Caposud n 4
Transcript
Caposud n 4
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. (conv. in L. 27/02/2004 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB S1/BA420/2009 - CAPOSUD ANNO 2 NUM. 3 - giu/lug/ago 201 2010 - Û 5,00 PRIMO PIANO La nostra America contro la loro America Cambogia: spostati con la forza Marocco: stato d’assedio non dichiarato Articolo censurato dalla stampa locale Italia chiama Sud Sono nata, di Elisabetta Zerial Vincitrice del concorso scuole ÒTerzani 2010Ó lÕosservatore romeno di Mihai Mircea Butcovan CaPoSUD SOLO REDATTORI DEI SUD DEL MONDO Sommario EDITORIALE Al volante senza mani 4 STORIE ANIMATE DAI SUD Africa 27 PRIMO PIANO La nosta America contro la loro America 8 LAVORI IN CORSO In linea con Kubatana 29 POLITICA NAZIONALE Cambogia: Spostati con la forza Multinazionali alla sbarra Marocco: Stato d’assedio non dichiarato Dio non è brasiliano. Dio è bahiano 12 14 16 19 L’OSSERVATORE ROMENO Calci solidali 30 ITALIA CHIAMA SUD Sono nata CARTOLINE DAI SUD A sorsi di mate Arte contemporanea alla conquista del Camerun La capanna dentro l’Amazzonia 31 33 35 22 COOPERANDO Lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione e del Terzo Settore 37 STORIE DAI SUD La diplomazia della coca I curas delle Villas Miserias Coppa del mondo 2010 23 25 26 14 6 12 25 23 19 16 27 31 33 In questo numero 3 editoriale Al volante senza mani N ella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984, l’India fu colpita dal peggior disastro industriale della storia. Tonnellate di gas isocianato di metile (MIC) fuoriuscirono da una fabbrica di pesticidi della Union Carbide India a Bophal. Migliaia di morti e menomazioni impossibili da contare. La casa madre - una multinazionale americana - non è intervenuta né è stata citata nella questione: la responsabilità è ricaduta solo sulla sede indiana. Dopo 25 anni, il verdetto del tribunale indiano ha condannato otto persone a due anni di reclusione ed al pagamento di una multa. Sono tutti indiani. La realtà, che va guardata spalancando gli occhi e sentita addosso come la tragedia di Bophal, è che oggi i governi nazionali agiscono guidati da grandi gruppi economici del tutto privi di confini. Incidenti di questa portata, o guerre, anche interne - che devastano Africa, America Latina, Asia - sono spesso un prodotto targato Shell, Areva, Exxon, Esso. E cosí via. Ce lo spiega magistralmente Manuel Rozental, colombiano e autore del nostro pezzo di primo piano. Il suo articolo è quasi una lettera aperta, un grido di dolore: “ci mettono le armi in mano, fanno passare le guerre come inevitabili, interne o esterne che siano: tutto questo per coprire una ricerca di profitto da parte di gruppi economici multinazionali”. In Africa, il Niger - uno dei Paesi più poveri del mondo - ha ricevuto nel 2005 poco più di 7 miliardi di franchi CFA (circa 11 milioni di euro) per la vendita dell’uranio, e 12 nel 2006. Secondo le cifre ufficiali, solo nel 2006 l’uranio nigerino ha fruttato, globalmente, almeno dieci volte tanto. A cosa serve essere il terzo o addirittura il secondo produttore di uranio del mondo se il Paese ne ricava cosi poco? Dice Hassan Boukar, giornalista nigerino: “Mi chiedo se dobbiamo accettare l’impatto ambientale delle estrazioni, e i danni alla salute delle popolazioni delle zone nord del Paese dove c’è l’uranio - per una somma che è la stessa che ogni anno spendiamo per importare latte dall’estero”. Qualcuno sospetta anche che il conflitto Touareg, che infiamma proprio il nord del Paese, sia fomentato ad arte per fare calare il più possibile il sipario su quel che accade nella zona delle miniere. Nel frattempo il Niger riceve decine di milioni di euro in aiuti allo sviluppo da parte di numerosissimi donatori, che spesso - quasi sempre in realtà - sono gli stessi Paesi che hanno interessi commerciali nell’area, perché legati a questa o a quella multinazionale, come è per la Francia il caso di Areva, colosso mondiale dell’uranio. Sul fatto che non sia il Niger a reggere il volante della sua economia non c’è dubbio. Ma giova ricordare che l’80 per cento della produzione di elettricità in Francia è nucleare e che sarebbe oggi quasi impossibile riconvertire la produzione: in altri termini, senza uranio si fermerebbe l’Esagono. Chi comanda davvero, quindi: la Francia o la multinazionale francese? Ai Paesi del Sud restano, in teoria, gli aiuti allo sviluppo. Peccato che Muhamed Yunus, economista e padre del microcredito, calcoli che circa tre quarti di questi aiuti tornino dritti nelle tasche dei Paesi che li hanno elargiti, tra acquisto di beni e stipendi degli operatori della cooperazione. Degli effetti dei “Trattati di Libero Commercio”, infine, sappiamo tutti: facilitano l’entrata dei nostri prodotti nei Paesi del Sud piuttosto che la circolazione dei loro prodotti nei nostri mercati. Oggi per fortuna vi sono Paesi, come l’Ecuador, in grado di rifiutarne la firma. Ma sono pochi. “È stato un piacere fare affari con lei, Africa!” (sulla valigia: “un bell’affare”; sul cappello: “grandi idee”) Quindi: al volante, fratelli del Sud, guidate pure le vostre economie ed il vostro sviluppo. Ma senza mani. La Redazione © Evelyn Wangui Gichuhi 4 5 Di fronte a una pallottola o dietro a un fucile Squadra Speciale della Polizia Nazionale Colombiana durante un’operazione di distruzione di un laboratorio clandestino di trasformazione chimica della cocaina, presso Cumaribo, Vichada, Colombia. © Martin Garcia primo piano La nostra America contro la loro America Riflessioni su “Il Brasile sfida il Plan Colombia” di Manuel Rozental* (Colombia). Dedicato alla memoria di Betty Cariño e Andrés Muelas1 I Ministri della Difesa dell’UNASUR2 stanno procedendo alla definizione di una strategia continentale di difesa. Il Brasile non è il solo a prepararsi militarmente per affrontare il “Plan Colombia” e la strategia militare messa in atto dagli USA nel continente, ma è senza dubbio il protagonista di questa azione. Le corporazioni finanziarie, le banche, le imprese minerarie, turistiche, ambientalistiche, alimentari e via dicendo si arricchiscono così, e impugnano l’ascia di guerra. Tutti i giorni qualcuno scompare, e mentre uccidono, minacciano, giustiziano, perseguitano gente in tutta l’America Latina, a trarne beneficio sono sempre direttamente o indirettamente le corporazioni. Iniziano a formarsi blocchi tra le multinazionali poiché questi squali si divorano l’un l’altro. Sono predatori. È nella loro natura. Mangiano il popolo quotidianamente. Di tanto in tanto, mangiano qualche squalo. Le reti vengono annodate in uffici che non vediamo, dove stanno signori in giacca e cravatta e donne - poche - con abiti firmati e dal cognome importante. Poiché queste riunioni sono invisibili, sui giornali non si ha notizia delle decisioni in atto e quindi non capiamo perché il Cile un giorno è alleato del Brasile e il giorno dopo gli è contro. La verità è che non sono né il Cile né il Brasile a decidere. Ma queste sono questioni da “gente importante”, non del popolo. A noi, tocca trovarci di fronte a una pallottola o dietro a un fucile. Se mi sono messo a pensare a tutto questo la colpa è di Raúl Zibechi. 8 IL BRASILE SFIDA IL PLAN COLOMBIA di Raùl Zibechi** L’escalation militare realizzata negli ultimi due anni dal Pentagono e dal Comando militare stanutitense nella regione sudamericana, col suo dispiego di basi in Colombia e a Panama e l’occupazione di Haiti dopo il terremoto di gennaio, ha provocato la reazione del Brasile (...) Varie brigate di fanteria stanno per essere trasferite dal litorale verso la regione centrale di “Planalto”, con l’intento di difendere l’Amazzonia. In questa regione verranno creati 28 nuovi posti di frontiera, oltre i 21 già esistenti. L’esercito sommerà 59.000 nuovi effettivi ai 210.000 che già conta. Questo incremento sarà focalizzato nella regione amazzonica, la cui difesa è il nodo strategico per il Brasile. (…) Nel “Planalto” verrà installata inoltre una base dell’aeronautica militare brasiliana per operazioni aeree di trasporto “Hercules” (aerei C-130 Hercules, grandi aerei militari destinati al trasporto truppe, merci e materiali, ndr) (...) Questi cambiamenti fanno parte della “Strategia nazionale di Difesa” approvata nel dicembre del 2008 dal presidente Lula, che definisce azioni a breve, medio e lungo termine - sino al 2030 - per “modernizzare la struttura nazionale di Difesa”, riorganizzando le forze armate, l’industria brasiliana degli armamenti e la composizione dell'organico delle forze armate. Inoltre punta su tre fattori decisivi: cibernetico, aerospaziale, nucleare. Sinora, inoltre, l’esercito puntava verso il sud perché sempre si è pensato ad un possibile conflitto con l’Argentina, eredità del periodo coloniale. Adesso si posizionerà nella regione centrale perché le minacce reali da terra vengono dal nord e dalla regione andina. La strategia militare che il Pentagono applica per contenere il Brasile consiste infatti nel circondare l’immenso Paese di basi militari (già esistenti a Panama, Colombia, Perù e Paraguay) e generare conflitti e instabilità alle frontiere: è questo l’obiettivo strategico del “Plan Colombia” e del nuovo dispiegamento di basi militari nella regione. (...) “L’epoca in cui le potenze dominanti godevano di ‘sfere di influenza esclusive’ in tutto il mondo è cosa del passato” si può leggere nell’edizione del “Diario del Pueblo” (“Giornale del Popolo”, ndt) dedicata a spiegare la crescita della Marina da guerra cinese e il suo dispiegamento nel Pacifico occidentale. Il quotidiano governativo aggiunge che il rapporto di forze nel pacifico sta cambiando, la presenza navale statunitense si sta rafforzando in questa regione, per cui l’ascesa militare cinese è un “requisito strategico per tutte le grandi potenze che devono difendere i propri interessi in rapporto alle proprie capacità”. In Sudamerica succede qualcosa di simile: una grande potenza si sta preparando per sostituire, anche sul piano militare, il decadente impero statunitense. Uno lo legge e si mette a pensare così: evviva le multinazionali, che competono tra loro e si attaccano, ma che si alleano per rubare e ripulire la gente di tutto. La loro è una lotta contro il lavoro e i lavoratori, ma anche il sintomo di un odio radicale contro la gente che sfruttano e di cui preferirebbero non aver bisogno; una lotta contro i diritti delle persone, in particolare “Ma contro il diritto al bene comune. È qui che entrano in gioco… I governi dei Paesi più potenti. In generale sono tutti sotto il controllo delle multinazionali. Solo che ce ne sono alcuni più in decadenza (USA) e altri in ascesa (Cina, India, Russia, Brasile). Per difendere i loro interessi e il diritto a rubare e a sfrut- co) a togliere il petrolio al Brasile (Petrobras). La battaglia tra multinazionali si combatte tra Paesi. L’entrata in Iraq in passato non è stata altro che questo. Si sono inventati scuse e lo hanno invaso puntando sul petrolio. Adesso lo stesso avviene in Colombia con la questione del terrorismo e del narcotraffico o ad Haiti con il terremoto e il problema del razzismo. queste sono questioni da ‘gente importante’, non del popolo. A noi, tocca trovarci di fronte a una pallottola o dietro a un fucile” Sentono di avere diritto su tutto e tutti per fare soldi. Credo che questo, prima o poi, le obblighi alla violenza, perché la gente ha la cattiva abitudine di non lasciarsi sfruttare e derubare volentieri; ma anche perché se molte di loro credono di avere diritto a tutto, prima o poi qualcuna prenderà il sopravvento. Quando la competizione si fa spietata, come è adesso, e poche multinazionali negli USA e nell’Unione Europea danno a intendere di volersi “mangiare” tutte le altre, arriva il momento di armare i blocchi per difendersi e/o per riuscire a divorare le altre. tare, le corporazioni e i governi stipulano alleanze. Dai media questa viene mostrata come una “corsa agli armamenti” e si presenta come la difesa della “sovranità nazionale”. In realtà i governi difendono le corporazioni con le quali si sono alleati perché sentono la minaccia di altre corporazioni che, a loro volta, hanno altri Paesi, coi rispettivi eserciti, come portavoce delle loro intenzioni. Il Brasile si prepara ad affrontare gli USA o gli USA (Exxon, Chevron e Texa- Noi questo non lo vediamo, infatti a questo punto entrano in gioco… i mezzi di propaganda (c’è chi li chiama ancora “di comunicazione”). In altre parole, i media devono portare avanti la lotta ideologica per le multinazionali in modo tale da convincerci che si tratta di una “lotta inevitabile e giusta” da parte dei Paesi per il popolo e per il