eugenio fresi: un amico, un maestro, un ecologo a 360 gradi
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eugenio fresi: un amico, un maestro, un ecologo a 360 gradi
Biol. Mar. Mediterr. (2011), 18 (1): 217-220 M. Scardi Dipartimento di Biologia, Università di Roma Tor Vergata, Via della Ricerca Scientifica - 00133 Roma, Italia. [email protected] EUGENIO FRESI: UN AMICO, UN MAESTRO, UN ECOLOGO A 360 GRADI EUGENIO FRESI: A TRUE FRIEND, A MENTOR, AN ALL ROUND ECOLOGIST Abstract - Eugenio Fresi has been an all round ecologist, perfectly at ease in his scientific work as well as in professional, commercial and institutional activities. As a scientist, he did not care about indices measuring his productivity, but played a unique role in stimulating new projects and ideas, and fostering young ecologists. He favored the start up of SMEs in the environmental business and actively supported them. He also played a central role in most of the activities that the Italian Ministry of the Environment and the Coast Guard have been carrying out at sea during the last 20 years. His friends and students mourn his loss, but are also fully committed to passing what he left to a new generation of ecologists. Sono passati, al momento di scrivere queste righe, quasi sei mesi da quando Eugenio ci ha lasciato. Ricordarlo adesso è dunque più facile, perché la vita ha stemperato le emozioni, e al tempo stesso più difficile, perché guardando indietro mi rendo conto di quanto profonde siano state le interazioni con lui e quanto complesse siano state le sue interazioni non soltanto con il mondo della ricerca istituzionale, ma anche con tanti altri soggetti che pure operano nella gestione dell’ambiente e del mare in particolare. Eugenio, infatti, non si è rapportato soltanto con il mondo della ricerca, ma anche con quello professionale e delle imprese, ed ha sempre dialogato con amministrazioni pubbliche e stakeholders: insomma, è stato un professionista dell’ecologia a tutto tondo e non soltanto un ricercatore. La sua forza, in questo, è stata quella di essere sempre prodigo con tutti di spunti e di idee. Idee a volte anche polemiche, ma mai - in nessun caso - banali. In un contesto prettamente scientifico sapeva prendere la scena in ogni momento, non perché fosse il più autorevole sempre e comunque, su ogni argomento, ma perché aveva sempre le opinioni più interessanti e meno scontate da mettere sul tavolo della discussione. É così che lo ricordano quelli che l’hanno conosciuto fra gli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80, ed è così che l’ho conosciuto anch’io, quando, ad esempio, cercava di spiegarmi cosa mai facesse di magico ai miei dati un’Analisi delle Componenti Principali. Io annuivo come se già avessi capito tutto, anche se in realtà ci avrei messo ancora dieci anni, ma mi sentivo attratto dalla quantità di cose da capire, di problemi da affrontare, di libri e di lavori da leggere e da scrivere. Da quelle prime esperienze con Eugenio, soprattutto in merito allo studio del macrozoobenthos dei porti (Fresi et al., 1983, 1984) ho imparato tantissimo, ma soprattutto ho imparato che un ecologo non è solo uno che conosce la tassonomia di questo o di quel gruppo o che passa la sua vita in un laboratorio, ma qualcuno che aspira – un giorno – a dirigere l’orchestra, come il nostro amava ripetere. Ed è proprio il ruolo generalista dell’ecologo, la possibilità, anzi, la necessità di agire orizzontalmente in diversi ambiti disciplinari, l’insegnamento di Eugenio a cui tengo di più. Con me come con tanti altri, però, Eugenio è stato soprattutto un dispensatore di idee, di materiale da leggere, di piccole e grandi sfide da affrontare insieme. Molti ricordano il mitico Olivetti P6060 a cui si davano in pasto i dati ricavati da tanto lavoro di campo e di microscopio, sperando che dalle sue elettroniche viscere e dalla 218 M. Scardi matita di Eugenio (sì, a quell’epoca non si stampava, si scriveva e si disegnava) emergesse una visione interpretabile di cenoclini e gradienti complessi. Qualcuno ha subito