il sistema delle carriere ha indotto le banche a spingere sugli incentivi, sostituendo in parte con essi la promessa di promozione. È per questo che dovremo acquisire la capacità di misurarci su questo terreno con maggior convinzione, coinvolgendo i lavoratori nell’elaborazione e nel sostegno della nostra proposta e accettando, tuttavia, che l’obiettivo sia da graduare nel tempo. Sarà, dunque, questo il nostro muovo orizzonte: la contrattazione complementare. 11 [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Angela Cappucini La Cisl chiede un Patto per la crescita. Il monito di Draghi. Il rapporto Ocse. L’attività economica cresce appena, i consumi e gli investimenti ristagnano, il ritmo di aumento dei prezzi sui dodici mesi raggiunge il 4%, il valore più elevato dalla metà degli anni ’90, l’inflazione al 3,8% erode quotidianamente il potere di acquisto di salari e pensioni. “C’è un emergenza sociale – ha dichiarato recentemente il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni – il governo convochi subito tutte le parti sociali e affronti il tema della ripresa dei consumi con una terapia d’urto attraverso una alleanza tra tutti i soggetti responsabili. I consumi sono bassi perché gli stipendi e le pensioni sono troppo bassi. Per questo ribadiamo l’urgenza di un Patto sociale per la crescita.” A lanciare l’allarme, recentemente, anche il governatore della Banca D’Italia, Mario Draghi: “Stipendi e salari perdono potere d’acquisto, è minacciata la tranquillità dei risparmi. I salari sono tornati ai livelli di 15 anni fa, ma i costi del lavoro per le imprese italiane sono cresciuti del 30%:” L’autorevolezza del nostro governatore imprime un forte impulso alle tesi del sindacato che ha in corso con il Governo la diatriba sull’inflazione programmata. Infatti, è inaccettabile che il potere esecutivo insista nell’indicare un’inflazione prevista dell’1,7%, quando già è ufficiale che l’inflazione viaggia attorno al 4%. Pertanto, non solo stipendi e salari vengono nei fatti decurtati, come sostiene Draghi, ma addirittura falcidiati per la furbesca impostazione del governo. E bisogna dire che l’allarme della Banca d’Italia è suonato da tempo: a ottobre del 2007, ad un Prodi ormai infiacchito dalle liti interne, aveva ricordato che ormai da otto anni le retribuzioni mensili nette italiane sono in media inferiori del 10% a quelle tedesche, del 20 a quelle inglesi, e del 25 a quelle francesi. Il differenziale cresce in misura inversamente proporzionale all’età: più sei giovane, meno guadagni. Poi, a maggio di quest’anno a Berlusconi fresco di nomina ha ricordato che “la definizione di un percorso pluriennale di riduzione di alcune importanti aliquote d’imposta migliorerebbe le aspettative delle famiglie.” L’accusa che Bankitalia muove al Dpef e alla Fiananziaria è quindi “che resta troppo elevata la pressione fiscale. E’ ora di introdurre quanto prima riduzioni delle aliquote d’imposta, soprattutto quelle gravanti su lavoratori e imprese”. Che la corsa dell’inflazione stia neutralizzando gli aumenti salariali che i lavoratori italiani si sono trovati in busta paga nei primi quattro mesi 2008 lo rivela anche la seconda edizione 12 MEL CANTO & MEL SUONO All’alba della Nuova Legislatura una task-force di economisti progetta di riempire le tasche degli Italiani (o almeno di coloro che non dichiarino di averle già piene). Gli strateghi della finanza sociale hanno in cantiere alcune misure ad alto contenuto di innovazione e di forte impatto. Eccone alcune anticipazioni: 1) La riforma del calendario. I mesi raddoppieranno di numero e avranno una durata di 15 giorni, in considerazione del ridotto potere d’acquisto degli attuali stipendi. La geniale misura affronta il disagio psico-esistenziale di chi non può arrivare alla fine del mese. 2) La campagna del grano. A mesi alterni, quando sperimenteranno la mancanza di grano, gli Italiani saranno impegnati a dissodare orti e aiuole condominiali. Circondati da messi biondeggianti, essi apprezzeranno il ritorno ai valori di un tempo. Trasuderanno soddisfazione troneggiando a torso nudo sui trattori di quartiere o improvvisando bucolici cori a voci alterne, durante la spigolatura cittadina. 3) La tessera annonaria. Tale inedito calmiere sarà testato in alcune città-campione. Gli abitanti di Roma sgomiteranno per assicurarsi l’esclusivo, segreto gusto della cicoria: quella contenuta nelle generose razioni di caffè autarchico dispensate dallo Stato. 4) Le passeggiate collettive. L’opposizione parlamentare le definisce sprezzantemente “ronde”. La verità è che, in una società che ha smarrito la sua identità collettiva, occorre favorire i processi di aggregazione. E così alla sera, dopo il lavoro dei campi, le persone potranno percorrere insieme strade e vicoli, munite di strumenti agricoli (falci, vanghe e badili) atti a dimostrare ai più riottosi la superiore bellezza del ritrovato stile di vita. 5) La politica ricreativa e il salvataggio dell’Alitalia. Non può dirsi completo un piano di riforme sociali che ignori due cose che stanno molto a cuore agli Italiani: l’attività ricreativa e il salvataggio dell’Alitalia. La proposta è di riaprire le case chiuse, garantendo ristoro e soddisfazione ai cittadini al termine di una giornata di duro lavoro. Ma il vero colpo di genio è situare le stesse sulle rotte degli aerei della Compagnia di bandiera. Da proiezioni statistiche risulta infatti che l’installazione del “servizio” a bordo sulla sola tratta Napoli-Milano basterebbe a risollevare in un solo anno i destini dell’Alitalia. 6) La poligamia delle sfigate. Per quelle donne che, nonostante le mille occasioni di lavoro, non riuscissero a trovare mezzi di sostentamento, si favorirà (mediante Agenzie di Stato) la ricerca di ricchi partner da sposare. Difficilmente il Premier potrà ottemperare in prima persona al “Patto con le Italiane”; è dunque pronta al varo una riforma concordataria che introdurrà sperimentalmente la poligamia femminile. Che varrà nei soli casi in cui il reddito documentabile dal marito sia inferiore alla soglia di voracità femminile. A Milano è già operativa l’Onlus assistenziale “L’ harem di via Montenapoleone”. Domenico Iodice Consumi in calo: la voce dei lavoratori del nono Rapporto sulle retribuzioni in Italia realizzato da Od&M Consulting, che ha messo in fila la dinamica salariale dei primi quattro mesi dell’anno per operai, impiegati, quadri e dirigenti. Se confrontate con il primo quadrimestre del 2007, le quattro categorie presentano variazioni tendenziali differenziate, comprese tra il +2,8% degli stipendi degli impiegati e il +5,6% per quelli dei dirigenti. Un’accelerazione della dinamica retributiva che, tuttavia, è insufficiente per pareggiare il costante andamento al rialzo dei prezzi al consumo. Di recente è stato l’Ocse, nel suo Rapporto annuale sull’andamento del mercato del lavoro, a evidenziare che in Italia la crescita dei salari risulta particolarmente bassa: il salario medio da lavoro dipendente è del 13,8% inferiore rispetto alla media dell’area dell’euro: se nell’Ue-15 la busta paga annuale ammonta a 34.651 dollari, in Italia è pari a 29.844 dollari ( il 13,8% inferiore rispetto alla media). Si tratta di dati riferiti all’anno 2006, i tecnici dell’istituzione parigina spiegano che i paragoni vanno effettuati utilizzando i dati ricalcolati a “parità di potere d’acquisto”, e che il gap italiano riflette due grandi questioni: la maggior percentuale di lavori a bassa qualifica - statisticamente ‘gonfiata’ negli anni scorsi dalle maxi regolarizzazioni di immigrati - ma anche la cronica bassa crescita della produttività, a cui si assiste in Italia da circa 10 anni. I salari italiani sono lievemente superiori a quelli spagnoli, greci o portoghesi, ma decisamente più bassi se comparati a quelli americani, inglesi, tedeschi e francesi, per non parlare di quelli svizzeri e dei paesi del Nord Europa. Il rapporto Ocse colloca dunque l’Italia in un virtuale 18° posto nella classifica delle buste paga dei paesi più sviluppati. Nella capitolo dedicato al nostro paese, l’Ocse ha poi scelto di dare rilievo ad alcuni problemi cruciali del mercato del lavoro italiano: negli ultimi anni l’Italia è riuscita a conseguire “considerevoli miglioramenti” sul fronte della disoccupazione, che è calata ai minimi da oltre 25 anni, ma i punti dolenti del suo mercato restano tutti da risolvere: la partecipazione generale resta tra le più basse dei paesi avanzati, in particolare sulle donne e sui giovani, che incontrano grandi difficoltà a trovare la prima occupazione. In più ora, mentre il rallentamento dell’economia mette e rischio i progressi compiuti, emerge anche un preoccupante aumento dei disturbi mentali legati al lavoro, come stress, ansia o insonnia. E aumenta il numero degli insoddisfatti aumenta più rapidamente rispetto agli altri paesi. La notizia era nell’aria, anticipata da tutti bollettini statistici degli ultimi mesi, ora l’ufficialità: nel 2007 le famiglie italiane hanno speso meno che l’anno precedente. La spesa in termini nominali è rimasta ferma – 2.480 euro mensili, lo 0,8% in più rispetto al 2006 – ma quella reale, al netto dell’1,8% dell’inflazione, è diminuita. Ed è la prima volta dal 2002 che accade. Gli italiani comprano meno prodotti o scelgono quelli di qualità inferiore per risparmiare. Le spese per gli alimentari sono ferme, crescono solo quelle incomprimibili, come sanità e casa. In calo pronunciato l’acquisto di abbigliamento e calzature, e la quota di spesa per combustibili ed energia. Ma come vivono questa stagione di crisi i lavoratori del nostro settore? Riccardo, Intesasanpaolo Roma: gli italiani più che non spendere, sono indebitati…nella mia famiglia già da anni abbiamo dovuto ridurre i consumi, a parte quelli alimentari. Basti pensare che nelle bancarelle, prima tutto era a mille lire, ora ad 1 euro: è tutto raddoppiato, tranne i salari…Non ho più fiducia, né nel governo, né nel sindacato. Il tavolo sulla riforma della contrattazione arriva con 10 anni di ritardo… Francesco, Banco di Napoli Bari: la crisi incide pesantemente sui miei consumi, perché il salario non si adegua alla crescita dei costi generata dall’inflazione reale. Ultimamente io e mia moglie ( anche lei lavora) abbiamo rinunciato a comprare una macchina, perchè costava troppo in termini di spese di manutenzione e di gestione. Quest’estate non andremo in vacanza, ci accontenteremo di qualche week end. Abbiamo ridotto le spese per l’abbigliamento, prima andavamo in negozi di marca, ora frequentiamo Stock house e grande distribuzione. Il governo scorso, nel momento in cui stava per varare una manovra ad hoc è caduto, quello attuale finora ha varato provvedimenti a scarsissimo impatto, come la detassazione dello straordinario di cui beneficiano fasce esigue di lavoratori. Affrontare questo problema e porre qualche rimedio a questa situazione penso che sia il vero banco di prova per salvaguardare la credibilità e la compattezza del sindacato nei prossimi anni. Alessandro, Grupama Roma: ho dovuto ridurre di circa il 20% i miei consumi e tra i tagli effettuati al momento ho rinunciato agli optional, come ad esempio Sky. Non ho fiducia nel governo, ma spero nel tentativo del sindacato di un patto per lo sviluppo e la crescita. Tiziana, Intesasanpaolo Torino: la crisi inizia a pesare. Mio marito è ristoratore e il suo settore è molto in crisi. In famiglia abbiamo eliminato il superfluo, a partire dai week end fuori. Poi le cene al ristorante e in pizzeria, gli abiti firmati, l’estetista, tecnologie e giochi, sport per il figlio. Da quando c’è l’euro la spesa è raddoppiata e i salari no. Non alcuna fiducia nel governo e nei politici in genere, di qualsiasi parte essi siano. Ho poca fiducia anche nel sindacato, penso che non possa incidere più di tanto… Gennaro, Napoli: la