1. La preparazione della missione

Transcript

1. La preparazione della missione
PARTE TERZA
L’Emergency Shelter Refugee di Fort Ontario
1. La preparazione della missione
Il 9 giugno del 1944 il Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, inviò un
cablogramma all’Ambasciatore in Algeria, Robert Murphy. Fu un comunicato chiave perché, come
documentato, per la prima volta dopo anni di chiusura delle frontiere ai rifugiati e di controllo
rigido degli ingressi attraverso il sistema delle quote, gli Stati Uniti accesero la speranza dei
rifugiati presenti in Europa o almeno di tutti coloro che erano nelle condizioni e nel luogo giusto per
poter aspirare a rientrare nel piano americano. Più precisamente, nel cablogramma Roosevelt faceva
riferimento alla decisione di portare circa 1000 rifugiati dal Sud Italia all’America.
Quanto fosse importante quella decisione lo si capisce dalle parole di Ruth Gruber, all’epoca dei
fatti assistente speciale e rappresentante sul campo per l’Alaska del Ministro dell’Interno Harold L.
Ickes, e protagonista della missione che portò i 982 rifugiati a Oswego:
“Per anni, i rifugiati che bussavano alle porte dei consolati americani all’estero si sono sentiti dire: ‘Voi
non potere entrare in America. Le quote sono al completo.’ E mentre le quote rimanevano intoccabili,
184
come tavole di pietra, milioni di persone morivano.”
Questo il testo del cablogramma di Roosevelt185 :
“Information available to me indicates that there are real possibilities of
saving human lives by bringing more refugees through Yugoslavia to
southern Italy. I am also informed that the escape of refugees by this route
has from time to time been greatly impeded because the facilities in
southern Italy for refugees have been overtaxed. I am advised that this is
the situation at the present moment and that accordingly possibilities of
increasing the flow of refugees to Italy may be lost.
I understand that many of the refugees in southern Italy have been and are
being moved to temporary havens in areas adjacent to the Mediterranean
and that efforts are being made to increase existing refugee facilities in
these areas. I am most anxious that this effort to take refugees from Italy
to areas relatively close by be intensified. At the same time I feel that it is
important that the United States indicate that it is ready to share the
burden of caring for refugees during the war. Accordingly, I have
decided that approximately 1,000 refugees should be immediately
brought from Italy to this country, to be placed in an Emergency
Refugee Shelter to be established at Fort Ontario near Oswego, New
York, where under appropriate security restrictions they will remain for the duration of the war.
These refugees will be brought into this country outside of the regular immigration procedure just as
civilian internees from Latin American countries and prisoners of war have been brought here. The
Emergency Refugee Shelter will be well equipped to take good care of these people. It is contemplated
that at the end of the war they will be returned to their homelands.
You may assume that the Emergency Refugee Shelter will be ready to receive these refugees when they
arrive. I will appreciate it therefore if you will arrange for the departure to the United States as rapidly as
possible, consistent with military requirements, of approximately 1,000 refugees in southern Italy. You
may call upon representatives of the War Refugee Board in Algiers to assist you in this matter. The full
cooperation of our military and naval authorities should be enlisted in effecting the prompt removal and
transportation of the refugees.
In choosing the refugees to be brought to the United States, please bear in mind that to the extent possible
those refugees should be selected for whom other havens of refuge are not immediately available. I
should, however, like the group to include a reasonable proportion of various categories of persecuted
peoples who have fled to Italy.
184
Gruber, R., cit., p. 3.
Il grassetto è stato aggiunto. La foto risale al 1944.
Fonte: www.feri.org/common/photos/photo_detail.cfm?topicID=62&ClientID=11005.
185
You should bear in mind that since these refugees are to be placed in a camp in the United States under
appropriate security restrictions, the procedure for the selection of the refugees and arrangements for
bringing them here should be as simple and expeditious as possible, uncomplicated by any of the usual
formalities involved in admitting people to the United States under the immigration laws.
However, please be sure that the necessary health checks are made to avoid bringing here persons
afflicted with any loathsome, dangerous, or contagious disease.
If you encounter any difficulties in arranging for the prompt departure of these refugees please let me
186
know.”
Il messaggio di Roosevelt a Murphy non contiene semplicemente notizie relative all’apertura del
campo negli Stati Uniti, ma, a ben guardare, contiene una serie di informazioni molto importanti
che andranno a costituire le procedure essenziali dell’intera operazione, alcune delle quali
porteranno incomprensioni e tensioni prevedibili tra i rifugiati. È il caso di accennare qui ad alcune
delle questioni che pone il cablogramma su cui si tornerà più avanti.
Il presidente sottolinea subito che i rifugiati rimarranno ad Oswego “sotto appropriate restrizioni di
sicurezza per la durata della guerra.” Ciò significava sin dall’inizio che l’intenzione era quella di
tenere sotto controllo i rifugiati. D’altronde Roosevelt assicurò tutti sul fatto che l’esercito stesso si
sarebbe assunto la piena responsabilità della sicurezza, il che voleva dire che non sarebbe stato
permesso a nessuno di fuggire dal campo. A ciò va aggiunto che veniva ben messo in evidenza il
fatto che la presenza dei rifugiati negli Stati Uniti avrebbe riguardato solamente la durata della
guerra. La missione, in pratica, non prevedeva la possibilità di una loro permanenza negli Stati Uniti
dopo la fine del conflitto mondiale. Non a caso poco più avanti, il contenuto viene ancor più
esplicitato, dato che Roosevelt afferma che “alla conclusione della guerra dovranno tornare nei loro
paesi d’origine.”
186
Fonte cablogramma: http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=16519. Traduzione:
“Le informazioni in mio possesso indicano che ci sono possibilità reali di salvare vite umane portando un maggior
numero di rifugiati dalla Yugoslavia all’Italia del sud. Inoltre sono informato sul fatto che la fuga dei rifugiati attraverso
questo itinerario di tanto in tanto è stata impedita perché le strutture per i rifugiati nell’Italia del sud sono risultate
sovraccariche. Sono dell’avviso che attualmente la situazione è questa e che di conseguenza possiamo perdere la
possibilità di aumentare il flusso dei rifugiati in Italia. Capisco che molti dei rifugiati in Italia del sud sono stati e si
stanno spostando verso i campi profughi provvisori nelle zone adiacenti al Mediterraneo e che gli sforzi stanno facendo
aumentare le attuali strutture per i rifugiati in queste zone. Desidero che questo sforzo di portare i rifugiati dall’Italia
verso zone relativamente vicine sia intensificato. Allo stesso tempo ritengo che sia importante che gli Stati Uniti
indichino che sono pronti a condividere le difficoltà di occuparsi dei rifugiati durante la guerra. Di conseguenza, ho
deciso che circa 1.000 rifugiati devono immediatamente essere portati dall’Italia in questo paese, per essere
sistemati in un Emergency Refugee Shelter da stabilire a Fort Ontario vicino ad Oswego, New York, dove sotto
appropriate restrizioni di sicurezza rimarranno per la durata della guerra. Questi rifugiati saranno introdotti in
questo paese fuori dalla procedura normale di immigrazione così come sono stati portati qui gli internati civili dai paesi
dell’America Latina e i prigionieri di guerra. L’Emergency Refugee Shelter sarà ben attrezzato per prendersi cura di
questa gente. È contemplato che alla conclusione della guerra dovranno tornare nei loro paesi d’origine. Potete
supporre che l’Emergency Refugee Shelter sarà pronto per ricevere questi rifugiati quando arriveranno. Apprezzerò
quindi se si organizzerà al più presto possibile per la partenza verso gli Stati Uniti, coerentemente con i requisiti
militari, di circa 1.000 rifugiati dell’Italia del sud. Può invitare i rappresentanti del War Refugees Board ad Algeri
affinché l’aiutino. La cooperazione completa delle nostre autorità militari e navali dovrebbe garantire l’appoggio
nell’effettuare rapidamente il trasferimento e il trasporto dei rifugiati. Nella scelta dei rifugiati da portare negli Stati
Uniti, consideri per favore che nella misura possibile dovrebbero essere selezionati quei rigufiati per i quali non sono
immediatamente disponibili altri luoghi di rifugio. Mi piacerebbe, comunque, che il gruppo includesse una proporzione
ragionevole di varie categorie di persone perseguitate e fuggite in Italia. Dovrebbe considerare che poiché questi
rifugiati devono essere portati in un campo negli Stati Uniti sotto adatte limitazioni di sicurezza, la procedura per la
selezione dei rifugiati e le disposizioni per portarli qui dovrebbero essere il più possibile semplici e rapide, non
complicate da nessuna delle usuali formalità nell’ammissione delle persone negli Stati Uniti secondo le leggi
sull’immigrazione. Tuttavia, la prego di essere sicuro che siano effettuati i controlli sanitari necessari per evitare di
portare qui persone afflitte da qualche malattia destabile, pericolosa o contagiosa. Se incontra delle difficoltà
nell’organizzazione della rapida partenza di questi rifugiati per favore me lo faccia sapere.”