il fascino della cosa, ma se ne è tenuto a rispettosa distanza, altri – me compreso – si sono fatti irretire e davanti a quel P6060 hanno trascorso mesi ed anni di noviziato, cercando di penetrare i segreti dei riti che davanti ad esso si celebravano. Con l’aiuto e la guida di Eugenio, dopo qualche anno di pratica quei ‘riti’ sono diventati meno oscuri (Field et al., 1987) ed hanno poi indirizzato molto di quanto ho fatto da allora. Malgrado il suo interesse per la ricerca, Eugenio non è mai stato il tipo di persona che corresse appresso all’h-index o ai suoi precursori, mentre ciò che lo affascinava realmente era la possibilità di agire in senso ‘orizzontale’, coniugando intorno ad un problema le istanze e le competenze più diverse. Eugenio è stato uno dei primi a credere nella possibilità di fare ricerca e al tempo stesso impresa, stimolando la nascita di realtà che ancora operano con successo, dopo un quarto di secolo, nel mondo della ricerca cooperativa. Realtà che non sono nate e cresciute come subalterne alla ricerca pubblica, ma piuttosto come complementari e parallele ad essa. Grazie all’azione di stimolo e di garanzia che Eugenio ha sempre svolto, il volume di lavoro sviluppato dalla ricerca cooperativa è stato enorme, così come alti sono sempre stati gli standard qualitativi che Eugenio esigeva. Grazie alla sua azione in questo ambito, molti giovani ricercatori si sono formati ed hanno potuto trovare uno sbocco lavorativo, pur nelle difficoltà imposte da un sistema-ricerca che diventava sempre meno recettivo nei confronti delle nuove generazioni. Col suo trasferimento dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn all’università, prima a Sassari e poi a Roma, passando per Napoli, Eugenio ha fatto della didattica e della formazione la sua attività principale, ma senza mai perdere la capacità di instaurare con i suoi studenti quel ruolo di guida, di stimolo, ma anche di complicità, che esercitava più come un fratello maggiore che come un docente. É così che lo ricordo io stesso, ed è così che lo ricordano i tanti che hanno lavorato con lui alla loro tesi di laurea o di dottorato e che oggi portano la sua piccola grande eredità umana e culturale negli istituti, nelle società o nelle amministrazioni in cui lavorano. Questa atmosfera l’ho vissuta da studente, da amico e da collega senza soluzione di continuità, ed in questa atmosfera, spero, potranno continuare a vivere anche i miei studenti, che - mi piace pensare - saranno sempre e comunque un po’ anche gli studenti di Eugenio. Con un sempre maggior impegno verso la didattica, ma anche verso l’attività professionale e la collaborazione con le Istituzioni, la produzione scientifica di Eugenio si è via via diradata, ma non si sono diradate, per mia fortuna, le chiacchierate con lui sui temi della mia attività di ricerca. Se c’era un’idea o un progetto da sviluppare, anche senza che Eugenio ne fosse parte attiva, era certamente lui la prima persona con cui mi sono sempre confrontato, ed era sempre lui la persona più contenta di qualsiasi sviluppo positivo ne potesse derivare. In quanti casi è capitato che lo volessi fra gli autori di un lavoro per il suo contributo in termini di idee o di brainstorming e che lui non ne volesse sapere, dicendo che non aveva fatto niente di concreto? Io non li conto, ma per fortuna qualche volta – anche agendo d’arbitrio – ci sono riuscito (Di Dato et al., 2001; Scardi et al., 2006, 2008). Già dall’inizio degli anni ’90 Eugenio ha interagito costantemente con il Ministero dell’Ambiente nell’ambito delle azioni che quest’ultimo ha svolto in mare o per il mare. Ad esempio, ha contribuito in maniera non marginale all’organizzazione ed al lancio del programma di Monitoraggio Costiero, che - con tutti i suoi limiti è ancora uno dei pochissimi fiori all’occhiello delle politiche ambientali del nostro Paese. Nell’alveo della collaborazione di Eugenio con le Istituzioni che hanno competenze sul mare si era recentemente inserita anche la sua sempre più intensa Eugenio Fresi: un amico, un maestro, un