30 Gironda Caterina_ IT_tema1

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30 Gironda Caterina_ IT_tema1
Per una rigenerazione consapevole
di Caterina Gironda *
Nella città che cambia
Sulla scorta dell’esperienza della partecipazione ad un concorso di idee (1) che incrocia il tema della
rigenerazione, il presente contributo intende riflettere sul ruolo assunto dai processi di rigenerazione nel
“progetto della città esistente”. Città che, a partire dagli ultimi decenni del secolo passato, sotto la spinta
concomitante di una serie di fattori e di processi troppo complessi per poter essere qui descritti (2), si è
profondamente trasformata, sia nei suoi aspetti più materiali che in quelli immateriali caratterizzandosi
per una maggiore e diversa complessità. Nuovi temi e problemi richiedono quindi strategie nuove,
rispetto alle quali la rigenerazione può dare possibili risposte anche in chiave sostenibile.
Città - campagna, centro - periferia, vuoto - pieno, urbano - rurale non sono più dicotomie utili ad
identificare l’entità città, a distinguere con una certa evidenza ciò che città è da ciò che non lo è.
La città di oggi non si contrappone più alla campagna; si è come diffusa e dissolta nel territorio,
occupandolo fisicamente e simbolicamente, affermando e riproducendo in esso i suoi modelli di
comportamento e i suoi stili di consumo, riproponendo la sua organizzazione dello spazio e la sua
tipologia abitativa. L’addizione compatta di edifici di abitazione non rappresenta più la sola forma e il
solo spazio urbano: accanto ai tessuti urbani storici e consolidati e alle periferie urbane più o meno
recenti (e più o meno legali) convivono infrastrutture, tessuti ed insediamenti eterogenei a bassa densità
e a differente grado di qualità urbana, con una sempre più estesa occupazione di suolo.
Il mancato controllo, o il controllo distorto perché spesso pianificato, dei processi di espansione dei
centri abitati, della qualità oltre che della funzionalità delle reti infrastrutturali, ha via via privato la città
dei suoi caratteri più specifici quali la densità, la contiguità fisica e la gerarchia interna (3).
La difficoltà di costruire spazi sociali dotati di una carica identitaria pari a quella della città storica e
consolidata ha inoltre condotto ad una perdita di valori riconoscibili da sempre individuati come
attributi degli spazi insediativi disgregando il processo di identificazione tra spazio e società.
Frammento, discontinuità, eterogeneità, disordine, caos, sono tra i termini più ricorrenti utilizzati per
descrivere la città di oggi, la città contemporanea, che non è più solo città ma è diventata “diffusa”
“sprawltown”, “incorporea”, “postmoderna”, “delle reti”, “infinita” (4); o ancora ville eclatée, ville
eparpillée, urban spill, spread city.
E’ con questa nuova entità, con queste nuove e diverse forme insediative, che il fare urbanistico deve
confrontarsi ritrovando la volontà\capacità di riconquistare un idea complessiva di città (intesa come
polis), cogliendo gli aspetti più stimolanti ed eterogenei delle nuove formazioni urbane e favorendo
progetti capaci di suscitare una nuova urbanità fatta di complessità produttive e sociali.
Nuovi materiali urbani e nuovi linguaggi
A fronte di questa realtà, che segue quindi forme, tempi e regole altre, si pone la necessità di non
assecondare ulteriormente il modello di crescita urbana “diffuso”, proprio della città contemporanea,
ma di porsi con un diverso approccio che, pur rispondendo alla nuova e differente domanda di
abitazioni e servizi, sia capace di disincentivare l’uso di nuovi suoli (in Italia più accentuato che
altrove) e dunque di densificare nelle porosità esistenti; di puntare al recupero del patrimonio edilizio,
anche in termini di sostituzione; di assumere come priorità la riqualificazione dei vuoti urbani e delle
aree dismesse.
I luoghi di lavoro del passato ormai abbandonati, gli edifici in disuso, gli spazi aperti nella fitta trama
urbana - sottoutilizzati, abbandonati, degradati, residuali - quelli che Clement definisce “terzo
paesaggio”(5), appaiono come luoghi intermedi, punti di frattura.
Rappresentano in realtà una grande riserva di “materiali urbani” da reinterpretare e rimettere in gioco,
non come mera valorizzazione immobiliare quanto piuttosto come ricerca di nuove strategie
interpretative e “nuovi linguaggi” che riguardano il progetto della città contemporanea.
Si pone allora opportunità \ necessità di inglobare questi spazi in progetti capaci di mettere a sistema
quelle che sono le dinamiche urbane attuali e di considerarli come nuovi luoghi di relazione capaci di
ospitare una molteplicità di usi, funzioni e abitanti, o di assolvere a funzioni ecologico – ambientali.
