Numero 2 - Caritas Italiana

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Numero 2 - Caritas Italiana
MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXIX - NUMERO 2 - WWW.CARITASITALIANA.IT
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
marzo 2006
Italia Caritas
CAMBIA IL SERVIZIO CIVILE. SENZA SCORDARE LA PACE
I GIOVANI CHE SERVONO
ENCICLICA BENEDETTO XVI E L’AMORE CHE CAMBIA IL MONDO
IRAQ VIAGGIO TRA I CRISTIANI IN FUGA DA UN PAESE STREMATO
BALCANI LUTTI, DIVISIONI E TRATTATIVE: DOVE VA IL KOSOVO?
sommario
ANNO XXXIX NUMERO 2
Mensile della Caritas Italiana
Organismo Pastorale della Cei
viale F. Baldelli, 41
00146 Roma
www.caritasitaliana.it
email:
[email protected]
IN COPERTINA
Una giovane in servizio civile
con un ragazzo utente
di un centro socio-educativo.
La nuova stagione del servizio
è ancora quasi per intero
al femminile. Ma non “arruola”
solo studentesse
foto Elena Gagliardi
Italia Caritas
direttore
Don Vittorio Nozza
direttore responsabile
Ferruccio Ferrante
coordinatore di redazione
editoriale
di Vittorio Nozza
FREQUENTARE LA STORIA,
AMARE IL PROSSIMO SENZA LIMITI
Paolo Brivio
in redazione
editoriale di Vittorio Nozza
FREQUENTARE LA STORIA, AMARE IL PROSSIMO SENZA LIMITI
parola e parole di Giovanni Nicolini
I MERCANTI SCACCIATI DALLA MALATTIA DELL’AMORE
paese caritas di Renzo Gradara
I MIRACOLI ATTORNO A NIMAL E I BENEFICI DEL COLLABORARE
verso verona di Giancarlo Cursi
IL SERVIZIO AI FRATELLI? DEVE ESSERE AMOREVOLE
Danilo Angelelli, Paolo Beccegato,
Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,
Renato Marinaro, Francesco Marsico,
Francesco Meloni, Giancarlo Perego,
Domenico Rosati
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progetto grafico e impaginazione
Francesco Camagna ([email protected])
Simona Corvaia ([email protected])
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stampa
Omnimedia
via Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)
Tel. 06/7989111 - Fax 06/798911408
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nazionale
ROBA DA STUDENTESSE? NO, IMPEGNO CHE MATURA
di Fabrizio Cavalletti e Pietro Gava
dall’altro mondo di Chiara Mellina
DIRITTI UMANI, SULLA CARTA NON BASTANO
di Paolo Pezzana, Cinzia Neglia e Oliviero Forti
database di Walter Nanni
contrappunto di Domenico Rosati
sede legale
viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma
tel. 06 541921 (centralino)
06 54192226-7-77 (redazione)
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offerte
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Paola Bandini ([email protected])
tel. 06 54192205
inserimenti e modifiche nominativi
richiesta copie arretrate
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Marina Olimpieri ([email protected])
tel. 06 54192202
spedizione
speciale enciclica
in abbonamento postale
D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
art.1 comma 2 DCB - Roma
Autorizzazione numero 12478
dell’8/2/1969 Tribunale di Roma
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testi di Salvatore Ferdinandi e Giovanni Perini
panoramacaritas SAN MASSIMILIANO, “MICRO”, GEORGIA
progetti SOSTEGNO AI MISSIONARI
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Chiuso in redazione il 17/2/2006
AVVISO AI LETTORI
internazionale
INSICURI E IMPOVERITI: IRAQ, DEMOCRAZIA STREMATA
di Silvio Tessari e Pietro Boni
guerre alla finestra di Diego Cipriani
ORFANO E LACERATO, DOVE VA IL KOSOVO?
testi e foto di Francesco Gradari
casa comune di Gianni Borsa
“EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ, USIAMO MEGLIO LE FONTI”
di Stefano Lampertico
contrappunto di Alberto Bobbio
agenda territori
villaggio globale
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Per ricevere Italia Caritas per un anno occorre versare un contributo alle spese di realizzazione di almeno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.
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La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, può
trattenere fino al massimo del 5% sulle offerte per
coprire i costi di organizzazione, funzionamento e
sensibilizzazione.
Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:
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●
Versamento su c/c postale n. 347013
●
Bonifico una tantum o permanente a:
- Banca Popolare Etica,
piazzetta Forzaté 2, Padova
Cin: S - Abi: 05018 - Cab: 12100
conto corrente 11113
Iban: IT23 S050 1812 1000 0000 0011 113
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- Banca Intesa,
piazzale Gregorio VII, Roma
Cin: D - Abi: 03069 - Cab: 05032
conto corrente 10080707
Iban: IT20 D030 6905 0320 0001 0080 707
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Donazione con Cartasì e Diners,
telefonando a Caritas Italiana 06 541921
(orario d’ufficio)
Cartasì anche on line, sul sito
www.caritasitaliana.it (Come contribuire)
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ritratto d’autore di Jerzy Kluger
LOLEK E JUREK PROMOSSI: «SIAMO FIGLI DELLO STESSO DIO»
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io è amore. Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Così l’apostolo Giovanni nella sua prima
lettera. E così Benedetto XVI comincia la sua prima
enciclica, Deus caritas est. Non può sfuggire a nessuno l’estrema attualità di questo testo teologico. Il richiamo del papa alla
centralità dell’amore, alla passione per l’amore, all’identificazione tra amore e caritas, alla sua forza e alla sua mitezza. Da Dio
alle sue creature e da una creatura a un’altra, l’amore segue due
a collocarci, attraverso la contemplazione del volto di Cristo, nei crocevia delle contraddizioni e delle
fragilità di ogni uomo. Frequentare e
abitare la vita, il territorio e la storia:
ma accanto alla risposta di solidarietà immediata, giocata forse più
sull’onda di un’emozione che sul
sentiero ordinario della carità, c’è un
tessuto comunitario ancora fragile,
una conflittualità che continuamente riemerge. La carità chiede di dipercorsi di luce: un percorso che
ventare esperienza quotidiana di rescende e risale da Dio e verso Dio; un
La prima enciclica
lazione, compagnia, condivisione,
altro, circolare, che avvolge in un abdi papa Benedetto
presa in carico. Un annuncio del
braccio comunitario l’umanità, tutti
richiama la centralità
vangelo che non tocca, non giudica
e ciascuno, senza distinzione di razza
dell’amore, forza che lega
e non interpella la vita è sfasato e
e fede. Perché viene prima della fede.
Dio all’uomo e gli uomini
dissociato dalla realtà.
Benedetto XVI non usa un linin un abbraccio
“Avevo fame... avevo sete... Ogni
guaggio allusivo. Entra nell’attualità
comunitario.Ne consegue
volta che avete fatto questo al più
di questi giorni e quasi di queste ore.
un invito a operare,
piccolo dei miei fratelli l’avete fatto a
Dentro “un mondo in cui al nome di
che abbia per orizzonte
me”. Occorre fermare l’attenzione su
Dio viene collegata la vendetta e perun ordine mondiale
quell’avverbio temporale: ogni volfino il dovere dell’odio e della violenta. Questi passaggi del Signore viciza”. L’amore cristiano non è solidano a noi sono momenti-occasioni di
rietà generica, tanto meno semplice
elemosina, ma nuovo modo di essere, senso profondo del vita scomodi, disturbanti il nostro quieto vivere. Se inconostro essere impastati di amore e gratuità, stile di vita, do- minciamo ogni volta a dire sì, la nostra vita cambia, dino di amore nella reciprocità, per incidere sul costume e venta linguaggio visibile e testimonianza, parla anche al
sulla vita personale, comunitaria e sociale. L’amore è pros- cuore e alla vita degli altri. Solo attraverso questa solidasimità, nel senso più ampio e comprensivo della fraternità rietà di base è possibile segnare l’intera nostra esistenza
umana. Frutto della comune paternità divina, per cui dav- di carità e quindi renderla linguaggio visibile e vivo per
vero “ogni uomo è mio fratello”. Al suo diritto di essere trat- gli altri, che coniuga necessità di intervento e volontà di
tato come tale, corrisponde il mio dovere di non sottrargli animazione, in alcuni fondamentali impegni, attraverso
nulla della sua dignità, in una circolarità di gratuita reci- i quali la persona e la comunità dice se stessa al territoprocità che non può conoscere limiti, perché al cristiano è rio. È un traguardo di chiesa faticoso, che chiede di aiuchiesto di amare l’altro comunque, senza precisazioni di tare la comunità cristiana a recepire la testimonianza di
simpatia o inimicizia. È la ragione per cui il precetto della carità come parte integrante dell’unica missione di
carità risulta incomprensibile, persino innaturale.
evangelizzazione; per riflesso, garantisce alle attività ca***
ritative realizzate ufficialmente dalla chiesa la dignità di
Il vangelo della carità ci invita a incontrare volti e storie, attività pastorali.
“D
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editoriale
parola e parole
di Giovanni Nicolini
Collaborare “sulle cose buone”
La coscienza cristiana è chiamata a confrontarsi con le
sfide del tempo presente, avendo come riferimento essenziale il dovere di amare il prossimo. Se umanizzare e
amare la vita è il compito della comunità cristiana, ne
consegue la necessità di un discernimento a proposito
di dottrine e atti. È il discorso giovanneo della collaborazione “sulle cose buone”. L’incontro con gli uomini e
le donne di buona volontà va perseguito senza confusioni, ma con grande fiducia. Per quanto i percorsi siano e restino differenti, non si può negare che esistono
intrecci positivi di valori e di intenzioni, che possono far
crescere la coscienza della fraternità. Il confine, allora,
passa tra chi si fa carico del destino dell'uomo e chi ad
esso rimane indifferente. Cambieranno i termini. Si parlerà di solidarietà o di coesione sociale, ma la diversità
delle parole non ostacola il tragitto da fare insieme. Sapendo, con Teilhard De Chardin, che “quanti guardano
all’uomo finiranno con l’incontrarsi”.
***
Il comandamento “amerai il prossimo tuo come te stesso” non ha limiti di applicazione. La figura che il samaritano incontra sulla via di Gerico non corrisponde soltanto alla gente delle aree della miseria e della fame, ma
anche agli uomini, alle donne, alle famiglie dei paesi più
ricchi, quando essi si chiudono in un egoismo che non
comprende i loro doveri mondiali. Per corrispondere a
tale obbligo di carità è necessario costruire tra tutti gli
uomini di buona volontà, e in un contesto di dialogo
permanente, comuni codici d'impegno: la persona
umana è inviolabile, la libertà dell'uomo non si compra
e non si vende, tutte le persone umane sono uguali per
dignità, tra tutti deve stabilirsi una reciproca solidarietà.
Se a tali principi ci si richiama in modo coerente, ne
consegue un debito operativo molto vasto che – nonostante il senso di impotenza – conduce a non aver paura
di muoversi nell’orizzonte di un ordine e di un governo
mondiali. Sul piano sociale si tratta di incidere sulle
strutture da cui derivano fame, indigenza, guerre, disoccupazione di massa e di lavorare per un mondo in cui i
diritti umani non siano offesi. Sul piano culturale si tratta di mettere a frutto i valori delle culture e delle tradizioni, non per proclamare identità esclusive, ma per stabilire un pluralismo orientato alla cooperazione. Sul piano internazionale si tratta di rimettere all’ordine del giorno l’idea di una vera comunità dei popoli, non solo come garante ma come promotrice di una pace durevole,
nella quale l’uso della forza sia sottratto alla sovranità dei
singoli stati e conferito a un’autorità imparziale e legittima, da costruire attorno alle Nazioni Unite come autentica espressione dei popoli e non solo degli stati. Sul piano economico si tratta di ottenere il massimo risultato e
la miglior distribuzione della ricchezza, senza sfruttamento del lavoro e nella salvaguardia della natura, che
va sottratta al saccheggio degli interessi individuali.
Allora grazie, papa Benedetto, che ci hai ricordato
con gioia che Deus caritas est.
‘‘
Il confine passa tra chi si fa carico del destino dell’uomo
e chi vi rimane indifferente. Cambiano le parole, ma
“quanti guardano all’uomo finiranno con l’incontrarsi”
’’
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I MERCANTI SCACCIATI
DALLA MALATTIA DELL’AMORE
Trovò nel Tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al
banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio (…). I discepoli
si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divora”. (Giovanni 2, 13-17)
ella singolare cronologia del Vangelo secondo Giovanni, l’incontro
di Gesù con i mercanti del Tempio è la prima memoria della presenza del Signore alla Pasqua ebraica a Gerusalemme. Noi ascoltiamo queste parole nella terza domenica di Quaresima. Una tradizione
che a me sembra enfatica attribuisce alla “cacciata dei mercanti del tempio” una specie di concessione del Cristo alla violenza. Questa lettura, in
ogni caso da ridimensionare, è del tutto deviata quanto al testo di Giovanni. Ci troviamo davanti a un episodio “violento”, ma il contenuto
N
dote. La profezia ha vegliato nei secoli sul Tempio, affinché il sacrificio delle primizie e degli agnelli non si annullasse in un gesto formale privo di
partecipazione interiore.
Un bene da morire
L’antico Salmo recitava: “Tu non hai
voluto sacrificio né offerta, un corpo
invece mi hai preparato... allora ho
detto: io vengo”. Ecco dunque, nella
dirompente del gesto di Gesù si colpienezza del tempo, il Signore che
loca a livelli ben più profondi.
viene. Questo diventa la sorgente delGesù si scaglia contro
È meglio considerare il gesto del
la nostra nuova vita: non adempichi profana il Tempio.
Signore quasi come una liturgia di
menti esteriori che assolvano il noMa il significato
straordinaria portata storica e spiristro dovere religioso, ma comunioneprofondo non sta
tuale. Nel testo di Giovanni, anzitutpartecipazione al sacrificio del Figlio.
nella violenza dell’atto,
to, manca la citazione che qualifica
Liturgia nuova e mirabile, promossa
bensì nello “zelo”
come “ladri” i venditori di buoi, pedall’invito di Gesù: “Amatevi come io
per la casa del Padre:
core e colombe; si fa invece memoria
vi ho amati”. Liturgia pasquale, che
il vero sacrificio
del versetto del Salmo 69: “Lo zelo per
genera e sostiene la grande liturgia
per la salvezza
la tua casa mi divora”. Che cosa è avdella vita di ogni discepolo di Gesù.
dell’umanità lo compie
venuto quel giorno all’ingresso del
Ammonizione preziosa per la nostra
il Figlio nel suo Corpo
quotidiana diaconìa verso i fratelli più
Tempio? Il cambiamento radicale del
piccoli: emerge l’esigenza radicale
rapporto con Dio, in piena adesione
alle promesse e alle profezie di Israele. La fine di ogni ipo- che ogni segno di carità esprima la nostra comunione con
tesi di offerta e sacrificio dell’uomo a Dio, e la piena rive- Colui che ha dato se stesso per noi, facendo anche del più
lazione del vero sacrificio per la salvezza dell’umanità: il piccolo gesto una celebrazione della nostra vita offerta.
sacrificio d’amore che il Figlio di Dio celebra nel suo corQuaresima diventa allora tempo prezioso di converpo come principio di vita divina per tutta l’umanità.
sione all’Amore. Se la Croce fosse solo dolore non sarebbe
“Dio è Amore”, ricorda il papa nella sua prima encicli- salvezza. La Croce è prima di tutto amore. Un’espressione
ca. Quello che la storia dei padri ebrei ha preparato deve popolaresca dice: “Ti voglio un bene da morire”. Gesù ci
ora essere compiuto. Devono scomparire i segni degli an- ama appassionatamente: fino alla Passione! Perchè, come
tichi sacrifici e dev’essere manifestato l’Amore di Dio nel- la donna del Cantico dei Cantici, è “malato d’amore”!
la Croce del Figlio. “Lo zelo per la tua casa mi divora”, e il Questa malattia è contagiosa e pericolosa: d’amore si
Figlio si consuma nell’Amore per l’intera umanità. Il nuo- muore. Per fortuna, o per Grazia, il Signore Gesù ce l’ha atvo Tempio è il suo Corpo, insieme altare, vittima e sacer- taccata. Con Lui moriamo, e con Lui risorgeremo.
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paese caritas
verso verona
di Renzo Gradara
direttore Caritas Rimini
di Giancarlo Cursi
I MIRACOLI ATTORNO A NIMAL
E I BENEFICI DEL COLLABORARE
imal è un cingalese arrivato in Italia da più di vent’anni. Passato
in molte città, si è stabilito a Rimini. All’inizio ha trovato lavoro
con facilità, per la giovane età e la conoscenza delle lingue. Poi
un’abbiente signora, attempata e separata, si è invaghita di lui e lo ha
portato a casa sua, come “tuttofare”. Dopo alcuni mesi, però, lo ha trasferito al piano terra, in una camera vicino al garage; poi lo ha messo
fuori casa. Nimal ha cominciato a darsi all’alcol e a dormire sulle panchine del parco, alla stazione, in qualche casa abbandonata.
N
sull’onda della solidarietà.
Liberate dall’oppressione
In questi ultimi anni, sotto l’impulso
del Gruppo di lavoro diocesano, si
sono costituite alcune Caritas interparrocchiali, una dozzina, che mettono insieme operatori delle Caritas
parrocchiali di un territorio omogeneo, a volte di uno stesso comune o
di una medesima zona pastorale. Se
Quando beveva diventava violento.
è vero che le parrocchie “devono acOrmai tutti i preti e le Caritas parquisire la consapevolezza che è finiUn immigrato cingalese
rocchiali della città lo conoscevano.
to il tempo della parrocchia autosuffinisce sulle panchine
Il centro di ascolto della Caritas
ficiente”, le Caritas interparrocchiali
del parco, ma poi decide
diocesana ha iniziato a prospettarcostituiscono un’efficace palestra di
di tornare a casa.
gli la possibilità di tornare a casa.
collaborazione pastorale. PermettoPer aiutarlo le Caritas
Quando ragionava era d’accordo,
no, inoltre, di potenziare il centro
parrocchiali cominciano
ma il giorno dopo, nei fumi dell’ald’ascolto, che qualifica una Caritas e
a collaborare.
rende più efficienti i servizi.
col, inveiva contro gli operatori, i
Una lezione:
La presenza di operatori pastorali
quali, tuttavia, hanno costruito una
la dimensione
di
più
parrocchie fa diventare le Carirete con i parroci e le Caritas della
interparrocchiale
tas
interparrocchiali
“strutture nuove
città per un comportamento comupuò dare ottimi frutti
per la missione e condivisione dei cane, finalizzato a convincere Nimal.
rismi”, rendendo più facile seguire la
È stata l’occasione per conoscersi,
scambiarsi informazioni sullo Sri Lanka e sulla comu- formazione spirituale e “professionale” degli operatori
nità cingalese a Rimini, iniziare una raccolta per il bi- stessi, curando la “formazione del cuore”. Le Caritas interglietto, coinvolgendo persone e associazioni cittadine.
parrocchiali offrono inoltre la possibilità di conoscere meLo tsunami ha definitivamente convinto Nimal a tor- glio i problemi di un territorio ampio, diventando interlonare a Colombo. Dopo alcuni mesi mi ha scritto che, cutrici autorevoli delle istituzioni. La rete di collegamento
rientrato a casa, ha smesso di bere. Pare sia vero, non ci fra Caritas interparrocchiali permette all’osservatorio delresta che pregare “santa dura”. Ha fatto due richieste: la Caritas diocesana di essere l’unica realtà in grado di ofduemila euro per comprare un Ape a tre ruote per fare il frire dati reali sull’emigrazione e la presenza irregolare
taxista e alcune grandi immagini di Padre Pio. La rete del- nella provincia. Le Caritas parrocchiali, infine, liberate
le Caritas parrocchiali della città si è attivata per il taxi. In- dall’oppressione della distribuzione di vestiario e alimenvieremo anche le riproduzioni sacre, se il cappuccino di ti, sono più disponibili a seguire le famiglie in difficoltà del
Pietrelcina, santo dal miracolo facile, non ha già provve- territorio e soprattutto a svolgere bene il compito di eduduto da solo. Intanto una manciata di fatti miracolosi so- care la comunità alla carità.
no avvenuti: Nimal non beve più, è nato in lui l’interesse
Insomma, la solidarietà cambia la vita. E può rinnoreligioso e alcune parrocchie hanno collaborato tra loro vare le nostre parrocchie.
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IL SERVIZIO AI FRATELLI?
DEVE ESSERE AMOREVOLE
«Q
uesta sua creatura gli è cara, perché appunto da Lui stesso è stata voluta, da Lui “fatta”. (...) Questo Dio ama l’uomo». Papa Benedetto, nella sua enciclica, ci conduce alla
scoperta della gioiosa realtà che fa di ogni persona, che la sperimenta nella propria vita, un naturale e fervente testimone per tutti fratelli che incontra. «L’eros di Dio per l’uomo (…) è insieme totalmente
agape – scrive ancora il pontefice –. Egli ci viene incontro, cerca di
conquistarci. (...) Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo
modo di amare facendo percepire all’altro di essere amato: nell’ascolto
paziente, nell’accompagnamento
premuroso, nel conforto e nell’incoraggiamento.
Profonda revisione
Alle affettività tradite e alle disattenzioni al bisogno di affetto che, a partire dai disagi delle famiglie, si riversano impietosamente su chi soffre, è fesuscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci
rito, oppresso o disperato, soprattutfa vedere e sperimentare il suo amore
to nelle attuali condizioni di vita e di
L’affettività è luogo
e, da questo “prima” di Dio, può colavoro della società, la testimonianza
cruciale per incontrare,
me risposta spuntare l’amore anche
della carità da parte della chiesa può
oltre ai giovani, molti
in noi. (...) Allora imparo a guardare
portare un dono fondamentale: un
adulti feriti nelle loro
quest’altra persona non più soltanto
servizio amorevole, anche nei suoi
relazioni e vicende
con i miei occhi e con i miei sentiaspetti più contenitivi o correttivi,
famigliari.La Chiesa
menti, ma secondo la prospettiva di
quando l’altro resiste o si ribella a ciò
italiana ci riflette.
