Lampadine e tosaerba

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Lampadine e tosaerba
Lampadine e tosaerba
Quando sono morto, mi sono preso un bello spavento. Non tanto perché facesse male rompersi
quattro costole del torace, ma per tutto il resto. Quella sciagurata di Nelly si è messa a urlare come
una sirena, e non ha smesso finché non ha tirato le cuoia. Povera ragazza, proprio non se lo meritava. Le altre inservienti sono venute a soccorrerla, mentre io mi dissanguavo tranquillamente sul pavimento, ma non c‟è stato nulla da fare. Poveretta.
Non fosse stato per Flora, che ha urlato: «Ferme tutte, dev‟essere la narcolessia!», forse qualcuno
avrebbe chiamato il 911 un po‟ prima, e lei l‟avrebbe scampata. Tutti lì in cucina sapevano che
Nelly era capace di addormentarsi mentre parlava, mentre tagliava le zucchine, mentre rifaceva i
letti del piano di sopra. Però quella volta non era narcolessia. Era morta, morta per davvero.
Io volevo bene a quella ragazza. Alzava un po‟ il gomito, questo sì, ma chi non lo fa di questi tempi?
È una cosa normale, persino il signor Wine non sa resistere al Johnny Walker del venerdì sera. Non
bisognerebbe farlo sul posto di lavoro, è vero, ma io ho sempre chiuso un occhio su queste cose.
L‟ho vista arrivare una mattina d‟autunno – forse era ottobre – con un macinino che sembrava uscito da un cartone animato anni „30. Ha tirato via dal baule una fornitura annuale di valigie rosa, roba
da mettere in crisi le sospensioni di un autocarro, e se l‟è trascinata fin sulla veranda di casa Wine.
Era tutta spettinata, quella mattina, perché diceva che aveva rotto i denti del pettine pulendosi le unghie. L‟ho accompagnata io nel mostrarle la casa, i corridoi, i saloni principali. Nessuno sapeva che
soffriva di depressione, che era alcolizzata, che aveva evaso il fisco per mezzo milione di dollari e
lasciato un marito e due figli adolescenti in Messico. Mi sembrava una ragazza carina, tutto sommato affidabile. Il suo passato, e la narcolessia ovviamente, sono venute fuori piano piano.
Il signor Wine ad ogni modo era entusiasta. L‟ultimo acquisto della scuderia Wine era proprio quello che stavamo cercando, diceva. Io personalmente non l‟avevo mai visto così interessato a una cameriera, ma sapevo che la signora Wine, col sangue Roxford nelle vene e lo spirito combattivo di
un gladiatore, non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Una donna impeccabile, miss
Wine, senza dubbio. Un modello da seguire, per intelligenza e determinazione. Molto al di sopra
delle capacità cognitive del marito, poco ma sicuro.
Io stimo molto il signor Wine, e gli sono stato sempre al fianco da quando suo padre – possa riposare in pace – è scivolato sulle piastrelle bagnate mentre sostituiva la lampadina del bagno. Una morte
orribile. Avrebbe potuto cambiarla l‟elettricista, la lampadina, oppure qualcun altro addetto alla
manutenzione. Invece no, lui diceva che «i lavoretti della domenica bisogna farseli la domenica,
perché di lunedì poi è troppo tardi». Un uomo di grande saggezza, Arthur Wine senior, senza ombra
di dubbio. Novantaquattro anni a cambiare lampadine e fusibili, a stappare sifoni dei lavandini e a
riparare mensole crollate; quasi un secolo intero a cercare di tenere in ordine seicentocinquanta metri quadri di villa fino ad arrivare al giorno in cui, dopo sedici viti spanate sostituite in un solo pomeriggio, vide sfarfallare una lampadina. Una sola, piccola lampadina da interni. Era minuscola,
infilata in un asse di legno smaltato che serviva per illuminare lo specchio del bagno. In tutto erano
sei faretti allineati, a quindici centimetri di distanza l‟uno dall‟altro.
Quell‟uomo aveva una vera ossessione per le illuminazioni artificiali, qualche strana devianza mentale a forma di “baionetta” o “tuttovetro” che rasentava la mania. Era diventato famoso per aver inventato la lampadina a impatto zero. Una trovata geniale, davvero, eppure tutti lo ricordavano soprattutto per le decorazioni luminose di casa Wine, visibili già sei settimane prima di Natale anche
con nebbia, pioggia battente, grandine o uragani forza cinque. La reincarnazione impazzita di Thomas Edison, in pratica.