mia è una famiglia monoreddito per cui ha risentito della crisi in modo particolare, abbiamo dovuto abbandonare l’appartamento che avevamo in affitto e andare a vivere con i genitori. Io e mia moglie abbiamo ridotto tutte le spese cosiddette superflue: nessuna uscita a cena, o viaggi, ma alla nostra bambina cerchiamo di non far mancare nulla. Ritengo che sia un problema di potere d’acquisto dei salari. Non ho nessuna fiducia nel governo, e ripongo invece qualche speranza nel sindacato che può sicuramente fare qualcosa per noi lavoratori. (A.C.) [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Pier Luigi Ledda Pier Luigi Ledda, Resp. Dipartimento CIFR Fiba Dai subprime all’impennata dei prezzi del greggio e delle materie prime. L’onda lunga della crisi nata nell’estate scorsa dai mutui subprime, che non ha certo esaurito i suoi effetti negativi come emerge dallo stato di salute delle banche europee, è stata affiancata da un’altra crisi globale che ha portato all’impennata dei prezzi delle derrate alimentari e del petrolio. In particolare il costo dell’”oro nero” è lanciato in una crescita esponenziale che non sembra avere fine. Infatti, in un tempo reativamente breve (60 mesi), è passato dai 35 dollari al barile del 2003 ai 65 del 2007, sino a toccare i 146 nella metà di luglio 2008. La sua corsa non sembra arrestarsi avvalorando la profezia della banca Goldman Sachs circa il raggiungimento dei 200 dollari al barile. Intanto gli italiani fanno i conti con il pieno del carburante sempre più caro e, soprattutto con l’approssimarsi dell’inverno, faranno i conti con una bolletta energetica sempre più pesante. Gli economisti di tutto il mondo discutono circa le cause che hanno concorso a determinare questa situazione e sulle ricette utili a contenere gli aumenti e stemperare il prezzo del greggio e delle altre materie prime. I dati dell’International Energy Agency (Iea) riportano che nel 2007 la domanda mondiale di petrolio è stata lievemente superiore rispetto all’offerta determinando un calo nelle scorte private nei principali Paesi. È quanto emerge dal bollettino economico della Banca d’Italia di aprile nel quale si sostiene che le cause delle tensioni sul mercato del petrolio sono molteplici. In primo luogo la rapida espansione della domanda nelle economie emergenti: in pratica i continui rialzi sono la diretta conseguenza della crescita della domanda proveniente dalle superpotenze asiatiche, Cina ed India, che con milioni di nuovi consumatori che accedono al benessere economico, sono la causa di fondo dell’incremento dei costi di tutte le materie prime. Vanno poi considerati l’aumento nei consumi provenienti dagli altri Paesi, Russia e Brasile in testa. Si aggiunga come la stessa Indonesia, uscita dall’Opec in quanto le sue esigenze di greggio superano la produzione interna, da Paese esportatore si è trasformato in Paese importatore. Un secondo fattore di tensione è poi rappresentato dalla limitata elasticità dell’offerta dovuta al duplice effetto contenimento dell’attività estrattiva dal cartello dell’Opec (ridimensionata ai livelli del 14 2006) / difficoltà ad ampliare la produzione dei produttori non appartenenti al cartello, considerato che la costruzione di nuovi impianti richiede costi rilevanti nelle attività di sviluppo e ricerca nonché tempi di realizzazione molto lunghi. Allo stesso tempo, sempre nel bollettino della B.I., non trovano conferme le ipotesi di una correlazione tra l’aumento del costo del greggio, la debolezza del dollaro, l’andamento dei mercati finanziari. Nonostante ciò, da quanto si legge sulla stampa, la tesi sulla speculazione trova molti sostenitori. In molti condividono l’analisi di Soros che sostiene che i futures del petrolio siano la nuova bolla speculativa tanto che al Nymx i contratti di futures sul petrolio movimentano un miliardo di barili al giorno (virtuali) mentre la produzione del greggio è di 85 milioni di barili al giorno e la quantità di carta finanziaria scambiata sia immensamente superiore al consumo mondiale. Nel suo intervento all’assemblea annuale dell’Abi, lo stesso Governatore della Banca d’Italia ha affermato che la speculazione finanziaria ha inciso sull’incremento del prezzo del petrolio per almeno un 20%. Di conseguenza è facile cadere nella tentazione e teorizzare un accostamento alla vicenda dei mutui subprime. Un fatto è certo, i subprime ci hanno messo di fronte ad una spirale di perdite che sembra senza fine e che ha coinvolto diverse istituzioni finanziarie andando oltre i titoli legati ai mutui a rischi subprime e riguarda larghe aree del credito. La scarsa liquidità e la crisi del credito che ne è derivata ha determinato in questi tre anni la crescita del costo del denaro nonostante la Bce non avesse variato i tassi dal giugno del 07 sino al luglio del 2008 (dal 4% sono passati al 4,25%). A spingerre in alto il costo dei mutui ci ha pensato l’Euribor, il parametro cui le banche ancorano le variazioni dei tassi sui mutui. In ogni caso per i cittadini e per i lavoratori la corsa del prezzo del greggio, il notevole rincaro delle materie prime e la crescita dei tassi sui mutui rappresentano un grosso problema e alimentano, una crisi ben lontana dall’essere risolta e che frena le economie occidentali. La Fiba e la Cisl seguono da tempo questi temi ed hanno in cantiere un iniziativa che si terrà in autunno a Roma su “Crisi e riforma dei mercati finanziari: nuove regole per un economia socialmente responsabile”. [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Alberto Berrini Introduzione Gli anni della crescita senza inflazione sono ormai un ricordo. Al contrario lo spettro della stagflazione (recessione + inflazione) anni ’70 rischia di divenire sempre più reale. All’origine di questa congiuntura c’è la lunga espansione monetaria, che, partita dagli Stati Uniti (almeno dal 2003) e allargatasi al resto del mondo, ha stimolato per anni la domanda globale e la speculazione finanziaria. “L’esperienza dell’inflazione degli anni ’70 aveva convinto della necessità di dedicare la politica monetaria al controllo dell’inflazione, rinunciando a cercare di gestire il ciclo economico attraverso la variazione dei tassi di interesse. (…) Con Greenspan, il banchiere centrale sembrava aver realizzato il miracolo di riprendere una piena discrezione nella gestione dei tassi di interesse senza perdere il controllo dei prezzi né destabilizzare l’economia. In realtà, ora si comincia a capire che l’inflazione era mantenuta bassa dalla concorrenza dei Paesi emergenti sul mercato dei beni, mentre la politica monetaria espansiva della Fed sosteneva i consumi e la crescita americana grazie all’aumento dei corsi azionari e del prezzo delle case”. (S. Micossi, Il tempo darà ragione alla prudenza di Trichet, Il Sole 24 Ore – 05.10.2007). Dello scoppio della bolla immobiliare e finanziaria (=crisi subprime) ci siamo già occupati in un precedente articolo. Analizziamo ora il “versante reale” della crisi ossia delle pesanti pressioni inflazionistiche attualmente presenti sui mercati delle commodoties, in particolare dei beni alimentari. Sembra un’altra storia rispetto alla crisi subprime. In realtà è l’altra faccia di una stessa medaglia: un paradigma economico che non funziona più. I dati Secondo l’ultimo rapporto della Fao (11.04.08) la bolletta cerealicola delle nazioni povere aumenterà del 56% nell’annata 2007/2008. (Nell’annata 2006/2007 era già salita del 37%). Questo significa che molti Paesi importatori non potranno pagare il cibo di cui hanno bisogno. I prezzi alimentari mondiali sono cresciuti del 45% negli ultimi nove mesi. In particolare, secondo i dati della Banca Mondiale, dal 2005 al 2007 il grano è aumentato del 70%, i cereali dell’80% ed i prodotti caseari del 90%. E questi tre elementi assieme costituiscono la base dell’alimentazione della grande maggioranza della popolazione mondiale, soprattutto nei Paesi del Sud del mondo. In proposito, il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick ha dichiarato: “Se si calcola che i poveri spendono in media il 75% del proprio reddito per il cibo, e che solo il costo del riso è aumentato negli ultimi due mesi del 75%, si constata come per i più deboli sopravvivere sia difficile”. La conclusione è che questo carovita globale rischia di far diventare ancora più poveri 100 milioni di persone che vivono nei Paesi a basso reddito e di rialzare dal 3% al 5% il tasso di povertà della popolazione mondiale. Ed i prezzi a breve non potranno tornare ai livelli precedenti perché i costi della produzione sono oggi più elevati e per qualche anno ci sarà la necessità di ricostituire le riserve. Quindi, anche in assenza di eventi atmosferici sfavorevoli, si può solo sperare che i prezzi dei beni alimentari rimangano ai livelli attuali. [ focus - Le tasche dei lavoratori ] Nel frattempo le “rivolte per il pane” hanno messo in subbuglio Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Etiopia, Indonesia, Madagascar, le Filippine e Haiti. In Pakistan e Thailandia è intervenuto l’esercito per scongiurare l’assalto a campi e magazzini alla ricerca di cibo. La crisi alimentare riguarda per ora 37 Paesi nel mondo. E “le rivolte per il pane non si fermeranno se i Paesi ricchi non faranno un passo indietro di almeno 20 anni per correggere politiche di sviluppo errate”. Sono le parole del direttore della Fao Jacquef Diouf che ci introducono al tema del perché si è arrivati ad una tale situazione. Le cause Questa “trappola malthusiana” contemporanea, in cui le risorse alimentari prodotte dal pianeta non sono sufficienti ai bisogni di una popolazione che cresce in numero e ricchezza, non è certo un problema transitorio ma un problema strutturale destinato a permanere nel tempo. Da qui il caro prezzi le cui cause sono schematizzabili nei seguenti punti. Gasolio e fertilizzanti: L’impennata dei prezzi del gasolio particolarmente utilizzato in agricoltura, e di quelli fertilizzanti, hanno inciso sui listini dei prodotti alimentari. Infatti il carburante e i fertilizzanti, anch’essi ricavati dal greggio, rappresentano il 25-30% dei costi di un agricoltore. Vi è poi il costo delle spedizioni, dei macchinari e di tutta l’infinita catena che dipende dal greggio. Siccità: Il clima ha fortemente influito sulla produzione. Recentemente si è verificata infatti la peggiore siccità da cento anni a questa parte. Carne: A causa del generale miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi emergenti è aumentato il consumo di carne e di conseguenza sono aumentati anche i costi dei mangimi. La produzione di un chilogrammo di carne ne implica otto di produzione di mais. Biocarburanti: L’utilizzo del mais per produrre biocarburanti ha ridotto in misura considerevole le risorse alimentari e provocato un innalzamento dei costi. Futures: E’ aumentata la speculazione sui futures per l’acquisto di beni alimentari. E ciò ha contribuito ad innalzare i prezzi. Infatti è in luoghi come il Chigago Mercantile Exchange che 16 “uomini in divise colorate si scambiano ordini di acquisto per tonnellate di grano, oceani di soia e orde di suini, senza nessuna intenzione di comprarli per davvero. Proprio come succede al petrolio del New York Mercantile Exchange, il prezzo dei futures è basato sulle aspettative e le aspettative sulla produzione di greggio e di mais sono tutt’altro che sovrabbondanti”. (M.Magrini, Effetto domino sui raccolti, Il Sole 24 ore, 26.04.08). Così commenta De Cecco: “Quelli che manovrano i loro poderosi computer in uffici situati nei palazzi di vetro-cemento e acciaio delle principali piazze finanziarie non sono più personaggi remoti. Il grande pubblico occidentale si accorge a un tratto della loro esistenza, e non si diverte al pensiero che a causa loro dovranno sentire un po’ più freddo o fare un po’ meno chilometri con le loro auto o