Gesù Cristo. Il suo amico è mio amiche può aiutarlo a crescere e a riscatco. Al di là dell’apparenza esteriore
tarsi dal male.
Con una certezza:il
dell’altro, scorgo la sua interiore atteUna profonda revisione di molti
fratello non solo va amato,
sa di un gesto di amore, di attenzione;
servizi
promossi dalle nostre comuma deve sentirsi amato
nità e dello stile con cui sono espressi
lo vedo con gli occhi di Cristo e posso
dagli operatori ci chiede di dare spadare all’altro ben più che le cose
esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di zio e concretezza a un amore che, come specifica San Paoamore di cui egli ha bisogno».
lo, «tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
Davanti al disagio del fratello, alle sue povertà, spesso
La dimensione affettiva, via maestra per incontrare i
estreme, non possiamo accontentarci di esprimere un giovani e i bambini, ma anche gli adulti feriti nelle vicende
servizio, sia pure attento, operoso e promozionale: la sua familiari, nelle relazioni sul posto di lavoro o nel rifiuto e
sete più profonda è sete di acqua viva. È sete di affetto, e nello stigma sociale, offre ai testimoni della carità un’opproprio sull’affettività la Chiesa italiana si appresta a in- portunità speciale di incontro e condivisione che, di riflesterrogarsi (è uno degli ambiti di riflessioni codificati dal so, può allargare la misura del loro cuore. A ogni fedele, porcammino preparatorio) in vista del Convegno ecclesiale, tatore di vangelo nella quotidianità e nel territorio, si rivolin programma a ottobre a Verona. Ogni fratello ha bisogno ge ancora la riflessione del papa: «Devono essere quindi
di “sentirsi” amato, di un amore fedele, personale, vivifi- persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il
cante. Di scoprire, attraverso l’incontro con noi, che un cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risveglianPadre Dio si impegna per la sua felicità e piena realizza- dovi l’amore per il prossimo. Il criterio ispiratore del loro
zione. Ha bisogno di ricevere amore nella dimensione del- agire dovrebbe essere l’affermazione presente nella seconl’amorevolezza, che già per San Francesco di Sales era il da lettera ai Corinzi: “L”amore del Cristo ci spinge”».
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nazionale
servizio civile
Il nuovo ruolo delle regioni:
perplessità sul doppio binario
ROBA DA STUDENTESSE?
NO, IMPEGNO CHE MATURA
di Fabrizio Cavalletti foto di Elena Gagliardi
no sport da signorine (coraggiose)? In un certo senso. Ma non perché a occuparsene I SOLDI
CONTANO
debbano essere solo ragazze con tanta buona volontà e molto tempo da regalare. Il NON
Una giovane
nuovo servizio civile nazionale assume una fisionomia sempre più precisa. Anche e so- in servizio
prattutto quello svolto in Caritas da migliaia di giovani italiane, che ne hanno messo a a Milano
in un centro
fuoco le potenzialità oblative, formative e di “addestramento civico”, mentre resta da per minori.
Molte ragazze
rafforzare la connessione con i valori universali della pace e del ripudio della violenza.
scelto
Caritas Italiana ha organizzato, il 9 e 10 febbraio scorsi, un Forum sul servizio civile, nel corso avrebbero
il servizio
del quale sono stati presentati i risultati di un lavoro di ricerca sul servizio civile in Caritas. La ricer- anche in assenza
ca prova a tracciare un profilo generale dei giovani e delle giovani che hanno svolto il nuovo servi- di compenso
zio nelle Caritas diocesane italiane tra dicembre 2001 e febbraio 2005. Si tratta quasi esclusivamente di donne, per due terzi provenienti dal sud Italia e dalle isole, età media 23,3 anni, disoccupate o,
in misura un po’ inferiore, studentesse universitarie.
Mentre si lavora a un rafforzamento dell’ancora residuale presenza maschile, il nuovo servizio civile non ap- Presentata una ricerca sulla
pare come un’esperienza “solo per studentesse universitarie”, come molti prevedevano al momento della riforma fisionomia del nuovo servizio civile
della leva. Le fasce sociali coinvolte sono diverse: accanto in Caritas. È ancora un’esperienza
a chi studia, vi è un numero ancora più grande di diplomate non occupate, in fasce di età anche piuttosto alte, quasi esclusivamente femminile.
che optano per il servizio civile non solo per mancanza di Ma coinvolge diverse fasce sociali.
lavoro (il 68% delle non occupate dichiara che avrebbe
E non resta un’isola, nel percorso
scelto il servizio civile anche in assenza di un compenso
economico, così pure il 76% delle studentesse). Vi è anche personale di crescita
una quota di laureate, che nel corso del servizio cresce in
modo significativo. Poche sono le giovani occupate: il fortemente impegnate. Da questo punto di vista, il servizio
nuovo servizio civile sembra precluso a questa fascia di civile non rappresenta una sorta di “isola della solidarietà”,
persone, in assenza di un sistema di incentivi che ne favo- ma forse un’opportunità di impegno diversa dalle consuerisca l’accesso.
te quanto a retribuzione, tipo di servizio, situazione degli
utenti. Il servizio svolto viene comunque valutato in geneUtili nel disagio
re in modo molto positivo; per il 70% l’esperienza è stata
I motivi principali che hanno condotto alla scelta del ser- molto significativa, al termine di essa il 66% delle ragazze
vizio sono “vivere nuove esperienze e relazioni umane si- pensa di rimanere in contatto con la Caritas e l’81% con il
gnificative” (71%) ed “essere utili a chi vive nel disagio” centro operativo nel quale ha prestato servizio.
(52%): il servizio civile appare come una scelta non immeNella seconda parte della ricerca emerge un’ampia didiatamente legata a interessi professionali. Conta, però, versificazione della tipologia dei centri, sia per quanto
nel tempo lasciato libero dal servizio, il fatto di poter pro- concerne l’ambito di attività sia per quanto concerne la tiseguire gli studi e i propri impegni di volontariato e lavoro. pologia di rete in cui è inserito. Gli ambiti di impiego preI dati descrivono le ragazze in servizio come persone valenti sono il disagio adulto (la rete dei centri di ascolto) e
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i minori, seguono anziani e disabili, quindi altre categorie
(tossicodipendenti, malati di Aids, malati psichici, detenuti, donne vittime di violenza e ragazze di strada, osservatori delle povertà, botteghe del mondo). Emerge inoltre che
per circa un terzo si tratta di centri che non hanno avuto
obiettori di coscienza, confermando l’ipotesi che il servizio civile nazionale non è stato la mera continuazione del
servizio civile degli obiettori, ma che grazie ad esso si sono
attivati anche nuovi centri operativi. Il servizio civile nazionale ha indotto le Caritas a promuovere nuove alleanze
e aprire a nuovi attori, permettendo lo sviluppo di nuovi
centri. Si configura, insomma, un servizio civile ricco e
pluridimensionale, che coinvolge soggetti e bisogni nuovi
rispetto alla stagione dell’obiezione di coscienza.
La Finanziaria 2006 ha sforbiciato i fondi destinati dal
bilancio dello stato al nuovo servizio civile nazionale,
portandoli a poco meno di 208 milioni di euro, dieci
in meno di quelli previsti dalla programmazione
triennale (che già comportava una riduzione, rispetto
ai 224 stanziati per il 2005). In servizio, quest’anno,
ci potranno entrare solo 35 mila giovani: pochini,
rispetto ai 108 mila posti richiesti dagli enti e alle 80
mila richieste avanzate dai giovani all’ultimo bando.
In futuro i vincoli finanziari riproporranno,
verosimilmente, situazioni simili: il servizio civile dovrà
cercare strade parallele per potenziare la sua offerta.
Una di queste è già consentita dalle normative sul
servizio civile volontario, però è ancora poco sfruttata.
Ogni regione può infatti decidere di istituire un servizio
civile regionale. Le regioni, nell’acquisire poteri di
organizzazione e attuazione del servizio civile nazionale,
diventano punti di riferimento per l’accreditamento
degli enti che svolgono la propria attività in ambito
esclusivamente regionale e provinciale. Enti regionali
sono considerati quelli che conducono progetti in
non più di tre regioni oltre a quella dove hanno la sede
legale. Anche le attività di formazione possono essere
gestite dalle regioni o da enti convenzionati con esse.
Soprattutto, però, le regioni possono approvare leggi
che regolino, allo stesso tempo, l’attuazione della
normativa statale e l’istituzione del servizio civile
regionale, o che istituiscano un servizio civile regionale
distinto da quello nazionale. Nella seconda ipotesi,
possono individuare settori di impiego diversi da quelli
previsti dallo stato, aprire il servizio a cittadini stranieri
e cambiare i requisiti di ammissione, cioè “reclutare”
anche anziani, adulti, disoccupati e minori di 18 anni,
oltre ai giovani dai 18 ai 28 anni. In forme differenti,
il servizio civile regionale è stato istituito da Lombardia,
Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Marche.
«Quelle consentite alle regioni sono strade
non alternative – spiega Ivan Nissoli, responsabile
del servizio civile di Caritas Ambrosiana, che ha
approfondito il problema all’interno del coordinamento
nazionale Caritas –, ma la coesistenza di questi
due strumenti desta qualche perplessità sul piano
organizzativo, oltre che da un punto di vista giuridico».
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nazionale
servizio civile
Ancora San Massimiliano?
L’eredità dell’obiezione resta viva
Il 12 marzo si ricorda il martirio del primo obiettore di coscienza.
Festa attuale? Il nuovo servizio civile deve molto alla vecchia stagione...
na vita che non serve non serve alla vita”:
con una frase di don Tonino Bello si apre,
il 12 marzo, giorno in cui si fa memoria di
San Massimiliano, martire per obiezione
di coscienza al servizio militare, l’incontro nazionale dei giovani in servizio civile in Caritas. Quest’anno all’incontro, previsto a Trani, per la prima volta ci
saranno solo i giovani del servizio civile nazionale, non gli
obiettori si coscienza, che con il 2005 hanno terminato il
loro servizio civile. E allora, perché san Massimiliano?
Perché, come insegnava proprio don Bello, nella
“Chiesa del grembiule” o, parafrasando, nel “grembiule
della Chiesa” sta la sostanza della pace, nei gesti quotidiani di amore verso il prossimo e soprattutto verso i poveri
sta la costruzione della giustizia. Il servizio civile volontario affonda le sue radici nell’obiezione di coscienza, proprio perché nei suoi gesti quotidiani si oppone a ogni violenza e costruisce la pace. Questa eredità ideale dell’obie-
“U
zione di coscienza ha assunto significati più ampi e più
ricchi, che riguardano la missione stessa della Caritas. Attraverso il servizio civile, essa ha infatti rafforzato il legame
con i giovani e il territorio, ha sviluppato nuovi servizi e ha
potenziato gli esistenti, ha avvicinato i giovani e i loro
mondi di provenienza ai disagi del territorio. Il servizio civile non è stata solo un’esperienza educativa per i giovani
o un mezzo per potenziare i servizi, ma ha rappresentato
uno strumento attraverso cui la Caritas ha adempiuto la
sua missione di educazione della comunità.
Attenti al prima e al dopo
A partire da questa riflessione sull’eredità sostanziale che
l’obiezione di coscienza lascia al nuovo servizio, a Roma il
9 e 10 febbraio Caritas Italiana e le Caritas diocesane hanno fatto sintesi del percorso avviato per costruire nuovi
elementi fondativi del servizio civile in Caritas. Considerando l’esperienza dal 2001 a oggi, emerge una rappresen-
Mattia ha scelto pace e servizio:
prima obiettore, poi casco bianco
Un giovane a cavallo tra vecchio e nuovo: dopo l’impegno in un centro
di accoglienza a Modena, il lavoro con i minori “sotto vendetta” in Albania
nuove forme di servizio, che la stagione successiva alla leva obbligatoria propone.
di Pietro Gava
l decreto legge del 30 giugno 2005 ha concluso in
modo definitivo la storia dell’obiezione di coscienza nel nostro paese. Il patrimonio culturale cresciuto in 33 anni, dal 1972 al 2005, continua però a
dare frutti e a svilupparsi nelle esperienze di servizio civile in Italia e all’estero. Mattia Bellei, 28 anni, uno tra
gli ultimi obiettori di coscienza, è oggi un casco bianco:
impegnato in Albania, ha tratto dalla scelta per la nonviolenza e la pace le motivazioni per affrontare una delle
I
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Mattia, quando hai scelto di diventare obiettore di
coscienza?
È stato un percorso cominciato tramite alcune letture,
maturato attraverso incontri ma soprattutto dopo alcuni
viaggi in Africa. Toccare con mano alcune situazioni è stata una tappa fondamentale nella mia crescita. Poi, due anni fa, ho svolto il mio servizio da obiettore a Modena, al
centro di accoglienza Porta Aperta, in una struttura desti-
tazione dello stesso come “bene comune”, che riguarda
diversi soggetti: varie categorie di giovani, con motivazioni plurali e provenienti da contesti sociali differenti; varie
realtà sociali del territorio; centri operativi di varia natura.
Questo dato rappresenta un primo tratto fondativo del
servizio civile nazionale, che introduce il secondo elemento, l’attenzione alle situazioni di marginalità. Come
dire che al centro del nuovo servizio civile, oltre che i giovani devono esserci i territori e i loro disagi. Un terzo elemento è l’aspetto formativo: attraverso il contatto con i
problemi sociali del territorio e un accompagnamento
formativo costante i giovani sperimentano un’occasione
di crescita umana importante. Un quarto punto è la dimensione comunitaria, ossia la possibilità di sperimentare un’esperienza di relazione, nel servizio e nei momenti formativi, attraverso il lavoro
di équipe con gli altri volontari e con
gli operatori dei centri.
Un ultimo elemento è l’attenzione e la cura del prima e del dopo servizio. Le Caritas sono chiamate a interagire con gli interessi e le prospettive
dei giovani e i loro mondi di provenienza, al fine di ampliare i canali che
orientano alla scelta del servizio civile, e a individuare percorsi che li aiuti-
no a valorizzare l’esperienza, una volta terminata. Questa
attenzione implica anche un nuovo modo di vedere il servizio civile nella chiesa: non più un’esperienza solo di alcuni enti ecclesiali, ma di tutta la comunità. Diventa allora
fondamentale costruire luoghi diocesani, in cui i vari attori (Caritas, altri uffici pastorali e Azione Cattolica) pensino
e promuovano insieme il nuovo servizio. Infine, tenendo
conto anche delle restrizioni in termini numerici causati
dai ridotti stanziamenti governativi, occorre vedere il servizio civile all’interno di progettualità pastorali più ampie,
finalizzate all’educazione dei giovani al servizio, alla cittadinanza e alla pace, dove accanto al servizio civile vengono formulate altre proposte (anche più flessibili).
EREDITÀ DI PACE
Giovani volontari
in Etiopia. Oggi il nuovo
servizio civile deve
trovare una continuità
coi valori dell’obiezione
nata ai minori stranieri. Un operatore mi aveva segnalato
il bisogno di “manodopera”. È stata un’esperienza dura,
ho dovuto imparare a rapportarmi con ragazzi di un’estrazione sociale bassa, con una cultura diversa dalla mia.
Come hai conosciuto l’esperienza dei caschi bianchi?
Concluso il servizio civile Paolo Roboni, operatore della
Caritas modenese, mi parlò della possibilità di svolgere
un’esperienza di volontariato all’estero. Mi sarebbe piaciuto partire per l’Africa, non solo per il fascino del continente nero, ma perché da cinque anni mi reco in Burkina
Faso e Benin con altri amici; nel corso del tempo si è costituito un gruppo informale, che sostiene la costruzione
di strutture sanitarie e civili. Caritas Italiana mi ha però
proposto di andare in Albania e non mi sono tirato indietro. Spero che questo servizio sia un trampolino per lavorare nel mondo della cooperazione.
Quali sono i tuoi compiti in Albania?
Sono impegnato nell’associazione albanese “Ambasciatori di pace”. Mi occupo di promuovere il servizio alternativo rispetto a quello militare. C’è una legge sul servizio civile in Albania, ma è misconosciuta. Poi, con una camionetta, accompagno nei villaggi le maestre dai “bambini
sotto vendetta”, potenziali vittime di faide familiari, che vivono chiusi in casa per timore di essere uccisi. L'associazione si batte per la loro alfabetizzazione e per far riconoscere i loro percorsi di istruzione al governo albanese.
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nazionale
nazionale
dall’altro mondo
rapporto sull’italia
DIRITTI UMANI,
SULLA CARTA NON BASTANO
DONNE DA TUTTO IL MONDO:
ATTIVE, ISTRUITE, SOTTOIMPIEGATE
di Chiara Mellina
di Paolo Pezzana
immigrazione femminile, fenomeno ancora scarsamente studiato, non rappresenta una novità nel panorama internazionale. A livello mondiale, fin dal 1960, l’incidenza femminile
sulla popolazione migrante si è mantenuta su valori superiori al 46,6%.
Valori prossimi al 50% non indicano però necessariamente un equilibrio di genere in tutte le comunità migranti: secondo i dati registrati
dalle Nazioni Unite nel 2004, le donne migranti risultano il 48,8% della popolazione migrante mondiale, ma per alcune comunità nazionali la presenza femminile raggiunge anche incidenze del 70-80%.
congiungimenti familiari, alcune comunità superano notevolmente l’incidenza media nazionale (39.1%): sia
Pakistan che Bangladesh facevano
registrare valori superiori al 92%,
mentre Egitto, Macedonia, Cuba e
Tunisia oscillavano tra l’81% e l’89%.
Nel 2004, sul totale dei migranti assunti, le donne rappresentavano il
41% delle assunzioni a tempo determinato e il 36% assunzioni a tempo
In Italia il rapporto tra uomini e
indeterminato. L’inserimento avviedonne migranti risulta pressoché
ne in prevalenza nel settore della colRappresentano
paritario. Negli ultimi 13 anni la
laborazione familiare (collaboratrici
circa la metà
presenza femminile è aumentata
domestiche e assistenti domiciliari).
dei migranti mondiali.
del 6,4%, dal 42% del 1991 al 48,4%
Le donne migranti figurano come
Anche in Italia,
del 2004. Anche in questo caso, per
un segmento dinamico e attivo del
in quindici anni,
una lettura più approfondita, il damercato del lavoro, sono molto
sono
passate dal 42%
to va disaggregato (per paese di
istruite, sottoimpiegate e ricoprono
al 48,4%.Metà di loro
provenienza, classi d’età, durata del
una fascia d’età medio-giovane. È
ha un permesso
soggiorno, titolo di studio, tipologia
un’immigrazione che non può essere
di soggiorno per motivi
di soggiorno) e soprattutto conteconsiderata appendice di quella madi lavoro.Ma continuano
stualizzato nel momento storico,
schile, ma risorsa per i paesi di accoa subire discriminazioni
culturale, sociale ed economico in
glienza e vettore di sviluppo per le
cui avviene la migrazione.
aree di provenienza, soprattutto grazie al contributo economico delle rimesse.
Molte dall’Europa dell’est
Nei confronti delle donne, tuttavia, persistono comNel 2004 le migranti regolarmente soggiornanti in Italia portamenti discriminatori (lavoro nero, retribuzioni rierano 1.350.000; il 50,2% aveva un permesso di soggiorno dotte, assegni di maternità negati, ecc.). Anche loro, come
per motivi di lavoro e il 39,1% per ricongiungimento fa- del resto tutti i migranti presenti in Italia, subiscono le remiliare. Le comunità più rappresentate erano quelle dei strizioni di una normativa deficitaria, in cui i diritti sono
paesi dell’est europeo: Romania (119.228), Ucraina subordinati al possesso di un permesso di soggiorno, una
(95.407) e Albania (89.625); seguono le donne marocchi- “permanenza a tempo determinato”. Gli esiti delle politine (70.153), polacche (49.182), filippine (46.906) e cinesi che migratorie applicate in nazioni di antica tradizione
(44.719). Quanto ai motivi di soggiorno, le prime tre co- immigratoria suggeriscono di proporre politiche inclusive
munità per il lavoro subordinato erano Ucraina, Romania (salute, casa, partecipazione politica, ricongiungimento
e Filippine; per il lavoro autonomo Cina, Romania e Ma- familiare), perché quelle non inclusive sono destinate a
rocco; per motivi di famiglia Albania, Marocco e Roma- fallire. La tutela dei diritti di ogni individuo risponde infatnia; per motivi di studio Albania, Usa e Giappone; per mo- ti a un’esigenza di solidarietà umana e, contemporaneativi religiosi India, Spagna e Filippine. Nell’ambito dei ri- mente, a una logica di tutela della salute della società.
L’
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algrado il livello in genere elevato di protezione dei diritti umani offerto dalla sua legislazione, l’Italia contribuisce tuttavia notevolmente a determinare il sovraccarico di lavoro
della Corte europea dei diritti dell’uomo. È infatti il quinto stato per il numero di ricorsi dinanzi alla Corte ed è il primo in termini di condanne. Inoltre, è il paese che registra il numero maggiore di mancata esecuzione delle sentenze”. Questa impietosa considerazione
apre il Rapporto di Alvaro Gil-Robles, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, pubblicato a metà dicembre e relativo alla sua visita in Italia, tenutasi dal 10 al 17 giugno 2005, di cui restituisce una sintesi alIl Consiglio d’Europa ha reso noto il suo Rapporto larmante e un’istantanea molto chiara.
