le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse

Transcript

le fonti rinnovabili di energia e l`utilizzo delle biomasse
LE FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA E
L’UTILIZZO DELLE BIOMASSE NELL’AMBITO
DELLA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTRICO
NAZIONALE
5 – La cogenerazione da biomasse: aspetti tecnici ed
economici legati al suo impiego
_______________________________________________________________________________
Luigi Zuccaro
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
1
Indice
1. Generalità.
2. Definizione di cogenerazione.
3. Il concetto.
4. Vantaggi della cogenerazione da biomasse.
5. Possibili soluzioni per la produzione di energia termica ed energia elettrica dalle biomasse.
6. Vapore o olio diatermico?
7. Impianti di cogenerazione ad olio diatermico.
7.1 Componenti di un impianto di cogenerazione ad olio diatermico.
7.2 Principi di dimensionamento del sistema.
7.3 Punti di forza ed efficienza del sistema.
7.4 Esperienze pratiche.
7.5 Valutazioni economiche.
7.6 Aspetti ecologici.
8. Possibili applicazioni della cogenerazione da biomasse.
9. Sistemi di cogenerazione su piccola scala basati sulla tecnologia Stirling.
Conclusioni.
Riferimenti bibiliografici.
1. Generalità
L’uso delle biomasse a fini energetici si perde nella notte dei tempi. La legna da ardere, infatti, è sicuramente il più antico
combustibile utilizzato dai progenitori della specie umana per illuminare e riscaldare le fredde notti preistoriche; un ruolo che,
insieme al più giovane carbone, ha mantenuto intatto nel corso del tempo, almeno fino alla fine del Secolo XVIII. In questo periodo,
la scoperta di nuove fonti energetiche e la messa a punto di tecnologie più adatte per un loro efficiente impiego, ha cambiato per
sempre le modalità di approvvigionamento energetico dell’uomo e ha avuto un ruolo determinante nell’ormai imminente rivoluzione
industriale.
Per un secolo il legno è stato protagonista di un inesorabile declino e considerato segno di arretratezza economica e culturale.
Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate. La crescente domanda di energia, per la maggior parte frutto di importazioni
dall’estero, unita alla necessità di trovare una soluzione indolore al crescente inquinamento atmosferico, nonché alla certezza che le
fonti di energia tradizionali sono destinate all’esaurimento, ha risvegliato l’interesse nei confronti delle cosiddette fonti rinnovabili di
energia, con particolare riguardo per questa ancestrale forma di combustibile.
Nel frattempo l’offerta di combustibili di origine organica si è anche ampliata, tanto è vero che non si parla più solamente di legna da
ardere, ma di biomasse, includendo nel termine tutta la materia organica derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi
clorofilliana. Oltre tutto, ne sono state riscoperte entrambe le funzioni di riscaldamento e di illuminazione delle nostre nuove
“caverne”, intendendo la funzione di illuminazione nel senso più generale del termine, come fonte di energia primaria per la
produzione di energia elettrica.
I processi alla base della conversione energetica delle biomasse per la produzione di calore e per la produzione di energia elettrica
fino a poco tempo fa erano considerati separati. Tuttavia, più di recente, gli ultimi progressi compiuti in questo campo hanno
permesso di coniugare la produzione di calore e di elettricità in un unico processo, che prende il nome di cogenerazione.
2. Definizione di cogenerazione
Esistono diverse definizioni di cogenerazione, sia a livello normativo (decreto n. 79 del 16 marzo 1999, delibera AEEG n. 42/02,
ecc.) sia a livello bibliografico, ma forse quella più esaustiva è stata fornita da uno dei maestri del settore, il professor Evandro
Sacchi, secondo il quale «per cogenerazione si intende la contestuale produzione di energia elettrica ed energia termica operata
mediante un’unica struttura impiantistica atta alla copertura di diagrammi di carico (dell’una e dell’altra forma di energia) correlati
sul lato cogenerativo secondo la tipologia della struttura di produzione e dissociabili sul lato delle utenze secondo le esigenze
dell’utilizzazione» [4].
La semplice produzione combinata di calore ed elettricità è però una condizione necessaria, ma non sufficiente perché si possa
parlare di vera cogenerazione. Il punto chiave, come chiarito dallo stesso professore, oltre che dalla normativa nazionale e
comunitaria, risiede nel fatto che le strutture cogenerative devono essere connotate da sostenibilità energetica ed economica, ovvero
devono essere competitive rispetto alle produzioni separate dell’energia elettrica e dell’energia termica di progetto.
3. Il concetto
Esistono diversi sistemi attraverso i quali produrre calore ad elettricità in cogenerazione, così come è possibile impiegare diversi tipi
di fonti primarie di energia. Tutti gli impianti di cogenerazione però, seguono più o meno lo stesso schema:
1. Conversione energetica della fonte primaria e produzione di calore;
2. Trasmissione del calore ad un fluido operante attraverso opportuni scambiatori;
3. Cambiamento di fase del fluido operante (in alcuni casi può semplicemente espandere) ed espansione in una turbina con
produzione di energia elettrica;
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
2
4.
Trasmissione del calore residuo del fluido operante all’acqua, attraverso opportuni scambiatori, e conseguente recupero del
calore per il riscaldamento;
5. Pompaggio del fluido operante, ormai condensato, verso il primo scambiatore e chiusura del ciclo. Anche l’acqua, dopo
averne sfruttato il calore, ritorna al secondo scambiatore per ricominciare il suo ciclo.
A dire la verità, esiste un altro tipo di cogenerazione, i cui prodotti in uscita sono costituiti da energia elettrica ed energia meccanica.
In questo caso il fluido operante è costituito da vapore ad alta pressione che, surriscaldato dalla combustione di una qualsiasi fonte
primaria, espande e passa attraverso una turbina, con produzione di energia elettrica. Il vapore in uscita è ancora caratterizzato da una
discreta pressione e può essere dunque sfruttato, come vapore di esercizio, per produrre lavoro meccanico. Applicazioni per questo
tipo di cogenerazione si hanno nel caso di industrie tessili.
4. Vantaggi della cogenerazione da biomasse
Come abbiamo già accennato in precedenza, è possibile ottenere energia elettrica e calore dalla conversione energetica di qualsiasi
fonte primaria: combustibili fossili, energia geotermica, solare, idraulica, ecc. Tuttavia, nel nostro caso specifico, concentreremo la
nostra attenzione unicamente nei confronti dell’alimentazione a biomasse e, fra queste, ai residui ligno-cellulosici di risulta dal ciclo
produttivo dell’industria di trasformazione del legno.
L’ampio spazio riservato alla cogenerazione da biomasse, sia a livello normativo che bibliografico, testimonia il grande interesse nei
confronti di questa tecnologia, in virtù di numerosi vantaggi che è possibile conseguire con la sua implementazione. Essi possono
essere distinti in:
ü Vantaggi propri di tutte le fonti rinnovabili:
o Sostenibilità ambientale;
o Sicurezza nell’approvvigionamento;
o Minore dipendenza dall’estero;
o Diversificazione delle fonti energetiche;
ü Vantaggi propri delle biomasse:
o Bilancio zero di emissioni di anidride carbonica;
o Ampia disponibilità sul territorio;
o Possibilità di sfruttamento di residui difficili e onerosi da smaltire;
ü Vantaggi propri della cogenerazione:
o Possibilità di combinare produzione di energia elettrica e calore;
ü Vantaggi propri della cogenerazione in ambito industriale:
o Biomassa concentrata in loco:
§
Costi di trasporto nulli;
§
Costi della materia prima nulli;
o Materiale molto secco (umidità compresa tra il 10 e il 14 per cento).
Circa i vantaggi generali derivanti dalla conversione energetica di fonti rinnovabili, ed in particolare delle biomasse, la bibliografia è
ricca di esempi. Anche la parte riguardante lo sfruttamento dei residui del ciclo produttivo di industrie di trasformazione del legno, è
sempre stata tenuta in grande considerazione. In questa sede, invece, meritano un cenno particolare i vantaggi propri della
cogenerazione.
In molti si saranno chiesti perché, tra le tante fonti rinnovabili di energia, la normativa nazionale e comunitaria punta molto sulla
cogenerazione da biomasse ai fini del conseguimento degli obblighi sottoscritti con il protocollo di Kyoto. La risposta non va cercata
nella semplice opportunità di ottenere due prodotti in uscita dal processo, o nella possibilità di sfruttare del materiale che altrimenti
andrebbe smaltito diversamente. La chiave di tutto è che tale processo permette di recuperare l’energia termica non convertita in
energia elettrica, la cui produzione diventa solo adesso economicamente conveniente. Se andiamo a vedere i rendimenti della
produzione esclusiva di energia elettrica, ci accorgiamo che in questo campo la tecnologia incontra una serie di ostacoli, che
abbassano fortemente il rendimento della conversione e di conseguenza anche la sostenibilità tecnica ed economica del processo.
Fatta 100 l’energia chimica disponibile immagazzinata all’interno delle biomasse, le perdite del processo di produzione di energia
elettrica sono di quattro tipi (grafico 1);
A. Perdite del ciclo ideale (49 per cento circa): sono quelle perdite relative allo sfruttamento dei gas derivanti dalla
combustione (raffreddati da 1000 a 60 gradi Centigradi) per produrre energia meccanica;
B. Perdite aggiuntive (circa 24 per cento): sono perdite riferite al fatto che riscaldando il fluido operante a temperature
relativamente basse (250-300 gradi Centigradi), la capacità di produrre lavoro diminuisce. Esse sono riferite anche al calore
residuo presente nei gas di scarico;
C. Perdite meccaniche (4 per cento circa): perdite della turbina e delle pompe;
D. Perdite del ciclo reale (9 per cento circa): perdite agli scambiatori di calore.
La rimanente frazione (E), circa il 15 per cento dell’energia chimica, rappresenta l’energia elettrica netta. Il recupero del calore, con
un rendimento di circa il 75 per cento, permette di sfruttare gran parte delle perdite dovute alla produzione di elettricità e di
conseguenza di elevare notevolmente il rendimento generale del processo. Cosa che, dal punto di vista della sostenibilità ambientale
ed economica della produzione di energia elettrica, riveste un’importanza fondamentale.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
3
Produzione netta di energia elettrica
15,0
8,7
48,8
3,7
23,8
A
B
C
D
E
Grafico 1 (Fonte Bini, Gaia, Duvia, Schwartz, Bertuzzi, Righini, 1998)
Nonostante tutti questi vantaggi, è solo da pochi anni a questa parte che si enfatizza molto sulle possibilità offerte da questo tipo di
trasformazione energetica, per ragioni legate essenzialmente a problemi connessi con la bruciatura delle biomasse, più nel dettaglio ai
residui di bruciatura delle biomasse (ceneri e polveri), con conseguenti difficoltà di pulizia delle caldaie e scarsa efficienza energetica
nella fase di combustione del combustibile e nella fase di trasformazione da energia termica in energia elettrica. Tutti questi problemi
sono stati risolti grazie al miglioramento della tecnologia di sfruttamento delle biomasse, la quale ha attualmente raggiunto un
soddisfacente livello di sviluppo.