spendere di più per pane e pasta. Con la loro azione gli uomini nelle torri di vetro dei grandi centri finanziari determinano anche il destino di coloro che, nei Paesi poveri, sono in bilico tra la vita e la morte. Il prezzo del pane per sfamarsi e del cherosene per cucinare e riscaldarsi dipende anche da loro”. (Il Capitalismo delle bische, Affari e Finanza, 09.11.07). La risposta del mercato Un primo rimedio è quello che fa riferimento ai meccanismi automatici del mercato. Sicuramente l’aumento dei prezzi spingerà positivamente sulla produzione, per cui l’operare della legge della domanda e dell’offerta nel medio periodo dovrebbe portare alla riduzione dei prezzi. Ovviamente a parità di tutte le altre condizioni (ceteris paribus come dicono gli economisti) cioè a condizione che non intervengano altri fattori come per esempio degli eventi climatici sfavorevoli. Il problema è che esistono “distorsioni” che possono ostacolare questa reazione positiva del mercato. In primo luogo le restrizioni delle esportazioni da parte di alcuni Paesi per evitare che ci sia un eccesso di produzione di taluni prodotti. Ciò implica infatti una riallocazione troppo brusca di risorse a favore del settore agricolo a danno di altri settori e il pericolo di un effetto boomerang di ritorno in caso di inversione di tendenza della domanda. Un esempio per tutti è quanto sta facendo l’Argentina per la produzione di carne. Ciò determina ovviamente una reazione più lenta del mercato all’innalzamento dei prezzi. [ focus - Le tasche dei lavoratori ] E’ l’esatto contrario di ciò che avviene nel caso dei sussidi che rappresentano l’altro tipo di distorsione che desideriamo mettere in evidenza. Un primo caso è rappresentato da politiche che incentivano le colture agricole per la produzione di carburanti che non inquinano e contribuiscono all’autosufficienza energetica dei singoli Stati. Ma al di là dell’efficacia nel raggiungimento di tali obiettivi, è evidente che ciò implica la riduzione della produzione di altri tipi di cereali che invece servono per l’alimentazione. L’esempio più eclatante sono i sussidi per l’etanolo in Usa. Questi spostano la produzione dal mais alla soia, la cui produzione è al massimo negli ultimi trent’anni. Ciò determina un aumento del prezzo del mais mondiale e di tutti quegli alimenti (per esempio alcuni tipi di carne) la cui produzione dipende più o meno direttamente dalla disponibilità di tale prodotto agricolo. Un secondo caso di sussidio si concretizza nelle costosissime e spesso deleterie politiche di protezione dell’agricoltura dei Paesi industrializzati. Nate a sostegno dei produttori del Nord in periodi di bassi prezzi oggi non hanno più senso. Finiscono per danneggiare i consumatori e contemporaneamente non permettono agli agricoltori più efficienti di rispondere all’aumento della domanda di mercato. In definitiva sono una forma di “dumping occidentale” a danno dei Paesi poveri dal sapore etico assai amaro. Mentre un miliardo di persone nel mondo oggi vive con un dollaro al giorno, in Europa ogni vitello che nasce riceve circa un paio di dollari al giorno di sussidio. Conclusioni Dunque il mercato da solo non basta anzi a volte le distorsioni provengono proprio dal suo interno come si è visto nel caso dei “futures”. Piuttosto il caro-cibo richiede interventi di lungo periodo ed una modifica radicale delle prospettive di politica economica. L’insufficiente offerta di prodotti agricoli a livello globale è figlia di dieci anni di prezzi bassi che hanno prodotto non solo politiche economiche distorte ma anche e soprattutto investimenti scarsi. La ricetta della Fao è chiara: “occorre sostenere gli agricoltori poveri, garantire loro l’accesso ai fattori produttivi e ai prodotti alimentari. Fornire loro tecnologie più efficienti. Per raggiungere tali traguardi i Paesi donatori e le istituzioni internazionali dovranno accollarsi aiuti per 1,2 – 1,7 miliardi dollari. Ieri la Fao ha annunciato uno stanziamento di 17 milioni di dollari, una misura che servirà solo a tamponare, e per poco, l’attuale crisi”. (R.Bongiorni, Cibo, prezzi fuori controllo, Il Sole 24 ore, 12.04.08). Ma soprattutto occorre un cambio di mentalità, un approccio che sia veramente globale. Dichiara senza mezzi termini Diouf: “L’inflazione globale non dipende solo da elementi contingenti, ma da fattori strutturali e se il cosiddetto Nord del mondo non cambierà modello di sviluppo, la bolletta per i cereali nei Paesi poveri continuerà a crescere e le rivolte popolari (…) in tanti Paesi poveri dilagheranno”. Si tratta di gestire un cambiamento epocale che la globalizzazione impone. Ma proprio perché globale è necessario un approccio di tipo multilaterale. Oggi i singoli Paesi non possono più agire in maniera autonoma se vogliono in qualche modo cercare di “regolare il mercato” al fine di indirizzarlo alla riduzione di squilibri sempre più dirompenti. “Perché forse mai, prima d’ora, l’interdipendenza delle vite umane – l’ultima frontiera della globalizzazione – sta mettendo così crudamente in luce gli squilibri dell’ineguale ed esagerato sfruttamento delle risorse. “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può innescare un tornado in Texas”, diceva E.Lorenz, il pioniere della Teoria del caos. Oggi si sente il battito di tutte le farfalle del mondo”. (M.Magrini, Effetto domino sui raccolti, Il Sole 24 ore, 26.04.08). 17 [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Gabriele Olini La corsa dei prezzi L’inflazione in Italia rimane elevatissima, ai livelli massimi dal 1996. L’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale è cresciuto a giugno del 3,8% (al 4% se si considera, invece, l’indice armonizzato europeo) rispetto allo stesso mese del 2007. Gli incrementi tendenziali più elevati sono stati registrati nei capitoli abitazione, acqua, elettricità e combustibili (più 7,2 per cento), trasporti (più 6,9 per cento) e prodotti alimentari e bevande analcoliche (più 6,1 per cento). E’ una magra consolazione sapere che l’aumento dei prezzi per i consumatori è agli stessi livelli in Europa e su ritmi ancora più accentuati in America e in Asia. L’inflazione alla produzione in Italia è triplicata in sette mesi, passando dal 2,5% tendenziale ad ottobre 2007 al 7,5% a maggio; occorre tener conto che, solo nell’ultimo mese, l’aumento è stato dell’1,5%. Un quadro appena meno complicato si ha considerando i prezzi alla produzione al netto dell’energia; in questo caso la variazione congiunturale è pari a più 0,2 per cento, mentre quella tendenziale è stata pari a più 3,8 per cento. I prodotti energetici sono aumentati in un anno del 25% e quelli alimentari intorno al 10%. Al netto di queste due componenti i prezzi, sia alla produzione, che al consumo hanno una dinamica molto meno accentuata; l’inflazione, anche se elevata, resta abbastanza confinata negli ambiti critici. Il ruolo delle bolle D’altra parte il costo del petrolio, arrivato a livelli considerati stratosferici (100$ a barile) a novembre, ha proseguito la corsa, trovandosi ora intorno a 140$. Si discute molto sul ruolo della speculazione nel mercato del greggio e delle materie prime attraverso gli strumenti finanziari derivati. L’origine di questa corsa viene vista nei tassi di interesse bassi e costanti degli ultimi anni, che hanno spinto verso impieghi sempre più redditizi, ma anche più rischiosi e speculativi. L’enorme liquidità crea sempre nuove bolle; cosi dopo la bolla tecnologica, quella immobiliare e, appena scoppiata quest’ultima, si sono rapidamente create le condizioni per la bolla sull’energia e le commodities. Infatti una notevole liquidità, uscita dai 18 mercati immobiliari ed azionari, si è riversata sul segmento più promettente, appunto petrolio e materie prime; d’altra parte la crescita dei prezzi indotta ha reso meno sicuri i mercati obbligazionari tradizionali, soprattutto i titoli di stato americani. E, dunque, altre risorse finanziarie hanno cercato rifugio nei prodotti di base. Si vedono i presupposti di una nuova “bolla”. Ma perché la corsa apparentemente senza fine del prezzo del greggio? Non solo e non tanto per la ridotta disponibilità a medio e a lungo termine della risorsa energetica e i problemi geopolitici a fronte di una domanda in rapida crescita per lo sviluppo asiatico. E’ avvenuto anche che nei paesi in via di sviluppo, ed in particolare in Cina gli aumenti dei prezzi del greggio sono stati “sterilizzati” dallo stato; ciò ha impedito che l’aumento dei costi si riflettesse sulla domanda, così come sta avvenendo invece in Europa e nei Paesi più sviluppati. La Bce e l’inflazione Intanto l’inflazione ha mutato le politiche monetarie. Negli Usa la Federal Reserve ha interrotto la riduzione dei tassi di interesse, nonostante una situazione non proprio rosea. In Europa la Bce, che si era guardata dall’abbassare i propri, nonostante grossi nuvoloni sullo sviluppo, ha deciso ora di aumentarli; con una decisione largamente attesa, il 2 luglio ha alzato i tassi di un quarto di punto, portandolo al 4,25%, il massimo da sei anni. La banca centrale si trova tra i timori di una nuova impennata dei prezzi e quelli di una recrudescenza improvvisa della bolla finanziaria e del rischio sistema creditizio. La decisione è stata vivacemente contestata da alcuni Governi, come Francia, Spagna, ma anche Germania sulla base della constatazione di una situazione non brillante dal punto di vista congiunturale; si teme che l’aumento del costo del denaro provochi uno scivolamento dello sviluppo. Non pochi economisti hanno notato che l’aumento dei tassi di interesse potrebbe non incidere affatto su un’inflazione che è largamente importata e non determinata da fattori endogeni. L’inflazione programmata e le previsioni per il 2008-2009 Nell’audizione in Parlamento per il Dpef l’Isae (2 luglio) ha indicato che, anche in un’ipotesi di stabilizzazione delle quotazioni del greggio, l’inflazione italiana nel 2008 difficilmente si situerà sotto il 3,5-3,6% nella media dell’anno. [ focus - Le tasche dei lavoratori ] Il precedente Rapporto di Consenso al Cnel di Cer, Prometeia e Ref (6 giugno 2008) aveva previsto una crescita pari al 3,1% nel 2008 ed al 2,7% nel 2009. Il Dpef 2009-2011 ha, invece, senza confronto con le parti sociali, fissato l’inflazione programmata all’1,7% nel 2009 e all’1,5 % negli anni successivi. Si è creata di nuovo una frattura insanabile tra inflazione “attesa” ed inflazione programmata, tentazione ricorrente, che alla lunga ha logorato questo strumento per il governo delle dinamiche salariali. Occorre, inoltre, tener conto che se l’accelerazione dei prezzi nel 2008 è stata “inattesa” fino a verso la fine del 2007, per l’anno prossimo lo scarto è prevedibilissimo, non foss’altro per ragioni di trascinamento. Prendendo a riferimento il dato dell’Isae per il 2008 e quello di Consenso per il 2009 l’inflazione programmata accumulerebbe nel biennio una minore crescita del 2,8% (6,2-3,4%) Per una retribuzione media di 25 mila euro questo determinerebbe una perdita nel 2008 di 450 € a cui si aggiungerebbe, in caso di mancato recupero, quella di 600 € nel 2009. Peggiorano le aspettative delle famiglie, specie quelle più colpite Le caratteristiche di questa fase di accelerazione inflazionistica, che colpisce soprattutto prodotti a domanda difficilmente comprimibile, come energia ed alimentari, si scaricano soprattutto sui redditi bassi. D’altra parte il combinato disposto di aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione incide pesantemente sulle famiglie più indebitate, che devono gestire mutui a tasso variabile o hanno ricevuto crediti al consumo. L’Isae segnala da parte delle famiglie un ulteriore aggravamento del giudizio sull’inflazione attuale (ai massimi storici); si attenuano, però, leggermente le attese inflazionistiche per i 12 mesi successivi, probabilmente vi è la percezione di una situazione di bassa domanda che dovrebbe comprimere la crescita dei prezzi. Un’analoga attitudine è segnalata dalla Banca d’Italia da un sondaggio presso le imprese (a maggio 2008): il rialzo dell’inflazione viene considerato da queste abbastanza temporaneo e nel 2009 si dovrebbe tornare intorno al 2,5%. 