La moglie, poveretta, disse di averlo visto gettarsi in bagno «a capofitto, come una gatto che ha appena visto un uccellino posarsi sul davanzale». Sempre delicata, Joanna Wine. Una donna tutta d‟un
pezzo, incapace di scomporsi anche alla vista del vetusto marito intento a scalare a mani nude le pareti piastrellate del bagno. Demenza senile. In casa avevamo imparato tutti cosa significasse. Ma
quando il signor Wine capì il principio di scivolamento, dovuto all‟attrito nullo dei suoi stivali
gommati sulla ceramica delle piastrelle, non si diede per vinto. Era un uomo molto orgoglioso. Ex
atleta, dopotutto. Il suo cervello lanciò un urlo disperato, e chiese ai muscoli di tutto il suo corpo
uno sforzo innaturale e immediato. Scalciò, annaspò a mezz‟aria, diede bracciate a vuoto e si allungò fino all‟inverosimile, mostrando elasticità e prontezza di riflessi fuori dal comune. Diede alla sua
consorte la prima prova di superdistensione di dita, braccia e gambe che l‟umanità avesse mai visto,
quasi come la lingua di un camaleonte tropicale. Degno di interesse da parte di scienziati e fisioterapisti, ma non arrivò mai alla lampadina. Madame Wine lo vide cascare sul lavabo come un orso
polare che scivola su una tavola di ghiaccio verticale, battere la nuca sul dosatore di sapone in argento novecentoventotto per mille, capottarsi senza posa e scaricare tutto il peso sul pavimento. Urlò un pochino, lei, che di lampadine se ne fregava, forse per figura, forse per esultanza; d‟altronde
l‟ultima cosa che quel rimbambito aveva detto era stata: «nella mia vita non voglio che sfarfalli
niente!».
Sono passati molti anni da allora. Ma il giovane Arthur Wine non è da meno, e non ha imparato
proprio niente dal suo vecchio. È cresciuto cercando di amministrare un‟azienda di cui non sapeva
un accidenti, e avendo lasciato il liceo, non ha mai dimostrato di essere, diciamo, coscienzioso. E
quando hanno cercato di spiegargli che il 70% della produzione mondiale di lampadine di ogni forma e dimensione è in mano alla Wine Inc., ha fatto preparare una torta al limone di trentacinque
chili a forma di lampadina. Dato che non l‟aveva mai capito, voleva festeggiare. Quando l‟hanno
accesa – perché aveva espressamente richiesto filamenti veri e un cavo per l‟attacco al voltaggio
domestico – si è surriscaldata fino a sciogliere il vetro in glassa di zucchero trasparente, e alla fine
si è incendiata. Quattrocentoventitre ospiti evacuati in mezz‟ora, novantasei persone tra servitù e
famiglia Wine, quattro lievi intossicazioni da fumo e la sala principale mezza distrutta dalle fiamme.
Ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a sedurre una donna come la signora Roxford, di tredici
anni più grande, figlia di Jamie Roxford, il magnate dei tosaerba industriali. Si dice che si siano incontrati a un meeting sul riciclo dei materiali di scarto dell‟industria delle illuminazioni artificiali, e
che il signor Wine abbia incontrato la delegazione dei tosaerba prodotti con la plastica riciclata delle sue lampadine. Ma penso che neanche il signor Wine ci creda più, a questa storia, dopo tanti anni
di matrimonio. Anche senza troppo sale in zucca, prontezza di spirito e ingegno, in questo mondo ci
si può destreggiare. Bastano i soldi. La buona stella, e tanti tanti soldi. Il consiglio ai vertici
dell‟azienda più quotata e redditizia degli ultimi sessant‟anni ha guidato le mosse di Arthur Wine
figlio, un‟altra nobildonna dell‟alta borghesia cittadina si è fatta scalzare da un‟esistenza monotona
e accidiosa, il matrimonio d‟interessi più sfarzoso d‟America è stato celebrato e la dinastia Wine
continuerà a penetrare nei secoli dei secoli. Amen.