5. Possibili soluzioni per la produzione di energia termica ed energia elettrica dalle biomasse
Le possibilità di sfruttamento del contenuto energetico delle biomasse ai fini della produzione in cogenerazione di calore ed
elettricità, sono diversi. Essi possono essere così classificati:
1. Gassificazione della biomassa:
a. Centrali con camera di combustione a letto fluido con trasferimento di calore al vapore o all’olio diatermico;
b. Micro-cogenerazione (con tecnologia Stirling);
2. Combustione della biomassa in caldaie:
a. Cogenerazione in impianti a vapore;
b. Cogenerazione in impianti ad olio diatermico (ORC).
Gli impianti a letto fluido e gli impianti a combustione con trasferimento del calore al vapore sono più adatti per grosse produzioni di
elettricità, mentre gli impianti ad olio diatermico sono molto più versatili e adatti alla produzione di elettricità in un ampio spettro di
potenze.
Le predette tipologie di impianto, comunque, seguono gli stessi principi di funzionamento, differenziandosi solo per il mezzo a cui
viene trasferito il calore di risulta dalla conversione energetica delle biomasse, oltre che per le modalità con cui tale conversione
viene ottenuta. La scelta del fluido operante, come risulterà più chiaro nel corso della trattazione, è cruciale per la sostenibilità
tecnica ed economica dell’impianto, e in genere ricade sempre sull’olio diatermico. Pertanto, per le ragioni dinanzi esposte,
focalizzeremo la nostra attenzione sugli impianti di cogenerazione ad olio diatermico.
Per quanto riguarda, invece, la micro-cogenerazione, anch’essa ricalca i principi base di tutti gli altri impianti di cogenerazione, ma
alcune peculiarità ne giustificano una breve trattazione a parte.
6. Vapore o olio diatermico?
Uno dei passaggi fondamentali, da cui dipende il rendimento globale dell’intero processo cogenerativo, è il trasferimento del calore
dal punto di produzione ai punti di utilizzo. In genere per tale trasferimento ci si avvale di un opportuno fluido termovettore, scelto
tra i diversi fluidi in funzione di ben precisi requisiti, i più importanti dei quali sono:
ü Possibilità di trasmettere cospicue quantità di calore con portate ridotte, in modo da contenere le dimensioni dell’impianto.
In altre parole il fluido deve avere un elevato calore specifico;
ü Stabilità termica e chimica alle normali condizioni di impiego;
ü Assenza di tossicità o di emissione di sostanze irritanti, nocive o di odore sgradevole, per un utilizzo in condizioni di
sicurezza e di salubrità;
ü Assenza di azione solvente sui componenti del circuito o di azioni corrosive sui materiali con cui vengono a contatto;
ü Fluidità alle basse temperature per le fasi di avviamento a freddo; bassa viscosità alle temperature di esercizio, così da
ridurre le perdite di carico;
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
4
ü Facile reperibilità in grandi quantità e a costi sufficientemente ridotti.
Il fluido termovettore per eccellenza, quello che possiede in più alto grado queste caratteristiche, è indubbiamente l’acqua, utilizzata
nell’industria per lo più in fase di vapore. L’acqua, però, ha una grave limitazione intrinseca: a temperature superiori ai 200 gradi
Centigradi la sua tensione di vapore assume valori molto elevati (40 bar a 250 gradi e addirittura 85 bar a 300 gradi), il che comporta
seri problemi per quanto riguarda la resistenza delle strutture e la sicurezza di esercizio [5].
L’impiego dell’acqua come fluido termovettore, dunque, implica un presidio continuo da parte di personale qualificato, oltre che di
impianti molto complessi e di regolazioni sofisticate, cosa che induce qualche diffidenza relativamente alle seguenti voci:
ü Costo d’istallazione;
ü Facilità di conduzione;
ü Affidabilità di esercizio;
ü Pericoli di avaria.
Per tutte queste ragioni, gli impianti a vapore, che pure hanno avuto in passato un discreto successo, almeno per quanto riguarda la
sola produzione di elettricità o la produzione di elettricità e vapore di esercizio, stanno lasciando il passo ad impianti che sfruttano
delle particolari sostanze, dette genericamente fluidi diatermici. Essi sono caratterizzati da peculiari proprietà intrinseche che li
rendono molto più interessanti, da un punto di vista sia tecnico che economico, rispetto all’acqua surriscaldata o al vapore.
Il grande vantaggio offerto dai fluidi diatermici è da ricercarsi nella bassa tensione di vapore alle alte temperature, che consente di
avere a disposizione impianti che funzionano, in fase di vapore o addirittura in fase liquida, con pressioni nulle o comunque molto
limitate.
Di fluidi diatermici ve ne sono moltissimi:
ü Di natura sintetica: ad esempio l’ortodiclorobenzene, l’eutettico difenile/ossido di difenile, gli organosilicati, ecc.;
ü Di natura organica: in particolare oli di origine minerale noti appunto come oli diatermici.
Questi ultimi sono quelli di gran lunga più impiagati in quanto nella maggior parte delle applicazioni correnti costituiscono il miglior
compromesso fra le varie esigenze dell’impianto.
Gli oli diatermici normalmente impiegati sono oli minerali puri, ossia non addittivati, ottenuti con lavorazione particolarmente
accurata del residuo di distillazione del petrolio greggio. Per lo più vengono impiegati oli di tipo paraffinico, con viscosità dell’ordine
di 30 cSt a 40 gradi Centigradi, caratterizzati da una buona stabilità termica e una buona resistenza all’ossidazione. Un olio di questo
tipo, inoltre, non è né tossico né corrosivo, è compatibile con tutti i materiali più comuni, eccetto il rame e le leghe, può operare
anche a temperature inferiori a zero gradi centigradi e per temperature di esercizio fino a 300-320 gradi Centigradi, rimanendo in fase
liquida, con pressioni di poco superiori alla pressione atmosferica.
La minore pressione d’esercizio si ripaga, però, con svantaggi in alcune proprietà termotecniche, tra cui ricordiamo una viscosità
piuttosto alta nelle partenze a freddo, possibilità di incendio (ma solo in caso di fuoriuscita di olio caldo ed in contatto con la
fiamma), possibilità di degradazione per cracking o per ossidazione [15].
In genere si tratta di problemi marginali, facilmente risolvibili con l’adozione di opportuni accorgimenti in fase di progettazione
dell’impianto. Particolare attenzione, comunque, va posta sui fenomeni di cracking ed ossidazione.
Il cracking è un processo di decomposizione termica dell’olio quando è sottoposto a surriscaldamenti, intorno ai 380-400 gradi
Centigradi, che dà origine a prodotti volatili leggeri e sostanze di tipo carbonioso e/o catramoso. Come conseguenza di questo
fenomeno, si hanno problemi di circolazione, instabilità e cavitazione delle pompe, formazione di depositi con riduzione degli scambi
termici ed ostruzione delle tubazioni.
Il cracking avviene all’interno del generatore, e più precisamente in corrispondenza del velo d’olio che lambisce le pareti metalliche
dei serpentini degli scambiatori in camera di combustione. Può essere evitato facendo sì che tale velo non raggiunga mai la
temperatura critica: questo significa, da un lato, mantenere entro determinati livelli la temperatura della massa d’olio in esercizio,
dall’altro, assicurare un elevato coefficiente di scambio termico parete/olio.
Allo scopo, l’unica possibilità è quella di agire sulla velocità dell’olio, la quale non deve mai scendere al di sotto di limiti ben precisi;
pertanto, perché ciò non si verifichi, è necessario adottare accorgimenti di carattere costruttivo ed impiantistico, come per esempio un
flussostato o un pressostato differenziale che blocchi il bruciatore in caso di arresto o deficienza di circolazione. Allo spegnimento
dell’impianto, inoltre, le pompe di circolazione devono rimanere inserite per un certo tempo; è necessario anche che il generatore
abbia una limitata capacità termica (niente refrattario in camera di combustione), sempre per evitare sopraelevazioni di temperatura
in caso di arresto della circolazione. Infine, le pompe, che devono essere con tenuta sull’albero di tipo meccanico e con cuscinetti
autoraffreddati, dato che il raffreddamento ad acqua potrebbe dare origine a trafilamenti.
In ogni caso, è bene predisporre dei filtri per trattenere le impurità che si originano da eventuali fenomeni di cracking, o sfiati e
spurghi per eliminare eventuali depositi.
L’ossidazione è un processo che si verifica al contatto dell’olio con l’aria, a partire dai 50 gradi Centigradi, ed è tanto più consistente
quanto più alta è la temperatura dell’olio. Come conseguenza dell’ossidazione, l’olio tende ad ispessire e a diventare corrosivo per la
formazione di composti acidi.
Anche l’ossidazione può essere evitata con una corretta progettazione, specie per quanto riguarda le possibilità di contatto olio/aria.
Si deve porre particolare attenzione alla realizzazione del vaso di espansione; occorre evitare l’ingresso dell’aria e la formazione di
sacche d’aria nel circuito, collegando i tubi per mezzo di saldature; deve essere assolutamente evitato l’impiego del rame e delle
leghe di rame che agiscono come catalizzatori della reazione di ossidazione, pertanto le tubazioni saranno in acciaio.
Dal punto di vista tecnico, dunque, possiamo dire che il ricorso all’olio diatermico è da preferirsi quando:
ü Il processo produttivo richiede di per sé temperature molto elevate, non giustificabili per il vapore, oppure quando
temperature elevate del fluido termovettore sono preferite allo scopo di ridurre gli ingombri;
ü Pur potendosi impiegare il vapore, si desidera contenere le spese di esercizio, nel qual caso è prassi usuale ricorrere alla
produzione indiretta del vapore mediante uno scambiatore avente il primario alimentato da olio diatermico.
