raccomandazioni aziendali per la profilassi del tromboembolismo

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raccomandazioni aziendali per la profilassi del tromboembolismo
LA PREVENZIONE DEL
TROMBOEMBOLISMO VENOSO
IN CHIRURGIA:
RACCOMANDAZIONI AZIENDALI
PRESENTAZIONE
Il sistema sanitario è caratterizzato da prestazioni che presentano un elevatissimo
grado di complessità; pertanto la probabilità che un evento avverso si verifichi nella erogazione
di prestazioni sanitarie più articolate è maggiore.
E’ inoltre dimostrato che il verificarsi di tali eventi avversi è nella stragrande
maggioranza dei casi in relazione a fatti organizzativi piuttosto che a limiti conoscitivi; pertanto
si impone la necessità di porre in essere strumenti, anch’essi organizzativi, che siano garanzia
della efficacia, efficienza ed equità del sistema.
Questo è uno dei motivi per cui negli ultimi anni si è sviluppata la gestione del rischio
clinico che, mutuando sistemi già in uso nell’industria avanzata, attraverso lo studio
sistematico delle metodologie operative e l’utilizzo di specifici indicatori si propone di
identificare, quantificare ed analizzare il rischio per giungere all’implementazione di correttivi
che riducano la frequenza e/o l’entità degli eventi avversi.
È doveroso segnalare a tal proposito che il significato con la quale si utilizza il termine
rischio, non è solo quello relativo alla probabilità di danno a carico dell’utente/paziente, ma
concerne anche gli effetti negativi che possono realizzarsi per gli operatori e per il sistema.
Per tali motivi riteniamo che la prevenzione del rischio tromboembolico nella nostra
Azienda Ospedaliera sia una procedura che necessita di opportuno approfondimento in
rapporto alle esigenze delle specifiche U.O. e di chiare raccomandazioni.
È ben noto infatti che eventi tromboembolici possono realizzarsi a prescindere dalla
correttezza del percorso assistenziale posto in essere; allo stesso tempo il loro verificarsi, in
genere improvviso può determinare sia conseguenze quoad vitam e/o quoad valitudinem sia
sconcerto nell’utenza che lo percepisce quale deviazione rispetto alla patologia di base che
aveva richiesto l’intervento assistenziale.
Il verificarsi di una TEV si riverbera, al minimo, in una caduta della qualità percepita se
non proprio in azioni di natura giudiziaria che, a prescindere dall’esito, sono comunque fonte di
impegno economico diretto ed indiretto.
D’altro canto la patologia tromboembolica è con certezza fra le meglio studiate ed
approfondite in letteratura; è a tutti nota l’esistenza di linee guida operative valide
(internazionali, nazionali, regionali e locali) che pur nella libertà terapeutica propria di ciascun
sanitario comunque forniscono elementi di dettaglio circa le modalità applicative finalizzate a
ridurre il rischio di questa tipologia di evento.
In coerenza con quanto sopra la Direzione Sanitaria ha attivato un tavolo tecnico,
coordinato dal Responsabile della U.o.s. Rischio Clinico e Qualità Dott. Domenico Testa e dal
Responsabile della U.o.s. Trombosi Dott.ssa Anita Carlizza, che ha predisposto un progetto
finalizzato alla implementazione di sistemi di gestione del rischio trombo embolico con i
seguenti obiettivi:
a) riduzione dell’incidenza degli eventi tromboembolici;
b) riduzione della gravità al loro verificarsi.
c) riduzione dei sinistri;
d) riduzione dei costi diretti (prolungamento delle spese di degenza) e indiretti (costi di
giudizio ed assicurativi)
e) sviluppo di una maggiore compliance per gli operatori fornendo più alte garanzie;
f) razionalizzazione, alla luce delle evidenze scientifiche, dell’utilizzo dei presidi antitrombotici,
farmacologici e non.
A tal fine, di concerto con le Unità Operative dei Dipartimenti “a maggior rischio trombo
embolico” che hanno partecipato al tavolo tecnico, sono state elaborate le Raccomadazioni
Aziendali per la prevenzione del TEV ed una specifica Scheda per la valutazione del rischio
tromboembolico che viene introdotta nell’uso routinario.
Hanno partecipato al tavolo tecnico, apportando il loro specifico contributo quali
referenti delle UO Dipartimentali, il Dott. Mario Di Lazzaro, il Dott. Marcello Fatale, il Dott.
Biagio Di Girolamo, il Dott. Igino Tanga, Dott. Claudio Rosco, il Dott. Massimo Sposato per il
Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, Dott. Crescenzo Garzilli, Dott. Gianluca D’Elia, la
Dott.ssa Adriana Maiuri, il Dott. Gallo Antonio, il Dott. Massimo Castaldi per il Dipartimento di
Scienze Chirurgiche, la Dott.ssa Caterina De Carolis, il Dott. Raniero Cartocci ed il Dott.
Giansalvatore Colla per il Coordinamento Funzionale per la Tutela della Salute della Donna e
RACCOMANDAZIONI AZIENDALI PER LA
PROFILASSI DEL TROMBOEMBOLISMO
VENOSO IN CHIRURGIA
TROMBOEMBOLISMO VENOSO: LA DIMENSIONE DEL PROBLEMA
La trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare (EP) possono essere considerate
manifestazioni diverse della stessa entità clinica, la malattia tromboembolica venosa.
L’incidenza annuale di tromboembolismo venoso (TEV) nella popolazione generale è stimata
intorno all’ 1-2 per 1.000, aumenta con l’età in modo esponenziale e negli anziani di età
superiore ai 65 anni è 2 o 3 volte più alta rispetto ai soggetti di età inferiore.
I nuovi casi per anno negli USA e in Europa sono più di 250.000, e 60.000 l’anno i casi di
morte per embolia polmonare.