Ad ogni modo, il giovedì pomeriggio il signor Wine si è sempre dedicato al cricket. Al golf il sabato mattina, e al polo il sabato pomeriggio. Il lavoro no, per carità! Per cui quella mattina in casa
c‟era solo la signora. Ma costei, poverina, ogni tanto era preda di curiosi attacchi d‟ansia. Specialmente il giovedì pomeriggio, quando i suoi genitori la chiamavano per sapere come stava, senza che
il marito (“l‟idiota con una filettatura in rame al posto del cervello”) fosse nei paraggi e potesse origliare. Dopo quelle telefonate era così rilassata che si faceva portare in camera due tosaerba Roxford col motore acceso.
Aveva spiegato al marito, durante una delle loro interessanti conversazioni filosofiche serali, che le
piace il rumore di sottofondo. Quand‟era giovane passava i pomeriggi a studiare, mentre suo padre
tagliava l‟erba in giardino. Era abituata così, la rilassava moltissimo.
Questa la versione ufficiale. Ma tra tutta la servitù, i cuochi, i tecnici degli impianti e le signore delle imprese di pulizia, solo il Babbeo-Wine non sapeva nulla dei tradimenti della moglie.
Sì, perché quei tosaerba accesi due ore per tre giorni alla settimana erano solo una copertura; una
copertura per urla selvagge e mugolii di piacere. Per ansimazioni sfrenate. Per fanfare copulatorie.
Circhi rocamboleschi d‟amore. Celebrazioni sonore della passione carnale. Violenti amplessi ritmati.
Profusioni d‟affetto musicalmente inascoltabili che dovevano essere coperti da un fracasso ancora
più sgradevole.
Solo un illetterato fannullone senza attitudini per gli affari, per il ragionamento deduttivo, per la vita
stessa sarebbe stato in grado di non sospettare nulla. Babbeo-Wine. L‟unico imbecille convinto che
la povera mogliettina avesse davvero le emicranie.
Il giardiniere. Esatto, il giardiniere. Si chiamava Gregor, e aveva un oscuro passato da buttafuori di
locali notturni. Non sono molto esperto di culturismo, ma abbastanza acuto nell‟osservare tutta
quella pelle tirata e depilata. Ho fiuto, io, per certe cose. Sovrapproduzione ormonale. Se ho sentito
bene, si dice così. Eccesso di sostanze anabolizzanti, amminoacidi ramificati e proteine in polvere
effervescente nel sangue.
Era gonfiato come un palloncino da luna park, quello là. Ma la dolce e briosa signora Wine non
l‟aveva mai visto, un giardiniere. Perché a casa sua era suo padre a tagliare l‟erba tutte le volte. Mai
visto un macho di quel calibro, dunque; mai visto qualcuno capace di innaffiare la propria camicia
Ralph Lauren meglio di qualunque cespuglio di rose canine. Certo, la camicia attillata serviva per le
pose: potava il lauro e intanto faceva una “rilassata di schiena muscolare”; tagliava il prato
all‟inglese, e ne approfittava per farsi un “doppi bicipiti frontali” ogni tanto; curava i girasoli nella
serra, e ogni tre per due c‟era un‟”espansione toracica” da provare. Era un perfezionista, si teneva in
allenamento costante. E mi faceva morire. Quando piantava i gerani lungo il vialetto, poi, era uno
spasso: si girava al contrario, afferrava il vaso tenendolo dietro alla schiena – all‟altezza delle natiche, per intenderci –, si buttava all‟indietro e lo infilava nel terreno, spingendo con tutto il peso del
corpo, come se volesse sedercisi sopra. Mezzo giro a destra, mezzo a sinistra e il vaso affondava
che era un piacere. Era l‟unico modo per tendere al massimo i tricipiti senza dare troppo nell‟occhio.
È stato amore a prima vista – o a prima esibizione. Peccato per l‟integrità morale, l‟unica cosa di cui
andasse veramente fiera. Ma lady Wine era insoddisfatta della sua vita da troppo tempo ormai.
Così, mentre la signora se la spassava col suo maciste tutto muscoli e steroidi, la cara Nelly si dava
da fare con Babbeo-Wine.
Quella ragazza non aveva saputo resistere alle avances del padrone. Tempo quattro o cinque mesi, e
si era portata a letto il più ricco deficiente che avesse mai potuto incontrare sulla sua strada. Per una
con tutti quei problemi era come vincere alla lotteria.
Io sospetto fosse anche una ripicca nei confronti della signora Wine, che invece non aveva mai potuto soffrirla dal giorno in cui aveva messo piede nella casa; ma la ragazza lo sapeva bene. Bastava
non farsi beccare ubriaca ai ricevimenti ufficiali, nascondere le bottiglie di vodka negli asciugamani,
e nessuno l‟avrebbe potuta incastrare. E poi poteva sempre contare sul mio aiuto.