territorio, per la sovranità e l’autonomia. E così, come sempre, gli USA si lanceranno nella difesa della democrazia, nella protezione dell’Amazzonia, nella lotta contro il narcotraffico e il terrorismo e con questi argomenti recluteranno i poveri delle città e delle zone rurali disposti a morire e soprat- Ph. Aaron Escobar Ph. Franco Folini tutto ad uccidere per questa causa. Ad esempio, in Brasile, la gente è convocata a difendere l’Amazzonia, il Petróleo (corporazione industriale), ecc. dall’invasione straniera. la sinistra, si smobilitano i movimenti sociali e vincono le multinazionali al punto tale da arrivare al referendum elettorale come in Cile. O viene eletta una sinistra che appoggia le multinazionali o vince una “Iniziano a formarsi blocchi tra destra che batte tutti. Difficilmente ci sono le multinazionali poiché questi “governi popolari”. È ciò che avviene nella crisi in squali si divorano l’un l’altro” Ecuador tra indigeni e governo, precisamente Se la Cina è in affari col Sudan difennella lotta per la difesa dei beni coderà la sovranità petrolifera del Sumuni. dan. Se l’Olanda è in affari con la Nigeria…e così via. Ciò che vogliono è Per non parlare del Venezuela, sotto approfittarsi senza pudore dei nostri costante attacco per consolidare il principi, delle nostre convinzioni, per pretesto di una guerra continentale reclutarci. Obama ha ricevuto il Preper il petrolio. O di Cuba, che resiste mio Nobel per la pace proclamando con dignità nonostante tutto, ma che guerre giuste. è anche all’apice della crisi, tanto che il governo e il popolo si vedono obMa le cose dipendono anche dai gobligati a prendere decisioni pragmaverni… perché dei governi popotiche ogni volta più difficili. lari ci si dovrebbe fidare. Anche se nell’esperienza recente dei E qui entrano in gioco… i governi governi progressisti in America Latidei Paesi-prodotto. Convertitisi na c’è sinistra e sinistra. Per esempio sempre più in basi militari e progetti la sinistra del Cile, che governò per estrattivi. Messico, Honduras, Costa la destra per così tanti anni che la Rica, Panama, Colombia, Perù, Cile… gente alla fine optò per qualcosa di una “grande alleanza” di destra coororiginale (Derecha, Piñera). In Brasile dinata da Canada e USA in una sola più vogliono Lula più si indebolisce strategia di aggressione e occupazio10 ne il cui esempio più tragico è stato la trasformazione di Haiti in una portaerei, approfittando degli effetti devastanti del terremoto sulla miseria generata dall’accumulazione e dal razzismo. Questo concetto di “Paese-prodotto” è stato ripreso e spiegato di recente da Alberto Acosta3 ed Eduardo Gudynas. È semplice: i nostri Paesi vengono “primarizzati”, impoveriti. Siamo la parte del pianeta dove la madre terra è ancora piena di “materie prime”, dai geni e dall’ossigeno fino ai minerali e alle fonti di energia, senza escludere naturalmente il bene più grande: l’acqua. Quindi, con una chiamata militare, ci organizzano sotto l’egida di un Paese o in blocchi di Paesi per metterci contro un altro Paese o blocchi di Paesi in difesa di un discorso ideologico fabbricato per gente senza cervello, per dei lavoratori che saranno carne da cannone di uno schieramento o dell’altro. Andiamo in guerra con entusiasmo e fervore patriottico, in nome delle cause di coloro che ci uccidono per rubarci il“Paese- prodotto”.Andiamo a uccidere con l’uniforme di uno schieramento o dell’altro e alla fine vincono loro. Ci mettono a celebrare quelli che sono rimasti e a commemorare le eroiche guerre e i martiri delle “nostre” giuste cause. Le commemorazioni nei cimiteri e nelle piazze, il dolore delle famiglie e delle madri, sono il cemento affettivo e sentimentale di tutto questo apparato. Rubano il nostro dolore. E ora entriamo in gioco noi… Noi che riconosciamo le multinazionali e che sappiamo che ci sono loro dietro tutto questo. Noi che sappiamo che i governi sono cattivi governi perché sono “i loro” e non sono pensati per noi e per le nostre vite. Noi che comunichiamo per la coscienza, la verità e la vita, che cerchiamo parole nostre per andare avanti, che ci rifiutiamo di indossare la loro uniforme e di unirci ad altri popoli per andare contro i malgoverni e i progetti empi di coloro che mercificano la vita. Noi che affolliamo le piazze, ci mobilitiamo, organizziamo la resistenza dal basso. O diciamo pure che il mondo è loro, la guerra è fatta per loro e noialtri siamo loro proprietà. O troviamo il modo di smettere di esserlo e sco- priamo chi è che vince in questa corsa agli armamenti e contro chi è fatta. Io vi assicuro, ignorante e mediocre poeta quale sono, che quel giorno in cui si vedrà tanta gente, così cosciente, così sicura e pronta a disobbedire a chi li ha sempre comandati, quel bel giorno noi, consci di tutto il dolore e i morti che abbiamo alle spalle e della nostra grande voglia di vivere, quel giorno, sono convinto, non ci sarà una guerra, non potrà esserci. Perché quelli che la fanno fare alla gente la soffriranno in prima persona. Quel giorno non ci saranno schiavi, manipolazioni e menzogne. Quel giorno sarà il giorno del giudizio finale perché ormai non lavoreremo né uccideremo più per loro. Ma, per ora, si stanno armando in nome nostro. Ci convertiranno in eroi e martiri e ci stiamo preparando a uccidere e a morire per dei ladri invisibili che continuano a rubare mentre noialtri, tutti noi, continuiamo ad essere sciocchi, assassini ed eroi della loro guerra contro di noi, continuiamo ad essere di passaggio in un mondo fatto di padroni che, a volte, ci fanno l’onore di darci un lavoretto, perdonarci di essere in vita, comprar- ci con qualche monetina, per permetterci di eleggere i loro candidati alle elezioni. Traduzione di Maria Luisa Malerba * Manuel è nato a Calì, la città nota per la salsa e per il suo “cartello della droga” in Colombia. Chirurgo, si batte da anni per la difesa dei diritti umani (diritto alla salute, diritti delle popolazioni indigene) al punto da essere costretto all’esilio in Canada per sfuggire alle minacce di morte. Sono innumerevoli gli enti dove ha prestato servizio e lavorato. ** Raul è un giornalista uruguayano, docente e ricercatore della “Multiuniversità” Francescana dell’America Latina e membro di vari collettivi sociali. NOTE • 1 L’articolo è dedicato alla memoria di Betty Cariño, assassinata poche settimane fa in Oaxaca, e di Andrés Muelas, ucciso mentre tornava dall’Italia verso il Cauca. Betty, era una indígena Mixteca, Andrés un indigeno Nasa. • 2 Unión de Naciones Suramericanas. Comunità politica ed economica costituita il 23 maggio del 2008 che intende stabililire una zona di libero scambio sul modello dell’Unione Europea. • 3 Alberto Acosta. “La Maldición de la Abundancia” (La maledizione dell’abbondanza). Abya Yala, settembre 2009. 11 © Alexandra Jones politica inter nazionale 1 Spostati con la forza La politica dei “reinsediamenti” in Cambogia e i suoi effetti dalla Cambogia Hin Dilen* LÕ espressione “concessione della sopravvivenza, erano fuori portata, Nel maggio 2006 più di 1.350 famiglie terra e reinsediamento”,usata dai secondo il comunicato stampa del sono state sfrattate con la forza dalle funzionari del governo per far sgomCentro per i Diritti Umani della Camloro case dal bassofondo di Sambok berare la gente dalle proprie case, bogia risalente a giugno 2006. Chab per essere reinsediate nel vilforse suona poco realistica per chi laggio di Andong, nel paese di Kork l’ha vissuta in prima persona. Al “In un certo senso adesso si sta contrario “sfratto forzato” semmeglio rispetto a quando ci “Siamo stati sfrattati alle 6 del bra il termine più appropriato siamo trasferiti. A quel tempo per le 261.705 persone le cui mattino del 6/6/2006, forse 6666 non c’era nulla, vivevamo in una case sono state date alle fiamtenda minuscola e dipendevame e demolite con l’ausilio delle era il nostro numero fortunato” mo dai pochi chili di riso donaforze armate tra il 2003 e il 2009. toci dalle ONG. In seguito sono riuscita a lavorare in una risaia e a Roka, e nella regione di Dangkoa, do“Siamo stati sfrattati dalle forze armaguadagnare qualche migliaio di riel ve la popolazione reinsediata è stata te e dai dipendenti della società 7G1, al giorno. Ora viviamo in una casetta stipata in un’area di trecento metri di cemento e va meglio, ma qui la quadri, con poche latrine e i bacini alle 6 del mattino del 6/6/2006, forse vita, in generale, è più dura che nel idrici forniti dalle organizzazioni non 6666 era il nostro numero fortunato”, Sambok Chab a Phnom Penh, perché governative. Acqua potabile, cibo, ha dichiarato Chit Thorn col sorriso lì potevamo vendere qualcosa, menelettricità e infermerie, i servizi di sulle labbra, ironizzando su quel che tre qui non c’è nulla”. primaria importanza per garantire la è successo a lei e alla sua famiglia. Così ha detto Chit Thorn, che ora si guadagna da vivere vendendo souvenir fatti a maglia. Dopo quattro anni dal reinsediamento nelle nuove zone, la gente di Andong che è stata sfrattata non ha visto cambiamenti nel tenore di vita, e se è accaduto, sono stati minimi. A quasi 20 km di distanza dal centro della città, la nuova posizione rende la vita ancora più difficile ai nuovi abitanti che non hanno mezzi di trasporto per andare a lavoro, e a farne le spese è il loro guadagno giornaliero. Visto che la maggior parte dei posti di lavoro si trova in città, gli abitanti dovrebbero prendere un taxi che gli costerebbe 8.000 riel (2 dollari), mentre ne guadagnano solo 10.000 o 15.000 al giorno per un lavoro specializzato. Per quelli che hanno una moto, la benzina è una spesa non indifferente perché costa più di un dollaro al litro. Di conseguenza molti finiscono per non lavorare. E quali sono gli effetti del reinsediamento sulle stratificazioni sociali degli abitanti di Andong? © Kieran Ball Quando i quartieri poveri sono stati inglobati nella città, la parola “bassifondi” non era molto conosciuta, e questi quartieri erano identificati con il loro nome. Da quando sono stati spostati dalla città alla campagna, la parola “bassifondi” ha iniziato ad identificare non solo un luogo, ma anche la gente che ci viveva. Questo ha determinato una ghettizzazione e ha precluso loro la possibilità di integrarsi nei villaggi vicini, in particolare per i bambini nelle scuole. “I bambini di questi quartieri non riescono ad integrarsi con quelli dei villaggi vicini perché sono considerati poco raccomandabili e sporchi”, ha detto il signor Ratana, l’attivista della comunità che opera ad Andong. “Non vogliono andare a scuola perché ci sono le scuole delle ONG che forniscono cibo e assistenza, ma questo li allontana dai bambini dei villaggi e probabilmente li espone al gioco d’azzardo, alla droga e alle altre attività illecite che si svolgono nei bassifondi”. Secondo il responsabile del villaggio e del paese, l’interazione sociale all’interno della comunità è uno dei principi su cui si fonda il nuovo reinsediamento, e il fine ultimo è far sì che i villaggi abbiano la stessa “mentalità”. Ci vorrà moltissimo tempo, una politica corretta e azioni adeguate da parte del governo per permettere ad entrambi i gruppi di amalgamarsi. Fino ad allora, potremo testare l'atteggiamento della gente verso le divisioni sociali, in particolare tra le nuove generazioni. Traduzione di Valeria Brucoli * Hin si è laureato in Cambogia e lavora da 5 anni con ONG nel settore educativo. Lavora anche come traduttore ed ha un blog sul turismo alternativo. NOTE • 1 Azienda cambogiana che sostiene di possedere queste terre. È frequente che avvengano in Cambogia simili spostamenti a beneficio di compagnie locali o internazionali ed in generale per favorire interessi commerciali, come già denunciato più volte da Amnesty International. 