Il nostro paese conosce bene, e in molsullo stato di applicazione dei diritti umani
ti ambiti, la contraddizione tra ottime leginei paesi del continente.In Italia le note dolenti
slazioni e prassi discutibili, tipica del “preriguardano soprattutto psichiatria, immigrazione, dicare bene e razzolare male”. Il campo dei
diritti umani, almeno a stare al Rapporto
carceri:leggi positive, ma applicate male
Gil-Robles, non sembra fare eccezione. Il
tema è grave e ha profonda rilevanza civiINCAPACI DI
le e sociale; siamo europei, aderiamo (da
ACCOGLIERE
Sbarchi di
promotori) alla Convenzione europea dei
stranieri sulle
coste siciliane diritti dell’uomo (Cedu), non è lecito sottovalutare le questioni sollevate dal rapporto né liquidarle come fastidiose intromissioni di
Bruxelles nei nostri affari interni. Il Commissario europeo,
grazie anche alla collaborazione prestata dalle istituzioni
italiane, pur valutando positivamente l’impegno dell’Italia
in molti campi, solleva importanti temi sociali e politici, di
cui evidenzia gli aspetti sotto il profilo della tutela dei diritti umani: lentezza della giustizia, gravi carenze dei sistemi
carcerario e psichiatrico, mancanza di una disciplina sul
diritto d’asilo, difficoltà di inserimento sociale poste agli
immigrati e alla comunità rom, situazione drammatica del
Cpt di Lampedusa, mancanza di un’istituzione nazionale
per i diritti dell’uomo, mancanza di una pluralità effettiva
nel controllo dei mezzi di comunicazione. Sono questioni
conosciute e più volte denunciate anche da Caritas, specie
nelle materie di sua competenza.
ELENA MARIONI
“M
Cultura dell’accoglienza
Gil-Robles avanza, a conclusione del rapporto, un’ampia
serie di raccomandazioni specifiche all’Italia, affinché riI TA L I A C A R I TA S
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nazionale
rapporto sull’italia
muova gli ostacoli che la rendono inadempiente rispetto alla Cedu e alla sua stessa Costituzione. Il governo italiano ha fornito a Bruxelles ampie e motivate argomentazioni sulla bontà della nostra legislazione e sugli sforzi
in atto, ma esse di fatto confermano quanto rilevato dal
Commissario. Resta l’urgenza di provvedere, e servono
misure che in larga parte rientrano fra quelle politiche
sociali delle quali si avverte da più parti la carenza.
L’esigenza fondamentale è restituire piena centralità alla persona nell’ordinamento e “dare gambe” a una vera
cultura dell’accoglienza dell’altro, della relazione come arricchimento reciproco, che vince la paura, supera le barriere, accende la solidarietà, spinge all’integrazione. Si tratta di uno sforzo prima di tutto culturale, che va supportato
non solo dallo stato centrale, ma anche dalla società civile
e dai singoli cittadini, con particolare attenzione al ruolo
che nella formazione della loro opinione giocano i mezzi
di informazione pubblica. In questo senso ha ragione il governo quando, nel replicare alle osservazioni di Gil-Robles,
scrive che “l’Italia ritiene che il vecchio modello per cui lo
stato è l’unico guardiano dei diritti dei suoi cittadini è or-
mai superato”; tale compito spetta a tutti, ognuno deve fare responsabilmente la sua parte. Purché questo non significhi, come troppe volte si è già visto in Italia, che su
queste questioni in fondo si possono anche chiudere gli
occhi, perché tanto qualcuno prima o poi ci penserà. Un
diritto sospeso è un diritto di carta, e le persone in difficoltà
dei diritti di carta non sanno proprio cosa farsene.
INTERNATI, PIÙ CHE CURATI
Psichiatria: pochi centri diurni,
ospedali giudiziari senza uscita
Il Rapporto del Consiglio d’Europa
e le repliche del governo italiano sono
reperibili on line all’indirizzo internet
ww.coe.int/T/E/Commissioner_H.R
/Communication_Unit/Documents
/By_country/Italy/index.asp
Le norme italiane in tema sono le più avanzate al mondo. Ma in molti territori
mancano strutture residenziali. E i sei Opg fanno detenzione, più che cura
di Cinzia Neglia
L
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e la loro organizzazione.
Lo stesso Rapporto Gil-Robles sembra dare per scontata la presenza di un numero sufficiente di Centri di salute mentale e la loro apertura almeno dodici ore al giorno per sei giorni a settimana. Ma l’esperienza insegna che
così non accade; non sempre si può usufruire di un Csm
con quella disponibilità di tempo; d’altro canto i Centri
diurni, previsti nel Pon e primo gradino per la reinclusione nella società, sono inesistenti in alcuni territori, e addirittura in alcuni casi non sono previsti tra i servizi del
Dipartimento di salute mentale (Dsm).
Prevenire il trattamento
Una riflessione appare doverosa anche in riferimento a
un altro nodo, il trattamento sanitario obbligatorio (Tso),
previsto dagli articoli 33-34-35 della legge 833/78 (che
istituisce il sistema sanitario nazionale). Nelle situazioni
in cui la cura, il rapporto tra servizi e paziente e le attività
di prevenzione sono realmente attuati, si verifica un’incidenza marginale di Tso. Quando vi si ricorre, sovente uno
dei due medici chiamati in causa nel proporre o convalidare il trattamento è uno psichiatra, anche se la legge non
lo richiede espressamente. Si tratta di una buona prassi,
che però non deve far dimenticare la necessità, spesso disattesa nel nostro paese, di impegnarsi a prevenire i Tso.
Ben più complessa e tragica è un’altra realtà, ampiamente affrontata da Gil–Robles: quella degli ospedali psichiatrici giudiziari, ai quali nel Rapporto è dedicato ampio spazio, con osservazioni generalizzate a partire dalla
ti tra malato e famiglia, difficoltà a individuare strutture residenziali in cui inserire la
persona internata.
Sostenere le famiglie
ALBERTO MINOIA
o scarto tra un’ottima legislazione e la mancanza della sua applicazione è certamente una caratteristica dell’Italia e l’ambito della psichiatria
non rappresenta un’eccezione. La legislazione
italiana in tema di salute mentale è considerata
all’avanguardia in Europa e nel mondo; l’Italia è il primo
paese ad aver abolito gli ospedali psichiatrici, la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) considera le
nostre leggi un modello di riferimento.
Si potrebbe dunque supporre l’esistenza di una diffusa ed efficace attenzione alle persone malate di mente,
ma così non è. Il Rapporto Gil-Robles evidenzia alcuni
nodi esistenti nella prassi di applicazione delle leggi; altri
sono noti a quanti (operatori, familiari, pazienti, volontari) ogni giorno li affrontano nella propria esperienza di disagio o di lavoro.
Parlare di salute mentale e di diritti porta a fare riferimento alla legge 180 e a tutti i tentativi di revisione. Il dibattito è così spostato, di frequente, su un piano ideologico, che poco favorisce la garanzia dei diritti dei malati,
primo fra tutti il diritto alla cura e, in essa, all’accoglienza,
al reinserimento sociale e alla restituzione della dignità
personale.
Ma il nodo non è la regola, bensì la sua applicazione.
Il riferimento normativo, a questo proposito, è il Decreto
del presidente della repubblica del novembre 1999, meglio noto come Progetto obiettivo “Tutela salute mentale”
(Pon), al cui interno sono definiti con precisione i servizi
chiamati a prendere in carico e curare il malato di mente
visita a uno dei sei Opg attualmente operanti in Italia. Il
testo del commissario europeo esprime preoccupazione,
già nelle osservazioni generali, sulle condizioni e sui criteri di detenzione negli Opg. Inoltre ricostruisce l’iter che
conduce all’internamento ed evidenzia il sovraffollamento delle strutture e le difficoltà ad abbandonare quelle
strutture, assimiliate con chiarezza alla detenzione e non
alla cura. Un’indagine del Dipartimento amministrazione penitenziaria aveva evidenziato, in passato, che reato
commesso, sua pericolosità e diagnosi del caso non sono
correlate con la durata dell’internamento negli Opg, la
quale è piuttosto un effetto della difficoltà di reinserimento della persona nel territorio di appartenenza. Questa difficoltà scaturisce da differenti fattori: il Dipartimento di salute mentale di appartenenza oppone resistenza
alla presa in carico di un soggetto che si considera turbolento, interruzione dei legami burocratici (e non) con la
realtà di origine, assenza di fatto dei familiari o di contat-
Una residenza diversa dalla propria casa
d’origine sarebbe in effetti a volte indispensabile per permettere alla famiglia di superare le proprie difficoltà nel riaccogliere il
congiunto ricoverato-detenuto in un Opg.
Emerge qui, come in altri ambiti della psichiatria, la necessità di sostenere non solo i malati, ma
anche le famiglie, senza strumentalizzarle come troppo
spesso avviene.
In ogni caso appare pericoloso affermare che gli Opg
in Italia sono poco numerosi, attribuendo a questo fatto
le difficoltà di reinserimento sociale, che in quest’ottica
sarebbero causate dalla lontananza del malato dal territorio di appartenenza. E ingiustificata appare anche la
scarsa enfasi attribuita dal Rapporto alla sentenza
253/2003 della Corte costituzionale, la quale, di fatto, invita i giudici a non internare i malati negli Opg, ma a individuare soluzioni alternative.
Quale deve essere dunque l’impegno da assumere per
garantire la tutela dei diritti dei malati? Riguardo alla specifica realtà degli Opg, occorre anzitutto rendere note a
giudici e avvocati sentenze come quella emessa dalla
Corte costituzionale e aiutarli a individuare soluzioni alternative di alloggio e cura. In generale occorre poi renI TA L I A C A R I TA S
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nazionale
nazionale
esclusione
politiche
database
sociale
sociali
rapporto sull’italia
dere disponibili risorse umane e finanziarie, affinché le
possibilità di cura per i malati siano reali e rese fruibili da
tutti, applicando leggi a cui tutto il mondo guarda con interesse: a cominciare dalla realizzazione di centri diurni
(alla cui realizzazione sono chiamati tutti, sistema sanita-
rio, enti locali, privato profit e non profit) e di strutture residenziali (previste dal Pon) che garantiscono nel medio e
lungo periodo assistenza e riabilitazione, e che restituiscano al malato la dignità che è di ogni persona, accompagnandolo alla maggiore autonomia possibile.
Cpt con garanzie inadeguate,
asilo senza una legge organica
Nell’ambito dell’immigrazione, il rapporto europeo evidenzia lacune
risapute. Unica nota positiva: la legislazione contro la tratta di esseri umani
di Oliviero Forti
on posso immaginare quali debbano essere state le condizioni di promiscuità e
di sovraffollamento al momento di questi arrivi massicci”. Sono queste le parole
del commissario Gil Robles in seguito alla sua visita a Lampedusa al Centro di permanenza temporanea e di accoglienza. La situazione che ha osservato
è apparsa desolante e costituisce uno degli argomenti più
delicati dell’ampio quadro descritto dal Commissario per
i diritti umani relativamente al delicato e controverso tema dell’immigrazione e dell’asilo.
Dalla lettura del rapporto non emergono grandi novità. Quantomeno, non si apprende nulla più di quanto
già non si sapesse o di quanto la Caritas avesse denunciato in altre occasioni. È vicenda nota, d’altronde, quella
delle tristi condizioni in cui si versano i Cpt, incapaci di
contenere e gestire i frequenti flussi di immigrati irregolari. In alcuni casi, la totale mancanza di garanzie per i cittadini stranieri soggetti a misure restrittive è stata evidenziata come elemento di grave preoccupazione, rispetto al
quale si chiedono maggiori tutele, soprattutto sul fronte
legislativo.
Non va meglio per quanto riguarda il tema dell’asilo.
“L’Italia è uno dei rari stati membri del Consiglio d’Europa a non disporre di una legge organica sull’asilo”, sentenzia il Rapporto Gil-Robles. I nodi da sciogliere sono
ancora molti: tra essi la necessità di ridurre al minimo il
trattenimento dei richiedenti asilo (e solo nei casi strettamente necessari); la necessità di prevedere un secondo
grado di giudizio durante la procedura ordinaria di esame
della richiesta d’asilo, che abbia effetti sospensivi sull’al-
“N
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lontanamento; la necessità di garantire l’esame di ogni
singolo caso, per permettere allo straniero giunto in Italia
di avanzare richiesta d’asilo.
Politica di incontro e mediazione
Più in generale, il commissario Robles si è detto soddisfatto della politica italiana in materia di ingresso dei lavoratori stranieri, pur evidenziando l’opportunità di un
sistema di quote che “corrisponda pienamente ai reali
fabbisogni dei datori di lavoro”. Rimangono, invece, serie
perplessità circa le procedure per il rilascio e il rinnovo dei
permessi di soggiorno, che in molti casi vengono realizzate in tempi eccessivamente lunghi.
Una nota positiva che il Rapporto mette in luce riguarda invece il fenomeno della tratta di esseri umani da
avviare alla prostituzione, alla pedofilia, ad altre attività
criminose. Rispetto a questo tema, Gil-Robles evidenzia
che “l’Italia dispone di un corpus legislativo adatto a tutelare le vittime e perseguire i membri delle reti della tratta,
per molti aspetti superiore alle esigenze minime previste
dalle norme europee”.
In definitiva il Rapporto scatta una fotografia tutto
sommato veritiera della situazione italiana, rispetto alla
quale Caritas si sente di aggiungere un ulteriore elemento di riflessione. L’Italia – porta d'ingresso all’Europa per
molte persone provenienti da Africa e Asia – deve rafforzare una politica di incontro e di mediazione con i paesi
da cui provengono gli immigrati, in particolare quelli dell’Africa maghrebina, che oltre a essere un serbatoio di lavoratori immigrati sono anche importanti aree di transito verso la sponda nord del Mediterraneo.
ITALIANI A RISCHIO ALFABETICO,
MOLTI ADULTI A BASSA SCOLARITÀ
di Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana
Il quadro dell’analfabetismo in
Italia rimane problematico, come
mostrano i dati relativi al possesso dei
titoli: la maggioranza assoluta della
popolazione in piena età adulta (3059 anni) versa in condizioni di bassa
scolarità. A livello nazionale, il 34,6%
della popolazione in età superiore a
quella dell’obbligo scolastico (più di
15 anni), si trova in una situazione di
analfabetismo o di scarsa competenassieme a Cile, Slovenia, Polonia e
za alfabetica. Tra i giovanissimi (15-19
Portogallo. In Germania, Danimarca,
anni) si rileva un 4% di esclusi, che non
Nel nostro paese vivono
Olanda, Norvegia e Svezia la quota di
hanno
neppure raggiunto il titolo delcirca due milioni
adulti nel primo livello di rischio alfal’obbligo;
tra i giovani adulti (20-29 andi persone “analfabete
betico non supera invece il 18%, con
ni)
oltre
un
terzo non va oltre il titolo di
funzionali”. E la media
punte molto basse in Svezia (11%).
licenza
media;
tra gli adulti veri e prodei soggetti che
Dal rapporto Isfol 2005 e dall’inpri
(30-59
anni)
si
constata la presenza
rischiano
dagine Ials-Sials 2000, risulta che vi
di
quasi
il
20%
di
soggetti
con, al più, la
l’analfabetismo
sono in Italia circa due milioni di perlicenza
elementare.
è superiore a quella
sone analfabete funzionali. L’analfaIl livello più basso di competendei paesi avanzati.
betismo funzionale, o illetteratismo
za
alfabetica
(incapacità o gravi difAnche i giovani non sono
di base, riguarda persone che, pur
ficoltà
nel
leggere
testi in prosa: artiesenti dal fenomeno
avendo avuto una formazione scolacoli di giornale, annunci, lettere,
stica di base, non sono in grado di
racconti, ecc.) coinvolge il 15,4% dei
leggere e scrivere compiutamente, in quanto tali attività 16-25enni; il 21,9% dei 26-35enni; il 32,2% dei 46-45ensono del tutto assenti nella pratica della vita quotidiana. ni; il 46,9% dei 46-55enni; il 63,5% dei 56-65enni.
Oppure perché, per il tipo di lavoro svolto, tali persone
L’esistenza di quasi un terzo di popolazione in piena età
non hanno mai avuto bisogno di leggere o scrivere.
adulta (26-45 anni) a rischio alfabetico e di un’area pari al
50% di giovani con un livello di competenze alfabetiche
Formazione compromessa
elementari (appena sufficienti ad escludere l’analfabetiGli analfabeti funzionali italiani hanno un’età media tra smo) indica l’urgenza di iniziative di recupero della capai 16 e i 65 anni e corrispondono al 5,4% della popolazio- cità linguistica e suscita dubbi sulla capacità del sistema
ne di tale classe di età: sono oltre 2 milioni di persone. scolastico italiano di garantire standard qualitativi accettaEnormi ritardi nell’istruzione primaria sono presenti bili. La possibilità di successo delle iniziative di formazione
soprattutto nelle generazioni vissute prima del 1964: se ed educazione per gli adulti è compromessa dallo scarso liinfatti fra gli italiani di età compresa tra i 16 e i 45 anni il vello informativo sulle stesse iniziative: dalle ricerche Isfol
tasso di analfabetismo funzionale rientra nella media si apprende che il 56% degli italiani non sa indicare orgaeuropea, per la fascia 46-65 il disagio giunge a coinvol- nizzazioni pubbliche o private che forniscono informaziogere 1.400.000 persone.
ni o orientano a percorsi formativi per adulti.
analfabetismo e il rischio alfabetico non sono fenomeni del
passato. Ancora oggi, nei paesi occidentali e industrializzati, la popolazione ad alto rischio alfabetico (primo livello di
rischio) è compresa fra un ottavo e un quarto del totale; se aggiungiamo anche un “medio” rischio alfabetico (secondo livello), si raggiunge e si supera il 50% della popolazione adulta. L’Italia rientra tra
i paesi industrializzati in cui la presenza di persone nel primo e secondo livello di rischio alfabetico è molto superiore alla media,
L’
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nazionale
deus caritas est
POLITICA SOTTRATTA AGLI AFFARI,
LA “GRANDE OPERA” DEL DOMANI
di Domenico Rosati
on mi è mai piaciuta la par condicio del malaffare. Me ne sono ricordato in questo inizio del 2006, segnato da vibranti polemiche
sulla “questione morale” e sulla superiorità etica, vera o presunta, di una parte politica sull’altra. Con un corollario equivoco: quello
che recita che siccome tutti “prendono”, ci si deve accomodare allo stato delle cose. In effetti le storie – al plurale – della corruzione in Italia si
perdono nella notte delle contese tra Giolitti e Crispi, alla fine dell’800,
attorno alle responsabilità per il dissesto della Banca Romana. E in
tempi più recenti, ben vive nella memoria di chi scrive sono le espressioni di commiserazione con cui, nel parlamento degli anni Ottanta,
segno interessante di rifiuto della
rassegnazione. L’ho letto nell’esplicita reazione delle periferie del centrosinistra, in particolare dei Ds.
Reazione verso gli “errori” dei dirigenti (o le imprudenze, comunque
le colpe di mancata vigilanza) in
presenza di un’operazione finanziaria dai contorni incerti. Mi è parso
un indice di sensibilità: la domanda
di coerenza e rigore si rivolge in modo esigente verso coloro che si prevenivano accolte le denunce del
sentano come tutori delle istanze
diffondersi del sistema delle tangendegli strati popolari. Ad essi, più che
“Tutti prendono”:
ti, dei fondi all’estero, delle società di
ad altri, giustamente si chiede non
una litania
comodo. Tra le spiegazioni che ricesolo di rispettare le leggi, ma anche
ci accompagna
vevo, una soprattutto mi colpiva: sicdi osservare con rigore le regole di
da decenni. Ma i recenti
come anche dall’altra parte (allora il
un’etica pubblica, di cui la legge è
intrecci tra finanza
Pci) si trafficava, era inevitabile che si
l’espressione minima.
e politica hanno generato
seguisse una certa strada. Mi venne
Può scorgersi qui il varco in cui far
incoraggianti forme
spontaneo, allora, parlare di “omertà
transitare,
ben oltre le stazioni elettodi reazione. Anche in
da schieramento”.
rali,
i
valori
decisivi di una democraquesto campo i cristiani
Quando esplose tangentopoli,
zia
che
contrasta
l’“imperialismo del
devono contrastare
parve che un vento di bonifica spazdenaro”
e
si
traduce
in comportail “relativismo etico”
zasse via figure e metodi del malcomenti verificabili dei suoi attori. È la
stume. Ma non fino al punto da estirvera “grande opera” dei prossimi anpare le radici del male. Anzi, proprio in quei frangenti ven- ni. E non ha costi monetari. Basta che vi sia nei cittadini la
ne compiuta la più esplicita teorizzazione del carattere volontà di tenere sotto controllo assiduo coloro ai quali
endemico del fenomeno, con accenti, nella nota apologia sarà data fiducia per il governo del paese: vanno impiegadi Craxi in parlamento, spinti al culmine del coraggio (nel- ti, o inventati, modi e strumenti per chiamarli a rendere
l’assunzione delle responsabilità) e della sfrontatezza (nel conto non solo dei traguardi conseguiti (o mancati), ma
reclamare una sanatoria generale). Tangentopoli fu anche dei mezzi impiegati per raggiungerli.
un’opportunità provvidenziale per un ravvedimento siL’impresa non è agevole, specie in un contesto nel
gnificativo. Che però non c’è stato, se è vero che anche og- quale la politica appare sempre più soggetta all’econogi, in presenza dell’insorgere di nuovi fattori di inquina- mia, o da essa condizionata. Ma anche questo, dopotutmento, non si riesce ad andare oltre il rimpallo delle accu- to, è un campo in cui contrastare il “relativismo etico”, fase, con esiti letali di disaffezione e disimpegno.
tica alla quale vengono assiduamente chiamati i cristiani. Più che sulla ricerca di nuovi (o rinnovati) utensili di
Imperialismo del denaro
presenza, è su un tale terreno che si misura la qualità di
Eppure, a guardar bene, nelle ultime vicende c’è stato un un’autentica “pratica cristiana della politica”.
N
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I COMMENTI
Papa Benedetto XVI
ha pubblicato a fine
gennaio la sua
prima enciclica,
Deus caritas est.
Il testo interpella
in profondità
chi si dedica,
nella comunità
ecclesiale e umana,
al servizio caritativo.
Proponiamo due
riflessioni, ispirate
alla quotidiana
esperienza
di lavoro in Caritas
PRIMA ENCICLICA
Benedetto XVI firma
“Deus caritas est”,
dedicata al tema dell’amore
ROMANO SICILIANI
contrappunto
L’amore a due dimensioni
che può cambiare il mondo
di Salvatore Ferdinandi responsabile Servizio promozione Caritas Italiana
enedetto XVI ha pubblicato la sua prima enciclica con il dichiarato intento di “suscitare nel
mondo un rinnovato dinamismo di impegno
nella risposta umana all’amore divino”. L’osservazione che immediatamente s’impone riguarda il
contenuto del documento, totalmente centrato sull’amore, definito dal papa stesso “messaggio di grande attualità
e di significato molto concreto”.
