«Non so come dire a mia figlia autistica che nessuno vuole dormire

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«Non so come dire a mia figlia autistica che nessuno vuole dormire
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Domenica 17 Aprile 2016 Corriere della Sera
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Cronache
«Non so come dire a mia figlia autistica
che nessuno vuole dormire con lei in gita»
La madre della tredicenne di Legnano: non partirà per Mauthausen, viaggio sulla discriminazione
4,5
Casi
su diecimila:
è l’incidenza
dell’autismo
sulla popolazione italiana,
compresi
gli adulti
10
Per cento
È l’aumento
annuale dei
casi. Si ritiene
che in parte
dipenda dal
miglioramento
delle capacità
diagnostiche
100
Mila
Sono i bambini
e adolescenti
italiani ai quali
è stata fatta
una diagnosi
di autismo:
un bambino
su cento
Chi è sua figlia?
«Una bambina dolce e ingenua: l’ingenuità è una delle
conseguenze peggiori della
sindrome».
Più rabbia o più dolore?
«L’arrivo di nostra figlia è
stato un dono del Signore. Ma
dirle che è stato tutto facile no,
non me la sento. È dura, è estenuante; è una battaglia ogni
giorno. Da piccola non parlava. Passava il tempo e non parlava. Però con testardaggine
ha fatto le elementari e adesso
è in terza media. Ovvio, con
ostacoli nei percorsi cognitivi,
la necessità di un’insegnante
di sostegno, con tante ore a casa a fare i compiti insieme e
tentare e ritentare su esercizi
apparentemente banali...».
Della sua classe, a Legnano,
nordovest di Milano, questa
ragazzina di tredici anni «è
l’unica senza cellulare». Lo
Dalla realtà al cinema
Sopra, Temple Grandin: a 4 anni i
medici volevano rinchiuderla in un
istituto per persone con ritardo. Oggi
insegna all’Università del Colorado e la
sua vita è diventata un film, «Temple
Grandin - Una donna straordinaria», in
cui è interpretata da Claire Danes, a
sinistra. Sotto, Kim Peek, autistico:
Dustin Hoffman gli diede il volto in
«Rain Man», a sinistra con Tom Cruise


Gli scout
Lei è negli scout, con il
gruppo sta via anche
due o tre giorni e dorme
con le altre in tenda
può usare soltanto a casa, sotto gli occhi dei genitori, originari di Vibo Valentia, Calabria,
famiglia semplice, di buone
maniere; nell’appartamento ci
sono attimi di disperazione
che non vengono celati e continue scuse se nel corso del
colloquio «non utilizziamo le
parole giuste».
Dicevamo del cellulare. Si
deve cominciare da qui. Messaggi fra i compagni su Whatsapp, a febbraio, dopo l’annuncio dei professori di una
gita a Mauthausen.
«Ho saputo della chat e sono riuscita ad avere qualche
messaggio. Una scriveva: “Non
voglio stare con lei”. Un’altra:
“Non posso dormirci insieme,
ho paura”. Una professoressa
ribatteva: “Qualcuna ci deve
pur stare”, nemmeno fosse un
animale. I maschi scrivevano:
“Meno male che è femmina e
la cosa non ci tocca”. Una com-
che mi hanno deluso e rattristato».
Perché?
«Un mese fa con mio marito
abbiamo inviato una lettera ai
genitori. Chiedevamo il motivo di tale crudeltà. Abbiamo
proposto un incontro».
Com’è andato l’incontro?
«Non c’è stato. Non ci ha risposto nessuno».
Dagli altri genitori non sono
mancate telefonate di solidarietà. Ma sovente di «nascosto», quasi per non offendere
il gruppo, coeso. A proposito: i
genitori della ragazzina erano
su un gruppo di WhatsApp nel
quale si parlava del «caso»;
chiuso quello, è nato un secondo gruppo da cui «siamo
stati esclusi».
E gli insegnanti?
«La vicepreside ci ha detto
che non si tratta di bullismo
ma, anzi, di assunzione di re-
Bullismo
La vicepreside dice che
non è bullismo ma che i
compagni non si sentono
pronti a «gestirla»
pagna scriveva che mia figlia
l’aveva chiusa nell’armadio e
addirittura l’aveva presa prigioniera».
In che senso?
«D’estate scendiamo in Calabria, nella casa di famiglia, e
invitiamo le amiche di mia figlia. Ad agosto ne abbiamo
ospitata una, con i genitori. Le
bimbe dormivano insieme.
Mai un problema. Di sera, giocando a nascondino con altre
ragazzine, figlie di amici, mia
figlia le aveva consigliato di