E intanto lady Wine pregava ogni sera di trovare la scusa per cacciare via a pedate quella disgraziata, prima di dormire, china sopra i motori a scoppio dei suoi tosaerba da compagnia come fossero
altari. Lo diceva la governante.
Tutti comunque sapevano che suo marito aveva un debole per le donne disordinate e incostanti.
Nelly era perfetta perché non se ne andava in giro per il mondo a fregiarsi dei successi riscossi con
il Babbeo. Ma la gelosia è una bestiaccia terribile. Tutti dicevano che era una pazza, che era malata,
che non sapeva fare il suo lavoro e che prendeva troppi soldi rispetto agli altri. Avevano finito per
detestarla tutti, e nessuno le rivolgeva mai la parola. C‟erano voci, in giro, secondo cui Nelly per
colpa della malattia si addormentava anche durante i momenti di intimità e di passione.
Non so che cosa ne pensasse il padrone, riguardo quest‟ultimo punto, ma suppongo non sia tanto
male una pausetta ogni tanto. E se il padrone non si vedeva mai in preda allo sconforto, nonostante
sapesse bene di aver rovinato l‟impero di suo padre, probabilmente era anche merito suo.
Sapete, il fatto che i coniugi Wine si tradissero con metodo e applicazione costanti dava di che discutere alla servitù tutti i giorni della settimana.
Quando per esempio il beneamato e pompatissimo Gregor terminò il suo incarico, e come da contratto fu licenziato da un ignaro signor Wine che assunse un altro giardiniere al suo posto, tutta la
tifoseria del binomio Gregor-signora Wine tentò di ribellarsi. C‟era un discreto partito che militava
a favore del Golia dei tosasiepi, e riponeva in lui grandi speranze. Io non provavo simpatia né per
uno né per l‟altra. Certo lady Wine avrebbe potuto decidersi a chiedere il divorzio una volta per tut-
te, ma anche la povera Nelly mi stava a cuore, e mi sarebbe piaciuto davvero vederla sposata col
Babbeo di cui era innamorata.
Ora che ci penso, mi sento un po‟ in colpa per Nelly. Povera ragazza, non se lo meritava proprio;
ma non posso farci niente se il lampadario ha incominciato a sfarfallare. Sono salito sul tavolo della
cucina e mi sono allungato verso la lampadina difettosa. Ho pensato: metti caso che il signor Wine
se ne accorge, finisce che la sostituisce lui, la lampadina, e rischia di fare la fine del vecchio. Non
potevo permetterlo.
Sono balzato sul tavolo come un campione di salto ad ostacoli, così, senza pensarci due volte. La
povera Nelly era proprio dall‟altra parte, e stava affettando finocchi canticchiando Surfin’ USA dei
Beach Boys. Comunque aveva in mano una vera e propria sciabola, e quando si è vista Aladino –
che sarei io –, un alano di settantacinque chili con un nome a metà strada tra “alano” e “lampadino”,
ascendere al lampadario come Gesù Cristo, beh, si è presa un coccolone. Nella mia cucciolata si diceva così, quando qualcuno si spaventa sul serio.
Ha lanciato l‟urlo di battaglia, e per riflesso incondizionato ha spinto il tavolo in avanti. La paura
l‟ha fatta scivolare all‟indietro, ed è finita col deretano per aria. Patatrac. Quando si dice: morta di
spavento. Altro che narcolessia! Il problema è che io, col tavolo che mi mancava sotto le zampe,
sono caduto con tutto il peso in avanti. E sono finito col coltello di sua maestà l‟Affettatrice reale di
finocchi dritto dritto nella pancia. Mi sono giocato quattro costole in una volta, e un polmone bucato
in omaggio.
«Nella mia vita non voglio che sfarfalli niente» aveva detto il vecchio Wine, alla fine. Forse in fin
dei conti sono io stato l‟unico che ha sempre tenuto fede a quelle parole. Fedeltà cieca, assoluta,
senza intermittenze, nella famiglia e verso la casa.
Risultato? Morto stecchito. I cuori leali difensori di una causa che sanno essere buona sono quelli
che ci rimettono sempre, alla fine.
Che tu sia maledetto, vecchio.