Analisi della povertà - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche
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Analisi della povertà - Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche
Analisi della povertà Il concetto di povertà possiede mille sfaccettature, né esiste in letteratura un’unica definizione condivisa. La povertà viene infatti definita di volta in volta in termini di deprivazione materiale, limitazioni nell’accesso a determinate categorie di servizi, ineguaglianza dei redditi, ecc. Una definizione operativa del fenomeno della povertà che permetta di individuare chi siano i soggetti interessati da questa condizione può essere formulata come segue. Si fissa anzitutto una linea o soglia di povertà per un tipo di famiglia assunta come termine di riferimento (di solito la coppia senza figli o, più genericamente, la famiglia di due componenti): una famiglia è considerata povera se il reddito, o più spesso la spesa totale, è inferiore a tale soglia. In secondo luogo si stima una scala di equivalenza per determinare le linee di povertà per le famiglie con un numero di componenti diverso da quella di riferimento. Sebbene la scelta della linea di povertà sia di carattere essenzialmente etico-politico, è possibile, da un punto di vista teorico, classificare le linee di povertà secondo 4 criteri: 1. criteri assoluti in base ai quali si considera povera la famiglia che dispone di risorse economiche (in genere misurate in termini di reddito o di spesa totale per consumi) insufficienti ad assicurare la disponibilità ai prezzi correnti di un determinato paniere di beni e servizi. Il limite principale di questo approccio è l'impossibilità di determinare in modo non arbitrario il paniere di beni e servizi; 2. criteri quasi assoluti si considera sempre un paniere di beni ma limitato ai beni di prima necessità (in genere beni alimentari e servizi per l'abitazione, basic needs) e quindi si ottiene la linea di povertà moltiplicando il valore del paniere dei basic needs per un coefficiente maggiore di uno, per integrare tale valore fino a raggiungere un livello ritenuto sufficiente a comprendere anche il valore degli altri beni e servizi necessari alla famiglia. Questo è il criterio utilizzato in Italia per la determinazione della povertà assoluta (v. box 1); 3. criteri quasi relativi in base ai quali la linea di povertà è fissata con riferimento al tenore di vita medio della popolazione di riferimento. e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Ad esempio secondo l'International standard of poverty line si definisce povera la famiglia di due componenti che disponga di un reddito per componente non superiore alla metà del reddito nazionale pro capite. Questo tipo di criterio è utilizzato in Italia per la misura della povertà relativa: viene definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa per consumi pro-capite; 4. criteri relativi in base ai quali la linea di povertà è fissata con riferimento ad un determinato quantile della distribuzione; per esempio se si considera il secondo decile le famiglie povere saranno sempre il 20% del totale e, precisamente, quelle che occupano nella graduatoria crescente di tutte le famiglie in base al reddito, i due decimi inferiori della graduatoria stessa. Box 1 La misura della povertà assoluta (Fonte: Istat, Nota metodologica, Povertà 2014) La misura della povertà assoluta si basa sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale. A partire dall’ipotesi che i bisogni primari e i beni e servizi che li soddisfano sono omogenei su tutto il territorio nazionale, si è tenuto conto del fatto che i costi sono variabili nelle diverse zone del Paese. L’unità di riferimento del paniere è la famiglia, considerata rispetto alle