È C« D - L`Adige

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È C« D - L`Adige
Cultura e Società
l'Adige
IL RICORDO
Vent’anni
dalla morte
giovedì 26 luglio 2012
9
Socialista e laico,
al centro metteva
il lettore, non solo
la notizia. L’impronta
nei più importanti
«media» regionali
Agostini,
giornalista
galantuomo
RENZO M. GROSSELLI
È
stato certamente il
giornalista trentino
più benvoluto e
stimato del secondo
dopoguerra. Ma
molti affermano tout court
che è stato il più grande
giornalista trentino di quel
periodo. Lavorò a «l’Adige» e
«Alto Adige», fu
caporedattore della sede
regionale Rai di Bolzano,
quindi direttore de «l’Adige»
dal 1987 al 1990. Ma
collaborò anche, con Sergio
Zavoli, a trasmissioni
televisive nazionali come Tg7
e per decenni ricoprì
incarichi di massimo livello
nelle organizzazioni
giornalistiche nazionali e
locali, dalla Federazione
nazionale della stampa al
sindacato trentino. Piero
Agostini venne a mancare, al
sul suo posto di lavoro, nella
redazione del giornale che
allora dirigeva, «Brescia
Oggi», vent’anni fa: nella notte
tra il 25 e il 26 luglio del 1992.
Vogliamo ricordarlo col figlio,
Angelo Agostini, editorialista
de «l’Adige» e docente di
«Teorie e tecniche del
linguaggio giornalistico»
all’Università Uilm di Milano.
Il più grande giornalista
trentino della seconda parte del
Novecento?
«Sono suo figlio, mi trovo in imbarazzo...».
Ma lei è uno studioso di giornalismo.
«Le classifiche non mi piacciono: di sicuro posso dirle che
mio padre ha avuto una proiezione nazionale che pochi altri
hanno avuto. Ma c’è anche
qualcuno che l’ha avuta. Diciamo così: astraendomi dalla figura di figlio e giudicando in
senso tecnico, posso dire che
mio padre è riuscito a passare
attraverso tutti i mezzi di comunicazione che erano a disposizione in quel tempo: radio, televisione, quotidiani, periodici
e libri. È riuscito a fare il cronista, il direttore, lo storico e per
tanti anni anche il sindacalista.
Della professione che c’era al
tempo suo, lui ha fatto tutto e
gli è riuscito bene tutto.
Molti ricordano lo stile, l’approccio deontologico, la stringente
moralità di suo padre. Lavorò comunque in tutti i grandi organi di
informazione di lingua italiana
della regione, che al tempo avevano impostazioni ideologiche diverse. Un uomo per tutte le stagioni?
«No, mio padre non è stato affatto un uomo per tutte le stagioni, ha vissuto la sua stagione, ed ha portato la sua stagione in tutti le testate in cui è stato».
Si può definire la traiettoria di
Piero Agostini come quella di un
«giornalista etico»?
«Assolutamente sì! Era etico. Mi
piace ricordare una frase che
aveva scritto Laura Mezzanotte il giorno dopo la sua morte
proprio su “l’Adige”: “Piero Agostini ci ha insegnato ad imparare a riconoscere la linea sottile che distingue la volgarità
dalla vita”. Nel suo lavoro questa attenzione nei confronti delle persone e della loro dignità,
che entrano sempre nelle noti-
UN’EPOCA
Piero Agostini, nella foto
in basso nel 1988 con
l’editore de «l’Adige»
Francesco Gelmi di Caporiacco
e l’amministratore delegato
Luciano Paris, è stato un uomo
e un professionista che ha
segnato un’intera epoca del
giornalismo in Trentino:
ha lavorato nei quotidiani,
per la radio e per la
televisione, anche nazionale
zie e nelle storie che i giornalisti raccontano, c’è stata sempre».
Non solo il rispetto massimo del
lettore, anche le «battaglie giuste», senza guardare in faccia il
principe, chiunque fosse.
«Non c’è alcun dubbio. A me
piace ricordare le battaglie portate avanti da mio padre sulle
pagine dell’”Adige”. Ma in questo senso voglio anche ricordare la sua uscita da “l’Adige”. Mio
padre aveva una visione diversa da quella dell’editore in quel
momento, voleva puntare sulla redazione piuttosto che sul
prodotto. Quando ha capito
che non poteva farlo, ha preso
su e se n’è andato. E così ha fatto anche a “Brescia Oggi”, dove è morto, ma dove aveva già
dato le dimissioni da direttore».
Piero era un socialista e un laico.
In un trentino cattolico e democratico-cristiano.
