Documenti per la Salute 2

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Documenti per la Salute 2
Documenti per la Salute 2
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
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Atti del Seminario
Diagnosi e trattamento
dei neovasi sottoretinici
GIUNTA DELLA PROVINCIA
AUTONOMA DI TRENTO
AZIENDA PROVINCIALE
PER I SERVIZI SANITARI
Trento 1999
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
ã
copyright Giunta della Provincia Autonoma di Trento, 1999
Collana
Documenti per la Salute - 2
Assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute
Servizio Programmazione e Ricerca Sanitaria
Via Gilli, 4 – 38100 Trento
tel. 0461/494037, fax 0461/494073
e-mail: [email protected]
Atti del seminario
realizzato a Trento il 24 maggio 1997
dall'Azienda provinciale per i Servizi Sanitari,
Unità Operativa Oculistica dell'Ospedale di Trento
con il patrocinio di:
Presidente del Senato della Repubblica
Giunta della Provincia Autonoma di Trento
A cura di:
Mauro De Concini
Paolo Conci
Coordinamento editoriale:
Vittorio Curzel
Editing:
Giovanna Forti
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L'aumento della durata media della vita ha portato negli ultimi decenni all'incremento
di patologie oculari invalidanti una volta meno frequenti.
Fra le cause principali di cecità nelle nazioni occidentali, come l'Italia, oggi prevale la
maculopatia così detta senile. Considerata la maggior causa di cecità legale oltre i 65
anni, questa malattia retinica è oggetto di studio e di ricerca in tutti gli ambienti scientifici
internazionali.
Nonostante le migliorate conoscenze, i progressi della farmacologia e i perfezionamenti
apportati nei metodi di diagnosi e di controllo clinico, non esiste a tutt'oggi una cura
risolutiva della maculopatia e della neovascolarizzazione sottoretinica. La prevalenza
della cecità legale che oggi è stimata in ambito nazionale allo 0,2%, obbliga
l'amministrazione sanitaria a potenziare tutti gli strumenti specialistici utili nella diagnosi
precoce delle malattie oculari.
Divulgare sempre più la cultura della prevenzione della cecità e della riabilitazione
visiva in tutti gli ambienti della vita sociale, vuole essere inoltre un impegno concreto
dell'Amministrazione provinciale soprattutto nei confronti dei soggetti ipovedenti che
oggi rappresentano un fenomeno sempre più ampio.
La collaborazione con i medici nel promuovere le attività di prevenzione, cura e
riabilitazione nonchè il miglioramento continuo della qualità e la verifica dei risultati e
il costante aggiornamento tecnico, sono il risultato di una concezione nuova della
medicina contemporanea che intende la malattia non solo come fatto individuale ma
anche come fenomeno sociale.
Questa pubblicazione, arricchendo con le conoscenze più attuali l'operatore sanitario,
vuole dare un contributo concreto alla cura ed alla prevenzione di quella che oggi
costituisce la principale causa di minorazione visiva dell'età evolutiva.
dott. Mario Magnani
Assessore provinciale alle
politiche sociali e alla salute
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Indice
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Presentazione
Introduzione
13
Cap. 1, G. Virgili, P. Lanzetta, U. Menchini
I neovasi sottoretinici: diagnosi e monitoraggio
21
Cap. 2, P. Lanzetta, S. Crovato, G. Virgili
Angiografia con verde di indocianina: attuali indicazioni
35
41
55
61
Cap. 3, P. Steindler, E. Milan
Studio elettrofunzionale nei neovasi sottoretinici: attuali
orientamenti
Cap. 4, A. Pece
La miopia elevata o degenerativa
Cap. 5, F. Bandello, C. Incorvaia, G. Mingrone
Degenerazione maculare legata all'età: indicazioni al trattamento
laser
Cap. 6, U. Menchini, G. Virgili, P. Lanzetta
I neovasi sottoretinici: trattamento laser
73
Cap. 7, G. Paolo, A. Crestani
Utilità della microperimetria nella valutazione preoperatoria delle
membrane sottoretiniche
83
Cap. 8, V. De Molfetta, F. Bottoni
La chirurgia maculare delle membrane neovascolari sottoretiniche
subfoveali
99
Cap. 9, A. Crestani
Complicanze della chirurgia delle membrane sottoretiniche
107
Cap. 10, P. Lanzetta, S. Crovato, G. Vergili
Nuove frontiere terapeutiche nella degenerazione maculare senile
121
Cap. 11, M. Broggini
Riabilitazione visiva e sviluppo della fissazione eccentrica
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Presentazione
Negli ultimi decenni anche la medicina, complice il progresso tecnologico, ha iniziato
una lenta trasformazione da arte empirica a scienza; gli effetti di tale trasformazione
sono ben tangibili nel mondo industrializzato, dove la durata media della vita è in costante
aumento.
In contrapposizione a questo aspetto positivo, però, si è assistito all'incremento di
patologie una volta relativamente infrequenti e che oggi, invece, costituiscono uno dei
problemi medici di più difficile gestione. Uno di questi, la degenerazione maculare legata
all'età, è la maggior causa di cecità legale al di sopra dei 65 anni.
Si può ben comprendere come ciò comporti, oltre ad un cospicuo costo economico,
anche un drammatico risvolto umano, dal momento che la menomazione visiva determina
in pratica l'impossibilità della lettura, tanto più grave in persone che hanno spesso in
essa una valida compagnia.
Purtroppo a tutt'oggi le possibilità terapeutiche della moderna medicina hanno grossi
limiti, tando che siamo praticamente impotenti nelle degenerazioni cosiddette atrofiche
e possiamo curare con qualche risultato apprezzabile solo il 10% circa delle forme
edematose.
I recenti miglioramenti diagnostici apportati dall'angiografia con il verde di
indocianina, l'introduzione di nuove sorgenti laser e di nuove tecniche di chirurgia retino
vitreale, hanno solo migliorato leggermente le nostre capacità, di certo non al punto da
costituire una soluzione soddisfacente dei problemi che quotidianamente incontriamo.
Fortunatamente qualcosa di nuovo sta comparendo all'orizzonte: la terapia
fotodinamica muove finalmente i primi passi concreti dopo tante promesse non
mantenute. La possibilità di chiudere selettivamente i vasi neoformati salvaguardando le
strutture sane circostanti, costituisce una propsettiva affascinante sia per il paziente, sia
perchè no, per l'operatore.
Altre novità stanno per apparire all'orizzonte: gli inibitori del fattore neovascolare
endoteliale, la terapia genica, il trapianto di retina autologa, tanto per nominare le più
affascinanti.
Questo volume costituisce il sunto delle nostre capacità attuali.
Prof. Ugo Menchini
Direttore Clinica Oculistica
Università di Udine
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Introduzione
L'oftalmologia, scienza medica molto antica, ha subito negli ultimi decenni
una grande trasformazione grazie alle importanti acquisizioni scientifiche
e tecniche che oggi la contraddistinguono.
Il prolungamento della vita media tuttavia ha modificato l'entità e
l'incidenza di molte malattie oculari invalidanti. Sempre più sono i pazienti
che dopo i 65 anni presentano un grave handicap visivo non risolvibile
con le più moderne terapie e tecniche operatorie.
Scopo della pubblicazione è quello di presentare i rusultati delle ricerche
scientifiche internazionali più attuali: dai nuovi sistemi diagnostici retinici
alle più efficaci molecole farmacologiche, dalle nuove sorgenti laser alle
più sofisticate tecniche di chirurgia vitreo-retinica.
L'opportunità di raccogliere in un testo esperienze qualificate in ambito
nazionale ed internazionale, come quelle del prof. Vito de Molfetta e del
prof. Ugo Menchini, rendono questo lavoro strumento utile ed attuale
per migliorare le conoscenze sulla neovascolarizzazione sottoretinica e sulla
maculopatia dell'età evolutiva.
La pubblicazione avrà raggiunto il suo scopo se riuscirà inoltre ad arricchire
ed aggiornare lo specialista di base chiamato ad un confronto quotidiano
con la malattia.
Prof. Mauro De Concini
Primario Oculistica
Ospedale di Trento
Dott. Paolo Conci
Resp. Servizio Laser Terapia
Divisione Oculistica
Ospedale di Trento
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CCAPITOLO
APITOLO 11
I neovasi sottoretinici:
diagnosi e monitoraggio
G IANNI VIRGILI, P AOLO LANZETTA, UGO MENCHINI
La neovascolarizzazione sottoretinica o coroideale (CNV) in corso di
degenerazione maculare legata all’età (AMD) è responsabile del 50% dei
casi di cecità civile nelle società industrializzate(1). Al di sotto di 50 anni, la
miopia è la più frequente causa di CNV, seguita dalle forme idiopatiche, la
pseudoistoplasmosi e la coroidopatia multifocale, le strie angioidi ed altre
cause più rare(2).
La diversa eziopatogenesi della CNV condiziona solamente in piccola
parte le metodiche di diagnosi e monitoraggio della malattia. Le angiografie
a fuorescenza (FAG) e con verde di indocianina (ICGA) ed il trattamento
laser sono tecniche diagnostiche e terapeutiche fondamentali in tutti i casi.
Al contrario, la storia naturale e la risposta al trattamento differiscono a
seconda della eziologia, essendo la AMD tanto la forma più diffusa quanto
tra quelle a prognosi peggiore.
Alcune osservazioni sulla sintomatologia legata alla malattia e sulle
modalità del follow-up possono essere utili a completare i capitoli che
verranno sviluppati di seguito, quali quelli riguardanti l’angiografia oculare
e la fotocoagulazione.
Sintomatologia associata alla CNV
Una sensazione di annebbiamento o di riduzione del visus, la distorsione
dell’immagine, la percezione di uno scotoma sono i sintomi più
frequentemente accusati dai pazienti in cui insorge una CNV (3-5). Le
metamorfopsie sono associate alla presenza del fluido sottoretinico ed
all’edema retinico, con conseguente dislocazione e distorsione dei
fotorecettori.
Grey et al.(6) hanno osservato che la durata dei sintomi è inversamente
proporzionale alla trattabilità della lesione, che in questo studio veniva
intesa come margine della CNV ad almeno 100 micron dal centro della
FAZ. Il 53% delle CNV i cui sintomi si erano manifestati da un mese
erano trattabili, mentre lo era il 15% delle lesioni sintomatiche da più di 4
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CAPITOLO 1
mesi e l’1% delle lesioni sintomatiche da almeno un anno. Questo dato è
ovviamente in relazione alla velocità di accrescimento della lesione e alla
invasione della fovea. Klein et al.(7) hanno verificato che il 53% delle CNV
si dirige verso la fovea con una velocità compresa tra 0 e 74 micron al
giorno, con una media di 18 micron. Non è possibile prevedere con certezza
le capacità di accrescimento della lesione; tuttavia, le membrane più grandi
tendono a crescere a velocità maggiore.
Il paziente che venga colpito per la prima volta dalla malattia non è in
genere a conoscenza del significato dei sintomi che percepisce. Questo
fatto può indurre ad una attesa che riduce le possibilità di trattamento
fotocoagulativo. Per questo motivo è opportuno informare i pazienti con
lesioni retiniche a rischio, scoperte casualmente durante visite di routine,
della necessità di una valutazione precoce in caso di comparsa dei sintomi
descritti. Si tratta in particolare di pazienti anziani con soft drusen o
iperpigmentazione, o di soggetti miopi con rotture della membrana di
Bruch in regione maculare.
In presenza di una CNV evoluta, in genere bilaterale, è frequente la
comparsa di sintomi quali le fotopsie e le allucinazioni visive(8); queste
ultime possono assumere l’aspetto di forme geometriche (triangoli,
quadrati, ecc.) o di fiori, volti, ed altre figure complesse che inducono a
volte il paziente a consultare un neurologo o uno psichiatra. Questi sintomi
sono in genere correlati alla cronicità del processo e ad un deficit visivo
grave.
Aspetti biomicroscopici
La neovascolarizzazione coroideale è raramente visibile direttamente con
l’oftalmoscopia(9). Nella AMD essa si può a volte apprezzare come un’area
di decolorazione grigiastra sottoretinica, spesso contornata da emorragiole
che provengono dall’arcata anastomotica periferica. Un anello di
iperpigmentazione può talora delimitare i confini della lesione. Una fine
alterazione dell’epitelio pigmentato associata a sollevamento retinico
sovrastante può essere il segno di una lesione occulta. La componente
vascolare della CNV può essere visualizzata direttamente, in particolare
nelle lesioni classiche. In questo caso si apprezza un gettone sottoretinico
rossastro o brunastro (fig. 1), mentre per lesioni di grandi dimensioni è
possibile a volte osservare i vasi neoformati che corrispondono ai tronchi
afferente ed efferente o alle loro ramificazioni.
Più comunemente la lesione può essere sospettata per i segni indiretti. Il
più importante di essi è il sollevamento sieroso retinico; il suo rilievo è
fondamentale tanto nel porre il sospetto clinico di CNV, quanto nel
monitoraggio dopo la fotocoagulazione; infatti, la sua presenza induce a
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CAPITOLO 1
considerare con attenzione qualsiasi iperfluorescenza localizzata in
corrispondenza dell’area trattata ricercando una eventuale diffusione di
colorante o segni biomicroscopici diretti della presenza della CNV.
Altri segni indiretti associati alla CNV sono: le emorragie profonde,
che contornano spesso la lesione, provenendo dalla arcata vascolare
periferica; gli essudati duri, disposti in genere al margine del sollevamento
neuroepiteliale; l’edema maculare cistoide; gli shunt retino-coroideali; la
fibrosi sottoretinica, nei casi più avanzati.
Il distacco dell’epitelio pigmentato (DEP) è un importante segno di
sospetto della presenza di una CNV. Molti classici segni fluorangiografici
di vascolarizzazione del DEP possono essere osservati anche
biomicroscopicamente: incisura del margine del DEP che contenga una
piccola area rilevata sottoretinica; coesistenza di un sollevamento
neuroepiteliale; presenza di una componente solida e meno rilevata del
DEP, oltre ad una porzione sierosa più rilevata; emorragie od essudati
duri; contenuto proteico torbido del DEP; shunt retinocoroideali.
Monitoraggio dei pazienti dopo il trattamento laser
La frequenza delle recidive dopo il trattamento laser della CNV induce a
seguire questi pazienti in maniera ravvicinata nei primi 3-6 mesi, periodo a
maggior rischio di recidiva(10-12). La scaletta da noi utilizzata per il follow­
up prevede controlli angiografici a 7-15-30-50 giorni, quindi mensilmente
sino al sesto mese. I controlli clinici possono servire a ridurre la frequenza
degli esami angiografici quando si sia formata una cicatrice atrofica in
corrispondenza della lesione. È fondamentale che il paziente venga invitato
al monitoraggio delle metamorfopsie, istruendolo a ripresentarsi per un
controllo clinico qualora esse ricompaiano o aumentino. La persistenza o
l’aumento delle metamorfopsie, come pure la persistenza di un
sollevamento neuroepiteliale maculare, deve anche indurre ad un
atteggiamento più aggressivo nei confronti di ogni possibile recidiva.
Nonostante l’utilizzo del test di Amsler sia ormai consolidato(3, 13, 14), alcune
osservazioni più recenti hanno evidenziato una scarsa riproducibilità del
test stesso(15-17). L’utilizzo di griglie modificate (threshold Amsler grid,
illuminated Amsler grid) potrebbe aumentare l’efficacia preventiva del test
stesso(18-21).
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CAPITOLO 1
Fig. 1. Aspetto in retinografia a luce aneritra di una piccola
neovascolarizzazione iuxtafoveale superiore (in alto a sinistra); la lesione appare
come un gettone rotondeggiante brunastro e presenta una emorragiola al
margine superiore. In fluorangiografia (in alto a destra) questa piccola CNV
classica si presenta precocemente iperfluorescente, circondata da un alone
ipofluorescente; essa diffonde il colorante nelle fasi tardive (in basso a sinistra).
Le fasi precoci della angiografia con ICG mostrano un alone ipofluorescente
legato ad effetto schermo in corrispondenza della CNV (in basso a destra).
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CAPITOLO 1
L’occhio controlaterale nella AMD
Il Macular Photocoagulation Study Group ha recentemente pubblicato i
risultati di una analisi sul rischio di insorgenza della CNV nell’occhio
controlaterale di pazienti affetti da AMD essudativa trattata con
fotocoagulazione(22). Il rischio è mediamente del 25% in 5 anni, ma può
variare dal 7 all’80% a seconda della presenza dei seguenti fattori di rischio:
una o più drusen di dimensioni maggiori a 63 micron in sede maculare
(rischio relativo (RR)=1.5); almeno 5 drusen di dimensioni maggiori a 63
micron in sede maculare (RR=2.1); iperpigmentazione focale in sede
maculare (RR=2.0); ipertensione arteriosa (RR=1.7). La presenza di soft
drusen e di iperpigmentazione è risultata il principale fattore di rischio
anche in altri studi(23-25).
Nel caso il primo occhio presenti una CNV occulta e venga colpito
anche l’occhio controlaterale, quest’ultimo sviluppa a sua volta una CNV
occulta dello stesso tipo (ossia con o senza DEP) nel 80-90%(26).
La conoscenza di questi dati è importante per la formulazione della
prognosi e per seguire con maggiore attenzione i pazienti che presentino
un rischio più elevato. È opportuno istruire questi pazienti a monitorare
la visione nell’occhio controlaterale, utilizzando anche il test di Amsler
per il rilievo precoce di metamorfopsie o comparsa di scotomi e consentire
una diagnosi precoce nel caso di una insorgenza della malattia.
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CAPITOLO 1
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
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CCAPITOLO
APITOLO 22
Angiografia con verde di indocianina:
attuali indicazioni
P AOLO LANZETTA, SABRINA CROVATO, G IANNI VIRGILI
Caratteristiche di base del verde di indocianina.
L’applicazione in oftalmologia dell’angiografia con fluoresceina, negli anni
‘60, ha determinato un notevole progresso nello studio della patologia
retinica(1-3). Le peculiari proprietà del tracciante usato, quali l’alto grado di
efficienza in termini di fluorescenza e il buon contrasto offerto dall’epitelio
pigmentato retinico, rendono tale colorante ideale per delimitare la rete
capillare retinica. Al contrario la fluoroangiografia non è altrettanto efficace
nel visualizzare la circolazione coroideale (4).
Infatti la scarsa trasmissione della fluorescenza attraverso mezzi diottrici
opachi, lo schermo costituito dall’epitelio pigmentato retinico e
manifestazioni patologiche, quali emorragie ed essudati, unitamente alla
rapida fuoriuscita del tracciante attraverso la coriocapillare, limitano l’utilità
di tale esame nel caso si vogliano studiare i vari coroideali normali o
patologici.
Il verde di indocianina è un derivato idrosolubile della tricarbocianina
che gode di diversi vantaggi rispetto alla fuoresceina per quanto riguarda
la visualizzazione angiografica della coroide. Uno di questi è costituito
dall’assorbanza ed emissione nel vicino infrarosso. I picchi di eccitazione
ed emissione nel sangue sono infatti rispettivamente a 805 e 835 nm. Tali
lunghezze d’onda permettono di superare la barriera costituita dall’epitelio
pigmentato retinico, eventuali emorragie o essudati ed opacità dei mezzi
diottrici(5-8). Infatti l’epitelio pigmentato retinico e la coroide assorbono
tra il 50 e il 75% della radiazione nello spettro blu-verde (circa 500 nm) e
solo il 21-38% nello spettro dell’infrarosso (circa 800 nm)(9). Il verde di
indocianina, inoltre, si lega per il 98% alle proteine plasmatiche, rendendo
trascurabile la propria diffusione attraverso l’endotelio fenestrato della
coriocapillare. Questa proprietà permette una migliore definizione dei vasi
coroideali rispetto alla fluorangiografia.
Indicazioni
Studi multicentrici sulla degenerazione maculare legata all’età hanno
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CAPITOLO 2
dimostrato l’efficacia della fotocoagulazione laser nella terapia della
neovascolarizzazione coroideale (CNV) classica o ben definita. Purtroppo
la maggior parte dei pazienti affetti da questa forma di maculopatia presenta
una neovascolarizzazione occulta o mal definita secondo quanto stabilito
dagli standard fluoroangiografici.
Freund et al.(10) hanno dimostrato che solo il 13% dei pazienti affetti da
neovasi sottoretinici in corso di degenerazione maculare legata all’età ha
una lesione trattabile in base alle informazioni dettate dalla
fluoroangiografia (fig. 1). Tenendo conto delle frequenti recidive dopo il
trattamento laser, si ritiene che il 93% dei pazienti affetti da neovasi senili
non rientri nei criteri fluoroangiografici di trattabilità o non risponda al
trattamento laser. Molti pazienti non trattabili con la fotocoagulazione
presentano forme di neovascolarizzazione particolarmente estese, molti
altri sono affetti semplicemente da forme occulte.
Una migliore visualizzazione della membrana neovascolare potrebbe
consentire un trattamento più efficace. Per tale motivo l’angiografia con il
verde di indocianina, che permette una migliore visualizzazione dei vasi
coroideali, va considerata la metodica di elezione per lo studio delle
neovascolarizzazioni coroideali di tipo occulto o mal definito(11, 12) (fig. 2).
Secondo Yannuzzi et al. (11) le neovascolarizzazioni coroideali occulte
possono essere riclassificate come classiche o ben definite nel 39% dei casi
grazie alle ulteriori informazioni fornite dall’angiografia con verde di
indocianina. L’angiografia con verde di indocianina è particolarmente utile
nella identificazione di CNV occulte associate ad ampi distacchi dell’epitelio
pigmentato (DEP) sierosi.
In base a criteri fluoroangiografici la presenza di una CNV in un DEP
vascolarizzato è caratterizzata da una iperfluorescenza graduale ed irregolare
legata all’accumulo di fluorosceina nello spazio sottoepiteliale. Al contrario
un DEP sieroso si caratterizza per una iperfluorescenza intensa, precoce,
rapida ed omogenea con un accumulo tardivo del colorante.