caratteristiche dei singoli componenti, dei loro specifici bisogni (ad esempio per le esigenze di tipo nutrizionale) e delle eventuali economie di scala o forme di risparmio che possono essere realizzate al variare della composizione familiare. I fabbisogni essenziali sono stati individuati in un’alimentazione adeguata, nella disponibilità di un’abitazione- di ampiezza consona alla dimensione del nucleo familiare, riscaldata, dotata dei principali servizi, beni durevoli e accessori- e nel minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute. Di conseguenza, il paniere si compone di tre macro-componenti -alimentare, abitazione, residuale- la cui valutazione monetaria è stata effettuata al prezzo minimo accessibile per tutte le famiglie (tenendo conto delle caratteristiche dell’offerta nelle diverse realtà territoriali). Il valore monetario del paniere complessivo è stato ottenuto per somma diretta di quelli delle diverse componenti e corrisponde alla soglia di povertà assoluta. Non si tratta quindi di un’unica soglia, ma di tante soglie di povertà assoluta quante sono le combinazioni tra tipologia familiare (ottenuta come combinazione tra numero ed età dei componenti), ripartizione geografica e tipo di comune di residenza (distinguendo tra area metropolitana, grande e piccoli comuni,). Il valore soglia può essere calcolato per qualsiasi famiglia al link http://www.istat.it/it/prodotti/contenuti-interattivi/calcolatori/soglia-di-poverta. La scala di equivalenza Una volta fissata la linea di povertà per la famiglia di riferimento occorre determinare in che misura la linea debba essere modificata in relazione alle esigenze di famiglie di ampiezza e composizione diversa, ovvero costruire una scala di equivalenza. La scala dovrebbe tener conto sia del fatto che al crescere delle dimensioni della famiglia i fabbisogni della famiglia stessa, per molti beni e servizi, crescono meno che proporzionalmente al numero dei componenti (economie di scala), sia del fatto che le necessità della famiglia differiscono a seconda della regione di residenza, della dimensione del comune in cui vivono, del sesso e della età dei singoli componenti. In Italia, per la stima della povertà assoluta si utilizza come si è visto uno schema complesso di soglie di povertà, differenziato per tutti i caratteri sopra ricordati, mentre per la stima della povertà relativa, la scala di equivalenza utilizzata considera solo il numero dei componenti. I valori della scala di equivalenza rappresentano i coefficienti con cui la spesa di una famiglia di una determinata ampiezza viene divisa al fine di essere resa equivalente a quella di una famiglia di due componenti (a tale ampiezza corrisponde infatti il coefficiente pari ad 1). La scala utilizzata in Italia per la misura della povertà relativa, la cosiddetta scala Carbonaro, determina il benessere di famiglie di ampiezza differente sulla base della nota legge di Engel, secondo cui la frazione della spesa totale destinata alle necessità primarie (in particolare all'alimentazione) si riduce al crescere del reddito. Pertanto famiglie con un numero diverso di componenti ma con lo stessa quota di spesa totale destinata all'acquisto di prodotti alimentari sono considerate avere un reddito equivalente. In simboli, la frazione della spesa totale destinata alla spesa per alimentari ( ) può essere espressa dalla funzione: = + + con b<0 e c>0, ad indicare che tale quota si riduce all’aumentare della spesa totale (S) ed invece aumenta con il numero dei componenti (N). L’obiettivo è trovare il livello di spesa S che, al variare del numero dei componenti N, permette di mantenere lo stesso livello di benessere (espresso dal fatto che la quota di spesa alimentare rimane costante). Ricordando che la derivata di una