Inoltre, la scelta di un olio diatermico, in sostituzione dell’ acqua, comporta una serie di vantaggi anche dal punto di vista
strettamente termodinamico del processo di trasformazione, tra cui [1]:
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
5
ü
Possibilità di ottenere particolari configurazioni del ciclo termodinamico, irraggiungibili con l’acqua, grazie alla possibilità
di sfruttare fluidi con parametri critici diversi dall’acqua;
ü Possibilità di operare in modo efficiente dal punto di vista termodinamico, in presenza di elevati rapporti tra temperatura in
ingresso e temperatura di uscita dell’olio, a livello del generatore di corrente elettrica;
ü Possibilità di avere basse velocità periferiche a livello della turbina e di evitare la condensazione del fluido durante il
processo di espansione;
ü Possibilità di progettare impianti in un ampio spettro di potenze, grazie alla vasta scelta di fluidi termovettori, ognuno con
caratteristiche appropriate ad ogni esigenza;
ü Possibilità di regolare con facilità, fino ad un certo valore, la pressione del fluido all’interno dei vari componenti
dell’impianto, indipendentemente dalle temperature in ingresso ed in uscita dal generatore (per esempio si possono
associare basse temperature d’esercizio con alta pressione, e viceversa).
Ai fini del conseguimento del principale obiettivo dell’efficienza termodinamica del ciclo di trasformazione, è necessario dunque
conoscere tutte le proprietà dei diversi fluidi operanti, anche quelle secondarie, ma connesse con le principali. Questo perché la scelta
del fluido termovettore si ripercuote sul progetto e sul risultato della maggior parte dei componenti del ciclo. Ad esempio, se
prendiamo in considerazione i fluidi appartenenti alla classe degli idrocarburi a catena lineare, possiamo dire che all’aumentare della
lunghezza della catena, e quindi del loro peso molecolare, aumenta la temperatura critica e diminuisce la pressione critica (sia di
evaporazione che di condensazione). Sono questi dei parametri che vanno presi in seria considerazione in fase di progetto
dell’impianto.
Dal punto di vista economico, per quanto riguarda le spese di impianto, fino a 200-230 gradi Centigradi, l’olio diatermico risulta
sempre più costoso del vapore; la differenza risulta tanto minore quanto maggiore è la potenza dell’impianto e quanto minore è la
temperatura di esercizio. Inoltre, bisogna aggiungere che il vapore assicura buoni rendimenti, ma con pressioni fino a 6-7 bar, oltre i
quali il consumo specifico di vapore (cioè la quantità di vapore necessaria per produrre un kWh di energia elettrica) cresce a
dismisura e rende l’impianto economicamente improponibile. Al di sopra dei 230 gradi, l’olio diatermico risulta sempre più
conveniente grazie alle minori complicazioni d’impianto dovute alle minori pressioni in gioco.
Per quanto riguarda, invece, i costi complessivi d’esercizio, l’olio diatermico è sempre conveniente rispetto al tradizionale impianto a
vapore, con differenze, però, che anche in questo caso si fanno sempre più piccole all’aumentare della potenzialità complessiva
dell’impianto e al diminuire della temperatura d’esercizio [5].
I vantaggi offerti in questo senso da un impianto ad olio diatermico rispetto ad un impianto a vapore sono così riassumibili:
ü Non richiede conduttori patentati o comunque personale tecnico particolarmente qualificato alla conduzione delle caldaie;
ü E’ estremamente semplice, affidabile e sicuro, dal momento che la produzione del vapore e il suo surriscaldamento non
avvengono per fiamma diretta;
ü Gli interventi per manutenzione ordinaria e straordinaria, mancando punti critici, sono ridotti al minimo;
ü Il sistema ad olio diatermico è ormai molto conosciuto e la tecnologia ha raggiunto un livello di maturità accettabile.
Alla luce di quanto affermato finora, dunque, ben si comprendono i motivi per i quali sul mercato gli impianti ad olio diatermico
stanno progressivamente soppiantando quelli a vapore. Per tale motivo, nelle pagine che seguono verrà fornita una descrizione
relativa esclusivamente al funzionamento degli impianti ad olio diatermico; anche perché l’unica differenza tra i due tipi di impianto
risiede nel tipo di fluido vettore utilizzato per il trasferimento del calore dalla camera di combustione alla turbina, eccezion fatta che
per i diversi accorgimenti progettuali, la cui trattazione esula dalle finalità del presente lavoro.
7. Impianti di cogenerazione ad olio diatermico
La tecnologia che permette la produzione di calore ed elettricità in cogenerazione attraverso impianti ad olio diatermico è attualmente
quella più diffusa, ma anche quella migliore presente sul mercato. Si tratta di un sistema economicamente e tecnicamente molto
efficiente di produzione combinata di calore ed energia termica in un ampio spettro di potenze, da pochi kW a 1.500 kW.
Più nel dettaglio, si tratta di una tecnologia basata sul cosiddetto Organic Rankine Cycle (ORC) che prevede l’impiego, in
sostituzione dell’acqua, di un fluido organico come mezzo intermedio di trasmissione dell’energia dalla camera di combustione, e in
particolare dall’olio diatermico, alla turbina.
Normalmente, il concetto base che regola il funzionamento e la progettazione di questi impianti è che la produzione di elettricità
segue il recupero termico, che può essere sfruttato per fornire energia termica ad un impianto di teleriscaldamento. In altre parole il
dimensionamento della caldaia e del generatore viene fatto solamente in funzione della domanda di calore, secondo un sistema
definito come “guidato dal calore” (o heat driven): si soddisfa la richiesta di calore e si sfrutta l’energia elettrica prodotta di
conseguenza; se questa è in eccesso, allora la si vende, se invece è in difetto, allora si compensa tale deficit acquistandola dall’ENEL.
Come vedremo meglio in seguito, infatti, dimensionare tutto l’impianto in funzione della domanda di energia elettrica non sarebbe
economicamente sostenibile.
Passiamo adesso ad analizzare i vari passaggi del processo di trasformazione della biomassa. Essi possono essere così riassunti:
ü Combustione della biomassa. La biomassa viene bruciata in caldaie costruite secondo le migliori tecniche in uso, al fine di
garantirne sicurezza, affidabilità, pulizia e efficienza d’uso. A tale scopo tutte le caldaie sono dotate di una vasta gamma di
accessori quali filtri, sistemi di controllo, raccoglitori automatici delle ceneri, sistemi di alimentazione automatica della
biomassa, ecc.
ü Trasferimento del calore all’olio diatermico. L’uso dell’olio diatermico come mezzo intermedio di trasferimento del
calore, come abbiamo visto in precedenza, consente di operare in condizioni di bassa pressione nella caldaia, di avere
un’elevata resistenza ed insensibilità ai cambi di carico e di semplificare al massimo il funzionamento ed il controllo
dell’impianto. Inoltre, le basse temperature d’esercizio (circa 300 gradi Centigradi) assicurano una durata estremamente
lunga all’olio diatermico, pari a quella di tutto l’impianto. Da non dimenticare, ovviamente, è anche la possibilità di operare
senza personale altamente qualificato e patentato, come previsto invece dalla normativa comunitaria per gli impianti a
vapore.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
6
ü
Produzione di energia elettrica e recupero del calore. L’olio diatermico cede il calore ad un fluido operante, all’interno del
generatore; il fluido si espande e muove la turbina, con conseguente produzione di elettricità. Il fluido in uscita cede il
calore residuo all’acqua che, raggiunti gli 80-90 gradi Centigradi, può essere sfruttata per fornire calore ad un “distretto del
calore” o più semplicemente per riscaldare uno stabilimento (o addirittura raffrescarlo d’estate). L’uso di un fluido operante
di composizione adeguata e l’ottimizzazione del progetto dell’impianto, consentono di avere alta efficienza ed affidabilità.
7.1. Componenti di un impianto di cogenerazione ad olio diatermico
Con riferimento alla figura 1, un impianto di cogenerazione a biomasse con sistema ORC ed olio diatermico, è costituito dai seguenti
elementi:
Figura 1: componenti di un impianto di cogenerazione ad olio diatermico (Fonte Bini, Gaia, Duvia, Schwartz,
Bertuzzi, Righini, 1998)
ü
ü
ü
ü
ü
ü
ü
Vasca di stoccaggio della materia prima. Deve essere grande abbastanza da poter garantire una certa autonomia di
funzionamento. Inoltre deve essere costruita in cemento armato per isolare al meglio la biomassa e preservarla dal rischio
di attacco da parte di microrganismi patogeni, oltre che ridurre al minimo il rischio di incendi.
Sistema di alimentazione della biomassa. All’interno della vasca viene istallato un sistema di estrazione idraulico a
spintore che viene comandato direttamente dal quadro della caldaia in funzione delle sue necessità. Il materiale cade poi su
un nastro trasportatore per essere convogliato direttamente all’interno del forno a griglia tramite un pistone idraulico.
Caldaia a biomasse. Essa consiste in una camera di combustione a griglia fissa o mobile. In genere si preferisce quella a
griglia mobile per questioni legate al rendimento della combustione e alla pulizia della camera, che nel caso della griglia
fissa risulta, per ovvi motivi, più difficoltosa. Come già accennato in precedenza, la combustione della biomassa può
avvenire anche su di un letto fluido costituito da aria o acqua raffreddati. La scelta dipende dal tipo di biomassa da bruciare
e dalla potenza dell’impianto. Spesso le caldaie sono dotate di sistemi di pulizia automatici ad aria compressa.
Scambiatore di calore primario. Nella parte alta della camera di combustione sono istallati una serie di pannelli radianti
costituiti da tanti piccoli tubicini avvolti a spirale singola, costituenti lo scambiatore di calore tra i gas incandescenti di
risulta dalla combustione e l’olio diatermico. Gli spazi tra una spirale e l’altra devono essere opportunamente progettati
perché, se troppo stretti, possono diventare sede di accumulo delle polveri fini della combustione e limitare la superficie di
scambio con conseguente riduzione dell’efficienza dello scambio stesso. La loro forma, inoltre, è tale da consentire il
passaggio dell’olio ad una velocità piuttosto sostenuta e tale da prevenire la formazione di zone surriscaldate e quindi il
verificarsi dei ben noti fenomeni di cracking, con conseguente alterazione delle caratteristiche del fluido, compreso un
accorciamento della sua durata (life time).