13 politica inter nazionale 2 Multinazionali alla sbarra Le multinazionali europee sotto accusa davanti al Tribunale dei Popoli Tratto dagli articoli pubblicati da ADITAL* il 15 e il 18 maggio 2010 D al 14 al 18 maggio, Madrid è stata la sede del Vertice dei Popoli “Enlazando Alternativas IV” del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP). Le attività, realizzate presso la Facoltà di Matematica dell’Università Complutense, si sono svolte in parallelo alla riunione dei capi di Stato dell’Unione Europea, dell’America Latina e dei Caraibi. Con il tema “L’Unione Europea e le imprese multinazionali in America Latina: politiche, strumenti e attori complici delle violazioni dei diritti dei popoli”, l’obiettivo del TPP è quello di denunciare i crimini commessi dalle multinazionali e l’impatto delle loro attività sui diritti economici, sociali e culturali degli Stati latinoamericani e caraibici. Inoltre, ci si propone di rendere nota la complicità dell’Unione Europea, degli Stati membri e delle istituzioni internazionali riguardo all’impatto delle azioni delle multinazionali sui diritti dei popoli. Il TPP ha portato a termine 2 sessioni sulle “politiche neoliberiste e transnazionali europee in America Latina e Caraibi”, in cui sono state esposte le violazioni dei diritti umani, lavorativi e ambientali commesse da più di 25 imprese multinazionali con base nell’Unione Europea e le loro sussidiarie (tra cui Repsol YPF, Unión Fenosa, Suez, Unilever, Ence, Botnia, Shell e banche europee come BBVA e ABN-AMRO) in tutta l’America Latina e Caraibi. Una di esse è il Gruppo Pescanova, accusato di violazione dei diritti dell’uomo e dei lavoratori in Nicaragua. Secondo il dossier del Tribunale, lo sfruttamento della pesca attuato dall’impresa spagnola sta provocando gravi danni alle foreste di mangro14 vie nicaraguensi. “Il processo di espansione di Pescanova ha innalzato in maniera preoccupante il livello di contaminazione delle acque, influendo sulla specie delle mangrovie”. ne e la repressione, la crisi economica, la migrazione, i mezzi di comunicazione, i diritti umani, i diritti dei popoli indigeni, la sovranità alimentare e il debito estero e ambientale. Vengono inoltre evidenziate violazioni dei diritti lavorativi e sindacali: giornate lavorative superiori alle 12 ore, sconti di imposta in cambio di ore extra e limitazione o proibizione del diritto dei lavoratori di sindacalizzarsi. Queste denuncie sono state effettuate da Movimiento Social Nicaragüense Otro Mundo es Posible, Alianza Social Continental, Jubileo Sur América e Veterinarios sin Fronteras (Spagna). Il 15 maggio si è tenuta l’Assemblea dei Popoli Creditori di Debiti Storici, Sociali, Finanziari, Culturali, Ecologici e di Genere. L’idea è quella di denunciare cause e responsabili dell’accumulo di debiti e tracciare strategie e iniziative per risarcire le vere nazioni creditrici. Oltre a Pescanova, davanti al TPP sono comparse altre imprese, tra cui Syngenta, per aver contaminato la terra e la biodiversità in Brasile con agrotossici e semi transgenici e Telefónica Chile - filiale del Grupo Telefónica de España - per violazione della libertà sindacale e violazione del diritto al lavoro. Il Vertice In conformità col Manifesto del Vertice dei Popoli “Enlazando Alternativas IV”, promosso dalla Rete Biregionale Europa, America Latina e Caraibi “Enlazando Alternativas”, l’obiettivo dell’incontro è “rafforzare nuove convergenze solidali tra i nostri popoli, le resistenze popolari emergenti e costruire uno spazio politico e di mobilitazione biregionale, malgrado la criminalizzazione dei movimenti sociali”. Nel corso di questi cinque giorni, sono state realizzate circa cento attività autogestite e laboratori su tematiche come il libero commercio, l’energia e il cambiamento climatico, l’impatto delle multinazionali, la militarizzazio- Secondo il Manifesto, questi debiti storici, sociali, culturali, economici e ambientali continuano ad aumentare, a causa dello sfruttamento delle risorse naturali e della violazione dei diritti umani condotte dalle nazioni sviluppate. “Il debito estero è profondamente illegittimo, illegale e non sostenibile eticamente, giuridicamente e politicamente; viene utilizzato come strumento di controllo, dominazione e saccheggio dei paesi e popoli del Sud. È necessario eliminare queste ingiustizie e la povertà provocata dal pagamento del debito per costruire davvero quest’altro mondo possibile”, sottolinea il Manifesto. Traduzione di Angela Patrono * Agenzia di Informazione di ispirazione cristiana, nata in Brasile nel 1999, per portare all’attenzione dei media internazionali l’agenda sociale latinoamericana e caraibica. L’ampia rete di corrispondenza si fonda su movimenti sociali, comunità indigene e reti di cittadinanza attiva dell’intero continente sudamericano. Ph. Rodrigo González politica inter nazionale 3 Stato dÕassedio non dichiarato La vita a Zaag, villaggio di confine nel sud del Marocco dal nostro corrispondente dal Marocco Montassir Sakhi* D opo 16 ore di viaggio, il pullman ha raggiunto il villaggio Zaag. Zaag si trova a pochi chilometri (circa 50) dal muro che separa il sud-est del Marocco da Tindouf1. Alle porte di questo villaggio, così come alle porte della piccola cittadina di Assa - 80 km prima di Zaag degli agenti della gendarmeria reale salgono sull’autobus per controllare i documenti di identità di tutti i passeggeri. “Nessuno può entrare nella cittadina senza un’ispezione minuziosa” mi informa uno dei passeggeri. D’altronde, queste misure di sicurezza si sono molto ridotte negli ultimi anni. “Dieci anni fa, non potevi entrare senza un’autorizzazione ufficiale rilasciata a seguito di indagini dettagliate” ci informa la nostra fonte. Nonostante ciò, chiunque può notare l’enorme differenza rispetto ad altri territori marocchini. A turisti e stranieri è vietato entrare in questa piccola cittadina.“Quando arrivano degli stranieri in questa regione, le autorità li allontanano o li accompagnano all’unica pensione esistente e li sorvegliano fino al mattino seguente per poi chieder loro di abbandonare i luoghi» afferma Bachir Boudaâka, membro del segretariato locale di Zaag. Questo chiaro «stato di assedio» è dovuto alla presenza concentrata nella regione di militari, delle Forze Armate Reali e delle Nazioni Unite. Si tratta di una regione di frontiera che ha subito nel corso degli anni gravi violazioni in seguito agli attacchi dei membri del Polisario2 durante la guerra. Le violazioni sono proseguite fino all’inizio degli anni ’90. Oggi, gli effetti 16 ARTICOLO CENSURATO DALLA STAMPA LOCALE della guerra sono ancora presenti. Tuttavia, lo spirito di appartenenza alla patria cresce nei cittadini che sono più che mai convinti della necessità di difendere il Marocco e di battersi per uno sviluppo permanente e per il riconoscimento di tutti i loro diritti. Uno sviluppo basato sull’assistenzialismo Le principali attività economiche in questo comune sono l’allevamento di pecore e il commercio. L’agricoltura sta attraversando una vera e propria crisi, in particolare a causa di una condizione di “grande oasi” che va a vantaggio dei militari. Questi ultimi traggono profitto dalle loro terre impedendo l’accesso ai piccoli contadini. Di fronte all’assenza di imprese e di progetti che producano reddito, le “Cartiyate” (Carte fornite dalla Promotion nationale3 che consentono ai più svantaggiati, ai disoccupati e agli invalidi di percepire tra i 900 e i 1.700 dirham al mese in base al grado di precarietà, ma anche in base all’ap- partenenza tribale) restano l’unica via d’uscita in grado di garantire alle famiglie la sussistenza. 94 carte promozionali vengono distribuite alle famiglie. Bachir Boudaâka, come Mohamed Barouch, segretario generale della sezione dell’USFP4 a Zaag, sostiene che diverse persone esterne alla città beneficiano di queste carte. D’altra parte, l’elenco di beneficiari non è pubblico e soltanto il presidente del consiglio comunale designa tali beneficiari. Mouloud Âmaye, membro del consiglio regionale dell’USFP di Assa-Zaag dichiara che il presidente viene pagato tra i 300 e i 500 dirham da ogni beneficiario di queste Cartiyates. Ci siamo quindi recati sul posto per verificare questa informazione. Diversi cittadini ci hanno assicurato che è proprio così e che Othman Âila, presidente del consiglio comunale, appartenente al partito Istiqlal5, sfrutta la loro debolezza e li “deruba” di parte del sussidio.“D’altra parte, è proprio lui a darci queste Cartiyates, e noi gli dobbiamo in cam- A causa dell’alto tasso di disoccupazione, molti giovani marocchini vivono nell’attesa, e nella speranza, di poter emigrare verso l’Europa. Ph. Marcos Zion Ingresso di un ufficio pubblico contraddistinto dallo stemma del reame del Marocco. Ph. Luca Tazza bio una ricompensa” fa notare un cittadino che non conosce la provenienza di questi sussidi. Mouloud Âmaye aggiunge che la somma di denaro viene distribuita presso gli uffici del comune. “Questo non è un luogo neutrale, e questo porta i cittadini a credere che si tratti di un regalo da parte del presidente del comune” ci spiega. Il presidente del consiglio comunale, assolutismo senza eguali L’autorità del presidente e il suo assolutismo sono una caratteristica evidenziata da tutti coloro che abbiamo incontrato. Nell’ambito dell’INDH6, diverse associazioni locali presiedute da Othman Âila hanno beneficiato dei finanziamenti stanziati. Ad esempio, una piscina pubblica doveva essere costruita accanto all’oasi nell’ambito dei progetti finanziati. Oggi, questa piscina è solo un cumulo di macerie: un mini-bacino privo d’acqua e abbandonato. Strade non asfaltate, abitazioni insalubri, rifiuti nocivi per l’ambiente. Le strade di Zaag si sono trasformate in una enorme discarica. Solo due carrozze sono riservate al trasporto di rifiuti fuori dalla città, invece che un camion. E sono gli abitanti a pagare il servizio (10 dirham al mese per ogni abitazione). Ciò nonostante, Mohamed Abidar, sostenitore del Fronte delle Forze Democratiche e all’opposizione all’interno del consiglio comunale di Zaag, ci ha assicurato che è stato stanziato un budget già nella prima riunione del consiglio per l’acquisto di un camion. Crisi dei servizi e spazi pubblici… A Zaag, i servizi pubblici sono carenti. L’unico centro sanitario non possiede le apparecchiature in grado di assicurare i più semplici interventi chirurgici. L’ambulatorio ostetrico, dal canto suo, non esiste più, e aumenta così il tasso di decessi di donne incinte. Queste ultime sono obbligate a recarsi ad Assa, e spesso a percorrere 200 km fino a Guélmim in auto o in taxi per l’assenza di ambulanze. D’altra parte, gli abitanti si lamentano anche per l’assenza di un muro a recintare e proteggere il cimitero.“I cani randagi divorano i cadaveri dei defunti solo pochi giorni dopo il funerale” segnala un volontario. Quanto agli altri spazi destinati all’istruzione e al divertimento, esiste un solo centro ricreativo per giovani e le infrastrutture sono carenti. Cosa ancor peggiore, non esistono biblioteche, teatri, cinema, in questa cittadina. Questa situazione genera una vera e propria frustrazione tra i giovani. Di fronte all’assenza di spazi di confronto, cultura e intrattenimento a loro destinati, si riversano nei bar, o restano davanti alla tv a guardare film indiani e partite della Liga spagnola per ore ed ore. Essendo vietato agli stranieri frequentare la città, il turismo è quasi inesistente a Zaag. Questo non fa che peggiorare la situazione sociale che diventa sempre più precaria, spingendo i giovani a lasciare la città per altre località del Marocco. Ne consegue che circa la metà dei giovani di Zaag preferisce emigrare. La prostituzione, pratica legittimata Il fenomeno più sorprendente in questa piccola città è quello della prostituzione. 23 case di prostitute si trovano nel bel mezzo dell’oasi. 15 di queste case appartengono al presidente del comune. Le affitta a 500 dirham al mese a giovani donne pro17 venienti da diverse città marocchine. Tre donne sulla trentina davanti a queste casette confidano le loro atroci realtà, molto più facilmente del previsto. “Abito qui dal 1998. Sono venuta dalla città di Safi per sfuggire alla miseria che minacciava la mia famiglia. Qui, lavoro come venditrice di sesso senza alcuna protezione di tipo sociale. Oggi, mi pento della mia vita, è tutto inutile” dichiara Soukaina con un’amarezza evidente in volto. Altre due donne hanno iniziato a piangere per lo stato di miseria e le condizioni di salute deplorevoli.“Non pago l’affitto da tre mesi. Mi minacciano quindi di cacciarmi di casa. Sono incinta e non so come fare a garantire una vita al mio futuro figlio se non vendendo il mio corpo ai giovani e ai militari del Douar7” dice una delle due con voce strozzata. I militari non vanno più da loro tanto spesso come qualche anno fa. “I soldati hanno oggi le loro case a Zaag. Molti di loro si sono sposati e vivono oggi con le loro mogli e i loro figli” dice R.E. Le donne soffrono spesso di malattie sessualmente trasmissibili e percorrono spesso centinaia di chilometri per recarsi a Guélmin per ricevere le cure necessarie.