costante è 0, possiamo esprimere l’invarianza nel livello di benessere al variare di S ed N in questo modo: da cui si ottiene: = + =0 = − = Il valore rappresenta l’elasticità della spesa totale rispetto al numero dei componenti, ovvero la variazione relativa della spesa totale necessaria affinché, data una variazione relativa unitaria del numero dei componenti, il rapporto tra spesa alimentare e spesa totale, assunto come indicatore delle condizioni di vita della famiglia, resti costante. Se = 1 si ha assenza di economie di scala e quindi la spesa aumenta proporzionalmente al numero di componenti. In generale, è compreso tra 0 e 1. È minore di 1 perché, come sappiamo, nell’ambito dell’attività di produzione domestica si realizzano delle economie di scala: diverse spese (illuminazione, riscaldamento, mobilio ecc.) infatti aumentano meno che proporzionalmente rispetto al numero di componenti. Il coefficiente permette di esprimere il numero di componenti della famiglia in termini di unità equivalenti di consumo, tramite la formula recursiva: = 1+ ) dove è il numero di unità equivalenti di consumo nella famiglia di N persone. La scala Carbonaro assume un valore di pari a circa 0,66. Ponendo pari a 1 il numero di unità equivalenti di consumo della famiglia di riferimento (2 componenti), si ha: ! = = 1+ 1+ = =1 ) = 1+ 0,33 = 1,33 ) = 1,33 (1+0,22) = 1,63 = 0,60 1+ I coefficienti di equivalenza per trasformare la linea di povertà per le famiglie di 2 componenti nelle linee di povertà per le famiglie di dimensione diversa sono pertanto i seguenti: 1 1+ Numero di componenti Coefficienti di equivalenza 1 2 3 4 5 … n 1+ 1+ 1+ 1+ ) ) 1+ ) 1+ ) 1+ 1 … ) ) 1 + )… 1 + !) %& ) Indici di povertà Così come per la disuguaglianza dei redditi, anche per la misura della povertà è possibile stabilire una serie di requisiti assiomatici che un indice ideale di povertà dovrebbe soddisfare. Si indichi con n il numero di famiglie della popolazione, con z la linea di povertà, e con q il numero delle famiglie il cui reddito (consumo, se la linea è definita in termini di spesa per consumi) è inferiore alla linea di povertà. Il primo assioma da soddisfare è quello di identificazione o indipendenza dal reddito/consumo dei ricchi. L’indice che misura la povertà deve essere invariante rispetto a qualsiasi redistribuzione monetaria che avviene tra due famiglie entrambe al di sopra della linea di povertà (e che restano entrambe tali anche dopo il trasferimento). In altri termini, l’indice di povertà deve prendere in considerazione solo il reddito (o consumo) delle famiglie povere. Il secondo assioma è quello di monotonicità: se diminuisce il reddito (o la spesa) di una famiglia povera l’indice deve aumentare. Al contrario, se aumenta il reddito (o la spesa) di una famiglia povera l’indice deve diminuire. Come per la disuguaglianza dei redditi, anche per l’indice di povertà valgono gli assiomi di simmetria o anonimità (non conta l’identità dei soggetti poveri ma solo il loro reddito/spesa) e di indipendenza dalla scala (l’indice di povertà non si modifica se cambia l’unità di misura della disponibilità economica). Varia invece il senso del principio di sensibilità ai trasferimenti: l’indice di povertà deve aumentare se c’è un trasferimento di reddito da una famiglia povera ad una con un reddito superiore (e viceversa, diminuire se il trasferimento è progressivo). La sensibilità può valere in senso debole, quando il trasferimento avviene tra due famiglie povere che rimangono entrambe tali dopo il trasferimento, o in senso forte, quando coinvolge una famiglia povera e una famiglia non povera. Indice di diffusione (head-count ratio) H= ' ( L'indice di diffusione misura l'incidenza del fenomeno povertà come quota di famiglie povere sul totale