Sistema di circolazione dell’olio diatermico. Tale sistema, a mezzo dell’olio diatermico, provvede al trasferimento del
calore dalla caldaia al generatore di corrente. In genere la circolazione dell’olio all’interno della caldaia (con velocità
costante) è affidata a due pompe, di cui una in stand-by, che entra automaticamente in funzione nel caso in cui la prima non
dovesse funzionare bene. Nel caso in cui dovesse verificarsi un blocco della rete elettrica, un sistema chiamato UPS
(Uninterruptable Power System) provvede a fornire energia elettrica alle pompe. Al posto dell’UPS le pompe possono
essere alimentate da un motore a combustione interna, ad esempio a diesel.
By-pass diretto di riscaldamento. E’ un sistema che consente il trasferimento dell’energia termica direttamente dal circuito
dell’olio diatermico al circuito dell’acqua calda, quando non può essere prodotta energia elettrica. Ciò si verifica, ad
esempio, nelle fasi di avviamento del generatore o nel caso in cui il generatore deve essere tenuto fuori servizio per una
qualche ragione.
Il generatore ORC. Spesso si parla di turbogeneratore ORC (fig. 2). E’ il componente chiave del sistema, che sfrutta
l’energia termica a bassa temperatura (circa 300 gradi Centigradi, in entrata) dell’olio diatermico per vaporizzare il fluido
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
7
organico operante presente al suo interno e produrre energia elettrica con buona efficienza ed affidabilità. Ricordiamo che
l’energia termica non trasformata in energia meccanica dalla turbina, viene “scaricata” all’acqua attraverso un
condensatore.
Figura 2: il turbogeneratore ORC (fonte Duvia, Gaia, 2002)
Il passaggio di calore dall’olio diatermico al fluido operante avviene a livello di un secondo scambiatore di calore, che
questa volta prende il nome di vaporizzatore, perché il fluido operante, in genere rappresentato da un olio sintetico, passa
allo stato di vapore.
Con la vaporizzazione, il fluido operante si espande e mette in moto le lame della turbina trasformando dunque l’energia
termica in energia meccanica, che poi a sua volta verrà trasformata in energia elettrica.
Il fluido vaporizzato, in uscita dalla turbina, passa attraverso un rigeneratore dove viene riscaldato leggermente dallo stesso
fluido operante in uscita dallo scambiatore fluido/acqua, in modo tale da riscaldare adeguatamente l’acqua.
A questo punto, il fluido vaporizzato viene poi condensato attraverso un altro scambiatore di calore, un condensatore, e
trasferisce parte del suo contenuto energetico all’acqua, che poi attraverso un circuito dell’acqua calda fornirà calore per il
riscaldamento delle utenze previste.
Infine, il fluido operante viene pompato verso il rigeneratore e poi verso il vaporizzatore, per completare la sequenza delle
operazioni del circuito chiuso.
La funzione del rigeneratore è dunque quella di abbassare sensibilmente la temperatura del fluido vaporizzato, prima del
suo passaggio attraverso il condensatore, in modo da conseguire due obiettivi:
o Fare in modo che il fluido riscaldi l’acqua ad una temperatura non troppo alta (max 90 gradi Centigradi) e adatta
per essere impiegata nel riscaldamento di un distretto del calore;
o Fare in modo che il fluido operante, in uscita dal condensatore recuperi un po’ di calore in modo tale che esso
arrivi al vaporizzatore già preriscaldato. Ciò al fine di incrementare l’efficienza del ciclo termodinamico ed in
generale di tutto il sistema.
Sempre ai fini del raggiungimento del massimo rendimento possibile, i sistemi di cogenerazione più avanzati sono dotati anche di
altri due componenti, elencati qui di seguito:
ü Economizzatore. E’ istallato a livello della caldaia, al di sopra dello scambiatore primario. La sua funzione è quella di
recuperare tutto il calore in uscita dalla combustione della biomassa che non può essere trasferito all’olio diatermico in
virtù dei problemi di cracking conseguenti ad un suo surriscaldamento. In realtà l’economizzatore non è altro che un
semplice scambiatore di calore tra i fumi ancora molto caldi in uscita dallo scambiatore primario e il circuito dell’acqua
calda, che in tal modo giunge alle utenze alla temperatura ideale. Il risultato è un generale incremento dell’efficienza della
caldaia, che raggiunge i livelli tipici di una caldaia a biomasse per esclusivo riscaldamento dell’acqua (il rendimento è più
dell’80 per cento).
ü Preriscaldatore. E’ istallato nel caso in cui non è necessario, o non conveniente, riscaldare l’acqua più di quanto non faccia
il condensatore (ad esempio nel caso in cui abbiamo bisogno di acqua a temperatura più bassa di 90 gradi). La sua funzione
è quella di preriscaldare l’aria all’interno della camera di combustione, sempre al fine di incrementare al massimo il
rendimento della caldaia. Tale sistema va molto bene in caso di biomassa molto umida e per ridurre il rischio di far
innalzare troppo la temperatura al livello della griglia, per il cui raffreddamento può essere usato anche un sistema ad acqua
fredda.
ü Depuratore di fumi. L’unità funziona in due fasi:
o Prima fase: le particelle di cenere volatili più grossolane vengono fatte precipitare in un centrifuga e raccolte a
valle della caldaia;
o Seconda fase: le polveri sottili volatili e l’aerosol vengono fatte precipitare grazie ad un filtro elettrostatico
bagnato integrato all’unità di recupero del calore e di condensazione dei gas.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
8
7.2. Principi di dimensionamento del sistema
Come già affermato più volte nel corso di questo lavoro, l’uso di un fluido operante di origine organica come mezzo intermedio di
trasferimento e conversione del calore in energia meccanica, comporta una serie di vantaggi a livello di rendimento dell’intero ciclo
di conversione energetica della biomassa.
Tutto il sistema viene progettato e dimensionato in funzione della domanda di calore: la potenza della caldaia, le dimensioni della
vasca di stoccaggio, la potenza della turbina. Per la turbina, i parametri progettuali da tenere in conto in fasi di progettazione
dell’impianto sono [1]:
ü Coefficiente isentropico di calore: kis = Δhis / (u2/2)
Con:
u, velocità periferica a metà del raggio della turbina (m/s)
Δhis, differenza di calore isentropico (J/kg)
ü Velocità specifica: Ns = n (Vout)1/2 / (Δhis)3/4
Con:
n, velocità di rotazione (giri al secondo)
Vout, portata di fluido in uscita dalla turbina (m3/s)
1/2
ü Parametro di “taglia”: VH = (Vout) / (Δhis)1/4
ü Rapporto di espansione volumetrica: VR = Vout / Vin
VR e VH sono dei dati termodinamici che dipendono dalle proprietà del fluido, dal ciclo termodinamico e dalla potenza in uscita. Ns
e kis sono invece dei dati di dimensionamento della turbina.
Per quanto concerne il coefficiente isentropico di calore, possiamo dire che in genere è sempre possibile raggiungere valori ottimali,
se adottiamo un fluido organico come fluido operante, invece che il tradizionale vapore. I fluidi organici, infatti, sono compatibili con
livelli costanti di velocità periferica della turbina, caratteristica lontano dall’essere raggiunta in turbine a vapore a passaggio unico, in
cui bassi valori del coefficiente sono la causa di una bassa efficienza del ciclo. Una simile osservazione non può essere fatta nel caso
della selezione dell’ottimo valore di Ns, che invece dipende dalla particolare situazione in cui ci troviamo.
Ponendo il caso di riuscire a raggiungere valori ottimali di Ns e kis nel nostro generale piano di efficienza VH-VR, è ovvio che
massimi valori di efficienza possono essere raggiunti per grosse turbine e bassi rapporti di espansione.
La filosofia di selezione del fluido operante con le migliori caratteristiche per il nostro specifico caso, può portare a raggiungere
anche favorevoli valori di VH, anche in caso di produzione di corrente elettrica piuttosto bassa. Quando alti valori di VR sono
inevitabili, come nel caso di motori che operano a elevate temperature, è preferibile scegliere una turbina a due passaggi o a più
passaggi.
Inoltre, mentre ottimi valori di kis, possono essere raggiunti in tutti i casi specifici, spesso occorre mantenersi su valori di poco fuori
dall’optimum di Ns, con un consistente decremento di efficienza. E’ il caso del primo passaggio in turbine a più passaggi o di turbine
a due passaggi, in cui la velocità di rivoluzione è selezionata ad un valore più basso rispetto all’ottimo. Piccoli decrementi di
efficienza si hanno anche per valori di VH più bassi del normale. L’effetto combinato di bassi VH e Ns è maggiormente sentito al
primo passaggio attraverso la turbina, nel qual caso un passaggio con un parziale ammissione del fluido, diventa praticamente
obbligatorio.
Per quanto riguarda il dimensionamento del circuito dell’olio diatermico, bisogna considerare le sue proprietà, e in particolare il suo
coefficiente di dilatazione, di norma piuttosto consistente. Per tale motivo il vaso di espansione deve essere di capacità piuttosto
elevata, dell’ordine del 30-40 per cento del contenuto complessivo di olio nel circuito, anche perché occorre una certa riserva a
freddo ed un certo margine di franco a caldo. Se si adotta un vaso di espansione aperto, esso deve essere istallato in posizione più alta
possibile per garantire un sufficiente battente e deve essere collegato in modo da contrastare aumenti interni di temperatura ed
eventuali contatti con l’aria. Se si adotta un vaso di espansione chiuso, con pressurizzazione a cuscino di azoto, il problema
dell’ossidazione è superato, ma nascono alcune complicazioni per la presenza di un recipiente in pressione [15].
Per quanto riguarda i componenti complementari del sistema è opportuno prevedere anche un serbatoio di raccolta dell’olio,
sistemato a livello inferiore rispetto al punto più basso del circuito, con capacità 1,5 volte quella dell’impianto, per le operazioni di
carico e svuotamento, e per assicurare una certa riserva d’olio. Eventualmente prevedere una pompa collegata al circuito per i
riempimenti ed i rabbocchi [15].
Nell’impianto devono anche essere previsti dei filtri per trattenere le impurità che magari si formano per fenomeni di cracking.
Tutte le considerazioni fin qui fatte per il circuito dell’olio diatermico, valgono anche per il circuito del fluido operante.