“In passato, alcune associazioni sanitarie, medici e infermieri venivano qui a visitarci. Distribuivano preservativi, ci offrivano le cure necessarie gratuitamente: iniezioni e altri medicinali. Dal giugno scorso, queste visite mediche sono finite” indica una terza giovane prostituta. Questo fenomeno genera spesso grandi problemi sociali. È il caso di due donne che hanno partorito senza essere sposate. Per S.K., membro di un’associazione locale, la presenza di un quartiere di prostitute si spiega con il fatto che Zaag è una regione militare. Per evitare che i soldati, lontani dalle proprie città e campagne, facciano del male alle donne del villaggio come avveniva in diverse regioni, soprattutto durante gli anni di piombo, sono proprio le autorità locali ad aver permesso la creazione di questo quartiere. 18 Peggio ancora,“è proprio il presidente del consiglio comunale che affitta le sue case alle donne sfruttandole durante le campagne elettorali”, fa notare questa stessa fonte. Dal canto suo, Boudaâka, membro del segretariato e del PJD, dichiara che “i giovani del villaggio sono le prime vittime di questa politica comunale che consente alle prostitute di abitare in questo quartiere, nonostante i militari si astengano sempre più sovente dal far loro visita”. la sterilità della economia della rendita e dell’assistenzialismo. Questi abitanti cominciano a far fronte alla politica dell’orrore insediata dal consiglio comunale e spinta dal potere locale rappresentato dal Ministero dell’Interno. Ma la situazione attuale non fa che alimentare le tensioni e minaccia di scatenare una serie di proteste che, in una zona di confine, potrebbero avere conseguenze nefaste. Traduzione di Stefania Sgherza Un’opposizione che sta guadagnando terreno *Montassir è un giovane giornalista Davanti a questa impasse sociopolimarocchino. Nato nel 1988, ha tica, l’opposizione sta scendendo a studiato giornalismo e filosofia compromessi e contribuisce a portaed è coordinatore nazionale re avanti la lotta alla precarietà e dell’associazione Mouvement all’autorità considerata “suprema” del Nouvel Horizon presidente del comune. Così, il segretariato locale, composto principalmente da sostenitori del partito USFP, assieme ai sostenitori del PJD hanno organizzato diversi sit-in pacifici e RABAT manifestazioni dall’annuncio dei risultati delle ultime comunali nel 2009.“Le pratiche del consiglio Marocco comunale a Zaag confermano che siamo ancora lontani dagli Guelmin Isole Canarie • slogan della Nuova Era” osserva Algeria Zaag • Baroch Mohamed, segretario • Tindouf EL AYUN generale della sezione dello USFP di Zaag. “Abbiamo manifestato a diverse riprese la noSahara Occidentale stra preoccupazione di fronte Mauritania ad una gestione comunale baMali sata su frode, esclusione della popolazione e corruzione” afferma prima di mostrarci le firme di 372 persone che denunciano la situazione sociale a Zaag. NOTE Questa petizione, firmata nel mese di giugno del 2009, indica che il comune incoraggia il monopolio delle attività commerciali vietando il rilascio di nuove autorizzazioni ai richiedenti. Aggiunge inoltre che i giovani di questo villaggio non beneficiano di posti di lavoro aperti, in particolare nelle carriere nei pressi di Zaag, e che sono sfruttati da “stranieri” senza che il comune imponga loro tasse. Oggi, gli abitanti di Zaag sono convinti del- • 1 Città dell’Algeria • 2 Esercito e movimento politico attivo nel Sahara occidentale • 3 Ente pubblico autonomo che si occupa della mobilitazione della forza lavoro • 4 Union Socialiste des Forces Populaires, (Unione Socialista delle Forze Popolari) primo partito politico marocchino • 5 Il Partito dell’Indipendenza è un partito politico storico del Marocco moderno, fondato nel 1937 da Allal al-Fassi sulle basi dell'ideologia nazionalista • 5 Initiative Nationale pour le Développement Humain, Movimento Nazionale per lo Sviluppo Umano • 6 Attualmente, in Marocco, il termine Douar indica un comune rurale o un quartiere popolare all’interno di una città • 7 Partito della Giustizia e dello Sviluppo, con tendenze islamiste. politica inter nazionale 4 Dio non brasiliano. Dio bahiano Il mondo invidia il Brasile in pieno boom economico dal Brasile Arthur Andrade* LÕ Il mondo che invidia il Brasile! Chi l’avrebbe detto? disastrati. I conti della foresta, jungle. Oggi, il FMI è corteggiato dai Paesi Europei - Grecia, Spagna, Portogallo, per adesso. E il Brasile ha saldato il conto - ma guarda un po’ la giungla. E ha inviato una bella “banana da terra” (platano - ndt), bella grossa, alla cricca del financial world. 15 anni fa, il Paese pattinava sull’economia con pattini “made in Paraguay”. Era visto come una foresta di indios e scimmie tra gli edifici. Bussava alla porta del Fondo Monetario Internazionale alla ricerca di dollari del “Primo Mondo” per sanare i suoi conti Quello che è successo in questi anni è una lunga storia. Ma si sa che una catastrofe gigantesca ha colpito il “per ora centro del pianeta”, gli Stati Uniti. Questa catastrofe si è diffusa come una malattia in tutto il resto del mondo. O quasi tutto. Questa ca- Europa invade il Brasile Il mondo ha olhos gordos verso il Brasile. Olho gordo è una tipica espressione brasiliana. Significa avere invidia. Immagine aerea della città di Salvador de Bahia. Ph. Manu Dias/Agecom GovBahia tastrofe yankee ha fatto appena il solletico al Brasile. E visto che al Brasile piace da matti ridere… Picasso è francese In Brasile i più anziani dicono che Dio è brasiliano. Dicono anche che Picasso è francese e Chico Buarque è italiano. Tutte falsità. Dio non è brasiliano. Dio è bahiano. Nell’immenso Brasile, di quasi 200 milioni di artisti, calciatori, carnavalescos (organizzatori del carnevale - ndt) e pubblico allegro, Bahia è una fonte di bellezza, ricchezza naturale, traffico, deforestazione e mille altri problemi. i poster di Caposud “Walking over Sarajevo” Silhouette sullo skyline della città di Sarajevo, Bosnia-Erzegovina. © Nicolò Paternoster www.caposud.info i poster di Caposud “Before the rain starts” Bareina è un piccolo villaggio nel deserto, nel sud della Mauritania. Il periodo delle piogge inizia a luglio e termina a settembre. L’immagine è stata scattata pochi minuti prima che la pioggia avesse inizio. © Ferdinand Reus www.caposud.info portare manodopera da... da... da San Paolo. Gli emigranti bahiani che erano andati a guadagnarsi da vivere a San Paolo hanno cominciato ad essere corteggiati dai caccia-muratori, una nuova categoria di head hunters della costruzione civile. Comico vedere muratori bahiani con accento paulistano rilasciare interviste alla TV Globo locale. Il movimento intenso d’invasione e ritorno ha toccato anche le grandi corporazioni della costruzione civile. La Odebrecht, super-impresa costruttrice made in Bahia e sparsa per il mondo come una piovra, ha fiutato il guadagno ed è entrata nel ramo immobiliare. Subito si è associata ad un’altra multinazionale, l’americana RCI, per operare nel campo degli immobili per turisti. La Borsa di San Paolo, l’Ibovespa, ha festeggiato ad aprile con l’acquisizione dell’impresa costruttrice Agre da parte della PDG. Un affare da 4,8 miliardi di reais (quasi 2 miliardi di euro). La Francia è uscita dal suo silenzio e ha gettato lo sguardo su Bahia. Prima è sbarcata a San Paolo, città tra le sei al mondo che più attrarranno investimenti nei prossimi tre anni, più di Londra o Parigi. Questo è il Brasile. © Tiago Da Arcela - www.bancofineart.com E perchè Dio è bahiano? Perchè, nonostante tutto, Bahia è la mulatta abbronzata e sensuale negli occhi di tutti. Quindi, per la logica cartesiana, Dio è un mulatto abbronzato e sensuale. Il fatto è che, o almeno così pare, tutti hanno deciso di riscoprire il Brasile passando per Bahia. messa a stelle e strisce, altri espulsi dal razzismo europeo e altri ancora sedotti dal ricco mercato lavorativo. Molti brasiliani stanno lasciando la Spagna dopo vent’anni di impiego precario, ma ben remunerato, per guadagnare di più con nuove posizioni di lavoro ancora meglio remunerate. al 2016, dicono i pianificatori urbanistici, le imprese costruttrici avranno ancora molto da costruire (e vendere), anche se non si sa in quale buco. Nel mese di aprile, sono stati venduti dodicimila appartamenti. Nel mese di maggio, circa tredicimila. Persone che da tutto il mondo “Dall’alto tutti erano formiche. Dal basso sono famiglie” comprano, comprano. Un famoso agente immobiliare sta negoziando con imprenditori ameriIl costo del progresso Così europei, nordamericani, giappocani e portoghesi la vendita di Quasi tutti conoscono l’alto costo del nesi, cinesi e addirittura italiani, hanun’isola per 75 milioni di reais (circa progresso. Infatti. A Salvador sembra no deciso di invadere le nostre spiag30 milioni di euro). La sua percentuanon importare. La città, capitale dello ge da Ribeira fino a Itapuã (quartieri le? Appena il 5%. A proposito, questo Stato di Bahia, con quasi 3 milioni di storici del litorale di Salvador). Con i agente è professore di filosofia. Ha abitanti, ha circa duemila cantieri gringos, i loro dollari e i loro euro, lasciato la cattedra per vendere imaperti. E altri pronti ad aprire. E altri hanno cominciato a ritornare in masmobili. Socrate, Platone, Aristotele, ancora in fase di progettazione. Fino sa i brasiliani espulsi dalla terra pro20 Nietzsche e Epicuro aiutano nelle vendite. I clienti sbavano con tanta cultura. Cantiere La città è diventata un gigantesco cantiere. Letteralmente. È davvero un cantiere! Dove si posa lo sguardo, ecco un cantiere. Ed in questo cantiere non compare neanche una foglia verde. Cantieri di gru, camion, cemento e operai. Un dramma. A marzo le grandi imprese di costruzioni locali hanno iniziato a preoccuparsi. C’erano cemento, ghiaia e mattoni. Ma non c’era chi mettesse tutto assieme e alzasse un muro. Manodopera. Dov’è finita la manodopera? Credeteci, hanno cominciato ad im- Da Gorbachev a Findhorn Tornando a Salvador, in città a maggio è stato lanciato il progetto Global 2020, organizzato da una fondazione creata da Mikail Gorbachev. L’ente opera in tutto il mondo. In Brasile è appena arrivato a Salvador. A marzo hanno lanciato il Gaia Education, programma ideato da Findhorn Foundation, con sede a Findhorn, Scozia. Salvador è la seconda città del Paese sede di questo programma educativo - la prima è San Paolo. Tutto rose e fiori? Niente affatto. Polemica ad aprile. Il comune della città ha decretato l’espropriazione di 4,6 milioni di metri quadrati di area costruita - case, baracche, terreni - per la costruzione della Linea Viva. La Linea Viva è una zona di fumo e traffico occupata da cittadini di classe medio-bassa e più bassa ancora. Per avere più spazio dove gettare cemento e distruggere quel che rimane della foresta vergine, i tecnici hanno creato questa Linea. Hanno scattato foto aeree. Dall’alto tutti erano formiche. Dal basso sono famiglie. Ovvio, il grido dei movimenti ambientalisti, dei media e di alcuni politici, ha fermato l’idea. Ma questa ritornerà in forma di decreti più complessi e di qualche conversazione privata con i grandi media. Perché la città di cemento non può fermarsi. I soldi non possono smettere di circolare. E il sole deve brillare per i poveri capitalisti stranieri fuggitivi dal vulcano islandese, dalla Grecia e dal caldo che si avvicina. E per i brasiliani che pieni di saudade stanno adorando questo esodo al contrario, per addentare un acarajé di Cira ed irritarsi nel pomeriggio rumoroso di Itapuã. Questa è Bahia. Traduzione di Mara Rocha * Arthur è un giornalista bahiano, fondatore del sito www.navii.com.br. È stato caporedattore e opinionista del quotidiano Bahia Hoje e coordinatore generale dell’emittente Radio Educadora da Bahia. È direttore responsabile del portale web dell’Università Federale di Bahia. Ph. Sebastian Zeigen Italia chiama Sud storie dai sud Sono nata La diplomazia della coca Voci di bambine del Sud Non è solo una droga, cura e fa politica di Elisabetta Zerial*, vincitrice del concorso scuole “Tiziano Terzani 2010” S ono nata devadasi. Non per mia scelta. La mia casta è cosí bassa ed io cosí povera. Un tempo sarei stata una danzatrice al servizio delle divinitá installate nei templi. Oggi non piú. Oltre alla danza mi viene insegnato come servire e assecondare l’uomo ricco che presto mi verrá a prendere e fará di me la sua schiava personale, per sempre. Da danzatrice sacra a mantenuta di qualche ricco o in qualche pubblico intrattenimento. Presto sentiró il rombo di un motore, sará il mio padrone che mi verrá a reclamare e mia madre, devadasi come me, potrá sopravvivere con una manciata di monete. Per me è giusto. Non conosco che questo. Non c’è contrasto, non c’è conflitto. Ho undici anni. Sono rinata Sono rinata in Birmania. Qui c’è la violazione sistematica dei diritti dell’uomo. Il mio paese non è povero. Non parlo quindi di terzo mondo. Vivo solo una realtá dai fortissimi contrasti. Politici, ideologici, culturali. Sono ospitale, gentile, colta come tutto