Va notato anche che Roosevelt richiama quanto già scritto da Joe DuBois nel suo rapporto del 6
marzo 1944, ovvero che, dovendo ovviare al problema delle leggi sull’immigrazione, i rifugiati
sarebbero stati considerati come gli internati civili dell’America Latina o come prigionieri di guerra.
Altro punto importante è quello relativo alla selezione dei rifugiati. Il presidente chiede che tra i
1000 rifugiati siano presenti persone appartenenti a diverse categorie, il che sottintende che non
debbano essere tutti ebrei. Lo conferma la stessa Gruber: “Roosevelt aveva avvertito che il campo
non avrebbe dovuto essere conosciuto come un campo per ebrei; lui voleva rifugiati di qualsiasi
tipo”. 187 Concetto confermato da Ralph Stauber, rappresentante a Napoli di Dillon Myer, direttore
del War Relocation Authority 188 : “Il maggior numero di rifugiati sulla nave è composto da ebrei,
ma questo non è affatto un progetto ebraico”. 189 Ciònonostante l’indicazione di Roosevelt nel
messaggio a Murphy, “rigufiati per i quali non sono immediatamente disponibili altri luoghi di
rifugio”, era evidentemente riferita agli ebrei, visto che ci si era già mossi per gli altri rifugiati,
come quelli jugoslavi.
Tre giorni dopo il cablogramma diretto a Murphy, Roosevelt inviò un messaggio formale al
Congresso.
“To the Congress:
Congress has repeatedly manifested its deep concern with the pitiful plight of the persecuted minorities in
Europe whose lives are each day being offered in sacrifice on the altar of Nazi tyranny.
This Nation is appalled by the systematic persecution of helpless minority groups by the Nazis. To us the
unprovoked murder of innocent people simply because of race, religion, or political creed is the blackest
of all possible crimes. Since the Nazis began this campaign many of our citizens in all walks of life and of
all political and religious persuasions have expressed our feeling of repulsion and our anger. It is a matter
with respect to which there is and can be no division of opinion amongst us.
As the hour of the final defeat of the Hitlerite forces draws closer, the fury of their insane desire to wipe
out the Jewish race in Europe continues undiminished. This is but one example: Many Christian. groups
also are being murdered. Knowing that they have lost the war, the Nazis are determined to complete their
program of mass extermination. This program is but one manifestation of Hitler's aim to salvage from
military defeat victory for Nazi principles- the very principles which this war must destroy unless we
shall have fought in vain.
This Government has not only made clear its abhorrence of this inhuman and barbarous activity of the
Nazis, but, in cooperation with other Governments, has endeavored to alleviate the condition of the
persecuted peoples. In January of this year I determined that this Government should intensify its efforts
to combat the Nazi terror. Accordingly, I established the War Refugee Board, composed of the
Secretaries of State, Treasury, and War. This Board was charged with the responsibility of taking all
action consistent with the successful prosecution of the war to rescue the victims of enemy oppression in
imminent danger of death and to afford such victims all other possible relief and assistance. It was
entrusted with the solemn duty of translating this Government's humanitarian policy into prompt action,
thus manifesting once again in a concrete way that our kind of world and not Hitler's will prevail. Its
purpose is directly and closely related to our whole war effort.
Since its establishment, the War Refugee Board, acting through a full-time administrative staff, has made
a direct and forceful attack on the problem. Operating quietly, as is appropriate, the Board, through its
representatives in various parts of the world, has actually succeeded in saving the lives of innocent
people. Not only have refugees been evacuated from enemy territory, but many measures have been taken
to protect the lives of those who have not been able to escape.
Above all, the efforts of the Board have brought new hope to the oppressed peoples of Europe. This
statement is not idle speculation. From various sources, I have received word that thousands of people,
wearied by their years of resistance to Hitler and by their sufferings to the point of giving up the struggle,
have been given the will and desire to continue by the concrete manifestation of this Government's desire
to do all possible to aid and rescue the oppressed.
187
Gruber, R., cit., p. 59.
La WRA era un agenzia governativa statunitense, creata il 18 marzo 1942 con l’ordine esecutivo 9102, il cui
compito iniziale fu quello di occuparsi dell’internamento di italiani, tedeschi e giapponesi, in quanto originari di paesi
nemici, residenti negli Stati Uniti. http://en.wikipedia.org/wiki/War_Relocation_Authority.
189
Gruber, R., cit., p. 59.
188
To the Hitlerites, their subordinates and functionaries and satellites, to the German people, and to all other
peoples under the Nazi yoke, we have made clear our determination to punish all participants in these acts
of savagery. In the name of humanity we have called upon them to spare the lives of these innocent
people.
Not with standing this Government's unremitting efforts, which are continuing, the numbers actually
rescued from the jaws of death have been small compared with the numbers still facing extinction in
German territory. This is due principally to the fact that our enemies, despite all our appeals and our
willingness to find havens of refuge for the oppressed peoples, persist in their fiendish extermination
campaign and actively prevent the intended victims from escaping to safety.
In the face of this attitude of our enemies we must not fail to take full advantage of any opportunity,
however limited, for the rescue of Hitler's victims. We are confronted with a most urgent situation.
Therefore, I wish to report to you today concerning a step which I have just taken in an effort to save
additional lives and which I am certain will meet with your approval. You will, I am sure, appreciate that
this measure is not only consistent with the successful prosecution of the war, but that it was essential to
take action without delay.
Even before the Allied landing in Italy there had been a substantial movement of persecuted peoples of
various races and nationalities into that country. This movement was undoubtedly prompted by the fact
that, despite all attempts by the Fascists to stir up intolerance, the warm-hearted Italian people could not
forsake their centuries-old tradition of tolerance and humanitarianism. The Allied landings swelled this
stream of fleeing and hunted peoples seeking sanctuary behind the guns of the United Nations. However,
in view of the military situation in Italy, the number of refugees who can be accommodated there is
relatively limited. The Allied military forces, in view of their primary responsibility, have not been able
generally speaking to encourage the escape of refugees from enemy territory. This unfortunate situation
has prevented the escape of the largest possible number of refugees. Furthermore, as the number of
refugees living in southern Italy increases, their care constitutes an additional and substantial burden for
the military authorities.
Recently the facilities for the care of refugees in southern Italy have become so overtaxed that unless
many refugees who have already escaped to that area and are arriving daily, particularly from the Balkan
countries, can be promptly removed to havens of refuge elsewhere, the escape of refugees to that area
from German-occupied territory will be seriously impeded. It was apparent that prompt action was
necessary to meet this situation. Many of the refugees in southern Italy have been and are being moved to
temporary refuges in the territory of other United and friendly Nations. However, in view of the number
of refugees still in southern Italy, the problem could not be solved unless temporary havens of refuge
were found for some of them in still other areas. In view of this most urgent situation it seemed
indispensable that the United States in keeping with our heritage and our ideals of liberty and justice take
immediate steps to share the responsibility for meeting the problem.
Accordingly, arrangements have been made to bring immediately to this country approximately 1,000
refugees who have fled from their homelands to southern Italy. Upon the termination of the war they will
be sent back to their homelands. These refugees are predominantly women and children. They will be
placed on their arrival in a vacated Army camp on the Atlantic Coast where they will remain under
appropriate security restrictions.” 190
190
Fonte: http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=16521. Traduzione dei passaggi più importanti:
“Al congresso.
Il Congresso ha manifestato ripetutamente la sua profonda preoccupazione per la pietosa situazione delle minoranze
perseguitate in Europa le cui vite sono ogni giorno offerte in sacrificio sull’altare della tirannia nazista.
Questa nazione è chiamata dalla sistematica persecuzione dei nazisti nei confronti delle minoranze indifese. Per noi
l’ingiustificato omicidio di persone innocenti semplicemente a causa della razza, della religione, o del credo politico è il
più oscuro di tutti i crimini possibili. Da quando i nazisti hanno cominciato questa campagna, molti dei nostri cittadini
in tutti i settori e di tutte le opinioni politiche e religiose hanno espresso il nostro sentimento di repulsione e la nostra
rabbia. È un aspetto riguardo al quale non c’è e non può esserci divisione di opinione fra noi.
Mentre l’ora della sconfitta finale delle forze di Hitler si avvicina, la furia del loro insano desiderio di eliminare la razza
ebrea in Europa continua senza diminuire. (…).
In gennaio di questo anno ho deciso che questo governo avrebbe intensificato i relativi sforzi per combattere il terrore
nazista. Di conseguenza, ho creato il War Refugee Board, composto dal Ministro degli Esteri, del Tesoro e della Guerra.
Il WRB ha la responsabilità di intraprendere tutta le azioni coerentemente con il buon esito della prosecuzione della
guerra per salvare le vittime dell’oppressione nemica in pericolo imminente di morte e per dare a tali vittime tutta
l’assistenza possibile. (…).