Si tratta di un documento programmatico per la chiesa del terzo millennio, nel quale le espressioni utilizzate
fin dall’inizio (“centro della fede cristiana”, “avvenimento
che dà alla vita un nuovo orizzonte”), riferite all’amore,
fanno riecheggiare in modo singolare il tema che negli an-
B
ni Ottanta il teologo René Coste si proponeva di porre all’attenzione di un “vasto pubblico”, ma soprattutto dei cristiani, con la pubblicazione L’amore che cambia il mondo.
La scelta del papa teologo – riportare l’attenzione sull’amore come “questione fondamentale per la vita” – è di
particolare interesse: senza prescindere dal significato che
questa parola possiede nelle varie culture e nel linguaggio
odierno, ne recupera il significato originario, con la singolare capacità di rendere accessibili concetti di carattere
speculativo (prima parte); inoltre il concetto dell’amore
viene collocato sul piano concreto, trattando dell’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo (seconda parte).
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deus caritas est
Ascendente e discendente
Dopo aver parlato dell’eros, termine che indica l’amore
“mondano”, liberandolo dalle incrostazioni sedimentatesi
nel tempo, e dell’agape che denota, nella novità del cristianesimo, l’amore fondato sulla fede e da esso plasmato,
il papa afferma che “in realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue,
pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura
dell’amore in genere”.
Una prima conseguenza pastorale di questo ragionamento va nella direzione di una maggiore valorizzazione
dell’amore umano, perché c’è sempre una connessione
inscindibile tra l’eros che cerca Dio e l’agape che trasmette il dono ricevuto. Anzi, l’“amore” è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra
dimensione può emergere maggiormente. Dove però le
due dimensioni si staccano completamente l’una dall’altra si profila una caricatura, in ogni caso una forma riduttiva dell’amore.
Sempre nella prima parte dell’enciclica viene fatto dal
papa un secondo passaggio significativo. Si richiama l’attenzione sul Logos incarnato che, facendoci partecipi del
suo corpo e del suo sangue, ci coinvolge nella dinamica
della sua donazione e ci porta, attraverso la “mistica” del
sacramento dell’Eucaristia che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi, a quella comunione con Dio stesso
che l’uomo non avrebbe mai potuto realizzare. Nel contempo però, viene fatto notare che la “mistica” del sacramento ha anche un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale veniamo uniti al Signore e con tutti gli
altri comunicanti, come dice Paolo: “Poiché c’è un solo
pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti
infatti partecipiamo dell’unico pane”.
Ne consegue che amore per Dio e amore per il prossimo sono pienamente uniti, in quanto il Dio incarnato ci
attrae tutti a sé e, contemporaneamente, diventiamo “un
solo corpo”, un’unica esistenza con i nostri fratelli che non
possono più rimanerci estranei. Questo fa capire come il
termine agape, diventato un nome dell’Eucaristia, ha in sé
una particolare pregnanza sia nel rapporto di comunione
con Dio sia nel rapporto di relazione e coinvolgimento
con i fratelli, portandoci a superare ogni separazione.
Una seconda conseguenza pastorale, a questo riguardo, è il papa stesso a indicarla. “Fede, culto ed ethos si
compenetrano a vicenda come un’unica realtà. (…) La
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consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel culto stesso, nella comunione eucaristica
è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente partecipato è in se stessa frammentata. Reciprocamente il comandamento dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato”.
Umanizzare la giustizia
A seguito delle riflessioni svolte nella prima parte, parlando dell’esercizio dell’amore da parte della chiesa nella seconda parte dell’enciclica, vengono evidenziati tre dati essenziali che hanno un chiaro risvolto pastorale.
Anzitutto, il fatto che la carità appartiene all’essenza
stessa della chiesa. “L’intima natura della chiesa si esprime nel triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerigma-martyria), celebrazione dei sacramenti (liturgia),
servizio della carità (diakonia)”. Si tratta di compiti che
non possono essere separati l’uno dall’altro; per quanto
concerne la carità, si aggiunge che “non è per la chiesa
una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe
anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è
espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”. Ancora: “È perciò molto importante che l’attività caritativa della chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale”.
Se la carità ha questa centralità, tale fatto mette fortemente in discussione una pastorale ancora prevalentemente centrata sulle altre due dimensioni e impone
di non considerare la carità come impegno occasionale caratterizzato come assistenza sociale, ma di renderla parte integrante della progettazione pastorale, ambito che impegna l’intera comunità a diventare soggetto
di carità, che testimonia l’amore di Dio per ogni persona in difficoltà.
In secondo luogo, si evidenzia che la Chiesa, famiglia
di Dio, vive una carità-agápe senza frontiere. In famiglia
non deve esserci infatti nessuno che soffra per mancanza
del necessario. Anzi, lo spirito di famiglia porta a dare
maggiore attenzione e cura a chi ha più bisogno. Contemporaneamente, secondo il criterio di misura dato dalla parabola del buon samaritano, è necessario vivere l’universalità dell’amore che travalica le frontiere della chiesa e si
rivolge al bisognoso, chiunque egli sia. La carità, così connotata, richiede un’esplicitazione pastorale nell’educazione alla mondialità, al servizio a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, in modo da “vivere l’amore e così far entrare la luce di Dio nel mondo”.
In terzo luogo, si sottolinea la carità come umanizzazione della giustizia. Il papa afferma che la chiesa non
può e non deve assumere la battaglia politica per realizzare una società più giustizia, ma non può e non deve
neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. Deve dunque offrire un contributo specifico per la “purificazione della ragione”, per il risveglio delle forze morali,
affinché le esigenze della giustizia siano riconosciute e
realizzate; deve anche assicurare il servizio dell’amore,
sempre necessario per umanizzare anche la società più
giusta, dove ci sarà sempre sofferenza che necessita di
amorevole dedizione personale.
Parlando poi dei “collaboratori” che svolgono il servizio della carità nella chiesa, il papa fornisce una serie di indicazioni prettamente pastorali. Afferma che, oltre alla
competenza professionale, hanno bisogno di umanità,
formazione e attenzione del cuore, perché a un mondo
migliore si contribuisce facendo il bene in prima persona,
con un cuore che vede dove c’è bisogno di amore e agisce
in un modo conseguente. L’amore che si offre è gratuito;
non viene esercitato per raggiungere altri scopi; il criterio
ispiratore dell’agire dovrebbe essere l’amore del Cristo, facendosi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante. “La consapevolezza che in Lui Dio stesso si è donato per noi fino alla morte, deve indurci a non vivere più per
noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri”.
Questi “collaboratori” devono essere consapevoli di
essere strumenti nelle mani del Signore, chiamati a prestare il servizio senza la pretesa di trovare la soluzione a
ogni problema, né rimanere nell’inerzia della rassegnazione. Ancorati alla preghiera per non cadere nell’attivismo e nell’incombente secolarismo, è necessario che
muovano dalla visone della carità che il papa vede bene
interpretata dai santi di ieri e di oggi. Che “rimangono
modelli significativi di carità sociale per tutti gli uomini
di buona volontà”.
La nostra identità profonda,
donarci a Dio e agli altri
Il testo del papa, diviso
in una parte speculativa
e in una concreta, delinea
una triplice fisionomia:
illumina i tratti caratterizzanti
di Dio, dell’uomo e della chiesa
di Giovanni Perini direttore Caritas Cuneo
significativo che Benedetto XVI abbia voluto
segnare l’inizio del suo pontificato con un’enciclica sull´amore, intitolata Deus caritas est.
Solo l’amore, infatti, è in grado di dire e di
esprimere in modo analogicamente forte e adeguato
“l’immagine di Dio e la conseguente immagine dell’uomo”, per delineare poi la stessa immagine della chiesa.
Il papa divide la sua lettera enciclica in due grandi parti, la
prima (2-18) “più speculativa”, la seconda (19-32) “più
concreta”, racchiuse tra un’introduzione e una conclusio-
È
ne. Nella prima parte chiarifica il termine amore, che nell’uso quotidiano ha assunto una vastità contradditoria di
significati. Il papa si chiede se bisogna arrendersi a questa
dispersione oppure se è possibile trovare una radice unificante. Per poter rispondere è necessario affrontare subito
la prima opposizione corrente nella nostra cultura: quella
che separa eros da ágape. Attraverso il confronto con la
cultura greca, la Bibbia e i Padri della chiesa, il papa conclude che in fondo “l’amore è un’unica realtà, seppure con
diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente”.
In modo particolare l’enciclica approfondisce il messaggio biblico, che presenta senza equivoci un Dio che
ama: “Egli (Dio) ama e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche totalmente ágape”. Così si può giungere alla conclusione che
“l’eros di Dio per l’uomo è insieme totalmente ágape”. Anche il Nuovo Testamento presenta e radicaliza la stessa
immagine, concentrandola nella novità della persona di
Gesù, che nelle sue parabole, e soprattutto nella sua morte e resurrezione, anticipata simbolicamente nell’eucaristia, offre il significato più alto dell’amore come dono di sé.
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deus caritas est
Compito della chiesa
A questo punto può sorgere un’altra contrapposizione,
che riguarda l’impossibilità di amare un Dio invisibile, pur
nell’indissolubilità tra amore di Dio e amore dell’uomo.
Benedetto XVI affronta questi due temi affermando che
“Dio non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile”.
Dio ci ha amati per primo, dice la lettera di Giovanni, e
questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli “ha mandato il suo Figlio unigenito
nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui”. Riguardo
poi al legame tra amore di Dio e del prossimo, il papa scrive: “Entrambi si richiamano così strettamente che l’affermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna, se
l’uomo si chiude al prossimo o addiruttura lo odia. Il versetto giovanneo si deve interpretare piuttosto nel senso
che l’amore del prossimo è una strada per incontrare anche Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo
rende ciechi anche di fronte a Dio”.
Nella seconda parte, dopo aver fondato l’agape nella
realtà di Dio, si passa a considerare la carità come compito della Chiesa: “L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale”. Ribadendo ancora che la Chiesa si realizza ed esprime la sua
identità nei tre ambiti dell’annuncio della Parola, dell´amministrazione dei sacramenti e della pratica dell´amore, il
papa conclude: “Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro”. Benedetto XVI sostiene queste affermazioni scorrendo brevemente la storia della chiesa, che sembra chiaramente
indicare come luogo teologico, chiarendo un’altra opposizione sostenuta soprattutto dalla filosofia marxista, quella tra giustizia e carità. Qui entrano in gioco anche i rapporti tra chiesa e stato, di cui chiarifica la differenza e la
specificitàdegli interventi: “(La chiesa) non puo´e non deve mettersi al posto dello stato. (...) La società giusta non
può essere opera della chiesa, ma deve essere realizzata
dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell´intelligenza e della volontà alle
esigenze del bene la interessa profondamente”.
Nel passare in rassegna il profilo specifico dell’attività
caritativa della chiesa, il papa ricorda la Caritas con il suo
servizio alla persona, per svolgere il quale ci vogliono competenza professionale e attenzione del cuore, indicando
poi le caratteristiche che deve avere il servizio svolto: indipendenza da partiti e ideologie, lontananza da ogni forma
di proselitismo. Indicando i responsabili dell’azione carita-
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tiva nomina inoltre Cor Unum (organismo della Santa Sede) e in particolare la figura del vescovo, richiamando ciò
che il rito dell’ordinazione chiede: “di essere, nel nome del
Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso
tutti i bisognosi di conforto e di aiuto”. Passa poi a elencare
le qualità dell’operatore della carità: capace di dono di sé,
umile, radicato nella preghiera, di cui ribadisce la necessità
per la stessa qualità cristiana della carità.
Nella conclusione, infine, riprende l’esempio luminoso di alcuni santi e di Maria, una donna che ama e a cui
vengono affidate la chiesa e la sua missione.
Linea antropologica
Leggendo questa enciclica si ha la motivata impressione che
il papa abbia voluto testimoniare la sua fede all’inizio del
pontificato, evidenziando ciò che per lui è fondamentale e
indispensabile: il volto amoroso del Dio ebraico-cristiano
come vero e unico volto che il credente può contemplare e
da cui sentirsi accolto, amato e perdonato. Anche quando le
situazioni esistenziali (e possono essere numerose e sconcertanti) negassero l’evidenza del Dio amoroso e spingessero al grido e alla ribellione, mai il cristiano può “pensare che
Egli sia impotente, oppure che stia dormendo. Piuttosto è
vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in Croce, il modo estremo e più profondo per affermare la
nostra fede nella sua sovrana potestà”.
L’enciclica traccia anche una linea antropologica, vale
a dire una comprensione e interpretazione dell’uomo
che, nella sua unitarietà, quando scende nel profondo di
se stesso, scopre di essere fatto per l’amore e di realizzarsi
pienamente solo con il dono di sè.
Questa identità gli è rivelata dalla persona di Gesù, che
nell’assumere pienamente in sé l’umanità, soprattutto
quella sofferente e peccatrice, ha svelato che l’amore ricevuto e condiviso (di cui il rapporto di coppia risulta essere
un modello) costituisce la sua più intima vocazione. L´uomo è uomo se e quando impara, uscendo da sé, ad amare gratuitamente Dio e il prossimo.
Infine l’enciclica delinea anche la fisionomia della
chiesa. Essa fin dai primordi ha visto nella diaconia, intesa come forma di servizio organizzato e comunitario, la
struttura fondamentale della propria organizzazione.
Lontano dal ridursi a gesto o ad azione isolata e insignificante, l’attività caritativa della chiesa svela, apertamente o
implicitamente, lo stesso amore trinitario. Il servizio caritativo della comunità cristiana testimonia a tutti, grazie alla sua capacità di risultare significativo ancge in ambiti
non ecclesiali, che la natura e l’identità della chiesa possono essere limpidamente offerte dal suo amore.
panoramacaritas
VERSO VERONA
SVILUPPO
Dopo Milano
incontro a Fiuggi
per i direttori
“Micro” Caritas,
l’anno scorso
459 in 47 paesi
Si intensifica il cammino
delle Caritas verso
il Convegno ecclesiale
nazionale, che si svolgerà
a Verona ad ottobre. Dopo
il convegno “In cammino,
tra memoria e speranza”,
rivolto agli operatori
diocesani e svoltosi
a Milano dal 17 al 19
febbraio su iniziativa
di Caritas Italiana (con
Cnca, Federazione servizi
civili e sociali Salesiani,
Jesuit social network,
Missionari Comboniani
e riviste Aggiornamenti
sociali, Il Regno e Jesus),
l’appuntamento è ora
per i direttori delle Caritas
diocesane. Dal 6
all’8 marzo si troveranno
a Fiuggi per il seminario
“Le Caritas diocesane
verso il Convegno
ecclesiale nazionale”:
affronteranno il tema della
testimonianza, in
riferimento ai cinque ambiti
individuati dalla “Traccia di
preparazione al Convegno”,
secondo le prospettive
della spiritualità e della
missionarietà. Ampio
spazio sarà dedicato
al lavoro nei laboratori
per costruire, valorizzando
il confronto con le Caritas
diocesane, il contributo
delle Caritas diocesane
e quello di Caritas Italiana
all’appuntamento veronese.
Lo sviluppo non è fatto
solo di grandi opere e grandi
infrastrutture. Da anni
Caritas Italiana contribuisce
alla promozione umana
e sociale delle popolazioni
dei paesi poveri anche
sostenendo piccole
comunità nella realizzazione
di opere di modesto
impegno, per favorire un loro
graduale auto-sviluppo.
I microprogetti presentano
obiettivi limitati ma
di effetto immediato, che
contribuiscono a trasformare
a poco a poco il livello
di vita delle persone e delle
comunità beneficiarie e a
estendere progressivamente
il processo di sviluppo nelle
zone circostanti. Nel 2005
Caritas Italiana ha finanziato
459 microprogetti
in 47 paesi, per un importo
complessivo di oltre
1.683.000 euro: 168
interventi sono stati
effettuati in Africa (22 paesi),
66 in America Latina
(12 paesi), 219 in Asia
(11 paesi) e 6 in Europa
(2 paesi). Quanto agli ambiti
di intervento, i microprogetti
sono stati dedicati
al reperimento acqua per
uso domestico, irrigazione,
allevamento (35%), avvio
attività lavorative,
cooperative, gruppi di lavoro
(23%), promozione rurale
e allevamento, cooperative,
gruppi familiari (23%),
programmi educativi (10%),
programmi sanitari (3%),
promozione sociale,
ovvero ponti-strade, progetti
comunitari, ecc (6%).
INFO: 06.54.19.22.28
GEORGIA
Morti per freddo,
appello per
generatori e stufe
Molte persone morte, migliaia
ricoverate con sintomi
di assideramento. Un’ondata
di gelo polare ha investito
investito a inizio febbraio,
per la seconda volta
quest’inverno, i paesi dell’ex
Unione Sovietica. In Georgia
le morti sono state causate
non solo dal gelo, ma anche
dai tagli alle forniture di gas
da parte della Russia, dalle
quali la Georgia dipende
interamente e il cui prezzo
è aumentato decisamente
da gennaio per decisione
univoca di Mosca. Le
relazioni tra Georgia e Russia
si sono degradate dopo la
conquista del potere a Tbilisi,
nel gennaio 2004, da parte
del giovane presidente
filo-occidentale Mikhaïl
Saakashvili. Così la crisi
energetica d quest’anno ha
indotto il presidente di Caritas
Georgia, monsignor Giuseppe
Pasotto, e il direttore,
padre Witold Szulczynski,
a segnalare situazioni
molto gravi, in particolare
nelle campagne, dove
la temperatura è scesa fino
a –25° e la gente si è trovata
priva di gas ed elettricità.
Anche strutture Caritas hanno
avuto gravi difficoltà, dal
poliambulatorio di Tbilisi, che
accoglie in media 40 pazienti
anziani al giorno, al servizio
di assistenza sociale e
medica a domicilio per circa
150 infermi (bloccati a letto
nei propri appartamenti
non riscaldati e senza luce),
alla mensa umanitaria che
serve al giorno circa 750
pasti caldi ad anziani poveri,
bambini di strada, giovani di
famiglie emarginate, pazienti
del servizio a domicilio. Anche
la casa delle Sorelle di Madre
Teresa di Calcutta, che ospita
circa 50 senza dimora,
è rimasta per giorni
senza riscaldamento, così
come il centro giovanile
e il poliambulatorio di Kutaisi.
Per questa situazione, Caritas
Georgia ha lanciato un
appello per raccogliere fondi
da destinare all’acquisto
di generatori e gasolio, oltre
che di stufe e cherosene.
Caritas Italiana ha risposto
stanziando 10 mila euro.
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internazionale
progetti > sostegno ai missionari
a cura dell’Area internazionale
Il 22 marzo, nell’anniversario
dell’uccisione di monsignor
Romero, la chiesa celebra
la Giornata dei martiri
missionari.Ventisei
missionari cattolici,
tra vescovi, sacerdoti,
religiosi, religiose e laici,
sono stati uccisi nel 2005
(agenzia vaticana Fides),
quasi il doppio del 2004.
Tra i continenti, al primo
posto per il numero di martiri
è l’America Latina (morti
8 sacerdoti, 2 religiose e 2
religiosi). La lunga lista dei
tanti “militi ignoti della fede”
non scoraggia l’impegno
di molti altri missionari
in ogni angolo del pianeta.
Caritas Italiana interviene
a sostegno delle attività
missionarie, finanziando
numerosi microprogetti
che intervengono sui bisogni
umanitari e sociali,
ma pongono le basi
anche per un’azione
pastorale e spirituale.
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ALBANIA
PALESTINA
Il centro sociale aiuta le famiglie immigrate
Riprendere la vita quotidiana lavorando il legno
Le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno in programma lo scavo
di un pozzo d’acqua potabile per il centro sociale di Tale Bregdeti,
situato nella zona periferica di Tirana, dove sono presenti 2.500
famiglie, giunte dai villaggi montani. Il nuovo centro desidera
sostenere, formare e coinvolgere queste famiglie, in particolare
bambini e giovani donne. Il pozzo non verrà utilizzato
esclusivamente dal centro, ma anche per le necessità di base
della popolazione circostante, in quanto la zona non è ancora
urbanizzata e manca dei servizi essenziali.
> Durata 4 mesi
> Costo 4.192 euro
> Causale MP 1/06 Albania
La vita quotidiana, nei territori palestinesi, è una continua lotta
per la sopravvivenza. I Focolarini attivi nell’area di Betlemme (con il supporto
del Patriarcato di Gerusalemme) intendono realizzare una fornitura di piccole
attrezzature di falegnameria e di una levigatrice usata a una piccola impresa
interfamiliare di Betlemme, affinché possa continuare a fabbricare oggetti
di artigianato locale, in particolare con legno di ulivo. La finalità è incrementare
piccole attività artigianali e commerciali: molti abitanti della zona sono interessati
a questo tipo di iniziative, per poter tornare a condurre attività produttive,
dopo i seri danni subiti negli ultimi anni a causa di guerre e terrorismo.
> Durata 4 mesi
> Costo 5.500 euro
> Causale MP 29/06 Palestina
COLOMBIA
REP. DEMOCRATICA DEL CONGO
INDIA
Agli sfollati di Maria La Baja
serve una fattoria attrezzata
I ragazzi di strada aspettano
canale, grondaia e tubazioni
Pozzo d’acqua potabile
per gli orfani (e non solo)
I missionari della Consolata hanno in programma, nella zona
di Maria La Baja, di attrezzare una fattoria. Il microprogetto
prevede la elaborazione di mangimi per animali e fa parte
di un programma più ampio di trasformazione dei prodotti
agricoli e di allevamento locali, cominciato a dicembre 2004
con gruppi di giovani e di persone sfollate (desplazados)
a causa della violenza che imperversa nel paese. Questi gruppi
si radunano in una piccola fattoria, chiamata “La Consolata”,
che è diventata il centro di numerose attività formative ed è utilizzata
sia per la produzione che per la trasformazione dei prodotti.