19 [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di Andrea Scaglioni Tra tassi in crescita, valore degli immobili e accesso al credito. In questo articolo si affronterà la situazione riferita alle famiglie italiane riguardo l’indebitamento per l’acquisto della propria casa. Faremo riferimento ai recentissimi studi di Banca d’Italia e dell’Istat proprio sulla questione in oggetto. Anche per il nostro paese gli ultimi anni hanno visto il boom degli investimenti immobiliari, così com’è accaduto in molte altre nazioni. C’è stato un evidente forte legame tra l’andamento dei tassi, particolarmente bassi negli anni scorsi, l’incremento del valore degli immobili e l’accesso al credito da parte delle famiglie. Tutt’e tre questi elementi hanno concorso ad autoalimentarsi. Partendo dal primo, come si nota dalla tabella 1 ed 1 bis, ci sono stati anni all’inizio del decennio in cui i tassi a breve erano particolarmente interessanti e così contenuti da invogliare l’accensione di un finanziamento. Questo soprattutto se guardiamo i tassi di riferimento a breve, a cui sono collegati i mutui a tasso variabile. Non altrettanto, quindi, i tassi a lunga scadenza che sono utilizzati per i finanziamenti a tasso fisso. Nel 2004 il tasso il tasso Irs a 30 anni era molto più del doppio del tasso Euribor ad 1 mese. Chi accendeva un mutuo perché invogliato dall’appetibilità della rata, in questo caso doveva rivolgersi a mutui a tasso variabile. Era facile indebitarsi a tasso variabile pagando un interesse contenuto. La corsa all’acquisto della casa di abitazione ha spinto il prezzo degli immobili, con le società costruttrici che, magari anch’esse a debito, fornivano sempre maggiori opportunità di acquisto di nuove unità immobiliari. Data Euribor 1 mese 07-2008 4.47 01-2008 4.24 01-2007 3.63 01-2006 2.40 01-2005 2.12 01-2004 2.10 01-2003 2.90 01-2002 3.31 01-2001 4.85 Tabella 11, andamento dei tassi. Irs 1 anno Irs 10 anni 5.27 4.61 4.07 2.80 2.38 2.30 2.79 3.35 4.71 4.93 4.59 4.15 3.41 3.74 4.35 4.51 5.16 5.43 Irs 30 anni 4.90 4.78 4.25 3.75 4.34 4.98 5.05 5.43 5.85 Anche grazie al sistema delle cartolarizzazioni, che consentiva di far fuoriuscire l’impiego dal bilancio della banca, il sistema 20 bancario ha contribuito all’aumento delle erogazioni. In più, come assolutamente logico, il sistema ha cercato di venire incontro alle esigenze della clientela attivando prodotti sempre più flessibili per favorire l’accesso al credito. Rata necessaria Reddito medio familiare all’acquisto di un’abitazione media (mutuo a 20 anni) 1989 16.828 27.085 1991 19.386 27.492 1993 20.289 26.561 1995 18.499 26.450 1998 13.194 27.088 2000 12.297 28.057 2002 12.771 29.064 2004 12.642 30.325 Tabella 1 bis 2 l’ accessibilità dei mutui, dati fino al 2004. Nelle tabelle 2,3,4 infatti osserviamo come le banche abbiano offerto negli ultimi tempi contratti con la possibilità di: avere un finanziamento di durata almeno di 30 anni, un finanziamento pari o superiore all’80% del valore dell’immobile, un mutuo a rata costante e durata variabile. Il primo ed il terzo tipo [ focus - Le tasche dei lavoratori ] di contratto è offerto da più del 90% degli istituti bancari maggiori o grandi, e da più del 50% delle altre banche. Incidenza dei mutui con durata maggiore od uguale a 30 anni Banche maggiori o grandi Banche piccole e minori B.C.C. Totale banche 3 Tabella 2 Durata variabile, rata costante Banche maggiori o grandi Banche piccole e minori B.C.C. Totale banche 4 % sui mutui erogati nel 2006 15.8 25.7 6.7 18.2 % sui mutui erogati nel 2006 6.8 8.8 9.2 7.6 Tabella 3 Ammontare del finanziamento superiore all’80% del valore dell’immobile Banche maggiori o grandi Banche piccole e minori B.C.C. Totale banche 5 Tabella 4 % sui mutui erogati nel 2006 4.9 8.9 9.6 6.4 Questi contratti hanno condizioni che riducono o l’impegno finanziario immediato, quando finanziano una buona parte del valore dell’immobile, o l’esborso periodico, quando hanno durate molto lunghe od una pseudo rata costante variando il periodo di ammortamento. Comunque l’ammontare complessivo dell’onere, soprattutto in caso in aumento dei tassi, rimane rilevante, e con un mercato immobiliare in continuo apprezzamento il costo della casa in partenza è sempre maggiore. E’ statistico, quindi un aumento delle famiglie che hanno utilizzato tali finanziamenti. La quota delle famiglie che hanno un debito per un acquisto immobiliare è tornato ai valori d’inizio anni novanta: oltre il 10% sul totale delle famiglie (per precisione dal picco inferiore del 1995 con un 9% al 13% del 2006). Tuttavia, e qui c’è una grande differenza rispetto al sistema statunitense, Banca d’Italia ci dice che le aziende di credito hanno comunque continuato a selezionare il credito, anche con procedure innovative come i sistemi di credit scoring. Per quanto riguarda direttamente le famiglie le considerazioni poc’anzi fatte portano ad un addensarsi di nubi sul bilancio familiare. Il peso dei mutui è più gravoso di anno in anno: le famiglie che hanno contratto un mutuo per la casa di residenza destinano il 17% del reddito disponibile (valore mediano) contro il 12% del 1995 e del 2005. Però la situazione è più critica perché sono le famiglie con reddito più basso a destinare una grande fetta del reddito per ripianare il debito: 32% per le famiglie con reddito più basso, più del 20% per le famiglie con reddito medio-basso, poco più del 17% per le famiglie con reddito medio-alto, 13% circa le famiglie con reddito alto. E’ ovvio che il malessere percepito dalle famiglie italiane6 è estremamente rilevante. Più del 65% delle famiglie che hanno contratto un mutuo dice di ritenere “molto oneroso” sostenere l’onere per l’abitazione. Se il reddito disponibile è dell’1% in meno dal 1995 al 2005 ed i mutui a tasso variabile, la maggioranza, sono collegati ad un indice in crescita. Per ultimo segnaliamo che anche l’onere dell’affitto in proporzione al reddito disponibile dalle famiglie è in aumento (dal 13,8% del reddito familiare del 1995 al 18,9% del 2004. Per vari motivi nel nostro paese servono certamente interventi tampone per chi è in difficoltà sul pagamento dei debiti contratti e degli affitti ma soprattutto serve una politica abitativa complessiva. A novembre Banca d’Italia, infatti, concludeva “I risultati indicano che, nonostante la larga diffusione della casa di proprietà, problemi abitativi caratterizzano circa il 20 per cento delle famiglie italiane.7” Ns. elaborazione su dati provenienti da: www.akerfinance.com Ns. elaborazione su dati provenienti da: www.akerfinance.com 3 Ns elaborazione su dati Banca d’Italia. 4 Ns elaborazione su dati Banca d’Italia. 5 Ns elaborazione su dati Banca d’Italia. 1 2 Dal sito www.lavoce.info “case e debiti: il malessere percepito dalle famiglie italiane” 7 “L’accesso all’abitazione di residenza in Italia”, Banca d’Italia 11/2007 6 21 [ la lettera ] di Antonio Zanelli A cosa serve il sindacato: alcune considerazioni. Chi è il fornaio da cui si compra il pane E’ ormai da qualche tempo che, sempre più frequentemente, sui principali organi di stampa, e non solo, si leggono articoli, pieni di “sana indignazione democratica”, in cui si dipinge il sindacalismo italiano come inefficace, inefficiente, avulso da gran parte del modo del lavoro, scarsamente rappresentativo. Gli appartenenti alle organizzazioni sindacali come una congrega di privilegiati, nullafacenti: una casta insomma. Basti leggere il libro di Livadiotti, “L’Altra Casta”, o, in passato e con ben altro spessore, a parere di chi scrive, il testo di Pietro Ichino, “A che cosa serve il Sindacato”. Bene. Chi è il fornaio da cui compriamo il pane? I principali quotidiani italiani sono di proprietà del cd. “salotto buono” del capitalismo nazionale o di imprenditori il cui core business, la cui attività principale, non è certo l’editoria. Non esistono imprenditori “puri”. Senza malizia ma solo nel senso testè spiegato. Trattasi di datori di lavoro, imprenditori che tra le tante attività, incroci azionari, scatole cinesi, detengono anche il controllo dei principali quotidiani e organi di informazione. Dai quotidiani di costoro provengono sempre più spesso, sempre con maggiore “violenza” gli attacchi descritti. Significa forse che, solo per questo, il mondo sindacale è esente da colpe? Che le critiche mosse sono tutte infondate e strumentali? Fare quello che il prete dice non quello che il prete fa Il sistema di relazioni industriali è esente da pecche? La contrattazione collettiva va bene così com’è? Le organizzazioni sindacali sono immuni da colpe? Credo che nessuno voglia affermarlo. A parere di chi scrive le critiche costruttive devono essere sempre bene accette a maggior ragione se ci si accorge che fanno male. L’autocritica delle diverse organizzazioni sindacali è pratica salutare. La controparte datoriale, però, fa altrettanto? Gli alti dirigenti, il top management, fanno lo stesso? I risultati ottenuti, i compensi strappati sono analizzati dai mezzi d’informazione con lo stesso puntiglio e animo critico? Si parla, giustamente, di meritocrazia. Che dire di top manager, e anche di minor rilievo, strapagati, beneficiari di ricchi premi e benefit, a fronte di risultati portati a casa a dir poco fallimentari? Che dire di coraggiosi capitani d’impresa pontificanti sulle 22 virtù taumaturgiche del più sfrenato liberismo economico poi riversare sul pubblico le conseguenze del loro agire scellerato? Se va bene pochi guadagnano tantissimo, se va male allora si chiedono sacrifici ai lavoratori. Sacrifici da parte dei top manager, se sono stati affrontati, il sottoscritto non ne ha conoscenza. Si può pretendere come lavoratore e consumatore analisi dettagliate, critiche, sull’operato di costoro, dei diversi amministratori delegati, sul rapporto benefici personali / utili per l’impresa ( o meglio, espansione dell’impresa: a far utili buttando fuori i lavoratori dovrebbero essere buoni in tanti)? Si possono pretendere indagini accurate e aggressive sulle transazioni azionarie e sui movimenti di borsa da parte di alcuni dirigenti alla vigilia di importanti ristrutturazioni societarie.? Soci o salariati? Perché fare sindacato oggi Nel settore assicurativo, a fronte di andamenti più che positivi per le compagnie, tutte le organizzazioni sindacali hanno dovuto davvero sudare non poco e non per poco tempo per strappare A Terra futura Bonanni e Gallo incontrano i giovani. [ la lettera ] un aumento in busta paga che si possa ritenere soddisfacente e riuscire ad evitare che interi comparti essenziali venissero “esternalizzati”, al momento della stipula del ccnl di settore. Ritorno al titolo del paragrafo: quando si tratta di fare sacrifici per l’azienda, di fare straordinari non pagati, per il raggiungimento degli obiettivi allora si è “soci”, “ si è tutti sulla stessa barca e bisogna remare tutti insieme”, “siamo una grande famiglia” e amenità del genere. Quando, però, si tratta di riconoscere ai lavoratori quanto profuso, allora si torna al ritornello dei semplici salariati che pare assurdo possano e vogliano dire la loro anche sulla strategia aziendale, sulle ristrutturazioni prospettate, sulle scelte, sulle condotte imprenditoriali e organizzative più efficaci. Ritengo utile nell’analizzare l’andamento di un’impresa e la qualità delle scelte operate dai vertici anche distinguere quanto, tali risultati, siano da ricondursi ad un reale sviluppo dell’attività economica, del core business, dell’azienda o da altro. E’ possibile