il mio popolo. Come il mio popolo sono tenuta sotto il pugno di ferro della dittatura. Qui si paga per vivere. Noi bambine veniamo prelevate arbitrariamente dalle famiglie. Sono fortunata, mia madre ha scelto a chi vendermi cosí potrá almeno arricchire la famiglia. Domani un uomo di sessant’anni mi comprerá. Ho nove anni. Sono nata ancora Sono nata in Vietnam. Mi chiamo Chau. Le bambine come me le trovi anche nei siti internet. Vendono i bambini in rete. Mi venderanno all’asta, al miglior offerente. Ma ancora non lo so. Il sito dove mi puoi trovare viene aggiornato spesso, forse arriverá anche la mia sorellina Hoá, lei ha solo sei anni. Non so se mi venderanno per la prostituzione o per lavorare come schiava, senza compensi. Ma cosa cambia per me? Qui accettiamo il fatto che il nostro Paese sia diventato “zona calda” per il turismo sessuale. Nessun conflitto, nessun contrasto. Nessuna scusa. Il mercato del sesso è una nuova forma di schiavitú caratteristica del ventunesimo secolo. Noi siamo un bacino dove pescare. Ho undici anni. E nasco ancora Nasco in Cina. Come sono venuta alla luce non lo so. In Cina le femmine non vedono quasi mai i lampi di luce accecanti tipici della nascita. O veniamo uccise prima con l’aborto o appena nate. Sono stata abbandonata nella spazzatura a pochi giorni dalla nascita. Una reporter americana, Norma Meyer, è entrata nel mio orfanotrofio. Sono una larva di pelle bianca, ho gli occhi affamati e disperati, il mio letto è putrido, ho le articolazioni deformate. Non ho nulla di una bambina, 22 una delle vostre belle bambine occidentali. Le mie amiche sopravvissute in famiglia, non possono studiare. Andranno in moglie a otto anni ad un uomo che le considererá oggetto personale da maltrattare e violare. Ho cinque anni. Sono nata e rinata Mi chiamo Srey Leap, vivo a Poipet, Cambogia. Vivo in una palafitta. A 13 anni ho cercato mia madre. Lei mi aveva abbandonata con uno zio violento. Ho percorso un sentiero battuto solo da animali e da bambini disperati come me. Arrivata in Thailandia ho vissuto tre anni in uno stanzone con decine di ragazzini schiavi. Sono stata stuprata piu volte. Mi salvavo, la notte, con la yama, l’anfetamina dei poveri, per soffocare fame e terrore. Poipet è la base della manodopera minorile. Accanto ai casinó luccicanti, le baracche. Ecco il contrasto, quanto gridano quelle luci rispetto alla fievole voce di un mozzicone di candela. Il conflitto ha trasformato il mio Paese di palazzi reali ed elefanti semisacri in un regno di orrore. L’orrore che per un uomo puó rappresentare un altro uomo, l’eccidio dei cambogiani contro se stessi. di Rossana Miranda* (Venezuela) L a leggenda degli indigeni aymara racconta che è stata la divinità Khun, dio dei tuoni e della neve, a creare la foglia della coca, elemento naturale che ha fatto sopravvivere una popolazione - quella boliviana - che abitava in ostili condizioni climatiche nelle vicinanze del lago Titicaca. Morales ha iniziato la produzione della bibita energetica “Coca Colla” La foglia di coca è simbolo di forza e vita, un alimento spirituale per il popolo boliviano. È sempre stata considerata una pianta medicinale nella cultura indigena fino a che, dopo la colonizzazione, l’Occidente ha iniziato a produrre la cocaina, droga chimica prodotta con la foglia di coca. Il presidente della Bolivia, Evo Morales, è stato incoronato con foglie di coca in una cerimonia indigena, il 20 gennaio del 2006, il giorno prima dell’insediamento presidenziale. Nasco Angela Staude Sono la voce dell’occidente. Come un’onda mi infrango all’interno della societá nipponica. Straordinaria efficienza ma inquietante desolazione. Riesco a sentire i fantasmi. Come Tiziano prima di me, con me. Abbiamo sentito i fantasmi in Cambogia, dopo tutte le uccisioni non vendicate. Sento i fantasmi di tutte le bambine nate e rinate prima di me. Sento i fantasmi delle donne incontrate nel mio pellegrinare in Asia, sulle orme di Tiziano. Sento che tutte queste voci chiedono perché! Perché sopravvivono culture dal mondo occidentale non condivise. Perché le devadasi non sentono il conflitto fra i loro diritti umani e la loro cultura. Piú volte ho pensato che la rivendicazione dell’identitá culturale puó divenire motivo di contrasto, portando a giudicare pratiche culturali come veri e propri reati, essendo il loro esercizio dettato da un modello culturale diffuso e riconosciuto all’interno del proprio gruppo di appartenenza. Sono nata, rinata e ancora nasceró chiedendomi se il rispetto dell’ ”altro” debba essere assoluto ai fini di non creare quei contrasti che condurrebbero al conflitto ma che, aimé, placherebbero quelle voci che sento. Le voci delle giovani vite annientate. I sogni rubati all’infanzia. Nell’ottica della valorizzazione dell’immagine della pianta sacra della cultura aymara, Morales ha lanciato una campagna d’appoggio all’Organizzazione Sociale per l’Industrializzazione della Coca (Ospicoca), che ha iniziato la produzione e la vendita massiva della bibita energetica “Coca Colla”, prodotta con l’estratto della foglia di coca. * Elisabetta, 16 anni, vive a Pordenone e frequenta il Liceo Classico Europeo di Udine. Cresciuta a pane e Terzani, ama scrivere cercando di dare voce a chi non ne ha. La sua aspirazione è diventare reporter dai Sud del Mondo. I siti web delle ambasciate di Bolivia hanno sottolineato che questo programma è dedicato a consolidare la strategia antinarcotici, di sviluppo economico e non solo. L’obiettivo è organizzare e diffondere una campagna di coscienza per La bibita vuole anche combattere il monopolio della Coca Cola, segno dell’invasione della cultura nordamericana nel sud del continente. E si va anche oltre. Dietro alla retorica c'è una vera e propria “diplomazia della coca”,bandiera della sua politica estera, per rafforzare anche il suo zoccolo duro cocalero. Evo, primo presidente indigeno della Bolivia, Paese dove il 70% della popolazione appartiene ad un’etnia aborigena, era stato un cocalero, cioè un coltivatore di coca. La promozione dell’uso della coca da parte di Chávez presidente del Venezuela - svela un’importante mossa diplomatica che ha il suo epicentro in Bolivia. Ed è che “la foglia di coca non è droga”. O almeno questo è il messaggio degli ambasciatori boliviani nel mondo. Il 2007 è stato l’anno di questa “diplomazia della coca”. fare sapere che cosa è la foglia di coca nella tradizione indigena. Nel 2009, la produzione di coca è stata di 48.117,20 tonnellate metriche, di cui il 28% è stato destinato al mercato legale e il 72% alla produzione di cocaina. La produzione potenziale di cocaina è cresciuta da 80 a 94 tonnellate. La legislazione boliviana autorizza la coltivazione di 12 mila ettari per uso legale, consumo tradizionale e rituali della foglia di coca. Oltre ad includere la foglia nella bandiera nazionale boliviana, tra gli obiettivi di Evo c’è la depenalizzazione della coca. C’era già stato il precedente, positivo, della cancellazione delle sanzioni economiche per la coltivazione della coca da parte degli Stati Uniti a settembre del 2007. Forse come effetto del compromesso raggiunto con Morales che si è impegnato a “sradicare” 5.600 ettari di coltivazione, più che per la strategia diplomatica. Ph. Andres Jaquez Locandina del documentario “Cocalero”, diretto dal regista ecuadoriano Alejandro Landes e prodotto dall’argentina Julia Solomonoff. La pellicola, presentata in vari festival internazionali tra cui il “Sundance”, ripercorre la storia personale ed intima del presidente boliviano Evo Morales e il mondo sindacale cocalero, alla base del suo potere. La figura di Evo nasce in reazione alla propaganda ed alla lotta statunitense alle droghe in Bolivia. Da più di cinquemila anni le etnie quechua e aymara, alla quale appartiene il presidente della Bolivia, fanno un uso medicinale e religioso della coca. Il suo consumo aiuta a sopportare le condizioni estreme delle altitudini dei Paesi andini. Anche i colonizzatori spagnoli hanno approfittato delle proprietà della pianta: seppur all’inizio per principio cattolico erano contrari all’uso della coca, si sono resi conto che poteva essere un’alleata, visto che toglie la fame e la fatica. 23 storie dai sud I curas delle Villas Miserias Chi sono e cosa fanno i sacerdoti che lavorano nelle baraccopoli argentine dalla nostra corrispondente dall’Argentina Ana Belluscio* I l culto maggiormente diffuso nei paesi del Sudamerica è quello cattolico. Secondo un rapporto elaborato da alcune università argentine il 76,5% della popolazione è infatti di religione cattolica.1 La scritta sul muro raccomanda di non gettare foglie di coca (masticate) nell’orinatoio pubblico © Patricio Barbaran Così, gli indigeni e i neri schiavizzati moltiplicavano le ore di lavoro e la produzione senza lamentarsi troppo. Oltre a includerla in rituali religiosi, come l’incoronazione del 21 gennaio del 2006, quando Morales è stato nominato “Apu Malku”, leader supremo, in una cerimonia religiosa nelle rovine di Tiahuanaco. La dichiarazione del presidente Chávez e il suo appoggio alla campagna boliviana hanno anche una chiara lettura anti-nordamericana. La presenza militare degli USA, la loro influenza, vuole essere giustificata attraverso programmi come il Plan Colombia, contro il narcotraffico. Anche se i risultati sono molto scarsi e gli USA restano un destinatario privilegiato per la coca made in Sudamerica. Dicendo che la coca non è reato, giocando sull’ambiguità, Chávez sembra anche voler dire che gli USA non hanno nessun motivo 24 di restare in Colombia, Paese con il quale il presidente venezuelano ha molti motivi di attrito. L’anno scorso Chávez ha firmato un accordo con Morales per comprare la produzione di quattromila tonnellate di coca. La ragione ufficiale era che sarebbe stata usata per elaborare prodotti medicinali, biscotti fatti con la farina della coca e bibite energetiche (dopo la Coca Colla la Coca Coca?). Ma, per il momento, sugli scaffali vuoti dei supermarket venezuelani, non si è visto nulla. * Rossana è una giornalista venezuelana. Lavora da 4 anni a Roma per il mensile Formiche. Collabora con diverse testate italiane e latinoamericane. È coautrice del libro “Hugo Chávez. Il caudillo pop” (Marsilio, 2007). include anche laboratori e scuole di arti e mestieri. “Lavoriamo con la ceramica, la scultura, i metalli, la cera ed in altri settori dell’artigianato e vendiamo i manufatti tramite il laboratorio”, spiega Facundo J., ex tossicodipen- Questa religione, la cui ampia presenza è una “i pregiudizi che gravano sulle villas vogliono eredità del passato coloniale spagnolo, durante i secoli di diffusione nel continente si è diversificata che i poveri siano delinquenti e fanno anche in tre correnti distinte che vanno dai culti evangelici e pentecostali, presenti in Centro America sì che la polizia non controlli queste aree” ed in Brasile, ai movimenti della Teologia della dente in fase di recupero che partecipa alle iniziative della Liberazione e dei Sacerdoti per il Terzo Mondo. Di questi parrocchia. Secondo gli organizzatori, la terapia del lavoro ultimi, fortemente radicati a partire dagli anni ’70, si defiattuata durante questi laboratori accompagna il processo niscono eredi i curas2, che negli ultimi anni hanno trovato di recupero dei tossicodipendenti e li aiuta a sviluppare nuova diffusione in Argentina. le capacità per una successiva ricerca di lavoro. Questi sacerdoti lavorano nelle parrocchie dei quartieri Oltre ai laboratori, i sacerdoti organizzano tornei di calcio, più umili e svantaggiati, chiamati anche Villas Miserias, di lezioni di sostegno per gli studenti e svariate altre attività Buenos Aires e dell'entroterra, e si sono adoperati non mirate ad accompagnare e stimolare i ragazzi dei quartieri solo come referenti spirituali ma anche sociali.“Hanno un più disagiati. Tuttavia, alcuni gruppi, specialmente quelli ruolo importante in tutto ciò che rappresenta un aiuto legati al narcotraffico, fanno resistenza. alla comunità e nel lavoro con ragazzi con problemi di droga”, spiega Alejandro Massei, sociologo che opera nella Nel 2009 l’Equipo de Sacerdotes Católicos para las Villas de villa 31 del quartiere di San Isidro. Emergencia3 ha pubblicato una lettera secondo cui nei La parrocchia di Nuestra Señora de Caacupé della villa quartieri disagiati “la droga era di fatto legalizzata” e che 21/24 della città di Buenos Aires è affidata a padre José “la maggior parte di coloro che traggono profitto dal narcoMaría (alias Pepe) Di Paola ed è una delle più attive: non traffico non vive nelle villas”, quartieri dove tagliano la luce, solo gestisce gruppi di aiuto per tossicodipendenti ma dove un’ambulanza arriva in ritardo, dove è comune vedere fogne straripanti. © Federico de la Puente L’area della villa, in quanto “zona franca“, è funzionale a questa situazione. I cosiddetti punteros (spacciatori) di droga utilizzano questi quartieri come base delle operazioni di vendita e distribuzione della droga, dato che i pregiudizi che gravano sulle villas vogliono che i poveri siano delinquenti e fanno anche sì che la polizia non controlli queste aree. “I ragazzi del quartiere sono le prime vittime del traffico di droga”, spiega padre Facundo, uno dei “Villa 31”, la più grande baraccopoli di Buenos Aires. Sullo sfondo i quartieri finanziari e residenziali della capitale argentina. 