L’incidenza di TEV è sottostimata in quanto sia la TVP che l’EP possono decorrere
asintomatiche e rivelarsi con le sequele a distanza.
Il TEV può essere asintomatico fino al 70% dei casi, e la natura silente del TEV è caratteristica
soprattutto dei pazienti sottoposti a chirurgia ortopedica in cui moltissime TVP ed EP decorrono
asintomatiche.
Molte EP non sono riconosciute ante-mortem, e spesso l’EP si verifica dopo la dimissione
ospedaliera.
Si stima che circa un quinto delle morti improvvise sia dovuto ad EP asintomatica.
Esiste una stretta relazione tra TVP ed EP:
- in circa l’80% dei pazienti con EP si documenta una TVP degli arti inferiori, spesso
asintomatica (fino al 50% dei casi);
- fino al 50% dei pazienti con TVP sintomatica degli arti inferiori ha un’EP asintomatica,
documentata con scintigrafia polmonare;
- la gran parte delle EP sintomatiche ha origine da trombosi venose profonde prossimali degli
arti inferiori (distretto popliteo-femoro-iliaco);
- TVP del polpaccio, degli arti superiori e del distretto succlavio-giugulare più raramente
causano EP;
- TVP distali (a monte della vena poplitea) vanno incontro ad estensione prossimale nel 20%
dei casi e possono pertanto causare un’EP;
- anche una TVP distale, isolata, del polpaccio può causare un’EP.
I dati epidemiologici sopracitati, il carattere spesso insidioso del TEV che può decorrere
asintomatico, almeno nelle fasi iniziali, o rivelarsi con la morte improvvisa, e il rilievo che la
maggior parte dei decessi per embolia polmonare avviene subito dopo l’esordio, sottolineano
l’importanza della malattia tromboembolica venosa e di conseguenza la necessità di una
adeguata prevenzione nei soggetti a rischio e di un adeguato trattamento dei soggetti colpiti.
FATTORI DI RISCHIO TROMBOEMBOLICO
Il TEV è ormai considerato una patologia a genesi multifattoriale, in quanto espressione
dell’interazione tra diversi fattori di rischio.
Il termine “trombofilia” indica la tendenza, acquisita o geneticamente determinata, alla
trombosi, associata ad ipercoagulabiltà.
Moltissimi individui con trombofilia ereditaria o acquisita rimangono asintomatici. L’evento
trombotico è generalmente espressione dell’interazione tra più fattori.
La trombofilia ereditaria è definita da anomalie congenite della coagulazione che
predispongono alla trombosi, come il deficit degli anticoagulanti naturali (antitrombina III,
proteina C, proteina S), e mutazioni genetiche del fattore V (fattore V Leiden) e della
protrombina (protrombina G20210A o fattore II variante). Se la trombofilia ereditaria è
responsabile di più del 50% dei casi di TEV, è altrettanto vero che soggetti con trombofilia,
specie i portatori del più comune fattore V Leiden o della mutazione della protrombina,
rimangono spesso asintomatici.
Fattori di rischio acquisiti includono: età avanzata; immobilizzazione prolungata; ictus o
paralisi; precedente TEV; cancro e terapia oncologica; chirurgia maggiore (particolarmente
interventi sull’addome, pelvi e arti inferiori); trauma (specie fratture del bacino, anca e arti
inferiori); apparecchi gessati; obesità; varici degli arti inferiori; insufficienza cardiaca; malattie
infiammatorie croniche intestinali; sindrome nefrosica; malattia polmonare cronica ostruttiva;
gravidanza e puerperio; uso di estroprogestinici.
Nei pazienti neoplastici l’incremento del rischio tromboembolico è in rapporto ad una
condizione di ipercoagulabilità associata al tumore, in parte dovuta all’espressione di molecole
procoagulanti da parte delle cellule tumorali. La secrezione tumorale del fisiologico fattore
tessutale (TF) riveste un ruolo importante nel generare lo stato di ipercoagulabilità, al quale
contribuiscono anche proteasi seriniche che attivano indirettamente la coagulazione attraverso
la secrezione di tumor necrosis factor (TNF) ed interleuchine che agiscono sulle cellule
endoteliali e mononucleate con espressione finale di molecole procoagulanti. La massa
tumorale può anche comprimere i vasi causando una stasi venosa o addirittura infiltrarli. Alcuni
agenti chemioterapici hanno un’effetto protrombotico, in parte mediato dal danno causato alle
cellule endoteliali. Anche la radioterapia adiuvante incrementa il rischio tromboembolico, e così
pure l’impiego sempre crescente di cateteri venosi centrali.
L’intervento chirurgico di per sé costituisce una condizione di aumentato rischio
tromboembolico, per il traumatismo e le lesioni tessutali nonché la frequente immobilizzazione
peri- o post-operatoria. I fattori di rischio legati alla procedura chirurgica includono: sede, tipo
e durata di intervento (ortopedico maggiore o minore, oncologico, in emergenza o in elezione,
reintervento, intervento mininvasivo…), tipo di anestesia, presenza di cateteri venosi centrali,
stato di idratazione, durata dell’immobilizzazione, eventuali complicanze infettive.
I diversi fattori di rischio hanno un peso relativo diverso nel determinismo del TEV (Tab 1 ), e
così pure è diversa la forza delle possibili interazioni .