«Mio padre era socialista, ma
di sinistra, era lombardiano e
non craxiano. Ed era sicuramente laico. Con un profondissimo rispetto delle istituzioni
e con un senso del dovere incredibile. Ci pensavo ieri: oggi
tu a un figlio devi spiegare ciò
che deve o non deve fare. Per
mio padre era inconcepibile, diceva: “È nient’altro che un terzo del tuo dovere”».
Socialista e laico in un Trentino
dominato dalla Democrazia Cristiana e in una regione in cui comunque i partiti di radice cattolica raccoglievano maggioranze
quasi bulgare.
«C
redo che questa presenza
socialista e
laica in Trentino ci sia
sempre stata, pensi a Cesare
Battisti. Leggevo un pezzo di
papà del 1980, parlava di Servilio Cavazzani, il vecchio editore dell’”Alto Adige”: asseriva
proprio che quell’uomo rappresentava questa caratteristica
peculiare del Trentino. Una for-
tissima presenza popolare e
cattolica e una irriducibile presenza laica e socialista. Che fa
parte pienamente della storia
e della cultura del Trentino».
Grande conoscitore della vicina
provincia di Bolzano e studioso
dei problemi della convivenza etnica, Piero Agostini guarderebbe con tristezza a come è stata ridotta la Regione Trentino-Alto
Adige.
«Papà è andato a Bolzano nel
1975 e aveva già iniziato da
Trento sull’”Alto Adige”, a scriverne: c’erano state le prime
bombe, i primi attentati. Si innamorò profondamente dell’Alto Adige e io sono convinto
che ciò sia avvenuto perché
I VICINI
Si innamorò
profondamente
dell’Alto Adige
Perché è una terra
di incrocio di culture
Ma proprio come lo era
anche il suo Trentino
l’Alto Adige è una terra di incrocio di culture. Ma proprio come lo era ed è il Trentino. La cosa che affascinava di più mio
padre era il confronto tra pensieri differenti, tra culture diverse, atteggiamenti differenti.
Il confronto tra differenze. E una
delle sue convinzioni era che
questo confronto costituisce
un arricchimento per tutti».
Giornalista di grande fiuto ma anche giornalista d’inchiesta. Un
collega proprio ieri ricordava il
titolo una delle tante inchieste di
suo padre, sull’industrializzazione «velenosa» nella terra del Teroldego. Il titolo che gli aveva dato Piero era «Odor di mosto, odor
di ciminiere».
«Ha ragione. È stato anche un
giornalista d’inchiesta: sicuramente sui quotidiani ma anche
su certe riviste coraggiose fatte nei primi anni ’70 come “Il
Trentino”. La cosa che mi piace sottolineare però è che oltre
ad essere stato un buon cronista e un buon giornalista d’inchiesta, a me per esempio, a
tutti quelli che l’hanno letto, ha
dimostrato che il giornalista
non è soltanto quello che consuma la suola delle scarpe ma
è anche quello che si immerge
in un archivio. O sa farsi sommergere da una montagna di libri per andare a fondo di una
vicenda storica come fu per i
suoi libri «Trentino Provincia
del Reich» o quello che ricostruiva la storia di Mara Cagol
e delle prime Brigate Rosse:
cioè, giornalista d’inchiesta ma
anche giornalista di studio».
D
a quanto era dato capire a chi lo conosceva, suo padre amava
la famiglia. Ma non
c’era mai in famiglia
perché si vedeva sempre al giornale.
«Per carità di Dio! C’era anche
troppo, perché quando c’era
era bello ingombrante. A parte
le battute, certamente papà, come tutti i giornalisti che amano il loro lavoro e che lavorano
tanto, in casa non c’era molto
ma quando c’era si faceva certamente sentire».
Piero Agostini è morto sul lavoro.
(silenzio commosso). «Un grandissimo lavoratore, che non si
è mai risparmiato e che ha dato tutto alla professione, a quello in cui credeva. Ma le assicuro che sapeva anche coltivare
gli affetti e le relazioni extrafamiliari. Quello che continua a
stupirmi ancora oggi, dopo vent’anni, è l’incontrare gente che
lo ha conosciuto e che si dilunga sulle qualità, sulla profondità del suo saper essere amico».
UNA VITA SEMPRE «DENTRO» I FATTI
iero Agostini nasce a Trento nel 1934. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Rovereto dove, da studente liceale, esordisce come giornalista su «l’Adige».