delle famiglie: ad esempio, un valore di H pari al 10% indica che una famiglia su dieci si trova al di sotto della soglia di povertà. L'indice H rispetta i criteri di identificazione, simmetria e di indipendenza dalla media, ma soddisfa il principio della sensibilità ai trasferimenti solo se il trasferimento di reddito fa passare la famiglia ricevente dallo status di povera (reddito inferiore a z) a quello di non povera (reddito superiore a z) senza modificare lo stato della famiglia erogante. Inoltre, l’indice non è sensibile a trasferimenti tra poveri che non alterino il loro stato di povertà, quindi rimane invariato in caso di un trasferimento tra due famiglie povere, ad esempio da famiglie molto al di sotto della linea di povertà a famiglie di poco sotto alla soglia. L’indice H non soddisfa l’assioma di monotonicità. Il difetto principale dell'indice è infatti che ci dice quanti sono i poveri, ma non quanto è grave il loro stato di indigenza: se su 25 milioni di famiglie italiane ci sono 2,5 milioni di famiglie la cui spesa è inferiore alla soglia di povertà di 1.000 euro, H assume il valore 10% sia se queste famiglie spendono 800 euro sia se ne possono spendere solo 500. Indice di intensità (income-gap ratio) I= ∑,./ *&+, *' = ∑,./ 0, *' = ∑ 0, * ' L'indice di intensità della povertà misura il divario medio tra la linea di povertà e la spesa (o reddito) delle famiglie povere, in percentuale della linea di povertà. Indicando con 1234 il reddito(spesa) medio dei poveri, l’indice può essere espresso anche come: 1 1 86 − ∑:; 9: < = 6 − 1234 5= 7 8 6 6 ' In altri termini, l’indice di intensità misura il divario tra la linea di povertà e la spesa (reddito) media delle famiglie povere, in percentuale della linea di povertà. Ad esempio un'intensità pari al 20% indica che la spesa media delle famiglie povere è pari all'80% della soglia di povertà. L’indice varia tra 0 – quando tutte le famiglie ‘povere’ hanno una spesa media uguale alla soglia di povertà, quindi 9: = 6∀> = 1, … , 8 – e 1, corrispondente al caso limite in cui tutte le famiglie povere hanno una spesa pari a 0. L'indice I rispetta i criteri di identificazione, simmetria e di indipendenza. Soddisfa il principio di monotonicità solo se l’aumento di reddito non riguarda una famiglia appena al di sotto della linea di povertà, che verrebbe così a uscire dalla condizione di povertà. In questo caso il divario medio delle famiglie rimaste povere aumenta (perché è uscita una delle meno povere) e l’indice I aumenta invece di diminuire. Inoltre non soddisfa il principio dei trasferimenti se il trasferimento di reddito ha luogo tra due famiglie entrambe con una spesa (reddito) inferiore alla linea di povertà e che rimangono entrambe tali dopo il trasferimento. In generale, poi, l'indice non ci dà indicazioni sulla gravità della diffusione del fenomeno nella popolazione. Poverty-gap ratio Il poverty-gap ratio è dato dal prodotto tra l’indice H (quanti sono i poveri) e l’indice I (quanto sono poveri): PG = ∑,./ *&+, ' *' ( = ∑,./ 0, *( = ∑ 0, * ( L'indice PG rispetta i criteri di identificazione, simmetria, indipendenza e monotonicità, ma non quello della sensibilità ai trasferimenti. Dato il suo significato immediatamente intuitivo anche per i non specialisti, l'indice di diffusione viene largamente utilizzato per la misura della povertà. Tuttavia sia l'indice H sia l'indice hanno una serie di controindicazioni come strumenti per il monitoraggio dell'efficacia delle politiche sociali. Se l'obiettivo è utilizzare le risorse (limitate) per ridurre la povertà e la misura di riferimento è l'indice H, saranno valutate come più efficaci le politiche di aiuto alle famiglie appena al di sotto della linea di povertà (che verrebbero così a oltrepassare la soglia e quindi