Tab. 1 FATTORI DI RISCHIO PER TEV
ALTO GRADO
GRADO INTERMEDIO
BASSO GRADO
Età> 75 anni
60-75 anni
40-60 anni
Pregresso TEV
Familiarità per TEV
Lunghi viaggi (>6 ore)
Pregressa trombosi
superficiale
venosa Gravidanza
Malattia polmonare cronica
ostruttiva
Trombofilia ereditaria severa
Estroprogestinici
Arteriopatia periferica
Puerperio
Abortività
Cirrosi
Chirurgia maggiore
Obesità
Diabete
Chirurgia ortopedica maggiore
Insufficienza venosa cronica
Malattie infiammatorie
croniche intestinali
Sindromi mieloproliferative
Antipsicotici
Traumi
Neoplasie
Ictus e paralisi
Scompenso cardiaco
(NYA III-IV)
Sindrome nefrosica
Insufficienza renale cronica
Infarto miocardico acuto
Sepsi
Ricovero in terapia intensiva
Broncopneumopatia acuta
Immobilizzazione protratta
Recente ricovero (>7 giorni)
APLAs
Il rischio tromboembolico individuale è il risultato dell’interazione tra fattori personali di rischio
congeniti e/o acquisiti e fattori legati alla specifica condizione clinica a rischio (es. intervento
chirurgico), con effetto finale non solo sommatorio.
FARMACI IMPIEGATI NELLA PROFILASSI DEL TEV
EPARINE
Eparina non frazionata
L’eparina non frazionata (ENF) è una miscela di glicosaminoglicani, polisaccaridi solforati con
peso molecolare (p.m.) variabile, compreso tra 3000 e 30.000 Daltons, mediamente intorno a
15.000 Daltons. Esercita la sua azione antitrombotica/anticoagulante mediante l’attivazione
dell’antitrombina III (AT III). Solo un terzo della dose somministrata di eparina si lega all’AT
III, ed è questa frazione la responsabile della gran parte della sua azione anticoagulante.
L’eparina si lega all’AT III grazie al pentasaccaride ad alta affinità e induce un cambiamento
conformazionale nell’AT III trasformandola in un inibitore molto rapido. Il complesso eparinaAT III inattiva diversi enzimi della coagulazione, come la trombina (fattore IIa), i fattori Xa,
IXa, XIa e XIIa. Di questi la trombina e il fattore Xa sono i più responsivi all’inibizione, e la
trombina lo è 10 volte di più rispetto al fattore Xa. L’AT III si lega covalentemente agli enzimi
della coagulazione, quindi l’eparina si dissocia dal complesso e può essere riutilizzata. Per
inibire la trombina, è necessario che l’eparina, con la sua catena lunga, si leghi sia all’AT III
che alla trombina , mentre per l’inattivazione del fattore Xa è sufficiente il legame dell’eparina
con la sola AT III.
L’eparina, inattivando la trombina, non solo previene la formazione di fibrina ma inibisce anche
l’attivazione trombina-indotta del fattore V e del fattore VIII.
L’eparina induce inoltre, da parte delle cellule endoteliali, la secrezione dell’inibitore della via
del fattore tissutale (TFPI) che riduce l’attività procoagulante del complesso del fattore VIIa
tessutale, contribuendo ulteriormente all’azione antitrombotica dell’eparina.
L’attività anticoagulante dell’eparina è variabile poichè solo un terzo delle eparine esercitano
un’azione anticoagulante, e poiché il suo profilo anticoagulante e la clearance sono influenzate
dalla lunghezza delle catene delle molecole, con le frazioni a più alto peso molecolare eliminate
dal circolo più rapidamente di quelle a basso p.m. Ciò provoca un accumulo in vivo delle
frazioni a più basso p.m. che hanno un più basso rapporto di attività anti-fattore IIa/anti
fattore Xa.
Il legame dell’eparina al fattore von Willebrand inibisce la funzione piastrinica fattore von
Willebrand-dipendente.
L’eparina si lega alle piastrine e può indurre o inibire l’aggregazione, prolunga il tempo di
sanguinamento; l’interazione con le piastrine e le cellule endoteliali può contribuire al
sanguinamento con un meccanismo indipendente dall’effetto anticoagulante.
L’eparina aumenta la permeabilità vasale, inibisce la proliferazione delle cellule muscolari lisce
vasali, inibisce gli osteoblasti e attiva gli osteoclasti con conseguente riassorbimento osseo.
Questi ultimi effetti sopracitati sono indipendenti dall’attività anticoagulante dell’eparina, e solo
l’effetto osteopenico può avere rilevanza clinica.
Limiti dell’eparina
Limiti di farmacocinetica sono attribuibili ai legami, AT III indipendenti, dell’eparina a proteine
plasmatiche, a proteine rilasciate dalle piastrine, e possibilmente alle cellule endoteliali, legami
che spiegano la variabilità della risposta anticoagulante all’eparina e il fenomeno della
resistenza all’eparina. Inoltre il legame, sempre AT III- indipendente, dell’eparina ai macrofagi
e alle cellule endoteliali è responsabile del suo meccanismo di clearance dose-dipendente.
Limiti biologici dell’eparina includono l’osteopenia e la piastrinopenia eparino-indotta (HIT).
Eparine a basso peso molecolare
Le eparine a basso peso molecolare (EBPM o LMWH) sono prodotte per degradazione chimica o
enzimatica dell’eparina, generando frazioni di peso molecolare medio compreso tra 3600 e
6500 Daltons. Poiché vengono preparate con diversi metodi di depolimerizzazione, differiscono
tra di loro nelle proprietà farmacocinetiche e nel profilo anticoagulante, pertanto non possono
essere clinicamente intercambiabili .
Tutte le molecole di EBPM che contengono il pentasaccaride ad alta affinità per l’AT III
catalizzano l’inattivazione del FXa, mentre solo una minoranza di molecole con una sequenza di
almeno 18 unità saccaridiche, incluso il pentasaccaride, possono legarsi contemporaneamente
all’AT III e alla trombina inattivando quest’ultima.
Pertanto il rapporto tra attività anti-fattore Xa e attività antitrombinica è vicino a 1 per l’ENF,
mentre per le EBPM varia da 2 a 8 a seconda del loro peso molecolare.
In teoria l’aumentata attività anti-fattore Xa delle EBPM può offrire una maggiore inibizione a
monte della cascata coagulativa, riducendo di conseguenza la produzione di nuova trombina.