Con l’angiografia al verde di indocianina la localizzazione di una CNV
occulta è generalmente molto più agevole. Il colorante, di norma, non
diffonde nello spazio sottoepiteliale cosicché la CNV appare come un’area
iperfluorescente. L’iperfluorescenza, associata eventualmente a diffusione,
è a carico esclusivamente della CNV.
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C APITOLO 2
Fig. 1. La fluoroangiografia evidenzia chiaramente la presenza di una CNV
iuxtafoveale di tipo classico. Tale lesione è spesso identificabile con maggiore
difficoltà con l’angiografia al verde di indocianina. Per tale motivo l’esecuzione
dell’angiografia al verde di indocianina va riservata ai casi di CNV occulta.
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CAPITOLO 2
Fig. 2.
La fluoroangiografia evidenzia la presenza di un’area con
iperfluorescenza mal definita ed irregolare associata ad alcuni pin points. Tale
quadro corrisponde alla definizione di CNV occulta. L’angiografia al verde di
indocianina rende evidente nelle fasi iniziali e tardive la presenza di una ampia
placca neovascolare comprendente la regione foveale.
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C APITOLO 2
L’indocianina probabilmente interagisce con le pareti endoteliali della
CNV e fuoriesce molto lentamente attraverso le fenestrazioni dei vasi
anormali per riversarsi nello spazio sottoepiteliale adiacente alla CNV.
Uno dei vantaggi indiscutibili della angiografia con verde di indocianina è
costituito dunque dalla possibilità di discriminare tra DEP sierosi o
vascolarizzanti, poiché i neovsi sono iperfluorescenti a differenza dello
spazio sieroso (fig.3).
Una ulteriore applicazione della angiografia con verde di indocianina è
costituita dai casi di epitelio pigmentato vascolarizzato che sono
caratterizzati, secondo la classificazione del Macular Photocoagulation
Study(13), da una diffusione tardiva di fluoresceina da fonte non determinata
(fig. 4).
L’angiografia con verde di indocianina offre importanti informazioni
anche in caso di un quadro di epitelio pigmentato vascolarizzato mascherato
da fluido sieroemorragico o sottili laccature ematiche.
Una migliore identificazione della CNV con l’angiografia al verde di
indocianina dovrebbe contribuire a migliorare l’efficacia del trattamento
laser e a ridurre il tasso di recidiva della CNV. Per tale motivo sono in
corso alcuni studi atti a verificare l’utilità del trattamento laser eseguito
sulla base della angiografia con verde di indocianina(14, 15) (figg. 5, 6).
L’angiografia con verde di indocianina trova indicazione anche
nell’identificazione delle recidive di CNV. Yannuzzi et al(11) hanno descritto
come l’angiografia con verde di indocianina sia in grado di delineare
chiaramente e con maggiore sensibilità le recidive di CNV anche in assenza
di segni clinici e fluoroangiografici di neovascolarizzazione. Tale riscontro
è particolarmente utile nel caso di DEP sieroemorragici.
Per quanto riguarda i tipi di CNV evidenziabili con l’angiografia con
verde di indocianina, Guyer et al.(16) hanno recentemente descritto tre tipi
di lesione in una serie di 1000 occhi consecutivi affetti da CNV occulta
alla angiografia con fluoresceina. Nel 29% dei casi la CNV era di tipo
focale, nel 61% la CNV corrispondeva ad una placca e nell’8% la lesione
era di tipo misto.
La CNV focale è caratterizzata da un’area iperfluorescente di dimensione
inferiore ad un’area papillare, a localizzazione generalmente extrafoveale
(fig. 7). In relazione a tali caratteristiche la lesione è potenzialmente
aggredibile con un trattamento guidato dalla angiografia con verde di
indocianina.
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CAPITOLO 2
Fig. 3. La retinografia con luce aneritra mostra l’accumulo di essudati ai bordi
di un distacco dell’epitelio pigmentato. In angiografia con fluoresceina si
evidenziano una ampia area con iperfluorescenza irregolare ed un hot spot al
suo interno. L’angiografia con verde di indocianina mostra chiaramente
l’estensione del distacco dell’epitelio pigmentato con un’area di iperfluorescenza
corrispondente all’hot spot visibile in fluorangiografia ed alla lesione
neovascolare.
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C APITOLO 2
Fig. 4. La fase tardiva della fluoroangiografia evidenzia in sede maculare
un’area iperfluorescente mal definita non associata a distacco dell’epitelio
pigmentato. L’angiografia con verde di indocianina delinea chiaramente
l’estensione di una membrana neovascolare subfoveale.
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CAPITOLO 2
Fig. 5. L’angiografia con verde di indocianina rende evidente la presenza di
una neovascolarizzazione coroideale focale.
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C APITOLO 2
Fig. 6. Ad un mese dal trattamento si nota una chiazza ipofluorescente nella
sede della fotocoagulazione, a testimonianza della avvenuta occlusione del
neovaso . Il trattamento e la valutazione della sua efficacia sono stati condotti
sulla base delle informazioni fornite dall’angiografia con verde di indocianina.
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CAPITOLO 2
Fig. 7. Una CNV di tipo focale è ben identificabile grazie alla angiografia con
verde di indocianina.
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C APITOLO 2
La CNV a placca è definibile come un’area iperfluorescente, solitamente
subfoveale, di ampiezza maggiore di un’area papillare (fig. 8). La placca è
ben definita in meno della metà dei casi mentre la restante parte è mal
definita. Il trattamento laser è generalmente sconsigliato in questo tipo di
CNV.
La storia naturale della CNV a placca è caratterizzata da una progressiva
crescita con un decremento della acuità visiva variabile a seconda degli
autori(11, 17).
Le lesioni miste possono essere suddivise in tre ulteriori sottogruppi in
relazione alla sede della CNV focale, che può essere localizzata al margine,
al di sopra o lontano dalla placca. Il trattamento laser in questi casi, se
eseguito, deve essere mirato solo alle lesioni focali nel tentativo di ottenerne
l’occlusione(15). Dai risultati preliminari la storia naturale delle lesioni focali
localizzate al di sopra di placche neovascolari sembra essere migliore rispetto
all’evoluzione di lesioni focali al margine della placca o di placche non
associate a lesioni focali(16).
In conclusione l’angiografia con il verde di indocianina permette una
migliore identificazione della vascolarizzazione coroideale normale e
patologica e può offrire ulteriori informazioni sulla fisiopatologia delle
membrane neovascolari coroideali. L’uso sistematico dell’angiografia con
verde di indocianina ha recentemente permesso una utile classificazione
delle CNV (16).
Il campo di applicazione principale di questa metodica è costituito dalle
CNV occulte, specialmente se associate a DEP e dalla identificazione di
recidive dopo il trattamento laser.
L’uso della angiografia con verde di indocianina sarà probabilmente utile
nella valutazione della storia naturale delle lesioni neovascolari e del ruolo
potenziale della fotocoagulazione laser guidata da questo esame nei vari
tipi di CNV.
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CAPITOLO 2
Fig. 8. L’angiografia con verde di indocianina permette la localizzazione di
una ampia placca neovascolare, ben visibile nelle fasi tardive dell’esame.
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C APITOLO 2
BIBLIOGRAFIA
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CAPITOLO 2
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34
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCAPITOLO
APITOLO 333
Studio elettrofunzionale nei neovasi
sottoretinici: attuali orientamenti
PIERO STEINDLER, ELISABETH MILAN
La difficoltà di ottenere una risposta elettrica focale in un punto ben
determinato della retina, è apparsa evidente fin dalle prime esperienze di
elettrofisiologia oculare.
Infatti l’elettroretinogramma a pieno campo registra una risposta di massa
e risulta alterato solo quando una cospicua parte della retina (non meno
del 20%) viene alterata da un processo patologico.
Questo problema è particolarmente sentito a livello della macula. Infatti
il numero dei coni nella macula centrale rappresenta solo il 7-9% della
intera popolazione retinica e a livello della foveola i coni sono solo 1.5%
del numero totale di coni. La possibilità di separare la risposta fotopica
(dei coni) da quella scotopica (dei bastoncelli) risale al 1958 quando Adrian
descrisse l’elettroretinogramma dinamico. Tuttavia la possibilità di ottenre
una risposta elettrica dai soli coni non significava aver ottenuto una risposta
a livello maculare, perché i coni extrafoveolari sono enormemente più
numerosi di quelli foveolari.
Varie tecniche altamente sofisticate sono state sviluppate al fine di
registrare stimoli focali all’interno della macula. Ognuna di esse ha dovuto
misurarsi con i due problemi fondamentali di questo tipo di registrazioni:
quello delle basse ampiezze e quello della stry light. Molti ricercatori hanno
tentato di risolvere questi problemi creando attorno allo stimolo, un campo
che saturava le zone di retina perimaculari non interessate all’analisi.
Sandberg e Ariel (1977) sono riusciti ad ottenere una risposta
elettroretinografica focale da pochi siti retinici selezionati mediante l’uso
di un oftalmoscopio stimolatore manuale. Tuttavia l’esiguo numero di
siti stimolati, non ha consentito l’elaborazione di una mappa.
La semeiotica elettrica della macula si è avvalsa tuttavia di altre metodiche
indirette: i potenziali visivi evocati, rappresentano una risposta corticale
legata quasi esclusivamente alla funzione centrale della retina,
l’elettroretinogramma a pattern rappresenta una risposta delle cellule
ganglionari che sono particolarmente dense a livello della retina centrale.
Infine una alterazione dell’EOG è patognomonica di alcune alterazioni
maculari che coinvolgono la funzione del dipolo oculare (Malattia di Best,
epiteliopatia a placche).
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 3
Tuttavia fino a pochi anni or sono, la diagnostica elettrofisiologica
maculare si è limitata a tracciati di valore semeiologico certamente non
paragonabile ad altre forme di diagnostica oculare come la fluorangiografia.
D’altra parte risulterebbe estremamente utile, soprattutto per il chirurgo
retinico, poter conoscere la situazione funzionale del neuroepitelio.
Solo in tempi recentissimi, grazie all’aumentata potenza e velocità dei
computer, si è diffusa anche nella diagnostica elettrofisiologica la tecnica
del “Mapping”. Questa metodica, introdotta nel 1994 da Grall e coll., si è
diffusa soprattutto in elettroencefalografia. La tecnica del mapping
elettrofisiologico, elaborata da Erich Sutter e realizzata nel “VERIS”
rappresenta la vera novità nell’elettrofisiologia della macula.
Il Veris (Visual Evoked Response Imaging System) è un sistema
completamente nuovo che si basa sulla registrazione dell’attività elettrica
simultaneamente da locazioni retiniche multiple usando la stessa procedura
di un singolo elettroretinogramma focale, solo da un altissimo numero di
siti diversi contemporaneamente. Esso consente una valutazione obiettiva
e non invasiva di funzioni locali all’interno della retina, creando un sorta
di topografia funzionale.
Vengono usati tre elettrodi: uno attivo costituito da una lente a contatto
sulla cornea, uno di riferimento sulla fronte e una terra su un lobo
auricolare.
Questo apparecchio si basa su un metodo di correlazione crociata per
estrarre e combinare le risposte elettrofisiologiche da ciascuna locazione
retinica stimolata.
Il paziente siede e fissa un bersaglio collocato centralmente. Lo stimolo
è strutturato ed è costituito da un reticolo di esagoni (61, 103, 241) oguno
dei quali si alterna dal bianco al nero secondo una sequenza randomizzata.
Gli esagoni hanno dimensioni crescenti con il grado di eccentricità in modo
da avere una più elevata risoluzione spaziale nell’area centrale dove sono
più densi gli elementi retinici.
La registrazione dura un minimo di 4 minuti per occhio, durante i quali
vengono registrati circa 10.000 tracciati dalle varie locazioni retiniche. Su
tali tracciati vengono eseguite le correlazioni.
L’elaborazione avviene secondo un calcolo algoritmico detto FTW (Fast
Walsh Trasform) che è una procedura matematica notevolmente più rapida
dell’analisi di Fourier.
Dopo l’elaborazione del segnale, il software consente tre possibili
rappresentazioni delle risposte all’ERG multifocale:
- Tracce singole su siti retinici multipoli (fig. 1).
- Mappe a colori: ad ogni risposta focale è assegnato un colore che sfuma
dal rosso al blu in rapporto al decremento di densità della risposta (fig.
2).
- Mappe tridimensionali (fig. 3).
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 3
La zona studiata corrisponde ad un campo visivo che si estende
approssimativamente 50° orizzontalmente e 40° verticalmente.
Il Veris si è dimostrato particolarmente utile nella valutazione di alcune
patologie come
- la degenerazione maculare correlata all’età
- le degenerazioni tapetoretiniche
- le retinopatie tossiche.
Studi preliminari hanno evidenziato un notevole interesse di questa tecnica
nella valutazione del danno glaucomatoso.
Nella Divisione Oculistica di Camposampiero, abbiamo avuto
l’occasione di poter usare il Veris per alcuni mesi. In particolare abbiamo
avuto la possibilità di mettere a confronto in pazienti affetti da membrane
sottoretiniche in sede maculare, esami molto diversi come la perimetria
computerizzata elaborata con l’analisi “Peridata”, la fluorangiografia
ottenuta con il sistema IMAGEnet e l’indagine bioelettrica condotta con
il VERIS.
Con questo protocollo abbiamo esaminato 12 pazienti di età compresa
fra 55 e 78 anni. Tutti i pazienti erano affetti da membrane sottoretiniche
in sede maculare. Dato l’estremo polimorfismo delle lesioni non è stato
possibile eseguire una correlazione statisticamente significativa fra i vari
esami, tuttavia è apparso in tutti i casi evidente che la presenza della
membrana sottoretinica comporta una riduzione localizzata nella stessa
sede dell’attività bioelettrica della retina. Tale riduzione, che interessa
prevalentemente l’onda b, si verifica verosimilmente a livello dell’epitelio
pigmentato, ma soprattutto dei fotorecettori di cui è probabilmente
un’espressione importante del danno anatomico. Vari studi
anatomopatologici ormai classici (Klein 1951), hanno dimostrato che i
fotorecettori subiscono in presenza di neovasi sottoretinici, una serie di
modificazioni di tipo degenerativo, secondarie alle alterazioni dell’epitelio
pigmentato e della sua membrana basale.
Gli esami bioelettrici tradizionali non hanno un particolare valore
semeiologico nel caso di membrane sottoretiniche in sede maculare o
foveolare. Infatti sia i PEV pattern che i PERG danno informazioni di
funzionalità talmente generiche e aspecifiche che non possono essere
utilizzate per alcuna decisione terapeutica. Solo metodiche
elettrofisiologiche che comportino una rappresentazione mappale possono
aiutare il clinico in una valutazione dell’estensione e soprattutto dell’entità
del danno a livello dei fotorecettori.
La correlazione fra il difetto riscontrabile con la fluorangiografia e
l’elaborazione bioelettrica che appare dal VERIS, non sempre risulta
evidente. Infatti quest’ultimo rappresenta il difetto funzionale dell’epitelio
pigmentato e dei fotorecettori, che non corrisponde obbligatoriamente al
danno anatomico messo in evidenza dalla fluorangiografia.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 3
In questo senso il VERIS rappresenta un passo avanti di enorme
importanza. Resta tuttavia il problema di una precisa interpretazione del
tracciato, che può venire soltanto dal confronto e dalla correlazione con
l’istologia o in vivo con altre tecniche codificate come la FAG, l’ICG, la
perimetria computerizzata e la microperimetria.
Fig. 1. Tracce singole su siti retinici multipli
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 3
Fig. 2. Mappe a colori
Fig. 3. Mappe tridimensionali
39
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 3
BIBLIOGRAFIA
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40
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCAPITOLO
APITOLO 444
La miopia elevata o degenerativa
ALFREDO PECE
.
La miopia viene considerata elevata o degenerativa quando è superiore a
-6 diottrie con una lunghezza assiale superiore a 26 mm. La prevalenza
della miopia elevata negli U.S.A. è circa il 2%, miopia elevata che
rappresenta il 30% della popolazione miope. Differente appare la
prevalenza in base alle caratteristiche geografiche. In Europa è più frequente
in Spagna, mentre a Taiwan il 75% della popolazione è miope e nelle
scuole addirittura il 25% degli studenti ha una miopia elevata. La miopia è
direttamente correlata con il livello di istruzione essendo nettamente
superiore tra gli studenti e gli impiegati rispetto ai lavoratori manuali.
La prevalenza della miopia elevata sembra più importante nelle donne
che negli uomini con una proporzione di 1.5-2/1, e presenta sostanziali
differenze razziali ed etniche. E’ noto che la miopia è rara negli esquimesi,
negli indiani americani: ha una minore prevalenza nella razza negra rispetto
alla bianca ed è più elevata tra gli orientali e gli ebrei.
La miopia elevata negli U.S.A. rappresenta la settima causa di cecità nei
soggetti sopra i 20 anni mentre in Giappone è la quinta; in Europa vi sono
dati differenti variando da prima a settima causa di cecità.
La fisiopatologia della miopia è ancora ampiamente sconosciuta. Tutte
le teorie indicano come nella miopia ci sia un tratto sicuramente ereditario
e come fattori ambientali ed ormonali abbiano un ruolo fondamentale.
Le lesioni corioretiniche sono secondarie all’eccessivo allungamento
assiale con conseguente stiramento dei tessuti oculari. Nell’ipotesi eredo­
degenerativa le alterazioni corioretiniche sono considerate secondarie ad
un processo geneticamente determinato, associato alle variazioni
anatomiche sclerali, ma indipendenti da esse.
La miopia degenerativa è ereditata con carattere autosomico recessivo
con espressività del gene miopico scarsa. Le modalità di determinazione
genica della miopia avvengono secondo una teoria ectodermica o
mesodermica.
Anatomicamente tutte le strutture appaiono assottigliate (la sclera, la
coroide, la membrana di Bruch, la retina, l’epitelio pigmentato). In alcune
zone l’epitelio pigmentato ed i fotorecettori sono completamente sostituiti
da cellule di Muller.
Un aspetto della maculopatia miopica è la macchia di Foerster-Fuchs nei
41
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 4
suoi diversi stadi evolutivi. La sua frequenza varia dal 3.2% al 10% dei
miopi elevati con frequenza doppia nelle donne rispetto agli uomini.
Istologicamente la macchia di Fuchs è una cicatrice fibrovascolare
disciforme con iperplasia dell’epitelio pigmentato e della sua membrana
basale, secondaria alla formazione di una neovascolarizzazione
sottoretinica.
Aspetti clinici
I segni clinici della miopia patologica sono essenzialmente lo stafiloma
miopico, il crescente e le alterazioni papillari, le lesioni corioretiniche
atrofiche sino alle complicanze maculari. Tralasceremo in questa disamina
le alterazioni della periferia retinica. Lo stafiloma è una ectasia evolutiva del
globo oculare che interessa la sclera, la coroide e la retina. La prevalenza
dello stafiloma è strettamente correlata alla refrazione ed alla lunghezza
assiale e può variare dal 16% al 95% secondo diversi Autori, e inoltre la sua
presenza è significativamente correlata con l’atrofia corioretinica. Sono stati
illustrati 5 tipi di stafilomi, a seconda del coinvolgimento di diverse aree
retiniche (polo posteriore, macula, peripapillare, nasale, inferiore).
Il crescente miopico, detto anche falce o cono miopico, rappresenta una
area peripapillare di atrofia dell’epitelio pigmentato retinico determinata
dallo spostamento del margine del complesso membrana di Bruch­
coriocapillare-epitelio pigmentato rispetto alla disco ottico. La sua prevalenza
aumenta con la lunghezza assiale, riscontrandosi nel 100% degli occhi di
28.5mm.
La alterazioni corioretiniche del polo posteriore sono prevalentemente
le rotture della membrana di Bruch o “lacquer cracks” e le atrofie dell’epitelio
pigmentato retinico. Le lacquer cracks sono delle erosioni lineari biancastre
, uniche o multiple, solitamente orizzontali. Queste linee di frattura sono
conseguenza della distensione del polo posteriore e della membrana di Bruch
sino alla sua rottura. Talora sono asintomatiche ma spesso si accompagnano
ad emorragie sottoretiniche spesso caratteristiche (coin lesions), focali, talora
plurime, rotonde, profonde ed a contorni ben definiti; riassorbendosi
possono creare notevoli problemi funzionali quando sono centrali. Le
lacquer cracks sono importanti dal punto di vista prognostico perchè se da
un lato possono essere associate ad emorragie “innocue” da un altro
frequentemente si complicano con una neovascolarizzazione sottoretinica.
Isolate o associate alle lacquer cracks si possono osservare aree di atrofia
dell’epitelio pigmentato retinico, biancastre, rotondeggianti uniche o multiple,
interessanti in maniera più o meno estesa il polo posteriore. Si riscontrano
spesso in pazienti giovani e la lunghezza assiale è da considerarsi 11,5
42
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 4
La neovascolarizzazione sottoretinica
L’emorragia secondaria ad una lacquer crack (evento questo che avviene
nel 90%) si riassorbe spontaneamente in 4-6 settimane con prognosi
funzionale per lo più favorevole. Nel caso invece sia presente una
neovascolarizzazione sottoretinica (CNV) la prognosi appare riservata e in
questo caso deve essere valutata la necessità di intervenire con una terapia
laser.
La neovascolarizzazione sottoretinica maculare si manifesta nel 5-10%
degli occhi affetti da miopia patologica ed il rischio massimo dell’insorgenza
di una CNV è tra i 40 ed i 50 anni. La CNV è bilaterale secondo un’incidenza
che varia tra il 12% ed il 41%. L’insorgenza di una CNV è correlata alla
lunghezza assiale; la neovascolarizzazione sottoretinica insorge più
precocemente in occhi con miopia più elevata, con una maggiore incidenza
nelle donne.