Questo non significa necessariamente che tutti i vuoti urbani debbano essere riempiti, ma piuttosto
significati; né che tutte le aree dismesse, debbano essere rifunzionalizzate; significa piuttosto
individuare strategie coerenti capaci di guidare i processi di trasformazione verso obiettivi di riequilibrio
urbano, sociale e ambientale.
In tale senso il tema della “rigenerazione urbana”, anche sotto la spinta delle politiche europee (6), ha
assunto pur se con connotazioni differenti nei diversi Paesi, un ruolo centrale nelle politiche territoriali.
Ferma restando una certa ambiguità terminologica, nell’accezione più diffusa le politiche di
rigenerazione urbana indicano non tanto un ambito (la città) e neanche un tipo di operazione
(riqualificazione piuttosto che nuova costruzione) quanto una modalità di azione pubblica innovativa.
Sono politiche, al tempo stesso sociali e di miglioramento dell’ambiente fisico, nelle quali è ben chiaro e
necessario l’incontro con l’azione sociale (7).
Esempi molto ben riusciti in tal senso basati su approcci integrati e diversificati in termini di temi e
tecniche progettuali (demolizione e ricostruzione, densificazione, mixtè funzionale, sostenibilità,
partecipazione, autogestione), si riscontrano in Paesi quali Francia, Inghilterra, Olanda (8).
Anche in Italia il tema è dominante nel dibattito disciplinare: dalle specifiche leggi urbanistiche di
alcune regioni (9), alla più recente proposta di legge nazionale “Norme per il contenimento del consumo
di suolo e la rigenerazione urbana”, alla rigenerazione urbana sono affidati obiettivi e previsioni di
politiche volte allo sviluppo sostenibile.
Emerge però nell’esperienza italiana un approccio meno incisivo rispetto alla componente sociale e più
indirizzato alla riqualificazione edilizia e alla salvaguardia del suolo in relazione alla sua funzione
agricola ed ecologica.
Va per tanto detto che, pur in mancanza di una definizione codificata, la “rigenerazione urbana” nel
suo significato originario (urban regeneration) si sostanzia fondamentalmente di un approccio integrato
alla riqualificazione, che considera cioè aspetti non solo architettonici e urbanistici, ma anche sociali,
economici, ambientali, culturali, paesaggistici. Un approccio che persegue, insieme agli obiettivi di
sostenibilità ambientale (mediante il contenimento del consumo di suolo e la rigenerazione ecologica
degli insediamenti) anche quelli della rivitalizzazione della dimensione sociale.
Va da se quindi che rigenerazione urbana non significa, come spesso succede nella prassi progettuale,
sostituire ad uno scheletro di una vecchia fabbrica in disuso un luna-park o un centro congressi o una
città della scienza. Non significa neanche che ogni intervento che apporta un miglioramento
nell’ambiente urbano dal punto di vista sociale, ambientale, fisico può essere definito, di per sé stesso,
rigenerazione urbana, se non porta in se quel “progetto implicito” che ogni luogo suggerisce.
Una rigenerazione urbana consapevole, implica la capacità di riaffermare il valore della
contestualizzazione (fisica sociale economica e culturale) nei processi di trasformazione; di interagire
con le realtà territoriali locali e quindi con i differenti “piani di vita” dei soggetti che abitano quei
luoghi.
Implica altresì un reale approccio integrato che non si limiti alle sole enunciazioni di principio, e
presuppone che il coinvolgimento degli abitanti nei processi di trasformazione sia un elemento del
processo e non la sua finalità.
Implica infine la capacità di attivare nuovi sistemi di governance territoriale, grazie al coinvolgimento
di attori diversi e all’utilizzo di nuovi strumenti finanziari con un mix di fondi pubblici e privati.
La sfida è dunque quella di dare senso e futuro, attraverso continue modificazioni alla città, al territorio
e ai materiali esistenti e questo comporta una “modifica dei nostri metodi progettuali che ci consenta di
recuperare la capacità di vedere, prevedere e di controllare”.
L’approccio di “it’s.a.line”
It’s.a.line (10) è una tra le tante proposte alternative all’idea di rigenerare l’area dismessa di Saline,
localizzandovi una centrale a carbone.
Saline in realtà, nel suo complesso, è più di “un’area dismessa” e porta in sè tutti gli elementi che si
prestano ad una strategia di rigenerazione: è uno spazio promiscuo in cui si susseguono edifici e
strutture abbandonate (Officina Grandi Riparazioni e Liquichimica), brani urbani o peri-urbani pervasi
di rurale (nuclei di Saline Joniche e Sant’Elia), specchi e corsi d’acqua (il porto i laghetti e le fiumare);
aree di sorprendente naturalità (l’Oasi faunistica dei pantani classificati aree SIC) e suoli coltivati; il
tutto in un contesto socio e-conomico marginale.
Uno spazio che attende di essere risarcito, di sperimentare la sua vera natura e la sua vera vocazione.