a diminuire l'incidenza della povertà) mentre sarà nullo l'effetto di aiuti alle famiglie più bisognose in assoluto (che rimarrebbero comunque sotto la soglia). Indicazioni valide per le politiche di lotta alla povertà vengono invece da misure che tengano conto non solo della diffusione e dell'intensità media del fenomeno, ma anche degli aspetti distributivi. Indice di Sen L'indice di Sen viene calcolato in funzione dei poverty gap gi=z-xi sulla base di tre ipotesi: • una variazione di benessere di una famiglia più povera deve influire sul valore dell’indice più di una variazione analoga nel benessere di una famiglia più ricca; • il benessere di una famiglia è funzione crescente della sua capacità di spesa; • in caso tutte le famiglie povere abbiano la stessa disponibilità di spesa – e quindi lo stesso divario dalla linea di povertà in termini di gi –l’indice deve essere uguale al poverty-gap ratio. Per calcolare l’indice ordiniamo le n famiglie in ordine crescente di reddito, in modo che la famiglia 1 sia quella più povera e la famiglia n la più ricca, e in cui le famiglie dalla 1 alla q siano al di sotto della linea di povertà e vediamo come sia possibile arrivare a una combinazione lineare dei divari gi che rispetti le tre ipotesi. Indicando con ?: il peso attribuito al divario relativo all’i-esima famiglia povera, l’indice di povertà è rappresentabile dalla formula generale ' @ ?: 6 − A: :; Per trovare l’indice di Sen occorre attribuire ai pesi ?: valori tali da far sì che l’indice soddisfi le tre condizioni sopra ricordate. Per trovare un sistema di pesi tanto più grandi quanto peggiori sono le condizioni della famiglia cui si riferiscono, consideriamo che più una famiglia è povera, più elevato sarà il numero delle famiglie sotto la linea di povertà1 che si trova in condizioni migliori o al più uguali della famiglia considerata, che per l’i-esima famiglia sarà pari a q-i+1. Pertanto possiamo imporre che i pesi siano proporzionali a questo valore: ?: = B 8 − > + 1 ∀> = 1, … , 8 Il valore della costante di proporzionalità k deve essere tale da soddisfare l’ulteriore condizione che in caso di completa uguaglianza dei redditi dei poveri (in cui ciascuna famiglia povera ha uno stesso reddito 1234 ) l’indice debba essere uguale al prodotto HI. In simboli ' ' :; :; @ ?: 6 − A: = @ B 8 − > + 1 C6 − 1234 D = E5 = 8 6 − 1234 F 6 Separando nel secondo termine gli elementi che non dipendono dall’indice della sommatoria e mettendo in evidenza la nostra incognita k si ottiene: ' ' :; :; BC6 − 1234 D G@ 8 + 1 − @ > H = BC6 − 1234 D I8 8 + 1 − = BC6 − 1234 D 8 8+1 2 8 8+1 K 2 Per rispettare l’uguaglianza col prodotto HI si deve quindi avere: 1 Per il principio di identificazione non interessano nella misura della povertà i valori di reddito/spesa delle famiglie ricche. B= 8C6 − 1234 D 2 = F6 8 + 1 F6 C6 − 1234 D8 8 + 1 2 L’indice di Sen assume pertanto la forma ' 2 @ 8−>+1 8 + 1 F6 = 6 − A: :; L’importanza dell'indice di Sen viene dalla capacità di combinare le informazioni su incidenza (H) e intensità (I) della povertà contenute nei due indici precedenti con quella sulla disuguaglianza dei redditi tra poveri, espressa dal rapporto di concentrazione di Gini calcolato solo sulle famiglie al di sotto della linea di povertà, Gpov. Per dimostrarlo, scriviamo il rapporto di concentrazione (v. box 2 per la dimostrazione) come: L234 = ' 8+1 2 − @ 8 + 1 − > A: 8 8 1234 :; Risolvendo per la sommatoria e sostituendo nell’espressione di S si ottiene: ' 2 = @ 8−>+1 8 + 1 F6 ' 6 − A: :; ' 2 2 = @ 8−>+1 6− @ 8 − > + 1 A: 8 + 1 F6 8 + 1 F6 :; :; 8 1234 8 + 1 8 8+1 2 2 6− − L234 N M 8 + 1 F6 2 8 + 1 F6 2 8 8 1234 8 81234 = − + L F F6 8 + 1 F6 234 = Ricordando che E = diventa: ' ( e 5= *&OPQR * = E M1 − 1 − 5 =1− 1− OPQR * , l’espressione