Le differenze farmacocinetiche, anticoagulanti e biologiche tra l’ENF e l’EBPM sono attribuibili ai
minori legami dell’EBPM alle proteine circolanti e cellulari.
Rispetto all’ENF, le EBPM hanno una minima interazione con le piastrine, una minore
suscettibilità all’inibizione da parte del fattore piastrinico 4 (PF4), non solo hanno una minore
propensione a stimolare ma possono anche inibire l’attivazione e aggregazione piastrinica,
hanno una maggiore capacità di rilasciare l’inibitore della via del fattore tessutale, non si
legano all’endotelio e hanno una minore affinità per le proteine plasmatiche.
Queste caratteristiche biologiche consentono di superare i limiti sopracitati, AT-indipendenti,
dell’ENF e spiegano la maggiore biodisponibilità, la più lunga emivita plasmatica, la più
prevedibile dose-risposta quando somministrate per via sottocutanea, senza necessità di
monitoraggio di laboratorio. Altri vantaggi clinicamente rilevanti delle EBPM includono il minor
rischio di emorragia, il minor rischio di trombocitopenia eparino-indotta (HIT) e i minori effetti
sul metabolismo osso (Tab 2).
Tab 2
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VANTAGGI DELLE EBPM RISPETTO ALL’ENF
Maggiore biodisponibilità
Più lunga emivita plasmatica
Dose-risposta prevedibile
Non necessità di monitoraggio di laboratorio
Somministrazione a dosi fisse
Ridotto rischio di sanguinamento
Ridotto rischio di HIT
Ridotto rischio di osteopenia
Le EBPM sono eliminate principalmente attraverso il rene, e la loro emivita plasmatica è prolungata
nell’insufficienza renale.
Le preparazioni di EBPM disponibili in commercio variano per lunghezza media delle catene di
glicosaminoglicano e, di conseguenza, nel rapporto tra attività anti-Xa a anti-IIa. Differiscono
inoltre nella forma ionica, nella capacità di rilasciare TFPI, e nella potenzialità di causare
sanguinamenti in modelli sperimentali. Queste differenze in struttura e funzione possono avere
rilevanza clinica e spiegare differenze nell’efficacia e/o sicurezza nei risultati di trials clinici.
Si è discusso molto sulla equivalenza delle EBPM a parità di dosaggio in unità anti-fattore Xa, e
non vi è un generale consenso. E’ opportuno impiegare per ogni specifica indicazione una EBPM
che si è dimostrata efficace per quella indicazione in studi metodologicamente adeguati,
rispettando il dosaggio utilizzato negli studi stessi.
Complicanze del Trattamento Eparinico
Piastrinopenia da eparina
Oltre alle complicanze emorragiche, di cui peraltro il rischio assoluto varia dal 2% al 10% per
gli interventi ad alto rischio emorragico, la reazione avversa più temuta alle eparine è la
piastrinopenia da eparina. Si distinguono due tipi, il tipo I e il tipo II. Nel tipo I la
piastrinopenia è lieve-moderata, compare nei primi 3 giorni dall’inizio della somministrazione di
eparina, è transitoria e non richiede l’interruzione del trattamento. Nel tipo II la piastrinopenia
è immunomediata, con riduzione delle piastrine >50%, si verifica più frequentemente tra il 5°
e il 15° giorno dall’inizio del trattamento, nel 50-75% dei casi si associa paradossalmente a
gravi complicanze trombotiche arteriose e/o venose.
L’antigene è un complesso plurimolecolare di eparina e PF4. Sono necessarie almeno 12-14
unità saccaridiche per formare il complesso antigenico con il PF4. Pertanto molecole di EBPM
>4000 Daltons possono causare la HIT, ma il rischio di produzione di anticorpi e di HIT clinica
è sicuramente inferiore durante il trattamento con EBPM rispetto all’ENF. Considerato il
meccanismo fisiopatologico della HIT, EBPM con catene molto corte fino ad arrivare al solo
pentasaccaride non causeranno la HIT. La piastrinopenia di tipo II si verifica nell’1-3% dei casi
in trattamento con ENF sia a posologia di profilassi che terapeutica, nel 10% dei casi sono
stati rilevati anticorpi anti-eparina nel siero. L’incidenza di piastrinopenia nei pazienti trattati
con EBPM è molto inferiore. Per una diagnosi tempestiva è opportuno controllare la conta
piastrinica durante il trattamento eparinico, ogni 4-5 giorni nelle prime due settimane.
In caso di piastrinopenia da eparina tipo II, certa o sospetta, l’eparina deve essere
immediatamente sospesa e si deve iniziare una terapia antitrombotica alternativa con
Danaparoid, Irudina o Lepirudina, Argatroban, accettabile, in assenza dei farmaci precedenti,
anche il Dermatansolfato.
E’ importante verificare che non vengano somministrate anche piccole dosi di eparina nei
cateteri venosi.
Altre reazioni avverse
L’osteoporosi può intervenire in seguito a terapia prolungata oltre 3 mesi con ENF, più
raramente con EBPM. Sono possibili anche reazioni flogistiche cutanee, aumento delle
transaminasi, alopecia.
FONDAPARINUX
Il fondaparinux è la frazione pentasaccaridica dell’eparina, sintetizzata chimicamente, che
interagisce con l’AT III e inibisce selettivamente e reversibilmente il fattore Xa. Non inibisce
dunque la trombina già formata, ma inibisce la generazione di trombina bloccando la via
intrinseca ed estrinseca della coagulazione attraverso l’azione anti-FXa.