Anche prima dello sbarco alleato in Italia c’è stato un notevole movimento di persone perseguitate di varie razze e
nazionalità in quel paese. Questo movimento è stato richiamato indubbiamente dal fatto che, malgrado tutti i tentativi
dei fascisti di mescolarsi con l’intolleranza, la gente italiana dal cuore caldo non potrebbe abbandonare la sua secolare
Ripercorrendo le tappe che hanno portato alla sua decisione, ricordando la drammatica situazione
dei rifugiati nel sud Italia e gli sforzi compiuti a partire dalla creazione del WRB, Roosevelt
sembrava voler giustificare il più possibile il suo intervento sulla base di necessità militari e non
solo umanitarie, cercando di rassicurare il Congresso, come aveva già indicato nel messaggio a
Murphy, che i rifugiati sarebbero stati rimpatriati al termine della guerra e che quindi si trattava di
una presenza temporanea di un gruppo di persone costituito per lo più di donne e bambini, dato
smentito dalle statistiche relative ai rifugiati presenti a Oswego.
Su interessamento di Harold L. Ickes, Ministro dell’Interno, Ruth Gruber ricevette l’incarico di
condurre la missione segreta in Italia e di accompagnare i mille rifugiati dal porto di Napoli al
rifugio di Fort Ontario. Durante il viaggio, Ruth Gruber svolse anche un importantissimo lavoro di
ascolto e sostegno nei confronti dei rifugiati. Negli incontri quotidiani, raccolse le loro
testimonianze, poi confluite nel libro
Haven. The dramatic story of 1000
World War II refugees and how they
came to America.
Alle sei del mattino del 15 luglio, un
sabato, Ruth Gruber cominciò il suo
viaggio
da
Washington
verso
Casablanca e da lì verso Algeri e
Napoli. Appena giunta nella città
partenopea, la Gruber incontrò Max
Perlman, rappresentante del Joint
Distribution Committee in Italia (ossia
il rappresentante oltreoceano della
Comunità ebraica americana) che
partecipò alla selezione dei rifugiati da
imbarcare. Perlman le disse che le
parole del Presidente Roosevelt si erano
diffuse velocemente in Italia e che
giorno e notte le persone bussavano alle
porte di tutti gli uffici a Napoli, a Bari e
a Roma, per prendere i moduli di
domanda da compilare per poter essere
iscritti tra i partenti 191 . Alla fine gli
iscritti furono 3000. “Donne e uomini
che piangevano, persone svenute per
l’emozione, genitori che tenevano i
tradizione di tolleranza e umanitarismo. Gli sbarchi alleati hanno aumentato questo flusso di persone che fuggono e si
nascondono cercando asilo dietro le armi delle Nazioni Unite. Tuttavia, in considerazione della situazione militare in
Italia, il numero di rifugiati che possono essere sistemati lì è relativamente limitato. Le forze militari alleate, in
considerazione della loro responsabilità primaria, non sono state in grado, generalmente parlando, di incoraggiare la
fuga dei rifugiati dal territorio nemico. Questa situazione sfavorevole ha impedito la fuga del più grande numero
possibile di rifugiati. Ancora, mentre il numero di rifugiati che vivono in Italia del sud aumenta, il loro sostentamento
costituisce una difficoltà supplementare e notevole per le autorità militari. (…).
Di conseguenza, sono stati presi accordi per portare immediatamente in questo paese circa 1.000 rifugiati che sono
fuggiti dai loro paesi nell’Italia del sud. Alla fine della guerra saranno rimpatriati nei loro paesi d’origine. Questi
rifugiati sono principalmente donne e bambini. Saranno sistemati al loro arrivo in un campo sgomberato dell’esercito
sul litorale atlantico in cui rimarranno sotto le appropriate restrizioni di sicurezza.
191
Il modulo è presente in Greenberg, Karen J., editor. Columbia University Library, New York: The Varian Fry
Papers: The Fort Ontario Emergency Refugee Shelter Papers. New York: Garland, 1990. Volume 5 della serie Archives
of the Holocaust: An International Collection of Selected Documents, p. 145.
propri figli in aria affinchè li notassimo. È un lavoro squallido, Ruth. Noi tutti stiamo interpretando
la parte di Dio con un gruppo di persone disperate” 192 , commentò Perlman. Il compito di preparare
il viaggio e di condurre la selezione fu affidato a Leonard Ackermann, rappresentante del War
Refugee Board in Italia, coaudiuvato dalla Subcommission on Displaced Persons of the Allied
Control Commission. Quando Ackermann si ammalò, il compito fu affidato al Capitano Lewis
Korn. La selezione fu condotta non solo nelle città più importanti, ma laddove si trovavano i campi
di concentramento italiani utilizzati per internare gli ebrei o presso i campi di raccolta gestiti dagli
Alleati. Perlman e Moscovitz, quest’ultimo membro dell’unità ebraico-palestinese dell’esercito
britannico, si recarono, ad esempio, nella città di Campagna nell’attuale provincia di Salerno, dato
che, tra il 15 giugno 1940 e l’8 settembre 1943, fu attivo un campo di concentramento in due
caserme dismesse, l’ex Convento Domenicano di San Bartolomeo e l’ex Convento degli Osservanti
dell’Immacolata Concezione. 193
“Quando i rifugiati hanno visto il nostro camion con la stella di David bianca e blu dipinta su entrambi i
lati cominciarono ad abbracciarci. Non potevano crederci: ufficiali ebrei, uno americano e uno
palestinese. (…). Ho detto loro dell’invito del presidente a venire in America. (…). Alcuni degli uomini
fecero interi discorsi dicendomi da quanti anni sognassero di andare in America. Altri semplicemente
piansero apertamente. (…) Hanno compilato i moduli e poi ci hanno bombardato di domande. ‘Quando
sapremo se siamo stati accettati? Quando partirà la nave per l’America?’ Mi sentivo terribilmente male a
lasciarli con una tale ansia. Non potevo dir loro se sarebbero stati accettatti o meno. Questi uomini erano
tutti soli; avevano visto spazzare via le loro famiglie. (…) il dolore nei loro volti è ancora con me”. 194
Scene non molto dissimili si ripeterono a Bari.
Per quanto riguarda l’organizzazione pratica della selezione alcuni documenti possono risultare
illuminanti. John W. Pehle scrisse a Leonard E. Ackerman il 14 giugno 1944 e, chiedendogli di
assistere l’ambasciatore Murphy nella realizzazione dei piani di Roosevelt, gli fece presente quali
dovessero essere i punti fondamentali da tenere presenti durante la selezione:
“Nel condurre le selezioni dovresti tenere in mente una comunità in miniatura che per quanto possibile
(tenendo conto dei tempi ristretti) dovrebbe includere:
1. Famiglie (piuttosto che singole persone). Il Presidente nel suo messaggio al Congresso ha detto:
‘Questi rifugiati sono per lo più donne e bambini’.
2. Un dottore e preferibilmente tre (non di più).
3. Da uno a tre dentisti (non di più).
4. Quanti più infermieri sono disponibili.
5. Operai qualificati necessari per il mantenimento di una comunità, inclusi carpentieri, idraulici,
elettricisti, ecc.
6. Persone che posseggono qualità di leadership che saranno in grado di aiutare l’Esercito durante il
viaggio e più tardi nel governo della comunità.
7. Interpreti per tutti i gruppi rappresentati.
8. Uno o più rabbini e altri funzionari religiosi per il gruppo di ebrei.
9. Capi religiosi per gli altri gruppi.” 195
Ai criteri indicati da Pehle vanno aggiunti altri importanti parametri descritti nel rapporto
preliminare del 3 agosto 1944 196 presentato a Joseph Smart 197 e a Dillon Meyer:
192
Gruber, R., cit., p. 53.
Capogreco, Carlo Spartaco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino,
2004, pp. 227-229. Si veda anche: http://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_internamento_di_Campagna;
http://www.istitutopalatucci.it/concentramento.htm;
http://napoli.repubblica.it/dettaglio/I-quattro-campi-di-internamento-in-Campania/1432706.
194
Gruber, R., cit., p. 54.
195
In Greenberg, K., cit., p. 143.
196
Ivi, p. 149.
197
Joseph Smart fu direttore dell’Emergency Refugee Shelter di Fort Ontario dall’agosto 1944 al maggio 1945. “Per
diversi anni sono stato coinvolto in un programma di reinsediamento negli Stati Uniti, ed ero stato anche responsabile
del programma di trasferimento per il mid-west dei giapponesi-americani. Abbiamo avuto dieci di quei campi ed ero a
193
-
nessuna famiglia con uomini sani o in età da militare
nessuna famiglia includente membri affetti da malattie contagiose
nessuna separazione dei gruppi familiari
per quanto fosse possibile, i rifugiati dovevano essere stati in precedenza in campi
preferibilmente nessuno che fosse completamente autosufficiente
preferibilmente nessuno che avesse qualche altro luogo dove andare
che non abbiano a che fare con l’Intelligence.