che un amministratore delegato, i vertici di un’azienda portino a casa, a fine anno, utili record ma che tale risultato non dipenda da un reale sviluppo dell’attività economica che, anzi, può risultare piuttosto stagnante. E’ possibile che i risultati brillanti derivino da attività finanziarie portate a buon fine. E se tali investimenti si fossero rivelati troppo rischiosi? E’ possibile, oppure, che i risultati derivino da scelte che nell’immediato portano utili ma che anche solo nel breve medio termine possono rivelarsi controproducenti o letali per l’attività dell’impresa e dunque per i lavoratori. E’ il caso del ritornello della razionalizzazione dei costi: in certi casi può essere l’eliminazione di reali sprechi in altri tagliare su investimenti che a medio termine possono rivelarsi assai produttivi, in altri ancora limitarsi alla classica riduzione del personale. Scumpeter, se non ricordo male, affermava che l’imprenditore è l’innovatore: fare utili limitandosi a eliminare quello che di volta in volta si battezza come sprechi, come costi, è, in molti casi, emblematico della pigrizia della classe imprenditoriale italiana e del suo management. In fondo l’amministratore delegato, il top manager, ha il mandato di realizzare un tot per gli azionisti: da qui la possibilità di operare scelte che possono rivelarsi fallimentari anche solo nel breve-medio periodo ma che nell’immediato pagano. Del resto, dopo qualche anno ci sarà qualche altro prestigioso incarico da ricoprire, magari con la fama di di grande amministratore, di tagliatore di teste: le azioni, poi, si vendono, si comprano, ci si specula o le si rifila ai consumatori disinformati. Oltre a questi ultimi, gli altri che rimangono con il cerino acceso in mano sono i lavoratori: coloro che hanno il reale interesse che l’impresa prosperi e non solo per qualche anno ma a lungo anche se magari più lentamente. Ecco, battersi affinché chi abbia tale interesse, chi è pronto a sacrificarsi per l’impresa, a chi tali sacrifici sono richiesti possa anche contribuire a segnalare, ad indicare le scelte più efficaci per l’impresa. Battersi affinché i lavoratori possano partecipare realmente insieme alla controparte datoriale ( ma in un caso simile si potrebbe parlare di collaboratore o autenticamente di “socio”) nell’individuazione delle migliori strategie, dei migliori modelli organizzativi e funzionali, credo sia un buon motivo per fare sindacato. Far sì che il lavoratore possa partecipare effettivamente alla vita e ai risultati della comunità ( impresa) alla quale dedica gran parte della sua vita. Credo che questa sia un’ottima ragione per fare, anche oggi, il sindacalista. Ma per ottenere ciò deve cambiare il sindacato? Non deve cambiare anche l’altra parte, il datore di lavoro? Rendersi conto che non può considerare i lavoratori soci solo quando è il momento di chiedere e semplici salariati quando si tratta di condividere. Se tale scenario si ritiene auspicabile siamo sicuri che la parte più distante sia quella delle organizzazioni sindacali? Forse i mezzi d’informazione, i pensatori realmente liberi, coloro che hanno il coraggio di correre il rischio di rinunciare a ricchi contratti pubblicitari dovrebbero puntare le loro penne acuminate, le loro critiche, le loro analisi severe, con lo stesso coraggio anche verso la classe imprenditoriale italiana. La lettera è stata pubblicata su “LiberoMercato” del 6/5/2008 23 [ mifid ] di Mario Capocci 50 riunioni in tutta Italia, ma non è finita… Come è noto, il 1 novembre 2007 è stata recepita nel nostro ordinamento la Direttiva Europea denominata Mifid, che istituzionalizza il quadro normativo relativo al mercato finanziario ed ai suoi strumenti. L’obiettivo della Mifid è rafforzare le garanzie a tutela dei risparmiatori, applicando regole di protezione, d’informazione, di trasparenza. Essa rappresenta uno scudo di protezione non solo per il risparmiatore ma anche per il bancario, che, stretto fra Scilla, la rigorosa osservanza delle norme da una parte, e Cariddi, le aggressive politiche commerciali delle aziende dall’altra, trova nella Mifid il faro di riferimento. Va sottolineato, infatti, come il nuovo quadro normativo attribuisca responsabilità individuali in relazione alla violazione delle norme. Il quadro direttivo in primis e comunque ogni collega in posizione lavorativa relazionale con il pubblico degli investitori/risparmiatori si trova così ad operare in una condizione problematica in cui è difficile orientarsi. Questo scenario prefigura così una nuova frontiera di tutela, con l’esigenza di un’azione preventiva di informazione e di protezione dei colleghi. In questa ottica la Fiba-Cisl, su iniziativa del Coordinamento nazionale quadri direttivi, come già indicato nello scorso numero, ha organizzato incontri con i colleghi per offrire loro una lettura “dalla parte del bancario” e non “dalla parte del banchiere” del nuovo contesto normativo, al fine di renderli “consapevoli”, nel loro lavoro quotidiano, che l’osservanza della normativa rappresenta la migliore salvaguardia. Grazie al grande spirito organizzativo delle segreterie regionali e territoriali della Fiba-Cisl, in collaborazione con i responsabili dei Coordinamenti dei quadri direttivi, è stato raggiunto l’ambizioso traguardo delle 50 riunioni in tutto il territorio nazionale. Questi incontri hanno registrato un’ampia partecipazione dei colleghi, che è stata inoltre di grande spessore, perché ha prodotto un proficuo scambio d’esperienze in un arricchimento reciproco d’informazioni e di casistica operativa. Il traguardo dei 50 incontri non è un punto d’arrivo. La scadenza del 30 giugno, data di perenzione della proroga concessa dalla Mifid per la sistemazione della contrattualistica della vecchia clientela, ma soprattutto per la definizione della “profilatura” 24 della stessa, pena la non operatività, ha reso, se ce ne fosse stato bisogno, ancora più pressante l’interesse dei colleghi. Per questo, dopo la sospensione per le ferie estive, già da settembre, sono in calendario altre riunioni in giro per tutta l’Italia. Molti i temi da approfondire ancora insieme ai colleghi. Qui è meritevole di attenzione la problematica inerente al c.d. “test di adeguatezza”, specie in relazione al tema della “consulenza”. Dice la Mifid (reg. Consob 16190 articoli 39 e 40) che quando una società di investimento offre il servizio di consulenza o di gestione di portafoglio è obbligatorio il test di adeguatezza. Mentre sull’identificazione della gestione di portafoglio nulla quaestio, sulla consulenza è bene fare il punto. Si ha consulenza ogni qualvolta si dice al cliente cosa deve fare rispetto ad un preciso prodotto di investimento (comprarlo, venderlo, tenerlo in posizione) e non solo quando si è fatto firmare alla clientela un contratto di consulenza ad hoc. Per la Mifid, infatti, è consulenza la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente su uno specifico strumento finanziario. La materia è delicata soprattutto riguardo ai prodotti in conflitto di interesse e sui quali premono le campagne d’incentivazione. Riassumendo: ogni volta che un collega indica al cliente cosa deve fare rispetto ad un prodotto finanziario (consulenza) deve eseguire il test di adeguatezza e non quello di appropriatezza. Se il test di adeguatezza è negativo oppure il cliente si rifiuta di dare le risposte, l’operazione si blocca irrimediabilmente. Non si può tornare indietro, magari ipotizzando che il cliente, sullo stesso prodotto, si ripresenti su “sua iniziativa” o, peggio ancora, ripetendo, con nuove risposte, il test. Per un’analisi più approfondita di questa e delle altre tematiche legate alla Mifid, si rimanda ad un approfondimento sul sito della Fiba-Cisl (www.fiba.it). [ promotori ] di Carlo Piarulli I risultati in un convegno in autunno. Assonova, l’associazione professionale dei promotori finanziari dipendenti e agenti costituita da Fiba, Fabi e Sinfub , si sta occupando di tutto quanto concerne il mondo della vendita di prodotti fuori sede, della consulenza, dell’applicazione di MiFID e più in generale delle novità che intervengono nel settore. Tra le prime iniziative assunte da Assonova, e che stiamo portando a conoscenza dei promotori c’è il progetto di comunicazione per i promotori finanziari, che si avvarrà della piattaforma di indagini online www.consulentecensus.com, strumento fornito dalla Nmg Financial Services Consulting. La società opera nel settore della consulenza marketing e strategica, svolgendo anche attività di ricerca e monitoraggio in merito a comportamenti e tendenze di business nella distribuzione dei servizi finanziari, i cui risultati sono poi periodicamente pubblicati sulle principali riviste finanziarie. All’uopo abbiamo strutturato un questionario e messo in linea nel sito www.consulentecensus.com e chiediamo ai promotori di dare il loro contributo rispondendo alle varie domande. Gli argomenti che vogliamo approfondire e che sono oggetto di indagine riguardano il livello di soddisfazione dei clienti nei confronti di servizi ricevuti, oppure la gamma dei prodotti a disposizione dei consulenti. In ogni caso, vengono affrontati temi “caldi”. Il promotore finanziario, che accede al sito citato ove è inserito il questionario, avrà diritto di ricevere una newsletter con i risultati chiave e l’accesso all’archivio contenente tutti gli estratti delle ricerche svolte fino ad ora. Infatti le indagini Consulente Census vengono utilizzate per diversi obiettivi da gestori italiani ed esteri, banche, reti di promotori finanziari e compagnie di assicurazione, in quanto forniscono supporti pratici per prendere decisioni di marketing e di sviluppo dell’attività, misurando anche il livello di soddisfazione dei clienti nei confronti di certi prodotti o servizi. Nello stesso tempo, può essere importante per i promotori sapere che cosa pensano i colleghi delle altre reti su vari temi, in modo da avere il polso di cosa significa lavorare come promotore finanziario oggi. Facciamo un esempio: l’ultima indagine Consulente Census del dicembre 2007 è stata sul tema “Cosa vuol dire per i promotori finanziari competere nel 2008?” Dai risultati è emerso che il 75% degli intervistati si ritiene soddisfatto del proprio lavoro, e tuttavia ambisce a diventare un promotore ancora più di successo nel 2008. Ma cosa significa, nella mente degli intervistati, essere un promotore di successo? La maggior parte (circa 35% di coloro che hanno risposto) ha dichiarato che significa “fare sempre gli interessi del cliente”, il 25% ritiene che si possa avere successo solo se si ha una gamma prodotti adeguata e un altro 25% circa sostiene la consulenza indipendente come vero vantaggio competitivo per il 2008. Soltanto il 15% sostiene che nell’aver “successo” non gioca tanto la competenza sugli strumenti finanziari o sui rischi associati agli investimenti finanziari, quanto piuttosto l’avere una solida base di clienti e sviluppare solide relazioni con gli stessi, in modo che possano referenziare il promotore presso i propri amici e famigliari. Assonova inoltre sta lavorando ad un evento di presentazione ufficiale dell’associazione che interesserà molto i promotori finanziari e che si svolgerà tra fine settembre ed inizio di ottobre: in questa occasione, si illustreranno anche i risultati dell’indagine che Assonova ha preparato con Nmg. 25 [ donne - la storia ] di Giusi Esposito Emma Marra è la nuova segretaria generale della Campania ed attualmente tra tutti i segretari regionali è l’unica donna. Ma non è una novità per lei ricoprire incarichi elevati, infatti poco più che quarantenne si è trovata contemporaneamente a ricoprire l’incarico di segretario territoriale di Caserta, segretario responsabile della sua azienda, ora Polis, e per due mandati è stata segretario aggiunto della regione Campania