I segni clinici della comparsa della CNV sono talora drammatici e la
diminuzione dell’acuità visiva è abitualmente associata a metamorfopsie,
micropsie e discromatopsie. La diagnosi biomicroscopica è spesso agevole.
Infatti il complesso neovascolare appare come una chiazza grigio-verdastra
associata a fenomeni emorragici più o meno estesi. Talora invece il loro
riconoscimento può risultare difficoltoso soprattutto inizialmente quando
non sono presenti emorragie e il distacco sieroso retinico, di per sè sempre
piuttosto modesto, non è ben visibile. L’evoluzione spontanea della CNV
avviene con l’organizzazione della emorragia con proliferazione delle cellule
dell’epitelio pigmentato e fibrosi finale. Negli anni la lesione diventa più
piana con margini indistiniti, si depigmenta e frequentemente viene
circondata da un alone atrofico (macchia di Fuchs).
La fluorangiografia, talora associata ad un angiografia con verde
indocianina, rappresenta l’esame di elezione per verificare la presenza di
una CNV, identificarne la sede e l’estensione e l’esatta distanza dalla regione
maculare.
Aspetti angiografici
Alla fluorangiografia (FAG) la CNV si presenta sin dalle fasi angiografiche
arteriose come una zona di iperfluorescenza che aumenta di intensità nelle
fasi più tardive (fig.1). La lesione neovascolare miopica è spesso pigmentata e
pertanto appare talora ben definita nella retinografia a luce rossa od a colori.
Avila ha per primo descritto due tipi di lesioni neovascolari:
- CNV con scarsa o nulla diffusione di colorante
- CNV con marcata diffusione del colorante durante le diverse fasi
angiografiche, oltre i confini identificati nelle fasi precoci.
43
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 4
Questi due tipi di CNV secondo l’Autore presenterebbero una diversa
evoluzione: quelle con scarsa diffusione (93% dei casi) darebbero origine
ad una cicatrice atrofica con relativa conservazione del visus, le seconde,
considerate aggressive, invece presenterebbero nell’80% dei casi una vasta
cicatrice fibro-gliale essudativa con distacco sieroso retinico.
A parere nostro queste considerazioni contrastano con quella che è la
pratica e l’esperienza clinica dove la maggioranza delle lesioni neovascolari
evolve in senso negativo comportando un’importante diminuzione
funzionale.
L’angiografia con verde indocianina (ICG), così come ha già dimostrato
la sua utilità in molte affezioni, viene talora eseguita nella degenerazione
maculare miopica (fig.2-3).
L’ICG ha permesso una migliore valutazione delle aree di atrofia
dell’epitelio pigmentato e delle rotture della membrana di Bruch. Queste
appaiono come linee ipofluorescenti, scure pertanto, per l’assenza della
vascolarizzazione coroideale e solitamente sono meglio visibili rispetto
alla FAG. La neovascolarizzazzione sottoretinica all’ICG ha invece un
aspetto fluorangiografico diverso. Abbiamo infatti evidenziato 4 diversi
gruppi di CNV. Il I Tipo, riscontrato nel 35% dei casi comprende CNV
fluorescenti nelle fasi iniziali circondate da un alone ipofluorescente e mal
visibili nelle fasi tardive; nel II Tipo, evidente nel 34%, le CNV sono
meglio visibili nelle fasi tardive; il III Tipo, 15%, comprende CNV evidenti
solo nelle fasi tardive; il IV Tipo,16%, presenta lesioni neovascolari poco
o per nulla visibili nelle fasi angiografiche sia iniziali che tardive. In tre
occhi in cui la FAG non è stata in grado di visualizzare una CNV, l’ICG
ha consentito di evidenziare una neovascolarizzazione sottoretinica.
In conclusione possiamo affermare che la CNV è meglio evidenziata
dalla fluorangiografia e pertanto il ruolo dell’ICG è relativo. Quest’esame
ha comunque consentito di evidenziare diversi tipi di CNV e bisognerà
valutare nel tempo se anche il comportamento clinico sarà diverso. L’ICG
rimane comunque un esame importante in caso di CNV occultate da
emorragie o non ben visibili alla fluorangiografia retinica.
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C APITOLO 4
Fig. 1. Fasi angiografiche di una neovascolarizzazione sottoretinica miopica.
Sin dalle fasi iniziali (alto, sin) è ben visibile la CNV che tende ad aumentare,
diffondendo il colorante nella fasi tardive (basso, dx).
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CAPITOLO 4
Fig. 2. La fluorangiografia (alto) evidenzia una CNV su una rottura della m:
di Bruch. L’angiografia con indocianina (basso) mette in evidenza alcune
striature ipofluorescenti (rotture della m. di Bruch) e una area di iperfluorescenza
ben visibile nelle fasi tardive (CNV)
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C APITOLO 4
Fig. 3. La fluorangiografia (alto, sin) rileva una neovascolarizzazione ellittica
a margini ben delineati con alcune rotture della m. di Bruch. L’indocianina
evidenzia sin dalle fasi iniziali la CNV come una area ipofluorescente che non
si modifica durante l’esame. Le rotture della m. di Bruch appaiono meglio
visibili all’indocianina rispetto alla fluorangiografia
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 4
Evoluzione naturale
E’ esperienza comune come la CNV in corso di miopia degenerativa possa
talora avere un’evoluzione lenta e con una funzionalità visiva più che
discreta al termine della sua evoluzione. E’ comunque vero come questi
quadri clinici sicuramente non rappresentano la norma e possono fuorviare
lo specialista non troppo esperto nella patologia maculare. Inoltre un fattore
di giudizio importante non è solo la quantità ma anche la qualità del visus
e ben conosciamo come sia preferibile un visus più scadente ma con
immagini le più vicine alla realtà ad acuità visive migliori ma improntate a
scarsa definizione e soprattutto a metamorfopsie notevolmente invalidanti.
Comunque riguardo all’evoluzione naturale della CNV miopica già
Fuchs notò che dopo il brusco peggioramento visivo iniziale si poteva
avere un miglioramento attribuibile alla riduzione dei fenomeni essudativi
e all’instaurarsi della fissazione eccentrica. Col passare del tempo tuttavia
osservò un allargamento dello scotoma dovuto alla comparsa dell’alone
atrofico peri-lesionale coinvolgente il nuovo punto di fissazione, con
diminuzione del visus sino alla cecità legale. Fried e coll. seguirono 36
occhi per un periodo di 5 anni: al termine del follow-up notarono un
peggioramento dell’acuità visiva nel 37% dei casi, la stabilizzazione nel
28% ed il miglioramento nel 35%. In questo lavoro però il 33% dei casi
non aveva una diagnosi fluorangiografica della neovascolarizzazione
sottoretinica. Avila e coll. seguirono 70 occhi miopi con CNV maculare
per un periodo medio di 40.9 mesi: il 46% dei casi risultò peggiorato, il
34% invariato ed il 20% migliorato. Fleury e De Laey studiarono 12 occhi
con follow-up compreso tra 2 e 96 mesi. Al termine dell’osservazione il
50% dei casi risultò peggiorato, il 33% invariato ed il 17% migliorato. Il
58% dei casi aveva un’acuità visiva <1/10.Nel 1981 Hotchkiss e Fine
osservarono 27 casi per un periodo medio di 25.5 mesi. Il peggioramento
dell’acuità visiva fu osservato nel 52% dei casi, la stabilizzazione nel 33%
ed il miglioramento nel 15%. Tuttavia tale studio non è rappresentativo
della storia naturale della malattia in quanto il 22% degli occhi considerati
era stato sottoposto a fotocoagulazione laser. Infine Hampton e coll.
dimostrarono come nel 71% degli occhi miopi con CNV
fluorangiograficamente documentata e mai sottoposti a fotocoagulazione
laser, la prognosi funzionale al termine del follow-up fosse cattiva; nel
27% dei casi l’acuità visiva risultava invariata, nel 2% migliorata mentre
negli altri casi era peggiorata. Il 60% dei casi presentava al termine dello
studio un’acuità visiva <1/10. Nella nostra esperienza l’evoluzione
naturale della neovascolarizzazione sottoretinica nella miopia degenerativa
è sfavorevole: dopo un follow-up medio di 32 mesi, il 65% dei casi ha
presentato un peggioramento dell’acuità visiva,mentre il 35% è risultato
invariato.
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C APITOLO 4
La Terapia
Non esiste allo stato attuale una terapia medica della degenerazione
maculare miopica. L’unica terapia possibile, quando è presente una CNV,
è la fotocoagulazione laser. Avila e coll seguirono 14 occhi sottoposti a
fotocoagulazione laser: dopo un anno l’86% dei casi presentava un’acuità
visiva migliorata od invariata. Al termine del follow-up (m.30 mesi) tuttavia
il 57% degli occhi trattati risultava peggiorato. Hotchkiss e Fine
riscontrarono nel 50% dei loro casi una stabilizzazione od un
miglioramento dell’acuità visiva.
Noi abbiamo recentemente pubblicato la nostra esperienza di
trattamento laser a lungo follow-up che qui riassumerò. Sono stati seguiti
in modo prospettico 133 occhi per lungo periodo ( tutti gli occhi a 12 mesi
ed a scalare sino a 47 occhi a 60 mesi) con CNV extrafoveale trattata in
modo diretto.L’acuità visiva pretrattamento era 0.36, post laser era di 0.33
a 5 anni. Le recidive neovascolari sono state il 58%, trattabili nel 74%. Al
termine del follow-up il 75% degli occhi aveva ottenuto la completa
distruzione della CNV.
La fotocoagulazione laser della CNV è pertanto efficace e appare duratura
nel tempo (Fig.4-5). Il trattamento è tuttavia difficile e deve esser fatto da
esperti.Il primo problema è l’esatta identificazione della regione foveale
che appare scarsamente riconoscibile per ragioni anatomiche ed anche la
retinografia a luce blu atta ad identificare la xantofilla maculare è poco
utile. Inoltre è spesso presente una differente localizzazione anatomica
della fovea. Infine le peculiarità della retina-coroide del miope (più sottile,
più fragile, scarsamente pigmentata) con una certa facilità nelle emorragie
post laser indicano la necessità di una notevole esperienza in questa
particolare fotocoagulazione.
Da sempre si discute su quale sia il laser di scelta. Negli ultimi anni
nuovi laser hanno consentito il trattamento di complessi neovascolari situati
a breve distanza dalla foveola grazie alla loro azione altamente selettiva
che consente di minimizzare i danni a carico delle strutture retiniche
sovrastanti e circostanti. Abbandonato infatti l’argon blu per i danni a
carico degli strati retinici interni, numerosi sono i laser oggi utizzati. A
tutt’oggi tutti gli studi randomizzati non hanno individuato un laser
migliore. A parere nostro i laser da utizzare sono il monocromatico verde
a 514 nm sino al krypton rosso a 640 nm ed anche il recente diodo
nell’infrarosso ha dato risultati incoraggianti. Una decisione può essere
presa in base alle condizioni dei mezzi diottrici, alla presenza di emorragie
retiniche e al tipo di pigmentazione della membrana da trattare.
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CAPITOLO 4
Fig. 4. Fluorangiografia di una neovascolarizzazione sottoretinica contornata
da un ampia emorragia sottoretinica. Dopo sei mesi dal trattamento laser si
osserva una cicatrice ben consolidata senza neovasi.
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C APITOLO 4
Fig. 5. In alto la fluorangiografia evidenzia una recidiva neovascolare sul
bordo foveale dell’area trattata. A distanza di ulteriori sei mesi dal
ritrattamento non si osservano recidive.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 4
Complicazioni
Le complicanze del trattamento laser nella nostra esperienza sono state di
minima rilevanza se si eccettua il progressivo allargamento della cicatrice
laser (96%)
L’aumento della cicatrice post laser è pertanto la regola. Dopo un anno
di follow-up nella nostra esperienza l’allargamento medio della cicatrice è
stato del 103% con un incremento statisticamente significativo nei primi
sei mesi. L’entità del fenomeno non appare influenzata dalla lunghezza
assiale, dal tipo di laser impiegato e dall’età del paziente. Inoltre l’acuità
visiva è rimasta invariata senza variazioni statisticamente significative. Infine
in questo studio è stato evidenziato come la direzione di propagazione
della cicatrice sia prevedibile in base al settore di maggiore sviluppo del
crescente miopico.
In conclusione possiamo affermare che il laser appare oggi il trattamento
di scelta della CNV miopica. Purtroppo circa il 60% delle CNV appare
foveale alla prima visita e pertanto non trattabile. Inoltre occorre intervenire
precocemente così come nelle altre maculopatie eseguendo in tempi rapidi
una fluorangiografia e, quando necessario, una angiografia con
l’indocianina. Come abbiamo visto non è tanto importante il tipo di laser
(il laser monocromatico verde, oggi il più diffuso a livello clinico, va
benissimo) quanto una robusta esperienza nel trattamento della regione
maculare.
Ovviamente il trattamento laser è un intervento demolitivo e sicuramente
sarebbe preferibile riuscire a determinare i meccanismi eziopatogenetici
dell’insorgenza della CNV e poter intervenire in modo selettivo e
preventivo.
A tale scopo le terapie mediche prese sino ad ora in considerazione non
hanno dimostrato l’efficacia sperata. Altri farmaci sono attualmente allo
studio. Anche la terapia chirurgica non ha dato i risultati auspicati. Infatti
dopo i primi tentativi di escissione della membrana neovascolare tale terapia
non viene praticamente più praticata nella miopia degenerativa per gli scarsi
risultati funzionali, l’elevato numero di recidive e le gravi complicanze. In
generale la terapia chirurgica viene attualmente effettuata solo in casi
particolari e selezionati in corso di presunta istoplasmosi oculare giovanile.
Particolare interesse viene dato alla terapia fotodinamica. Questa terapia
in fase di sperimentazione clinica consiste nell’iniezione di una sostanza
fotosensibile con ritenzione selettiva di questa nei tessuti altamente
vascolarizzati come la CNV. Successivamente tale lesione viene irradiata
con una luce laser monocromatica a bassa intensità ad una lunghezza d’onda
simile alla banda di assorbimento del colorante. In questo caso si avrebbe
una distruzione selettiva della CNV per una reazione citotossica locale
provocata da un processo reattivo fotochimico.
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C APITOLO 4
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54
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCAPITOLO
APITOLO 555
Degenerazione maculare legata all’età:
indicazioni al trattamento laser
F RANCESCO BANDELLO, CARLO INCORVAIA, GIUSEPPE MINGRONE
Allo scopo di fornire dati utili per la gestione dei pazienti affetti da
degenerazione maculare legata all’età, gli autori riportano alcuni dei risultati
emersi dai più importanti studi condotti sull’argomento, durante gli ultimi
anni.
Vengono riportati gli schemi classificativi più diffusi ed i risultati ottenuti
con il trattamento laser.
L’impiego routinario delle informazioni disponibili oggi sull’argomento
dev’essere considerato indispensabile allo scopo di garantire ai pazienti la
migliore assistenza possibile.
Scopo
La maggioranza dei dati attualmente disponibili sulla storia naturale e sul
trattamento laser della degenerazione maculare legata all’età (DMLE) deriva
da studi multicentrici condotti negli U.S.A..
Qui di seguito vengono presentati, molto sinteticamente, alcuni tra
questi dati. Lo scopo è fornire all’oftalmologo indicazioni utili sia per una
gestione diretta del paziente affetto da DMLE sia, più semplicemente, per
saperlo indirizzare, con indicazioni corrette, verso gli specialisti che di
tale patologia si interessano in modo specifico. Solo una buona conoscenza
di tali indicazioni da parte di tutti gli oftalmologi infatti può creare i
presupposti per ottimizzare i risultati dell’eventuale trattamento.
Definizione
Una precisa definizione della DMLE non esiste. Le lesioni che compaiono
nel corso della malattia, la cui presenza è considerata essenziale ai fini della
diagnosi, sono le seguenti: drusen, rarefazioni di pigmento, accumuli di
pigmento, atrofie dell’epitelio pigmentato, distacchi del neuroepitelio,
neovascolarizzazioni sottoretiniche, fibrosi e cicatrici disciformi.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 5
Epidemiologia
La DMLE rappresenta negli U.S.A. la causa più frequente di riduzione
dell’acutezza visiva nei soggetti di razza bianca con età superiore a 50 anni.
Risulta, sempre negli U.S.A., che circa il 2.2% dei pazienti con più di 65
anni presenti un’acuratezza visiva infeiore ad 1/10 a causa di una DMLE.
Storia naturale
Si disnguono due principali forme di DMLE:
1) essudativa;
2) non essudativa.
Tale distinzione è basata sulla presenza o meno di una neovascolarizzazione
sottoretinica, responsabile di fenomeni essudativi sotto- e/o intra-retinici.
Sebbene un significativo abbassamento della vista si possa produrre anche
in corso di DMLE non essudativa, la prognosi peggiore è associata alla
forma essudativa.
La DMLE essudativa a sua volta si distingue in:
a) ben definita;
b) mal definita (o occulta).
Quest’ultima distinzione è basata sulla possibilità o meno di identificare
la morfologia della neovascolarizzazione sottoretinica, clinicamente o
mediante fluorangiografia retinica. Quando i neovasi risultano schermati,
totalmente o in parte, da sangue, essudati, pigmento o qualsiasi altra
possibile causa di effetto maschera, essi vengono definiti “occulti”.
All’interno della DMLE essudativa ben definita è possibile eseguire la
seguente ulteriore distinzione, basata sulla sede della neovascolarizzazione
sottoretinica rispetto al centro della fovea:
- forma extra-foveale, quando la neovascolarizzazione è localizzata a più di
200 micrometri dal centro della fovea;
- forma sub-foveale, quando la neovascolarizzazione si estende al disotto
del centro foveale;
- forma juxta-foveale, quando la posizione della neovascolarizzazione è
intermedia tra le due precedenti.
L’osservazione dei pazienti-controllo, cioè non sottoposti a trattamento
laser, inclusi nel Macular Photocoagulation Study, ha consentito di
dimostrare che, dopo 3 anni e più, i pazienti con neovasi extra-foveali e
con grave abbassamento della vista erano più del 60%.
Valutazione retrospettive hanno invece messo in luce che, dopo 2 anni,
un grave abbassamento della vista coinvolgeva il 53% degli occhi con
neovasi juxta-foveali, e l’87% di quelli con neovasi retrofoveali.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 5
Analizzando gli occhi con neovasi mal definiti, è emerso che un grave
abbassamento della vista, dopo 2 anni, coinvolgeva il 40% di questi.
Per quanto attiene al destino del secondo occhio, è fondamentale valutare
con attenzione l’aspetto delle lesioni “predisponenti” già presenti. Se nel
secondo occhio di un paziente che ha già sviluppato una DMLE essudativa,
sono presenti migrazioni pigmentarie e drusen confluenti, la probabilità
di subire un grave abbassamento dell’acutezza visiva è del 60% dopo 5
anni. Quando sono presenti solo migrazioni pigmentarie o drusen
confluenti, il paziente vede ridotto il rischio di sviluppare un grave
abbassamento della vista nel secondo occhio al 30% dopo 5 anni. Quando
né le migrazioni pigmentarie né le druse confluenti sono presenti, la stessa
probabilità è 10% dopo 5 anni.
Il rischio delle forme non essudative di trasformarsi in essudative invece
è < 1% in 5 anni.
La conoscenza di queste categorie a rischio ed il loro riconoscimento
hanno importanti risvolti clinici. L’oculista dovrà infatti spiegare al
paziente, nel modo più chiaro possibile, quali siano i sintomi che
potrebbero deporre per il coinvolgimento del secondo occhio e quali
accorgimenti seguire per riconoscerli più precocemente possibile.
Trattamento laser della DMLE
Il Macular Photocoagulation Study, studio multicentrico condotto negli
U.S.A., ha dimostrato che il trattamento Argon-laser condotto nei casi di
DMLE con neovasi extrafoveali, ben definiti, migliora la prognosi visiva.
In questo studio gli occhi con neovasi ben definiti, extrafoveali, sono sati
assegnati con metodo random, al trattamento Argon-laser o
all’osservazione. Sebbene sia gli occhi trattati che quelli non trattati abbiano
mostrato un decremento visivo durante il periodo dello studio, tale
decremento è risultato significativamente più elevato in quelli assegnati
all’osservazione.
Anche alcuni occhi con neovasi ben definiti juxta-foveali e retrofoveali
possono beneficiare del trattamento laser; di ciò però, almeno finora, non
è mai stata data dimostrazione su ampie casistiche.
Tecnica della fotocoagulazione
La tecnica di esecuzione del trattamento è quella ben nota. Si inizia con
una fotocoagulazione condotta lungo il perimetro della
neovascolarizzazione, avendo cura di coinvolgere una piccola porzione di
retina sana circostante. I primi impatti è opportuno vengano indirizzati
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 5
sulla porzione di neovascolarizzazione distante dalla fovea. Successivamente
tutta la membrana dev’essere coperta con impatti confluenti, di energia
tale da produrre un franco sbiancamento tissutale. Le lunghezze d’onda
ideali sono quelle che garantiscono il maggior risparmio possibile del
pigmento xantofillico maculare e che presentano un effetto coagulativo
profondo. Per queste ragioni dev’essere bandito l’impiego della componente
blu della radiazione emessa dall’Argon laser e devono invece essere preferite
le lunghezze d’onda lunghe, come quelle del Krypton laser.
Prima ri iniziare il trattamento è doveroso rassicurare il paziente e
spiegare l’importanza della sua collaborazione nel corso del trattamento.
Gli oculisti statunitensi, allo scopo di garantire l’immobilità del bulbo
oculare, eseguono frequentemente un’iniezione retrobulbare di anestetico;
tale pratica è meno diffusa nel nostro Paese.