ecologo a 360 gradi 219 attività presso l’Accademia Navale di Livorno e, in particolare, quella a supporto del Corpo delle Capitanerie di Porto, per il quale Eugenio aveva iniziato tracciare un percorso che avrebbe dovuto portare, nel medio termine, allo sviluppo di capacità operative autonome in campo scientifico e tecnico. Lo studio delle praterie di Posidonia oceanica è stato un tema centrale nel lavoro di Eugenio, prima da ricercatore, poi in un contesto più ampio, ma sempre nel segno dello sviluppo ‘orizzontale’ che caratterizzava le sue azioni. In quest’ambito, dopo anni di sperimentazione su scala più ridotta, nel 2004 Eugenio è riuscito a realizzare a Santa Marinella il più grande progetto di trapianto di Posidonia mai eseguito. Il trapianto fu prescritto del Ministero dell’Ambiente, come misura compensativa della distruzione di una vasta area della prateria della Mattonara, poco a nord di Civitavecchia, resasi necessaria per l’ampliamento dell’area portuale. I risultati ottenuti, pur tra lo scetticismo di alcuni e le molte difficoltà di una prima assoluta su scala così grande, sono andati molto al di là delle aspettative, con una sopravvivenza complessiva che dopo 4 anni ha superato il 100%, raddoppiando l’obiettivo di qualità del progetto. Tutto ciò pur a fronte della perdita di circa il 30% delle superfici trapiantate, causata da mareggiate di eccezionale intensità, che hanno causato danni anche alla prateria naturale. In questo contesto, Eugenio si è molto dispiaciuto per la posizione assunta da Greenpeace, che ha sostenuto, con un’eco garantita dalla consueta piaggeria mediatica, che il trapianto era fallito, adducendo come prova proprio l’esistenza delle zone danneggiate, malgrado tutto ciò fosse solo marginale e comunque puntualmente segnalato agli organi di controllo preposti. Le smentite, come sempre succede in questi casi, non hanno poi avuto un’eco comparabile a quella della ‘notizia’. Malgrado ciò, le esperienze di trapianto sono tutt’altro che finite ed i risultati, con l’affinamento della tecnica impiegata, vanno sempre migliorando. Di questo, Eugenio sarebbe orgoglioso. Negli ultimi due decenni Eugenio ha avuto rapporti a volte apparentemente distaccati nei confronti della comunità scientifica nazionale nel campo della biologia marina ed anche, come conseguenza, della Società scientifica che la rappresenta. Essendo stato sempre a stretto contatto con lui, posso però affermare che, se ciò è avvenuto, non è stato mai per disaffezione, quanto piuttosto per la sua tendenza a guardare sempre oltre, ad allargare il giro delle relazioni, a voltare pagina. In realtà, so che poche cose gli facevano più piacere che ritrovare colleghi ed amici che conosceva da così tanto tempo, e ciò che mi ha raccontato dopo una sua visita al recente congresso SIBM di Livorno me lo ha confermato ancora una volta. Dopo aver condiviso con Eugenio 35 anni di lavoro e di vita quotidiana, potrei dire di aver perso molto con la sua scomparsa, tanto prematura quanto inaspettata. Potrei pensare a quanto ancora Eugenio avrebbe potuto dare a me e a tanti altri, nel costante confronto sulle piccole cose e sui grandi progetti. Potrei pensare a quante volte, ancora adesso, mi viene l’impulso di prendere il telefono e chiamarlo per discutere di qualche problema. Potrei pensare, insomma, a quanto è viva e vera la sua mancanza. Però, pensandoci ancora una volta, mi sembra più giusto considerare invece quanto ho avuto da lui e quanto tutto ciò ha arricchito il bagaglio che a mia volta cercherò di passare ad altri. In fondo, Eugenio ha sempre guardato avanti nella vita, anche quando sapeva che non gliene rimaneva molta, e sono sicuro che è questa la prospettiva che più avrebbe apprezzato. Bibliografia DI DATO P., FRESI E., SCARDI M. (2001) - A new analysis of the A. Vatova’s Adriatic Sea data set (1934-36): classification of the macrozoobenthic communities. In: Faranda F.M., Guglielmo L., Spezie G. (eds), Mediterranean Ecosystems: Structures and Processes. 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