Un area complessa quindi il cui valore non è assimilabile ad un vuoto in attesa di soluzione ma pone
dinanzi alla necessità di modificare l’approccio alla cultura del progetto: non è solo un gesto ad
individuare un cambiamento significativo in un luogo ma la capacità di prevedere un immaginario
futuro che investa prima di tutto gli abitanti che ne partecipano alla sua attuazione.
Figura 1– Masterplan della proposta It’s a..line per la riqualificazione del waterfront e il Parco Naturale antropico – Saline
Joniche
La proposta quindi si caratterizza per un diverso tentativo di “fare –città”, basato su interventi capaci di
preservare l’identità, di stabilire fertili relazioni tra le parti urbane e di proporre nuove forme di
comunicazione ed espressione collettiva.
Prevede non solo che il sito sia ri-funzionalizzato (riuso del grande contenitore dell’OGR, della
ciminiera e di alcuni silos), sia ri-consegnato alla fruizione da parte dell’uomo (spazi pubblici nei quali
predomina la polifunzionalità, la continuità e la permeabilità tra gli usi e utenti), ma che sia più
ampiamente ri-consegnato anche alla natura (inondamento parziale, mantenimento dei pantani e dei
laghetti e del processo di insabbiamento del porto) che se ne possa riappropriare con una intensità quieta
in parte guidata dall’uomo.
It’s.a.line indica una linea che come il circuito di una ritrovata catena di montaggio ecosostenibile,
unisce, percorre e attraversa l’intera superficie del Parco che non è concluso ma che si modifica e si
trasforma nel tempo. Il Parco si sostanzia sull’ipotesi di dare vita ad un sistema produttivo (basato
sull’attivazione di micro filiere del legno: produzione, commercio, usi didattici, compensazione
ecologica) che coinvolge tanto l’ecosistema naturale che l’ecosistema sociale. Definisce in tal senso una
sorta di economia circolare che connette le azioni progettuali alle dinamiche economiche e gestionali,
mettendo in relazione il territorio, le valenze storico culturali e paesaggistiche, con l’area di progetto
(territorio, abitanti, sistema produttivo, Parco).
Il Parco supera quindi i confini fisici e concettuali, si inserisce nel disegno della più ampia area
metropolitana , e si caratterizza come un “mosaico che connette emergenze paesaggistiche, borghi ed
attività economiche (e dunque sia ecosistema naturale che ecosistema sociale), considerando la necessità
da parte degli abitanti di interagire quotidianamente con il proprio habitat e di trasformare lo spazio
entro cui vivono ed agiscono producendo essi stessi nel tempo il mutamento - la rigenerazione
consapevole- fisica ed estetica del luogo”.
Note
* Dipartimento Patrimonio Architettura Urbanistica, Università Mediterranea di Reggio Calabria, [email protected]
1. Concorso internazionale di idee per la riqualificazione del waterfront di Saline Joniche e la realizzazione di un parco
naturale e antropico – Provincia di Reggio Calabria.
2. In sintesi questi processi possono essere individuati: nella globalizzazione, nella diffusione di nuove tecnologie
dell’informazione, nella cosiddetta new economy, e poi ancora nella trasformazione della domanda sociale, nella
terziarizzazione e nella delocalizzazione delle imprese e nella maggiore mobilità sociale e territoriale. Questi cambiamenti
hanno interessato e continuano a coinvolgere tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale e politica e hanno
rapidamente trasformato i caratteri prevalenti delle città.
3. Salzano, E., A proposito di città dispersa, www.eddyburg.it
4. Indovina, 2002; Ingersoll, 2004; Micheli, 2002; Amendola, 1997; Castell, 2004; Bonomi, 2004;
5. Clement, G.(2005), Manifesto del Terzo Paesaggio, traduzione di De Pieri F., Quodlibet, Macerata
6. Già a partire dal 2007 con la “Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili” gli indirizzi a livello europeo sottolineano la
necessità di riqualificare ampie aree urbane degradate piuttosto che continuare a espandere la città, sottolineando temi e
approcci da seguire.
7. Cremaschi M. (2011), Rigenerazione urbana o riqualificazione edilizia? Invitalia – Politiche per lo sviluppo del territorio
8. Tra gli esempi più noti: i quartieri di Bijlmermeer ad Amsterdam; Ballymun a Dublino; Augustenborg a Malmö.
9. Emilia Romagna, Puglia, Calabria, Toscana, Lombardia. Si ricorda altresì il “Piano per la rigenerazione urbana” proposto
dal Consiglio Nazionale delgli Architetti
10. It’s.a.line è la proposta progettuale II classificata al concorso (1). Il gruppo di progettazione è composto dagli archh.: Maria
Rosa Russo, Rita Cicero, Caterina Gironda, Caterina Trifilò, Nicola Indaco, Filippo Ielasi
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Informazioni n. 213
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