Il programma, già sperimentato con successo in altre zone,
prevede la fornitura di un mulino, un motore e un miscelatore.
> Durata 4 mesi
> Costo 4.900 euro
> Causale MP 15/06 Colombia
La situazione dei ragazzi di strada e dei bambini orfani
è particolarmente dura in molti paesi dell’Africa australe.
La congregazione dei Figli dell’Immacolata concezione
sta avviando un progetto per il reperimento di acqua
potabile per 30 bambini orfani e ragazze di strada
nella periferia di Kinshasa, accolti dal Foyer Monti
di Mont-Ngafula. Il programma prevede la costruzione
di un canale di 250 metri per la raccolta dell’acqua
piovana e l’installazione di grondaie e tubazioni.
Attualmente l’acqua dev’essere acquistata.
Un’autocisterna di 20 metri cubi costa 150 euro
e dura non più di due settimane.
> Durata 5 mesi
> Costo 5.652 euro
> Causale MP 3/06 Congo R.D.
La congregazione dei Franciscan Missionary Brothers
ha messo a punto un programma per il reperimento
di acqua potabile, attraverso lo scavo di un pozzo,
nel centro per bambini orfani di Vegavaram.
Beneficiari diretti dell’iniziativa saranno 40 bambini
e giovani, ma l’acqua potabile verrà utilizzata
anche da oltre 1.500 persone che vivono
nelle aree limitrofe.
> Durata 5 mesi
> Costo 1.664 euro
> Causale MP 24/06 India
I TA L I A C A R I TA S
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internazionale
ALBERTO MINOIA
medio oriente
Tre anni fa l’inizio della guerra.
Che ha spodestato un tiranno,
ma ha provocato decine di migliaia
di vittime civili. Le violenze
dominano la vita quotidiana.
Il 65% della popolazione riceve
viveri dalle agenzie umanitarie
SEMPRE
PIÙ FRAGILI
Mamme e bambini
assistiti nei centri
nutrizionali
di Caritas Iraq
INSICURI E IMPOVERITI:
IRAQ, DEMOCRAZIA STREMATA
di Silvio Tessari
arzo 2003: comincia l’attacco all’Iraq della
“coalizione dei volonterosi”. Un mese dopo
le truppe Usa entrano a Bagdad, meno di
due mesi dopo il presidente George Bush dichiara al mondo: “Missione compiuta”. Però
la cronaca si è incaricata di smentire, giorno dopo giorno,
quell’impeto di ottimismo. Ai ripetuti turni elettorali fa da
contraltare uno stillicidio di stragi, attentati e rapimenti
che alimenta l’insicurezza e gonfia il numero delle vittime.
Lo stesso Bush ha dovuto ammettere, a dicembre, che 30
mila civili iracheni erano stati uccisi dall’inizio della guerra. Altre fonti stimano un costo di sangue ancora maggiore. E la contabilità dei soldati stranieri (anzitutto america-
M
26
I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
ni) uccisi ha ormai raggiunto le 2.500 vittime.
Dove sta andando l’Iraq? Anche le analisi sulle condizioni umanitarie e sociali sono frammentarie. Visitare il
paese per farsene un’idea è praticamente impossibile. Caritas Iraq conferma il persistere di un livello “terrificante”
di violenza e insicurezza, e una corrispondente precarizzazione delle condizioni di vita della popolazione. La sicurezza non è garantita nemmeno agli operatori umanitari:
secondo una stima dell’Ncci, il comitato di coordinamento delle ong in Iraq, riferita da Caritas Iraq, almeno 50 operatori umanitari sono stati uccisi negli ultimi due anni e
mezzo. «È il più alto numero di operatori umanitari uccisi
in un solo paese negli ultimi dieci anni – ha affermato Ka-
srah Mofarah, coordinatore Ncci –. Ma la situazione è così
caotica che nessun tribunale prende in considerazione
cause che interessano operatori umanitari».
Il terrore di matrice qaedista o saddamista è pane quotidiano in Iraq. Ma pesanti violazioni dei diritti umani si
segnalano anche sul fronte opposto: la tortura è procedura frequente. E la stessa organizzazione dei partiti politici
lungo linee etniche o religiose alimenta l’insicurezza: le
diverse formazioni sono pronte a prendere le armi, e talvolta passano dalle minacce ai fatti. «Le elezioni possono
ridurre il livello della violenza, ma è solo una possibilità –
ha osservato Paul Starobin, analista americano –: la democrazia non è un antidoto alla guerra civile, perchè le
elezioni in una società fragile polarizzano spesso le posizioni e sono frequentemente contestate».
Quartieri omogenei
La polarizzazione, da militare e politica, si fa anche demografica, delineando nuove geografie territoriali su base religiosa: in molte città, soprattutto nella regione di Bagdad,
sunniti e sciiti, un tempo mescolati, tendono a raggrup-
Sanità, igiene, maternità:
l’opera Caritas in sette azioni
Il lavoro 2005-2006 di Caritas Iraq:
■ Well Baby Programme. Cura la malnutrizione
acuta di bambini e donne che allattano o incinte.
■ Viveri e assistenza sociale. Aiuti ai gruppi vulnerabili,
in linea con le indicazioni del Well Baby Programme.
■ Assistenza sanitaria. Aiuto a pazienti bisognosi
nei centri Caritas di Bagdad e Qaraqosh; distribuzione
di medicine a ospedali in carenza di stock.
■ Sanità. Riabilitazione di centri sanitari in zone rurali.
■ Assistenza disabili. A singoli individui e, fornendo
attrezzature sanitarie, a centri per disabili.
■ Infrastrutture idriche. Attivazione di unità
di potabilizzazione dell’acqua e piccoli progetti idrici
a beneficio di comunità rurali, centri sanitari e scuole.
■ Formazione volontari. Primi passi per sviluppare una
rete di volontari, anche nelle parrocchie del paese.
Caritas Italiana nel 2005 ha finanziato i primi tre
programmi, per 575 mila euro (all’inizio del 2006 si sta
valutando il rifinanziamento). Un working group composto
da alcune Caritas nazionali, coordinate da Caritas
Internationalis, segue lo strutturarsi di Caritas Iraq.
parsi in quartieri omogenei. E la minoranza cristiana irachena, 800 mila persone, è interessata da crescenti livelli di
emigrazione forzata, una vera e propria fuga.
Risulta così praticamente impossibile definire in maniera attendibile il quadro dei bisogni sociali della popolazione. Ma qualche dato circola e dà la misura del dramma
umanitario in cui vivono gli iracheni: la distribuzione di viveri da parte degli organismi umanitari interessa ormai il
65% della popolazione, oltre 13 milioni di persone. E qualche esempio, tratto dall’esperienza quotidiana di assistenza, aiuta a capire. Caritas Iraq aveva concentrato molti dei
suoi sforzi, sin da prima della guerra, ai tempi dell’embargo internazionale, sul “Well baby programme”, intervento
di integrazione alimentare per bambini malnutriti e mamme in gravidanza o che allattano. Nel quadro di un paese
che quindici anni fa vantava condizioni sanitarie da stato
mediamente sviluppato (mentre oggi presenta standard
epidemiologici e di assistenza da nazione sottosviluppata), l’attuale conflitto ha peggiorato la situazione alimentare di mamme e figli, soprattutto nelle zone rurali.
Grazie al “Well baby programme”, nel 2005 nei 13 cenI TA L I A C A R I TA S
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medio oriente
tri Caritas (7 a Bagdad) e nei 6 della Mezzaluna Rossa coinvolti sono stati curati 22.053 bambini, ma mentre a gennaio erano 8.310 i minori in cura (il ciclo di interventi dura sei mesi) a fine anno erano 10.421: un peggioramento
del 25%. Nelle zone rurali impressiona invece l’aumento
(da 798 a 2.217) delle mamme in gravidanza bisognose di
cure. Questi dati si spiegano solo in parte con l’aumento
del numero di centri aderenti all’iniziativa: altrettanto importante è l’aggravarsi della situazione alimentare nelle
campagne, dove l’insicurezza rende precaria la produzione agricola. E mina l’efficacia degli interventi assistenziali: 2.131 bambini hanno dovuto abbandonare il “Well
baby programme” prima del tempo. Anche questo è un
costo nascosto della guerra: non si saprà mai quanti di loro sono morti, quanti subiranno conseguenze irreversibili, quanti non hanno avuto la possibilità di avvicinarsi ai
centri di cura. La democrazia delle urne e delle aule parlamentari si esercita in un paese sempre più stremato.
Istanbul, limbo degli esuli
sospesi tra paura e passività
In Turchia e Medio Oriente vivono centinaia di migliaia di iracheni in fuga.
Moltissimi sono cristiani. Chiedono asilo, ma trovano soprattutto indifferenza…
di Pietro Boni
Ultime briciole di speranza
stanbul, migliaia di chilometri da Bagdad. Nella si perché il flusso tornasse nella norma. La migrazione formetropoli turca vivono almeno 500 famiglie di ira- zata degli iracheni, cominciata con la guerra del Golfo del
cheni, quasi tutte cristiane. Scappano da un paese ’91, non si è mai arrestata. Ora restano da misurare le coninvivibile, soprattutto per loro. E aspettano di an- seguenze dell’attentato di gennaio: un’altra fuga in massa?
darsene ancora più lontano.
L’ultimo attacco a chiese cristiane in Iraq (sei esplosio- Il visto che non arriva mai
ni a Baghdad e Kirkuk, che hanno colpiOltre agli attentati che conquistano la rito templi di diversi riti, uccidendo tre
balta mediatica planetaria e sotto la colpersone e ferendone almeno una ventitre di apparente controllo del territorio
na) si è svolto a gennaio. L’episodio più
da parte delle forze internazionali, afgrave risale all’agosto 2004 e fece 15 vittifiancate dalla polizia irachena, in Iraq
me: anche allora le bombe erano chiaraaccadono ogni giorno minuti atti di viomente dirette contro la popolazione crilenza e ingiustizie diffuse. Se non sono le
stiana, che ha radici antichissime in
radio o le tv a parlarne, lo fanno gli iraquelle terre. Le bombe falciano persone,
cheni fuggiti dal paese.
edifici e cose, ma fanno a pezzi sopratQuantificare esuli e migranti è difficitutto la trama sociale e le comunità locale. Ad aprile 2005 alcune Caritas nazioli. Mirate ora contro un gruppo ora connali del Medio Oriente hanno cercato di
tro un altro, sembrano dirette a rompere
analizzare la portata del fenomeno. Siria,
i legami tra persone, a creare rancori e
Libano e Giordania ospitano ciascuno
pregiudizi persino tra amici di lunga daalmeno centomila iracheni richiedenti
GENERAZIONE SPAESATA
ta, ma appartenenti a famiglie, etnie, reasilo;
in Turchia la cifra è molto più riIn questa pagina e nella
precedente: bambini, rifugiati
ligioni diverse.
dotta, nell’ordine di alcune migliaia. In
dall’Iraq, a scuola a Istanbul
Dopo l’attentato del 2004 si era regirealtà, mancando una collaborazione
strata un’impennata del numero di iracheni, non solo cri- degli apparati governativi con le ong locali, si può fare ristiani, in fuga verso paesi esteri. Caritas Turchia, che ne ferimento solo ai dati raccolti da Caritas e altri soggetti.
aiuta molti, nell’autunno 2004 ha visto crescere di tre- Nei paesi citati la situazione degli iracheni espatriati prequattro volte il numero dei nuovi arrivi; ci sono voluti me- senta diversi punti in comune: nessun riconoscimento
A Istanbul la maggior parte delle famiglie irachene ha ormai superato l’anno di residenza. Non potendo chiedere
asilo politico allo stato turco, lo fanno all’Unhcr. Tuttavia,
dalla caduta di Saddam a oggi, l’agenzia Onu ha preso
qualche decisione solo per alcuni casi gravi, lasciando
centinaia di famiglie nel limbo della burocrazia. Anche le
ambasciate australiana e canadese, le sole ancora aperte
per le richieste degli iracheni, concedono visti con molta
lentezza e secondo quote stabilite di anno in anno (in genere, circa un decimo delle richieste). Il numero dei rifugiati iracheni presenti a Istanbul va quindi crescendo, e
con esso le necessità di aiuto.
Caritas Turchia si occupa dei richiedenti asilo, fornendo un supporto alle famiglie più povere per le cure mediche, l’educazione dei minori, il rapporto con le ambasciate e le autorità locali. Nonostante questi sforzi, molti minorenni sono costretti a lavorare, naturalmente in nero, in
condizioni precarie e sottopagati, per mantenere la famiglia. Pochi sono gli ammalati che possono godere di cure
dignitose, mentre cresce il numero delle famiglie costrette a muoversi verso appartamenti sempre più economici,
e spesso malsani, nelle zone povere della città.
Senza un intervento alla radice del problema, che
coinvolga chi tira le fila in Iraq e dintorni, la situazione difficilmente cambiarà. I rifugiati stanno consumando le ultime briciole di speranza. Il loro esodo è cresciuto negli ultimi due anni ben più delle esportazioni di petrolio dai giacimenti di Mesopotamia. E li consola poco ascoltare che,
in cambio, il paese importa democrazia…
ALBERTO MINOIA
I
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dello status di rifugiati, divieto a lavorare, scarsi o nulli aiuti economici, sanitari e scolastici da parte dei governi, pochissime iniziative di aiuto anche da parte dell’Unhcr,
l’organismo Onu per i rifugiati. Tutte queste persone vivono nell’attesa: chi di poter tornare in patria quando i rischi
diminuiranno, chi di poter raggiungere un'altra nazione,
dove ricominciare tutto da zero.
La vita di questi esuli si fa sempre più difficile, materialmente e psicologicamente. Tutti riconoscono di godere di maggiore sicurezza, ma l’attesa li trascina in uno stato di transizione passiva e inconcludente. In Turchia, per
esempio, vi sono persone che aspettano anche da dieci
anni un visto per Australia o Canada: per un decennio
hanno vissuto in case da viaggiatori, arrangiate alla meglio, con la valigia sempre pronta, lavorando alla giornata,
fuggendo ai controlli e alla polizia, i bambini cresciuti senza poter frequentare la scuola.
I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
Le mani sporche di Samem,
che sogna un paradiso lontano
Frank, il giovane interprete iracheno, ripete che
non è giornata. È riuscito a contattare solo due
famiglie e la pioggia ha già reso le strade torrenti
limosi. Quando bussiamo alla casa in periferia
ad accoglierci è la madre, vestita di nero, in braccio
la figlia più piccola, una bambina di poco più di
un anno. Presto arrivano le altre due figlie, 11 e 15
anni, poi il figlio maggiore. Samem ha 17 anni, un
aspetto ancora adolescente, cappellino e maglietta
da rocchettaro ribelle, le mani agili da studente
sporche di grasso: un cambiamento improvviso lo
ha spinto a prendersi la famiglia sulle spalle, come
accade spesso ai minorenni iracheni in Turchia.
Samem è rimasto l’unico uomo in casa,
in un paese ostile. Per prima cosa chiede come
aggiustare le domande per emigrare in Australia,
paradiso terrestre molto ambito dagli iracheni
sfollati in riva al Bosforo. Poi si informa circa
la possibilità di trovare a Istanbul un’abitazione
migliore, cioè più economica. Ma nel frattempo
la madre ha cominciato a raccontare: giunti
in Turchia, per sfuggire alle continue minacce
di violenza e di morte, dopo tre mesi sono stati
raggiunti dalla notizia del rapimento dello zio
a Mosul. Dopo lunghe discussioni, Bahnam,
il marito, ha deciso di tornare in Iraq per cercare
il fratello e pattuire un riscatto inferiore a quanto
richiesto dai rapitori (100 mila dollari). Era l’inizio
del luglio scorso e la famiglia è riuscita a tenere
i contatti tramite un vecchio amico, ex socio di lui,
musulmano. Dopo quindici giorni però, è arrivata
la tragica notizia: Banham è stato assassinato e
gettato per strada; le stesse persone che avevano
minacciato la famiglia, bruciando perfino il locale
che Bahnam gestiva insieme al fratello rapito, non
hanno esitato a mettere in pratica le intimidazioni.
Oggi la famiglia vive nel terrore di essere
raggiunta fino a Istanbul. Isolata e impoverita.
Solo Samem esce di casa per andare a lavorare
come garzone di meccanico. Guadagna una
manciata di soldi e ha dovuto lasciare la scuola:
la speranza, per sé e i suoi cari, la vede molto
lontana. In un paradiso all’altro capo del mondo…
I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
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internazionale
internazionale
guerre alla finestra
BANCHE ARMATE,
PASSI AVANTI E NUOVE SFIDE
di Diego Cipriani
on si possono non registrare con rammarico i dati di un aumento preoccupante delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi. (…) Quale avvenire di pace sarà
mai possibile, se si continua a investire nella produzione di armi e nella ricerca applicata a svilupparne di nuove?” Le parole di Benedetto XVI
a proposito della produzione e del commercio bellici, contenute nel
messaggio per la Giornata mondiale della pace 2006, parlano chiaro e
interpellano fortemente tutti i paesi, non solo i “consumatori” di armi
(quelli in guerra, insomma), ma anche quanti, negli ultimi anni,
“N
questo loro coinvolgimento. Il commercio delle armi, beninteso, è legale e autorizzato, ma non per questo
“neutro”: se commerciare carriarmati non è lo stesso che vendere
sacchi di farina, altrettanto si può
dire per le banche che, da tali commerci, ricevono compensi.
Rotta invertita
Dal suo varo, la campagna sembra
in nome magari della “lotta al terroaver raggiunto alcuni obiettivi che si
rismo”, danno manforte alla produera prefissi, se è vero che negli ultimi
Un commercio legale.
zione e al commercio di armamenti.
anni è cambiata la geografia delle
Ma non “neutro”.
Un aspetto spesso sottaciuto del
banche italiane presenti nella lista
La campagna che
problema è il ruolo (per nulla seconprevista dalla legge. Secondo i dati
osserva i comportamenti
dario o accessorio) che le banche ri2004 (la relazione sul 2005 verrà resa
degli istituti di credito
vestono nell’import-export di armi:
nota entro fine marzo), almeno tre
impegnati nel commercio
un ruolo determinante, perché senza
grandi gruppi bancari hanno invertigli istituti di credito non si potrebbero
to la rotta, decidendo di uscire comdi armi ha centrato
effettuare le transazioni relative alle
pletamente dal commercio delle arsignificativi successi.
armi che fanno girare un fiume di solmi. Unicredit era al vertice della clasMa all’orizzonte ci sono
di, se è vero che la spesa militare
sifica nel 1999, ma già l’anno dopo si
altre questioni
mondiale equivale a circa 1.000 miera impegnata a rinunciare a nuovi
liardi di dollari. Anche il nostro paese
contratti. Anche Banca Intesa, al seè interessato a questo tema e se da qualche anno se ne par- condo posto nel 1999, ha seguito la stessa strada, mentre
la un po’ più apertamente è anche grazie alla campagna il gruppo Monte dei Paschi Siena è uscito definitivamen“Banche armate”, iniziativa promossa da due riviste mis- te dall’elenco. Anche Capitalia (la più “armata” delle bansionarie, Missione Oggi, dei Saveriani, e Nigrizia, dei Com- che italiane) ha recentemente dichiarato di aver ridotto
nel 2005 le intermediazioni del 70% rispetto al 2004.
boniani, e dal periodico Mosaico di Pace (di Pax Christi).
È inutile dire che i promotori della campagna sono
Lanciata sei anni fa, la campagna nasceva dall’esigenza di fare chiarezza sul legame tra l’import-export di soddisfatti, anche se all’orizzonte intravedono nuovi
armi in Italia e le banche che appoggiano, favoriscono e aspetti del problema, ad esempio l’assottigliarsi del
rendono possibile tale commercio. Il tutto grazie alla confine civile-militare di alcune tecnologie, il peso crelegge 195 del 1990, che regolamenta il settore e che im- scente delle banche estere e di altri gruppi finanziari
pone al governo di presentare ogni anno al parlamento non censiti. Insomma, c’è ancora molto da fare per chi
una relazione indicando, tra l’altro, anche le notizie det- è convinto che il commercio delle armi non può essere
tagliate sulle transazioni bancarie. Di qui l’elenco delle regolamentato dalle mere leggi del mercato, della dobanche cosiddette “armate” e l’invito ai correntisti a fa- manda e dell’offerta. E che si deve continuare a distinre pressione su di esse e a sollevare gli aspetti etici di guere l’etico dal non-etico.
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I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
balcani
ORFANO E LACERATO,
DOVE VA IL KOSOVO?
testi e foto di Francesco Gradari
l 26 gennaio il Kosovo si è fermato per rendere omaggio al suo presidente. Cinque giorni prima, Ibrahim Rugova si era spento nella sua casa di Pristina, al termine di una malattia che
in cinque mesi ha privato il Kosovo della sua figura politica di maggior spessore, un leader
indiscusso in patria e riconosciuto all’estero, titolare di una fama guadagnata in oltre quindici anni di lotte per il riconoscimento dei diritti degli albanesi del Kosovo. La scelta nonvio- IN MEMORIA
lenta aveva condotto Rugova a fondare, nel 1989, il primo partito politico della provincia, la Lega DI UN LEADER
democratica del Kosovo (Ldk). Ma era stata frantumata dall’apparizione dei gruppi di liberazione Albanesi del Kosovo
sfilano in una
armati albanesi e dall’intervento Nato della primavera 1999 contro la Serbia. Risorto politicamen- manifestazione
te nel dopoguerra, Rugova era stato eletto presidente del Kosovo nel 2002 e nel 2004. Da allora per commemorativa
di Ibrahim Rugova,
la comunità albanese era (e sarà sempre) il simbolo indiscusso della lotta per l’indipendenza.
il presidente
Il 26 gennaio una folla immensa e silenziosa ha sfidato i dodici gradi sottozero di Pristina e si è della provincia
accalcata lungo le strade per l’ultimo saluto al presidente. Tutto il Kosovo era lì, o quasi. Tanta gen- morto a gennaio
te che per un giorno ha abbandonato la casa, i campi, i
caffé, le scuole, la strada, la lotta quotidiana per la soprav- A inizio anno la provincia balcanica
vivenza, per esprimere la sua gratitudine all’uomo che inha vissuto la morte del presidente Rugova
carnava il sogno dell’indipendenza. Con loro politici di
tutto il mondo: l’intera classe politica kosovara, delegazio- e l’apertura delle trattative sullo status
ni straniere, il rappresentante dell’Unmik (l’amministra- definitivo. Le incertezze sul futuro
zione Onu in Kosovo, cui la risoluzione 1244 del 1999 ha
si sprecano: la divisione tra le comunità
affidato “provvisoriamente” l’amministrazione della provincia), il comandante della Kfor (la forza di pace Nato che resta forte, la povertà diffusa
ha il compito di garantire la sicurezza) e l’inviato speciale
delle Nazioni Unite, Martti Ahtisaari, scelto come mediatore tra serbi e albanesi per i negoziati, rinviati di una
manciata di giorni proprio per la morte di Rugova e ormai
in svolgimento a Vienna. Il loro obiettivo è decidere lo status futuro del Kosovo, ovvero trovare un compromesso tra
la posizione albanese, che vede nell’indipendenza dalla
Serbia l’unica soluzione possibile, e quella serba, disposta
a concedere al Kosovo qualcosa in più dell’autonomia,
mai e poi mai l’indipendenza.