Recidive
Dopo aver ottenuto, tramite la fotocoagulazione laser, l’obliterazione della
neovascolarizzazione sottoretinica, in un’alta percentuale di casi, può
determinarsi la comparsa di una recidiva. L’incidenza delle recidive è
strettamente correlata con il tempo trascorso dal trattamento laser. L’analisi
condotta sui pazienti affetti da neovasi sottoretinici ben definiti extra­
foveali, inclusi nel Macular Photocoagulation Study e sottoposti a
trattamento, ha consentito di dimostrare che i primi 12 mesi dopo la
fotocoagulazione sono, con riguardo alla comparsa delle recidive, il periodo
più critico.
In particolare le recidive sono il 10% dopo 1-2 mesi; il 21% dopo 3 mesi;
il 24% dopo 6 mesi; il 42% dopo 12 mesi; il 53% dopo 3 anni; il 54% dopo
5 anni. Andamento analogo avrebbero, sempre sulla base dei dati scaturiti
dal Macular Photocoagulation Study, le recidive per i neovasi juxta-foveali
e retro-foveali.
Questi dati devono ovviamente essere tenuti nella massima
considerazione quando si stabilisce il calendario dei controlli cui sottoporre
il paziente fotocoagulato.
Angiografia con verde indocianina
La recente introduzione clinica dell’angiografia con verde indocianina
(ICGA) ha portato nuovi elementi di conoscenza nel campo della DMLE.
Molto sommariamente si può affermare che l’ICGA consente di valutare
in dettaglio la coriocapillare che, mediante la tradizionale angiografia con
fluoresceina, è impossibile esaminare.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 5
L’ICGA infatti prevede l’impiego di un colorante che, rispetto al
fluoresceinato di sodio, possiede un peso molecolare maggiore e viene legato
dalle proteine plasmatiche in una percentuale più alta. Ciò consente alle
molecole di colorante di iniettare i piccoli vasi della coriocapillare
definendone le più fini caratteristiche morfologiche. Inoltre, la lunghezza
d’onda utilizzata nell’ICGA consente di superare la barriera ottica
dell’epitelio pigmentato, e quella costituita da edema, essudati, emorragie.
Una ricerca condotta da Yannuzzi ha consentito di dimostrare che solo
il 15% delle neovascolarizzazioni risulta “ben definito” grazie alle
informazioni ottenibili con la fluorangiografia retinica. In altri termini,
l’85% delle DMLE essudative è costituito da forme associate a neovasi
occulti. Queste forme possono a loro volta essere associate o meno a
distacco dell’epitelio pigmentato retinico.
Ai fini prognostici quest’ultima distinzione riveste una grande
importanza poiché il trattamento laser consente percentuali di successo
pari al 66% in assenza di DEP, e pari al 43% nei casi associati a DEP.
59
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 5
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60
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCCAPITOLO
6
APITOLO 66
APITOLO
I neovasi sottoretinici:
trattamento laser
U GO M ENCHINI, GIANNI VIRGILI, P AOLO LANZETTA
La neovascolarizzazione sottoretinica o coroideale (CNV) è una delle
principali cause di cecità legale nei paesi industrializzati. In particolare, la
CNV in corso di degenerazione maculare legata all’età (AMD) è
responsabile del 50% dei casi di invalidità(1) indipendentemente dall’età ed
è la prima cusa di ciò dopo i 50 anni. Al di sotto dei 50 anni la miopia è
responsabile del 62% dei casi di CNV(2) , mentre essa è idiopatica nel 17%
dei casi ed è in minor misura legata ad altre cause (pseudoistoplasmosi,
coroidopatia multifocale, strie angioidi, distrofie retiniche ereditarie, uveiti).
La fotocoagulazione laser è tuttora la forma principale di terapia della
CNV. Il meccanismo di funzionamento della fotocoagulazione non è ben
conosciuto. Sono state chiamate in causa una occlusione trombotica dei
neovasi (sia per assorbimento diretto che da parte del calore generato a
livello dell’epitelio pigmentato retinico - EPR), l’iperplasia dell’EPR
circostante la CNV o la liberazione di fattori inibenti la
neovascolarizzazione da parte dell’EPR stesso(3-7). Il risultato ottenuto è
comunque una cicatrizzazione precoce dei vasi anomali con formazione
di una atrofia retino-coroideale localizzata che possa arrestare l’evoluzione
della malattia. La lunghezza d’onda utilizzata per la fotocoagulazione non
è rilevante ai fini del successo del trattamento. È stata dimostrata una
efficacia comparabile dei laser ad argon e krypton nel trattamento della
CNV(8). Il laser a diodo presenta vantaggi sul piano tecnico e di economicità;
pur comportando potenze quasi doppie rispetto al laser krypton, il suo
utilizzo per il trattamento della CNV è risultato maneggevole ed efficace(9­
10)
. Le lunghezze d’onda più elevate (rosso e vicino infrarosso) possono
consentire una migliore penetrazione attraverso il sangue ed un maggiore
risparmio delle fibre nervose(9-11). Cohen et al.(11) hanno studiato la
trasmissione attraverso il sangue di varie lunghezze d’onda. La fluorescenza
della fluoresceina e dell’argon verde si trasmette in percentuale inferiore al
5% attraverso cuvettes di sangue con ematocrito al 99% con spessore di
100-sino a 500 mm. La trasmissione attraverso cuvettes di spessore 100-,
200- e 500 mm è pari rispettivamente al 50%, 25% e 6% per l’energia di
krypton laser, al 60%, 35% e 12% per un laser diodo ed al 57%, 34%, 4%
per la fluorescenza del verde di indocianina. Gli autori concludevano che
61
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 6
se una lesione può essere visualizzata con angiografia con verde di
indocianina, come succede in caso di spessore dell’emorragia inferiore a
500 mm, essa può essere trattata con un laser krypton o diodo. Reichel et
al.(12) hanno evidenziato che l’angiografia con verde di indocianina ha
consentito la localizzazione di una CNV nascosta dal sangue in
fluorangiografia nel 60% dei casi. Nel restante 40% dei casi la lesione rimaneva
oscurata da uno spesso strato di sangue.
Verranno qui di seguito esposti brevemente i risultati dei principali studi
sul trattamento laser della CNV, a partire da quelli condotti sulla AMD
che ne è la prima causa. Negli ultimi 15 anni, il Macular Photocoagulation
Study Group ha verificato e quantificato l’efficacia del trattamento
fotocoagulativo della CNV(13-15). Gli studi condotti dall’MPS sono stati
basati sulla fluorangiografia retinica (FAG) e sono quindi per buona parte
limitati alla forma classica o ben definita della malattia. Ciò rappresenta
un primo limite fondamentale del trattamento laser, visto che solamente
il 13% delle lesioni ha margini ben definiti alla FAG(16). Questo limite è
stato in parte superato dalla introduzione della angiografia con verde di
indocianina (ICGA), che sembra consentire di elevare la percentuale dei
casi trattabili di un ulteriore 25%. I risultati della fotocoagulazione ICGAguidata sono tuttora stati verificati solamente sulla base di studi retrospettivi
non controllati e sono tuttora discussi per alcune forme di CNV, in
particolare se essa è associata a distacco dell’epitelio pigmentato (DEP).
I risultati del trattamento fotocoagulativo differiscono a seconda della
sede e delle caratteristiche della CNV e vengono di seguito riassunti
suddividendoli nei seguenti gruppi: 1) CNV classiche extra- o iuxtafoveali
(che non coinvolgono il centro della FAZ); 2) CNV subfoveali; 3) recidive
subfoveali; 4) fotocoagulazione ICGA-guidata di CNV occulte; 5) altre
forme di CNV (non-AMD).
CNV classiche extra-o iuxtafoveali
Il trattamento di CNV classiche che non coinvolgono il centro della FAZ
è la forma meglio conosciuta di fotocoagulazione. L’MPS ha condotto due
importanti studi su di essa. Nel primo(13,15), il trattamento argon-laser di
CNV extrafoveali (margine ad almeno 200 micron dal centro della zona
foveale avascolare - FAZ) dimostrò che il rischio relativo di perdere 6 linee
di Snellen dopo due anni era di 1.5 per i non-trattati rispetto ai trattati. In
particolare, il 56% dei non trattati ed il 38% dei trattati avevano perso
almeno 6 linee dopo due anni. Il 54% dei casi trattati ebbe una recidiva
della CNV durante lo studio. Il secondo studio(14, 15) riguardava il
trattamento krypton-laser della CNV iuxtafoveale (margine tra 0 e 200
micron dal centro della FAZ). In questo caso il rischio relativo di perdere
62
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 6
almeno 6 linee era circa 1.2 per i controlli rispetto ai trattati. Dopo due
anni, il 54% dei non trattati ed il 45% dei trattati avevano perso almeno 6
linee. Il 66% dei casi trattati ebbe una recidiva della CNV durante lo studio.
La recidiva era foveale e quindi non trattabile nel 26% dei casi in totale. Il
5% dei controlli rispetto al 13% dei trattati aveva una acuità visiva superiore
a 0.5 dopo due anni, mentre il 40% dei controlli rispetto al 27% dei trattati
aveva una acuità visiva inferiore a 0.05. Tuttavia, gli occhi che non avevano
avuto una recidiva potevano mantenere una acuità visiva tra 20/80 e 20/
100, mentre gli occhi con recidiva avevano una acuità visiva
considerevolmente peggiore, compresa tra 20/200 a 20/250 range(15).
In questi studi il trattamento fotocoagulativo ebbe una efficacia
statisticamente significativa nel ridurre il danno visivo nei pazienti affetti
da CNV dovuta ad AMD. I risultati indicano che è altrettanto evidente
che il trattamento laser deve essere proposto a questi pazienti, quanto è
evidente che i vantaggi saranno assenti per circa metà di essi e saranno
eclatanti solo per una percentuale ridotta di casi. È stato quindi osservato
che l’impatto del trattamento laser sulla malattia è sostanzialmente
limitato(1, 16, 17) e che è necessario proseguire la ricerca su altre forme di
terapia(1).
Ai fini del trattamento fotocoagulativo. la determinazione del
coinvolgimento della foveola da parte di una CNV classica che si spinga
all’interno della FAZ può non essere semplice. In fluoroangiografia la FAZ
può avere una forma irregolare; la sua individuazione può essere resa
difficoltosa da una cattiva qualità dell’esame o dalla presenza di drusen o
alterazioni atrofiche dell’EPR. È utile in genere osservare
biomicroscopicamente la localizzazione della xantofilla foveale con filtri
blu-verdi o blu ed anche invitare il paziente a fissare la mira puntiforme
della lampada a fessura o l’aiming beam del laser (50 micron). Tuttavia, chi
utilizza la microperimetria ha esperienza che la fissazione in presenza di
una CNV può essere sorprendentemente diversa da quella prevista sulla
base delle FAG, in particolare nei miopi, ma questa tecnica è a disposizione
di pochi. In ultima analisi, il trattamento di CNV che lambiscono il centro
della FAZ è affidato alla esperienza dell’operatore ed ha come premessa la
comprensione da parte del paziente del decorso naturale della malattia
(peggioramento della visione centrale), dei rischi della fotocoagulazione
(possibilità di riduzione della acuità visiva) e dei suoi vantaggi (possibilità,
ma non garanzia, di stabilizzazione dello scotoma centrale rispetto al
decorso naturale).
CNV subfoveali
Controversa è invece l’indicazione al trattamento fotocoagulativo della
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CAPITOLO 6
CNV che coinvolge il centro della FAZ. Due studi controllati hanno
verificato l’efficacia della fotocoagulazione diretta della lesione(18-21) e della
fotocoagulazione perifoveale(22).
I risultati del Subfoveal CNV Study(18-21) hanno supportato la tecnica di
fotocoagulazione diretta della CNV. In particolare, occhi con lesioni di
dimensioni inferiori o uguali ad 1 MPS disc area ed acuità visiva inferiore
a 0.16 ed occhi con dimensioni della lesione comprese tra 1 e 2 MPS disc
area e acuità visiva inferiore a 0.1 sono risultati candidati al trattamento in
quanto hanno una perdita di acuità visiva significativamente inferiore ai
non trattati durante tutto il follow-up. Per lesioni di queste dimensioni,
ma acuità visiva superiore i vantaggi erano presenti solamente dopo 12
mesi, mentre erano sostanzialmente peggiori nel primo anno. Le lesioni
estese non hanno beneficiato del trattamento. I limiti di questa tecnica di
fotocoagulazione consistono nel fatto che la maggioranza degli occhi trattati
subisce una riduzione immediata della acuità visiva dovuta al trattamento
(3 o 4 linee di Snellen) che ha indotto molti oftalmologi, anche anglosassoni,
a rifiutare un rigido adeguamento alle conclusioni fornite dallo studio(23).
La fotocoagulazione perifoveale, proposta da Coscas et al. nel 1991,
prevede il trattamento della porzione periferica, non foveale di una CNV
centrale e della retina non coinvolta immediatamente adiacente(22). Criteri
di inclusione di questo studio erano un visus non superiore a 0.2 ed una
dimensione della CNV compresa tra 0.5 e 2.5 diametri papillari. Lo studio
ha evidenziato come dopo un anno il 24% dei non trattati aveva perso
almeno 3 linee contro il 14% dei casi tratatti. Al termine del follow-up,
l’acuità visiva era invariata o migliorata per il 41% dei casi trattati, ma
solamente per il 20.3% dei non trattati, una differenza statisticamente
significativa. Il risparmio della fovea consente di evitare in genere una
riduzione del visus dovuta al trattamento. La sensibilità residua foveale
viene mantenuta per un periodo spesso limitato ad alcuni mesi od anni; in
seguito, si sviluppa una fissazione eccentrica al margine superiore-destro
della fotocoagulazione in molti casi(24-25).
La fotocoagulazione a griglia maculare può essere impiegata per limitare
i fenomeni essudativi di ampie CNV maculari subfoveali. Il suo ruolo in
CNV classiche non è mai stato definito da studi controllati, mentre
l’utilizzo in CNV occulte non si è dimostrato utile in uno studio controllato
proposto dal Bressler et al.(26).
Recidive foveali
La presenza di una recidiva subfoveale dopo il trattamento di una CNV
che, primitivamente, non coinvolgeva il centro della FAZ ripropone le
indicazioni discusse sopra per la fotocoagulazione di una CNV subfoveale.
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C APITOLO 6
Il Subfoveal Recurrent CNV Study condotto dall’MPS(18, 20) indica che i
risultati del trattamento sono migliori che nel caso di lesioni centrali non
trattate in precedenza. Anche il gruppo di occhi con visus iniziale compreso
tra 0.2 e 0.4 ha avuto risultati comparabili al terzo mese per i due gruppi
(trattati e non), nonostante la riduzione iniziale della acuità visiva nei casi
sottoposti a fotocoagulazione; in seguito i casi trattati hanno avuto una
minore incidenza di grave deficit visivo. Sfortunatamente, l’MPS non ha
fornito indicazioni più specifiche, a seconda delle dimensioni della lesione
e del visus iniziale, come nel caso del Subfoveal CNV Study(21).
Presso la nostra clinica, abbiamo adottato una tecnica di fotocoagulazione
perifoveale modificata in alcuni casi di una recidiva foveale di CNV(27, 28).
La tecnica è stata da noi ribattezzata sbarramento in quanto le lesioni sono
spesso di dimensioni inferiori rispetto alle CNV foveali non trattate
sottoposte a fotocoagulazione perifoveale, per cui la fotocoagulazione
consiste a volte (o in parte) in una banda di 100-200 micron che circonda la
lesione ai margini della FAZ (fig. 1). Abbiamo utilizzato tale tecnica in 20
occhi con AMD seguiti mediamente per un anno. L’acuità visiva iniziale
era di 0.2 per 12/20 occhi (60%); pertanto molti di questi casi sarebbero
stati ad elevato rischio di marcata perdita visiva con trattamento diretto
foveale. Al contrario, non vi è stata alcuna riduzione della acuità visiva
media immediatamente dopo il trattamento, mentre la riduzione media in
linee di Snellen rispetto al valore iniziale era di -2 linee a 3 mesi e di -3 linee
al termine del follow-up. Il 50% degli occhi non presentava recidive (intese
come presenza di CNV che si estendeva oltre all’area trattata) al termine
del follow-up. Questi dati non possono confermare la validità di una tecnica
di fotocoagulazione perifoveale nella recidiva subfoveale di CNV, ma
indicano che la tecnica non induce una riduzione immediata della acuità
visiva, come accade per il trattamento diretto. L’indicazione allo
sbarramento deve tenere conto della acuità visiva, delle caratteristiche della
lesione e della evoluzione della sintomatologia. Un caso paradigmatico in
cui, a nostro parere, può essere indicata la fotocoagulazione con tecnica di
sbarramento è una recidiva classica di CNV che coinvolge la fovea
spingendosi ai margini od oltre la FAZ, una acuità visiva uguale o inferiore
a 0.2 ed un recente peggioramento funzionale. Tuttavia abbiamo trattato
anche casi con acuità visiva più elevata o con lesioni occulte (fig. 1). Una
adeguata informazione del paziente e la comprensione dei fini e dei limiti
della metodica da parte sua sono un momento fondamentale nella decisione
di utilizzare questa tecnica fotocoagulativa.
Fotocoagulazione ICGA-guidata di CNV occulte
Non esistono studi controllati che abbiano verificato e quantificato
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 6
l’efficacia del trattamento ICGA-guidato di CNV occulte. Una ampia serie
di 1000 occhi affetti da CNV occulta studiata con ICGA è stata valutata
retrospettivamente da Guyer et al.(16). Semplificando, questo studio ha
riscontrato che circa un terzo delle lesioni è focale (dimensioni inferiori ad
1 diametro papillare) mentre due terzi delle lesioni sono a placca (dimensioni
superiori ad 1 diametro papillare); delle lesioni a placca, la metà ha margini
mal definiti. Una minoranza di casi (8%) è rappresentata da lesioni
combinate (a placca o focali). Gli autori hanno osservato che le lesioni
focali sono in genere trattabili (non specificando per la verità i criteri
adottati per le lesioni subfoveali), mentre le lesioni a placca non lo sono.
Questa casistica ha fornito alcune importanti indicazioni. Un successo
anatomico (assenza di recidiva) a medio termine è stato ottenuto nel 48%
dei casi di CNV non associata a DEP, ma solamente nel 23% dei casi in cui
il DEP era presente. Altre osservazioni retrospettive hanno in seguito
ipotizzato che il trattamento ICGA-guidato di CNV occulte potrebbe non
essere indicato(29) rispetto all’evoluzione naturale della malattia. La presenza
di shunt retinocoroideali potrebbe essere un fattore che peggiora
ulteriormente la prognosi in questi casi(30).
Lo studio di Guyer et al.(16) ha inoltre fornito importanti dati sull’impatto
della fotocoagulazione laser ICGA-guidata sulla AMD. La trattabilità della
CNV in corso di AMD è del 13% utilizzando la sola fluoroangiografia; il
6.5% dei pazienti può avere un beneficio anatomico (50%). L’introduzione
della ICGA ha consentito di incrementare di un ulteriore 25% la quota di
pazienti trattabili; il 9% in totale (tenuto conto della ridotta percentuale
di successi in presenza di DEP) può attendersi benefici anatomici. Sebbene
non ancora ben conosciuto, l’impatto della fotocoagulazione ICGA-guidata
appare almeno altrettanto rilevante sulla AMD di quello consentito sino
ad ora dalla FAG. Gli autori concludono comunque che l’84.5% dei
pazientic on AMD essudativa non sono trattabili con fotocoagulazione
ovvero non hanno alcun beneficio dal trattamento.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 6
Fig. 1. Recidiva foveale di CNV occulta (in alto: fluoroangiografia a sinistra,
angiografia con ICG a destra) e 6 mesi dopo la fotocoagulazione con tecnica di
sbarramento prima (in basso: fluoroangiografia a sinistra, angiografia con ICG
a destra). Pur avendo effettuato una fotocoagulazione al di fuori della FAZ,
circondandola, la porzione centrale non trattata della CNV presenta una
involuzione con scomparsa dei fenomeni di diffusione (in basso)
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CAPITOLO 6
Altre forme di CNV (non-AMD)
Numerose osservazioni retrospettive ed anche studi controllati condotti
dall’MPS hanno dimostrato l’efficacia del trattamento laser della CNV
(classica e non foveale) idiopatica ed associata a pesudoistoplasmosi
(POHS)(14, 31, 32). Nella POHS i risultati sono estremamente superiori alla
AMD, con un rischio relativo di perdere 6 linee a due anni di ben 3.6 nei
non trattati rispetto ai trattati(31). Risultati lievemente inferiori sono stati
ottenuti nelle forme idiopatiche(14, 31, 32).
Studi retrospettivi indicano l’efficacia del trattamento fotocoagulativo
della CNV nella miopia degenerativa e nelle strie angioidi(33-36). Nelle strie
angioidi la possibilità di recidiva è particolarmente elvata(36).
Conclusione
Il trattamento fotocoagulativo è tuttora la principale tecnica terapeutica
per la CNV, sebbene non sia la più desiderabile. Le indicazioni all’impiego
di tale metodica sono state in buona parte chiarite da studi controllati.
L’esperienza dell’operatore è fondamentale per affrontare i casi con
indicazioni incerte, fatto che rende ragionevole riferire alcuni pazienti a
centri specializzati.