La sua azione antitrombotica è dose-dipendente. Diversamente dall’eparina, tuttavia,
raggiunge un plateau nell’inibizione della generazione di trombina, pertanto un’alta attività
anti-FXa può ridurre ma non completamente bloccare la generazione di trombina. Inibisce
maggiormente la via estrinseca rispetto a quella intrinseca. Per la piena espressione
dell’attività anti-FXa il pentasaccaride necessita di quantità equimolari di AT. Pertanto, basse
concentrazioni plasmatiche di AT limitano l’ azione del pentasaccaride.
Diversamente dall’ENF ed EBPM, il pentasaccaride non libera TFPI, il quale contribuisce
significativamente all’azione antitrombotica delle eparine.
Il pentasaccaride non interagisce con le piastrine, neanche in presenza di anticorpi antieparina
ottenuti da pazienti con HIT. Attualmente si ritiene che la HIT sia dovuta, almeno in parte, ad
anticorpi diretti contro il complesso eparina-PF4. Non vi è alcuna interazione tra il
pentasaccaride ed il PF4. Ed è per questo che il pentasaccaride non dovrebbe generare
anticorpi o causare HIT, né dovrebbe amplificare il processo patologico in pazienti con anticorpi
circolanti antieparina.
Diversamente dall’ENF ed EBPM che esercitano un’azione intermediaria sulla chemiotassi,
aggregazione e fagocitosi dei leucociti, il pentasaccaride non interagisce affatto con i leucociti.
Il solfato di protamina non neutralizza il pentasaccaride, tuttavia l’eparinasi I e l’eparinasi II
clivano ed inattivano il pentasaccaride.
Studi di farmacocinetica hanno rivelato la completa biodisponibilità quando somministrato per
via sottocutanea, la rapida insorgenza d’azione con massima concentrazione ematica raggiunta
in 2 ore, una lunga emivita nella somministrazione sottocutanea (circa 15 ore); l’emivita è
correlata all’emivita dell’AT. Non viene metabolizzato, è eliminato attraverso il rene
immodificato. La clearance è dose-dipendente. Gli anziani hanno una più lunga emivita e una
ridotta clearance.
Nella Tab 3 sono riassunti i vantaggi del pentasaccaride.
Tab 3
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VANTAGGI DEL PENTASACCARIDE
Sintetico; assenza di contaminazione animale
Struttura molecolare ben definita pura, omogenea
Emivita relativamente lunga
Elevata biodisponibilità
Dose-effetto prevedibile
Nessuna interazione con PF4
Nessuna reattività crociata con anticorpi antieparina
Ad oggi segnalato solo qualche caso isolato di HIT
MEZZI FISICI IMPIEGATI NELLA PROFILASSI DEL TEV
Elastocompressione
L’elastocompressione agisce sulla stasi venosa aumentando la velocità di flusso, stimolerebbe
anche la fibrinolisi. I materiali impiegati sono distinti in bende e tutori elastici.
Bende elastiche
L’estensibilità o allungamento è la principale proprietà delle bende che consente di distinguerle
in:
- bende a corta estensibilità (<70%)
- bende a media estensibilità (tra il 70 e il 140%)
- bende a lunga estensibilità (>140%).
Le bende poco estensibili o inestensibili determinano durante la deambulazione notevoli
pressioni di "lavoro", in quanto contrastano l'aumento della circonferenza della gamba dovuto
alla contrazione dei muscoli del polpaccio, mentre esercitano una minima pressione di “riposo”.
Viceversa, le bende elastiche esercitano moderate pressioni di “lavoro” ed alte pressioni di
“riposo”,
mantenendo dunque sul sistema venoso superficiale una pressione continua,
relativamente indipendente dall’attività muscolare, similmente ai tutori elastici che sono
costruiti con fibre ad estensibilità lunga. Di conseguenza i bendaggi rigidi o poco estensibili,
possono essere mantenuti in sede costantemente durante le 24 ore, mentre i bendaggi
estensibili oltre il 70% e le calze elastiche generalmente non sono tollerati durante il riposo
notturno a letto e pertanto vengono di solito rimossi di notte.
Dunque si può regolare la compressione secondo le diverse necessità.
Tutori elastici
I tutori elastici o calze elastiche, di tipo preventivo o terapeutico, sono distinti a seconda della
loro lunghezza in gambaletto,calza a mezza coscia,calza,monocollant,collant.
Quando la compressione esercitata alla caviglia supera i 18 mm di Hg, il tutore è detto
“terapeutico”. Sull’arto inferiore la compressione è definita e graduata, decrescente dal basso
verso l’alto, essendo il 100% alla caviglia, il 70% al polpaccio e il 40% alla coscia.
Le calze cosiddette “antitromboemboliche” per la profilassi del TEV esercitano una
compressione standard di 18 mm di Hg alla caviglia e di 8 mm di Hg alla coscia e quindi
possono essere indossate e tollerate anche a riposo.
Nella profilassi del TEV, l’elastocompressione deve essere applicata prima dell’intervento
chirurgico e generalmente mantenuta per una-due settimane o oltre fino al recupero completo
della deambulazione (es. interventi ortopedici).
L’ elastocompressione può essere impiegata da sola, senza associazione con mezzi
farmacologici, nei pazienti a basso rischio tromboembolico, o nei pazienti ad elevato rischio
emorragico. Può essere impiegata in associazione a farmaci antitrombotici nei pazienti ad alto
rischio tromboembolico.
Compressione pneumatica intermittente (CPI)
La compressione pneumatica intermittente impiega appositi gambali, applicati al piede od alla
gamba o all’intero arto inferiore, gonfiati ad intermittenza, mediante aria o mercurio, e agisce
aumentando la velocità di flusso ematico venoso e attivando la fibrinolisi locale. Sono
disponibili in commercio apparecchi monocamera,
in cui il rigonfiamento avviene
contemporaneamente in tutta la camera, e sequenziali, nei quali il rigonfiamento della camera
avviene in fasi successive in direzione centripeta.