7.3. Punti di forza ed efficienza del sistema
Grazie all’uso di un fluido organico come mezzo intermedio di trasmissione del calore, al posto del tradizionale vapore, i nuovi
sistemi di cogenerazione permettono il conseguimento di una serie di vantaggi.
L’olio sintetico più usato, infatti, presenta le seguenti favorevoli caratteristiche [15]:
ü Ottime proprietà termodinamiche, che premettono di avere un’alta efficienza nel ciclo (calore in ingresso ad alta
temperatura, grazie alla rigenerazione, libera espansione del fluido, corretta temperatura in turbina);
ü Composizione non tossica e compatibile dal punto di vista ambientale, compresa un’influenza nulla sul buco dell’ozono.
Rispetto alle tecnologie concorrenti, i principali vantaggi ottenuti con questa soluzione sono i seguenti [17]:
ü Alta efficienza del ciclo (vedi tabella 5.1);
ü Altissima efficienza della turbina (vedi tabella 5.1);
ü Limitato stress meccanico dei componenti della turbina, grazie ad una bassa velocità periferica;
ü Basso numero di giri della turbina, grazie alla possibilità di avviare il generatore elettrico con estrema facilità, senza
bisogna di farlo avviare lentamente con dei rapporti ridotti;
ü Nessuna erosione delle lame della turbina, grazie all’assenza di umidità alle imboccature del vapore, fenomeno tipico negli
impianti a vapore;
ü Robustezza:
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
9
Lunghissima durata della macchina grazie alle favorevoli caratteristiche del fluido operante il quale,
diversamente dal vapore, non risulta erosivo né corrosivo per le condotte, per le valvole, e appunto le lame della
turbina;
o Interventi minimi di manutenzione;
ü Non è necessario un trattamento di pulizia con acqua;
ü Operazioni di avviamento e di spegnimento dell’impianto molto semplici. Esse in genere sono controllate automaticamente
dal sistema, e quindi non è necessaria la presenza di un operatore;
ü Elevata versatilità:
o Possibilità di adattamento a tutti i tipi di biomassa, anche a miscele eterogenee;
o Ottime performance a carico parziale: il sistema lavora senza problemi fino ad un carico pari al 10 per cento del
carico nominale ed ha ottimi valori di efficienza per carichi parziali, fino al 50 per cento del carico nominale.
Inoltre può operare per carichi fino al 120 per cento del carico nominale (che è un grosso vantaggio nei mesi
invernali, quando in genere è più alto il fabbisogno di energia);
o Elevata adattabilità a veloci cambi di carico;
ü Non è richiesta la presenza di personale altamente qualificato, se non per le necessarie operazioni di controllo, che
comunque non richiedono personale per più di 5 ore la settimana. Possibili avarie nel funzionamento, inoltre, possono
essere visualizzate, immagazzinate e risolte dall’operatore per via telematica. Uno o due giorni l’anno, è però consigliato di
far controllare l’impianto direttamente da personale del costruttore;
ü Il funzionamento completamente autonomo dell’impianto, e la possibilità di operare in condizioni di pressione atmosferica,
non richiedono la presenza di operatori patentati, a differenza di quanto previsto dalla normativa comunitaria nel caso degli
impianti a vapore.
La generale efficienza del sistema dipende molto dal rendimento della caldaia, cioè della quota di energia chimica immagazzinata
nella biomassa che viene trasferita all’olio diatermico. L’attuale livello raggiunto dalla tecnologia per quanto riguarda le caldaie a
biomassa, permette di raggiungere valori di efficienza compresi tra il 75 e l’80 per cento, valori che poi si traducono in una efficienza
elettrica, rispetto al contenuto energetico della biomassa, del 14-15 per cento. Se invece considerassimo solo il rendimento della
conversione tra calore dell’olio diatermico e produzione di energia elettrica, il valore sale al 18 per cento.
Per ottenere un’elevata efficienza elettrica è necessario lavorare con temperature dell’acqua non troppo alte, ma comunque adatte a
fornire calore alla rete di teleriscaldamento, in modo da poter abbassare la pressione dell’olio nel condensatore. E sappiamo che al
diminuire della pressione nel circuito, oltre ad avere meno problemi di esercizio, otteniamo anche più alti valori di efficienza.
L’efficienza termica totale può arrivare fino al 90 per cento, se nell’impianto è istallato un economizzatore. Inoltre, il calore di
condensazione del vapore presente nei gas di scarico della combustione della biomassa potrebbe essere recuperato attraverso
l’implementazione di un condensatore di gas aggiuntivo, con possibilità di arrivare ad un’efficienza termica molto vicina al 100 per
cento [17].
Le perdite totali di calore ed elettricità, ammontano al 2-3 per cento, cosicché alla fine il rendimento generale di tutto il sistema è pari
al 97-98 per cento, con ovvi vantaggi dal punto di vista economico (vedi tabella 1).
o
Rendimenti componenti del sistema
Rendimento della caldaia (calore olio diatermico / potere calorifico biomassa)
Rendimento della turbina
Netto (energia elettrica prodotta / potere calorifico biomassa)
Lordo (energia elettrica prodotta / calore olio diatermico)
Al 50 % del carico
Rendimento termico totale
[(calore olio diatermico + calore recup. Economizzatore)/potere calorifico biomassa]
Rendimento totale del sistema
Perdite complessive
%
75-80
14-15
18
16,5
90-99
97-98
2-3
Tabella 1: tabella riassuntiva dei rendimenti del sistema
7.4. Esperienze pratiche
Le reali applicazioni della cogenerazione da biomasse secondo le tecnologie qui dinanzi analizzate, sono ad oggi ancora piuttosto
poche, ma i risultati da queste ottenuti, in termini si sostenibilità energetica, tecnica ed economica, sono talmente soddisfacenti, che è
facile prevederne per i prossimi anni un notevole incremento, sia a livello nazionale che europeo.
Finora tutte le centrali realizzate si sono dimostrate all’altezza delle aspettative ed i risultati in linea con quanto preventivato in fase
di progettazione. Spesso tali impianti sono sorti dalle ceneri di vecchie centrali rimesse in moto previo adattamento alla nuova forma
di energia primaria. Le prime centrali sono state costruite a partite dagli ultimissimi anni del ventesimo secolo (1998/1999) e tutte
hanno accumulato un numero di ore di lavoro considerevole, con pochissime interruzioni, legate esclusivamente a operazioni di
routine (controllo, pulizia), principalmente concentrate sulle caldaie a biomassa.
Il principio guida nella progettazione degli impianti è il ben noto operational mode heat driven, in accordo con il quale, l’elemento
base per il dimensionamento è la domanda di calore da soddisfare. Le ragioni di ciò vanno ricercate essenzialmente nel fatto che
mentre la conversione termica delle biomasse ha una sua giustificazione anche al di fuori della cogenerazione, in virtù dei comunque
elevati livelli di rendimento, la produzione di energia elettrica non ha senso se non è abbinata al recupero di tutto il calore non
utilizzato. Pertanto, dimensionare l’impianto per soddisfare in primis le richieste di energia elettrica, col rischio di dover sprecare
notevoli quantità di calore in periodi in cui non ce n’è molto bisogno, diventa economicamente insostenibile. Tra l’altro, anche
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
10
dimensionando l’impianto in funzione della domanda di calore, bisogna stare attenti a prevederne eventuali fluttuazioni le quali, se
non prese in considerazione adeguatamente, potrebbero essere causa del fallimento dell’impianto.
In effetti, se andiamo a guardare le centrali di cogenerazione già realizzate, ci accorgiamo che tutte sono collegate, attraverso una rete
di teleriscaldamento più o meno ampia a seconda dei casi, ad un cosiddetto distretto del calore, cioè un insieme più o meno grande di
utenze il cui fabbisogno di calore viene assicurato proprio dal calore di recupero derivante dal processo cogenerativo. In particolare
tali impianti, per non incorrere nei rischi precedentemente accennati, sono stati dimensionati per coprire solo il fabbisogno di base di
calore (base load), quello costante, non soggetto a variazioni stagionali, mentre per coprire i fabbisogni di picco (peak load), come si
verifica ad esempio nel caso del riscaldamento per civili abitazioni durante il periodo invernale, entrano in funzione caldaie a
biomasse, o anche a combustibile tradizionale, che producono esclusivamente acqua calda e sono collegate in parallelo con le centrali
di cogenerazione.
A Lienz (Austria) e a Tirano (Valtellina – Italia), esistono due esempi molto significativi in questo senso.
A Tirano, sulla scia della grande tradizione nell’impiego del legno, anche come combustibile, come testimoniato dai molteplici centri
riscaldati da impianti di teleriscaldamento, nel giugno del 2003 è stata impiantata la prima centrale di cogenerazione d’Italia. Essa è
composta da una caldaia a biomasse della potenza di 8 MWt, da un circuito ad olio diatermico e da un turbogeneratore ORC con
potenza nominale di 1.100 kWe (tabella 2).
Centrale di cogenerazione di Tirano
Potenza nominale delle caldaie ad acqua calda alimentate e biomassa
Potenza nominale della caldaia ad olio diatermico alimentata a biomassa
Calore nominale trasferito dall’olio diatermico al sistema ORC
Potenza elettrica nominale del generatore ORC
Potenza termica della caldaia a combustibile tradizionale
Lunghezza della rete di teleriscaldamento
Carico termico connesso
Capacita nominale dei refrigeratori
2 x 6 MW
8 MW
6,2 MW
1,1 MWel
6 MW
Circa 21 km
Circa 39 MW
5 MW
Tabella 2: dati riassuntivi centrale di Tirano (fonte Bini, Gaia, Bertuzzi, Righini, 1998)
L’impianto, in linea con quanto si diceva in precedenza, è stato dimensionato in funzione del calore richiesto dall’intero comune, in
particolare il carico di base della domanda di calore, e immette energia elettrica nella rete nazionale. Per il carico di picco della
domanda di calore, ci si affida a due caldaie ad olio diatermico, alimentate a biomasse, della potenza nominale di 6 MW ognuna.
La particolarità dell’impianto è che può operare secondo due differenti modalità:
1. Modalità in cogenerazione pura (pure CHP mode), a pieno carico o a carico parziale, in funzione della richiesta di calore.