A proposito delle condizioni di salute, la Lowenstein riporta notizie relative alle due visite a cui
furono sottoposti i rifugiati. Prima della partenza fu condotto un veloce esame medico. Se ne evinse
che il gruppo era formato per lo più da persone anziane in discrete o buone condizioni, sicuramente
esausti per le condizioni di vita, ma non risultò nessuna grave malattia, nemmeno tra coloro che
furono portati in barella. Fatto sta che un esame più approfondito condotto poi a Fort Ontario mise
in evidenza 6 casi di rifugiati affetti da malattie gravi o incurabili, come cancro non operabile,
tubercolosi attiva, paralisi inspiegabili e febbre maltese e 11 casi di rifugiati portati in barella che
richiedevano un’immediata ospedalizzazione. Molti altri avevano malaria, asma e ipertensione;
problemi reumatologici o artrosici erano piuttosto comuni; quasi tutti avevano bisogno di cure
dentarie. Centinaia avevano bisogno di occhiali, apparecchi per l’udito o dispostitivi ortopedici e
due giovani necessitvano di protesi. Quasi tutti erano segnati fisicamente ed emotivamente ed erano
denutriti 198 .
Va detto che nella lettera di Meyer a Smart del 20 luglio 1944 venivano comunque segnalati circa
12 casi da ospedalizzare e 4 donne in attesa, nessuna delle quali oltre il sesto mese. 199
Non ci sono elementi che permettano di capire la discrepanza tra i risultati delle due visite mediche,
ma di sicuro la situazione di Fort Ontario, per questa e per altre questioni che verranno esaminate in
seguito, si presentò come particolarmente problematica.
Tornando al messaggio di Pehle per Ackerman, va sottolineato che per lo più ricalcava quello di
Roosevelt a Murphy tranne che per alcune precisazioni:
“Ai rifugiati dovrebbe essere permesso di portare i propri effetti personali e tutto ciò che è necessario per
il loro lavoro o professione.
Dato che il progetto è stato pensato per la salvezza di veri rifugiati, non è contemplato che siano inclusi
rifugiati italiani, ebrei o non ebrei. (…).
Dovrebbe essere usata cura nel non sopravvalutare il progetto. I rifugiati devono essere istruiti solamente
del fatto che gli sarà offerta salvezza, sicurezza e riparo per un certo periodo.” 200
L’ordine, quindi, era quello di non nutrire troppo le speranze dei rifugiati relativamente al loro
futuro, anzi di chiarire, come facevano le istruzioni presenti sul modulo da compilare per candidarsi
alla partenza, che sarebbero tornati in Europa. A maggior dimostrazione di quanto detto, è possibile
prendere visione del sottostante documento 201 . Si tratta della dichiarazione che i rifugiati selezionati
dovevano firmare per poter essere imbarcati.
capo di cinque. Quindi, questa esperienza ha portato a far sì che mi chiamassero dal Perù, dove ero di stanza per un altro
programma, a dirigere questo rifugio (…)”. Fonte: OH 273 FORT ONTARIO REFUGEE PROGRAM TELEPHONE
INTERVIEW BY LAWRENCE BARON WITH JOSEPH SMART ON JULY 10, 1984, pp. 2-3 in
http://www.oswego.edu/library/archives/safe_haven.html.
198
Lowentein, S. R., cit., p. 51.
199
Greenberg, K., cit. p. 147.
200
Greenberg, K., cit., pp. 143-144.
201
Greenberg, K., cit. p. 157.
Le condizioni che i rifugiati avrebbero dovuto “pienamente capire” prevedevano che sarebebro stati
portati nel centro di accoglienza approntato a Fort Ontario (Oswego) dove sarebbero rimasti come
“ospiti” fino alla fine della guerra. Sulla parola ospiti si crearono alcune incomprensioni, dato che
risultava stridente la differenza tra la serie di misure restrittive previste per il lavoro, per la
sicurezza e per il ritorno nella propria patria d’origine e il fatto che potevano considerarsi, appunto,
ospiti degli Stati Uniti. Il punto più controverso, però, risultò la frase “I shall remain”. Nei moduli
in francese, italiano e tedesco le parole furono tradotte con Je pourrai rester, Posso rimanere e Ich
bleiben kann la qual cosa faceva pensare che i rifugiati potevano restare nel forte se lo desideravano
e non obbligatoriamente, anzi che potevano essere liberi di vivere dove volevano. La scoperta del
campo recintato di Fort Ontario e dell’impossibilità di essere veramente liberi fu uno shock per
molti dei rifugiati. 202
202
Token shipment. The story of America’s War Refugee Shelter (United States Department of the Interior, J. A. Krug
Secretary, War Relocation Authority D. S. Myer Director), by United States War Relocation Authority, Washington,
D.C., U.S. Govt. Print. Off. [1946], pubblicato da Garland Publishing, Inc., New York and London, 1989, pp. 15-16. Si
tratta del decimo volume di America and the Holocaust, a thirteen-volume set documenting the editor’s book The
Inoltre, c’è una testimonianza interessante di Joseph Smart (si veda nota 197) che in un’intervista
affermò: “(…) mi è stato detto che il campo sarebbe stato semplicemente un area di sosta, dove
avremmo tenuto queste persone per qualche mese in attesa di disposizioni per disperderli in tutto il
paese sotto un qualche tipo di programma che non doveva essere ideato. In breve, non mi aspettavo
affatto di stare per gestire un campo di concentramento modificato o un centro di detenzione.” 203
Più avanti nell’intervista Smart aggiunse: “Io so, dalla lettura dei documenti, che hanno firmato un
accordo secondo il quale sarebbero stati disposti a tornare alle loro terre dopo la fine della guerra,
ma so anche che a loro furono date assicurazioni private e informali che si sarebbe trovata una
soluzione, alla fine, per far guadagnare loro la libertà negli Stati Uniti” 204 .
È molto probabile che siano arrivate informazioni differenti sia alle persone coinvolte nella gestione
del programma voluto da Roosevelt sia agli stessi rifugiati e che sia stata in qualche modo attivata
una spirale di aspettative, nonostante le direttive ufficiali, creando dei problemi per il futuro.
Se è vero che le comunicazioni in tempi di guerra non sono sempre affidabili e che le istruzioni
inviate da Pehle ad Ackermann arrivarono quando quest’ultimo aveva quasi concluso la selezione, è
anche vero che Ackermann affidò la selezione a Roma a Heathcote-Smith, rappresentante
dell’Inter-Governmental Committee on Refugees. “Desideroso di incoraggiare le canditature,
Heathcote-Smith, finse il meglio e dipinse un quadro glorioso della vita che aspettava i rifugiati
sulla nave e in America.” 205 . Esattamente il contrario di quanto fecero Ackermann e Korn.
Sicuramente per delle persone che scappavano dall’orrore nazista, le promesse di Heathcote-Smith
fecero più effetto dell’assicurazione di avere cure, sicurezza e un rifugio, considerando che, al di là
delle condizioni non certo ottimali dell’Italia del sud, gli ebrei selezionati erano già al sicuro dalla
politica di sterminio di Hitler.
Inoltre, Ackerman sovradimensionò il numero dei rifugiati che avrebbero compilato il modulo per
candidarsi alla selezione e riservò alla zona di Roma il 25% dei posti disponibili. Clifford
Heathcote-Smith potè così accettare quasi tutti quelli che fecero domanda e reclutarne altri per
ottenere l’equilibrio richiesto dai criteri adottati. Fu così che tra le persone selezionate si ritrovarono
più di una dozzina di uomini in buone condizioni e in età da militare, ma anche 11 “rifugiati
bianchi” 206 russi che non erano da considerare rifugiati della seonda guerra mondiale a tutti gli
effetti. 207 Tra loro, come riportato dalla Lowenstein 208 , era presente Luba Chernitza, una donna di
51 anni rimasta vedova durante gli anni del “Terrore” bolscevico, che era fuggita con il figlio
neonato e il fratello minore in Siberia e in Manciuria, dove poi il bambino morì. A Shanghai,
insegnò musica e riuscì ad ottenere il trasferimento del fratello negli Stati Uniti. Con il tempo anche
lei si procurò il modo per trasferirsi, ma si trattava di un visto temporaneo e si dovette accontentare
di una visita in California, dove suo fratello era diventato un costruttore di navi di successo. Si
stabilì a Roma. Diplomatasi in un istituto d’arte come la più anziana della sua classe, solo due anni
prima che scoppiasse la guerra in Europa, stava ancora cercando di diventare una scultrice quando
fu invitata a presentare domanda per Oswego.
Non dissimile il caso del “principe Pietro” Ouroussoff, discendente della nobiltà russa, lavorò come
impiegato di banca in Inghilterra e in Francia. Dopo l’occupazione di quest’ultima da parte dei
tedeschi, fuggì in Italia con la moglie di origine italiana. All’atto della compilazione del modulo,
videro Oswego come uno strumento per accedere alle opportunità dell’economica americana.
abandonmente of the jews, edito da David S. Wyman, University of Massachusetts, Amherst. Si veda anche
Lowenstein, S. R., cit., pp. 43-44.
203
Si veda la nota 197.
204
OH 273 FORT ONTARIO REFUGEE PROGRAM, cit., p. 3.
205
Lowenstein, S. R., cit. p. 43.
206
White émigré o rifugiato bianco è un termine politico principalmente usato in Francia, negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna per indicare un russo emigrato durante la rivoluzione russa e la conseguente guerra civile russa per motivi
politici. Da http://it.wikipedia.org/wiki/Rifugiato_bianco.