25 di Evelyn Wangui Gichuhi (Kenya) preti che lavora nelle villas e che ha chiesto di mantenere l'anonimato.“Loro vendono e distribuiscono la droga per terzi ed in molti casi vengono ripagati con la droga stessa, il che fa sì che il tasso di dipendenza sia maggiore tra di loro”. Una delle droghe più vendute, ma non la sola, è il paco4, un residuo di pasta base ottenuto attraverso il processo di elaborazione della cocaina. Il buon prezzo - circa 30 centesimi di euro per dose - e l’effetto rapido - circa trenta secondi di euforia - ne fanno una delle droghe più pericolose a causa del suo alto grado di dipendenza. I dipendenti dal paco muoiono generalmente entro i due anni, poiché il suo consumo conduce alla denutrizione e persino alla morte violenta quando si cerca di racimolare i soldi per le dosi. La mancanza di opportunità di inserimento nel mondo del lavoro, dell’istruzione, della sanità e della sicurezza sociale per le classi più svantaggiate favoriscono l’insinuarsi del narcotraffico nelle villas poiché questo costituisce un’entrata di denaro veloce e relativamente sicura. “Noi continuiamo a lavorare con i ragazzi”, afferma padre Facundo, “aiutandoli a sviluppare alternative di lavoro e accompagnando i tossicodipendenti nel processo di storie animate dai sud recupero”. Dopo avere pubblicato l’annuncio-appello da parte dei sacerdoti delle villas, padre Pepe Di Paola ha ricevuto una minaccia di morte dai gruppi di narcotrafficanti che assicuravano che, se non avesse smesso di lavorare con i tossicodipendenti nelle villas, lo avrebbero ucciso. Traduzione di Simona Sadotti Traduzione di Valeria Brucoli *Ana è laureata in Giornalismo presso la prestigiosa scuola-agenzia di stampa TEA (Taller Escuela Agencia) sita in Buenos Aires. Specializzata in politica internazionale e regionale. Collabora come giornalista a diverse pubblicazioni cartacee ed elettroniche, in spagnolo, inglese e italiano, nelle rubriche di politica internazionale e rapporti euro-americani. NOTE • 1 Fonte: Prima inchiesta sulle credenze e attitudini religiose in Argentina (2008). CEIL-PIETTE. CONICET/UBA/UNR/UNAS/UNC. http://www.ceilpiette.gov.ar/areasinv/religion/relproy/1encrel.pdf http://www.ceilpiette.gov.ar/areasinv/religion/relproy/1encrel.pdf • 2 Sacerdoti che operano nelle villas o villas miserias, ovvero baraccopoli simili alle favelas brasiliane • 3 Gruppo di sacerdoti attivo nelle villas de emergencia, eufemismo usato per indicare le villas miserias • 4 Il nome tecnico è PBC, pasta base di cocaina. A Buenos Aires è stata soprannominata la “droga dei poveri”. • Lo sai Hon, leggere questo libro mi fa venir voglia di andare in giro per il mondo! • L’Africa! L’Africa è il posto ideale! • Rallenta! L’Africa è molto di più di quello che il tuo esperto scrive nella sua guida! • Il fatto è che lui è stato lì e conosce il posto proprio come te! • Io non sono stata lì! Io ci sono nata! Una bella differenza! • Sì ma la tua opinione non è tra i bestseller! • L’esperto ha la sua opinione, tu hai la tua! Me ne farò una mia andandoci di persona! Infatti ho già un appuntamento al centro vaccini! • Vuoi andarci da solo? Ottimo! Al centro vaccini... • Ecco, ho fatto una piccola lista dei vaccini che dovrebbe fare prima di partire! Sul foglio: epatite, colera, febbre gialla, malaria, AIDS. • Voglio essere onesto. L’Africa è un azzardo per la salute di un europeo! Lei non è fatto per quel clima! E poi tutti questi virus assurdi! L’ebola! Il suo intestino non si riprenderà mai più! Coppa del mondo 2010 Il Camerun ospita il tradizionale “Pallone FIFA” dal Camerun Siméon Emmanuel Tchameu* I l Camerun è il 22° Paese ad ospitare il tradizionale “pallone FIFA”. La delegazione guidata da Aleokol Mabieme Jean-Marie, direttore dei programmi Special Olympics in Camerun, è sbarcata a Yaoundé mercoledì 14 aprile 2010. L’iniziativa, lanciata nel 2002 in Sudafrica, è giunta in Camerun con obiettivi sociali, di sensibilizzazione sugli effetti della povertà e sostegno a target sfavoriti - come i portatori di handicap mentali - sotto la responsabilità di Special Olympics. Dopo 8.000 firme nel mondo, dei camerunensi hanno avuto l’onore di mettere le proprie firme sul famoso pallone FIFA, dopo averci giocato, così come previsto dalla tradizione di Spirit of Football. Il neozelandese Andrew Aris, direttore di Spirit of Football, e i suoi accompagnatori hanno fatto il giro degli enti sportivi, associativi e amministrativi del Paese, prima di partire alla volta del Kenya e verso altre mete, per ritrovarsi, finalmente, in Sudafrica, per la Coppa del Mondo FIFA 2010. Traduzione di Silvia Lezzi * Siméon nasce nel 1981 a Bana, in Camerun. Diplomato in management e marketing all’Università di Douala, è corrispondente e montatore di Canal2 International. 27 lavori in corso In linea con Kubatana Il potenziale democratico di e-mail e internet in Zimbabwe dalla redazione di kubatana.net* I l Kubatana Trust in Zimbabwe, che ha al suo interno anche l’ONG Network Alliance Project (NNAP), mira a rafforzare l’utilizzo di e-mail e di strategie internet nelle ONG dello Zimbabwe e nelle organizzazioni della società civile. • Se fossi in lei, non ci andrei! • È più complicato di quanto pensassi. Tutto sembra essere contro l’Africa, un posto pieno di guerra, AIDS, povertà!!.. Kubatana fa sì che le informazioni sull’educazione civica ed i diritti umani siano accessibili e centralizzate. Il sito internet possiede un archivio di oltre 16.500 documenti riguardanti la società civile dello Zimbabwe e una rete elettronica composta da oltre 250 ONG e organizzazioni della società civile. Ogni partner Kubatana possiede una “scheda prodotto” all’interno di una directory online. Il progetto ha consentito a molte ONG di essere presenti in rete evitando loro l’impiego di risorse per la costruzione e la gestione di un sito web a tutti gli effetti. Come afferma Joan Baez1: “l’azione è l’antidoto per la disperazione”. La mailing list di Kubatana e le newsletters inviate con regolarità tramite e-mail permettono a migliaia di abitanti dello Zimbabwe e persone iscritte in tutto il mondo di rimanere informati. • Voglio dire, un posto così bello non può essere tanto male... e non riesco a immaginare un posto che sia in assoluto contrasto con la mia vita qui! • Ehi, cosa c’è? • L’Africa, ecco cosa c’è! Il luogo proibito, a sentire tutti quelli con cui ho parlato finora! Malgrado i successi, Kubatana non è ancora una grande organizzazione. Brenda Burrell e Bev Clark sono i nomi dei fondatori/visionari del progetto che coniuga competenze informatiche a talenti di marketing e creatività. Amanda Atwood permette al progetto di andare avanti e ne è la principale ispiratrice. Negli ultimi 8 anni, Kubatana ha incoraggiato regolarmente gli abitanti dello Zimbabwe ad utilizzare le tecnologie informatiche a cui hanno accesso e a farsi promotori, mobilitarsi e portare avanti azioni di pressione. Il cambiamento comincia da voi! ”Credo che sia ormai una sensazione comune, avendo visto i nostri eroi cadere nel corso degli anni, che la nostra piccola pietra di attivismo sia solo un’ insignificante contributo alla costruzione di un edificio fatto di speranza. Molti di coloro che credono questo hanno deciso di rinunciare a dare il loro piccolo contributo perché si vergognano. È questa la tragedia del mondo. E noi non possiamo fare nulla di sostanziale per cambiare la nostra corsa sul pianeta, una corsa distruttiva, senza smettere però di entusiasmarci, uno ad uno, portando le nostre piccole e imperfette pietre sul grande accumulo di massi”. Dal sito di Kubatana: “È sorprendente quello che voi (sì, proprio VOI) potete fare prendendo solo la cornetta e chiamando la stazione di polizia in caso di detenzione illegale di un attivista e ricordando all’ufficiale addetto che siete a conoscenza e preoccupati del modo in cui un vostro concittadino viene trattato. Questo è solo un esempio di come associare proattività e preoccupazione e di come utilizzare un telefono per coinvolgere un pubblico ufficiale in un’azione di pressione. Ci sono infiniti altri esempi, come: inviare e-mail ad editori di riviste per commentare ingiustizie sociali e politiche o per chiedere di investigare su una storia in particolare e di riportarne gli esiti; utilizzare il cellulare come mezzo di verità e ispirazione piuttosto che per diffondere paure e informazioni ambigue; prendere una penna e un foglietto di carta e scrivere un messaggio incoraggiando chi vive nella vostra comunità a smettere di gettare rifiuti in giro e appendere questo foglietto su un albero o su un palo della luce. Potrebbero sembrare tutte azioni insignificanti, ma moltiplicate per molte mani e molti cuori, esse apportano un cambiamento positivo. Uscite allora e siate voi il cambiamento”. Traduzione di Stefania Sgherza • La tua lista di cose da fare sembra la soluzione del debito del terzo mondo! • Non è solo per le malattie! Anche la mia ragazza è contraria. Crede che sia un ingenuo desiderio turistico nato dal fatto che stiamo insieme! • Ci puoi giurare uomo bianco! • Ciò che non capisce è che è una cosa che ho sempre voluto fare - anche prima di conoscerla - è un mistero anche per me! Continua nel prossimo numero… 28 * Associazione di attivisti che diffonde in Zimbabwe l’uso delle nuove tecnologie (e-mail, sms, blog, software, intranet) per farne strumento di crescita democratica e difesa dei diritti dell’uomo e del cittadino. Ha da poco vinto il premio ”Breaking Borders 2010”, assegnato da Google e da Global Voices, per la libertà di informazione. NOTE • 1 Cantante di musica folk conosciuta per il suo impegno per i diritti civili e per il pacifismo. 29 lÕosservatore romeno cartoline dai sud 1 Calci solidali A sorsi di mate Perchè l'indifferenza non diventi uno sport nazionale La bevanda nazionale argentina: una tradizione millenaria di Mihai Mircea Butcovan* (Romania) P oco tempo fa, al Parco Lambro, nella zona est di Milano, si è svolto un torneo multietnico dal nome “Rigore è… quando arbitro fischia”, una giornata di calcio e convivialità all’insegna della solidarietà. Sul campo di calcetto, in un contesto che ospita persone con varie situazioni di disagio e sofferenza, si sono incontrate quattro squadre a rappresentare varie realtà della società italiana. Tra queste la squadra degli arbitri U.S. Acli Milano, da molti anni impegnati anche in progetti a favore dei più deboli ed emarginati. “Lo sport” dice il responsabile organizzativo Andrea Palmisano,“sa parlare alle persone con un linguaggio semplice per dire che bisogna saper vincere senza ambizione, prepotenza ed umiliazione dell’avversario e bisogna saper accettare la sconfitta con la consapevolezza che non si tratta di un dramma irreparabile e che la vittoria ciascuno la ottiene dando il meglio di sé stesso”. “perdente non è chi arriva ultimo in una gara, ma chi si siede e sta a guardare” Prosegue Palmisano:“Lo sport non può diventare elemento di ulteriore divisione tra ricchi e poveri, tra forti e deboli, né la corsa al guadagno e alla vittoria possono privare lo sport dei suoi valori morali. Lo sport non dev’essere appannaggio dei soli Paesi ricchi e questi non devono imporre il loro modello sportivo ai popoli economicamente meno sviluppati”. ll responsabile organizzativo - appena arrivato al torneo di Parco Lambro dopo una mattinata trascorsa in compagnia di ragazzi diversamente abili che giocano a hockey seduti su carrozzine elettriche - conclude: “vogliamo uno sport che cooperi efficacemente ad affermare una cultura della pace, dell’avvicinamento tra popoli e del dialogo tra le nazioni”. Purtroppo non si vedono ancora campionati mondiali di solidarietà. E ancor più di rado vediamo solidarietà mondiale. In Italia si è appena conclusa una stagione di calcio che ha visto ancora, di frequente, cori e slogan razzisti negli stadi. La cronaca degli eventi sportivi si risolve in elogi ai meriti nazionali quando si vince e sfocia in critiche ed invettive agli arbitri quando si perde. 