In questa modalità, tutto il calore recuperato viene indirizzato alla rete di teleriscaldamento. In inverno, ovviamente, si
lavora a pieno carico;
2. Modalità in cogenerazione più modalità in dissipazione (CHP plus dissipation mode). In questo caso si imposta tutto sulla
produzione di energia elettrica, che deve essere calibrata in ragione del principio dell’ottimizzazione economica. La
frazione di calore che non è richiesta dal distretto del calore, viene dissipata attraverso dei raffreddatori d’aria. Si opera in
questo modo soprattutto in estate, quando il fabbisogno di calore è ridotto al minimo.
A Tirano questa seconda modalità di gestione è, per quanto già espresso in precedenza, ridotta al minimo. Dalla sua entrata in
funzione ad oggi, infatti, solo il 17 per cento di tutto il calore recuperato dall’impianto (compreso il calore prodotto dalle altre due
caldaie) non è stato indirizzato al distretto del calore.
Analizzando i dati raccolti fino ad ora, l’impianto si è dimostrato all’altezza delle aspettative, soprattutto per quanto riguarda la sua
affidabilità e versatilità. Esso, infatti, ha prodotto energia per il 98 per cento del tempo idealmente disponibile, con brevi interruzioni
nell’erogazione dovuti a normali interventi di manutenzione, concentrati prevalentemente sulla caldaia che fornisce calore al circuito
dell’olio diatermico. Inoltre, ha mostrato un rendimento pressoché costante al variare delle condizioni di carico e delle caratteristiche
del combustibile usato, mantenendo la produzione lorda di energia fra valori compresi tra il 17,5 ed il 19 per cento. Anzi, l’efficienza
maggiore si è avuta proprio in condizioni di lavoro a carico parziale, e questo perché al diminuire della temperatura dell’acqua,
diminuisce la pressione nel condensatore. Inoltre, a carico parziale, viene bruciata meno biomassa, quindi si produce meno calore; in
questa situazione quando l’olio raggiunge lo scambiatore ha una temperatura non troppo più alta di quella del fluido operante.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per l’impianto di Lienz, dotato di turbogeneratore della potenza di 1.000 kWe, in grado
di produrre 7.200 MWh/anno di energia elettrica da immettere nella rete pubblica. Esso è dotato inoltre di una caldaia a biomassa
collegata all’impianto ORC della potenza di 6 MWt e fornisce anche calore alla città di Lienz attraverso un impianto di
teleriscaldamento che dovrebbe consumare, a completamento della rete avvenuto, circa 60 mila MWh/anno. Ovviamente, anche in
questo caso, la caldaia collegata al circuito dell’olio diatermico copre solo il carico di base della cittadina, mentre il carico medio è
coperto da una caldaia che produce solo acqua calda della potenza di 7 MWt. Il carico di picco, è invece coperto da una caldaia a
gasolio della potenza di 11 MWt e da 630 m2 di pannelli solari sviluppanti una potenza nominale complessiva di 0,35 MWt. (tabella
3).
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
11
Dati tecnici della centrale di Lienz
Collettori solari termici
Potenza nominale della caldaia ad olio diatermico
Potenza nominale dell’economizzatore ad olio diatermico
Potenza nominale della caldaia ad acqua calda
Potenza nominale dell’economizzatore ad acqua calda
Potenza nominale della caldaia a gasolio
Massima potenza sviluppata dai collettori solari
Produzione di calore dalla biomassa
Produzione di calore dall’energia solare
Produzione di elettricità dalla biomassa
m2
kW
kW
kW
kW
kW
kW
MWh/a
MWh/a
MWh/a
630
6.000
500
7.000
1.500
11.000
350
60.000
250
7.200
Tabella 3: dati riassuntivi centrale di Lienz (fonte Obernberger, Thonhofer, Reisenhofer, 2002)
Il combustibile è rappresentato da una miscela di segatura e trucioli, provenienti dalle vicine segherie e industrie di trasformazione
del legno, e da cippato forestale. Si calcola che il consumo annuo di questa miscela ammonti a circa 100 mila m3, stoccati in un’area
aperta (ma coperta) della capacità di 15 mila m3. La caldaia a gasolio copre, invece, solamente il 4 per cento dell’intera produzione di
calore. Quando tutta la rete di teleriscaldamento sarà ultimata, essa avrà lunghezza di 37,5 km, con 900 utenze connesse.
I risultati raggiunti, in termini di efficienza, affidabilità, versatilità, sono in linea con le aspettative. Spiccano, in particolare, le 5 mila
ore di lavoro annue, che diventeranno 7 mila a completamento della rete avvento.
L’efficienza generale del sistema di cogenerazione impiantato a Lienz (energia elettrica netta prodotta / potere calorifico della
biomassa) viene notevolmente incrementata dalla presenza di un economizzatore della potenza di 1,5 MWt e di un preriscaldatore
accoppiati alla caldaia. Grazie a questo accorgimento, l’efficienza termica della caldaia (energia termica in uscita / potere calorifico
della biomassa) è pari all’82 per cento, il 10 per cento in più rispetto ai corrispondenti valori di efficienza delle tradizionali caldaie.
L’aumento di efficienza termica, inoltre, consente di elevare anche l’efficienza elettrica totale (energia elettrica netta prodotta / potere
calorifico biomassa) fino a valori pari al 15 per cento.
Indipendentemente dai risultati raggiunti, comunque, l’importanza delle centrali come quella di Tirano e quella di Lienz, cosi come
per tutte quelle che non sono state menzionate, risiede nell’aver applicato sul campo quanto fino ad allora teorizzato circa l’efficiente
sfruttamento delle biomasse ai reali problemi che si manifestano nella pratica e per il continuo progresso di una tecnologia mirata al
conseguimento di livelli di efficienza sempre migliori, in modo da poter estendere la cogenerazione ad una varietà di applicazioni
sempre maggiore.
7.5. Valutazioni economiche
Una volta accertata la fattibilità energetica e tecnica della cogenerazione da biomasse, non rimane che verificarne la sostenibilità
economica, che poi alla fine è il presupposto base per poter stimolare investimenti privati in questo settore, al di là dei benefici
ambientali che questa tecnologia apporta, dei quali si deve preoccupare lo Stato.
Il metodo più utilizzato per valutare la fattibilità economica della cogenerazione è il cosiddetto approccio incrementale. Tale
approccio consiste nel prendere in considerazione esclusivamente i costi aggiuntivi, ed i relativi redditi, derivanti dall’impianto di un
sistema di cogenerazione a biomasse, al posto un semplice impianto di teleriscaldamento, sempre a biomasse. La ragione di ciò va
ricercata nel fatto che, come sarà risultato evidente anche dalle considerazioni tecniche, la cogenerazione a biomasse basata sul
sistema ORC è molto simile al semplice riscaldamento a biomasse. I punti critici, le logiche di controllo, le richieste, in termini di
personale, circa l’esercizio e la manutenzione dell’impianto, sono infatti le stesse.
I risultati degli studi condotti sulle sempre più numerose esperienze sul campo, mostrano inequivocabilmente che, non solo il metodo
è semplice ed efficace, ma che l’abbinamento energia elettrica e calore funziona anche dal punto di vista più strettamente economico.
Anzi, ciò che emerge chiaramente da queste analisi è che nella maggior parte dei casi in cui è possibile istallare un impianto di
riscaldamento a biomasse, l’opportunità di impiantare un’unità di cogenerazione costituita da un turbogeneratore ORC può essere
considerata come una valida alternativa da studiare in modo più approfondito.
Lo stesso approccio può essere applicato ai sistemi di cogenerazione basati sull’uso del vapore e produce risultati interessanti solo
sotto le seguenti condizioni:
ü La generazione a vapore è necessaria per ragioni di processo. In tali casi i costi aggiuntivi, specialmente per quanto
riguarda i costi di esercizio e manutenzione legati al sistema di sfruttamento dell’acqua, possono essere spiegati come solo
parzialmente causati dalla produzione di energia elettrica;
ü Il personale richiesto per la gestione e la manutenzione dell’impianto è già disponibile.
Se queste condizioni sono soddisfatte, allora la considerazioni generali sviluppate in precedenza, possono essere considerate valide
anche per i sistemi di cogenerazione a vapore, nello stesso range di potenza.
In genere, come redditi aggiuntivi, vengono presi in considerazione:
ü I proventi derivanti dalla vendita dell’energia elettrica in eccesso;
ü I proventi relativi alla vendita dei Certificati Verdi, nei Paesi in cui è presente tale forma di incentivazione.
Per quanto riguarda, invece, i costi aggiuntivi, si considerano:
ü I costi aggiuntivi di investimento, e in particolare i costi relativi a:
o Caldaia ad olio diatermico;
o Circuito dell’olio diatermico;
o Turbogeneratore ORC;
o Sistemi di controllo aggiuntivi;
o Connessione alla rete elettrica;
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
12
o Progettazione e realizzazione delle opere civili necessarie all’implementazione del sistema di cogenerazione.
I costi aggiuntivi di manutenzione: in genere l’1,5 per cento in più dei costi di manutenzione di un impianto di semplice
riscaldamento;
ü I costi aggiuntivi di personale: 5 ore alla settimana;
ü I costi aggiuntivi di assicurazione: lo 0,5 per cento dei costi aggiuntivi di investimento;
ü Il tasso di interesse: in genere viene preso in considerazione il 5 per cento;
ü I costi aggiuntivi relativi al combustibile.
In altre parole, dunque, si tratta di fare un vero e proprio bilancio in cui mettere a confronto, da un lato, i ricavi per unità di energia
elettrica prodotta e, dall’altro, il costo specifico sostenuto per produrla.
I parametri chiave, quelli che incidono maggiormente sul costo specifico dell’energia elettrica, sono:
ü I costi aggiuntivi di investimento, con un’incidenza pari al 60 per cento sul costo dell’energia elettrica;
ü Il costo del carburante, con un’incidenza pari al 20 per cento.
Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, è chiaro che poter disporre di materia prima a basso costo aumenta i benefici economici.