Una metanalisi di 70 trials sulla profilassi del TEV in chirurgia, ha dimostrato che la CPI riduce
la percentuale di trombosi venose profonde e embolie polmonari nel post-operatorio. La CPI è
stata impiegata soprattutto nella profilassi del TEV in chirurgia ad alto rischio emorragico,
dunque in pazienti sottoposti ad interventi neurochirurgici, interventi urologici maggiori,
cardiochirurgici.
In chirurgia ortopedica si è dimostrata efficace nell’artroprotesi d’anca e di ginocchio. Essa è
anche indicata nei pazienti con sospetta o documentata emorragia endocranica o in quelli che
hanno subito un recente trauma cerebrale o spinale. Numerosi studi hanno dimostrato un
potenziamento dell’efficacia antitrombotica nell’associazione di CPI e farmaci antitrombotici
(EBD, EBPM, warfarin). La CPI viene impiegata da sola nei pazienti ad alto rischio emorragico,
almeno inizialmente finchè non si riduce il rischio di sanguinamento.
Controindicazioni al trattamento compressivo
Assolute
arteriopatie concomitanti (soglia di attenzione: PA alla caviglia < 80 mmHg; indice
caviglia/braccio < 0.50); affezioni dermatologiche gravi
Relative:
ulcere con secrezione abbondante, allergia, ipodermite acuta, conformazione anatomica al di
fuori degli standard.
PROFILASSI DEL TEV IN PAZIENTI CHIRURGICI
Studi clinico-epidemiologici sul TEV in pazienti chirurgici, in assenza di profilassi, hanno
rilevato, per lo più mediante captazione del fibrinogeno radiomarcato o flebografia,
un’incidenza di TVP, in chirurgia generale, del 25% che saliva al 29-50% in chirurgia
oncologica, e un’incidenza del 48-64 % in chirurgia ortopedica maggiore (Tab 4 ). E’ stata
riportata un’incidenza dell’1,6% di EP clinicamente manifesta e dello 0,9% di EP fatale nei
soggetti non trattati .
TAB 4 FREQUENZA DI TEV IN CHIRURGIA IN ASSENZA DI PROFILASSI
Chirurgia ginecologica
Chirurgia generale
Chirurgia urologica
Chirurgia oncologica
Chirurgia ortopedica maggiore
Politrauma
Frequenza di TVP
16 %
25 %
41 %
29-50 %
48-64 %
58 %
Tali studi hanno anche consentito di definire diversi gradi di rischio tromboembolico (basso,
moderato, alto, molto alto) (Tab. 5).
Tab. 5 PROBABILITÀ DI TEV PER CLASSE DI RISCHIO IN ASSENZA DI PROFILASSI
LIVELLI DI RISCHIO
•
•
•
•
Basso rischio
Rischio Moderato
Rischio alto
Rischio molto alto
TVP
(%)
2
10-20
20-40
40-80
distale TVP
(%)
0.4
2-4
4-8
10-20
prossimale EP clinica (%) EP fatale(%)
0.2
1-2
2-4
4-10
0.002
0.1-0.4
0.4-1
0.2-5
Si riporta di seguito la classificazione del rischio tromboembolico post-operatorio proposta dalla
8° ACCP Conference (Tab 6 ).
Tab. 6 CLASSIFICAZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO POSTOPERATORIO
(8a ACCP Consensus Conference 2008)
•
Rischio basso
Chirugia minore in pazienti di età <40 anni, senza fattori di rischio addizionali
•
Rischio moderato
Chirurgia minore in pazienti con fattori di rischio addizionali
Chirurgia in pazienti di età 40-60 anni, senza fattori di rischio addizionali
•
Rischio alto
Chirurgia in pazienti di età >60 anni, o di età 40-60 con fattori di rischio addizionali
(precedente TEV, cancro, trombofilia)
•
Rischio altissimo
Chirurgia in pazienti con multipli fattori di rischio (età>40 anni, neoplasia, pregresso TEV)
Artroplastica dell’anca o del ginocchio
Chirurgia per frattura di femore
Gravi traumi; lesioni del midollo spinale
I pazienti a rischio tromboembolico più elevato sono quelli che si sottopongono ad interventi di
chirurgia oncologica, chirurgia ortopedica maggiore degli arti inferiori, specie se anziani e se
immobilizzati a letto dopo l’intervento, nonchè quelli con traumi maggiori o lesioni del midollo
spinale.
Fattori addizionali di rischio tromboembolico in chirurgia includono: neoplasia, precedente TEV,
obesità, varici degli arti inferiori, estroprogestinici (questi ultimi vanno sospesi 4 settimane
prima dell’intervento), età, tipo di anestesia (l’anestesia spinale/epidurale sembra associata ad
un minor rischio di TEV, ma questa riduzione non è tale da giustificare l’omissione della
profilassi), immobilizzazione perioperatoria, stato di idratazione, eventuali infezioni.
I modelli per la definizione del rischio di TEV in chirurgia sono particolarmente utili per
programmare una appropriata profilassi del TEV nel singolo paziente.
E’ indicato, prima dell’intervento, valutare oltre al rischio tromboembolico anche il rischio
emorragico. I dati anamnestici, obiettivi e di laboratorio, consentiranno di distinguere i pazienti
a rischio emorragico normale e aumentato (Tab 7 ).
Tab. 7 CLASSI DI RISCHIO EMORRAGICO
•
Rischio emorragico normale
•
Rischio emorragico elevato
Recente emorragia digestiva.
Recente emorragia a carico del sistema nervoso centrale.
Diatesi emorragica (inclusi farmaci attivi sull’emostasi nei 4 giorni precedenti
l’intervento;attività protrombinica <60%; piastrine <100.000; PTT oltre i limiti superiori
della norma (eccetto allungamento dovuto a deficit dei fattori di contatto della coagulazione
o a presenza di Lupus Anticoagulant, casi in cui il rischio emorragico è normale).
Trauma cranico recente.
