Calais-Bastille

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Calais-Bastille
La “Giungla” di Calais.
Dove è nato un villaggio
di Roberto Festa
“È la prima volta che vai nella Jungle?” mi chiedono tutti, quando spiego che sono venuta a fare
un reportage sui migranti di Calais.
“Allora non ti dico nulla, capirai quando la vedrai, è un posto un po’… speciale”.
In francese, è un modo gentile di dire che qualcosa ha un lato difficile da digerire, cercando di non
spaventare troppo chi ascolta.
In effetti, la Giungla, come la chiamano tutti, non è facile da definire. Di certo non è un campo
profughi regolamentare, perché i migranti sono stati costretti a venire a installarsi qui, intorno a un
ex-centro vacanze trasformato in centro d’accoglienza dallo Stato; se non allo sbaraglio, senza
molta supervisione.
All’inizio, erano i primi mesi del 2015, nessuno ha pensato di creare dei punti d’acqua o
installare l’elettricità in questa landa battuta dal vento. Una distesa sabbiosa e umida, a pochi passi
dalla tangenziale, a sette chilometri dal centro città e a nove dall’ingresso del tunnel sotto la
Manica. Il centro statale Jules Ferry era aperto fino alle 19 e tanto bastava, secondo le autorità, a
garantire ai migranti i servizi necessari. A quel tempo, già 1500 persone bivaccavano in vari spazi
occupati e campi improvvisati nella sonnolenta Calais, cittadina di neanche 73 mila anime (la metà
di Bergamo) con un tasso di disoccupazione che tocca il 16 per cento. Oggi i migranti, nonostante
le partenze volontarie e le retate della polizia, sono circa 5 mila. Sono solo ipotesi, però, perché
nessuno è in grado di fare una stima precisa. Nel frattempo, nel campo sono stati installati bagni
chimici, qualche palo della luce e quattro punti d’acqua corrente. Per avere le docce fuori dal centro
Jules Ferry si è dovuto aspettare che associazioni inglesi e francesi ne installassero qualcuna
rudimentale qui e là.
Quando sono arrivata vicino al campo, la prima cosa che ho sentito è stata l’odore dolciastro e
persistente delle industrie chimiche che affacciano su una delle due strade da cui si accede alla
Giungla. Poi ho visto le tende, sgangherate, ricoperte di plastica per proteggerle dalla pioggia e
ammassate le une sulle altre per ripararsi in qualche modo dal vento del Nord.
C’è molta spazzatura in giro ma l’odore non è cosi sgradevole. Ogni tanto alcuni migranti
raccolgono i rifiuti e li portano fino a grossi bidoni di metallo, dove vengono a recuperarli gli
spazzini municipali avvolti in tute di plastica. Pochi metri separano l’ingresso del campo da quella
che è diventata la strada commerciale della Giungla : una successione di ristoranti, minimarket,
caffè e persino un barbiere. Qui le tende lasciano il posto a costruzioni di legno, leggermente
sopraelevate per isolare il pavimento e rivestite di plastica e plexiglass per i più fortunati.
All’interno, molti commercianti hanno ricoperto le pareti con tappeti, teli e coperte, per nascondere
gli strati di materiali isolanti e rendere i locali più accoglienti.
Ristoranti e caffè sono spuntati come funghi.
Un pranzo in un ristorante afghano, a base di pollo speziato, riso e fagioli, costa 4 euro. Un chai,
generalmente con aggiunta di latte e spezie, come da tradizione pashtun, viene 50 centesimi. Se
volete comprare delle sigarette, basta andare in un qualsiasi negozietto, dove un ragazzo che passa
il suo tempo a prepararle con tabacco sfuso e una macchinetta per rollare ve ne vende 10 a 1 euro.
Preferite un narghilè? Non c’è problema, accomodatevi e ordinatene uno al bar.