Le biomasse sono sempre state considerate un combustibile a basso costo, ma ciò vale solo se prendiamo in considerazione il valore
intrinseco del materiale, perché alla fine ciò che incide di più sono i costi di trasporto. E’ il caso, ad esempio, delle biomasse
derivanti dalle utilizzazioni forestali, o delle biomasse di origine agricola, che in genere risultano molto disperse nel territorio e ciò ne
rende molto oneroso il concentramento. Molto interessanti, invece, risultano le opportunità offerte dagli scarti di lavorazione del
legno, nel caso di segherie o di industrie di trasformazione del legno, che presentano tre tipi di vantaggi:
ü Ampia disponibilità di materia prima concentrata nel luogo in cui può essere istallato l’impianto di cogenerazione;
ü Possibilità di disporre di materiale a costo zero, che anzi dovrebbe essere smaltito a costi non certo minimi;
ü Materiale molto secco (10-14 per cento) con grande potere calorifico (circa 4000 kCal/kg).
Ben diverso è il discorso relativo ai costi di investimento, legati per lo più al progresso della tecnica che, seppur previsto, è ancora
piuttosto lontano dal farsi sentire. Pertanto, gli obiettivi su cui puntare per spostare in senso positivo l’ago della bilancia sono
rappresentati da un corretto dimensionamento, ovviamente guidato dal calore, e dal maggior numero possibile di ore funzionamento
dell’impianto. In particolare, si ritiene fondamentale raggiungere almeno 5 mila ore di funzionamento a pieno carico.
Risulta chiaro anche che l’incidenza di questo parametro sul prezzo dell’energia elettrica è tanto maggiore quanto più grande è
l’impianto, per questioni legate alle economie di scala che si hanno all’aumentare della potenza disponibile. E’ stato verificato,
infatti, che il prezzo dell’energia in impianti di 500 kW elettrici è superiore per un quota pari al 15 per cento rispetto ad uno stesso
impianto, ma di potenza doppia.
In ogni caso, come già anticipato in precedenza, i risultati finora vanno a favore della cogenerazione, almeno nel caso di grossi
impianti e di grosse utenze di calore, ma non è impensabile allargare il campo di applicabilità anche nel caso in cui sono richieste
dimensioni minori, anche in virtù del fatto che, rispetto agli obiettivi di maggiore efficienza preposti, una futura riduzione dei costi
d’investimento appare quanto meno realistica. Ed in questo, un ruolo centrale riveste tutto il bagaglio di esperienza acquisito
dall’analisi dei progetti già realizzati, specialmente quelli in cui è richiesta una piccola produzione in serie.
A tal proposito, non va sottovalutata l’importanza del sistema di incentivazione introdotto dallo Stato con il famoso decreto Bersani: i
proventi derivanti dalla vendita dei Certificati Verdi, infatti, costituiscono una voce significativa della parte attiva del bilancio, senza
la quale la sostenibilità economica dell’impianto verrebbe a mancare inesorabilmente.
A questo punto, un’ultima considerazione va fatta a proposito del sistema di esercizio basato sulla dissipazione del calore, cui si
accennava a proposito della centrale di Tirano. I rischi connessi a questa modalità di esercizio sono evidenti, pertanto risulta
estremamente importante dimensionare correttamente l’impianto e stimare, con il maggior grado di approssimazione possibile, tutte
le variabili in gioco. Il limitato margine di convenienza derivante dalla dissipazione del calore, infatti, fa sì che piccolissimi
scostamenti dai valori previsti possano inficiare negativamente sulla sostenibilità economica dell’intero impianto.
Tuttavia, bisogna anche aggiungere che, se è vero che una tale forma di esercizio è assolutamente sconsigliabile in ottica privatistica,
lo stesso non si può dire in ottica pubblica. E’ infatti possibile dissipare il calore ed ottenere lo stesso di benefici, anche economici.
Per meglio chiarire questo aspetto è opportuno fare un passo indietro e tornare ai casi in cui si ha surplus di calore: d’estate, sempre, e
d’inverno, durante la notte e in alcune ore del giorno. D’estate, una valida opportunità è offerta dal raffrescamento degli edifici,
anche se ciò comporta degli investimenti aggiuntivi. Molto più interessante, invece, è risolvere il problema del surplus nei periodi
invernali: in genere, infatti, le reti di teleriscaldamento si sviluppano parallelamente alla rete stradale, per ovvi motivi di comodità, e
può pertanto essere utilizzata come un buffer per riscaldare il fondo stradale ed evitare la formazione di lastre di ghiaccio, con
conseguenti vantaggi per la circolazione, spesso impossibile in caso di neve, e per i costi del servizio di pulizia delle strade e
spargimento di sale.
ü
7.6. Aspetti ecologici
In linea con quanto espresso a proposito dello sfruttamento energetico delle biomasse, anche la cogenerazione mostra i suoi
favorevoli effetti dal punto di vista della compatibilità ambientale. Di questi si è già parlato abbastanza, tuttavia, in questa sede è
opportuno soffermare la nostra attenzione su un aspetto particolare, specifico della cogenerazione basata sul sistema ORC.
Lo sfruttamento di un circuito chiuso ad olio diatermico fa sì che, nel processo di generazione del calore e dell’energia elettrica, non
vi siano perdite significative di sostanze liquide, solide o gassose, con conseguenti vantaggi economici, derivanti da minori spese
dovute a rabbocco d’olio e da una durata dello stesso pari a quella dell’intero impianto (circa 20 anni), ma soprattutto dal punto di
vista ambientale, perché non vi è alcuna fonte d’inquinamento. Molti impianti, inoltre, come abbiamo potuto vedere, sono anche
impiantati in zone dove è disponibile una grande quantità di materia prima già concentrata (segherie ed industrie), evitando in tal
modo eccessive emissioni legate al trasporto della biomassa dai luoghi di produzione a quelli di impiego.
Altro aspetto molo importante legato alla cogenerazione, ma più in generale allo sfruttamento energetico delle biomasse, deriva dalla
possibilità di sfruttare le ceneri di risulta dalla combustione del materiale organico come compost, in modo tale da restituire al terreno
tutti i minerali asportati dalle piante durante il loro ciclo vitale, con effetto fertilizzante ed ammendante per gli stessi.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
13
Infine, altra considerazione va fatta a proposito dell’inquinamento acustico degli impianti di cogenerazione, i quali risultano
abbastanza silenziosi in virtù del fatto che il generatore in genere viene sistemato in unità molto ben insonorizzate e tali da garantire
l’emissione di rumore pari ad 80 dB ad un metro di distanza.
8. Possibili applicazioni della cogenerazione
Facendo un bilancio di tutto ciò che è stato detto finora, possiamo affermare che la cogenerazione è un sistema molto efficiente di
sfruttamento energetico delle biomasse per le seguenti applicazioni pratiche:
ü Distretti del calore medio-grandi. (20-30 MWt di picco), localizzati in aree montuose o in aree residenziali alla periferia
delle città. In tali applicazioni la domanda di calore subisce forti fluttuazioni stagionali, per cui conviene sottodimensionare
l’impianto ORC, in modo da coprire solo il carico di base, e affiancare una caldaia ad acqua calda, a biomasse o a gasolio.
ü Industrie di trasformazione del legno. In questo caso il calore recuperato, può essere efficacemente impiegato per il
riscaldamento degli stabilimenti, ma soprattutto per il processo di essiccazione del legno. Nel caso di grossi poli industriali,
si può pensare anche di affiancare reti di teleriscaldamento.
ü Segherie. Anche qui il calore può essere sfruttato per essiccare il legno o per fornire calore ad un distretto del calore. I
vantaggi, in questo come nel caso precedente, sono di avere una grande disponibilità di materia prima concentrata ed a
costo zero.
ü Riconversione vecchi impianti, dismessi o alimentati da altro tipo di combustibile. Molte delle centrali attualmente in
funzione, sono infatti il risultato dell’ampliamento di centrali elettriche già esistenti o di impianti di teleriscaldamento già
esistenti. Anche qui l’impianto di cogenerazione opera per il soddisfacimento del carico di base.
In definitiva l’applicabilità è verificata per qualsiasi impianto di potenza compresa tra 400 e 1500 kW in grado di operare a pieno
carico per il maggior numero possibile di ore (almeno 5 mila) e nel caso in cui sia disponibile in loco una grande quantità di biomassa
concentrata.
Il potenziale per future applicazioni in questo settore, è enorme in vista anche del contributo che tale tecnologia può apportare ai fini
del conseguimento degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto.
9. Sistemi di cogenerazione su piccola scala basati sulla tecnologia Stirling
I generatori Stirling costituiscono un’interessante e promettente soluzione per l’istallazione di una potenza elettrica nominale
compresa tra i 10 ed i 150 kW. Essi sono basati su un ciclo chiuso, in cui un gas operante viene espanso dal calore derivante dalla
combustione della biomassa ed a questo trasferito mediante uno scambiatore dello stesso tipo di quello già incontrato nel caso degli
impianti di cogenerazione ORC. L’espansione del gas mette in movimento dei cilindri accoppiati ad un generatore che provvede a
trasformare l’energia meccanica in energia elettrica. Il calore non convertito in lavoro per i cilindri viene indirizzato verso un
secondo scambiatore e ceduto all’acqua.
Le differenze con la cogenerazione ORC sono pertanto le seguenti:
ü Il fluido operante viene riscaldato a temperature molto alte, tipicamente comprese tra 680 e 780 gradi Centigradi, al fine di
ottenere la massima efficienza possibile. Pertanto, è opportuno preriscaldare l’aria nella camera di combustione attraverso i
gas di combustione contenenti quel calore che non è stato possibile trasferire al fluido;
ü Il surriscaldamento del fluido trasforma parte dell’energia termica in energia meccanica, che viene trasferita a dei cilindri, i
quali a loro volta la trasferiscono al generatore che provvede alla sua conversione in energia elettrica;
ü Il fluido operante è un gas, preferibilmente Elio o Idrogeno. Sono molto più efficienti degli oli diatermici, ma creano
problemi in fase di progettazione dei cilindri, soprattutto per quanto riguarda la loro tenuta stagna, a causa del ridottissimo
peso molecolare di tali gas;
ü Scambiatori leggermente differenti, per sfruttare al massimo il calore di combustione della biomassa, oltre che per resistere
alle elevatissime temperature che si registrano nella camera di combustione (1.300-1.600 gradi Centigradi). In queste tra
l’altro, avviene una vera e propria gassificazione della biomassa.