Ipertnsione arteriosa grave resistente alla terapia.
Grave insufficienza epatica o renale.
Retinopatia proliferativa diabetica.
Rischio intrinseco sec.tipologia di intervento.
Le Raccomandazioni per la Profilassi del TEV in Chirurgia che vengono presentate
fanno riferimento essenzialmente all'8° ACCP Conference del 2008.
BIBLIOGRAFIA
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PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA IN CHIRURGIA GENERALE
Chirurgia maggiore:
interventi di durata >30 min
o di chirurgia addominale
Chirurgia minore:
interventi di durata<30 min
esclusa la chirurgia addominale
VALUTAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI TEV (v.allegato A):
RISCHIO MOLTO ALTO /
ALTO
RISCHIO MODERATO
RISCHIO BASSO
Mobilizzazione
precoce (grado 1A )
Rischio di sanguinamento?
(v. allegato B)
NO
SI
Compressione
elastica
e/o
Compressione pneumatica intermittente (grado 1A);
fino a quando si riduce il rischio di
sanguinamento, poi sostituire con
(o
associare
a)
profilassi
farmacologica (grado 1C)
(v.allegato C)
Profilassi farmacologica
RISCHIO ALTO
EBPM in dose >3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 4000; Seleparina 0,4)
iniziando 12 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
RISCHIO MODERATO
EBPM in dose ≤3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 2000; Seleparina 0,3)
iniziando 1-2 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
se RISCHIO MOLTO ALTO aggiungere
CE o CPI
Conta piastrinica basale, a 5, 10, 15 giorni (rischio di piastrinopenia eparino-indotta [HIT] ).
Non indicato monitoraggio del PT, PTT.
Durata: fino alla dimissione (grado 1A ) o per almeno 7-10 gg o finchè non deambula; per pazienti
sottoposti a chirurgia oncologica maggiore o con storia di TEV fino a 28 gg dopo la dimissione (grado
2A )
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA IN CHIRURGIA GINECOLOGICA
Chirurgia maggiore:
interventi di durata >30 min
Chirurgia minore:
interventi di durata<30 min,
compresa la laparoscopia
VALUTAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI TEV (v.allegato A):
RISCHIO MOLTO ALTO /
RISCHIO MODERATO
RISCHIO BASSO
ALTO
Mobilizzazione
precoce (grado 1A )
Rischio di sanguinamento?
(v. allegato B)
SI
NO
Compressione
elastica
e/o
Compressione pneumatica intermittente (grado 1A);
fino a quando si riduce il rischio di
sanguinamento, poi sostituire con
(o
associare
a)
profilassi
farmacologica (grado 1C).
(v.allegato C)
Profilassi farmacologica
RISCHIO ALTO
EBPM in dose >3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 4000; Seleparina 0,4)
iniziando 12 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
RISCHIO MODERATO
EBPM in dose ≤3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 2000; Seleparina 0,3)
iniziando 1-2 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
se RISCHIO MOLTO ALTO aggiungere
CE o CPI
Durata: fino alla dimissione (grado 1A ) o per almeno 7-10 gg o finchè non deambula; per
pazienti sottoposti a chirurgia oncologica maggiore o con storia di TEV fino a 28 gg dopo la
dimissione (grado 2A )
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA IN CHIRURGIA UROLOGICA
Conta piastrinica basale, a 5, 10, 15 giorni (rischio di piastrinopenia eparino-indotta [HIT]).
Non indicato monitoraggio del PT, PTT.
Chirurgia maggiore:
Chirurgia minore:
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA IN CHIRURGIA UROLOGICA
Chirurgia maggiore:
interventi “open”
(nefrectomia, prostatectomia, cistectomia).
Chirurgia minore:
procedure transuretrali, chirurgia genitali
esterni, litotrissia
Chirurgia mini-invasiva:
chirurgia robotica, chirurgia laparoscopica
VALUTAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI TEV (v.allegato A):
RISCHIO MOLTO ALTO /
ALTO
RISCHIO MODERATO
RISCHIO BASSO
Mobilizzazione
precoce (grado 1A )
Rischio di sanguinamento?
(v. allegato B)
NO
SI
Compressione
elastica
e/o
Compressione pneumatica intermittente (grado 1A);
fino a quando si riduce il rischio di
sanguinamento, poi sostituire con
(o
associare
a)
profilassi
farmacologica (grado 1C)
(v.allegato C)
Profilassi farmacologica
RISCHIO ALTO
EBPM in dose >3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 4000; Seleparina 0,4)
iniziando 12 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
RISCHIO MODERATO
EBPM in dose ≤3400 ui/die
(disponibili in ospedale:
Clexane 2000; Seleparina 0,3)
iniziando 1-2 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die
iniziando 6-8 ore dopo l’intervento
se RISCHIO MOLTO ALTO aggiungere
CE o CPI
Durata: fino alla dimissione (grado 1A ) o per almeno 7-10 gg o finchè non deambula; per pazienti
sottoposti a chirurgia oncologica maggiore o con storia di TEV fino a 28 gg dopo la dimissione
(grado 2A )
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA
Conta piastrinica basale, a 5, 10, 15 giorni (rischio di piastrinopenia eparino-indotta [HIT] ).
Non indicato monitoraggio del PT, PTT.
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA
IN CHIRURGIA ORTOPEDICA MAGGIORE
ARTROPROTESI ELETTIVA D’ANCA, ARTROPROTESI ELETTIVA DI
GINOCCHIO, CHIRURGIA PER FRATTURA DI FEMORE
RISCHIO MOLTO ALTO
Rischio di sanguinamento?
