Scarica la pagina in formato

Transcript

Scarica la pagina in formato
 LIBRI 
Un palazzinaro
sulla soglia di un amore
imprevisto
avide è un 35enne bello, viziato, abituato ad
D
Fabio Bartolomei
La grazia
del demolitore
Edizioni e/o 2016
280 pagine, 18 euro
avere tutto e subito: donne, soldi, successo.
Lo governa «un processo mentale che nel
suo caso ha sempre avuto l’algida logicità dei sistemi binari: ti piace-prendilo». Ma all’improvviso, per caso, rimane impigliato sul pianerottolo di
un palazzo in Ursula, «ragazza con occhiali scuri,
cane guida al fianco e bastone bianco in mano», e
nel suo mondo parallelo «lontano dal suo nel quale imperano gli odori, i suoni». Lei è diventata cieca a sette anni, lavora part-time in un call center e
si appiglia a poche certezze: l’amica Loredana, il labrador Bau che a sua volta
ha perso la vista a causa
del diabete, un appartamento di cui conosce ogni
centimetro, il capolinea
dell’autobus sotto il suo
ufficio. Attorno a questo
incontro imprevisto e destabilizzante si dipanano
con ritmo cinematografico le pagine del quinto romanzo di Fabio Bartolomei pubblicato da e/o, La
grazia del demolitore, ispirato al cortometraggio
Interno 9, scritto per la regia di Davide Del Degan,
vincitore del Globo d’Oro 2004.
L’ossimoro contenuto nel titolo suggerisce la
metamorfosi di Davide, costruttore alle prime armi, che inizia a spiare Ursula e se ne innamora
platonicamente, passando all’atto in modo indiretto: invece di procedere con la distruzione del
palazzo in cui la donna abita, opta per una ristrutturazione radicale, che renda accessibile
ogni angolo del circondario e del quartiere, perché lei possa muoversi agevolmente. Marciapiedi
disconnessi si trasformano allora in vie praticabili, mentre compaiono targhe scritte in Braille
all’ingresso del parco e fioriere odorose intorno
SuperAbile INAIL
allo stabile. L’amore non dichiarato si dissemina
in tanti gesti che parlano, più che di accessibilità raggiunta e capace di generare sorrisi sorpresi,
della scoperta da parte di Davide di uscire da se
stesso, dai suoi desideri autoreferenziali, per mettersi nei panni di Ursula, cercando di intercettare
le sue esigenze e di facilitare per quanto possibile
la sua quotidianità. Lei, un po’ ruvida e con un vocione mascolino, non suscita pietà nel lettore, ma
ammirazione per la sua forza nell’accettare un deficit acquisito nell’infanzia: non permette alla cecità di schermare il suo rapporto con gli altri, con
il mondo circostante.
È Davide, all’inizio goffamente, poi con delicatezza, ad accostarsi in incognito a Ursula, nel
tentativo di carpirne il fascino. Passa da gesti di
cortesia non graditi, dall’ebbrezza di essere invisibile esercitando il controllo su di lei («prove
di divinità», le definisce
l’autore), alla volontà di
scomparire per fare spazio a lei, alla sua «mappa fatta di materie, odori
e rumori», restituendole punti di riferimento
che non la facciano sentire «isolata dal mondo,
intrappolata in un vuoto ostile». La mancata
demolizione del palazzo in cui abita l’inquilina
cieca, dunque, diventa metafora di una ristrutturazione dell’io del protagonista, di una ricostruzione di sé a partire da altri valori e punti
di riferimento esistenziali. Diversi dall’arrivismo
cinico di suo padre, dalla finta svagatezza della
madre. Sembra quasi che dai suoi occhi cada un
velo per lasciare spazio a una consapevolezza inedita: «Rendere percorribile un isolato, un altro,
un altro ancora, poi la città intera e infine tutto il
pianeta è il magnifico delirio che ogni notte accoglie il corpo stanco di Davide, che lo ristora all’istante e lo fa saltare giù dal letto poche ore dopo
essersi sdraiato per estendere il suo progetto, per
regalare a Ursula altre porzioni di mondo». Interventi che spingono «le persone a comportamenti
più rispettosi». [L.B.]
31 Novembre 2016