dell’indice 8 L N 8 + 1 234 Nelle applicazioni empiriche, il numero di famiglie povere q è abbastanza grande per cui ' ' → 1, da cui si arriva alla formula finale: = ET5 + 1 − 5 L234 U Se la disuguaglianza tra le famiglie povere è nulla, quindi Gpov =0, l’indice di Sen è uguale al prodotto dell’incidenza (H) per l’intensità (I) della povertà. Nel caso limite di massima concentrazione, in cui tutte le famiglie povere meno una hanno livelli di spesa nulli, Gpov =1 e l’indice di Sen assume lo stesso valore dell’indice di incidenza H. Box 2. Formula del rapporto di concentrazione Si è visto nelle dispense sulla distribuzione del reddito che il rapporto di concentrazione può essere espresso dalla formula: (& L = 1 − @ V: :;W che, sviluppando i prodotti, diventa: (& L = 1 + @ V: 8: − V: 8: (& + 8: − V: 8: − @ V: 8: :;W :;W − V: 8: La seconda sommatoria nella formula si riduce a V( 8( − VW 8W = 1 − 0 = 1, quindi la formula si riduce alla prima sommatoria, che possiamo scrivere come: ( @ V:& 8: − V: 8:& :; Aggiungendo e togliendo V: 8: e ricordando che V: = ( X8: − 8:& = (O, si ha: ( ( : Y ( ( : >A: ∑:\; A\ 1 [ − <= ]@ >A: − @ @ A\ ^ 8: = @ 7 F 1 F 1 F 1 L = @Z 8: − 8:& V: − V: − V:& :; :; :; :; \; Si osservi che nella doppia sommatoria ciascun reddito A_ compare un numero di volte pari a F − ` + 1 (perché rientra nelle quote cumulate di reddito di tutte le famiglie con un reddito almeno pari a A: , quindi l’espressione in parentesi quadre diventa: ( ( :; :; @ >A: − @ F − > + 1 A: A questo punto, aggiungendo e togliendo ∑(:; F + 1 − > A: si arriva alla formula desiderata: ( ( ( 1 F+1 2 L= G@ F + 1 A: − 2 @ F − > + 1 A: H = − @ F − > + 1 A: F 1 F F 1 :; :; :; L'indice di Sen soddisfa tutti gli assiomi indicati in precedenza: identificazione, simmetria, indipendenza dalla scala, monotonicità e sensibilità debole ai trasferimenti. Una proprietà importante per le politiche di lotta alla povertà è quella della decomponibilità. Se una popolazione può essere divisa in sottopopolazioni significative (ad esempio, secondo la ripartizione di residenza) e si vuole indagare se il rischio di povertà è maggiore in una di queste per elaborare delle politiche mirate, la misura di povertà della popolazione complessiva dovrebbe poter essere decomponibile nelle misure specifiche delle sottopopolazioni. In simboli, indicando con x=(x',x'') il vettore dei redditi degli n individui della popolazione complessiva, dove x' e x'' indicano rispettivamente i redditi degli n' e n'' individui in ciascun gruppo (n=n'+n''), un indice di povertà2 P(x,z) è decomponibile se: Fc Fcc c a b, 6 = a b , 6 + a b′′, 6 F F L'indice di Sen non è decomponibile additivamente; lo è invece l'indice H. Indici FGT Per arrivare a misure della povertà che soddisfino tutti gli assiomi e siano decomponibili, Foster, Greer e Thorbecke hanno proposto la formula: ' 1 6 − A: g i eLfg = @ h F 6 :; In questi indici, i divari individuali ricevono un peso pari al loro valore elevato ad α-1. Per α=0 eLfW = E, mentre per α=1 eLfW = aL. Si noti che per j → ∞ l'indice prende in considerazione solo i divari relativi agli individui poverissimi e la misura della povertà tende alla quota degli individui con reddito nullo. In questo senso, j può essere interpretato come un parametro di avversione al rischio di povertà. Per valori di α>1 gli indici eLfg soddisfano tutti gli assiomi, compresi monotonicità e sensibilità ai trasferimenti, e godono della proprietà di 2 In questa definizione la linea di povertà z è quella nazionale anche per le misure definite per le sottopopolazioni. decomponibilità additiva. L'andamento dell'indice generale è coerente con quello degli indici per sottopopolazioni: se aumenta l'indice di povertà in uno dei gruppi, aumenta anche l'indice nazionale.