207
Lowenstein, S. R., cit. p. 52.
208
Ivi, pp. 52-53.
Allo stesso modo, Michele e Olga Mikhailoff e il loro figlio, Vadim, di 24 anni, non erano nella
tipica situazione di un rifugiato. Olga si era trasferita in Italia nel 1912 per motivi di salute
stabilendosi a Capri, dove poi incontrò e sposò Michele. Lei lavorò come scenografa e
regista per spettacoli teatrali, che lui produceva. Entrambi recitavano e dipingevano murali, alcuni
dei quali abbellivano case e hotel a Napoli, Roma e Capri. Un ufficiale inglese e uno americano
visitarono la loro casa a Capri e li invitarono a presentare domanda.
Grazie alle storie raccolte dalla Lowenstein, è così possibile conoscere anche la sorte dei due italiani
presenti nell’elenco generale (si veda la tabella 3), arrivati ad Oswego nonostante fosse stato
raccomandato di non includere rifugiati italiani, ebrei o non.
Oltre alle promesse di Heathcote-Smith e ad alcune situazioni in cui il “reclutamento” non seguì i
parametri stabiliti, c’è sicuramente un altro fattore che contò moltissimo nel desiderio dei rifugiati
di partire per gli Stati Uniti e che diede loro la sensazione che, una volta arrivati, avrebbero potuto
tranquillamente ricostruire le loro vite: molti di loro avevano parenti negli Stati Uniti e/o avevano
fatto richiesta per essere ammessi come immigrati in base al sistema delle quote. Erano stati gli anni
della guerra a bloccare un processo che, dal loro punto di vista, li avrebbe portati comunque
dall’altra parte dell’oceano e quindi, in qualche modo, sentivano che quelle precedenti domande di
ammissione e la presenza di parenti li avrebbe condotti dritti tra le braccia del sogno americano.
Basti pensare che 300 delle circa 500 unità familiari (famiglie o individui soli) “aveva già
sottoscritto la registrazione per l’immigrazione. Almeno 14 unità avevano dei visti che non
poterono usare a cusa della guerra e 4 avevano un’approvazione consultiva per il visto. Un terzo di
coloro che si erano registrati per l’immigrazione aveva già degli affidavit di supporto da parte di
cittadini americani. 51 individui potevano entrare al di fuori delle quote o potevano ricevere visti
preferenziali perché avevano coniugi o figli adulti americani, e 34 famiglie avevano parenti stretti
che servivano le forze armate americane. (…). Molti si registrarono per Oswego mentre aspettavano
di entrare nelle quote previste, cosa che avrebbe permesso loro di raggiungere coniugi e figli che
erano già entrati negli Stati Uniti.” 209
Tabella 1 – Parenti americani dei rifugiati presenti ad Oswego 210 .
Mogli
7
Suocera
1
Marito
1
Nonna (di un orfano)
1
2
Figli
39
Zii (di un orfano)
Figlie
26
Fratelli o sorelle
Figliastri
179
3
Cognati
68
Generi
18
Cognate
46
Nuore
9
Fratellastro
1
Madri
6
Sorellastre
5
Padri
4
Zii, zie, cugini, nipoti
307
Totale
713
Padrini o madrine non imparentati
192
Alcune storie possono aiutare a comprendere meglio la situazione dei rifugiati 211 .
Il dr. Hugo Graner, 49 anni, nato in Ungheria, aveva una moglie e due figli emigrati negli Stati
Uniti nel 1938 all’intenro della quota austriaca. Arrestato e mandato in un campo nazista nel nord
209
Lowenstein, S. R., cit., p. 48.
Ivi, p. 49.
211
Ivi, p. 48.
210
Italia, da cui fuggì, ottenne lavoro per gli inglesi come medico su un’ambulanza nel campo di
transito di Bari gestito dagli Alleati. Nel frattempo, sua moglie, che lavorava come sarta, era
diventata una cittadina americana, residente nel New Jersey. Lei seppe della sorte del marito da un
elenco publicato su un giornale tre giorni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti.
Regina Loewit e suo marito avevano ricevuto i visti nel mese di agosto del 1938, ma i nazisti
arrestarono il marito prima che lasciassero Vienna. Walter fu internato per un anno, a Dachau e a
Buchenwald. Dopo il suo rilascio, la coppia fuggì in Italia con Lea Wadler, la madre di Regina.
Quando l’Italia entrò in guerra, Walter fuggì in Francia, ma Regina non lo seguì per prendersi cura
di sua madre. Nel frattempo lui fu internato in Francia, mentre Regina e sua madre furono internate
in Italia. Da quel momento il contatto si interruppe. Un mese prima che Regina e sua madre
salpassero per Oswego, il marito era riuscito ad emigrare negli Stati Uniti e a trovare lavoro in una
fabbrica di armamenti di New York. Il suo datore di lavoro e la Society for Ethical Culture fecero
pressione senza successo affinchè Regina fosse rilasciata. Walter si organizzò in modo da poterle
fare visita ogni due settimane, ma passarono undici mesi prima che avessero il permesso di dormire
insieme, e la loro separazione durò altri sette mesi.
Berthold Gunsberger, un casaro austriaco di 43 anni nato in Cecoslovacchia, rimase in Europa
mentre la moglie e il figlio emigrarono negli Stati Uniti all’interno della quota italiana. Visse diversi
anni di internamento. Brevi ricoveri non sono riusciti a migliorare il grave deterioramento fisico e
mentale che ne seguì durante il suo internamento aggiuntivo ad Oswego.
Alla base della spinta alla registrazione dell’estate 1944 c’era, dunque, la volontà da parte dei
rifugiati di ricongiungersi con i familiari, oltre a quella di rifarsi una vita, di avere delle cure
mediche (come si è visto la situazione era preoccupante per un buon numero di rifugiati) e di
costruire un futuro migliore per i loro figli permettendogli di avere una buona educazione.
Tutti i ragazzi in età scolare erano stati costretti ad abbandonare le scuole che frequentavano,
rallentando la loro crescita culturale e perdendo diversi anni di studio che avrebbero potuto e dovuto
recuperare alla fine del conflitto, senza sapere a quali condizioni e dove. La possibilità di recarsi
negli Stati Uniti significava, nei loro piani, avere accesso a delle ottime scuole e, nel caso fosse
possibile, recuperare almeno un anno, potendo già frequentare l’anno scolastico 1944-1945, senza
aspettare la fine del conflitto. Il problema educativo fu preso subito in considerazione sia dai
rifugiati per i quali, come detto, fu una forte motivazione aggiuntiva per chiedere di salpare da
Napoli, sia dagli organizzatori che raccolsero i dati e posero subito la questione alle autorità
americane. Su questo punto si tornerà in seguito. È interessante ora notare (tabella 2) che il numero
di bambini e ragazzi in età scolare, dai 5 anni in su con una lieve prevalenza dei maschi rispetto alle
femmine (si veda la tabella 5), era di 193, ovvero quasi il 20% dell’intero gruppo. Furono presi in
considerazione anche ragazzi più grandi, fino ai 21 anni, proprio per consentire il recupero dei corsi
di studi interrotti.
A titolo esemplificativo, si accenna alla storia di una famiglia, ma sull’importanza dell’educazione e
dei corsi di studio ci si soffermerà prendendo in esame altre testimonianze tra cui quella alla
famiglia Weiss.
Il dottor Margulis, 59 anni, sempre molto elegante (sbarcò ad Hoboken in giacca e cravatta) era
stato direttore medico di un grande ospedale di Belgrado e tenente colonnello del corpo medico
dell’esercito jugoslavo. Viveva liberamente a Roma con sua moglie Olga e i figli, Rajko (25 anni) e
Aca (23). I due ragazzi avrebbero potuto completare i loro studi in medicina all’Università di Roma,
quando la prospettiva del progetto Oswego li persuase ad optare invece per l’America. Dopo essersi
stabiliti a Fort Ontario, i ragazzi ottennero l’ammissione all’Harvard Medical School e ricevettero
promesse per delle borse di studio da parte di organizzazioni ebraiche. Nonostante le pressioni
personali di Eleanor Roosevelt e della signora Morgenthau, non ottennero il permesso di lasciare
Fort Ontario per riprendere i loro studi. Quando il dr. Margulis scoprì di avere il cancro allo stadio
terminale ed espresse il desiderio di tornare in Jugoslavia, la famiglia si unì ad un gruppo di 62 altri
jugoslavi che avevano accettato di tornare nel proprio paese tra la primavera e l’estate del 1945.
Successivamente i due ragazzi tornarono negli Stati Uniti con dei visti per motivi di studio,
completarono gli studi ad Harvard e sposarono le loro fidanzate conosciute ad Oswego. 212
Tabella 2 – Livello scolastico in base all’anno di nascita (dati del 15 settembre 1944) 213 .