(v. allegato B)
SI
Compressione
elastica
e/o
Compressione pneumatica intermittente (grado 1A);
fino a quando si riduce il rischio di
sanguinamento, poi sostituire con
(o
associare
a)
profilassi
farmacologica (grado 1C)
(v.allegato C)
NO
Profilassi farmacologica
EBPM in dose per l’alto rischio ( >3400 ui/die) (grado 1A per protesi d’anca e di ginocchio, grado 1B
per chirurgia per frattura di femore)
(disponibili in ospedale:
Clexane 4000;
Seleparina 0,4, se peso corporeo >70 kg: Seleparina 0,6)
iniziando 12 ore prima dell’intervento
o
Fondaparinux (Arixtra) 2,5 mg/die (grado 1A)
(ridurre a 1,5 mg se clearance della creatinina tra 20 e 50 ml/min)
iniziando da 6 a 24 ore dopo l’intervento
N.B. se l’intervento per frattura d’anca è ritardato, iniziare la profilassi con EBPM precocemente dopo
la frattura (grado 1C)
Durata: fino a 35 giorni dopo l’intervento (grado 1A per artroprotesi elettiva d’anca e per frattura
d’anca; grado 2B per artroprotesi di ginocchio )
Conta piastrinica basale, a 5, 10, 15 giorni (rischio di piastrinopenia eparino-indotta [HIT] ).
Non indicato monitoraggio del PT, PTT.
PROFILASSI ANTITROMBOEMBOLICA IN CHIRURGIA ORTOPEDICA
ARTROSCOPIA DEL GINOCCHIO
VALUTAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI TEV (v.allegato A):
RISCHIO MODERATO/ALTO
(fattori aggiuntivi di rischio
o procedura complicata)
RISCHIO BASSO
Mobilizzazione
precoce (grado 2B )
EBPM a dose sec. livello di
rischio (grado 1B)
Allegato A
VALUTAZIONE DEL RISCHIO INDIVIDUALE DI TEV
FATTORI INDIVIDUALI DI RISCHIO DI TEV
Età >75 anni
Obesità
Presenza di varici
Pregressa trombosi venosa/embolia polmonare
Trombofilia congenita o acquisita
Neoplasia maligna
Terapia antineoplastica (ormono-chemio-radioterapia, inibitori
dell’angiogenesi).
Patologie quali: infezioni gravi, ictus cerebrale con paralisi/paresi, scompenso
cardiaco, infarto miocardico recente, insufficienza respiratoria, malattie
mieloproliferative, malattie infiammatorie croniche dell’intestino, sindrome
nefrosica, malattia di Behcet, emoglobinuria parossistica notturna.
Gravidanza o puerperio
Contraccezione orale o terapia ormonale sostitutiva
Agenti stimolanti l’eritropoiesi
Catetere venoso centrale
Compressione venosa (ematomi, tumori)
CLASSIFICAZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO
POSTOPERATORIO (7°ACCP)
•
Rischio basso
Chirugia minore in pazienti di età <40 anni, senza fattori di rischio addizionali.
•
Rischio moderato
Chirurgia minore in pazienti con fattori di rischio addizionali.
Chirurgia in pazienti di età 40-60 anni, senza fattori di rischio addizionali.
•
Rischio alto
Chirurgia in pazienti di età >60 anni, o di età 40-60 con fattori di rischio addizionali
(precedente TEV, cancro, trombofilia).
•
Rischio altissimo
Chirurgia in pazienti con multipli fattori di rischio (età>40 anni, neoplasia, pregresso TEV).
Artroplastica dell’anca o del ginocchio.
Chirurgia per frattura di femore.
Gravi traumi; lesioni del midollo spinale.
RISCHIO:
BASSO 
MODERATO 
ALTO 
ALTISSIMO 
Allegato B
CONDIZIONI DI RISCHIO EMORRAGICO
Recente emorragia digestiva
Recente emorragia a carico del sistema nervoso centrale
Diatesi emorragica (inclusi assunzione di farmaci attivi sull’emostasi nei 4 giorni precedenti
l’intervento, attività protrombinica <60%, piastrine < 100.000, PTT oltre i limiti superiori della
norma (eccetto l’allungamento dovuto a deficit dei fattori di contatto della coagulazione o a
presenza di Lupus Anticoagulant, casi in cui il rischio emorragico è normale)
Trauma cranico recente
Ipertensione arteriosa grave resistente alla terapia
Grave insufficienza epatica o renale
Retinopatia proliferativa diabetica
Rischio intrinseco sec. tipologia di intervento
Allegato C
CONTROINDICAZIONI ALL’ ELASTOCOMPRESSIONE /
COMPRESSIONE PNEUMATICA INTERMITTENTE
-Scompenso cardiaco congestizio
-Edema massivo degli arti inferiori
-Arteriopatia di grado severo (ABI<0,5)
-Lesioni trofiche degli arti inferiori
-Fratture degli arti inferiori
-Gravi deformità degli arti inferiori
UOC________________________
PROFILASSI DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO
SCHEDA PAZIENTE
Cognome_____________________________
Data di nascita________________________
Nome_______________________________
Diagnosi_____________________________
Intervento_____________________________________________
RISCHIO di TEV:
BASSO 
MODERATO 
Data______________
ALTO 
ALTISSIMO 
-Mobilizzazione:
sì  quando_________________________
no 
-Calze elastiche:
sì 
no 
-Compressione pneumatica intermittente:
sì 
no 
-Terapia antiaggregante prima del ricovero: no 
sì , specificare______________________
sospesa in data______________________
-Terapia anticoagulante prima del ricovero: no 
sì , specificare______________________
sospesa in data_________________
sostituita con__________________________________
-Profilassi farmacologica: no 
sì , specificare farmaco e dose____________________________________________
data inizio________________
data e ora dell’ultima somministrazione prima dell’intervento __________________________
durata prevista ________________
conta piastrinica: basale ___________ 5°g__________ 10°g___________ 15°g__________
-Complicanze: no 
sì , specificare________________________________________________
NOTE:______________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
Medico:______________________________
Firma_____________________________