30 Testo e foto di Victor Alejandro Liotine*, dall’Argentina I l mate, tipo di infusione tradizionale che si beve in Argentina, rappresenta il simbolo autoctono più importante di amicizia e fraternità. Insieme all’asado (carne argentina arrostita all’aperto, nda) e al dulce de leche, al calcio e al tango, il mate è una delle passioni nazionali più importanti. Ogni quattro anni si svolgono dei campionati mondiali di calcio. Quest’anno il torneo finale si svolge in Sudafrica. Sarebbe una ghiotta occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni che riguardano il pianeta e parlare delle ingiustizie che ancora dividono il mondo in nord e sud socioeconomici, e di diritti. Ma sappiamo che giornali, televisioni, tifosi e bar sport parleranno molto di composizione delle squadre, di campioni nostrani e arbitri ma molto meno di solidarietà. Di quest’ultima, legata ad iniziative sportive, si parla di rado nei rotocalchi italiani. La madre di Oscar Pistorius l’atleta sudafricano amputato bilaterale, campione paralimpico che corre con delle protesi in fibra di carbonio ci ricordava tempo fa che “perdente non è chi arriva ultimo in una gara, ma chi si siede e sta a guardare”. La canzone ufficiale dei mondiali di quest’anno in Sudafrica dice: “Ma stiamo lottando, combattendo per mangiare e ci domandiamo quando saremo liberi”. Nei sud del mondo si corre per sopravvivere e per la libertà. Vale la pena ricordarselo, nei nord del mondo, quando siamo chiamati ad essere solidali. In Italia, in tempi di “respingimenti”, bisogna vigilare, come gli arbitri dell’U.S. Acli, perché il razzismo, la caccia allo straniero o l’indifferenza nei confronti dei più deboli non diventino uno sport nazionale. Perché di questo sport sarebbe meglio non diventare campioni del mondo. * Mihai, narratore e poeta, è nato nel 1969 in Transilvania, Romania. In Italia dal ’91, vive a Sesto San Giovanni e lavora a Milano. Collabora con varie riviste e giornali, tra cui Internazionale e Il manifesto. www.mihaibutcovan.it È più di una semplice bevanda: contiene in sè un linguaggio proprio, nasconde una tradizione millenaria. La parola mate proviene della antica lingua aborigena quechua. Deriva dalla parola mati, che significava “zucca”. Una variante sudamericana di questa verdura (calabaza mate) si utilizzava originariamente come contenitore della yerba mate (erba mate) con la quale, insieme all’acqua bollente, si prepara l’infusione. La yerba mate é un tipo di albero originario del Sud America, che cresce in una regione compresa fra Argentina, sud del Brasile, Paraguay e Uruguay. mento della giornata. Da soli fa riflettere, in compagnia asseconda lunghe chiacchierate. Tantissimi rapporti sono nati condividendo un semplice mate: nuove amicizie, nuovi amori, opportunità ed affari. A seconda delle tradizioni di ciascuna regione argentina, la yerba mate si può consumare in diverse maniere. Quella più diffusa è il cosiddetto mate cebado: si utilizza un contenitore di calabaza, in legno o metallo, lo si riempie di acqua a una temperatura tra 70 e 80 gradi (riscaldandola di più la yerba mate si brucia, perdendo aroma e sapore originali, nda) e si inserisce una bombilla (un tipo di cannuccia generalmente di metallo che filtra l’acqua, nda). La persona che prepara il mate si chiama cebador e prosegue il suo lavoro di precisione fino all’ultima ronda (giro) di mate. In Argentina si beve caldo anche in estate, ma sono molti quelli che lo gradiscono nella versione Già utilizzato nei secoli dagli indigeni Guaranies, la yerba era consumata come alimento con altissime proprietà alimentari e curative e come fonte naturale di forza e energia. Nel secolo XIX accompagna gli eserciti nazionali nelle campagne militari indipendentiste: uno strumento per mantenere salute e morale alti nei soldati che vivevano nelle difficoltà. Noto come simbolo di amicizia, il rito del mate si condivide con persone con le quali si sta bene ed accomuna poveri e ricchi, colti e ignoranti, giovani e anziani. Nessuno lo beve per sete: è solo una sana e diffusa abitudine buona in qualsiasi mo31 cartoline dai sud 2 Arte contemporanea alla conquista del Camerun Testo e foto di Paul-Henri Souvenir Assako*, dal Camerun N el cuore della capitale politica camerunense si sono tenuti due avvenimenti artistici particolari, molto lontani dal quotidiano dei camerunensi e dal pubblico di Yaoundé: l’esposizione del patrimonio del FNAC (Fondo Nazionale d’Arte Contemporanea) francese in Camerun, dal 16 aprile al 30 maggio - dopo Kinshasa nel 2008 - e la seconda edizione del RAVY (Incontri d’Arti Visive di Yaoundé), dal 19 al 25 aprile. fredda: mate tereré. Eccellente occasione di idratarsi e rinfrescarsi, si prepara con acqua fredda, limone e ghiaccio. Per i più pigri c’è il mate cocido. La yerba, confezionata in bustine con un filo, si immerge nella tazza con acqua bollente, proprio come fosse un tè. La yerba mate ha un gran numero di proprietà benefiche per l’organismo: vitamine, proteine e minerali con effetti antiossidanti ed energizzanti naturali, polifenoli contro malattie ed invecchiamento prematuro e potassio per il corretto funzionamento del cuore. “Nessuno lo beve per sete: è solo una sana e diffusa abitudine” In Argentina è stato fondato addirittura l’Instituto Nacional de la Yerba Mate (INYM), che promuove e rafforza lo sviluppo di tutti i settori coinvolti nella coltivazione. Il processo produttivo comincia con la selezione manuale dei migliori semi. La pianta comincia a svilupparsi in un ambiente a luce, temperatura e umidità controllate. Una volta cresciuta, viene messa a dimora nel luogo definitivo. 32 Per il primo anno di vita sarà protetta dai raggi del sole e bisognerà aspettarne quattro prima di poter cogliere (cosechar) le prime foglie. Queste vengono esposte per venticinque secondi all’azione diretta del fuoco per evitarne l’ossidazione e si lasciano essiccare per ridurre il contenuto di umidità. Le foglie vengono quindi triturate e lasciate maturare per un anno. Poi, finalmente, la yerba mate è pronta per essere imbustata e venduta in confezioni da 250 grammi a 5 kg. L’Argentina ne è il principale produttore mondiale. Una indagine recente dell’INYM sostiene che il mate sia presente nel 92% delle case argentine e che sia la bevanda più consumata dopo l’acqua. È talmente conviviale che anche gli immigrati che si radicano in Argentina fanno propria velocemente e volentieri questa abitudine: il sapore dei ricordi dei viaggiatori di tutto il mondo al rientro dall’Argentina. * Victor nasce a Mar del Plata, Argentina, nel 1978. Avvocato, laureato in Giurisprudenza presso l’Università Nazionale di Mar del Plata. Figlio di un argentino e di una italiana, ha studiato in Italia. Vive a Buenos Aires. Alcune opere d’arte contemporanea, della collezione del FNAC della Francia, sono state esposte in tre città del Camerun: a Yaoundé al CCF (Centro Culturale Francese), a Douala nello spazio Doaul’Art, e a Bandjoun alla Bandjoun Station, luogo di cultura costruito dall’artista francese di origini camerunensi, Barthélémy Toguo. Se è vero che il pubblico camerunense ha scoperto delle opere “mai viste sul territorio africano”, occorre però ricordare che il dialogo attorno alla creazione contemporanea - che gli organizzatori difendono nell’editoriale del catalogo dell’esposizione - è rimasto difficile da capire. La riforma plastica ed estetica che caratterizza queste opere appare ambigua nell’immaginario artistico locale: in Camerun osserviamo ancora una predominanza di forme d’arte classiche, strutturate, modellate su un supporto dalla mano dell’artista. Claude Allemand-Cosneau (direttrice del FNAC) presenta gli artisti di questa collezione come degli esempi da seguire per i loro omologhi camerunensi. Un tale invito è ricco di scommesse e quella principale, come da lei sottolineato, è che lo Stato francese, attraverso la struttura che lei rappresenta, acquisti le opere d’arte contemporanea. Sperando quindi anche di arricchire questo fondo con le opere di artisti camerunensi. Semplice coincidenza o no, in risposta a questi propositi si sono tenute le manifestazioni artistiche del secondo RAVY. Invece di artisti camerunensi con l’originalità del proprio lavoro, abbiamo visto il contrario. Si è avuta una partecipazione schiacciante di artisti non africani - francesi, polacchi, giapponesi, israeliani, tedeschi - ed una debole e mediocre partecipazione di artisti camerunensi, che per esprimersi in questi incontri hanno fatto ricorso per la maggior parte a dei codici di rappresentazione non abituali come la performance, l’installazione e il video. Improvvisazione o no, la scelta è stata una condizione per partecipare a un tale avvenimento, apparentemente molto sostenuto e mediatizzato. L’artista Joseph Francis Sumegne - uno dei geni della scultura assemblata in Camerun - è apparso timido quando gli è stata posta la domanda sulla scelta del mezzo della performance per questa occasione : “non è che una fase sperimentale”, ha risposto. Tuttavia c’è sempre da chiedersi se l’inerzia che paralizza il campo delle arti plastiche e visive in Camerun finirà mai. L’origine di questa inerzia sta nell’assenza di una volontà politica di identificazione e di inquadramento delle competenze e nell’ignoranza rispetto al ruolo dell’arte e degli artisti nelle società, più ancora in quelle 33 artisti camerunensi investano nella ricerca di caratteri di in via di sviluppo. Così un ambiente artistico e culturale un’identità artistica propria. Tutto questo passa dall’invito segnato ed indebolito si apre ad una pressante influenza fatto a tutti gli artisti africani da Cheik Anta Diop, che nel della cultura europea, che stabilisce le sue basi e detta le 1979 scrisse: “…un artista che porrà il problema sociale sue leggi. A titolo d’esempio, le strutture che apportano nella sua arte, senza ambiguità, in un modo adatto a scuotere principalmente ed efficacemente delle soluzioni di sostela coscienza letargica; l’artista che si porrà al cuore del reale, gno ai progetti artistici (finanziamenti, sistemazione dei per aiutare il suo popolo a luoghi d’esposizione, diffusione, acquisti) in Came- “gli artisti camerunensi diventano operai” scoprirlo; l’artista che saprà eseguire delle opere nobili al run, sono i centri culturali fine di ispirare un ideale di grandezza al suo popolo, che sia dei Paesi come la Francia, la Spagna, la Germania, l’Italia, poeta, musicista, scultore, pittore o architetto, è l’uomo che gli Stati Uniti… ed è così che si sviluppano dei meccanismi risponde, nella misura dei suoi doni, alle necessità della sua di sopravvivenza dell’arte contemporanea occidentale epoca e ai problemi che si pongono in seno al suo popolo”. attraverso delle offerte concrete, scritte sotto forma di opportunità per gli artisti camerunensi, che ne diventano Traduzione di Maddalena Assako Assako gli operai. Come scrisse Jean-Loup Amselle nel 2005 “…l’arte contemporanea occidentale si trova chiusa in un vicolo cieco […] e all’Africa spetterebbe allora il ruolo di principale fonte di rigenerazione dell’arte occidentale“. È essenziale che gli * Paul è storico dell’arte e artista, insegna all’università di Yaoundé I; le sue opere sono state esposte in diverse collettive in Africa e negli Stati Uniti. cartoline dai sud 3 La capanna dentro lÕAmazzonia dal viaggio del nostro lettore Simone Teggi* nell’Amazzonia peruviana U na strada contorta che lentamente dalle Ande, tra fango, pietre, vallate e fiumi che si intrecciano, discende nell’alta Amazzonia. L’aria si fa più pesante e umida e la vegetazione si trasforma poco a poco nella foresta pluviale. Tra orchidee coloratissime, liane, foglie e alberi di rara bellezza e grandezza cerca di farsi posto una capanna con tre stanze, fatta di assi di legno accostate tra di loro e sopraelevate rispetto al piano del terreno, quasi completamente vuota: pochi mobili, qualche utensile in legno che rende i movimenti quotidiani più rituali e oggetti che ricordano la non “L’ospitalità del capo famiglia illumina tutto. Ha circa 50 anni, un uomo magro e alto, vestito quasi di niente” Ph. Simone Teggi lontana ed omogenea civiltà dei bisogni: un poster, una radio, qualche oggetto di plastica colorata, alcune vecchie amache all’interno, ed il tetto ricoperto di foglie di palma secche intrecciate. All’esterno una piccola tettoia di legno in cui si cucina e si consumano i pasti. Tutto è coperto di umidità e di verde brillante, qui l’uomo non è padrone: per sopravvivere deve trovare i suoi spazi nella natura, deve viverci in simbiosi sperando nella sua generosità. Questa