Anno di
nascita
Livello scolastico
Asilo
1923
1924
1925
1926
1927
1928
1929
1930
1931
1932
1933
1934
1935
1936
1937
1938
1939
Totale
Primo
anno
2
3
10
19
11
11
33
Secondo
anno
1
1
3
9
3
17
Terzo
anno
1
19
20
Quarto
Anno
Quinto
anno
3
7
3
3
5
2
10
13
Sesto
anno
Settimo
anno
3
9
8
2
1
20
3
“Scuola
media”
1
3
4
8
7
1
24
“Scuola
superiore”
3
5
8
4
5
8
6
3
Totale
42
La storia dei coniugi Margulis mostra sia la volontà di far raggiungere ai propri figli un alto livello
di studi sia quanto sia stato difficile, una volta arrivati a Fort Ontario, realizzare i sogni che li
avevano portati a presentari per la selezione a Roma.
Considerate tutte queste circostanze, in bilico tra desideri e difficoltà, e nonostante le condizioni
poste dagli americani nel documento da firmare, 3000 persone, come detto, presentarono la
domanda. Di queste ne furono scelte 982, ossia 18 in meno della quota prevista. Il capitano Korn
sintetizzò così a Ruth Gruber il lavoro svolto: “Prima abbiamo provato a scegliere persone
appartenenti a gruppi familiari. Poi abbiamo selezionato persone in situazioni di grande bisogno, il
più possibile provenienti da campi di concentramento e campi di lavoro. Terzo, non abbiamo preso
nessuna famiglia con malattie contagiose. E, per ultimo, abbiamo provato a scegliere persone che
avessero diverse competenze per far sì che l’Emergency Refugee Shelter possa autosostenersi il più
possibile.” 214
Dei 982 rifugiati, tre quarti (il rapporto finale parla di 775 rifugiati 215 ) provenivano dal sud Italia
(dal campo di Transito di Bari, dal campo di concentramento di Ferramonti, dal campo di Santa
Maria di Bagni, da quello di Campagna, oltre a persone che vivevano nei dintroni di Taranto, nella
provincia di Potenza e nelle zone di Salerno e Napoli) e il restante dalla zona di Roma. Una volta
raccolti i dati nei luoghi di soggiorno dei rifugiati, il Joint e altre organizzazioni accompagnarono i
rifugiati selezionati al campo per Displaced Persons di Aversa (un centro per malattie mentali
abbandonato) prima dell’imbarco a Napoli.
Le seguenti tabelle ricostruiscono una serie di informazioni statistiche relative ai rifugiati.
212
Lowenstein, S. R., cit., p. 51.
Token shipment. The story of America’s War Refugee Shelter, cit., p. 108.
214
Gruber, R., cit., p. 66. Si veda anche Token shipment, cit., pp. 13-14.
215
Token shipment. The story of America’s War Refugee Shelter, cit., p. 15.
213
3
5
8
5
8
12
14
13
15
12
9
11
23
12
13
19
11
193
Tabella 3 – Rifugiati divisi per nazionalità e per religione con l’indicazione degli apolidi.
Nazionalità
Jugoslavi
Austriaci
Polacchi
Tedeschi
Cechi
Rumeni
Russi
Francesi
Turchi
Danzica
Spagnoli
Libici
Bulgari
Greci
Belgi
Ungheresi
Italiani
Olandesi
Totale
%
Ebrei
326
210
140
85
34
17
9
15
10
7
5
4
4
Cattolici
32
20
6
6
7
Ortodossi greci e russi
11
5
Protestanti
2
5
8
1
4
3
3
1
1
874
89
1
73
7,43
28
2,85
7
0,71
Totale
369
237
146
96
41
17
17
15
10
8
5
4
4
4
3
3
2
1
982
///
%
37,57
24,13
14,87
9,77
4,17
1,73
1,73
1,52
1,01
0,81
0,5
0,4
0,4
0,4
0,3
0,3
0,2
0,1
///
///
Apolidi
0
221
76
89
2
13
16
5
8
3
0
0
0
0
0
3
0
0
436
44,39
Diciassette famiglie erano in realtà miste da un punto di vista religioso: 9 ebree e cattoliche (4
jugoslave, 3 austriache, 1 tedesca e 1 polacca); 3 ebree e protestanti (2 tedesche, 1 tedesca di
Danzica); 3 ebree e greco-ortodosse (2 jugoslave, 1 austriaca); 2 greco-ortodosse e cattoliche (2
russe, 1 italo-russa) 216 . È per questo motivo che in alcuni documenti viene riportata un’altra
ripartizione: 916 ebrei (di cui 135 ortodossi), 47 cattolici, 15 greco-ortodossi e 5 protestanti 217 (per
un totale di 983 e non di 982, probabilmente perché è stata conteggiata anche Elia Montiljo, morta il
giorno dell’arrivo a New York).
I dati mostrano una netta prevalenza di ebrei, intorno all’89% del totale, ma ciò non significò
automaticamente avere a che fare con un gruppo coeso e facilmente gestibile sia durante il viaggio
sia all’arrivo ad Oswego, dato che, al di là delle differenze tra ebrei ortodossi e riformati, spesso
prevaleva l’appartenenza alla propria nazionalità. Nel prosieguo della trattazione si vedrà quali
problemi emersero nel corso della convivenza.
Si può notare, inoltre, che sono presenti numerosi apolidi, soprattutto tra tedeschi, austriaci e
polacchi, a causa dell’annullamento della cittadinanza operato dai nazisti attraverso la loro
legislazione. In totale erano presenti rifugiati provenienti da 18 paesi europei, considerando anche la
zona di Danzica, dichiarata città libera nel 1919.
216
Lowenstein, S. R., cit., p. 55. I dati riportati dalla Lowenstein e dalla Gruber differiscono dal rapporto di Dillon
Meyer a Joseph Start del 20 luglio 1944. In quel documento il totale risulta di 985 e il numero delle nazionalità
riportate è inferiore. Probabilmente si tratta di un primo sommario resoconto inviato subito dopo la partenza della nave
da Napoli, mentre i dati della storica Lowenstein e di Ruth Gruber tengono conto delle statistiche ufficiali. Si veda
Greenberg, K., cit., pp. 146-148 (documento 60).
217
Rapporto preliminare del 3 agosto 1944 presentato a Joseph Smart e a Dillon Meyer in Greenberg, K., cit. p. 149.
Tabella 4 – Numero di componenti delle famiglie e degli individui soli (14 settembre 1944).
Numero di componenti della famiglia
1 (uomo)
1 (donna)
2
3
4
5
6
11
TOTALE
Numero di famiglie
177
68
145
64
40
12
4
1
511
Numero di persone
177
68
290
192
160
60
24
11
982
I criteri indicati per la selezione, su cui ci si è soffermati, non sempre furono seguiti sia per
situazioni particolari, come quella creatasi a Roma, sia per difficoltà oggettive. Nell’insieme non si
riuscì a rispettare l’indicazione del presidente Roosevelt che parlò di uno sforzo per portare negli
Stati Uniti un cospicuo gruppo di donne e bambini. Gli uomini (tabella 5) rappresentarono il 53,5%
dei rifugiati, con una prevalenza rispetto alle donne soprattutto nella fascia dai 45 anni in su (il
30,5% dell’intero gruppo). L’applicazione ai rifugiati di parametri di stampo militare (pochi maschi,
o nessuno com’era inizialmente previsto, in età da militare; la paura di spie o di persone che
avessero a che fare con gruppi politici o con Intelligence di altri paesi o semplicemente che
potessero portare problemi nel campo di Fort Ontario) non favorì quel giusto equilibrio a cui si era
pensato inizialmente. Volendo dividere i rifugiati tra bambini/ragazzi, adulti e anziani, risulta che il
25% del gruppo era rappresentato da persone fino ai 24 anni, il 40% aveva tra i 25 e i 49 anni e il
34% tra i 50 e i 74 a cui va aggiunto lo 0,3% tra i 75 e gli 84 anni.
Tabella 5 – Composizione del gruppo dal punto di vista dell’età e del genere (5 agosto 1944) 218 .
Età
Sotto i 5 anni
5-9
10-14
15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
40-44
45-49
50-54
55-59
60-64
65-69
70-74
75-79
80-84
TOTALE
Maschi
16
33
43
25
4
3
23
14
50
79
65
71
57
15
10
2
1
525
Membri
Femmine
19
46
18
25
19
19
49
68
64
28
35
38
24
13
6
457
Totale
35
79
61
50
23
22
72
82
114
107
100
109
81
28
16
2
1
982
Maschi
1,6
3.4
4.4
2.6
0.4
0.3
2.4
1.4
6.5
8.1
6.6
7.2
5.8
1.5
1.0
0.2
0.1
53,5
In percentuale
Femmine
1.9
4.7
1.8
2.6
1.9
1.9
5.0
6.9
5.1
2.9
3.6
3.9
2.4
1.3
0.6
46,5
Totale
3.5
8.1
6.2
5.2
2.3
2.2
1.4
8.3
11.6
11.0
10.2
11.1
8.2
2.8
1.6
0.2
0.1
100
Dai numeri e dallo schema 6 si evince che da un punto di vista della composizione il gruppo
risultava non proporzionato. Se nella fascia dei giovani si registrava un certo equilibrio tra maschi e
femmine, la sproporzione è evidente nella fascia intermedia con una prevalenza di femmine e in
quella dell’età più avanzata con una forte presenza maschile. In generale lo schema non ha la tipica
forma piramidale, ma dai calcoli risulta un indice di vecchiaia basso così come quello di
218
Token shipment. The story of America’s War Refugee Shelter, cit., p. 108.
dipendenza, mentre l’indice di struttra della popolazione attiva risulta molto alto ed evidenzia
probabilmente una maggiore esperienza di vita e lavorativa, ma uno svantaggio in termini di
dinamismo e di capacità di adattamento e sviluppo della popolazione stessa. D’altronde anche
l’indice di ricambio indica che le uscite ipotetiche dal mondo del lavoro sono maggiori delle entrate.