Qualcuno vende persino fiori, basta chiedere. I negozi sono spuntati come funghi, in pochi mesi. I
più vecchi sono nati a primavera, alcuni li stanno ancora costruendo, altri devono essere rinforzati
per resistere all’inverno che sta arrivando. Ogni tanto, un sudanese passa in bicicletta e cerca di
vendere una porta. Il proprietario del negozio valuta la merce, contratta il prezzo e in pochi minuti
la transazione è conclusa.
Non tutti quelli che gestiscono questi locali erano qui quando sono stati costruiti. Alcuni li
affittano, lavorano abbastanza per mettere via qualche soldo e poi ripartono. Altri hanno ripreso la
gestione dopo che il proprietario precedente, che li aveva già scelti come successori, è riuscito a
passare in Inghilterra. Molti hanno investito in un’attività nella Giungla i pochi soldi che gli sono
rimasti o quelli che ottengono dallo Stato grazie al loro statuto di rifugiati o di richiedenti asilo. In
questo caso si parla di cifre che variano tra i 300 e i 500 euro al mese circa, a seconda del Paese
che eroga il sussidio. Non abbastanza da permettersi un alloggio fuori dalla Giungla, ma sufficienti
a finanziare una piccola attività nel campo che potrebbe rivelarsi redditizia, vista la massa di
potenziali clienti.
La cultura è importante, anche nella Giungla. Con l’estendersi della tendopoli, alle associazioni
locali se ne sono aggiunte altre, inglesi, spagnole, belghe. La loro azione non è sempre coordinata
ma i volontari vengono di solito a occuparsi di un progetto preciso per un periodo di tempo più o
meno lungo.
Alcuni di loro rimangono anche a dormire sul posto. È così che quest’estate è spuntato un
bellissimo teatro, ideale valvola di sfogo per giovani e meno giovani, che vengono qui a esibirsi, a
dipingere o anche solo come spettatori. La cupola bianca del teatro è diventata una vera agorà, il
posto perfetto in cui riunirsi e discutere della situazione nel campo.
La scuola, invece, deve la sua esistenza al nigeriano Zimako, che è venuto apposta a Calais
dall’Italia. La prima che ha costruito è diventata in poco tempo troppo piccola e adesso sta
fabbricando un vero e proprio campus, con infermeria e classi separate. I professori hanno anche
istituito dei corsi di musica e arte per grandi e piccini. Tra la scuola e la chiesa eritrea, lungo la
strada che la Croce Rossa ha lastricato di ciottoli per renderla meno fangosa e più praticabile,
alcune associazioni hanno aperto una biblioteca e dei migranti sono diventati bibliotecari.
La sera, alcune tende si trasformano in bar-discoteche in cui risuonano di volta in volta le canzoni
di Bob Marley o melodie esotiche. Qui è facile trovare alcolici e, ogni tanto, scoppia una rissa. La
Giungla è tanto tranquilla e industriosa di giorno, quanto brulicante e violenta di notte. Per i
migranti la violenza è parte integrante della vita quotidiana e assume molte forme. Dalla
prostituzione (un “servizio” costa solo 3 euro) alle retate della polizia, passando per le tensioni
etniche, ce n’è per tutti.
Personalmente, ho potuto visitare il campo in lungo e in largo, spostandomi senza particolari
problemi; ma non è così per tutti. La Giungla è divisa in settori per area di provenienza e di solito
un sudanese non mette piede nei ristoranti afghani e un siriano non attraverserà certe zone del
campo per arrivare fino alla scuola. Ci sono eritrei che non hanno nemmeno idea di dove sia il
teatro, nonostante la sua posizione centrale e accessibile. Più gente arriva, però, più è difficile che le
divisioni etniche durino e più facile che le tensioni aumentino.
Condannato dal Consiglio di Stato per le condizioni degradanti in cui vivono i migranti, il governo
francese non dovrà solo fare in modo di migliorare le condizioni igienico - sanitarie e di accoglienza
degli abitanti della Giungla, ma anche riflettere su come gestire queste problematiche, prima che la
situazione degeneri.
Ecco la piece teatrale:
http:// www.francetheatre.eu/it/calais-bastille/