al fianco del responsabile ora in pensione. Cerchiamo ora di scoprire meglio chi è la donna che pur appartenendo contemporaneamente a tutte le minoranze della Fiba, donna, giovane ed esattoriale, oggi si ritrova anche alla guida di una regione molto rappresentativa sia per numero di iscritti sia per l’alta qualità dei suoi quadri sindacali. Emma è laureata in biologia. “Sognavo di fare medicina ma a quel tempo gli stereotipi erano forti, i turni, le guardie mediche, l’allontanamento dalla famiglia e dal ruolo tipico della donna in seno alla famiglia mi portarono a fare uno studio che ritenevo simile, ma più adatto ad una donna”. Dopo la laurea, il concorso nella scuola nella quale ha lavorato per un po’ di tempo da precaria, ma non era quella la sua aspirazione, sentiva che non era ancora quello il suo posto e nell’86 entra in esattoria. Ed è qui che la giovane biologa, ancora in cerca del suo posto nel mondo, incontra il sindacato. Se prima le scelte erano state in qualche modo stentate e contraddittorie, da quel momento il suo cammino è diventato un’autostrada. Il suo primo congresso nel ’93 quando ancora in maternità viene inserita nel direttivo poi su, sempre più su. “Nel sindacato mi sono sentita subito a casa. Certo il lavoro di esattoriale non era proprio il lavoro dei miei sogni, io ero e sono curiosa, sempre a mettermi alla prova con nuove esperienze e nel sindacato ho visto la luce. I primi convegni, la formazione, una chance per me. Sentivo reale la possibilità di aver un ruolo di partecipazione attiva nel mondo del lavoro, di comprenderne le dinamiche, ma soprattutto la possibilità di utilizzarle per risolvere i problemi quotidiani dei colleghi” . Aggiunge: “Ai tempi del liceo militavo nei movimenti femministi, il mio si chiamava Lillith, ma la mia non è mai stata una militanza assoluta, mai ligia totalmente alla ideologia. Ero affascinata ma provavo anche disagio e in qualche modo ho vissuto quel periodo con contraddizione: sempre fortemente 26 ancorata ai miei valori familiari, e nella famiglia d’origine e nella famiglia che ho creato con mio marito, ma una curiosità forte mi spingeva con impegno ad esplorare ed a verificare il nuovo. Per fortuna molto è rimasto in me della ragazzina che ero e continuo nella mia militanza a muovermi tra valori certi e sana curiosità” La famiglia è quindi la sua forza. Un marito musicista e insegnante che tra lezioni private e concerti è spesso fuori casa la sera, ma l’aiuta, come può e come sa fare, nella gestione dell’unico figlio di sedici anni, che reclama ancora a gran voce la sua presenza.” Per questo, quale che sia l’impegno lavorativo, faccio di tutto per essere fisicamente a casa entro una certa ora, anche se non riesco ad essere subito pienamente disponibile e devo continuare al computer il lavoro non completato durante la mattina. La contrattazione aziendale mi porta spesso fuori sede ma cerco sempre di limitare i pernottamenti fuori nei limiti dell’indispensabile”. Un valido aiuto le viene dalla madre, che forse è quella che risente maggiormente del poco tempo disponibile e pur soffrendo della sua assenza è molto orgogliosa dei suoi successi. Conclude dicendo “ SI, si può fare, Si può vivere una sana vita da donna, da moglie, da mamma, da figlia e contemporaneamente vivere una intensa vita lavorativa tutta improntata sul sociale. Costa sacrifici, sacrifici che ti trovi a condividere con le persone che ami di più e che ti amano di più proprio quando non ostacolano il tuo essere sempre fuori anche fra le mura domestiche. La mia forza: la mia famiglia, i miei valori. La mia benzina : la mia curiosità e la mia tenacia. Esse mi spingono ad esplorare sempre nuove soluzioni e nuovi percorsi per dare il mio contributo al benessere dei lavoratori, e mi permettono di mettermi in gioco sempre come se fosse la prima volta e senza mai aver paura di ricominciare daccapo.” Emma Marra, Seg. generale Fiba Campania. [ la pagina della musica ] a cura di Anna Masiello Tarantoliamoci “Una macchina di prodigi, sorprese e incantamento che si reinventa ogni anno” questa nelle parole di Nichi Vendola, la festa che nelle notti di agosto da ormai 11 anni invade le piazze dei comuni della cosiddetta Grecia salentina, La Notte della Taranta la più grande manifestazione musicale dedicata al recupero e alla valorizzazione della pizzica salentina attraverso l’incontro con altre tradizioni e diversi generi musicali. La pizzica, oltre ad essere suonata nei momenti di festa di singoli gruppi familiari o di intere comunità locali, costituiva in passato anche il principale accompagnamento del rito etnocoreutico del tarantismo. Era considerata l’unica medicina contro il morso delle tarante. Nacque, quindi, come ballo terapeutico, di antica origine medievale, come esorcismo per le donne tarantate, contaminate dalle punture di tarantola. Oggi il tarantismo è quasi completamente scomparso, e rimane solo nella memoria degli anziani. Quest’anno il festival itinerante è dedicato al “pezzo di notte che manca” cioè al tamburellista attore Pino Zimba, scomparso lo scorso febbraio, personaggio carismatico e amatissimo dal pubblico, grande protagonista di “Sangue Vivo” di Winspeare. A dirigerla, per il secondo anno, Mauro Pagani, musicista raffinato, che per quest’anno presenta un’edizione che propone i brani più importanti, conservati con sempre più consapevolezza da tutta la regione. Nella scaletta c’è la pizzica, ma anche, in nome della contaminazione, la tarantella del Gargano, e ci si accosterà alla tradizione di Villa Castelli. Tanti i nomi di rilievo che intervengono: il jazzista francese Richard Galliano, la cantautrice del Mali Rokia Traorè, oltre alla grande Orchestra Notte della Taranta da trentaquattro elementi con l’innesto di Mario Arcari assistente del maestro concertatore e Arnaldo Vacca alle percussioni. Nei quattordici giorni di festival suoneranno anche musicisti croati albanesi e greci, e poi tanti gruppi noti ed emergenti come gli Ariacorte, i Fiamma Fiumana, i Kamafei, Cisco, ex leader dei Modena City Ramblers e le Mondine di MOvi. Per la serata finale il 23 agosto sul palco ci sarà Caparezza, Après la Classe, Sud Sound System e Radiodervish, si ballerà fino all’alba, tarantolando fino all’ultimo respiro sperando di tenere lontano il maligno almeno per un anno, fino alla prossima edizione. Siti da visitare: www.pizzicata.it; www.lanottedellataranta.it L’arca Beatles-Let it be Ci sono fatti piccoli o grandi, che, nello stesso istante in cui accadono, percepiamo che condizioneranno la nostra vita futura. Ognuno di noi ha avuto le proprie “sliding doors”; più volte hanno prodotto le loro dolci od amare conseguenze sulle nostre esistenze. Soprattutto la vita adolescenziale è piena zeppa di questi eventi che costituiscono il nostro personale, unico romanzo di formazione. Dopo questa terrificante e moralistica intro è tempo di confessare da quale disco nasce la mia psico-patologia discografica. 14 anni, 4° ginnasio, una mia compagna di classe, grande fan dei Beatles, mi propone di assistere alla proiezione, in un vicino cinema d’essai, di Let it be il film – documentario, epitaffio della storia dei 4 di Liverpool. Presto fatto; da quel pomeriggio non è nato alcun amore adolescenziale con la mia compagna di classe, quanto piuttosto una violenta passione per la musica dei Beatles. Passione tanto violenta da spingermi ad acquistare il 33 giri (il mitico padellone di vinile) Let it be senza neppure possedere lo stereo e ad innescare la mia successiva febbre (a volte carsica ma comunque sempre latente) per la musica pop e rock, per i dischi ed ogni successivo supporto fonografico. Chissà come, chissà perché successivamente ho incontrato tenebrosi dark, colorati punk, algidi epigoni della new-wave, epicurei appassionati di musica lounge, la cui formazione musicale, come per il sottoscritto, era partita dai Beatles o aveva incrociato la loro strada; come se il gruppo, nato nelle cantine del Cavern, fosse un gigantesco bignami contenente tutti gli elementi delle successive culture musicali. Che dire del disco. Primo: non è il migliore del quartetto, anche se contiene alcune gemme come la struggente Let it be, la classica The long and winding road (Mc Cartney che gioca a fare un pezzo alla Frank Sinatra), la sognante Across the universe e la ruvida chiusura rock di Lennon, Get back. Secondo: molti dei guasti sono stati causati dal produttore Phil Spector, colpevole di aver sovrarrangiato il suono, farcendolo di archi e di soluzioni incapaci di interpretare le originarie scelte del gruppo. Detto questo è un disco bellissimo, non voglio mica rovinare i miei amori di quattordicenne per dei dettagli. P:S.: mia madre allora pensò che, come tutte le infatuazioni giovanili, la mia passione sarebbe passata con i Beatles. Poi, un giorno, mi vide arrivare con un disco dei Jethro Tull. (G. C.) [ i luoghi dell’anima ] Il borgo di Scopello in Sicilia Possono passare sei mesi, forse un anno, a volte due, ma prima o poi riemerge in me l’urgenza di tornare a Scopello. Ecco cosa intendo quando parlo di un luogo dell’anima, un luogo dove ti senti in armonia con te stesso e con l’ambiente, dove fermarsi in contemplazione e staccare la spina, dove appunto la tua anima ostinatamente ti riporta. L’ho scoperto dieci anni fa ed è un posto magico: Scopello (dal greco Skopelòs: scoglio) è un piccolo borgo contadino in provincia di Trapani, sorto sul sito di un antico casale arabo e costituito da un baglio seicentesco (dall’arabo bahal: cortile) - tipica costruzione rurale spagnola con ampia corte interna e strutture abitative intorno - ancora splendidamente conservato, una piazzetta e una stradina lastricata, un abbeveratoio in pietra, ancora in uso, un bar, un ristorantino e quattro case intorno, la maggior parte delle quali danno d’estate accoglienza ai turisti. Tutto incastonato tra la magnifica montagna rosa, sovrastata da torre Bennistra (XVI sec.), i vigneti ed un mare tra i più belli e puliti di Sicilia. Sullo sfondo il bosco di monte Sparagio (1200mt), un tempo dimora di cervi, lupi e cinghiali, che ricorda le battute di caccia di Ferdinando III di Borbone, che lo elesse a rango di riserva reale. È fondamentale scegliere il periodo giusto per visitare Scopello, mai d’estate, mai durante i ponti e le festività, quando viene presa d’assalto dai turisti predatori e rumorosi. Provate ad andare in primavera, quando la natura è rigogliosa, i colori vividi e il cielo terso, o in autunno o ancora meglio in inverno, vi ritroverete a discutere amabilmente con uno dei 29 abitanti stanziali del posto, che sonnecchiano in attesa dell’orda turistica. Fermatevi almeno tre giorni, se volete assaporare l’atmosfera del posto. Passeggiate lentamente per il borgo, fermatevi ad assaggiare i magnifici dolci alla ricotta del bar della piazza – soprattutto le straordinarie cassatelle fritte – visitate il baglio e, se il tempo è bello, percorrete il sentiero che tra rovi e fiori variopinti scende giù fino alla Tonnara. La vista che si schiude davanti ai vostri occhi è di una bellezza mozzafiato. La Tonnara di Scopello - Dimora Storica ed esempio di archeologia industriale documentata già agli inizi del sec. XIII e attiva fino agli anni Settanta - è costituita da un affascinante complesso 28 di edifici antichi racchiusi da un muro di cinta e sovrastati da un’antica torre federiciana e si erge maestosa su una caletta di acqua azzurra chiusa da suggestivi faraglioni sul mare. Comprate dall’unico panificio lo squisito pane cunzatu (pane casereccio, pecorino, pomodoro, olio e acciughe) e passate l’intera giornata successiva alla Riserva Naturale Orientato dello Zingaro, che si estende per circa 7 Km e che vi incanterà per la sua aspra e selvaggia bellezza, i colori intensi, le palme nane, la rigogliosa macchia mediterranea, i tenaci