Certo, il gruppo è troppo piccolo e variegato per condurre un’analisi rilevante, ma se Fort Ontario
fosse stato un piccolo paese, com’era nelle intenzioni di Roosevelt, con persone con età e
competenze diverse non avrebbe avuto molte speranze di crescita e miglioramento. Si prenda in
considerazione anche il fatto che ciò implicava una serie di problematiche, alcune delle quali già
evidenziate, sul piano della salute e delle cure necessarie. A ciò si aggiunga (tabella 4) il numero
degli individui soli: 245 rifugiati, il 25% del gruppo (di cui il 18% costituito da maschi). Pur
tenendo in considerazione che molti di loro avevano parenti già residenti negli Stati Uniti, il
progetto non prevedeva inizialmente il loro ricongiungimento, la qual cosa può far supporre o una
certa improvvisazione/casualità nella selezione oppure una scelta precisa, volta a garantire la
presenza di persone con esperienza e giudizio, spesso sole, che non avessero troppe aspettative per
il futuro o che non si adoperassero per successive richieste o proteste nei confronti
dell’amministrazione.
Di fatto il gruppo presentava, relativamente ad età e genere, un profilo affatto equilibrato. Erano
rappresentate tutte le età (dal neonato “International Harry” all’ottantenne Isaac Cohen), ma, come
visto, con uno sproporzionato numero di persone adulte o anziane. In totale le persone sopra i 60
erano tre volte più numerose di quelle sulla ventina.
Schema 6 – Piramide dell’età dei rifugiati di Fort Ontario (al 5 agosto 1944)
80-84
75-79
70-74
Classi di età
65-69
60-64
55-59
50-54
45-49
40-44
35-39
Donne
Uomini
30-34
25-29
20-24
15-19
10-14
5-9
0-5
100
50
0
50
100
Valori assoluti
Non vanno sottovalutati, oltre ai conflitti per motivi religiosi o per la nazionalità su cui si tornerà, i
conflitti generazionali, tra l’altro spesso dipendenti dalla nazionalità di appartenenza (tabella 7).
“Solo il 6% degli jugoslavi erano oltre i sessanta anni, ma lo era il 19% degli austriaci. I polacchi
erano anche più giovani degli austriaci e dei tedeschi. La maggior parte dei polacchi era, infatti, tra i
trenta e i quaranta, molti tedeschi sui quaranta e cinquanta, e la maggior parte degli austriaci era
sulla cinquantina. E, tra quelli tra i 16 e i 41 anni, il gruppo da cui dipendeva gran parte del lavoro,
le donne rappresentavano il 60% in più rispetto agli uomini. Una grave carenza di uomini per il
lavoro manuale significava non solo che il peso ricadeva sui residenti più anziani, ma che cadeva in
modo sproporzionato sugli specifici gruppi nazionali.” 219
L’origine dei rifugiati è molto importante in questa analisi. Le famiglie jugoslave includevano molti
più bambini. Più del 24% degli jugoslavi (meno del 6% tra gli asutriaci) avevano fino a 17 anni. Gli
jugoslavi costituivano il 38% della popolazione totale, ma il 50% dei bambini in età scolare (tra i 6
e i 18 anni). Dati in forte contrasto con quelli degli altri gruppi dominanti: austriaci, 24% (sul totale
della popolazione) e 9% (popolazione in età scolare); tedeschi, 9,7% e 5%; polacchi, 14.7% e 16%
(si veda la tabella 7).
“Il maggior numero di bambini tra gli jugoslavi riflette sia i dati demografici prima della guerra sia
le esperienze di guerra. Le famiglie jugoslave erano più giovani e più intatte. Il 40% degli austriaci,
il 29% dei polacchi e il 26% dei tedeschi aveva subito involontarie separazioni maritali, cosa
accaduta solo al 17% degli jugoslavi. Gli jugoslavi sposati presenti ad Oswego senza i loro coniugi
includevano anche otto uomini e due donne che avevano lasciato compagni non ebrei per prendersi
cura delle proprietà e varie donne i cui mariti hanno continuato a combattere con i partigiani. In
altre parole, a differenza degli altri profughi, un certo numero di jugoslavi separati sapeva qualcosa
della sorte dei loro compagni, una ‘solida base psicologica’ ”. 220
Tabella 7 - Studenti presenti a Fort Ontario in base all’età, alla religione e alla cittadinanza 221 .
RELIGIONE
Ebraica
Cattolica
Greco-ortodossa
Protestante
CITTADINANZA
Jugoslava
Austriaca
Polacca
Tedesca
Ceca
Russa
Rumena
Francese
Turca
Zona di Danzica
Spagnola
Greca
Bulgara
Belga
Ungherese
Apolidi
TOTALE
Età 6-13
Età 14-17
Età 18-24
Totale
105
6
3
1
43
3
1
0
34
2
2
1
182
11
6
2
66
10
12
5
6
3
0
4
0
0
1
1
0
6
0
16
4
15
4
1
2
0
1
0
0
0
0
4
0
0
23
5
3
1
2
1
1
0
1
1
0
0
0
0
1
105
19
30
10
9
6
1
5
1
1
1
1
4
6
1
115
47
39
201
In conclusione è possibile affermare che differenze storiche, gli effetti della guerra e i criteri di
selezione del WRB, portarono alla formazione di un gruppo decisamente insolito per le sue
caratteristiche legate all’età e al genere.
219
Lowenstein, S. R., cit., p. 62.
Ivi, pp. 60-61.
221
Ivi, p. 61
220
Altro punto importante richiamato da Roosevelt e poi da Pehle era quello delle competenze
possedute dai rifugiati. Era necessario costituire una comunità che fosse autosufficiente almeno per
quel che riguarda le necessità della vita nel campo e l’aiuto che avrebbero potuto dare nella sua
gestione. Anche da questo punto di vista, il confronto con le indicazioni di Pehle, mostrate in
precedenza, evidenzia una certa discrepanza. Come si desume dalla tabella 8, c’erano dei medici, e
anche 4 farmacisti e 2 dentisti, ma non erano presenti carpentieri, idraulici o elettricisti. Si poteva
certo contare su 27 industriali, 2 meccanici, 25 artigiani e 4 contadini, ma molti dei rifugiati
sapevano svolgere solo lavori non manuali. Basti pensare alla presenza di 5 artisti e 2 attori, così
come di 9 giornalisti e 9 avvocati. I dati riportati in tabella comprendono anche 58 casalinghe. In
totale, i rifugiati che dichiararono il tipo di professione rappresentavano il 47,45% dell’intero
gruppo (41,54% senza le casalinghe). Questi dati confermano quanto mostrato precedentemente,
parlando della composizione del gruppo relativamente all’età e al genere. Il gruppo avrebbe avuto
difficoltà ad autosostenersi. Fu rispettata, invece, l’indicazione relativa ai rabbini (2), importanti per
la vita quotidiana nel campo.
Tabella 8 – Professioni dei rifugiati in Europa 222 .
Tipo di lavoro
Mercante, commerciante, venditore
Casalinga
Contabile, impiegato
Industriale
Sarto
Artigiano
Funzionario
Scrittore, giornalista
Avvocato
Banchiere
Macellaio
Medico
Artista
Insegnante
Farmacista
N° di persone
192
58
45
27
26
25
13
9
9
6
6
5
5
4
4
Tipo di lavoro
Segretario, stenografo
Contadino
Musicista
Dentista
Massaggiatrice
Rabbino
Architetto
Meccanico
Attore, attrice
Gioielliere
Ingegnere
Fotografo
Autista
Ottico
TOTALE
N° di persone
4
4
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
1
466
Da altre statistiche stilate all’epoca dei fatti (19 aprile 1945) 223 , si apprende che gli uomini presenti
a Fort Ontario che avevano tra i 16 e i 65 anni erano 336, ma 129 avevano una certificazione che
attestava la loro impossibilità di svolgere qualsiasi lavoro, 63 potevano occuparsi di lavori leggeri e
altri 5 erano esclusi dal lavoro per motivi di salute. Come si vedrà nel capitolo successivo, la
questione del lavoro rimarrà per lungo tempo al centro del dibattito interno al campo e tra i rifugiati
e l’amministrazione di Fort Ontario.