68
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 6
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CCAPITOLO
APITOLO 777
Utilità della microperimetria nella
valutazione preoperatoria
delle membrane sottoretiniche
G ABRIELE P AOLO, ARMANDO CRESTANI
La microperimetria è nata da quando si è sentito il bisogno di un’esatta
correlazione tra il danno anatomico e quello funzionale nelle varie patologie
retiniche. Trantas, seguito da Meyers, Inatomi e Awaya sono stati i pionieri
di questa tecnica diagnostica, anche se la fundus perimetria da loro eseguita
permetteva solo di saggiare gli scotomi assoluti o quasi assoluti poiché
l’elevata illuminazione che proiettavano sulla retina impediva la
presentazione di stimoli a varia sensibilità. Fu per primo Kelly a utilizzare
una luce laser coerente come stimolo per testare il campo visivo. Timberlake
e coll. del gruppo di Boston utilizzarono l’oftalmoscopio a scansione laser
(SLO) per eseguire una microperimetria e con questo strumento ha inizio
il moderno esame microperimetrico. L’SLO permette di effettuare una
scansione del fondo oculare con un pennello laser a una risoluzione di 10
micron e di riceverne il riflesso in modo da presentarlo su uno schermo
video ricostruendo per punto l’immagine con una frequenza di 25 immagini
al secondo. Rispetto all’oftalmoscopia tradizionale che utilizza tutta
l’apertura pupillare per la proiezione della luce, solo 0,9 mm della pupilla
del paziente, corrispondenti al diametro del raggio laser, sono utilizzati
per l’illuminazione e la rimanente area è disponibile per la raccolta della
luce. Inoltre, i suoi livelli di luce sono minori di 70 microWatt/cm2 contro
100.000 microWatt/cm 2 dell’oftalmoscopio indiretto e 4.000.000 di
microWatt/cm2 del fluorangiografo. Perciò l’SLO è uno strumento con
un sistema di illuminazione altamente efficiente che reca un minimo
disturbo al paziente durante l’esame e ciò ovvia al problema dell’elevata
illuminazione proiettata sul fondo oculare dai primi visuscopi.
La microperimetria topografica viene eseguita combinando una sorgente
IR di 780 nm per la rilevazione dell’immagine retinica e invisibile al paziente
a una sorgente HeNe di 632,8 nm per la proiezione degli stimoli luminosi
e per la luminanza del fondo (rosso arancio). Dal momento che si utilizza
la stessa sorgente luminosa per l’illuminazione dello sfondo e per lo stimolo,
è garantito un costante rapporto tra stimolo e sfondo. Il risultato grafico
sul monitor consiste alla fine di un’immagine retinica, illuminata con
l’infrarosso e, perciò, non visualizzata in modo così nitido come in luce
73
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
aneritra, di un dato alfanumerico da A a Z, che è correlato a una scala
crescente di valori della sensibilità retinica, di una mira di fissazione e di
una mira di repere (fig. 1).
Fig. 1
Applicata alla chirurgia delle membrane sottoretiniche, la microperimetria
può avere un’utilità nella fase preoperatoria e postoperatoria. In fase
preoperatoria questa tecnica diagnostica può guidare il chirurgo nella
decisione d’operare, mediante lo studio della funzionalità retinica lesionale
e perilesionale e nella scelta della sede in cui eseguire la retinotomia per
l’asportazione della mebrana neovascolare sottoretinica. In fase
postoperatoria, può essere un valido ausilio per la valutazione retrospettiva
del risultato chirurgico, per studiare la dinamica della fissazione e per la
riabilitazione del paziente ipovedente.
Prendiamo in considerazione la fase preoperatoria. Tra le molte variabili
che il chirurgo prende in considerazione al fine di eseguire l’intervento
chirurgico, come la sede e l’estensione della membrana neovascolare, l’età
del paziente, la storia naturale della malattia, le terapie alternative e le
74
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
possibili complicanze intra e postoperatorie, vi è anche la funzionalità
retinica del tessuto sovrastante e circostante la lesione. Nella maggior parte
dei casi per esaminare quest’ultimo valore ci si avvale dell’acuità visiva,
che fornisce solo un parametro vago della funzionalità retinica, poiché
non precisa né la sede della fovea funzionale né la sensibilità luminosa
delle aree retiniche circostanti la lesione, aree che potrebbero divenire sede
di fissazione dopo l’intervento chirurgico in seguito allo scotoma da
ablazione della membrana neovascolare. La microperimetria, consentendo
di stabilire una corrispondenza tra l’obiettività del fundus e la sensibilità
retinica, appare uno strumento adeguato per supplire alle carenze della
sola misurazione del visus. Un modo per ottenere una valutazione
funzionale del fondo retinico può consistere nella sovrapposizione del
campo visivo, ottenuto con perimetro automatico a una fotografia del
fondo oculare. Tuttavia la tecnica sembra meno affidabile in primo luogo
per le distorsioni ottiche prodotte dai movimenti di fissazione dell’occhio,
che il perimetrista non riesce a monitorare. La tecnica con SLO supera
questa difficoltà poiché lo stimolo da mappare è osservato direttamente
sulla retina e gli spostamenti retinici dello stimolo dipendenti dai movimenti
oculari non sono presi in considerazione. In secondo luogo il perimetrista
non riesce a vedere le aree di patologia retinica da testare, a esplorarle con
lo stimolo e a eseguire una ricerca mirata. Con la tecnica SLO le aree di
patologia retinica sono chiaramente visibili e possono aiutare a guidare la
ricerca verso le aree scotomatose. Infine con questa metodica si può
correlare direttamente il reperto perimetrico alle aree retiniche.
Nel nostro Reparto di ogni paziente sottoposto a rimozione chirurgica
di membrana sottoretinica subfoveale è stata valutata la sensibilità luminosa
differenziale del tessuto retinico sovrastante e circostante la lesione.
I parametri che abbiamo utilizzato sono:
- luminosità del fondo pari a 10 cd/m2
- mira di fissazione pari a Goldmann III
- forma dello stimolo circolare
- perimetria statica con tecnica di “up and down” manuale
Mentre nei soggetti normali la sensibilità luminosa differenziale degrada
secondo la collina della visione di Torquenheim con l’eccentricità retinica,
nei soggetti da noi esaminati è risultata molto variabile sia a livello della
lesione subfoveale che delle aree retiniche circostanti. Probabilmente
nell’area della lesione la disorganizzazione dei fotorecettori e l’essudazione
sotto e intraretinica da parte della membrana rendono ragione della varia
e talvolta brusca diversità luminosa di aree retiniche adiacenti (fig. 2).
75
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
Fig. 2
Nell’area perilesionale è verosimilmente l’edema intraretinico a determinare
una sensibilità luminosa a volte direttamente proporzionale alla distanza
dalla fovea. Questo dato può essere utilmente abbinato alla sede e alla
stabilità della fissazione. La sede dei nostri casi era sempre situata all’interno
dell’area interessata dalla membrana neovascolare subfoveale, a meno che
la regione maculare non fosse interessata da uno scotoma assoluto. In questa
evenienza la fissazione si collocava per l’occhio destro naso-superiormente
all’area scotomatosa e nell’occhio sinistro temporo-superiormente,
probabilmente per garantire al soggetto, come riferito da alcuni autori, la
capacità di lettura. La stabilità della fissazione è risultata variabile da soggetto
a soggetto, in rapporto verosimilmente con la funzionalità retinica. In
particolare da alcuni dati in letteratura e dalla nostra esperienza si è
riscontrata una fissazione per lo più nell’emiretina superiore soprattutto
nelle aree adiacenti scotomatose (fig. 4). La valutazione dei due tipi di dati,
l’uno della funzionalità retinica e l’altro dello studio della fissazione, può
aiutare il chirurgo nella decisione d’intervenire. Perciò, nella nostra
esperienza un paziente con buona funzionalità luminosa e con stabilità
della fissazione ha una prognosi funzionale migliore a un anno di follow­
up rispetto a un soggetto con scotoma relativo più denso e con una
instabilità della fissazione. Per questi soggetti, perciò, il chirurgo potrebbe
scegliere un atteggiamento d’attesa.
76
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
Fig. 3
Fig. 4
77
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
In alcuni casi, però, quando il paziente, nonostante la discreta funzionalità
luminosa differenziale nella sede della fissazione e nonostante la stabilità
della fissazione, presentava una marcata metamorfopsia, abbiamo deciso
d’operare. In questo caso la rimozione chirurgica ha avuto il merito di
distruggere un tessuto retinico che, sebbene ancora discretamente
funzionante, induceva disturbi sensoriali e di permettere la creazione di
una nuova sede di fissazione, più adeguata per le necessità funzionali del
paziente.
Lo studio microperimetrico preoperatorio è stato da noi indirizzato
anche alla valutazione della sede più opportuna in cui eseguire la
retinotomia. A tale scopo, oltre allo studio della fissazione, abbiamo
valutato in particolare l’emiretina superiore del polo posteriore per
evidenziare le aree retiniche a maggiore iposensibilità, in modo da limitare
gli eventuali danni prodotti all’epitelio pigmentato retinico dall’accesso
sottoretinico della strumentazione chirurgica. La decisione della sede più
opportuna in cui eseguire la retinotomia deriva dalla valutazione sia del
dato funzionale perilesionale sia dalla sede della fissazione. Nella figura 5
che illustra un caso di membrana neovascolare sottoretinica in un soggetto
affetto da istoplasmosi oculare presunta con neovascolarizzazione
subfoveale si osserva come l’area iposensibile delinea esattamente la sede
più conveniente in cui eseguire la retinotomia. L’eventuale scotoma indotto
dall’intervento chirurgico non diminuirà in questo caso la funzionalità
del normale tessuto retinico.
Fig. 5
78
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
Infine, consideriamo brevemente l’utilità della microperimetria in fase
postoperatoria. Oltre che per la valutazione retrospettiva delle manovre
chirurgiche eseguite e per studiare la dinamica della fissazione, che è instabile
nelle prime settimane dopo l’intervento e poi diviene stabile, è da
sottolineare la particolare utilità nella riabilitazione funzionale. Vorrei
considerare il caso di una ragazza di 27 anni, miope e affetta da
neovascolarizzazione sottoretinica, che abbiamo deciso di operare. Dopo
l’intervento l’acuità visiva era aumentata di 2 linee di Snellen, da 1/10 a 3/
10. L’esame angiografico non evidenziava più l’iperfluorescenza da
diffusione sottoretinica di colorante, ma solo una lieve iperfluorescenza
per effetto finestra in seguito all’asportazione dell’epitelio pigmentato
retinico contemporaneamente alla membrana neovascolare. Anche la griglia
di Amsler mostrava un miglioramento. Dopo 8 mesi la paziente si ripresenta
con un nuovo calo del visus a 1/10 e con una comparsa improvvisa di
metamorfopsie. La fluorangiografia evidenziava una recidiva neovascolare
nella sede della fissazione (figg. 6-7).
Fig. 6
79
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
Fig. 7
L’esame microperimetrico metteva in evidenza un’area scotomatosa densa
nella sede della fissazione (fig. 8), la quale, in ogni caso, era stabile e una
discreta funzionalità luminosa nelle aree retiniche circostanti (fig. 9).
A questo punto, vorrei concludere con una riflessione considerando il
caso di questa paziente, che sino ad ora non abbiamo sottoposto a
intervento: sarebbe possibile insegnare alla paziente a utilizzare l’area
funzionalmente più efficiente per aumentare la sua condizione visiva?
80
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 7
Fig. 8
Fig. 9
81
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCAPITOLO
APITOLO 8 8
La chirurgia maculare delle membrane
neovascolari sottoretiniche subfoveali
V ITO DE MOLFETTA, FERDINANDO BOTTONI
I risultati preliminari di questo studio sono stati presentati al meeting
annuale dell’Association for Research in Vision and Ophthalmology
(ARVO), Sarasota, Florida, 1994 e da ultimo pubblicati su Graefe’s Arch
Clin Exp Ophthalmol, 234 (suppl): S42-S50, 1996.
La fotocoagulazione laser delle membrane neovascolari coroideali è
efficace nelle lesioni secondarie a degenerazione maculare senile (DMS)(1,2,
3)
, istoplasmosi oculare(4, 5) e forme idiopatiche(6,7). Uno studio prospettico
di Soubrane e Coll. (8) ha dimostrato una certa efficacia del trattamento
fotocoagulativo anche per le membrane neovascolari secondarie a miopia
degenerativa.
Se la fotocoagulazione laser può comportare un incremento funzionale
nel caso di neovascolarizzazioni coroideali a sede extrafoveale e juxtafoveale,
lo stesso però non si può affermare per le lesioni subfoveali, almeno per
quanto concerne la DMS che è anche l’unica patologia dove il trattamento
fotocoagulativo foveale è stato prospettato (3, 9).
A ciò va aggiunto che la grande maggioranza degli occhi con DMS
presenta membrane neovascolari sottoretiniche subfoveali che non
soddisfano i criteri di inclusione del Macular Photocoagulation Study o di
Coscas(3, 9).
In virtù di questi dati e confortati da lavori recenti sull’escissione
chirurgica delle neovascolarizzazioni coroideali subfoveali nella
DMS(10,11,12,13,14), nella presunta istoplasmosi oculare (POHS) (13,14,15) e nella
miopia(14,16), abbiamo voluto esaminare i risultati funzionali della chirurgia
maculare in una serie di 61 occhi con membrane neovascolari subfoveali
(MNVS) idiopatiche, miopiche e correlate a DMS.
Materiali e metodi
Tra l’Ottobre 1992 e il Settembre 1994, 94 pazienti con MNVS idiopatiche,
miopiche o secondarie a DMS sono stati operati presso il nostro reparto
da uno degli Autori (VDM). Tredici occhi sono stati esclusi dallo studio
per un follow-up inadeguato; 20 occhi sono stati parimenti esclusi per la
mancanza di dati forniti dall’oculista referente. Le caratteristiche
83
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
preoperatorie e postoperatorie dei rimanenti 61 occhi sono state immesse
in un database ed utilizzati per l’analisi statistica. La localizzazione iniziale
(subfoveale) della neovascolarizzazione e le sue caratteristiche
fluorangiografiche (occulta o ben definita)(3) sono state registrate. Le tabelle
1-3 riguardano i criteri di inclusione per la DMS, la miopia e le MNVS
idiopatiche. Gli occhi con DMS presentavano tutti un visus preoperatorio
di 2/10 con l’esclusione di un paziente (4/10) che a seguito di metamorfopsie
ingravescenti ha espressamente richiesto l’asportazione chirurgica. I dati
demografici di ciascun gruppo sono riportati in tab. 4.
Tab. 1
Criteri d’inclusione nella DMS
Età > 50 aa con evidenza di DMS bilaterale
Abilità di rilasciare consenso informato
AV corretta <= 2/10
Neovascolarizzazioni coroideali subfoveali ben definite in
fluorangiografia (anche più grandi di 3.5 aree papillari o 2.5
diametri papillari)(3,9)
· Neovascolarizzazioni coroideali parzialmente occulte (distacchi
vascolari EPR, late leakage of undertemined source, sangue,
tessuto connettivale in misura superiore al 25% dell’intera
lesione)(3) con almeno un margine della membrana ben definito
· Nessun trattamento laser precedente
· Nessun’altra patologia oculare potenzialmente responsabile di
riduzione del visus (cataratta, retinopatia diabetica, occlusioni
vascolari retiniche, glaucoma, etc.)
·
·
·
·
84
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
Tab. 2
Criteri d’inclusione per la miopia degenerativa
Ametropia > 6 diottrie
Abilità di rilasciare consenso informato
Riduzione recente del visus con AV <= 2/10
Neovascolarizzazione coroideale subfoveale ben definita in
fluorangiografia
· Nessun trattametno laser precedente
· Nessun’altra patologia oculare potenzialmente responsabile di
riduzione del visus (cataratta, retinopatia diabetica, occlusioni
vascolari retiniche, glaucoma, etc.)
·
·
·
·
Tab. 3
Criteri d’inclusione per le MNSV idiopatiche
· Età < 50 aa
· Non alterazioni dell’EPR peripapillare o lesioni corioretiniche
focali; assenza di patologie retiniche favorenti l’insorgenza di
neovascolarizzazioni coroideali
· Abilità di rilasciare consenso informato
· Riduzione recente del visus con AV <= 3/10
· Neovascolarizzazione coroideale subfoveale ben definita in
fluorangiografia
· Nessun trattamento laser precedente
· Nessun’altra patologia oculare potenzialmente responsabile di
riduzione del visus (cataratta, retinopatia diabetica, occlusioni
vascolari retiniche, glaucoma, etc.)
85
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
Tab. 4
diottrie
n° mediane
(range)*
patologia
idiopatiche
6
DMS
34
miopia
21
/
sesso(%)
età mediana
(range)**
AV mediana
preop (range)
F (50)
49 (15-52)
0.1 (0.1-0.4)
/
F (59)
73 (56-83)
1/50 (PL-0.4)
-13 (-6, -25)
F (71)
53 (23-82)
3/50 (CD-0.2)
* equivalente sferico; ** anni
Come successo funzionale abbiamo definito un incremento di almeno 2
linee di acutezza visiva (AV) all’ultima visita di controllo. La tecnica
chirurgica prevedeva i seguenti tempi: 1) vitrectomia completa con aggancio
ed asportazione della jaloide posteriore, 2) retinotomia posizionata di solito
temporalmente alla macula, con incisione della retina neurosensoriale (»
200 micron) tramite ago ridotto 20-33 gauge (senza precedente
endodiatermia), 3) infusione di BSS nello spazio sottoretinico con la cannula
20-33 gauge (collegata a una siringa da 5 ml), 4) manipolazione della
membrana nello spazio sottoretinico con pinza angolata (130°, punta
smussa < 30 gauge) e sua asportazione, 5) 5 minuti di emostasi (bottiglia
di infusione elevata), 6) scambio aria/fluido per rimuovere il liquido
sottoretinico e collassare la retina neurosensoriale, 7) tamponamento con
miscela di gas non espansibile (20% SF , 15% C F ) e appropriato
3 8
posizionamento del paziente per 7 giorni. 6La misurazione
relativa della
membrana neovascolare iniziale e del difetto finale post-chirurgico
dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) è stata ottenuta dalle
fluorangiografie preoperatorie e postoperatorie finali di 38 pazienti (4
idiopatici, 18 miopi e 16 con DMS). Le aree sono state misurate utilizzando
l’apposito software del Topcon IMAGEnet Digital Imaging System (512
o H1024). L’area di superficie viene fornita in mm2. I limiti delle MNVS
occulte poterono essere ragionevolmente definiti dalle fasi tardive delle
fluorangiografie pre-operatorie. Il software corregge automaticamente i
differenti ingrandimenti dei diversi angoli di ripresa (50°, 35°, 20°). Sono
state eseguite 3 misurazioni dalla prima ed ultima fluorangiografia di ciascun
paziente e calcolate le rispettive medie; l’eventuale aumento dell’area
cicatriziale finale è stato espresso come percentuale relativa alla dimensione
iniziale della MNVS.
86
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
Utilizzando questo sistema di misurazione delle MNVS e delle cicatrici
atrofiche finali, abbiamo sperimentato coefficienti di variazione
rispettivamente di 5.36% e 4.34%.
Analisi statistica
Escludendo le MNVS idiopatiche per l’eseguità del numero, abbiamo
applicato l’analisi della varianza (ANOVA) multifattoriale ai dati sull’AV
postoperatoria utilizzando i seguenti fattori: a) patologia (miopia, DMS),
b) stato dell’EPR, c) presenza/assenza di liquido sottoretinico (distacco
del neuroepitelio), d) tipo di MNVS (ben definita, occulta). Lo stato
dell’EPR è stato valutato sulla fluorangiografia iniziale ed espresso in 4
gradi:
0 - nessuna alterazione
1 - distrofia leggera (non atrofia per MNVS miopiche, drusen per DMS)
2 - atrofia moderata (< 1 disc diameter).
3 - atrofia severa atrophy (> 1 disc diameter).
Poiché l’AV preoperatoria sembra influenzare l’AV finale (14), nell’analisi
l’AV preoperatoria è stata usata come covariata. Quando la modificazione
dell’AV è stata esaminata come variabile di risposta all’interno di ciascun
gruppo, l’AV media (i.e., [acutezza visiva iniziale + acutezza visiva finale]¸2)
e la dimensione iniziale della MNVS sono state usate come covariate.
L’analisi della regressione è stata utilizzata nella DMS, miopia e MNVS
idiopatiche per vagliare la correlazione tra dimensione della MNVS e difetto
chirurgico dell’EPR.
Risultati
I risultati vengono forniti in accordo con le diverse patologie.
Membrane neovascolari idiopatiche
Il follow-up dei 6 occhi con MNVS idiopatiche varia da 3 a 12 mesi (mediano
11 mesi). Tutte le MNVS erano ben definite in fluorangiografia. L’AV
preoperatoria vs quella finale è evidenziata in figura 1. L’AV è migliorata
in 3 occhi e stabilizzata in 1; tutti i 4 occhi presentavano un visus finale
>= 3/10. Recidive neovascolari postoperatorie si sono sviluppate nei 2
occhi con scarso recupero funzionale. Il primo dimostrò una recidiva
iuxtafoveale che venne fotocoagulata: il visus finale fu 1/50. Nel secondo
caso, la recidiva era subfoveale ed il trattamento fotocoagulativo non venne
87
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
proposto: il visus finale fu 5/10.
La dimensione preoperatoria media (± deviazione standard) delle 4
MNVS valutate angiograficamente era di 1.55 ± 0.93 mm2 (range 0.74-2.89
mm2).L’atrofia postoperatoria media dell’EPR si è dimostrata 2.3 volte
più grande (236 ± 79%; range, 166-327%) della MNVS iniziale ed era
correlata alle dimensioni della membrana (r=0.948).
Tra le complicanze chirurgiche, l’insorgenza di cataratta in un caso.
Fig. 1. Scattergram AV preop. vs AV opostop. nei 6 occhi con MNVS idiopatiche.
Degenerazione maculare senile (DMS)
Il follow-up dei 34 occhi con DMS è variato tra 2.5 e 19 mesi (mediano, 7
mesi). Ventisette (79%) MNVS erano parzialmente occulte (vedi Tab. 1
per definizioni).