I
La legge del più forte
Le trattative sullo status futuro della provincia sono avviate. Ma a sette anni dalla fine del conflitto armato le parti
non si parlano. Quando lo fanno, urlano e litigano. Cosa
che non avviene solo tra politici, nelle occasioni ufficiali o
davanti ai microfoni. Si prenda, ad esempio, la città di MiI TA L I A C A R I TA S
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internazionale
balcani
La radio di Bajram e Vladan
così vicini, così separati
Novo Brdo è un centro di montagna del Kosovo
centro-orientale. Tre uffici, 28 piccoli villaggi
sparsi sulle montagne, una fortezza medioevale
diroccata, qualche bar, quattromila abitanti,
disoccupazione al 70%. Un angolo sperduto
dei Balcani, una delle municipalità più povere
del Kosovo. La popolazione era mista da sempre.
E lo è ancora oggi. I serbi erano il 54%, dopo
la guerra in molti hanno deciso di andarsene.
Così gli albanesi sono oggi il 57%.
A Novo Brdo sono nati e cresciuti Vladan,
25 anni, serbo, e Bajram, 26 anni, albanese.
Amano la musica e sono cresciuti inseguendo
un sogno (aprire una radio) che è diventato realtà
la scorsa estate. Con alcuni amici, e con
il supporto di Caritas Italiana, hanno dato vita
a Radio Youth Voice (Voce dei giovani).
La radio è piccola: sei persone, tre serbi
e tre albanesi. «Trasmettiamo musica
e programmi in entrambe le lingue. E abbiamo
uno spazio settimanale per la musica rom –
spiega Bajram –. Vogliamo che tutti possano
ascoltarci. Siamo una radio multietnica». Ma fuori
la vita è un’altra cosa. «Io e Bajram abitiamo a
pochi chilometri di distanza e lavoriamo insieme
– riepiloga Vladan –, ma la gente fatica a capirci.
Se ci incontriamo per strada nel suo villaggio,
Bajram non può salutarmi. Rischia di avere seri
problemi con i suoi parenti e conoscenti».
La distanza tra case serbe e albanesi
è scarsa, quella tra la gente è ancora enorme.
Vladan si sfoga: «Tutti gli stranieri che vengono
qui dicono che Novo Brdo è un posto bellissimo:
montagne, verde, tranquillità… Certo, se ci stai
un giorno e poi vai via è tutto perfetto. Ma se
ci vivi da sempre la pensi diversamente.
Io sono serbo, qui non ho futuro. Ci pensi?
A 25 anni non mi posso muovere liberamente.
E adesso ci hanno tolto pure l’elettricità
e la linea di autobus… Se si mette male,
finirà che andrò in Serbia, lì i miei genitori
hanno comprato una casa. Ma parliamo
della radio, è più importante...».
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MARZO 2006
trovica. Un’unica città sulla carta, due de facto. La parte
sud abitata da albanesi, quella nord da serbi. A dividerle
un fiume, che si attraversa grazie a due ponti. Ma sono pochi quelli che corrono il rischio di andare “dall’altra parte”.
Mitrovica: una città, due lingue, due alfabeti, due religioni, due amministrazioni, due sistemi scolastici, due monete, due linee di autobus, due targhe automobilistiche,
due compagnie telefoniche, due campionati di calcio…
In realtà Mitrovica, e il Kosovo in generale, non significano solo divisione tra una minoranza serba ortodossa
(affievolitasi dopo la guerra, a causa delle persecuzioni e
delle violenze da parte albanese) e una maggioranza albanese musulmana (circa il 90% della popolazione). Il Kosovo è molto di più. Come spesso accade nei Balcani, è un
ingarbugliato miscuglio di etnie, religioni e nazionalità
che faticano a trovare il giusto equilibrio. Turchi, croati,
bosgnacchi, rom, ashkali, cattolici: le presenze sono storicamente molteplici ma il “diverso” da sé fa paura, è deriso,
difficilmente è accettato e trova spazio. Nella società kosovara vige la legge della maggioranza e del più forte. I
muri creati dal conflitto non danno segno di cedimento.
dettamente efficaci: occupazione di case, distruzione dei
luoghi di culto, mancanza di libertà di movimento e di sicurezza personale. Il fuoco è stato spento, ma le braci ardono ancora.
All’indomani dei funerali di Rugova, uno dei più autorevoli giornali kosovari ha titolato: “Il Pacifista sepolto dai
militari”. Speriamo non si tratti di una premonizione.
CORDOGLIO PERVASIVO
Immagini di Ibrahim Rugova sui manifesti
di Pristina; a destra, la folla in visita
al feretro del leader
Economia grigia
Intanto la gente sta sempre peggio. La vita è ogni giorno
più cara e il lavoro sempre più raro. Mancano dati ufficiali (l’ultimo censimento è del 1991), ma la disoccupazione
riguarda di gran lunga più del 50% della popolazione. Mediamente, su una famiglia di otto persone, una sola ha un
lavoro fisso. Gli altri vivono nella precarietà e grazie alle rimesse dei parenti emigrati (meglio, scappati) in Italia,
Svizzera e Germania.
Dal Kosovo, infatti, si fugge. Soprattutto i giovani. Perché il Kosovo non da garanzie, non produce quasi nulla: i
grandi impianti industriali e minerari dell’epoca jugoslava non sono stati riconvertiti o lavorano ai minimi termini. E nessuno viene a produrre nella provincia, il cui ambiguo status politico allontana gli investitori stranieri. In
Kosovo non c’è economia; se c’è, è grigia: una grandissima
corruzione e molti traffici illeciti ne fanno un buco nero
dei Balcani, in cui pochissimi ricchi sono sempre più ricchi e tanti poveri faticano a sopravvivere.
La guerra in Kosovo è formalmente finita da quasi sette anni. Ma se la pace è “convivialità delle differenze” e
non semplice assenza di conflitto armato, il Kosovo ha ancora tanta strada da fare. Oggi nella “terra dei merli” ci sono più differenze che convivialità. E la pulizia etnica può
continuare per altre vie, meno vistose delle deportazioni o
delle uccisioni di massa, ma ugualmente terribili e male-
Un anno di sfide per la Chiesa:
«Minoranza che vuole dialogare»
l 2006 sarà un anno denso di sfide anche per la
chiesa cattolica kosovara. La morte improvvisa di
monsignor Mark Sopi, dieci giorni prima di quella
del presidente Rugova, ha privato la comunità cattolica del suo pastore. Monsignor Sopi era stato
amministratore apostolico del Kosovo per dieci anni. «Era
stimato da tutti – ricorda don Albert Krista, direttore di Caritas Kosovo –. Per noi cattolici è stato una guida, ma ha
fatto tanto per la società kosovara in generale. Il messaggio
più importante che ci ha lasciato? Che la vita deve essere
rispettata. Sempre. Qui in Kosovo non è cosa scontata».
Questo spiega la straordinaria presenza di persone al
suo funerale: uomini di chiesa, tanti fedeli, ma anche molti non cattolici. Ora la guida della diocesi è stata affidata a
monsignor Zef Gashi, già arcivescovo di Bar (Montenegro), fino alla nomina del nuovo pastore. Dovrà traghetterà la chiesa della provincia (23 parrocchie, 36 sacerdoti,
circa 60 mila fedeli, il 3% della popolazione) nell’anno dei
negoziati sullo status finale. «La chiesa del Kosovo è giova-
I
ne, viva e attiva – sottolinea don Krista –. Abbiamo molte
vocazioni, la partecipazione alle celebrazioni è elevata, c’è
attenzione a sacramenti e liturgia. Non abbiamo strutture
di potere, ma una grande struttura umana».
Chiesa minoritaria, i cattolici del Kosovo vivono una
condizione peculiare: condividono con la maggioranza
albanese lingua, cultura e tradizioni, ma sono cristiani,
così come la minoranza serba ortodossa. «Siamo rispettati da tutti – tranquillizza il direttore Caritas –. Ma il nostro
ruolo è delicato. Abbiamo buone relazioni con due parti
che non hanno buone relazioni tra loro. Siamo una chiesa piccola con una grande responsabilità. Ci sono grandi
attese su di noi».
Incontro dal basso
I rapporti tra le tre confessioni religiose del Kosovo sono
piuttosto limitati. «Il dialogo a livello ufficiale è impraticabile – osserva don Krista –. Solo dal basso, a livello umano,
è possibile. Io, ad esempio, ho rapporti personali sia con
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MARZO 2006
33
internazionale
internazionale
casa comune
balcani
Povertà, integrazione, auto-aiuto:
l’impegno di Caritas Italiana
A oltre cinque anni dalla fine della guerra, Caritas
Italiana mantiene un significativo coinvolgimento
in Kosovo, strutturatosi attraverso un’attenta
collaborazione con le realtà locali.
L’accompagnamento offerto a Caritas Kosovo
si è concretizzato quest’anno nella terza edizione
del progetto socio-pastorale: tra gli obiettivi,
la produzione di sussidi per i momenti forti
dell’anno liturgico e il supporto alle Caritas
parrocchiali per aiutarle a sviluppare capacità
di ascolto, osservazione e discernimento.
Di particolare rilievo è anche lo sforzo per creare
centri di ascolto parrocchiali che siano punto
di riferimento e di orientamento, prima che
di diretto sostegno, per chi vive in condizioni
di difficoltà economica e sociale.
Lo sforzo per una convivenza pacifica e
l’integrazione interetnica caratterizza un altro filone
di intervento. In collaborazione con la delegazione
Caritas della Toscana e grazie a un finanziamento
della regione Toscana, si sostiene un’associazione
giovanile interetnica che a Novo Brdo ha dato vita
a una radio locale. Tra molte difficoltà, la radio
ha cominciato le trasmissioni a giugno.
Continua inoltre il sostegno all’asilo infantile
delle Suore Angeliche di San Paolo, a Prizren.
Anche in questo caso il supporto è sia finanziario,
in collaborazione con la delegazione Caritas
della Sicilia, che pedagogico, grazie al supporto
dell’associazione Reggio Terzo Mondo.
Dalla collaborazione con alcune associazioni
locali è nata invece l’idea di dar vita a un Centro
kossovaro per l’auto-aiuto: l’obiettivo è dare
continuità al lavoro avviato con alcuni gruppi
di familiari di scomparsi ed ex detenuti politici
e di diffondere questa metodologia in tutta l’area,
allargando il sostegno ad altre forme di disagio.
Caritas Italiana finanzia il centro e affianca nella
formazione lo staff locale, insieme all’associazione
Ama di Trento, una tra le più autorevoli in Italia
nel settore dell’auto-aiuto. Al momento
sono diciotto i gruppi attivi.
[Luigi Biondi]
34
I TA L I A C A R I TA S
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UN ANNO DIRIMENTE
PER RITROVARE L’ANIMA EUROPEA
di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles
iconoscere lo stato di crisi, reale e profondo; analizzarne cause
ed effetti; valorizzare gli insegnamenti della storia, che indicano,
alternativamente, passi falsi e ritrovati slanci in avanti. L’integrazione dei paesi europei è ormai considerata una “via obbligata” per lo
sviluppo e la pace nell’era globalizzata, entro e fuori i confini del continente. Appare sempre meno in discussione il “perché” della “casa comune”; il vero punto interrogativo riguarda semmai il “come” edificarla. Dopo i successi e gli entusiasmi del 2004 (allargamento, firma della
mune (l’Agenda di Lisbona per un’economia competitiva e sostenibile, il
partenariato mediterraneo, il rafforzamento della cooperazione internazionale, una strategia unitaria per
combattere il terrorismo…).
Ciò che è mancato in questi anni,
invece, è stato un eguale sforzo, teso a
definire i cardini dell’edificio comunitario non tanto dal punto di vista
istituzionale (riforme), quanto sotto il
Costituzione), il 2005 ha portato
profilo identitario (valori, cultura,
molte nubi sull’Unione europea: il
grandi obiettivi). Mentre l’Ue cresceDopo gli entusiasmi
“no” di francesi e olandesi al Trattato
va nel corpo, avrebbe dovuto raffordel 2004, sull’Unione
costituzionale; la sofferta apertura
zare la propria “anima”, meglio, le
nel 2005 si sono
delle trattative con la Turchia per
anime che la costituiscono, scomaddensate fosche nubi.
una futura adesione; il lungo braccio
mettendo sulla “unità nella diversità”.
Caduto il Muro, l’Europa
di ferro sulle Prospettive finanziarie
In questo senso l’Unione ha perso
ha rafforzato
2007-2013, ovvero il budget plurienper strada i cittadini, cui è parso semle istituzioni, non la
nale dei 25 (più Romania e Bulgaria,
pre meno nitido il progetto comunipropria identità. Bisogna
il cui ingresso è previsto per il prostario. Sono aumentate le distanze tra
ripartire dai cittadini e
simo 1° gennaio). Il 2006 sarà duni popoli e le istituzioni di Bruxelles e
dalla loro partecipazione
que un passaggio delicato: l’anno
Strasburgo; la costituzione è stata avdemocratica
della chiarezza, per il futuro dell’Euvertita come una forzatura giuridica;
ropa comunitaria?
l’apertura delle frontiere all’Oriente
ha fatto balenare il rischio della perdita di identità in una
Unità nella diversità
comunità troppo vasta; la lunga recessione economica ha
La caduta del muro di Berlino, nel 1989, aveva fatto com- peggiorato la situazione, prospettando la perdita delle
prendere che il vecchio continente si estendeva ben oltre certezze legate al “modello sociale europeo”.
la ex cortina di ferro e che – secondo la “profezia” di GioIn questo senso i prossimi dodici mesi potrebbero esvanni Paolo II – sarebbe tornato a respirare con i “due pol- sere dirimenti. Occorrerà: ritrovare lo slancio e le motivamoni” dell’est e dell’ovest. Gli anni Novanta hanno quin- zioni “alte” delle origini; riscoprire l’insegnamento dei
di preparato la strada al consolidamento della Comunità “padri nobili” dell’integrazione; valorizzare il principio di
e all’apertura delle frontiere (Trattati di Maastricht, Am- solidarietà, che è stato la vera chiave di volta di ogni reasterdam, Nizza) agli ex paesi comunisti: una più vasta area lizzazione comunitaria. E dovranno essere messi al primo
di democrazia, diritti ed economia di mercato avrebbe posto i cittadini e la partecipazione democratica.
giovato a tutti.
Un’Europa che si costruisce “con” e “per” i cittadini ha
Con il nuovo millennio sono giunti ulteriori successi: chance di riuscita. Altrimenti resterà, come qualcuno si
la moneta unica; lo stesso allargamento; il Trattato costi- augura, soltanto un’area di libero scambio, fragile perché
tuzionale; la definizione di nuovi ambiti di impegno co- priva di radici e di mete condivise.
R
ESTREMA E MEDIA
Un pastore in una città del Kosovo.
Nella provincia molti vivono condizioni di indigenza
acuta, ma il disagio è una situazione diffusa
religiosi musulmani che ortodossi». Proprio questo incontro dal basso è una delle linee guida di Caritas Kosovo.
Il suo staff è composto da serbi (ortodossi), musulmani e
cattolici. Con il supporto di alcune Caritas del network internazionale, conduce progetti che hanno come fine ultimo la riconciliazione tra serbi e albanesi e l’integrazione
delle minoranze, soprattutto i rom.
Caritas Kosovo è attiva anche nel sostegno alle fasce
deboli. «I bisogni sono tanti e le risorse a disposizione
scarse – precisa don Krista –. Non pochi sperimentano
una povertà estrema, la gran parte della popolazione vive
una povertà “media”: hanno di che mangiare, sopravvivono, ma se qualcosa va storto in famiglia la situazione si fa
dura. Vi è poi una povertà generale, che coinvolge tutti.
Mancano infrastrutture, luce, servizi… Abbiamo tanti ristoranti e benzinai, non ancora un servizio postale».
Non servono dati ufficiali del governo o dell’Unmik
per confermare queste parole. Basta osservare le decine di
persone che ogni giorno si recano nella sede principale di
Caritas Kosovo, a Ferizaj, alla disperata ricerca di cibo, vestiti, farmaci. «Esiste infine – conclude don Krista – una
“povertà del Vangelo”: molti kosovari non hanno mai avuto la possibilità di esprimere la loro identità religiosa, rimasta sempre nascosta. Ad ogni modo, la dimensione
della carità si è radicata stabilmente nella nostra chiesa.
Nelle parrocchie sono stati accesi piccoli focolai di carità,
gruppi capaci di leggere i bisogni, materiali e spirituali, e
abbozzare risposte. Il segno più tangibile di questa presenza sono i giovani. La Caritas li ha stimolati, e loro tra
mille difficoltà provano oggi ad animare le comunità».
I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
35
internazionale
terra futura
so gratuito della natura e delle sue risorse. Appare quindi
evidente il fatto che, quando si espande un modello già
obsoleto, le conseguenze, per tutti, saranno negative.
SPAZIO
NON INFINITO
Le fonti rinnovabili,
come l’energia
solare, sono ancora
sottoutilizzate.
Ma le risorse fossili
rischiano
di essere esaurite
di Stefano Lampertico
Intervista a Wolfgang Sachs,
esperto di fama mondiale dei temi
ambientali. «L’uso eccessivo
delle risorse energetiche
non rinnovabili ha pesanti effetti
sociali, non solo sull’ecologia.
Il nucleare non è una risposta»
36
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ltre a essere una persona gentile, brillante, che
parla un italiano segnato dall’accento tedesco
ma preciso e fluente, Wolfgang Sachs, direttore
del Wuppertal Institute, è uno dei massimi
esponenti mondiali del pensiero ecologico. È
tra i membri del comitato di garanzia di Terra Futura, la
mostra-convegno delle buone pratiche di sostenibilità
che si terrà a Firenze a fine marzo. È un interlocutore accreditato per parlare degli effetti sociali degli scenari energetici in un’epoca di globalizzazione, tema che sarà al centro del dibattito anche nel capoluogo toscano.
O
Professore, quale aspetto della globalizzazione incide maggiormente sull’ambiente?
La globalizzazione, in qualche modo, non è altro che l’espansione di un modello eeconomico storicamente già
obsoleto. Ovvero il modello economico che si basa sull’u-
ROMANO SICILIANI
«EQUITÀ E SOSTENIBILITÀ,
USIAMO MEGLIO LE FONTI»
È possibile dare una corretta valutazione economica
dell’impatto ambientale sul pianeta delle nuove modalità di produzione e della mobilità diffusa di uomini e merci?
In tante parti del pianeta il capitale naturale viene eroso
sempre più. Per esempio si è accelerato a dismisura il ciclo dell’estrazione delle risorse, come rame, petrolio, soia,
e dall’altro lato non si è controllata l’emissione di anidride
carbonica nell’atmosfera. E quindi sia sul versante dell’estrazione, sia per quanto riguarda l’emissione, è aumentato l’impatto ambientale su un pianeta non più in grado
di sopportarlo. È evidente che questi mancati controlli
hanno un peso anche economico.
sta cambiando e dall’oligopolio dell’ovest stiamo andando verso una situazione in cui lo spazio di consumo viene
occupato anche dai nuovi paesi industrializzati, come Cina, India, Messico. Quella che non cambia però è la modalità di accesso alle risorse: molti paesi del mondo sono
tagliati fuori, nel senso che hanno un consumo molto
contenuto di gas e petrolio. Ma non si può risolvere il problema della disuguaglianza pensando di portare questi
paesi allo stesso livello di consumo energetico dell’occidente. Equità in questo caso significa definire un livello
sostenibile, più basso per tutti, così da raggiungere una
partecipazione meno diseguale, e nel contempo commisurata al patrimonio energetico del mondo.
In questi ultimi mesi i temi energetici (costi e consumi del petrolio, gestione delle reti di diffusione del
gas naturale, uso del nucleare) hanno conquistato
con sempre maggior frequenza le prime pagine dei
giornali. Dobbiamo aspettarci una politica internazionale sempre più influenzata dalle mire sulle fonti di energia?
Certamente. E si torna al rapporto tra energia ed
equità. Solo ritirandoci da un uso eccessivo delle fonti possiamo dare più spazio agli altri. E un
abbassamento della domanda porterebbe anche benefici per tutti: il primo sarebbe il contenimento dei prezzi delle risorse.
Lei sostiene che “un nuovo equilibrio tra
Nord e Sud deve essere trovato, dato che
una pianificazione razionale della terra
non potrà essere raggiunta senza la cooperazione di molti soggetti politici”. Quale
ruolo possono giocare le politiche ambientali messe in atto dall’Unione europea e
dalle comunità locali?
L’Unione europea avrebbe la possibilità di posizionarsi in alternativa al potere globale unico, PENSIERO
quello degli Stati Uniti, proponendo un model- ECOLOGICO
L’uso intelligente delle fonti energetiche è anWolfgang Sachs,
lo di ordine mondiale basato sulla cooperazio- direttore
che un modo per prevenire i conflitti?