è la valle del Palcazù, ormai unica “riserva” degli Yanescha, una popolazione indigena essenzialmente di raccoglitori e cacciatori che si è vista pian piano rinchiudere in un territorio sempre più piccolo dovendo lasciar spazio intorno al XVII secolo ai missionari francescani, nel XIX secolo ai coloni austriaci e tedeschi, nel XX secolo a latifondisti, coloni e peruviani, e infine ai coltivatori di coca e oppio. Questa popolazione, come tante altre, ha lasciato la propria terra per penetrare sempre di più nella foresta: ha combattuto, anche se raramente e a forze impari, ma ora lo spazio non è più abbastanza per sopravvivere autonomamente. Nella capanna vive una famiglia composta da madre, padre, un figlio di 21 anni e una figlia di 26 con il suo bimbo. Quando mi avvicino a quella casa, l’energia e l’ospitalità del capo famiglia illuminano tutto. Ha circa 50 anni, un uomo magro e alto, vestito quasi di niente, ma il suo sguardo e la sua serenità nei movimenti e nelle azioni trasmettono tutto intorno una sensazione di controllo e saggezza. Lui è uno degli anziani del villaggio dell’Alto Iscozacin (250 abitanti), uno Yanesha, uno degli ultimi rappresentanti e sostenitori della cultura di quel popolo. Passeggiamo insieme nella sua comunità e nella foresta, mi parla di ogni pianta da persona che rispetta e conosce a fondo il potere di quelle creature. Ogni piccola erba, ogni piccolo frutto ha la sua funzione nella medicina tradizionale o nell’alimentazione. Mi parla con timore delle sue conoscenze, mi racconta con paura delle sue tradizioni. “Qui” dice “le case farmaceutiche e i coloni non si sono limitati a rubare, ma hanno distrutto definitivamente la nostra ricchezza”. Piante ed erbe che per millenni hanno salvato la vita di questa tribù non si trovano più, gli abitanti sono costretti ad abbandonare i loro villaggi o a lavorare come braccianti nelle miniere o presso i coloni per sopravvivere, perdendo nel tempo il loro sapere. 35 Valle del Palcazù Ph. Simone Teggi cooperando Ormai, da queste parti, molti dei giovani sono partiti in cerca di fortuna, non riescono a vivere nell’isolamento da quella confusione che domina il mondo. I suoi figli hanno provato a trasferirsi in città per trovare un lavoro e vivere nella terra promessa dalla televisione.Sua figlia è andata a Lima per lavorare ed ora ha un bimbo piccolo, ma appena può ritorna a casa perché è li che si sente protetta, odia la società al di fuori dalla sua comunità ma in fondo ne è diventata dipendente: un legame che la trascina ma non la convince. Suo figlio ha tentato la fortuna in città nelle segherie, ma ora ha deciso di tornare a casa, di vivere come suo padre gli ha insegnato. Ogni sera esce per pescare e cacciare: un fucile a tracolla, il machete legato ai fianchi e tanta rassegnazione negli occhi perché sa che probabilmente tornerà a mani vuote. Lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione e del Terzo Settore Indirizzi utili www.reliefweb.int - Sito OCHA (Ufficio Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari) con ampio spazio dedicato alle offerte di lavoro e formazione nel mondo della Cooperazione, in particolare nel settore dell’emergenza. Sito in lingua inglese, offre un’ottima newsletter elettronica gratuita; www.volint.it - Sito del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), un vero punto di riferimento per l’offerta di lavoro italiana nel settore della Cooperazione internazionale, nonché per la formazione; LE TRE FEDERAZIONI ITALIANE DI ONG: www.cocis.it - www.focsiv.it - www.cipsi.it - I tre siti sono ricchi di offerte di lavoro inviate dalle varie ONG federate. FOCSIV e COCIS sono inoltre Focal Point italiani per il Programma Volontari delle Nazioni Unite (UNV); La foresta non è più la ricchezza infinita di una volta. I madereiros la tagliano, in cerca di specie di alberi pregiati, i coloni segano gli alberi per allevare i loro animali e per coltivare: lo scempio è evidente e le conseguenze sono orribili. Gli animali selvatici se ne vanno e le piogge scavano dove gli alberi non proteggono più il suolo. www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it - Portale della Cooperazione allo sviluppo governativa, comprende una sezione dedicata alla formazione e al lavoro, e vi rimanda anche ad altri interessanti siti stranieri per la ricerca di lavoro nel settore; La notte scende e anche stasera, come ogni sera, ci si trova davanti al focolare, tutta la famiglia assorta, ci si consola della mancata caccia, mangiando tuberi (yuca e pituca), qualche banana, qualche larva; i racconti della storia di quel popolo riecheggiano nel buio come favole e la foresta con i suoi suoni ci culla dolcemente verso la notte. www.eurobrussels.com - The european affairs jobsite…basta la parola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita; www.hacesfalta.org - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazione spagnola! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua spagnola; www.coordinationsud.org - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazione francese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua francese; La sensazione che rimane nel cuore è di enorme ricchezza: loro conoscono i piccoli grandi segreti della natura e la loro indole è calma e riflessiva. Non c’è rabbia nelle loro parole, c’è solo paura. Ma la profondità degli occhi dell’erede degli Yanesha mi trasmette una sensazione di fallimento che arriva al cuore, per quello che è stato costruito a discapito, e con la distruzione, forse, dell’ultimo polmone di questa terra malata. * Simone è cooperante e lavora come Responsabile Paese per l’ONG Cospe in Niger. Laureato in economia politica e con un master in agronomia, ha già trascorso più di 8 anni in Paesi del Sud del mondo. www.charityjob.co.uk - Offerte di lavoro, volontariato e formazione in diretta dal mondo del no-profit e della cooperazione inglese! Offre un’ottima newsletter elettronica gratuita in lingua inglese. www.seniores.it - Avete un padre (o una madre) in pensione, che proprio non vuol stare fermo? Speditelo con Seniores Italia a svolgere brevi missioni di “assistenza tecnica” nei PVS. Seniores non è l’unica associazione in Italia a gestire questo tipo di iniziativa, ma è l’unica ad essere Focal Point del Programma delle Nazioni Unite per Esperti Volontari Senior. Naturalmente, non pretendiamo di essere esaustivi… almeno per ora. Se vuoi segnalarci altri link utili, scrivi una e-mail a: [email protected] LE LORO VOCI E I LORO OCCHI TI RACCONTANO IL MONDO DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA! Viaggi con lo spirito di Caposud? Guardi le cose da un altro punto di vista? Mandaci una cartolina del tuo viaggio dai “Sud”. Scrivi a: redazione rivista CAPOSUD via Alessandria 33, 70038 Terlizzi (BA) ITALY Vuoi contattare i nostri reporter locali? Vuoi rivolgere loro delle domande? Invia una e-mail all’indirizzo [email protected] indicando nell’oggetto i nomi dei corrispondenti che desideri contattare. Oppure invia il tuo racconto di viaggio a: [email protected] 37 L’informazione da un altro punto di vista: Il Sud del mondo racconta se stesso MASTROGIACOMO ADV Caposud ANNO 2 NUMERO 3 giugno - luglio - agosto 2010 Autorizzazione del Tribunale di Trani n° 7/09 del 06/04/09 Iscrizione al R.O.C. (Registro Operatori Comunicazione) n° 18863 Progetto Grafico, prestampa e pubblicità: Mastrogiacomo Adv - comunicazione sociale - Bari Direttore Responsabile: Tonio Dell’Olio - [email protected] Stampa: SAGRAF S.r.L. - Capurso (Bari) Direttore Editoriale: Alfredo Giangaspero - [email protected] Contatti Redazione: via Alessandria, 33 - 70038 Terlizzi (BA) e-mail: [email protected] web: www.caposud.info skype: Caposud magazine Telefono: +39 3297160991 • Fax: +39 1786081049 Caporedattrice: Sonia Drioli - [email protected] Redazione Centrale Referenti Area/Paese: Ana Belluscio (Sudamerica), Andrea Luchetta (Balcani), Mara Rocha (Brasile), Michaela De Marco (Medio Oriente), Marco Simola (Perù), Silvia Koch (Senegal) Rubriche: Mihai Mircea Butcovan (“L’osservatore romeno”) Fotografia: Alfredo Bini, Alfredo Giangaspero (photoeditor), Ilaria Alessia Rutigliano (ricerca iconografica), Valentina Valle Baroz (coord. vignette e illustrazioni). Traduzioni: Alessandra Lavermicocca, Angela Patrono, Bianca Carlino, Ester Lo Coco, Maddalena Assako Assako, Mara Rocha, Maria Luisa Malerba, Silvia Lezzi, Simona Sadotti, Stefania Sgherza, Valentina Traversi, Valeria Brucoli. Correzione di bozze: Angela Accarrino, Domenico Ierone. Impaginazione: Antonello Dario. Segreteria: Micaela Giangaspero. Comunicazione e Ufficio Stampa: Fabio Dell’Olio (resp. comunicazione), Nico Andriani (uff. stampa Puglia), Silvia Koch (uff. stampa Lazio). Dai SUD in questo numero: ag. stampa Adital (Brasile), Ana Belluscio (Argentina), Arthur Andrade (Brasile), Elisabetta Zerial, Evelyn Wangui Gichuhi (Kenia), Hin Dilen (Cambogia), redazione Kubatana.net (Zimbawe), Manuel Rozental (Colombia), Mihai Mircea Butcovan (Romania), Montassir Sakhi (Marocco), Paul-Henri Souvenir Assako (Camerun), Rossana Miranda (Venezuela), Siméon Emmanuel Tchameu (Camerun), Simone Teggi (cartolina dall’Amazzonia), Victor Alejandro Liotine (Argentina). Foto di copertina: Ferdinand Reus (Olanda). Fotografie di: Aaron Escobar (Cuba), Alexandra Jones (Australia), Andres Jaquez (Messico), Federico de la Puente (Argentina), Ferdinand Reus (Olanda), Franco Folini (USA), Kieran Ball, Luca Tazza (Italia), Manu Dias/Agecom (Brasile), Marcos Zion, Martin Garcia (Colombia), Nicolò Paternoster (Italia), Patricio Barbaran (Argentina), Paul-Henri Souvenir Assako (Camerun), Sebastian Zeigen (Germania), Siméon Emmanuel Tchameu (Camerun), Simone Teggi (Italia), Rodrigo González (Messico), Tiago Da Arcela (Brasile), Victor Alejandro Liotine (Argentina). Vignette e illustrazioni di: Evelyn Wangui Gichuhi (Kenia). Proprietà-Editore: Associazione Culturale “Caposud” Viale dei garofani, 51/h - 70038 Terlizzi (BA) CF 93369610725 – P.IVA 06953690721 Abbonamento annuale Italia (6 numeri a partire da qualsiasi uscita) • ORDINARIO Û 25,00 • SOSTENITORE contributo libero a partire da Û 30,00 Versamento sul CCB intestato a Associazione Culturale “Caposud” viale dei garofani 51/h, 70038 Terlizzi (BA) Banca Popolare Pugliese – IBAN IT22R0526241650CC1080015979 Versamento su CCP n° 99786246 intestato a Associazione Culturale “Caposud”, viale dei garofani 51/h, 70038 Terlizzi (BA) IBAN IT27S0760104000000099786246 Abbonamento annuale Estero (6 numeri a partire da qualsiasi uscita) • Europa - Mediterraneo Û 45,00 • Africa - Asia - Americhe Û 55,00 • Oceania Û 60,00 Versamento sul CCB intestato a Associazione Culturale “Caposud” viale dei garofani 51/h, 70038 Terlizzi (BA) Banca Popolare Pugliese – IBAN IT22R0526241650CC1080015979 BIC: BPPUIT33 Indicare nella causale del versamento “abbonamento rivista Caposud” ed inviare ricevuta del versamento ed indirizzo per la spedizione alla e-mail della segreteria di redazione ([email protected]) con oggetto “dati abbonamento”. Segnalare ogni eventuale disguido nelle spedizioni postali alla segreteria di redazione. La responsabilità dei contenuti degli articoli è esclusivamente dei rispettivi autori. La responsabilità dell’editore è limitata agli articoli privi di firma o a firma de “la redazione”. Tutti gli articoli, tranne quelli contrassegnati da ©copyright possono essere riprodotti purchè accompagnati dal credito (nome autore/www.caposud.info) e previa comunicazione alla redazione di Caposud. Manoscritti e fotografie giunti in redazione, anche se non pubblicati, non verranno restituiti ai rispettivi autori, e rimarranno a disposizione della redazione, per eventuale futura pubblicazione. www.voxpopoli.org - [email protected] Vincitore del concorso Principi Attivi - Giovani Idee per una Puglia Migliore Sostieni CAPOSUD e dai voce all’InformAZIONE Per te 6 numeri della nostra rivista ad un prezzo speciale: ABBONAMENTO ORDINARIO euro 25,00 ABBONAMENTO SOSTENITORE contributo libero a partire da euro 30,00 Visita il sito www.caposud.info alla sezione “abbonati” e scopri come sostenerci Se sei una libreria, una associazione, una “bottega del mondo”, oltre ad abbonarti, potrai sostenere il nostro progetto editoriale distribuendo CAPOSUD. Diventa un punto vendita della nostra rete distributiva in continua espansione. Ti offriremo allo stesso tempo degli spazi pubblicitari gratuiti e delle soluzioni vantaggiose per promuovere la tua attività. Scopri la nostra offerta personalizzata ed integrata (rivista+web) contattando la redazione all’indirizzo e-mail [email protected] oppure telefonando al numero +39 329 716 09 91