Le AV preoperatorie e finali per ciascuno dei 34 occhi sono raffigurate
in fig. 2. L’AV è migliorata in 7 (21%) occhi ed è stabilizzata in 18 (53%);
peraltro, solo 6 (18%) occhi avevano un visus finale >= 1/10. La scarsa
variazione tra visus preoperatorio e finale è dimostrata in fig. 3: non ci
sono occhi con AV preoperatorio e finale >= 5/10, il 12% delle AV
preoperatorie o finali VA è tra 4/10-2/10, e l’88% rimangono <= 1/10.
88
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
Fig. 2. Scattergram AV preop. vs AV postop. nei 34 occhi con DMS
Fig. 3. Distribuzione degli occhi con DMS secondo specifiche categorie visive
preoperatorie e postoperatorie.
89
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
Recidive neovascolari postoperatorie si sono sviluppate in 6 occhi (18%).
Tutte le recidive erano ai margini di ampie zone di atrofia dell’EPR e
giudicate non passibili di trattamento fotocoagulativo. Quattro di questi
occhi raggiunsero un AV finale <= 3/50 e 2 un visus finale di 1/10.
La dimensione preoperatoria media (± deviazione standard delle 16
MNVS valutate angiograficamente era di 11.72 ± 6.92 mm2 (range 1.95­
24.65 mm2). L’atrofia postoperatoria media dell’EPR si è dimostrata 19.5
volte più grande (1955 ± 1220%; range 522-4049%) della MNVS iniziale
ed era scarsamente correlata alle dimensioni della membrana (r=0.58). Di
queste 16 membrane, 4 erano ben definite fluorangiograficamente. La loro
dimensione media iniziale era di 5.49 ± 5.38 mm2, considerabilmente più
piccola della dimensione media iniziale delle rimanenti 12 MNVS
parzialmente occulte (13.8 ± 5.93 mm 2 ). Pur tuttavia, l’atrofia
postoperatoria dell’EPR nelle 4 MNVS ben definite era ancora 18.1 volte
più grande (range 660-4049%) delle dimensioni iniziali della membrana.
Complicanze legate all’intervento insorsero nel 23% degli occhi (3
distacchi di retina, 5 cataratte). Dei fattori preoperatori considerati per
una possibile influenza sull’AV finale, solo la dimensione iniziale della
MNVS (P=0.025) era associata ad un miglior risultato funzionale (Tab. 5).
In generale, gli occhi con DMS avevano una prognosi visiva peggiore
(P=0.035) degli occhi miopi.
Tab. 5
Fattori pred ittivi variazioni AV in DMS e Miopia
fattori preoperatori
AV media ¨
dimensioni MNSV à
EPR ª
liquido sottoretinico
tipo di MNSV
DMS
P*
0.691, ns*
0.025
0.167, ns
0.988, ns
0.549, ns
Miopia
P
0.026
0.291, ns
0.224, ns
0.370, ns
0.563, ns
* livello di significatività F-ratio in ANOVA, ¨AV media: ([acutezza visiva
iniziale+acutezza visiva finale]±2), § non significativo, à membrana neovascolare
sottoretinica subfoveale, ª epitelio pigmentato retinico
90
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
Miopia elevata
Il follow-up dei 21 occhi con miopia elevata è variato tra 2 e 20 mesi
(mediano, 10 mesi). Tutte le MNVS erano ben definite.
Le AV preoperatorie e finali per ciascuno dei 21 occhi sono raffigurate
in fig. 4. L’AV è migliorata in 10 (48%) occhi e si è stabilizzata in 8 (38%);
globalmente, 13 (62%) occhi avevano un visus finale >= 1/10. La fig. 5
mostra ancora il numero di occhi con una AV finale >= 5/10, tra 4/10-2/
10 e <= 1/10. Dopo l’intervento chirurgico, l’AV era ³ 5/10 nel 5% degli
occhi, tra 4/10 e 2/10 nel 33%, e di 1/10 nel 62%. Questi dati sono
significativamente diversi rispetto alle percentuali preop rispettivamente
di 0%, 19% e 81%.
Fig. 4. Scattergram AV preop vs AV postop nei 21 occhi con miopia elevata.
91
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
Fig. 5. Distribuzione degli occhi con miopia elevata secondo specifiche
categorie visive preoperatorie e postoperatorie.
Recidive neovascolari postoperatorie si sono sviluppate in 4 occhi (19%).
Nessuno è stato sottoposto a fotocoagulazione laser. Due occhi hanno
raggiunto un visus finale di 3/10 e 2 di 3/50.
La dimensione preoperatoria media (± deviazione standard) delle 18
MNVS valutate angiograficamente era di 2.22 ± 1.78 mm2 (range 0.44 ­
7.71 mm2).
L’atrofia postoperatoria media dell’EPR si è dimostrata 5.9 volte più
grande (594 ± 363%; range 0-1248%) della MNVS iniziale ed era scarsamente
correlata alle dimensioni della membrana (r=0.46).
Tra le complicanze dell’intervento, 2 distacchi di retina (10%) e 4 cataratte
(19%).
L’AV media (P=0.026) è stato l’unico fattore significativamente associato
ad una prognosi funzionale migliore (Tab. 5). In generale, gli occhi miopi
avevano una prognosi visiva migliore (P=0.035) degli occhi con DMS.
92
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
Discussione
Il razionale dell’approccio chirurgico dalle neovascolarizzazioni coroideali
subfoveali si basa sugli scarsi risultati funzionali ottenuti con la
fotocoagulazione laser di queste membrane.
I trials clinici pubblicati sino ad oggi sulla fotocoagulazione laser foveale
nella DMS riportano risultati funzionali scoraggianti (3,17,18) .
Approssimativamente gli occhi trattati perdono 3.5 linee di AV contro le
5 linee dei pazienti non trattati. La differenza media di AV era parimenti
scoraggiante, con 20/320 negli occhi trattati e 20/500 negli occhi non
trattati(17). Anche trattando piccole lesioni (1.77 mm2) con AV scarsa (<=20/
125) secondo gli ultimi dettami del Macular Photocoagulation Study (MPS),
si ottiene una perdita media di 4 linee di AV(18). La perdita aumenta sino a
6 linee per occhi con lesioni medie (>1.77 <=3.5 mm2)(18) che rappresentano
comunque lesioni sempre più piccole di quelle originariamente considerate
trattabili(3). La restrizione dei criteri di eligibilità per la fotocoagulazione
laser di membrane subfoveali nella DMS pone un altro problema: solo il
13% dei pazienti si presenta con una neovascolarizzazione coroideale
classica, passibile di trattamento fotocoagulativo secondo i dettami
dell’MPS (19); a fronte di quanto esposto, questa percentuale sembra ora
decisamente ottimistica.
Per quanto attiene alla neovascolarizzazione coroideale subfoveale
idiopatica o miopica, non vi sono trials clinici sulla terapia fotocoagulativa
foveale comparabili a quelli della DMS. La storia naturale delle membrane
idiopatiche riflette quella delle membrane subfoveali nella Presumed Ocular
Histoplasmosis Syndrome (POHS): il trattamento laser non sembra offrire
alcun vantaggio rispetto all’osservazione, con un’AV finale media di 20/
200 20/320 sia negli occhi trattati che non trattati dopo 2 anni di follow­
up (20). Nella miopia elevata, un’evoluzione disciforme può condurre ad
un’AV finale <= 20/200 nel 60% degli occhi dopo 2 anni(21).
Un trattamento in grado di incrementare e non solo prevenire una perdita
ulteriore del visus sarebbe auspicabile. L’asportazione chirurgica delle
membrane neovascolari subfoveali offre perlomeno un vantaggio teorico
rispetto alla fotocoagulazione: risparmia il neuroepitelio soprastante. In
realtà, il recupero funzionale nel DMS appare molto scarso, il successo
anatomico e funzionale nella POHS e nelle membrane idiopatiche elevato
e i dati concernenti la miopia contrastanti (10, 16).
I differenti risultati funzionali delle MNVS nella DMS e nel gruppo
POHS/idiopatico è stato spiegato sulla base della diversa localizzazione
della membrana: al di sotto dell’EPR (occulta) nell’anziano e anteriore
all’EPR (classica, ben definita) nel soggetto giovane(14, 22). Quest’ultima
situazione anatomica sembra determinare una minor estensione dell’atrofia
93
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
pigmentaria post-chirurgica e conseguentemente una migliore prognosi
visiva.
I nostri dati sono paragonabili a quelli di precedenti lavori sulla chirurgia
maculare delle MNVS idiopatiche e nella DMS, ma differiscono
positivamente per ciò che concerne la miopia. Le nostre esperienze sulla
DMS possono fornire inoltre un ulteriore approfondimento sulla diversità
di risultati riscontrati nei pazienti giovani ed anziani.
Nella DMS, la selezione dei casi è stata considerata di grande importanza
per la prognosi funzionale. Tuttavia, nei lavori sin qui pubblicati, nessuna
delle caratteristiche dei pazienti (sesso, età, precedenti fotocoagulazioni,
recidive, complicanze chirurgiche(14)) si è rivelata un fattore affidabile di
previsione del visus finale. Tra i fattori preoperatori da noi esaminati nella
DMS (stato dell’EPR, liquido sottoretinico, tipo di MNVS, AV media,
dimensione della MNVS) solo la dimensione iniziale della membrana
neovascolare aveva un effetto significativo sull’AV finale: più piccola la
membrana, migliore il visus finale.
Nella nostra serie di pazienti con DMS, il 79% delle MNVS erano
parzialmente occulte e più grandi delle MNVS ben definite rimanenti:
dimensione media rispettivamente di 13.80 e 5.49 mm2. Pertanto, un visus
finale tra 1/10 e 3/10 in solo 6 occhi (18%) potrebbe essere dovuto ad un
bias di selezione. Tuttavia, contro questa ipotesi stanno due dati: 1) la
bassa correlazione da noi riscontrata tra dimensione iniziale della membrana
neovascolare e atrofia finale dell’EPR nonostante l’ampia variabilità di
dimensioni delle membrane; 2) la rimozione di membrane ben definite ha
determinato un’area atrofica 18 volte più grande della membrana originaria,
un valore paragonabile all’ingrandimento medio globale di 19 volte
riscontrato nella DMS. Dunque, membrane ben definite, relativamente
piccole possono esistere in difetti postoperatori dell’EPR molto più
rilevanti nella DMS che nei casi miopici o idiopatici.
Negli occhi senili molti fattori come l’ispessimento dello strato collageno
interno della membrana di Burch, la stratificazione sub-epiteliale di depositi
focali e diffusi e le alterazioni della membrana basale dell’EPR conducono
ad una perdita della normale adesione dell’EPR alla membrana di Bruch. Il
processo neovascolare è libero di crescere in questo anomalo piano di
clivaggio e solidamente stabilisce una qualche forma di attacco alla
membrana basale dell’EPR anteriormente ed allo strato collageno interno
della membrana di Bruch posteriormente(22). Sia che la membrana raggiunga
o meno lo spazio sottoretinico (ben definita ed occulta), la sua rimozione
chirurgica può determinare uno slaminamento di aree epiteliali anche
distanti dalla membrana proprio in virtù di questa ridotta adesione con la
sottostante membrana di Bruch. Il movimento di interi “fogli” di EPR
durante l’asportazione della membrana è stato un riscontro relativamente
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
frequente nei nostri pazienti con DMS e del tutto assente in quelli con
MNVS idiopatiche o miopiche.
Poiché i componenti cellulari ed extracellulari delle MNVS sono simili
indipendentemente dalla patologia di base (23), la differente situazione
anatomica a livello del complesso EPR-membrana di Bruch-coriocapillare
può aver contribuito al miglior risultato funazionale del gruppo miope
rispetto a quello senile (P=0.03). L’adesione dell’EPR alla membrana di
Bruch non è diffusamente alterata nella miopia degenerativa; ciò trova un
riscontro clinico nell’assenza di distacchi dell’EPR, nel tipo di MNVS
(solitamente ben definita o nello spazio sotto-retinico) e nelle dimensioni
dell’area atrofica finale epiteliale rilevate nei nostri casi miopi.
Contrariamente alle MNVS ben definite della DMS, l’atrofia finale era
solo 5.9 volte (media) più grande della membrana originale. Tutte le
membrane neovascolari erano piccole (media 2.2 mm 2), questo potrebbe
spiegare la bassa correlazione tra la dimensione iniziale della cicatrice e la
dimensione finale dell’atrofia. L’unico fattore con un effetto statisticamente
significativo sull’AV finale era l’AV iniziale (P=0.026).
Questo è plausibile se si considera che, contrariamente a quanto avviene
nella DMS, lo stato funzionale iniziale dei fotorecettori viene alterato in
minor misura dalla distruzione chirurgica dell’EPR, a sua volta responsabile
del danno neuroepiteliale. Tra i nostri pazienti miopi, dopo l’asportazione
chirurgica di membrane subfoveali con visus iniziali <= 2/10, 10 occhi
(48%) sono migliori e 8 (32%) avevano un visus >=2/10 nonostante il
costante sviluppo di cicatrici atrofiche epiteliali.
Questi risultati differiscono da quelli di Tjomas et al.(14); in quello studio
però la numerosità era inferiore e diversa era anche l’AV iniziale (20/80 vs
20/250 nel nostro caso).
Le MNVS idiopatiche solitamente insorgono a seguito di un danno
focale. L’anatomia dei tessuti circostanti è solo minimamente alterata ed il
processo neovascolare cresce all’interno dello spazio sottoretinico (22). Non
è dunque sorprendente ritrovare il miglior risultato funzionale di questo
studio nella piccola serie di MNVS idiopatiche. Qeusto gruppo aveva anche
un’atrofia pigmentaria finale solo 2.3 volte (media) più grande della MNVS
originale, l’atrofia più piccola del nostro studio. L’area atrofica era correlata
alla dimensione della MNVS ma, data l’esiguità del gruppo, questo dato
necessita di ulteriori conferme.
La chirurgia vitreoretinica non è scevra di rischi. In questo studio sono
stati riscontrati durante il follow-up 5 distacchi di retina (8%) e 10 cataratte
(16%). Poiché questo è uno studio retrospettivo, e come tale soggetto alle
limitazioni proprie di questo disegno come l’assenza di gruppi di controllo,
non è nostra intenzione suggerire un’applicazione specifica di questo
approccio terapeutico per il trattamento delle MNVS.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 8
Pensiamo tuttavia che vi sia suffciente informazione clinica circa la
sicurezza e la possibile efficacia di questa chirurgia per giustificare un trial
clinico.
La neovascolarizzazione coroideale subfoveale è un problema clinico
importante, l’arruolamento di pazienti eligibili è possibile e c’è un rationale
scientifico per l’approccio chirurgico. Un trial clinico pilota randomizzato,
controllato, prospettivo è in fieri(14) ma valuterà solo occhi con DMS, POHS
e MNVS idiopatiche. Dal nostro studio sembra che la miopia degenerativa
possa beneficiare anche più della DMS dall’asportazione chirurgica delle
membrane subfoveali; suggeriamo l’inclusione di questa patologia in trials
clinici futuri.
96
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 8
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98
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CCAPITOLO
9
APITOLO 99
Complicanze della chirurgia delle
membrane sottoretiniche
A RMANDO C RESTANI
L’approccio alla chirurgia sottoretinica di una membrana neovascolare
esige, a nostro parere, un’attenta valutazione preoperatoria di alcune
variabili, tra cui la funzionalità retinica maculare e perimaculare mediante
l’oftalmoscopio a scansione laser, la sede della membrana, foveale o
extrafoveale, la storia naturale della malattia responsabile della
neovascolarizzazione sottoretinica, i risultati di terapie alternative (la
fotocoagulazione guidata e la terapia radiante) e le possibili complicanze
correlate all’atto chirurgico. Queste ultime, in particolare, possono
insorgere nella fase intraoperatoria o nel periodo postoperatorio.
Tra le complicanze intraoperatorie ci limiteremo solo ad accennare quelle
più comuni durante i vari stadi che caratterizzano la vitrectomia centrale
o subtotale, come l’errata sede delle sclerotomie e il danno lenticolare, per
approfondire quelle che più specificamente possono intervenire durante
la chirurgia delle membrane sottoretiniche. La sede delle sclerotomie può
essere troppo posteriore o troppo anteriore rispetto all’ora serrata con
danni rispettivamente alla retina periferica o al corpo ciliare. I primi, se
non diagnosticati intraoperatoriamente sono causa di distacchi regmatogeni,
i secondi possono provocare un sanguinamento in camera vitrea durante
l’intervento o nel periodo postoperatorio un emovitreo recidivante, che
aumenta il rischio di pucker maculare e di vitreretinopatia proliferativa (1).
Il danno lenticolare può essere provocato da un contatto diretto degli
strumenti chirurgici con la capsula posteriore, insorge in circa lo 0,5% dei
casi(2), anche se alcuni Autori hanno riportato un’incidenza dell’1-2% (3),
generalmente si sviluppa nelle prime settimane dalla vitrectomia (4) e si
verifica in particolare quando si escide la porzione retrolenticolare e/o
anteroperiferica del gel vitreale. Tuttavia sembra che solo lesioni superiori
a 3 mm. a carico dell’epitelio capsulare pregiudichino il mantenimento
della trasparenza lenticolare sino a indurre un’opacità tale da
compromettere il visus(5). Si può evitare questo contatto facendo attenzione
quando si lavora vicino alla lente, utilizzando la retroilluminazione mentre
si escinde il vitreo anteriore.
Dopo aver eseguito la vitrectomia centrale inizia l’asportazione della
ialoide posteriore, che noi eseguiamo in tutto il polo posteriore sino alle
arcate vascolare con un manipolo abboccato ad una punta in silicone e
99
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 9
collegato ad una suzione attiva >= a 150 mmHg. Se lasciata attaccata alla
retina, la ialoide posteriore può fornire una superficie per la successiva
proliferazione cellulare o contribuire ad una trazione tangenziale. La
necessità di utilizzare per la sua asportazione una suzione elevata deriva
dalla tenace adesione tra la membrana basale delle cellule di Mueller e le
fibrille vitreali, soprattutto al margine della papilla ottica e lungo alcuni
vasi venosi periferici di maggior calibro, in cui attraverso i difetti della
membrana limitante interna le cellule gliali fungono da ponte tra il vitreo
e la retina interna. Una suzione elevata, soprattutto se in presenza di una
trazione vitreomaculare dovuta ad un’anomala adesione tra il vitreo
corticale e la fovea periferica, può produrre dei danni superficiali ai vasi
retinici o delle lacerazioni del neuroepitelio.
All’asportazione della ialoide posteriore segue la retinotomia, la cui sede
può essere scelta dopo una valutazione microperimetrica della funzionalità
retinica. Le complicazioni in seguito a quest’atto chirurgico comprendono:
l’emorragia retinica o coroideale, l’allargamento della retinotomia, la
neovascolarizzazione sottoretinica e difetti del campo visivo. L’emorragia
retinica in genere è di modeste dimensioni e proviene dai capillari
intraretinici a livello dello strato delle fibre ganglionari e dello strato
nucleare interno e eventualmente, se la retinotomia è eseguita in area
peripapillare, dello strato radiale peripapillare. L’emorragia coroideale è
più cospicua ed è provocata da un’incauta manovra chirurgica a livello
coroideale. L’emorragia intraoperatoria viene controllata alzando la boccia
d’infusione temporaneamente per aumentare la pressione endobulbare. È
importante ottenere una completa emostasi per evitare le emorragie
recidivanti nel prosieguo dell’intervento e nel periodo postoperatorio.
L’allargamento della retinotomia è un’evenienza possibile quando la
retinotomia è stata eseguita troppo lontana dalla membrana neovascolare,
per cui l’introduzione degli strumenti chirurgici in sede sottoretinica
esercita una trazione perpendicolare all’asse maggiore del taglio. La retina
neurosensoarile, non essendo dotata di elasticità, si lacera nella sede di
minore resistenza con danno allo strato delle fibre nervose, danno che
conduce ad un deficit campimetrico, più ampio rispetto all’estensione della
neovascolarizzazione sottoretinica. Un altro evento che può comportare
un allargamento della retinotomia è l’estrazione della membrana
neovascolare, che può essere tanto ampia, soprattutto quando è connessa
strettamente all’epitelio pigmentato retinico nelle membrane neovascolari
senili, da richiedere un ampliamento del taglio retinico. È, infine, da
segnalare l’insorgenza di neovascolarizzazione nel postoperatorio nella sede
della retinotomia, evento raro, ma possibile probabilmente per il danno
distrettuale all’epitelio pigmentato e alla sottostante coroide.
A volte può essere necessario, dopo la retinotomia, provocare un piccolo
distacco di neuroepitelio per poter meglio accedere allo spazio sottoretinico.
100
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 9
In questo caso, mentre l’operatore pone un ago di 30 gauge nella
retinotomia, l’assistente spinge delicatamente lo stantuffo di una siringa
abboccata all’ago. Un’eccessiva forza sullo stantuffo può provocare un
brusco aumento della pressione nello spazio sottoretinico con lacerazioni
del neuroepitelio.
Una volta creato un buon accesso sottoretinico, una spatola ha il compito
di sganciare il corpo della membrana neovascolare dalla sua o dalle sue
connessioni vascolari con la coroide. Bruschi movimenti tangenziali
possono creare rotture retiniche e bruschi movimenti verticali emorragie
coroideali. L’emorragia coroideale avviene anche per la lacerazione dei
peduncoli nutritivi della membrana neovascolare, per cui è consigliabile
in questo stadio indurre nel paziente una marcata ipotensione sistemica,
accompagnata da un notevole aumento della pressione endoculare. Il tutto
può comportare, se protratto per parecchio tempo, una subocclusione
dell’arteria centrale della retina che, tuttavia, solo in soggetti vasculopatici
potrebbe causare danni retinici, poiché studi sulle scimmie hanno
dimostrato che sono necessari più di 90 minuti di occlusione arteriosa per
produrre danni retinici permanenti e atrofia ottica(6).