Wuppertal
ne, sul multilateralismo, su un patto fra Nord e del
Non ci sono dubbi. Come non ci sono dubbi su
Institut
Sud del mondo, su una prevenzione politica dei
altri possibili benefici: ogni stato, per esempio,
rischi. L’Unione europea ha grandi potenzialità e qualche avrebbe una minore dipendenza da fonti energetiche che
segnale positivo si intravede, anche se molto sfumato, per possiedono altri paesi. Saremmo così meglio preparati ad
esempio in relazione all’applicazione del protocollo di affrontare momenti di grande scarsità; nei prossimi ventiKyoto. Diverso è il discorso per le istituzioni locali: negli ul- trent’anni finirà certamente il petrolio a basso costo. E in
timi vent’anni sono aumentati la coscienza ecologica, l’in- un mondo in cui c’è una disuguaglianza così diffusa, ci savestimento sulla formazione e sull’informazione, e ciò ha ranno anche altri paesi che avranno la necessità di attinportato a progetti tangibili in materia ambientale.
gere a una parte di queste risorse.
Energia e giustizia sociale. Come contribuiscono le
politiche energetiche globali a determinare il solco
tra mondo ricco e mondo povero?
Qui si intrecciano le dimensioni dell’equità e dell’ecologia. Il petrolio, ma anche il gas, sono risorse limitate: siamo davanti a uno spazio ambientale che non è infinito.
D’altro canto è evidente che questo patrimonio energetico è distribuito in modo ineguale, anche se la situazione
Come interpreta il tentativo di alcuni stati, anche europei, di rendersi autonomi nella produzione di
energia con l’utilizzo del nucleare?
I nuclearisti trovano una nuova speranza in relazione alla
crisi del petrolio e al clima. Ma ci sono alcune considerazioni da fare. Da un lato conosciamo bene i rischi del nucleare, legati alla sua sicurezza e ai suoi rifiuti, problema irrisolto in ogni parte del il mondo. Ma sono ancora più imI TA L I A C A R I TA S
| MARZO
2006
37
internazionale
internazionale
contrappunto
terra futura
“Terra Futura”, vetrina di pratiche che garantiscono i “beni comuni”
Tre giornate per far conoscere progetti ed esperienze che
sperimentano modelli di sostenibilità sul fronte economico,
sociale e ambientale. Da venerdì 31 marzo a domenica
2 aprile la Fortezza da Basso, a Firenze, ospiterà per
il terzo anno consecutivo “Terra Futura”, la mostra-convegno
internazionale delle buone pratiche di sostenibilità, attuabili
e già attuate nei diversi ambiti dell’abitare, produrre,
coltivare, agire e governare. La manifestazione è promossa
dalla Fondazione
culturale
Responsabilità Etica
per conto del
sistema Banca Etica
e da Adescoop Agenzia
dell’economia
sociale.
A “Terra Futura”
si manifestano
in esempi concreti
i temi cari a chi
desidera percorrere strade capaci di assicurare un futuro
al nostro pianeta: consumo critico, commercio equo,
finanza etica, responsabilità sociale d’impresa, turismo
responsabile, rispetto e tutela dell’ambiente, energie
alternative e rinnovabili, bioagricoltura, bioedilizia, medicine
non convenzionali, mobilità sostenibile, pace, diritti umani,
cooperazione internazionale… Queste proposte avvengono
nell’ampia area espositiva (dove trovano spazio associazioni,
realtà non profit, istituzioni, enti locali, imprese), in un
intenso calendario di convegni e dibattiti e nei numerosi
spazi-laboratorio, in cui i visitatori possono sperimentare
direttamente buone pratiche quotidiane di sostenibilità
e nuovi stili di vita. Visitata l’anno scorso da 48.500
persone, che hanno affollato i 100 appuntamenti culturali
con 500 relatori e i 300 stand proposti da oltre duemila
realtà, “Terra Futura” prosegue quest’anno la riflessione
sul tema sul tema dei “beni comuni”, come base di
partenza per costruire un’altra economia, che si preoccupi
del loro mantenimento e della loro rigenerazione. Il percorso
culturale verrà proposto, quest’anno, insieme ad alcune
grandi sigle dell’associazionismo italiano (Arci, Cisl, Fiera
delle utopie concrete, Legambiente), a cui si unisce Caritas
Italiana. Intitolato “La nostra terra futura: oltre il petrolio,
oltre l’ingiustizia”, tale programma si articolerà in tre spazi:
la Piazza, dove relatori, esperti e responsabili istituzionali
condivideranno le loro conoscenze; l’Arena, dove verranno
presentate azioni concrete per il cambiamento; il Circolo,
dove si svolgeranno conversazioni con personalità di grande
spessore culturale, portatrici del nuovo pensiero. “Abbiamo
capito – scrivono le realtà promotrici del programma
culturale – che le questioni sociali, ambientali ed
economiche sono inscindibili, che l’impegno a fianco
degli ultimi deve accompagnare l’impegno per la tutela
delle risorse naturali, che l’azione per la finanza etica
deve puntare a un nuovo sistema economico, che la lotta
in difesa dei lavoratori deve rafforzare quella per i diritti
degli altri popoli. Questa consapevolezza è alla base del
nostro stare insieme a Terra Futura e al centro del momento
culturale che promuoviamo”. Numerosi gli invitati di spicco
del mondo accademico, politico, sindacale, economico:
il programma completo è sul sito www.terrafutura.it.
portanti altre riflessioni. Per far funzionare un impianto
nucleare servono dieci-dodici anni. I capitali spesi per
queste centrali possono essere facilmente destinati a progetti che non richiedono la costruzione di impianti e che
porterebbero benefici immediati: l’efficienza energetica,
l’uso intelligente delle fonti rinnovabili. Inoltre quando si
parla di nucleare bisognerebbe aggiungere una riflessione
sul circuito plutonico, pensare cioè a un nucleare che implichi il riprocessamento del combustibile, perché anche
l’uranio è una risorsa limitata. Sarebbe folle costruire un
sistema energetico su una risorsa limitata. Ma la strategia
del riprocessamento del combustibile oggi non può esse38
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MARZO 2006
re separata dal nucleare militare. Pensate al recente dibattito internazionale con l’Iran su questi temi. Imboccare
questa strada porta a una militarizzazione potenziale del
nucleare. Sarebbe una follia per il mondo intero.
Qual è la sua idea di progresso?
Essere capaci di vivere con le risorse che abbiamo disponibili. Negli ultimi 150 anni ci si è basati sulle risorse fossili
che venivano estratte dalla cresta della terra e sui tesori delle colonie. Oggi i fossili sono limitati, le colonie non ci sono
più e il mondo diventa sempre più piccolo: è un imperativo assoluto imparare a vivere bene con i propri mezzi.
ACCESSO, NON SOLO COSTO:
L’ENERGIA SPOSTA POTERI E PAURE
di Alberto Bobbio
rmai il prezzo non conta più. Il petrolio gira attorno ai 70 dollari
al barile e nessuno si stupirebbe se arrivasse a 100 dollari. Il problema è un altro e si chiama “accesso strategico”. Vale per tutti,
ma soprattutto per chi ne consuma quantità pazzesche. L’America e la
sua economia, ha ammesso il presidente Bush nel discorso sullo stato
dell’Unione, sono “avvelenate dal petrolio”. Ma è la Cina a stare in testa
alla classifica: l’anno scorso l’Asia ha superato per la prima volta America del nord ed Europa, trascinata dal vortice dei consumi cinesi e indiani, che stanno provocando un’impennata nella richiesta di energia.
Più che il denaro, si diceva però, conta la geopolitica dell’accesso,
ma dei flussi e della distribuzione che
viene dall’Asia centrale. E qui le logiche sono politiche, prima che economiche. La Russia torna sulla scena,
pronta a competere forte di un’arma
formidabile, l’energia, intrecciando
risultato economico e aumento della
sfera di influenza geopolitica.
La Cina ha scelto di fare da sponda a Mosca. Gli investimenti russi in
Asia centrale sono aumentati di quasi 150 volte negli ultimi cinque anni,
correggendo la politica centrifuga
per garantire sicurezza nella svilupaffermatasi con i predecessori di PuI consumi asiatici di
po. È un problema che non hanno
tin. Si assiste da qualche tempo a un
petrolio hanno superato
solo Pechino e le altre capitali asiatiritorno alla centralizzazione del penquelli nordamericani
che, ma anche l’Europa, dopo il bridolo russo nei confronti delle repubed europei. La Cina
vido che ha provato a causa del gas
bliche ex sovietiche. L’Organizzaziofa acquisti e intreccia
russo. La strategia della Cina è abbane di cooperazione centroasiatica si
rapporti con arabi
stanza chiara: intende comperare e
è fusa nell’Eurasec, la Comunità ecoe russi. Putin usa il gas
va a fare la spesa in Sudan, Angola,
nomica euroasiatica, dove la diffecome leva strategica.
Nigeria, Medioriente, Venezuela. Si
renza la fa Mosca. Alla base ci sono
L’occidente controlla
cautela e intanto ridisegna scenari
importanti accordi energetici nel
sempre meno
politici. Il re saudita ha passato tre
campo petrolifero e del gas naturale,
la globalizzazione
giorni a Pechino, sicuramente non
nei quali i cinesi hanno una parte risolo per ammirare le bellezze della
levante. Si tratta di società pubbliCittà Proibita. Sinopec, la prima compagnia petrolifera che, che il Cremlino ha riportato sotto controllo stretto,
cinese, ha moltiplicato i suoi investimenti in Arabia; lo dopo anni di privatizzazioni selvagge e distruzioni, per
sceicco del Kuwait è il principale azionista nel colossale ricostruire la sua potenza mondiale.
affare della prima privatizzazione cinese, quella della InÈ l’energia, insomma, usata come leva strategica dagli
dustrial and Commercial Bank of China.
ex agenti del Kgb che comandano a Mosca. L’obiettivo finale è controllare l’intera rete dei gasdotti europei (e non
Il gioco del trasporto
soltanto), aprendo o chiudendo i decrepiti rubinetti sibeLa Cina ha fretta di sostituire il carbone, che fa seimila riani, ma anche acquistando partecipazioni economiche
morti l’anno nelle miniere. Così l’asse delle politiche nelle società dei tubi europei. E non serve cullarsi nella
energetiche si sposta. E non balla solo sul petrolio, bensì convinzione che la Russia non sia più comunista. Né conanche sul gas naturale, di cui l’Europa ha bisogno vitale. viene ritenere l’attrazione per il capitalismo di Mosca e PeNon c’è infatti solo la questione dei giacimenti: oggi a chino il sistema automatico di regolazione delle paure del
preoccupare è il grande gioco del trasporto, nel quale la mondo. La globalizzazione cambia anche la percezione
Russia di Putin ha un ruolo centrale, controllando il siste- dei rischi. E l’Occidente classico la guida sempre meno.
O
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| MARZO
2006
39
agenda territori
parrocchia e mondialità
TREVISO
UMBRIA
Aperto un locale di accoglienza
per i famigliari dei detenuti
Impegni per le diocesi:
Progetto Kosovo,
accoglienza a Foligno
È stato inaugurato nella seconda metà di gennaio
un locale di accoglienza per famiglie in visita
ai detenuti, allestito da Caritas Treviso. Si tratta
di un nuovo impegno nell’ambito del carcere: dopo
la struttura di accoglienza per 12 ex detenuti e altre
iniziative (le “Adozioni a vicinanza” e un laboratorio
di falegnameria) è partito il progetto denominato
“Oggi visite”, rivolto alle famiglie dei detenuti della casa circondariale veneta.
Esso prevede l’accoglienza di donne e bambini che la mattina vengono
a trovare i familiari detenuti: davanti all’ingresso del carcere è stato
sistemato un prefabbricato (nella foto, l’inaugurazione) per ospitare coloro
che dovrebbero fermarsi ad attendere, pressoché senza riparo, il loro turno
di entrata. Inaugurata dal vescovo, monsignor Andrea Bruno Mazzocato,
alla presenza del direttore del carcere e di autorità cittadine, parroci,
operatori e volontari Caritas, la struttura non servirà solo ad alleviare
un evidente disagio, ma anche come spazio per le relazioni con i familiari
e l’animazione dei bambini, grazie alla presenza regolare di due operatori.
Il progetto è condiviso dalla direzione dell’istituto di pena e dai responsabili
dell’area educativa del carcere: circa un terzo dei detenuti a Treviso,
soprattutto italiani, hanno una famiglia con cui mantengono i contatti.
BOLZANO-BRESSANONE
Dal Servizio Hospice
appello per una vita
“fino all’ultimo istante”
“Non solo morire in pace,
ma vivere fino all’ultimo
istante”: è questo l’appello
lanciato dalla Caritas
diocesana l’11 febbraio,
in occasione della Giornata del malato.
In Alto Adige, 114 volontari formati
accompagnano e assistono persone
gravemente ammalate o morenti
nelle abitazioni, nelle case di riposo
e negli ospedali. Il Servizio Hospice
della Caritas diocesana, con i tre uffici
di Bolzano, Brunico e Merano,
è a disposizione di uomini e donne
gravemente ammalati, dei loro parenti
40
I TA L I A C A R I TA S
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MARZO 2006
e amici, ma anche di chi ha intenzione
di impegnarsi come volontario nel
servizio. «Oltre a una buona assistenza
medica, queste persone hanno bisogno
di attenzione e sensibilità, oggi
purtroppo merce rara», spiega Rainer
Feichter, responsabile del servizio.
Nel 2005, esso è stato molto richiesto
dagli altoatesini: quasi 4 mila interventi
e 13.700 ore di assistenza, il 20% in più
rispetto all’anno precedente. Una buona
formazione dei volontari è cruciale:
per questo il Servizio Hospice offre
specifici corsi di formazione. Ma
il compito del servizio è anche informare
e sensibilizzare l’opinione pubblica:
oltre all’appello per la Giornata del
malato, durante l’anno il Servizio
incontrerà gruppi e associazioni per
presentare idee e proposte di attività.
La delegazione regionale Caritas ha
presentato i suoi progetti per il 2006,
che coinvolgono le otto Caritas
diocesane dell’Umbria. Anzitutto verrà
dato ulteriore sviluppo al progetto
“Kosovo”, attivo da settembre 1999
con l’animazione del campo Caritas
di Radulac, condotto da una coppia
di giovani umbri che, grazie all’aiuto
di centinaia di volontari, presenti a
turno, si prendono cura di 19 bambini
senza famiglia e aiutano un centinaio
di famiglie in situazione di bisogno.
Il progetto ha risvolti anche sul fronte
dell’assistenza sanitaria e della
riconciliazione dopo il conflitto: per
il 2006 l’obiettivo è acquistare i campi
affidati alla cooperativa (fondata
nel 2003 dagli operatori del campo)
dove lavorano tanti giovani kosovari,
in un’area a forte disoccupazione.
In Umbria, invece, i progetti comuni
riguardano il proseguimento dell’opera
della casa di accoglienza “Germoglio
meraviglioso” di Foligno, in cui vengono
accolte persone in difficoltà provenienti
dalle otto diocesi. In cantiere c’è
un intervento edilizio, per costruire
un’ala nuova della struttura. Infine,
si proseguirà nell’aiuto mirato a singoli
e famiglie, attraverso l’opera quotidiana
dei centri d’ascolto diocesani.
SENIGALLIA
Volontari in festa
per i dieci anni
del Centro solidarietà
A fine gennaio la Caritas diocesana ha
festeggiato, con il vescovo, i sacerdoti,
gli operatori e i volontari, i dieci anni di
di Matteo Gandini
Due personaggi alla ricerca del fuoco,
fiabe a scuola per insegnare il valore delle differenze
MOHAMED
E RASHIDA
Due momenti
delle fiabe
animate proposte
dal gruppo
mondialità
della Caritas
diocesana
di Reggio Emilia
ai bambini
delle scuole
e delle parrocchie
Lavorando nelle parrocchie della diocesi di Reggio Emilia con il gruppo di educazione
alla mondialità della Caritas diocesana, incontriamo spesso tanti bambini nei gruppi
parrocchiali, in quelli scout o addirittura negli asili parrocchiali. In uno di questi
abbiamo messo in scena una fiaba animata dal titolo “La ricerca del fuoco”.
I bambini si sono seduti sul tappeto magico su cui la fata “acchiappastorie”
ha narrato loro la leggenda di due personaggi alla ricerca del fuoco: il cattivo
Mohamed e la buona Rashida. I bambini, dopo aver ascoltato la fiaba, si sono alzati
e, magicamente, nella stanza attigua, i luoghi e i personaggi della storia si sono
materializzati. Alcuni di noi hanno impersonificato Mohamed, Rashida e il re Molungo.
La leggenda narra che solo Rashida riuscirà a ottenere il fuoco da Molungo.
La ragione di questa vittoria sta nell’aver accettato i popoli che incontrava lungo
il suo cammino, con tutte le loro caratteristiche e stranezze. Al termine di questa
fiaba animata si è avvicinato a noi un bambino, aveva 5 anni e due occhioni neri
che occupavano buona parte del volto. Mi ha tirato un lembo della veste imperiale
di Molungo e mi ha chiesto di abbassarmi perché voleva dirmi qualcosa.
Così ho fatto, mi sono chinato e lui ha detto qualcosa che rimarrà per sempre
nel mio cuore: “Non è che riuscite a venire a raccontare anche a casa mia, ai miei genitori,
questa fiaba? Ne abbiamo tanto bisogno…”.
Mondialità e stili di vita
Ho capito subito che, pur nell’abbondanza economica e nell’agio materiale, quel bimbo viveva
dolori immensi, comparabili forse con quelli che si vivono in zone di guerra. Nella sua innocenza
aveva capito perfettamente il contenuto pedagogico che sottostava alla fiaba: le differenze non
sono vincoli ma risorse su cui scommettere; la misura non è la giustizia ma la carità (o amore,
perdono, ecc.). Quel bimbo ha capito perfettamente che in casa sua i suoi genitori non riuscivano
a vedere le proprie differenze come risorse; quel bimbo ha capito che tale situazione non era
fecondatrice di gioia e amore, ma di dolore. Aveva capito che per lenire questo o altri dolori ci
si rifugia in mille distrazioni diverse. Aveva capito che aveva bisogno di una Rashida che potesse
accogliere e rispettare la sua differenza di bambino, di un re Molungo che provasse a far
dialogare i suoi genitori, di un fuoco che lo potesse riscaldare dentro (lo stesso effetto dell’acqua
che Gesù offre alla Samaritana). Ho terribilmente toccato con mano la mia impotenza, vestito
da re ho cercato di fare la mia bella figura nell’accarezzare quel bimbo dagli occhioni bellissimi,
gli ho detto che lui stesso poteva raccontare tutto quello che aveva visto e sperimentato quel
giorno ai suoi genitori. Questo episodio ci ha fatto riflettere e abbiamo capito che l’educazione
alla mondialità ha un filo rosso che la collega con gli stili di vita. Quanto più gli stili di vita
delle nostre comunità parrocchiali e dei singoli sono conformi allo stile di Gesù (amore), tanto
più si potrà attuare un’educazione alla mondialità. Il bimbo di cui abbiamo parlato forse faticherà
ad affrontare, in futuro, la questione dell’immigrazione mondiale, perché la sua mente e il suo
cuore sono occupati da un dolore molto più grande e profondo. Noi, con la nostra fiaba,
speriamo di aver contribuito a fargli superare quegli ostacoli.
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agenda territori
bacheca
Immigrazione e comunicazione,
tra destini personali e laicità dei dati
“I giornalisti italiani non sono
xenofobi”. Ma per loro “è difficile
non farsi imprigionare da schemi,
limiti” e pregiudizi, che condizionano
il loro modo di rapportarsi al fenomeno
dell’immigrazione e di conseguenza
il loro modo di raccontarla. Si era
aperto con queste considerazioni, nello
scorso autunno, un seminario svoltosi
nella sede di Caritas Italiana e riservato agli operatori dell’informazione.
Ad approfondire questi problemi, e il ruolo che le Caritas e i loro strumenti
di comunicazione possono rivestire in proposito, è stato invece dedicato
il seminario “Comunicare l’immigrazione”, che ha visto riuniti a Roma a inizio
febbraio una cinquantina di operatori del Coordinamento comunicazione
Caritas. Nelle due intense giornate di confronto (foto) sono stati messi
a fuoco i limiti di un’informazione «che guarda prevalentemente
all’immigrazione come problema e come fonte di precarietà, piuttosto
che come risorsa. Tale informazione è costruita sempre in termini generalisti:
è ancora incapace di guardare ai milioni di destini personali» che stanno
dentro l’articolata presenza di migranti in Italia, come ha sottolineato Giorgio
Paolucci, giornalista di Avvenire. D’altronde, gli ha fatto eco Luigi Gaffuri,
docente all’università dell’Aquila, «chi parla di immigrati lo fa solitamente
non sulla base di un’esperienza personale ma in riferimento all’evanescenza
di un’immagine creata dal lavoro dei media. Così l’immaginario collettivo
in buona parte interpreta l’immigrazione come una minaccia, ma ciò
è smentito dai dati», alla cui «laicità» il professore ha invocato che si possa
far ricorso per inquadrare la questione in termini di maggior obiettività
all’interno del dibattito pubblico.
Il giornalista non pigro
Questo, in fondo, è anche il compito del Dossier statistico immigrazione,
giunto nell’ottobre 2005 alla 15ª edizione e giudicato da Corrado Giustiniani,
giornalista del Messaggero, una fonte attendibile e preziosa di numeri
e informazioni che possono ispirare il lavoro del giornalista “non pigro”,
interessato alla complessità dei fatti. La testimonianza di Ribka Shibatu
(eritrea, mediatrice del Forum romano per l’intercultura) ha arricchito
le giornate, evidenziando quanto l’immagine dell’immigrazione costruita
dai media possa incidere nella esperienza personale di milioni di migranti.
Molto ricca, infine, la presentazione delle iniziative editoriali createsi attorno
al Dossier statistico immigrazione, ad opera della sua redazione.