L’incontro negato
Un mese fa abbiamo
scritto agli altri genitori
e proposto un incontro
Nessuna risposta
mettersi nell’armadio, sicura
che non l’avrebbero trovata».
Sua figlia ha mai dormito
senza di voi?
«Mia figlia è negli scout.
Con il gruppo sta via anche
due, tre giorni. Dorme con le
altre in tenda. Si comporta da
persona normale... Normale...
Lo vede che devo giustificarmi? Me l’hanno processata e
condannata da innocente».
La storia di Legnano non è
un’inchiesta giudiziaria. O almeno, non ancora. Eppure ci
sono versioni da accertare; e
rimane decisiva la relazione
degli ispettori il cui intervento
l’attento provveditore di Milano, Marco Bussetti, ha sollecitato. Gli ispettori potrebbero
andare nella scuola già domani. Non un giorno qualunque.
«Domattina, la classe, senza
mia figlia, partirà per Mauthausen. Un viaggio importante, per studiare gli orrori della
discriminazione. Tante parole
e poi, nei fatti... Nella scuola
organizzano convegni contro
il bullismo... Ma davvero, non
ce l’ho con i compagni di classe. I messaggini li considero
una ragazzata. Sono gli adulti
 La parola
AUTISMO
Dal greco autós, «stesso», indica un
disturbo dello sviluppo, caratterizzato
da carenze nell’interazione sociale e nella
comunicazione. Data la varietà delle
sintomatologie, oggi si parla di «Disturbi
dello Spettro Autistico». La gravità e la
sintomatologia dell’autismo variano molto:
può essere associato a ritardo mentale,
ma anche a una straordinaria capacità
di calcolo matematico, sensibilità musicale,
o memoria audiovisiva.
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sponsabilità, i compagni non
si sentono pronti a “gestire”
mia figlia... Noi conosciamo i
limiti: l’anno passato, alla settimana bianca con la scuola,
non l’avevamo mandata. Non
siamo sprovveduti, non pretendiamo di stare al centro del
mondo».
Cosa fa domani sua figlia?
«In gita non andrà. Devo
proteggerla. Non la vogliono,
punto. Glielo devo ancora dire
e non so come spiegarlo».
L’istituto attraversa giorni di
smarrimento: è venuta a mancare la preside. Il dolore e la
scomparsa d’una guida. In settimana, ai genitori della ragazzina, è arrivato il sollecito del
coordinatore dei docenti per
saldare la prenotazione della
gita. Sono 140 euro. Li pagherà
la scuola. L’ha annunciato il
provveditore.
Andrea Galli
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Brucia il pullman dei ragazzi di Amici: terrore in galleria
L’incendio nel traforo del Gran Sasso: 47 in salvo nei rifugi. «Pensavamo di morire lì dentro»
La scheda
 A bordo del
pullman che ha
preso fuoco
sotto il traforo
del Gran Sasso
c’erano 47
giovani, molti
tra 16 e 18 anni
 Erano diretti
a Roma per
sedersi
tra il pubblico
di «Amici»
«Correvamo in mezzo
al caos e alle auto che avevano
fatto inversione di marcia per
uscire dalla galleria. C’era tanto fumo e abbiamo avuto paura di morire».
La voce di una delle ragazze
fuggite dal pullman che, ieri
mattina, lungo il traforo del
Gran Sasso, si è incendiato forse per un corto circuito (sulle
cause indaga la Polstrada)
suona più drammatica delle
altre testimonianze. Al pronto
soccorso del San Salvatore dell’Aquila, mentre aspettano di
essere visitati, i 47 passeggeri
(quasi tutte ragazze fra i 16 e i
18 anni, provenienti dalle province di Ascoli Piceno e FerL’AQUILA
mo) si scambiano informazioni e cercano di mettersi in contatto con i familiari. Molte sono senza cellulare: nella fretta
di scappare l’hanno lasciato
nel pullman ridotto a un ammasso carbonizzato di lamiere. C’è chi protesta per le condizioni e l’età dell’autobus, che
proprio ieri mattina aveva subito un controllo dalla polizia
all’uscita della superstrada per
Ascoli, e preannuncia una richiesta di risarcimento danni.
La comitiva era diretta a Roma per partecipare al talent di
Mediaset «Amici» condotto
da Maria De Filippi. A poco più
di un’ora dalla partenza, mentre attraversavano il tunnel,
l’autista, Roberto Paternesi, e
gli stessi passeggeri si accorgono del cattivo odore e del fumo che esce dal vano posteriore del motore. Alcuni di loro
chiedono di scendere. Il bus
ha da poco superato l’uscita
dei laboratori di fisica nucleare ed è lontano dal robot antincendio che li protegge. «Ho
accostato — racconta l’autista
— e ho invitato tutti a dirigersi
Al lavoro
I Vigili del fuoco
di Teramo
all’opera sotto
il traforo del
Gran Sasso
verso le uscite di sicurezza laterali. Dopo sono corso dietro
per cercare di spegnere il fuoco. Ma quando ho visto che era
indomabile, mi sono allontanato anch’io e ho chiamato al
telefono i soccorsi».
Il bilancio della drammatica
esperienza, fortunatamente, è
fatto solo di tanta paura oltre
che di qualche contusione o
lieve intossicazione. Tutti, infatti, anche con l’aiuto di polizia e medici del 118, sono riusciti a raggiungere subito l’altra galleria (quella con direzion e Te r a m o ) a t t r a ve r s o i
cunicoli di collegamento.
Nicola Catenaro
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