Una volta dislocata, la membrana viene afferrata con delle pinze ed
estratta dalla retinotomia. Il momento dell’estrazione può coincidere con
un sanguinamento coroideale, se qualche attacco vascolare non è stato
reciso dal corpo della membrana neovascolare. Questa evenienza intercorre
quasi sempre nei soggetti miopi. In una paziente da noi operata, il
sanguinamento è stato talmente massivo in sede sottoretinica che, non
essendo stato possibile la sua completa estrazione al momento
dell’intervento, ha determinato per l’effetto tossico dei prodotti di
degradazione dell’emoglobina nei confronti dell’epitelio pigmentato
retinico, un ampio scotoma assoluto nel periodo postoperatorio, molto
maggiore rispetto all’estensione della membrana neovascolare. In ogni caso,
adottando opportuni accorgimenti intraoperatori, le emorragie sono
autolimitanti, non richiedono una rimozione e in molti casi si risolvono
nei giorni successivi all’intervento. Il momento dell’estrazione coincide
anche con l’asportazione dell’epitelio pigmentato retinico, in una
percentuale varia in base alle diverse patologie che danno origine alla
neovascolarizzazione sottoretinica. Nelle miopie l’asportazione dell’epitelio
pigmentato è in media del 600% rispetto alle dimensioni della membrana
neovascolare (7), valore che si può riscontrare nell’asportazione delle
neovascolarizzazioni in corso di POHS, di coroidite puntata interna, di
strie angioidi e di coroidite serpiginosa. Nelle membrane neovascolari in
corso di degenerazione maculare senile l’asportazione è di molto superiore,
per il fatto che i neovasi attraversano l’epitelio pigmentato retinico, per
cui la loro asportazione “strappa” anche il monostrato cellulare pigmentato.
L’epitelio pigmentato è importante per l’integrità della coriocapillare, la
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 9
quale non viene asportata durante l’intervento(8), ma subisce in mancanza
dell’epitelio pigmentato retinico un’atrofia progressiva nel post-operatorio.
Le complicazioni nel periodo postoperatorio connesse a questo tipo di
intervento sono la cataratta(9), il distacco retinico(10), l’ipertono endoculare,
la recidiva neovascoalre, il pucker maculare e deficit campimetrici(11).
La cataratta è la complicazione postoperatoria più frequente e può essere
sottocapsulare posteriore o nucleare. È per lo più dovuta oltre che a un
danno meccanico diretto intraoperatorio, anche al protratto tempo
dell’intervento (fattori eziologici potrebbero essere la luce non filtrata del
microscopio operatorio o quella delle fibre ottiche riflessa dal fundus),
alla composizione dei liquidi per infusione(12, 13) (esperimenti sui ratti hanno
dimostrato che l’esposizione del cristallino a soluzioni arricchite con
glucosio possono determinare un imbrunimento non enzimatico delle
proteine lenticolari) e al contatto dei gas tamponanti con la capsula
posteriore(14) (l’opacità è correlata al grado di espansibilità e al tempo di
permanenza del gas in camera vitrea, maggiore è il volume occupato e
maggiore è la durata più facilmente può insorgere opacità del cristallino).
Il distacco retinico ha una percentuale bassa di insorgenza, nessun caso
secondo Berger(15) (0/33), 5% (2/58) secondo Thomas(16), 9% (2/21) secondo
De Molfetta, 3% (1/29) secondo Sheider, rispetto al distacco di retina
recidivante, pari al 9-25%. Le rotture sono localizzate in periferia o al polo
posteriore, rispettivamente lungo il margine posteriore della base vitreale,
subito dietro la sclerotomia o nell’area di lavoro.
L’occhio sottoposto a tale tipo di intervento può presentare un ipertono
nel periodo postoperatorio immediato o tardivo per diversi meccanismi:
eritroclastico (se vi è stato sanguinamento intraoperatorio), infiammatorio,
da mezzi di tamponamento e da soluzioni irriganti. Nella sua insorgenza
hanno importanza preesistenti condizioni glaucomatose o l’uso
postoepratorio di corticosteroidi in soggetti predisposti.
La recidiva neovascolare è la complicanza più frequente, 30% per l’AMD
dopo 8 mesi di follow-up e 37% per la POHS dopo 5 mesi di follow-up
secondo Thomas et al., 19% nelle miopie dopo 10 mesi secondo De
Molfetta, 16% per l’AMD e 13% per la POHS dopo 4 mesi. È probabile
che con un follow-up più lungo i tassi cumulativi della recidiva neovascolare
si elevino. Questi dati devono, in ogni caso essere confrontati, con quelli
riportati dal Macular Photocoagulation Study Group, in base al quale il
52% degli occhi con degenerazione maculare senile e il 28% degli occhi
con POHS trattati con argon laser per membrane extrafoveali sono andati
incontro ad una recidiva neovascolare dopo 24 mesi dal trattamento (17) e
questa percentuale era maggiore nel gruppo trattato con krypton laser(18).
Per quanto riguarda il trattamento laser subfoveale, la recidiva si sviluppò
nel 24% dei casi dopo 6 settimane dal trattamento e nel 32% dopo 3 anni(19).
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C APITOLO 9
Si riporta, inoltre, l’eventualità, come documentato da Thomas in un
7% di pazienti operati per neovascolarizzazione sottoretinica, dello
sviluppo nel periodo postoperatorio di una membrana epiretinica con una
lieve distorsione della retina neurosensoriale.
Si segnala, infine, la possibilità di difetti al campo visivo come sono stati
recentemente riscontrati in uno studio di Boldt dopo vitrectomia per foro
maculare. In questo lavoro i difetti del campo visivo hanno un’incidenza
del 7% e sono localizzati nel quadrante infero-nasale. La causa più probabile
secondo Boldt è un’occlusione dell’arteria retinica supero-temporale, come
sembrerebbe dimostrato dalla diminuzione focale o generalizzata dal suo
calibro.
Come in ogni intervento chirurgico endobulbare, si ricorda, infine, che
nella valutazione delle complicanze devono essere inclusi i rischi derivanti
al paziente dall’anestesia generale e l’eventualità di un endoftalmite, che,
sebbene molto rara per le migliorate condizioni di asepsi durante
l’intervento e per l’efficace profilassi anti-infettiva postoperatoria,
costituisce un elevato rischio di perdita non solo funzionale, ma anche
anatomica del bulbo.
103
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 9
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CCC
APITOLO
APITOLO10
10
APITOLO
10
Nuove frontiere terapeutiche nella
degenerazione maculare senile
P AOLO LANZETTA, SABRINA C ROVATO, GIANNI VIRGILI
La degenerazione maculare legata all’età (AMD) è la principale causa di
cecità nella popolazione del mondo occidentale al di sopra dei 65 anni(1-3).
Pur essendo un notevole peso in termini sociosanitari, l’eziologia di tale
patologia è ancora sconosciuta, le possibilità terapeutiche sono poche e
applicabili unicamente a pazienti selezionati, affetti dalla forma essudativa.
Epidemiologia - Prevalenza
Nel Framingham Eye Study(2), in un campione di 2631 pazienti con età
pari o superiore a 52 anni, la prevalenza della AMD in uno o entrambi gli
occhi è risultata del 5.7%. Tale studio, adottando tra i criteri diagnostici
una acuità visiva uguale o minore a 20/30, tende a sottostimare la prevalenza
delle forme iniziali di AMD, che consentono comunque una buona acuità
visiva. La prevalenza della malattia riflette il principale fattore di rischio
cioè l’età; infatti nella fascia di età 52-64 anni la prevalenza è dell’1.6%,
mentre cresce fino all’11% nei soggetti di età comrpesa tra 65 e 74 anni e al
27.9% in quelli con più di 75 anni.
Il Beaver Dam Eye Study (4) riporta una prevalenza maggiore sia nella
fascia d’età tra i 65 e i 74 anni (19.4%), sia in quella superiore ai 75 anni
(36.8%).
In uno studio olandese del 1994, il Rotterdam Study(5), la forma atrofica
o essudativa dell’AMD è presente nell’1.7% della popolazione totale. La
prevalenza della forma atrofica varia dallo 0.1% in soggetti dai 55 ai 64
anni, al 3.7% in quelli con età maggiore di 85 anni; la prevalenza della
forma essudativa invece varia dallo 0.1% al 7.4% negli stessi gruppi d’età.
Non è stata rilevata nessuna differenza legata al sesso dei pazienti
considerati.
Suscita particolare interesse il fatto che in questo studio, così come nel
Beaver Dam Eye Study, la prevalenza della forma neovascolare di AMD
sia circa il doppio rispetto alla forma atrofica.
Il Blue Mountains Eye Study(6) ha studiato la prevalenza dell’AMD in
Australia. La prevalenza generale era pari all’1.94%. Nella fascia d’età
compresa tra i 75 e 84 anni la malattia aveva una prevalenza del 5.4%.
107
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 10
Pur considerando che il confronto tra i vari studi risulta difficile a causa
della variabilità di definizione e classificazione della malattia e dei differenti
metodi di documentazione fotografica, sembra di poter considerare che la
AMD sia meno comune nella popolazione Europea ed Australiana rispetto
a quella degli Stati Uniti.
Nel Case Control Study di Hyman (7), l’88% degli occhi con un visus
pari o inferiore a 20/200 era affetto da AMD neovascolare, mentre nel
restante 12% era presente la forma atrofica.
Incidenza
Il Beaver Dam Study(6) ha stimato l’incidenza della malattia in un periodo
di 5 anni in soggetti con un’età compresa tra i 43 e gli 86 anni all’epoca del
primo controllo. L’incidenza di AMD precoce, cioè presenza di soft drusen
e/o anomalie dell’EPR, era pari all’8.3%. L’AMD tardiva (essudativa o
geografica) invece aveva un’incidenza dello 0.9% che variava tra lo 0% in
soggetti con età inferiore ai 55 anni ed il 5.6% in quelli al di sopra dei 75
anni. Dai dati riportati in questo studio è risultata particolarmente evidente
l’associazione positiva tra età e insorgenza dell’AMD. Infatti i soggetti
con età maggiore di 75 anni avevano un rischio di 11.9 volte superiore di
sviluppare una AMD essudativa o geografica rispetto ai soggetti di età
inferiore. Tra i fattori di rischio, oltre all’età, va annoverata la presenza di
drusen molli, confluenti, accompagnate da anomalie dell’EPR.
Prevenzione
Attualmente non esiste alcuna terapia disponibile per il trattamento della
AMD atrofica; purtroppo l’unica arma terapeutica rivelatasi realmente
efficace, la fotocoagulazione mediante laser, si può applicare solamente ad
alcune forme selezionate di AMD neovascolare. Il Macular
Photocoagulation Study ha stimato che tale gruppo selezionato sia pari a
circa il 20% dei casi di AMD essudativa; inoltre il 50% circa dei casi trattati
va incontro a recidive(8-11). Date queste premesse, è evidente che gli sforzi
della ricerca scientifica debbano essere convogliati oltre che verso la scoperta
di nuove forme terapeutiche, anche verso l’ottimizzazione della
prevenzione.
Il ruolo della luce solare e degli ultravioletti
Alcuni studiosi(12, 13) hanno ipotizzato che la luce, ed in particolare i raggi
ultravioletti, possono avere un ruolo non marginale nella patogenesi
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 10
dell’AMD. La luce potrebbe generare forme attive di ossigeno nella retina
esterna e/o nella coroide, probabilmente tramite la fotoattivazione di
precursori dell’emoglobina, le protoporfirine; i radicali di ossigeno
causerebbero quindi, attraverso la perossidazione dei lipidi di membrana
dei segmenti esterni dei fotorecettori, un progressivo danno degenerativo.
Il Chesapeake Bay Waterman Study (14) non ha evidenziato alcuna
correlazione tra l’esposizione cronica agli ultravioletti e qualche forma di
AMD. Al contrario, il Waterman Study (15) ha dimostrato in modo
significativo una maggiore esposizione alla luce blu ed allo spettro visibile,
durante i 20 anni precedenti lo studio, negli individui affetti da AMD
geografica o essudativa. Secondo il Beaver Dam Eye Study (16) esisterebbe
una scarsa associazione tra l’esposizione alla luce solare estiva e le forme
più avanzate di AMD. L’Eye Disease Case Control Study(17) non ha rilevato
alcuna correlazione tra l’esposizione alla luce solare e la forma neovascolare
di AMD.
I dati raccolti sono dunque contrastanti e non permettono una univoca
definizione del ruolo causale della luce solare e degli ultravioletti sulla
AMD.
Il ruolo dei fattori antiossidanti
Tra i fattori di rischio della AMD vanno annoverati il fumo,
l’ipercolesterolemia, l’ipertensione, le malattie cardiovascolari (7, 17-20). In base
all’ipotesi che la luce, inducendo la formazione di radicali liberi, possa
produrre le alterazioni coroideali e retiniche alla base dell’AMD, si è
teorizzato il ruolo terapeutico e preventivo di fattori antiossidanti. Questi
sono perlopiù rappresentati dalla vitamina C, E, dal betacarotene e dal
glutatione. L’associazione con oligoelementi quali zinco e selenio,
sembrerebbe potenziare l’azione di tali fattori protettivi.
Secondo il Baltimore Longitudinal Study on Aging (21), elevati livelli
plasmatici di antiossidanti corrispondevano ad una minore frequenza di
AMD. Nel Beaver Dam Eye Study(22) l’assunzione di dosi supplementari
di vitamina C, nei 10 anni precedenti allo studio, corrispondeva ad una
diminuita frequenza di segni di AMD. Nell’Eye Disorder Case Control
Study(23) è stata rilevata una relazione inversa tra le sostanze antiossidanti
e la presenza di AMD con neovascolarizzazione coroideale.
Newsome et al(24), in uno studio clinico prospettico randomizzato, hanno
valutato il ruolo della supplementazione orale con zinco nella prevenzione
della progressione della AMD. I soggetti trattati con zinco hanno
manifestato un calo visivo in misura minore rispetto a quelli trattati con
placebo.
In conclusione, il razionale della supplementazione con oligoelementi e
vitamine deriva da una ipotesi patogenetica che riconosce nei meccanismi
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CAPITOLO 10
ossidativi una delle cause della AMD. Comunque è ancora fonte di
discussione l’utilità di una strategia preventiva basata su tali sostanze,
soprattutto considerando la scarsità di informazioni riguardo gli effetti
collaterali a lungo termine.
La fotocoagulazione laser delle drusen
Nel 1973 Gass (25) notò la scomparsa delle drusen circostanti le aree
fotocoagulate per la presenza di una membrana sottoretinica.
Weitzig (26) approfondì questo tipo di osservazione studiando
retrospettivamente la scomparsa di sfot drusen dopo trattamento a griglia
con laser krypton e argon. Nel ‘91 Singelman(27) riportò un caso in cui si
ebbe la scomparsa oltre che delle drusen subfoveali trattate mediante laser,
anche di quelle vicine, non sottoposte a trattamento fotocoagulativo.
Figueroa(28) nel ‘94 ha condotto uno studio prospettico su un campione
di 20 pazienti che presentavano soft drusen coinvolgenti la fovea. È stata
quindi seguita l’evoluzione delle drusen dopo l’applicazione in sede
temporale di un trattamento con argon verde; ne è risultata la scomparsa
sia delle drusen fotocoagulate, sia di quelle situate a distanza degli spot
laser e nell’area nasale. Recentemente Bressler et al.(29) hanno evidenziato
che la fotocoagulazione laser delle drusen non è associata ad alcun effetto
collaterale rilevante.
Il meccanismo(28, 30) con cui il laser induce la regressione delle drusen
non è ancora chiaro. Il trattamento diretto delle drusen potrebbe accelerarne
la rimozione da parte dei fagociti e, distruggendo nel contempo l’epitelio
pigmentato retinico degenerato, si avrebbe un minore accumulo di detriti
cellulari. Inoltre, è stato ipotizzato che i depositi lipidici localizzati nella
membrana di Bruch impediscano il trasporto del materiale stesso all’esterno
della retina; il laser, alterando le caratteristiche chimiche di questi depositi,
ne permetterebbe il riassorbimento.
In questo ambito, Frennesson e Nilsson(31) hanno recentemente riportato
un successo sia anatomico che clinico.
Infatti, in un gruppo di 19 occhi, il trattamento con argon verde ha
consentito, a 12 mesi di follow-up, un decremento significativo dell’area
media delle soft drusen evidenziabile sia all’angiografmma che alla semplice
fotografia a colori del fundus. All’osservazione dell’angiogramma la
percentuale di decremento dell’area media negli occhi trattati variava da
un minimo del 7.15% ad un massimo del 19.22% (p<0.001), mentre
all’osservazione della fotografia a colori variava dal 2.93% al 7.87%
(p=0.00013). Inoltre è stata mantenuta un’acuità visiva media ed una
sensibilità al contrasto dei colori maggiore rispetto al gruppo di controllo.
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 10
I loro risultati rafforzano maggiormente l’idea di poter adottare tale
terapia come profilassi della forma essudativa dell’AMD.
La fotocoagulazione della neovascolarizzazione coroideale con laser a
diodo
La fotocoagulazione della CNV con argon laser fu introdotta nei primi
anni ‘70 (32-34); si notò che l’irradiazione della regione maculare con luce
blu-verde (488 nm) danneggiava le fibre nervose in quanto assorbita dal
pigmento xantofillico. Questo inconveniente spinse gli studiosi a introdurre
nell’uso abituale lunghezze d’onda maggiori (argon verde, 514 nm, krypton
rosso, 647 nm). Recentemente diversi studi (35,36) multicentrici hanno
definitivamente dimostrato che il trattamento con argon o krypton laser
riduce l’incidenza di un severo calo visivo con pari efficacia.
Da qualche tempo è stato introdotto un laser semiconduttore a diodo
che emette nel vicino infrarosso a 805-810 nm. Questo fotocoagulatore ha
diversi vantaggi di ordine operativo, tra cui le dimensioni ridotte, una
efficiente conversione elettro-ottica (superiore al 50%), l’assenza di impianti
di raffreddamento e la lunga durata con ridotti costi di manutenzione. Le
caratteristiche biofisiche delle lunghezze d’onda sopracitate includono la
buona trasmissione attraverso i mezzi diottrici, un assorbimento da parte
del pigmento foveale pressoché nullo, e un assorbimento da parte
dell’epitelio pigmentato retinico e coroideale sensibilmente inferiore
rispetto al krypton e all’argon laser(37).
Lanzetta et al.(38, 39), hanno valutato l’efficacia del trattamento diretto o
perifoveale del laser diodo in 42 occhi affetti da CNV subfoveale (11 occhi),
juxtafoveale o extrafoveale (31 occhi). Si è registrato nel 28.6% dei casi un
miglioramento della acuità visiva e nel 40.5% una sua stabilizzazione; nelle
CNV classiche iuxta o extrafoveali il visus è migliorato nel 33,3% dei casi
ed è rimasto stabile nel 45,8%. Le potenze utilizzate (400-800 nm) sono
risultate in media tre volte più elevate rispetto a quelle comunemente
utilizzate con il krypton laser.
Il trattamento laser diretto della neovascolarizzazione subfoveale
Un problema ancora irrisolto riguarda il trattamento delle membrane
neovascolari a localizzazione subfoveale; il Macular Photocoagulation
Study (40) ha ridefinito e limitato le indicazioni al trattamento laser di
membrane a localizzazione foveale; i risultati più favorevoli con la
fotocoagulazione diretta della neovascolarizzazione foveale si possono
ottenere nel caso di membrane di piccola dimensione (<1 diametro
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 10
papillare) associate a bassa acuità visiva (<20/200) o moderata acuità visiva
(20/125-20/160) o nel caso di membrane di media grandezza (1-2 diametri
papillari) con bassa acuità visiva (<20/200). Questi risultati sono stati
ottenuti da un trial clinico del ‘94 che ha voluto esaminare il risultato, in
termini di acuità visiva finale, del trattamento fotocoagulativo in CNV
subfoveali. La peggiore prognosi visiva post-trattamento è riservata alle
membrane estese e con buona acuità visiva(40).
Recentemente uno studio giapponese (41) ha analizzato i fattori
influenzanti l’acuità visiva post-laser di questo tipo di CNV. La prognosi
visiva finale migliore (>=20/200) si verifica quando la membrana dista non
più di 1/3 di diametro papillare dal centro della fovea e quando la sensibilità
retinica al punto di fissazione sia almeno di 10 dB.
Il trattamento laser perifoveale
Lo scopo del trattamento perifoveale è bloccare la proliferazione della
membrana neovascolare senza però distruggere i fotorecettori foveali.
L’efficacia del trattamento viene ascritta non tanto alla distruzione della
membrana neovascolare quanto al fatto che il trattamento possa indurre il
riassorbimento del liquido sottoretinico.
Un contributo importante nell’introduzione di questa alternativa
terapeutica è stato il trial clinico condotto nel ‘91 da Coscas et al(42).
I criteri di inclusione erano caratterizzati dalla presenza di una CNV
subfoveale di dimensioni comprese tra 0.5 e 2.5 diametri papillari, senza
alcun segno di involuzione fibrosa e con un’acuità visiva compresa tra 20/
100 e 20/1000. La metodica del trattamento prevedeva l’applicazione di
spot di 200 mm attorno alle arcate neovascoalri periferiche di una membrana
classica o ai margini di un DEP vascolarizzato, risparmiando sempre la
fovea, individuata esaminando le fasi precoci del fluoroangiogramma.
Ad almeno 1 anno di follow-up è risultato che l’acuità visiva è migliorata
o rimasta inalterata nel 41.4% degli occhi trattati contro il 20.3% del gruppo
di controllo; inoltre l’acuità visiva ottenuta mediante ausili ipovisivi si è
conservata nel 73.5% degli occhi trattati contro il 47.4% degli occhi non
trattati. L’esito funzionale di tale trattamento consiste in uno scotoma
che permette comunque lo sviluppo di una fissazione eccentrica.