olivastri e i maestosi carrubi e per le bianche calette incassate in un mare turchese, dove è possibile prendere il sole e fare il bagno. La costa dello Zingaro è una delle pochissime in Sicilia senza litoranea. La costruzione della strada fu bloccata grazie all’impegno di associazioni naturalistiche che coinvolsero migliaia di cittadini in una marcia di protesta nel maggio 1980, e che riuscirono ad ottenere nel 1981 l’istituzione allo Zingaro della prima riserva in Sicilia. Potete completare la visita perlustrando i dintorni di Scopello, i vigneti, le montagne dolomitiche, le spiagge, come quella di Baia Guidaloca, stupenda striscia di sabbia racchiusa tra costoni di roccia a picco sul mare, o recandovi a Segesta, centro archeologico tra i più importanti e suggestivi, con il suo tempio dorico del IV secolo a.c. perfettamente conservato e chiudendo la giornata Riserva Zingaro. [ i luoghi dell’anima ] immergendovi nelle acque calde e salutari delle Terme di Segesta, aperte agli ospiti fino a mezzanotte. Dove alloggiare Ci sono molte locande, piccoli alberghi di charme, b&b, case ed appartamenti che possono essere affittati anche per settimane, tutti mediamente carini e inseriti con garbo nel contesto ambientale. Io vado sempre da Vito Mazzara che possiede, immersi in un giardino rigoglioso e in un silenzio irreale, miniappartamenti e camere sobrie, semplici ma accurate nei dettagli recuperati dalla tradizione siciliana. Anche Vito è un monumento di Scopello, flemmatico e accogliente senza essere invadente. Cosa e dove Mangiare A Scopello si mangia bene dappertutto. I piatti tipici sono a base di pesce, eccellenti soprattutto i primi piatti, le busiate (pasta fresca tipica del posto) a base di frutti di mare, o al pesto trapanese o ancora al sugo di carne e ricotta. Ottimo anche il cuscus alla trapanese. Io preferisco andare a cena nel ristorante al baglio, che si trova proprio nel contesto seducente e pittoresco del baglio seicentesco. Non dimenticate i gelati ed i dolci alla ricotta, i cannoli e le cassatine. La ricetta Cuscus alla trapanese Si tratta di un piatto tradizionale di origini arabe ma rivisitato con il gusto e l’estro siciliano. Ingredienti (per sei persone): per la zuppa: 1,5 kg di pesci misti da zuppa (scorfano, gallinella, sampietro, grongo); 500 g di pomodori; una bustina di zafferano; olio extravergine di oliva; una cipolla; uno spicchio d’aglio; prezzemolo; sale e pepe. Per il cuscus: 600 gr di cuscus (quello istantaneo); 200 g di mandorle tritate; cannella. Procedimento: Pulite tutti i pesci. Sfilettate i più grossi lasciando interi quelli piccoli e molto spinosi. Tritate la cipolla e fatela rosolare i ½ bicchiere d’olio con lo spicchio d’aglio schiacciato e una manciatina di prezzemolo tritato. Quando il soffritto è ben appassito, aggiungete i pomodori spellati privati dei semi e spezzettati e fate cuocere a fuoco vivace per una decina di muniti quindi unite i pascetti interi e gli scarti degli altri pesci (teste e lische). Bagnate con circa due litri d’acqua e aggiungere lo zafferano, sale e pepe. Fate cuocere per circa un’ora e quindi filtrare il brodo. Dividete il brodo in due parti. Con una parte fate cuocere il cuscus e con l’altro cocetevi brevemente i filetti di pesce. Quando il cuscus è cotto, versatelo in un ampio piatto da portata, amalgamatevi le mandorle e un pizzico di cannella, bagnatelo con poco brodo e fatelo riposare per qualche minuto. Al momento di servirlo, adagiatevi i filetti di pesce tenuti in caldo e servite a parte il brodo di cottura dei filetti ben caldo che servirà da condimento per il cuscus. (ricetta tratta da L’Italia del Gambero Rosso: la Sicilia) (Paola Vinciguerra) Mandateci i vostri consigli di viaggio, i luoghi a voi più cari, i suggerimenti su dove dormire o mangiare, le ricette e noi li pubblicheremo sui prossimi numeri di LBA o sul portale www. fiba.it Tonnara. [ legale ] a cura di Luigi Verde Patti di ampliamento del preavviso in caso di dimissioni Si va diffondendo nel nostro settore il fenomeno del prolungamento del periodo di preavviso in caso di dimissioni del lavoratore. Alcune banche infatti, in deroga alla disciplina contrattuale, sottopongono alla firma dei lavoratori, in genere all’atto della costituzione del rapporto, ma, talvolta, anche successivamente, patti - a livello individuale - che obbligano il lavoratore, appunto in caso di dimissioni, ad un periodo di preavviso più lungo, non solo di quello stabilito dal contratto collettivo, ma addirittura di quello che la stessa norma contrattuale prevede a carico del datore in caso di licenziamento (ad es. 12, o anche 18 mesi). Tale prassi risponde evidentemente all’esigenza delle banche di contenere, in una situazione di mercato del lavoro più “aperto”, il passaggio dei lavoratori da una banca all’altra (ovviamente concorrente). Si pone, pertanto, l’esigenza di un sintetico approfondimento della materia con particolare riguardo alla valutazione di legittimità di tali clausole. Le fonti normative che disciplinano le dimissioni sono, oltre quelle di legge, quelle contrattuali, e segnatamente l’art. 73 del ccnl dell’ 8 dicembre 2007 (settore Abi). Nel nostro settore, sulla base del rinvio dell’ art. 2118 c.c. alla contrattazione collettiva, la durata del preavviso è stabilita nella misura di un mese. Le considerazioni che seguono, fondate sulla poca giurisprudenza in argomento, si basano prevalentemente su alcuni approfondimenti degli studiosi. Esse si riferiscono a due diverse fattispecie: a) quella in cui a fronte della dilatazione del preavviso non è prevista alcuna “compensazione”, di alcuna natura, al lavoratore; b) quella in cui alla dilatazione del preavviso corrisponde: b1) una dilatazione del preavviso -a carico del datore- in caso di licenziamento, oppure, b2) un compenso in danaro, oppure, b3) una “contropartita” costituita dall’ attribuzione di una qualifica superiore e/o dall’inserimento in un percorso privilegiato di formazione. Quanto all’ipotesi sub a), l’orientamento prevalente degli esperti sostiene la nullità dell’ accordo individuale di ampliamento del termine di preavviso previsto dalla contrattazione collettiva. La fonte collettiva, cui l’ art. 2118 c.c. rinvia per la fissazione della durata del preavviso, è, per sua natura, inderogabile in peius essendo vietato alle fonti inferiori 30 la previsione di un preavviso più lungo, che risulterebbe in contrasto con il principio del favor per il lavoratore. Il vincolo alla libertà del lavoratore risultante da un preavviso di dimissioni troppo lungo è intollerabile, in particolare, secondo questo orientamento, a causa della disposizione del comma 2 dell’art. 2118, secondo cui la parte contrattuale che non adempia all’obbligo del preavviso deve pagare all’altra un importo pari alle retribuzioni relative al periodo di preavviso (cosiddetta “indennità di mancato preavviso”). Infatti, nel caso di una durata eccessiva del preavviso di dimissioni (ad es. dodici mesi), l’entità di questa “penale” sarebbe così elevata da inibire, di fatto, al lavoratore la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, costringendolo ad osservare un obbligo di durata ritenuto incompatibile con la libertà della persona. Va poi detto che, anche nel caso in cui l’inciso ”salvo diverso termine concordato”, che rimanda all’autonomia delle parti individuali, contenuto nella norma del ccnl che fissa la durata del preavviso in un mese, non dovesse essere interpretato, come invece noi sosteniamo, come possibilità rimessa alle parti di modificare solo in senso riduttivo il preavviso di un mese, ma, all’opposto, come possibilità anche di ampliare il termine del preavviso, quel patto individuale che contempli un preavviso di dimissioni più lungo di quello massimo (4 mesi) previsto dal rdl 1825/1924 per gli impiegati (“macro-categoria” professionale dell’epoca che, oggi comprenderebbe la 2° e la 3° area professionale nonché i quadri direttivi), dovrebbe comunque considerarsi nullo, per violazione non solo e non tanto dell’art. 2118 c.c. ma, soprattutto, delle disposizioni del menzionato rdl del 1924. Quanto, invece, alle ipotesi sub b), in cui le parti, nel contratto individuale, pattuiscono forme di compensazione del maggior preavviso va osservato che: 1) per quanto riguarda l’ipotesi in cui la contropartita è rappresentata da un compenso aggiuntivo ad hoc e, soprattutto, quella che elimina consensualmente la onerosa “penale” (indennità di mancato preavviso) sostituendola, per il caso di violazione da parte del lavoratore dell’obbligo pattuito, con la perdita o la restituzione del compenso aggiuntivo rimasto privo di causa, c’è da dire che, in questo caso, non è violata alcuna [ legale ] a cura di Luigi Verde norma inderogabile, poiché il lavoratore può liberarsi del rapporto senza rispettare il maggior preavviso semplicemente rinunciando al compenso aggiuntivo convenuto ad hoc e senza ulteriori conseguenze pregiudizievoli. In questa ipotesi si dovrebbe più correttamente parlare, più che di obbligo di maggior preavviso, di onere per conseguire e per mantenere il maggior compenso; 2) quanto all’ipotesi in cui, al posto del compenso in denaro, è prevista l’attribuzione di una qualifica superiore o di una ulteriore formazione professionale, il discorso è più articolato, tale da impedire una valutazione netta e aprioristica sulla legittimità di siffatte pattuizioni. Infatti, se la qualifica o l’inquadramento superiori sono stati già attribuiti e sono state svolte le corrispondenti mansioni, il corrispondente trattamento retributivo non può più essere oggetto di richiesta di restituzione da parte del datore di lavoro, così come non è più “restituibile” la formazione professionale già erogata. Pertanto, in questi casi, per valutare la legittimità dell’ accordo individuale nel suo complesso, occorre verificare in concreto quali conseguenze siano previste a carico del lavoratore per l’inadempimento dell’obbligo di un preavviso più lungo. Si potrebbe altresì osservare, con una più approfondita analisi della prospettiva dinamica di queste fattispecie -in particolare di quella in cui la contropartita del prolungamento è l’inserimento in un percorso formativo ad hoc- che l’equilibrio fra le rispettive obbligazioni, mentre appare formalmente realizzarsi all’ atto della firma dell’ accordo individuale, dal punto di vista sostanziale si realizza, invece, a nostro avviso, in un momento successivo, quello appunto della conclusione del processo formativo. Si vuol dire cioè che, all’atto dell’ accordo individuale, la “contropartita” a favore del lavoratore che si obbliga al prolungamento del preavviso (obbligo già perfetto), non si è ancora concretizzata, dovendosi attendere per la sua “perfezione” l’esito del percorso formativo. In questo caso l’esigenza di un equilibrio pieno fra le due obbligazioni postulerebbe l’effettiva decorrenza dell’obbligo del prolungamento a carico del lavoratore dal momento in cui lo stesso ha concluso l’iter formativo, con piena soddisfazione, aggiungiamo noi, del suo esito, in termini di crescita professionale. Si consideri, infine, l’ipotesi in cui il patto sul prolungamento del preavviso sia bilanciato dal corrispondente e proporzionale ampliamento del preavviso in caso di licenziamento. A tal proposito possiamo escludere la nullità del patto individuale in quanto contrastante con la norma contrattuale, dovendosi appunto considerare che tale pattuizione nel suo insieme non appare peggiorativa per il lavoratore. In via conclusiva possiamo dire che le fattispecie indicate al punto b), che potremmo definire di patto “bilanciato”, sono, in linea di massima da considerarsi lecite, con l’avvertenza che esse devono sempre esaminate nella loro concreta configurazione. Quanto, invece, ai casi in cui il lavoratore risulta penalizzato da un preavviso più lungo