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sussidi
a cura dell’Ufficio comunicazione
attività del Centro di solidarietà di prima
accoglienza “Don Luigi Palazzolo”.
Nel solo 2005 esso ha realizzato 5.855
pernottamenti, 7.155 pasti, 1.460
docce e ha fornito 4.654 beni materiali,
tra cui 825 pacchi viveri. Nel 1995
il centro aveva 40 volontari, oggi sono
400; gli obiettori in servizio civile sono
stati 140 in un decennio, le ragazze (tra
anno di volontariato sociale e servizio
civile) 25. Durante gli anni il centro
ha sviluppato un progetto di seconda
accoglienza (sei miniappartamenti)
e un ambulatorio dentistico ora divenuto
ambulatorio medico. Importanti anche
i progetti di solidarietà internazionale,
dedicati ai Saharawi e all’Argentina.
VITERBO
Povertà in provincia:
primi dati in vista
del rapporto
La Camera di commercio ha ospitato a
gennaio un convegno sul primo rapporto
sulle povertà nella provincia di Viterbo,
che uscirà nella sua veste definitiva
a giugno. Il progetto è promosso
dall’associazione “Viterbo con amore”:
«Vogliamo proporre un’indagine seria,
che serva da strumento per le politiche
sociali nel territorio», hanno dichiarato
i responsabili. Tra i primi dati, emerge
che oltre un quinto dei circa 300mila
abitanti del viterbese sono anziani
ultra65enni; tra il 2002 e il 2003 sono
più che raddoppiati i tossicodipendenti,
da 329 a 706, rivoltisi alle strutture
pubbliche o private del territorio.
Dai dati Inps si ricava che nel 2003
i titolari di pensioni di invalidità erano
circa 10.100 (34 ogni mille abitanti).
Dal 1997 al 2003 i minori denunciati
sono aumentati del 53,5% (da 71
a 109): anche in questo caso una
delle più alte incidenze del Lazio.
a cura dell’Ufficio comunicazione
PORTO - SANTA RUFINA
Ricerca su Casalotti,
quartiere accogliente
nonostante i problemi
Il “grido delle folle”in Quaresima,
spunti per avvicinarsi alla Pasqua
Il quartiere di Casalotti, periferia
romana, è un’area metropolitana
dove intensa è stata, nei tempi recenti,
la trasformazione urbanistica e
socio-economica. Al tradizionale borgo
periferico si sono affiancate nuove
edificazioni, da poco inserite in un
progetto urbanistico. E le aree limitrofe,
tradizionalmente rurali, hanno
conosciuto nell’ultimo decennio
una crescente urbanizzazione. Così oggi
Casalotti, emblema di tante periferie
italiane, è un quartiere residenziale.
Sulle complesse dinamiche del disagio
sociale e relazionale che vi si sono
sviluppate si concentra
una ricerca (condotta
dall’Osservatorio
delle povertà e delle
risorse della diocesi
suburbicaria di Porto Santa Rufina e dalla
facoltà di Scienze della formazione
dell’università Lumsa), basata su 49
interviste a residenti, un’analisi degli
indicatori socioeconomici e un’analisi
dei documenti di programmazione
sociosanitaria. Il quadro che ne emerge
è complesso: lungi dall’essere
un quartiere omogeneo, Casalotti
risente di una scarsità delle risorse
comunitarie e dell’insufficienza
delle agenzie di prevenzione e supporto
agli individui più deboli. I punti critici non
sembrano comunque compromettere
un radicato senso di attaccamento
al territorio: Casalotti risulta un quartiere
problematico ma accogliente. Una
realtà che, come tante periferie italiane,
presenta valori di relazione, sui quali
la politica e le istituzioni dovrebbero
investire con maggiore convinzione.
“La Quaresima è il tempo privilegiato del
pellegrinaggio interiore verso Colui che
è la fonte della misericordia”. Comincia
con queste parole il messaggio che papa
Benedetto XVI ha inviato ai cattolici di
tutto il mondo in vista della Quaresima.
Ispirato al versetto evangelico “Gesù,
vedendo le folle, ne sentì compassione”
(Mt. 9,36), il messaggio è una profonda riflessione
sul “grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace,
di amore”, che ancora oggi si leva da molte parti
del mondo, e sul contributo della Chiesa nei confronti
del “pieno sviluppo” dell’uomo, che deve sostanziarsi
“non (…) in mezzi materiali o in soluzioni tecniche,
ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa
le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona
e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura
che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo”. Il papa prosegue
ricordando la necessità di “una strada per guidare (…) il mondo verso
una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo e così
conduca alla pace autentica. Con la stessa compassione di Gesù per le folle,
la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi
ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico
e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità
di ogni uomo”. A cominciare dalla libertà religiosa, intesa anche come
possibilità di “contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità”.
Portate a tutti la gioia del Risorto
Per accompagnare fedeli, famiglie e comunità nel cammino quaresimale,
Caritas Italiana e Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei
hanno predisposto, come di consueto, una articolata serie di sussidi.
Il tema unificante è l’appello “Portate a tutti la gioia del Risorto!”: a dargli
concretezza contribuiscono le immagini dell’artista Cinzia Ratto, mentre
i contenuti sono affidati all’opuscolo per le famiglie, a un album
per i bambini, al poster da affiggere nelle chiese, al salvadanaio per chi
intende accompagnare il cammino quaresimale con un gesto concreto
di solidarietà, infine a una scheda per l’animazione pastorale. Tutti i sussidi
sono studiati per essere accessibili anche a chi è meno abituato al linguaggio
liturgico, per proporre un cammino a chi si riaffaccia alla fede o desidera
iniziare una riflessione su se stesso e su Dio. INFO www.caritasitaliana.it
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villaggio globale
a tu per tu
MUSICA
PERIODICI
“Oratorium”, un cd
firmato Elio per
parlare ai giovani
“Stadium”, lo sport dei valori:
cent’anni di vita, una nuova veste
Un cd musicale singolare
e divertente: Oratorium,
scritto e cantato dal gruppo
Elio e le storie tese, è stato
presentato al convegno
nazionale di pastorale giovanile tenutosi
in febbraio a Lignano Sabbiadoro.
È una delle iniziative, che si affida
ai ritmi, all’ironia e allo spiccato estro
musicale di Elio & c., che il Forum
oratori italiani (Foi) adotta nel suo
percorso verso il Convegno ecclesiale
di Verona, nel tentativo di parlare,
con il loro linguaggio, al mondo
dei giovani. Altre iniziative nel campo
della comunicazione: la pubblicazione
della “collana Oratori” con l’editrice
Edb, il rinnovamento dei sitit internet
www.giovani.org e www.oratori.org,
la sperimentazione di un progetto
(“OraTv - tv dai ragazzi”) che intende
far sperimentare agli adolescenti l’uso
delle nuove tecnologie audiovisive.
TELEVISIONE
La Rai promette:
presto una sede
“coprirà” l’Africa
Una buona
notizia
(ancora da
concretizzare)
per chi ha a
cuore la varietà
dei flussi di notizie. Alfredo Mocci,
direttore generale Rai, incontrando a
fine gennaio i rappresentanti del
sindacato Usigrai, della Tavola della
pace, del coordinamento nazionale Enti
locali per la pace e delle riviste
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Maria Grazia l’ambasciattrice: «Un film a più mani
per dare speranza ai bambini invisibili di tutto il mondo»
Tagliare il traguardo dei cent’anni e scoprirsi
nuovi. Stadium, il mensile del Centro sportivo
italiano (Csi), dall’inizio dell’anno è
profondamente rinnovato: edito ora dal gruppo
Periodici San Paolo, ripropone la sua gloriosa
storia (nato nel 1906, ha visto interrotte
le sue pubblicazioni nel periodo fascista,
per riprenderle nel 1944 come organo
dell’associazionismo sportivo di ispirazione
cristiana) parlando ai giovani con un
linguaggio moderno delle 72 discipline
sportive che gli atleti tesserati Csi (quasi
900 mila) praticano in tutta Italia. Il giornale
vuole raccontare storie di sport pulito, presentare l’esperienza di sportivi
noti e meno noti, diffondere valori che contribuiscano a combattere
patologie sociali che minano il mondo giovanile. Per ora può essere
ricevuto in abbonamento, in futuro sarà anche in edicola.
missionarie, ha assicurato che la Rai
intende aprire presto una propria sede
in Africa (potrebbe essere a Nairobi).
«Ci stiamo già lavorando», ha dichiarato
Mocci ai suoi interlocutori, secondo
quanto riportato dall’agenzia Redattore
sociale. L’apertura della nuova sede,
ripetutamente chiesta dai soggetti
della cooperazione, della pace
e dalle riviste missionarie nel recente
passato, colmerebbe una lacuna
gravissima nella geografia del servizio
pubblico radiotelevisivo: pur dovendo
“coprire” un intero continente, la sede
alla cui preparazione sta lavorando
l’inviato Enzo Nucci avrebbe la funzione
di offrire a Tg, programmi e palinsesti
materiali e notizie che finora la Rai
attinge (quando lo fa) ai circuiti delle
grandi agenzie internazionali.
Intanto il canale satellitare RaiUtile
ha lanciato La Rosa di Jericho,
programma che va in onda ogni
mercoledì alle 15 e interamente
dedicato al mondo della cooperazione
internazionale, con approfondimenti,
dibattiti e notizie di attualità.
INTERNET
Portale interattivo
per far comunicare
chi vive la disabilità
Il web offre un nuovo spazio ai soggetti
(individui, ma anche volontari,
associazioni, istituzioni e imprese)
che ogni giorno si misurano
con l’esperienza della disabilità Il nuovo
portale interattivo www.sociale.it
si propone come spazio di incontro
e punto di raccordo tra varie esperienze,
mettendo a disposizione informazioni
e promuovendo lo scambio
di comunicazioni ed esperienze. Le sue
sezioni offrono l’opportunità di reperire
aggiornamenti, ottenere consulenze,
ma anche entrare in rapporto diretto,
“chattando” con altre persone disabili
o che vivono ogni giorno con i disabili.
di Danilo Angelelli
Ambasciattrice. Il termine si adatta come un abito su misura a Maria Grazia Cucinotta. Che si
muove in parallelo tra due ruoli. Quello di attrice, che l’ha imposta all’attenzione internazionale
con la lieve poesia del Postino, passo d’addio di Massimo Troisi. E quello che è tutta un’altra
poesia: l’impegno come ambasciatrice di Unicef e World Food Programme. Fa sul serio, Maria
Grazia. E per mettere insieme i due ruoli se ne è ritagliato addirittura un terzo. È infatti tra i
produttori di All the invisibile children, il film in questi giorni nelle sale. Sette episodi sull’infanzia
ignorata, firmati da otto registi di alto livello, tra cui Emir Kusturica, Spike Lee, Ridley Scott,
John Woo. Otto grandi talenti creativi, per raccontare i “bambini invisibili” di tutto il mondo.
In un episodio recita anche lei…
Sì, nell’episodio Ciro, diretto da Stefano Veneruso – già aiuto-regista in The Passion –,
spaccato di vita dei bambini della periferia di Napoli. Il mio è un piccolo ruolo in un grande
film, che nasce dalla consapevolezza dell’esistenza di milioni di bambini senza diritti per
sfruttamento e guerre, di 300 milioni di minori che soffrono la fame, di 100 milioni che non
hanno accesso all’istruzione. La Cooperazione italiana allo sviluppo del ministero degli esteri,
le agenzie Onu World Food Programme e Unicef sostengono questa iniziativa per far ascoltare
la voce e le speranze dei “bambini invisibili” e per dar vita a un progetto per l’infanzia in Africa.
Un film multiculturale, che avvicina registi di radici diverse. Un regalo che il cinema si è fatto?
PRODUTTRICE
INTERPRETE
Maria Grazia Cucinotta
nella scena che
la vede impegnata
in All the invisibile
children, film
di cui è anche
co-produttrice.
Sotto, altre scene
della pellicola,
girata da otto registi,
tra cui alcuni
di fama mondiale
Senz’altro. Ma anche un regalo che noi produttori ci siamo fatti, perché di questo film siamo
fieri più di qualsiasi altro lavoro. È la cosa che ci ha fatto stare meglio e ci carica tutte le volte
che il film viene proiettato. L’ho seguito in diversi festival, sempre ho visto la gente commossa
applaudire per minuti.
Quale episodio preferisce?
Mi piacciono tutti. È impossibile sceglierne uno. Anche se si tratta di storie tra loro
indipendenti, creano un insieme inscindibile. In particolare credo che non si dimentichi
facilmente la bambina dell’episodio di Spike Lee. Ogni volta che la sento gridare
«Io non voglio morire», non riesco a non piangere.
C’è qualcosa che la avvicina particolarmente ai bambini ritratti nel film?
Io vengo da una realtà molto simile alla loro. Il fatto di essere riuscita a diventare visibile
mi lega a loro ancora di più. Ho vissuto in prima persona anche il problema dell’immigrazione,
quindi il non essere accettata due volte. La mia condizione sociale era aggravata dal fatto
di provenire da una terra considerata di serie B, che non ho mai rinnegato perché la amo.
È stato un enorme sacrificio lasciare la mia casa per andare a migliorarmi, subendo ulteriori
discriminazioni. C’è però una nota positiva in tutto questo: chi vive simili esperienze trova
una carica, una forza di riuscire che gli altri non hanno.
Cosa porterà di questa esperienza nel suo futuro umano e professionale?
Il percorso che ha accompagnato il film è una grande lezione di vita. Acquista sempre
più forza, dentro di me, la spinta a lavorare con ancora maggior impegno per l’Unicef
e il World Food Programme e aiutare così i bambini del sud del mondo. Non posso
davvero più tirarmi indietro.
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ritratto d’autore
villaggio globale
pagine altre pagine
di Francesco Meloni
SEGNALAZIONI
Il principio speranza,
forza radicata nell’amore
che può cambiare il mondo
«Fede, speranza e carità vanno insieme. (…)
Gesù sulla croce suscita l’amore ed è la luce –
in fondo l’unica – che rischiara sempre un mondo
buio e ci dà il coraggio di amare, vivere e agire
(…). Vivere l’amore e in questo modo far entrare
la luce di Dio nel mondo». Con queste parole
papa Benedetto XVI riassume (al numero 38-39)
“l’invito” e il senso della sua lettera enciclica
Deus caritas est (Libreria Editrice Vaticana 2006,
pagine 96), legando inscindibilmente la speranza
cristiana all’amore vissuto da coloro che si
reputano seguaci di Cristo.
Il credente adulto, di conseguenza, non rimane inerte
a contemplare le cose del mondo, bensì opera all’interno
di esso a favore della propria e dell’altrui vita: “Nel cuore
della intollerabile storia di sofferenze del mondo – scrive
Jürgen Moltmann in Teologia della speranza (Queriniana) – egli scopre
la storia della sofferenza riconciliatrice di Cristo. E ciò gli dà la forza
di sperare là dove non c’è più nulla da sperare, e di amare là dove ci
si odia”. Lo sperare cristiano, dunque, è interamente radicato nella fede,
nella consapevolezza di “esser legati” all’altro, e si esprime nella forma
della perseveranza, nell’essere fedeli sino alla fine, in ogni momento
del tempo. Certezza e perseveranza, tenacia, umiltà e fedeltà che hanno
segnato tutto il pontificato di Giovanni Paolo II, come si evidenzia
in Varcare la soglia della speranza (Vittorio Messori, Mondatori 2004,
pagine 257). Esiste una condizione del cuore o dello spirito che si
chiama speranza ma che con la speranza comune ha poco a che fare.
Lo sosteneva il filosofo Ernst Bloch in Il principio speranza (Garzanti
2005, seconda edizione, 3 volumi pagine 1.628), di cui è lontano figlio
il recentissimo Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo
(Fandango Edizioni 2005, pagine 144) di Rebecca Solnit; nonché per
altri versi L’attesa e la speranza di Eugenio Borgna (Feltrinelli 2006,
pagine 216). Da un punto di vista pastorale si segnala Futuro dell’uomo
e speranza cristiana. Strumenti di riflessione e di lavoro (Edizioni Ldc).
Interessanti anche alcuni libri delle Edizioni Monti: La terra e la gente.
La speranza in cui credo di Giancarlo Bregantini, vescovo di Locri-Gerace
(2006, pagine 224); La speranza che è in noi di Rocco Talucci,
vescovo di Brindisi-Ostuni (2006, pagine 126); La speranza creativa
di Ettore Masina (2006, pagine 72).
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Chiesa e cultura
dopo il Concilio,
un lessico di libertà
Proponiamo ai lettori libri e audiovisivi
che meritano attenzione. Ulteriori
suggerimenti su www.caritasitaliana.it
Cei - Servizio nazionale progetto culturale
(a cura di), A quarant'anni dal Concilio.
VI Forum del progetto culturale
(Dehoniane, Bologna, 2005, pagine 374).
Una riflessione sul rapporto tra Chiesa
e cultura, a partire dalla costituzione
conciliare Gaudium et spes, con 60
interventi in vista del Convegno di Verona.
Ulrich Duchrow, Alternative al capitalismo
globale. Dalla storia biblica all’azione
politica (Emi, Bologna, 2004, pagine
443). La povertà e il degrado ambientale
innescati dal capitalismo neoliberista:
le strutture di peccato dell’attuale ordine
economico mondiale possono e devono
essere cambiate secondo principi di
giustizia sociale e di integrità del creato.
Autori vari, Lessico della libertà. Percorso
tra 15 parole chiave (Paoline, Milano,
2005, pagine 162). Piccola
mappa del concetto di libertà,
intesa non come regno
dell’individuo narcisista,
ma come sollecitudine per
la libertà di tutti. Suddiviso per gruppi di
voci (“triadi”) che interagiscono fra loro.
R. Pizzini – P. Dal Ponte, L’altra guancia.
Educare alla nonviolenza (Editrice Monti
2005, pagine 109). Non un trattato
“dell’educazione”, ma un distillato
di vissuto quotidiano, tratto esperienze
umane e professionali personali.
A. Paoli – F. Comina, Qui la mèta è
partire (La Meridiana 2005, pagine 108).
Le riflessioni e la schietta testimonianza
di Arturo Paoli, 93enne maestro e
indomito messaggero di vangelo, vissuto
a fianco dei poveri dell’America Latina.
di Jerzy Kluger ingegnere, amico d’infanzia di papa Wojtyla
LOLEK E JUREK PROMOSSI:
«SIAMO FIGLI DELLO STESSO DIO»
on il pensiero e con il cuore torno alla scuola elementare, qui al Rynek
(piazza del Mercato) e al ginnasio di Wadowice, intitolato a Marcin
Wadowita”. Così Karol Wojtyla disse tornando nel 1979 da papa nella sua
città natale, al sud della Polonia. E anch’io – a quasi un anno dalla sua scomparsa
– torno in quei luoghi con la memoria e con l’anima. Al fiume Skawa, alle catene
dei Beskidy, agli episodi della fanciullezza, ai tanti momenti condivisi con Karol.
Con affetto io lo chiamavo Lolek e lui mi chiamava Jurek. Era il 1930.
Noi avevamo allora dieci anni. A conclusione della quarta elementare
sostenemmo un piccolo esame per proseguire gli studi e passare al ginnasio.
Era di sabato. La mattina della domenica andai a vedere, più per scaramanzia
che per altro, chi era stato ammesso. Noi eravamo molto amici e abitavamo vicini,
lui veniva spesso a casa mia e viceversa. Nel pomeriggio avremmo dovuto trovarci
come al solito per giocare una partita di pallone: lui in porta, io mezzala sinistra.
Sugli elenchi della scuola vidi con gioia prima il mio nome e poi quello di Karol:
tutti e due avevamo superato le prove di esame.
Allora andai a casa sua per dargli la bella notizia. Non c’era. Pensai subito
che fosse in chiesa, perché sapevo che faceva il chierichetto. Dopo una piccola
perplessità iniziale – perché non ero mai entrato in una chiesa – mi convinsi
che non c’era niente di male e andai verso la parrocchia. Entrai e lo vidi,
vestito di bianco, accanto al parroco di Wadowice, grande amico
di mia nonna. Karol mi fece segno di non fare chiasso e di aspettare
Polonia meridionale,
la fine della celebrazione.
1930. Due bambini,
Nel frattempo mi si avvicinò una donna anziana; quasi infastidita
compagni di classe
dalla mia presenza, mi disse in modo brusco: «Ma tu non sei il figlio
e di giochi. Una giornata
del dottor Kluger, il capo della comunità ebraica?». Io dissi di sì e lei,
di primavera, una bella
sbuffando, aggiunse: «Non capisco perché sei venuto qui e che ci fai qui
notizia sui tabelloni
dentro!». Non risposi, anche perché Lolek mi aveva detto di star zitto.
della scuola.
Finita la messa, Lolek si avvicinò a me e io, tutto felice, gli comunicai
Poi la corsa verso
l’esito positivo dell’esame. Quasi non ci fece caso e invece con
la chiesa e la domanda
preoccupazione mi domandò: «Jurek, ma che voleva da te quella
poco cordiale
beghina?». Gli dissi ciò che era accaduto e gli risposi che quella donna
di una beghina…
si era stupita e non si spiegava perché io, un bambino ebreo, fossi
entrato in chiesa.
Allora Lolek, alzando la voce esclamò: «Possibile che alcune persone proprio
non riescono a capire che siamo tutti figli dello stesso Dio?». Una frase che
mi è rimasta dentro e che tante volte ripeto tra me e me. Erano le semplici,
ma intense parole di un bambino di dieci anni che poi sarebbe diventato
arcivescovo di Cracovia e, nel 1978, l’amatissimo papa Giovanni Paolo II.
Parole che conservo nel mio cuore, insieme a tante altre. Segni di un’amicizia
profonda, nata sui banchi di scuola e consolidata nei decenni, oltre ogni ostacolo,
difficoltà, separazione. Grazie ancora, Lolek.
“C
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Italia Caritas + Valori
È un mensile di economia sociale e finanza etica promosso da Banca Etica.
Propone ogni mese “Osservatorio nuove povertà”, in collaborazione con Caritas Italiana.
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Italia Caritas + Mondo e Missione
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I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,
stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:
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