Attualmente in Europa, la tecnologia è in piena fase di sperimentazione e, anche se i primi impianti hanno dato risultati promettenti,
la strada per renderla effettivamente competitiva, è ancora lunga. Ci sono infatti molti problemi che per il momento ne sconsigliano
l’impiego, tra cui ricordiamo:
ü L’intasamento degli spazi tra gli elementi dello scambiatore di calore, a causa delle polveri grossolane rese volatili dalle
altissime temperature della camera di combustione;
ü Le perdite di gas dai cilindri, a causa del loro ridottissimo peso molecolare;
ü I problemi relativi alla combustione delle biomasse ed alla loro conversione energetica;
ü Il deposito delle ceneri nella camera di combustione che, nonostante sia dotata di un sistema di pulizia automatico e
pneumatico, richiede in ogni caso la pulizia manuale almeno una volta al mese;
ü L’impossibilità di sfruttare al massimo la potenza del generatore. Ad esempio, un impianto studio istallato all’Università
della Tecnica della Danimarca, a fronte di una potenza nominale di 35 kW, è riuscito a lavorare su una media di 31 kW;
ü Una più bassa efficienza nella produzione di energia elettrica rispetto a quanto preventivato: 20 per cento, anziché 25 per
cento.
Quello dell’efficienza energetica è un punto fondamentale. Essa deve essere più alta possibile per abbassare il prezzo dell’energia
elettrica, piuttosto alto rispetto a quello ottenuto con gli altri sistemi di cogenerazione. Il problema è però che il sistema Stirling è
significativamente meno efficiente in condizioni di carico parziale rispetto agli altri sistemi; è necessario perciò fare molta attenzione
in fase di dimensionamento per fare in modo che l’impianto possa lavorare per il maggior numero di ore possibile in condizioni di
pieno carico [18].
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
14
Lo stato dell’arte del sistema Stirling, dunque, da quanto abbiamo potuto osservare, è ancora indietro rispetto agli altri sistemi, ma si
sta lavorando alacremente per abbassare il prezzo dell’energia, soprattutto sull’efficienza elettrica, da ottenersi principalmente
attraverso:
ü Il miglioramento degli scambiatori;
ü Il miglioramento del preriscaldatore;
Più in generale, attraverso il miglioramento dell’intero sistema di combustione.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto circa la cogenerazione da biomasse, dare una risposta agli interrogativi posti nella presentazione di questo
articolo, risulterà piuttosto semplice: si, la cogenerazione da biomasse, anche solo da un punto di vista economico, è conveniente; o,
meglio, può essere conveniente. Ciò vale soprattutto per gli impianti di grosse dimensioni per i quali la tecnologia ha raggiunto livelli
di sviluppo tali da garantire elevati rendimenti nella conversione energetica. In questo senso, l’impiego dell’olio diatermico e dei
fluidi organici quali fluidi intermedi di trasmissione del calore, con tutti i vantaggi che ne derivano sia dal punto di vista tecnicoimpiantistico sia dal punto di vista gestionale, pare aver avuto un ruolo decisivo nello stimolare lo sviluppo degli impianti di
cogenerazione di ultima generazione.
Tuttavia, il notevole sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, che pure da solo è in grado di garantire la sostenibilità tecnica
ed energetica degli impianti di cogenerazione, non è sufficiente per garantire la sostenibilità economica degli stessi. I punti critici del
progetto sono ormai ben noti:
ü Sicurezza ed economicità nell’approvvigionamento della materia prima;
ü Elevati costi di investimento.
Il sistema di valutazione della fattibilità economica di tali impianti basato sul cosiddetto approccio incrementale, ha messo in luce che
il conseguimento di tale obiettivo, infatti, passa anche attraverso:
ü Il sistema dei Certificati Verdi;
ü Un’attenta progettazione degli impianti.
Quello dei Cartificati Verdi, rappresenta un valido sistema di internalizzazione delle esternalità positive connesse alla produzione di
energia da fonti rinnovabili e delle esternalità negative connesse invece con la produzione di energia da fonti fossili. Introdotto dal
già citato decreto Bersani nel 1999, tale sistema permette finalmente di quantificare i costi sociali legati ai tradizionali impianti di
conversione energetica, ai danni di chi produce tali costi, e nel contempo di remunerare quanti impiegano le fonti rinnovabili come
fonte di energia. In altre parole esso agisce contemporaneamente su due fronti opposti: favorendo le fonti rinnovabili, da un lato, e
penalizzando quelle fossili, dall’altro.
L’entità dei proventi derivanti dalla vendita dei Certificati Verdi è tale da controbilanciare efficacemente l’elevato peso delle voci
negative del bilancio, al punto che senza questa forma di incentivazione la sostenibilità economica di tutti i progetti verrebbe
seriamente compromessa. Grande attenzione, però, va posta in fase progettuale.
Le esperienze finora condotte circa lo sfruttamento energetico delle biomasse, ma la cosa può essere estesa a tutte le fonti rinnovabili,
hanno inequivocabilmente messo in luce che tale sfruttamento non può essere esteso in modo generalizzato sul territorio, ma il
successo è legato soprattutto alle capacità del progettista, che diventa più che mai protagonista per la sostenibilità dell’intero
progetto. A lui infatti spetta il compito di:
ü Scegliere il sito più adatto per l’implementazione di un impianto, essenzialmente sulla base della domanda di energia
(soprattutto calore) e della disponibilità di materia prima in loco (per ridurre al minimo i costi di trasporto);
ü Dimensionare opportunamente l’impianto, in modo da garantirne un funzionamento a pieno carico per il maggior numero di
ore possibile. E’ questo l’unico sistema per ammortizzare gli elevati costi d’investimento.
L’importanza di tali scelte risiede nel fatto che i margini di convenienza sono ancora piuttosto limitati, pertanto diventa essenziale
mantenersi il più possibile all’interno dell’optimum dei parametri di progetto.
In ogni caso possiamo affermare che, almeno per gli impianti di grossa taglia, la tecnologia è ormai matura per un massiccio ingresso
sul mercato dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.
Discorso diverso, invece, meritano gli impianti di piccola taglia, per i quali si è notato che la tecnologia basata sul ciclo ORC, pur se
conveniente in condizioni ottimali, espone gli imprenditori al rischio di perdite eccessive qualora, per qualsiasi motivo non
strettamente legato alle scelte progettuali cui si faceva cenno in precedenza, l’impianto non dovesse funzionare in condizioni di pieno
carico per un numero sufficiente di ore.
Per questi impianti affidiamo le nostre speranze alla tecnologia Stirling, che mostra avere interessanti prospettive di sviluppo, ma che
al momento non è ancora in grado di garantire sostenibilità economica, oltre che tecnica, al progetto.
Riferimenti bibliografici
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
Angelino G., Gaia M., Macchi E., A review of italian activity in the field of the Organic Rankine Cycles, Proceedings of the
international VDI-Seminar Held in Zürich, 10-12 September, 1984.
Bini R., Manciana E., Organik Rankine Cycle turbogenerators for combined heat and power production from biomass, 3rd
Munich Discussion Meeting “Energy conversion from biomass fuels current trends and future systems, 22-23 october 1996,
Munich, Germany.
Bini R., Gaia M., Bertuzzi P., Righini W., Operational results of the first biomassa CHP plant in Italy based on an Organic
Rankine Cycle turbogenerator and overview of a number of plants in operation in Europe since 1998.
Braga A., L’utilizzo delle biomasse in un panorama di produzione energetica diversificata, febbraio 2003.
Castellucci R., Impianti di cogenerazione con generatori a fluido diatermico, La Termotecnica, ottobre 1987.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
15
[6]
[7]
[8]
[9]
[10]
[11]
[12]
[13]
[14]
[15]
[16]
[17]
[18]
[19]
[20]
[21]
Decreto 18 marzo 2002, Modifiche ed integrazioni al Decreto del Ministero del Commercio, dell’Industria e
dell’Artigianato, di concerto con il Ministero dell’Ambiente, 11 novembre 1999, concernente “direttive per l’attuazione
delle norme in materia di energia da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2, 3 dell’articolo 11 del Decreto Legislativo 16
marzo 1999, n. 79.
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, Disciplina delle caratteristiche merceologiche dei
combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico, nonché delle caratteristiche tecnologiche degli
impianti di combustione.
Deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas n. 42/02, condizioni per il riconoscimento della produzione
combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai sensi dell’articolo 2, comma 8, del Decreto Legislativo 16
marzo 1999, n. 79.
Direttiva 2004/8/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 febbraio 2004, sulla promozione della cogenerazione
basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell’energia e che modifica la direttiva 94/92/CEE.
Duvia A., Gaia M., ORC plants for power production from biomass from 0,4 MWel to 1,5 MWel: Technology, efficiency,
pratical experiences and economy, 7th Holzenergie – Synopsium, 18 october 2002, ETH Zürich.
Fiala M., Menane W., Riva G., Energia da biomasse, dimensionamento degli impianti, La Termotecnica, dicembre 1994.
Gallo N., Absenger A., Riabilitazione delle centrali termoelettriche nell’industria, La Termotecnica, dicembre 1994.
Gerardi V., Nobili A., Incentivazione dell’energia da biomasse: aspettative, difficoltà, certezze, Convegno ATI-APER “Il
ruolo delle biomasse nell’economia energetica italiana”, Milano, 27 febbraio 2003.
Lundqvist R. G., The utilization of fluid bed technology for the conversion of renowables to energy, Convegno “Il ruolo
delle biomasse nell’economia energetica italiana”, Milano, 27 febbraio 2003.
Minute E., Gli impianti ad olio diatermico, La Termotecnica, novembre 1994.
Nardin G., Comuzzo G., Cozzi W., Maltese P., Impianto di cogenerazione alimentato con residui di legno, La
Termotecnica, dicembre 1994.
Obernberger I., Thonhofer P., Reisenhofer E., Description and evaluation of the new 1.000 kWel Organic Rankine Cycle
process integrated in the biomass CHP plant in Lienz, Austria. Euroheat & Power, volume 10/2002.
Obernberger I., Carlsen H., Biedermann F., State-of-the-art and future developments regarding small-scale biomass CHP
systems with a special focus on ORC and Stirling engine technologies. International Nordic Bioenergy 2003 Conference.
Perego M., Alberti M., Sassi F., La combustione delle biomasse: metodologie, efficacia, limiti, C.C.T. srl.
Spena A., Coppa P., Scelta della potenza ottimale nella cogenerazione per usi civili, La Termotecnica, novembre 1994.
Tomassetti G., Impianti di cogenerazione, le scelte progettuali, La Termotecnica, dicembre 2001.
www.energialab.it
Luigi Zuccaro
16