Non ancora ventenne entra all’«Alto Adige» e ci rimane per
quattordici anni, prima a Trento poi a Bolzano e quindi
per vent’anni alla sede regionale della Rai. Lì diventa caporedattore della sede altoatesina, lavora per la «rivoluzionaria» trasmissione «Tv7» con Sergio Zavoli, è autore di
speciali e dossier per il Tg1 e il Tg2. Tra il 1979 e il 1983
è prima segretario, poi presidente della Federazione nazionale della Stampa, dopo essere stato a lungo segretario del
Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige, che aveva contribuito a fondare nel 1972. Commentatore per alcuni anni del «Messaggero», nel marzo del 1987 prende la
direzione de «l’Adige» (che poco tempo dopo trasferirà i
suoi uffici nella nuova sede collinare a Muralta). Il 1 marzo 1988 assiste, con tutto lo staff tecnico, giornalistico e
amministrativo, alla nascita del «tabloid», il formato più
piccolo e compatto dei quotidiani del tempo. Agostini lascerà «l’Adige» due anni dopo, nel giugno del 1990. Nello
stesso anno assume la direzione di «BresciaOggi». Un infarto se lo porta via proprio al giornale, nella notte tra il
25 e il 26 luglio 1992, dopo avere chiuso l’ultima edizione
in tipografia. Sposato con Maria Turra, ha avuto quattro
figli.
Tra i suoi lavori, oltre a numerosi scritti su riviste, saggi
e contributi a volumi collettivi: «Trentino provincia del
Reich», Trento, Edizioni Temi, 1975; «Mara Cagol. Una donna nelle prime Brigate Rosse», Trento-Venezia, Edizioni Marsilio - Temi, 1980; «Alto Adige. La convivenza rinviata», Bolzano, Praxis 3, 1985; (con Alessandra Zendron) «Quarant’anni tra Roma e Vienna», Torino, Eri, 1987.
P
LA RASSEGNA. Da oggi gli incontri per «Trentino d’Autore»
Scrittori allo scoperto a Comano
DENISE ROCCA
D
ieci appuntamenti con libri e autori: torna
la rassegna letteraria «Trentino d’Autore»,
alle Terme di Comano, a partire da oggi con
lo scrittore Carmine Abate e il suo «La collina del
vento», la saga di una famiglia calabrese, uno
sguardo ai soprusi dei latifondisti prima, della
mafia dopo e infine dei «Signori del Vento» che
vogliono riempire le colline dell’alto corleonese
di pale per l’eolico. Dalla Calabria al Cile di
Augusto Pinochet nel libro di Emilio Barabarani
«Chi ha ucciso Lumi Videla» (1 agosto), giovane
consigliere a Santiago, testimone della
trasformazione del piccolo spazio
dell’ambasciata nell’unica via di fuga per
centinaia di persone ricercate dalla polizia
segreta cilena. Chi uccise la dissidente di sinistra
Lumi Videla, ritrovata nei giardini
dell’ambasciata? Sembra una spy story, fu
drammatica realtà. Il 4 agosto, Maddalena
Rostagno ci riporta in Italia, con «Il suono di una
mano sola» sulle orme del padre giornalista
Mauro Rostagno e il processo sul suo omicidio
arrivato nel 2011, dopo 23 anni dai colpi di
pistola della mafia che lo uccisero in Sicilia. Un
titolo che è anche un invito, «Toglietevelo dalla
testa» (6 agosto), il libro del giornalista Riccardo
Staglianò sul torbido dilemma della presunta
tossicità dei cellulari e la difesa delle lobby
impegnate a salvaguardare un business
milionario. Il 9 agosto Francesca Melandri presenta
«Più alto del mare»: un tuffo nei drammatici anni
‘70, nelle vite dei parenti dei reclusi, puniti con
l’ostracismo per quei loro congiunti imprigionati
all’Asinara. L’11 agosto Veronica Pivetti parla, non
senza ironia, di depressione, la sua. Stesso tema,
sguardo diverso, quello del venticinquenne
nascosto dietro allo pseudonimo di Red Arnold e
il suo «Il profumo del silenzio» (17 agosto) che
per superare il male di vivere, vagabonda alla
scoperta di un mondo capace di rivelargli chi è.
«Cittadini a metà» (20 agosto) di Chiara Saraceno,
sono quegli italiani, derubati di alcuni diritti:
l’uguaglianza per le donne e il lavoro per i
giovani, per citarne due, eppure - seppur
debolmente - continuano a far sentire la loro
voce. Marco Malvadi (24 agosto) presenta le
avventure dei quattro pensionati detective in «La
carta più alta». Chiude il giornalista del «Fatto»
Marco Travaglio, il 31 agosto, con il suo
ponderoso e quasi «maniacale» resoconto storico
«Mani pulite. La vera storia-20anni dopo».