senza alcuna contropartita a suo vantaggio, possiamo concludere nel senso che tali patti, in quanto “a senso unico”, sono nulli: il lavoratore non è quindi tenuto a rispettarli né a corrispondere l’indennità di mancato preavviso, con il conseguente diritto a richiedere in giudizio quanto indebitamente trattenuto a tale titolo dal datore di lavoro. [ società civile ] a cura di Paola Vinciguerra Dialogo con i protagonisti del nostro tempo INTERVISTA a Rosario Crocetta Sindaco antimafia, omosessuale dichiarato e comunista. Questo l’identikit laconico e ovviamente riduttivo di Rosario Crocetta, il più alto modello di riferimento nella lotta alla criminalità organizzata in Sicilia. Sindaco di Gela - grosso comune nisseno tristemente famoso per il petrolchimico e per sanguinosi fatti di mafia - è stato eletto nel 2003 per una manciata di voti (e dopo un ricorso al Tar per irregolarità nello spoglio delle schede) e riconfermato nel 2007 con il 64,8% di preferenze. Vive blindato da anni e l’8 febbraio scorso, giorno del suo 57simo compleanno, un’indagine dei magistrati di Caltanissetta ha sventato un piano di attentato della mafia nei suoi confronti. Da allora gli è stata raddoppiata la scorta, che gli garantisce oggi una sicurezza uguale a quella delle più alte cariche dello Stato. Rosario Crocetta è la persona più lontana dalla retorica politichese che si possa immaginare, lo incontriamo in occasione della manifestazione nazionale antimafia per il trentennale dell’omicidio di Peppino Impastato. È cordiale e alla mano, anche se i 6 energumeni della scorta, che lo seguono ovunque, sono piuttosto torvi. Qual è la situazione di Gela oggi? Gela è un caso eclatante in Sicilia. È stato il primo paese che ha dato vita ad un’associazione antiracket ma anche il luogo dove nel 1991 fu ucciso un imprenditore sorteggiato a caso tra i commercianti che si ribellavano al pizzo. Esempio insuperato di spregio per la vita umana. Eppure in questa città, dove Cosa Nostra ha sparato e ucciso, si è prodotta una rivolta senza precedenti perché la gente ha capito che si fa sul serio, che c’è un’amministrazione comunale dalla loro parte e che polizia e magistratura, incoraggiati e sostenuti da questo clima di legalità, stanno facendo un lavoro eccezionale. Che può fare un sindaco per incidere nella lotta alla mafia? L’esperienza di Gela dimostra che, anche in mancanza di leggi, si può fare tantissimo se si è capaci di dialogare con la società, con i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali, con i magistrati e le forze dell’ordine, con i commercianti e gli imprenditori. Nella mia esperienza di sindaco sono riuscito a controllare il sistema degli appalti inserendo delle clausole 32 di trasparenza molto restrittive, come la richiesta preventiva antimafia per tutte le imprese che partecipano alle gare, aldilà dell’importo e tracciando tutta la filiera produttiva: ogni società deve dichiarare a quale altra ditta subappalterà e quali sono le sue imprese fornitrici. Tutte le aziende coinvolte devono essere in regola con la certificazione antimafia e non impiegare lavoro nero. Ciò per impedire che una azienda pulita vinca la gara e che poi la mafia si insinui successivamente. Chiunque vuole lavorare per l’amministrazione di Gela deve sottostare a queste direttive. Il risultato è stato positivo anche in termini economici e di competitività: se prima operavano sempre le solite tre aziende oggi sono decine le ditte che lavorano con il nostro comune e vengono da tutta la Sicilia. Certo tutto sarebbe più semplice se si istituisse per legge un albo delle aziende in regola, magari anche a livello europeo. Quali istituzioni dello Stato ha sentito ostili in questi anni? Non mi sento di generalizzare. Io mi sento Stato, come Stato erano Falcone e Borsellino e persino Peppino Impastato. Ci sono istituzioni che in questi anni hanno lavorato bene e pezzi dello Stato che hanno fatto e fanno ancora affari con i mafiosi. Se non ci fossero connivenze forti con la mafia, questa sarebbe già stata sconfitta come è stato sconfitto il terrorismo. Bisogna scardinare innanzitutto il rapporto tra economia, politica e criminalità organizzata perché storicamente la cosche stanno sempre dove stanno i soldi. Lei ha definito Peppino Impastato un eroe. Fino a quando questo paese continuerà ad avere bisogno di eroi? Sono contrario alle frasi fatte come “beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. Io penso che come la chiesa cattolica ha i suoi santi, la società laica abbia bisogno di eroi. Esistono delle persone eccezionali che rischiano la vita per un ideale di giustizia e dobbiamo rendergli onore. Credo però che la lotta alla mafia non si faccia solo con gli eroi. Bisogna lottare, ad esempio, nei luoghi di lavoro dove non si rispettano le norme di sicurezza ed i contratti. Anche quella è lotta alla mafia. Il sindacato può fare tantissimo senza bisogno di eroi. Ognuno di noi può avere un ruolo, il commerciante, l’insegnante, il giornalista, senza retorica, senza ergersi a vittima sacrificale. C’è però bisogno oggi, più di ieri, di uno [ società civile ] a cura di Paola Vinciguerra sforzo eccezionale, in una società che ha perso di vista i valori fondamentali, di rispetto e solidarietà. La questione morale è sempre più un’emergenza non solo siciliana ma nazionale. L’invasione pacifica dei ciclisti Critical Mass è un evento internazionale che si tiene in più di 400 città del mondo - ed in molte città italiane - ogni ultimo venerdì del mese quando i ciclisti vanno in massa a percorrere le strade delle loro città normalmente occupate dalle automobili. La massa critica è un manifestazione di difficile definizione, trattandosi di un evento spontaneo privo di struttura organizzativa formalizzata. Il fenomeno si è sviluppato a partire da San Francisco, dove nel 1992 si svolse la prima Critical Mass, e si propone di sensibilizzare la cittadinanza sui benefici che derivano dall’utilizzo delle bici come mezzo di trasporto urbano in alternativa all’auto. La bicicletta è infatti ecologica: non vi è consumo di ossigeno, nessun gas di scarico, nessun rumore. Andare in bicicletta fa bene alla salute, previene l’infarto, l’ipertensione, l’obesità e i disturbi del sonno. È facile da usare ed economica: usando una bicicletta al posto di un’auto si risparmiano circa 2000 € all’anno. La bicicletta è veloce - per i percorsi urbani è più veloce dell’automobile - e non è pericolosa per gli altri utenti della strada. Andare in bicicletta è soprattutto stimolante e divertente, permette un contatto diretto con le persone, i paesaggi, i suoni e gli elementi naturali. Solidarietà piccola piccola Esiste una rete costituita da 253 piccoli e medi comuni italiani (e 4.051.126 abitanti) che hanno deciso di fare della solidarietà Nord - Sud del mondo un preciso progetto “politico” e “amministrativo” da condividere con i cittadini e con le altre comunità del territorio. La rete nasce dall’esigenza di portare avanti progetti chiari di interventi piccoli ma precisi e concreti (ad esempio realizzazione di un pozzo, di una casa, l’acquisto di 100 zappe ecc) e attraverso modalità di realizzazione snelle senza troppi passaggi di mano nella certezza che la offerta giunga a destinazione senza realizzare cattedrali nel deserto e senza troppa burocrazia. Dal sito www.comunisolidali.org è possibile ricavare informazioni sui vari progetti adottati dai comuni, ma soprattutto è possibile prendere spunto per far diventare anche il proprio comune un Comune Solidale. [ internazionale ] a cura di Maurizio Locatelli Mondi che si incontrano Mama Africa, Passage to Benin Incontro un collega, Eros Ambrogio Tavernar, impiegato del Banco di Sicilia di Milano, iscritto al nostro sindacato. Nello scorso mese di febbraio, si candida per partecipare ad un’iniziativa lanciata da Unidea, fondazione privata costituita da UniCredito Italiano nel marzo 2003 per sostenere interventi nel campo della solidarietà e della cooperazione allo sviluppo. Offrire l’opportunità a 10 dipendenti di Unicredit Group, uno per ciascun paese in cui il gruppo è presente, di entrare in contatto con la realtà sociale e culturale del Benin, stato africano in cui la Fondazione sta intervenendo per il miglioramento della salute di base della popolazione dell’Alto Benin. A maggio Eros viene scelto come partecipante italiano. Trascorre 10 giorni tra il Burkina Faso e il Benin, ex colonia francese “Dahomey”, famosa come “Costa degli schiavi”, perché da qui sono stati imbarcati più di un milione di schiavi per essere venduti nelle Americhe. Eros, con quale spirito sei partito? Tanta voglia di conoscere realtà e civiltà “lontane” dagli schemi mentali dell’Occidente, un forte desiderio di condividere sul campo la progettualità di una Fondazione nata da una banca, impegnata nell’assistenza sanitaria ed educativa. Raccontaci dove siete stati. Arrivati a Ouagadougou, in Burkina Faso, abbiamo conosciuto l’Associazione Keoogo che offre sostegno ad oltre 1200 bambini di strada che giungono dai villaggi rurali per ricevere un’educazione. Il focus del viaggio è stato nel nord del Benin, per il progetto “Tata Somba”. Un impegno nel comparto socio-sanitario che si sviluppa su tre livelli: villaggi, centri di salute e ospedale. Nei villaggi viene svolta una capillare attività informativa di prevenzione , grazie all’opera di “agenti” sanitari. Interessante la modalità, che fa molto uso di immagini, di cultura locale: l’apprendimento viene favorito in un contesto di festa, di coinvolgimento globale di tutta la popolazione, con musiche e danze. I centri di salute, funzionalmente tramite tra il villaggio e l’ospedale, si rivolgono principalmente a donne gestanti, che si cerca di inserire in un percorso di osservazione per tutto il periodo della gestazione. Dal Nord al Sud del paese è stato poi un infinito susseguirsi di paesaggi, colori,odori e 34 popoli. A Cotonou, principale città del Benin, grande ed affollato porto, l’immersione in un involontario “purgatorio” di esseri umani, ma non si avverte disperazione, quasi fosse questa una delle “magiche pozioni” africane. Se ripensi a questa esperienza, cosa ti sei portato a casa? Nel congedarci dal Benin abbiamo fisicamente varcato la “porta del non ritorno”, a Ouidah, da dove partivano gli schiavi. Per me è stato un passaggio vissuto realmente, un cambio di atteggiamento nei confronti di alcuni aspetti del vivere quotidiano, un “non ritorno” a modelli e comportamenti che possono anche soddisfare nel breve, ma che deludono nel lungo. E in certi momenti faremo un po’ di pausa, e il pensiero tornerà alla moltitudine di volti di bimbi e ai loro bellissimi sorrisi. Nel salutarci, hai alcune immagini che ci lasci, scolpite nel tuo cuore e nella tua mente? Sì, un paio di sensazioni in cui i bambini, figli di mamma Africa, sono ancora protagonisti: “un bambino mi si avvicina con un foglio di carta in mano e disegna cose semplici. Una casa, una donna, un uomo. Poi scrive di fianco alle tre figure tre parole “casa, mamma, papà”… Il bambino è un orfano e non ha nemmeno un riparo. È un “bambino di strada”, uno delle migliaia di bambini che vivono per le strade di Ouagadogou. Il bambino non chiede né soldi, né aiuto: sogna e mi sorride… Cammino come se fossi qualcuno che arriva da un altro pianeta nel mezzo di un mercato a Cotonou. La polvere è ovunque, il rumore è fortissimo, dei giovani lavorano in fonderie improvvisate. In questo posto misero un bambino mangia del cibo da un barattolo, un altro cerca di dormire. E’ un incubo o è reale? Sono confuso: vorrei fare qualcosa ma allo stesso tempo mi sento impotente. Esco da questo “inferno”, un altro bimbo mi sorride…” Ora sogno molto, quello che ho vissuto sembra molto lontano, ma anche così vicino allo stesso tempo… Il portale web della Federazione Italiana Bancari Assicurativi