Un ultimo dato merita di essere preso in considerazione: quello relativo alle lingue parlate dai
rifugiati. Vista la complessa situazione geopolitica della prima metà del Novecento, i dati relativi
alla nazionalità non sono sovrapponibili esattamente con quelli linguistici. Infatti, confrontando la
tabella 3 con la 9, salta subito agli occhi che nonostante gli jugoslavi siano il primo gruppo in base
al criterio della nazionalità, era il tedesco la lingua più diffusa, parlata dal 40% dei rifugiati, la
percentuale più alta tra le 21 lingue dichiarate. Tra l’altro quasi tutti gli adulti, tranne 25 o 30
persone, capivano almeno un po’ il tedesco, esattamente il contrario dello jugoslavo, dato che solo
pochi rifugiati non jugoslavi capivano anche il serbo-croato. 224
222
Greenberg, K., cit. pp. 146-147. Si veda anche Lowenstein, S. R., cit., p. 194.
Lowenstein, S. R., cit., p. 194.
224
Ivi, p. 58.
223
Queste prime considerazioni fanno subito pensare sia alla situazione dell’Europa in quegli anni sia
al percorso compiuto dai singoli rifugiati. Per loro apprendere una lingua, compreso quella del
persecutore, diventò una necessità, un vero e proprio strumento di sopravvivenza. 713 rifugiati
parlavano altre lingue oltre alla propria, con il tedesco in testa 225 , come detto, anche se o per studi
compiuti in precedenza o per le attività organizzate sulla nave ad opera di Ruth Gruber e poi a Fort
Ontario, l’inglese era destinato a diventare piuttosto diffuso.
Tabella 9- Lingue parlate dai rifugiati presenti ad Oswego 226 .
Lingua
madre
Tedesco
Numero
392
Bilingui o trilingui
tra di loro
26
Lingue parlate con la stessa scioltezza
Italiano, yiddish, polacco, ceco, ungherese, olandese,
croato, rumeno, slovacco
Tedesco, polacco, ucraino, ruteno
Ladino, tedesco
Serbo, tedesco, italiano, ungherese
Ladino
Yiddish 227
Serbo-Croato
Croato
Serbo
Jugoslavo
Ladino227
85
93
73
27
58
53
17
3
4
1
Francese
Polacco
Ceco
Ungherese
Russo
Italiano
Rumeno
Slovacco
Ebraico
Greco
Bulgaro
Fiammingo
Arabo
Turco
Sconosciuto
Totale
26
55
18
31
18
14
5
4
1
4
2
1
1
1
20
982
2
16
2
1
2
2
Croato, serbo, francese, greco, italiano, turco, yiddish,
jugoslavo
Tedesco, yiddish
Yiddish, tedesco, croato, serbo
Tedesco
Tedesco
Ucraino
Yiddish, Serbo-croato
2
1
1
1
Tedesco, ladino
Francese
Italiano
Greco
22
A proposito dell’italiano va detto che, nonostante ci fossero soltanto due italiani nel campo di Fort
Ontario, 14 dichiaravano di parlarlo e diversi altri rifugiati dichiararono di conoscerla come seconda
lingua parlata in modo fluente. Ciò non è dovuto alla mera presenza dei rifugiati in Italia nell’estate
del 1944, ma alla permanenza di alcuni di loro costretti all’internamento coatto o nei campi di
internamento, tra cui un nutrito gruppo proveniente dalle province venete.
225
157 parlavano un’altra lingua oltre alla propria, 257 ne parlavano due, 176 tre, 86 quattro, 30 cinque, 4 sei, 1 sette e
2 ne parlavano nove. In Lowenstein, cit. pp. 59-60
226
Lowenstein, S. R., cit. p. 59.
227
Lo yiddish o giudeo-tedesco è una lingua germanica, parlata dagli ebrei originari dell’Europa orientale. È parlata da
numerose comunità in tutto il mondo ed è scritta con i caratteri dell’alfabeto ebraico. Contiene antichi elementi ebraicoaramaici, slavi e neolatini.
Il ladino o giudeo-spagnolo è la lingua dei discendenti degli ebrei espulsi dalla Spagna nel 1492; è diffusa tra gli ebrei
sefarditi nel bacino del Mediterraneo, nelle città dell’ex Impero Ottomano (come Salonicco, Istanbul, Smirne), ed in
seguito alle emigrazioni dell’800 anche nel continente americano. Deriva dal castigliano medievale e include elementi
ebraici, greci, turchi, portoghesi e di altre zone del Mediterraneo.
“La lingua franca (in italiano nel testo originale) del campo era l’italiano dal momento che era in Italia
che avevamo vissuto prima di partire per gli Stati Uniti.” 228
Le lingue costituirono un ulteriore motivo di attrito tra i rifugiati, in particolar modo tra i tedeschi e
gli jugoslavi, andandosi ad aggiungere alle altre motivazioni legate alla nazionalità, alla religione e
agli eventi storici che li avevano catapultati fuori dai propri paesi d’origine in una lunga fuga per la
sopravvivenza. “Mentre gli ebrei tedeschi lottavano per mantenere il loro senso di superiorità e
sminuivano gli ebrei jugoslavi per non aver sopportato una sofferenza paragonabile alla loro, gli
jugoslavi li disprezzavano per il loro essere profondamente tedeschi e per non essersi opposti con le
armi contro i nazisti. Abe Furmanski, un trentacinquenne ebreo polacco, parlò a nome di molti
quando si lamentava del fatto che gli ebrei tedeschi e austriaci internati con lui in precedenza
avevano dimostrato maggiore rispetto per i funzionari tedeschi che per gli altri ebrei, un
comportamento che rese ‘la nostra posizione peggiore’.” 229
A partire da questa situazione difficile da dipanare, la lingua divenne in diverse occasioni un
espediente per far affiorare la rivalità tra i gruppi, già emersa durante il viaggio e durante la
cerimonia di benvenuto al Forte, quando per favorire la comprensione dei discorsi fu scelto come
interprete il venticinquenne jugoslavo Fredi Baum che parlava cinque lingue ed era conosciuto
dall’aministrazione del campo, dato che aveva fatto da interprete alle Forze Alleate in Italia e aveva
dato un aiuto consistente anche per la selezione dei rifugiati a Roma. Eppure, gli ebrei tedeschi si
irritarono per il fatto di aver avuto a disposizione un interprete jugoslavo che non parlava
perfettamente il tedesco.
Un ulteriore esempio può essere ancora più lampante. Due settimane dopo l’arrivo a Fort Ontario,
fu organizzato un servizio serale non ortodosso per lo Shabat. Quando il rabbino jugoslavo Hajim
Hazan, che non conosceva il tedesco, pronunciò il sermone in serbo-croato, alcuni ebrei tedeschi
cominciarono a parlare tra di loro (“Schrecklich. Ich verstehe nichts”, dissero a Ruth Gruber 230 ) e
poco dopo se ne andarono. Tra l’altro, in quell’occasione era presente anche il direttore del campo,
Joseph Smart, un devoto mormone, che, vedendo alcuni ebrei uscire e pensando che la cerimonia
fosse finita, andò via anche lui. Alla fine, quando uscirono anche gli jugoslavi, ci fu un alterco tra i
due gruppi dato che i tedeschi si lamentavono perché non capivano la lingua. A quel punto uno
jugoslavo sbottò: “Voi siete prima tedeschi, poi ebrei. Volete infliggere la lingua tedesca a tutti.
Ricordatevi, su 70.000, i tedeschi hanno spazzato via 66 mila ebrei jugoslavi. Noi vogliamo
uccidere la lingua tedesca nella nostra mente, nei nostri cuori, nelle nostre anime. Abbiamo il diritto
alla nostra lingua. Ma in questo campo l’odiata lingua tedesca ci è costantemente lanciata contro.”
A loro volta i tedeschi si sentivano presi di mira proprio perché erano costantemente collegati al
nazismo e per questo guardati con sospetto, respinti, maltrattati. Più tardi un altro rifugiato, Ernst
Wolff, disse a Ruth Gruber: “Guarda quello che ci sta succedendo. Litighiamo per una questione
così piccola. C’è una guerra contro di noi nel mondo e combattiamo tra di noi. È una disgrazia.” 231
In seguito, Smart si scusò per il suo errore e approfittò della situazione per chiarire alcune questioni
con i due gruppi e per rendere meno tesi i rapporti nel campo: “Ho partecipato alla cerimonia per
riverenza, felice di adorare lo stesso Dio che non conosce nessuna differenza di linguaggio o
nazionalità, ed orgoglioso di prendere parte ad un serivio religioso con persone con le quali pensavo
di condividere un comune senso dell’umiltà e della devozione. Le differenze razziali o sulla base
della nazionalità o della religione non possono trovar posto né a Fort Ontario né altrove negli Stati
Uniti. Io, di una fede diversa dalla vostra, sono venuto per venerare con voi il nostro comune Dio e
spero che rispetterete questa differenza come sicuramente dovete rispettare le differenze tra di voi
derivanti dalle molte culture rappresentate”. 232
228
Hendell, D., cit., p. 304.
Lowenstein, S. R., cit., p. 58.
230
Gruber, R., cit. p. 168.
231
Insieme al passo precedente, Gruber, R., cit., p. 169.
232
Token shipment. The story of America’s War Refugee Shelter, cit., pp. 32-33. Si veda anche Gruber, R., cit. p. 170.
229