Abbiamo valutato l’efficacia del trattamento laser perifoveale in 34 occhi
trattati con laser krypton o diodo e con un follow-up superiore ad un
anno(43). I risultati possono essere suddivisi in due gruppi. Un primo gruppo
in cui l’acuità visiva iniziale, superiore a 0.15, si è mantenuta stabile o è
migliorata ed un secondo gruppo in cui l’acuità visiva iniziale, inferiore a
0.1, è peggiorata dopo il trattamento laser. L’estensione iniziale della
membrana non ha influito sugli esiti del trattamento. È presumibile quindi
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 10
che il trattamento laser perifoveale, al fine di ottenere risultati soddisfacenti,
sia indicato in pazienti con una acuità visiva residua superiore a 1-2/10.
Il trattamento chirurgico
Thomas (44) nel ‘91 ha proposto come alternativa terapeutica al laser
l’escissione chirurgica delle membrane sottoretiniche a localizzazione
subfoveale. Egli ottenne ottimi risultati funzionali in due occhi affetti da
neovascolarizzazione coroideale in corso di pseudoistoplasmosi.
Nel ‘93 Coscas(45) verificò l’efficacia di tale approccio terapeutico su 102
pazienti affetti sia da AMD che da istoplasmosi; i risultati funzionali
migliori si ebbero nei pazienti che presentavano una neovascolarizzazione
coroideale in corso di istoplasmosi (il 44% degli occhi contro il 33% degli
occhi in corso di AMD). In un anno di follow-up questi risultati vennero
però gravati da recidive della neovascolarizzazione nel 27% dei casi, nell’11%
dei casi dall’insorgenza di pucker maculare e nel 5.6% dei casi
dall’insorgenza di distacco retinico.
Più recentemente Thomas(46) ha dimostrato, in base ad una revisione
della casistica, che la rimozione chirurgica delle membrane in corso di
AMD raramente conduce a risultati funzionali soddisfacenti.
Gass(47) ha valutato l’opportunità di procedere alla escissione chirurgica
della membrana in base alle caratteristiche biomicroscopiche ed
istopatologiche della neovascolarizzazione. Egli ha distinto due tipi
principali di neovascolarizzazione: il tipo 1 si localizza al di sotto
dell’epitelio pigmentato, mentre il tipo 2 si localizza al di sotto della
neuroretina e viene spesso inglobato in una sorta di duplicazione
dell’epitelio pigmentato. Il tipo 1 si ritrova più frequentemente nei pazienti
affetti da AMD e la sua escissione chirurgica ha dato finora scarsi risultati
funzionali. Le membrane di tipo 2 sono caratteristiche di pazienti affetti
da pseudoistoplasmosi, da miopia ed in giovane età.
Alcuni Autori (48) hanno recentemente ipotizzato che numerosi altri
fattori possano influenzare l’esito postoperatorio. Tra questi le condizioni
preoperatorie dell’epitelio pigmentato e lo stato della coriocapillare. Di
una certa utilità, per una migliore e più precisa localizzazione della
membrana, sarebbe poter correlare i dati forniti dalla biomicroscopia, dalla
fluorangiografia e dalla angiografia con verde di indocianina(40, 50). All’esame
biomicroscopico la localizzazione al di sotto del neuroepitelio della
neovascolarizzazione è segnalata dal riscontro di un alone grigio-brunastro,
a margini ben definiti. Secondo lacuni Autori (49, 50) la angiografia con
fluoresceina risulta sicuramente più utile rispetto alla angiografia con verde
di indocianina nel determinare se una membrana è prevalentemente di
tipo 1 o di tipo 2.
113
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 10
Il ruolo dell’interferone
La farmacoterapia della membrana sottoretinica rappresenta un approccio
alternativo nel caso di sede subfoveale.
Il razionale per l’impiego dell’interferone alfa sta nella sua attività
antiangiogenica, essendo in grado di inibire in vitro la proliferazione e la
migrazione delle cellule endoteliali(51) ed in vivo l’angiogenesi indotta dai
linfociti(52); inoltre nella scimmia si è dimostrato capace di far regredire
l’iridopatia proliferante (53). La terapia antiangiogenica sistemica offrirebbe
diversi potenziali vantaggi rispetto alla fotocoagulazione laser nella terapia
della neovascolarizzazione coroideale. Essa eviterebbe il danno retinico
laser-indotto, e renderebbe possibile il trattamento di neovascolarizzazioni
occulte o scarsamente definite angiograficamente. Inoltre costituirebbe un
provvedimento terapeutico per prevenire la recidiva o ridurne il rischio di
insorgenza.
Nel 1991 Fung(54) ha descritto per primo l’efficacia dell’interferone alfa
nel trattamento di alcune membrane coroideali in corso di AMD.
Nel ‘94 Chan(55) ha documentato una minima regressione probabilmente
spontanea, della neovascolarizzazione e un riscontro di un alto numero di
effetti collaterali imputabili alla tossicità del farmaco. Dei 24 pazienti
considerati, il 100% di essi ha infatti accusato una sintomatologia
similinfluenzale, con febbre, astenia, anoressia, mialgie; il 79.2% ha riportato
complicazioni neurologiche (cefalea, disturbi del sonno, irritabilità), il
54.2% nausea e vomito; in alcuni casi infine si sono verificate complicanze
cardiopolmonari che hanno reso necessaria la sospensione del farmaco.
Precedentemente inoltre era stata descritta una retinopatia indotta
dall’interferone caratterizzata da un quadro ischemico con essudati molli,
non-perfusione capillare, occlusione arteriolare ed emorragie (56, 57).
I risultati riportati dal Pharmacological Therapy for Macular
Degeneration Study Group(58) sembrerebbero togliere ogni speranza di un
futuro utilizzo su larga scala dell’interferone. Attualmente sono in corso
di valutazione un certo numero di agenti dotati di attività antiangiogenica
che potrebbero essere efficaci nell’indurre la regressione della
neovascolarizzazione coroideale. Tra questi ricordiamo il triamcinolone
acetato(59), l’accutane(60) e la talidomide(61).
La radioterapia
Nel 1993 Chakravarthy (62), ha dimostrato che basse dosi di radiazioni
possono indurre la regressione di membrane subfoveali, senza determinare
significativi deficit della visione centrale. Anche nel caso della radioterapia
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Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 10
la neovascolarizzazione coroideale viene considerata alla stregua di un
processo proliferativo endooculare. Numerosi altri studi sono stati eseguiti
negli ultimi tempi per valutare l’efficacia di questo tipo di approccio
terapeutico.
Marcut et al.(63) hanno riportato una stabilizzazione del visus nel 50%
dei pazienti che presentavano una recidiva della CNV, senza notare alcun
effetto avverso dovuto al trattamento con radiazioni a basso dosaggio.
I risultati più recenti in corso di AMD hanno dimostrato una scarsa
efficacia a breve termine (65) tanto da scoraggiare ulteriori valutazioni
riguardo l’applicazione della radioterapia in corso di AMD
La terapia fotodinamica
Questo tipo di possibilità teraeputica rappresenta a tutt’oggi una delle
proposte più interessanti (66). Essa sfrutta la capacità di alcuni coloranti
fotochimici, quali i derivati della benzoporfirina(67), l’etiopurina(68), i derivati
clorinici(69), di accumularsi all’interno dei tessuti neovascolari che vengono
successivamente irradiati mediante laser a bassa potenza.
Tale trattamento produce una occlusione vascolare selettiva con un
meccanismo non di tipo termico ma su base ossidativa; il vantaggio offerto
da tale terapia è quindi duplice: da un lato il peculiare meccanismo d’azione
consente un risparmio delle fibre nervose e dei fotorecettori siti nell’ambito
dell’area trattata, dall’altro l’approccio altamente selettivo permette un
notevole risparmio di retina sana, circostante la neovascolarizzazione.
I risultati finora ottenuti hanno evidenziato come la terapia fotodinamica
sia efficace nell’indurre l’occlusione della membrana neovascolare senza
importanti danni a carico della retina. Purtroppo l’occlusione è solamente
temporanea nella maggior parte dei casi poiché la neovascolarizzazione va
incontro a recidive a causa di una riperfusione dopo 1-2 mesi dal
trattamento. È attualmente in corso di studio l’efficacia di trattamenti
ripetuti con tale metodica.
115
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 10
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120
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CC
APITOLO
1111
CAPITOLO
APITOLO 11
Riabilitazione visiva e
sviluppo della fissazione eccentrica
M ARIO BROGGINI
Oggigiorno la vita quotidiana richiede la visione e l’elaborazione di un
numero maggiore di informazioni visive rispetto al passato.
Le informazioni sono sempre più spesso veicolate da un messaggio visivo
in una innumerevole varietà di modi: segnali stradali, monitor di computer,
programmi televisivi, pannelli di comando a cristalli liquidi, libri, riviste,
quotidiani.
Il flusso crescente di informazioni visive si riscontra sia sui luoghi di
lavoro che nelle condizioni di vista quotidiana.
In conseguenza, i soggetti con prestazione visiva ridotta, si confrontano
più drammaticamente, rispetto al passato, con le loro disabilità visive che
talora possono provocare gravi handicaps.
Si definisce ipovedente colui che è affetto da disabilità della funzione
visiva anche dopo un trattamento medico-chirurgico e/o una correzione
della refrazione standard e possiede un’acuità visiva inferiore a 0.3 o un
campo visivo inferiore a 60° dal punto di fissazione, ma che utulizza o che
potenzialmente è in grado di far uso del residuo visivo per la
programmazione e l’esecuzione di un determinato compito.
Questi individui presentano nella vita pratica gravi difficoltà nella lettura,
nella scrittura, nel lavoro manuale fine, nel riconoscere la fisionomia delle
persone.
Il soggetto ipovedente presenta quindi un livello di capacità visiva
insufficiente per svolgere attività quotidiane, lavorative o di svago che
sono abituali per individui della medesima età, sesso e stato socio-culturale.
Attualmente il numero dei soggetti ipovedenti è in costante aumento
sia per il miglioramento delle cure mediche, chirurgiche o parachirurgiche
di patologie che prima portavano a cecità, sia per il progressivo aumento
della vita media della popolazione.
L’ipovisione è una condizione che colpisce più di una persona su 200
nella popolazione dei paesi industrializzati. Si è valutato che in Europa
esistano 11 milioni di ipovedenti in aggiunta ad un milione di non vedenti.
Oggi la degenerazione maculare correlata all’età è la prima causa di
ipovisione nei paesi industrializzati. Secondo il Beaver Deam Eye Study
l’1.6% della popolazione ne sarebbe colpita prima dei 55 anni ed il 27.9%
dopo i 55 anni.
121
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 11
Complessivamente la degenerazione maculare correlata all’età colpisce
il 39.3% degli ipovedenti, seguita dalla miopia degenerativa 9% e dalla
retinopatia diabetica 8.6% dei casi (Tabella 1).
Tab. 1. Prevalenza % cause ipovisione-età
Patologia
Età
Degenerazione Maculare Senile
Degenerazione Miopica
Retinopatia Diabetica
Cheratopatia
Glaucoma
Coroidite
Distrofia Maculare
Cataratta
Atrofia Ottica
Vasculopatie
Maculopatia Ereditaria
Albinismo
6 - 20
1,7
3,4
1,7
5,1
8,5
22,2
15,3
6,7
13,5
21 - 65
66 - 95
6 - 95
9,7
14,0
13,9
8,8
4,5
6,9
12,4
1,8
7,3
4,2
4,2
-
63,7
6,8
6,1
4,1
6,7
3,5
1,2
3,3
4,9
-
39,3
9,0
8,6
5,8
5,6
4,9
4,7
4,6
4,0
3,8
2,1
1,3
I pazienti ipovedenti possono appartenere a seconda della propria
minorazione visiva ad uno o più di questi quattro gruppi fondamentali.
- Soggetti con scotomi centrali con perdita della funzione foveale.
- Soggetti con gravi difficoltà nel controllo del movimento degli occhi.
- Soggetti con perdita della visione periferica, ma con visione centrale
parzialmente conservata.
- Soggetti con ambliopia secondaria a difetti refrattivi e a retinopatia
diabetica.
Anatomicamente la fovea è un’area retinica con diametro di circa 5° (o di
circa 1500 micron); la zona più centrale con diametro di 1,2°-1,7° è la
foveola in cui i recettori sono esclusivamente coni.
Il soggetto con scotoma centrale per poter ottenere funzioni visive tipiche
della fovea danneggiata deve utilizzare un’area retinica sana eccentrica.
Il sistema visivo può programmare movimenti oculari in rapporto alla
fovea non funzionante ma questa non può più svolgere le prestazioni visive.
Gran parte dei pazienti ipovedenti possono essere validamente aiutati
nella loro vita quotidiana con un trattamento di riabilitazione visiva.
Dopo accurate indagini clinico-funzionali, necessarie per accertare la
stabilità della patologia oculare e l’entità del residuo visivo funzionale,
122
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 11
comprendenti la misurazione dell’acuità visiva da lontano e da vicino, lo
studio del campo visivo, la sensibilità al contrasto, la fluorangiografia
retinica, è possibile progettare un trattamento di riabilitazione visiva
tenendo conto delle problematiche e delle necessità del paziente ipovedente
per consentire mediante ausili visivi e specifici esercizi, la riacquisizione di
alcune funzioni primarie, come ad esempio la lettura e la scrittura,
permettendo così il superamento di alcune disabilità ed incrementando la
comunicazione e la progettualità dell’individuo.
Con il termine di Localizzazione Retinica Preferenziale (LRP) viene
indicata la localizzazione e l’estensione di quelle aree retiniche eccentriche
che vengono utilizzate in sostituzione della fovea non funzionante.
Nei pazienti con scotoma centrale le prestazioni visive sono eseguite
orientando l’occhio in modo tale che le immagini cadano sulla LRP.
Dato che la retina, al di fuori della macula, presenta un numero minore
di coni, la percezione dell’immagine è necessariamente ridotta. Per
compensare ciò si deve ingrandire l’immagine che cade sulla retina sana in
misura proporzionale alla sua distanza dalla fovea lesionata.
La nuova pseudofovea dipende dalle dimensioni dello scotoma. È
importante situare l’immagine, tramite la fissazione eccentrica, subito fuori
dallo scotoma, per evitare ingrandimenti inutili e minimizzare l’angolo di
visione eccentrica considerando che per ottenre una buona capacità di
lettura l’estensione orizzontale della LRP deve essere sufficiente ad
accogliere un minimo di 4-6 lettere contemporaneamente.
Più l’immagine è lontana dalla fovea, maggiore è l’ingrandimento
necessario e quindi più corta sarà la distanza di lettura. Il problema se
fissare sopra o sotto il testo, dipende dalla natura dello scotoma.
Per ottenere con successo la fissazione eccentrica, l’individuo da riabilitare
deve conoscere bene il proprio campo visivo e capire il procedimento da
seguire, deve sapere quanti gradi al di sopra o al di sotto del testo deve
guardare. Ciò si calcola con la seguente formula:
tan d° = X / RD
dove d° sono i gradi di decentramento rispetto alla fovea a cui deve essere
focalizzata l’immagine sulla retina. X è la distanza tra il testo ed il punto al
di sopra o al di sotto l’occhio deve fissare per evitare lo scotoma. RD è la
distanza di lettura, determinata dal reciproco potere diottrico delle lenti
usate dal paziente.
Con questi dati è possibile creare specifici esercizi in grado di consentire,
con un adeguato addestramento svolto da operatori qualificati, un efficace
ed automatico utilizzo della Localizzazione Retinica Preferenziale prescelta.
Il paziente deve imparare contemporaneamente a muovere il testo ed a
fissare l’occhio migliore nella posizione più corretta mediante l’aiuto della
123
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 11
accomodazione e/o di una lente ipercorrettiva e quindi conoscere la
profondità di campo e la distanza di lettura leggendo nelle più idonee
condizioni di postura ed illuminazione.
I campi temporale e nasale della retina, non vengono usati normalmente
perché la stampa scorre orizzontalmente ed un campo di fissazione deve
essere il più ampio possibile sul piano orizzontale, per offrire le migliori
condizioni di lettura.
Durante l’analisi visiva negli individui normovedenti gli occhi si
muovono f requentemente compiendo una esplorazione sistematica dei
diversi stimoli provenienti dall’ambiente.
I movimenti oculari portano gli stimoli visivi dal campo periferico (retina
periferica) al campo centrale (fovea), in modo da mantenere la fissazione
foveale. Questa acquisizione e assicurazione delle immagini visive alla fovea,
e la loro stabilizzazione in questa area visiva, costituiscono le funzioni
fondamentali dei movimenti oculari:
- movimenti lenti di ricerca ed esplorazione dello spazio visivo, di
inseguimento;
- movimenti di convergenza e divergenza che, insieme alla accomodazione,
permettono la percezione del senso di profondità dello spazio;
- movimenti di origine vestibolare;
- movimenti rapidi o saccadici.
I movimenti oculari rapidi e lenti dipendono dal sottosistema di versione
che comanda tutti i movimenti coniugati, i movimenti oculari di vergenza
dipendono dal loro sottosistema che comanda i movimenti disconiugati. I
movimenti saccadici sono movimenti rapidi versionali (coniugati), e sono
sotto il controllo sia della volontà che dei riflessi.
Lo stimolo visivo per i FEM (“Fast Eye Movement” o “saccades”) è lo
spostamento del bersaglio (oggetto), percepito a livello retinico. La
comparsa improvvisa di un oggetto nel campo visivo periferico o un rumore
eccentrico possono provocare una saccade riflessa, diretta verso lo stimolo.
La lettura è una prestazione molto complessa fondata essenzialmente su
due componenti: la strumentalità visiva (sia sensoriale sia motoria) ed i
processi cognitivi.
Questo processo complesso richiede una risoluzione visuale del testo,
immagini retiniche stabili, movimenti saccadici accurati, codificazione delle
parole, accesso lessicale e memoria a breve e lungo termine.
Durante la lettura ordinaria i movimenti degli occhi sono ristretti a
veloci saccadi orizzontali lungo la linea del testo, separate da lunghe pause
di fissazione.
In genere avvengono quattro fissazioni al secondo (il tempo di fissazione
varia da 200 a 400 msec).
La velocità dei movimenti oculari è elevatissima, circa 200° al secondo,
pari ad un tempo di 10 msec. tra una fissazione e l’altra durante la lettura.
124
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
C APITOLO 11
L’estensione della saccade occupa uno spazio che va circa da 5 a 15 lettere.
Le fissazioni occupano il 90% del tempo di lettura, il restante 10% è
occupato dai movimenti oculari. La visione utile avviene durante le
fissazioni.
Durante la lettura lo sguardo si sposta a scatti successivi lungo le righe,
senza che determinate lettere vengano consapevolmente osservate. Dopo
ogni fissazione si susseguono saccadi in modo che lettere e parole successive
arrivino sulla foveola.
Il numero di fissazioni per un lettore esperto è ridotto rispetto al normale,
poiché molte parole sono completate mnemonicamente.
In numerosi studi condotti su pazienti con scotoma centrale si è
evidenziata una riduzione della stabilità di fissazione proporzionale alle
dimensioni dello scotoma ed un aumento di saccadi irregolari ad alta
frequenza, saccadi ipermetriche, ipometriche, movimenti nistagmoidi e la
frequente necessità di movimenti correttivi degli occhi.
Durante la lettura, quando si hanno difficoltà di interpretazione si hanno
inoltre movimenti detti di regressione che ci portano a rileggere il significato
del testo che stiamo leggendo.
Attraverso il trattamento riabilitativo è possibile ottenere il controllo
volontario dei movimenti oculari consentendo ai soggetti che hanno perso
la funzione foveale di ottenre una buona capacità di lettura.
Utilizzando adeguatamente la fissazione paracentrale, riducendo la
frequenza di fissazioni per ciascuna parola ed impiegando il campo di
fissazione eccentrica più ampio per abbracciare un maggior numero di
lettere contemporaneamente sarà possibile ottenere una riduzione dei
movimenti di regressione ed una adeguata velocità di lettura con una buona
comprensione del testo letto.
125
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
CAPITOLO 11
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126
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2
Gli Autori
Cap. 1, Ugo Menchini, Gianni Virgili, Paolo Lanzetta, Clinica Oculistica
Università degli Studi di Udine
Cap. 2,
Paolo Lanzetta, Sabrina Crovato, Gianni Virgili, Clinica Oculistica
Università degli Studi di Udine
Cap. 3, Piero Steindler, Elisabeth Milan, Divisione Oculistica - Ospedale
Civile Camposampiero (Padova)
Cap. 4, Alfredo Pece, Istituto Scientifico S.Raffaele - Roma
Cap. 5,
Francesco Bandello, Carlo Incorvaia, Giuseppe Mingrone, Clinica
Oculistica Università degli Studi di Udine
Cap. 6,
Ugo Menchini, Gianni Virgili, Paolo Lanzetta, Clinica Oculistica
Università degli Studi di Udine
Cap. 7,
Gabriele Paolo, Armando Crestani, Divisione Oculistica Ospedale
di Schio (Vicenza)
Cap. 8, Vito De Molfetta, Ferdinando
Bottoni, Dipartimento di
Oftalmologia, Ospedale San Gerardo,
Istituto di Scienze
Biomediche, Università di Milano, Monza
Cap. 9,
Armando Crestani, Ospedale Civile di Schio (Vicenza)
Cap. 10, Paolo Lanzetta, Sabrina Crovato, Gianni Virgili, Clinica Osulistica,
Università degli Studi di Udine
Cap.11, Mario Broggini, Servizio di Riabilitazione Visiva per Ipovedenti
Divisione Oftalmica - Ospedale di Circolo di Varese
127
Provincia Autonoma di Trento -Documenti per la salute n. 2