Giugno 2016 - C.A.I Valdarno Superiore

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Giugno 2016 - C.A.I Valdarno Superiore
QMDF n° 2 – Giugno 2016—CLUB ALPINO ITALIANO – Sez. VALDARNO SUPERIORE Montevarchi (Ar)- Pag. 1
Giugno 2016 - Anno 14° - Num. 2- Notiziario Trimestrale della Sezione Valdarno Superiore del Club Alpino Italiano—Autorizz. del Trib. di Arezzo n. 12/2001 - Spedizione in A.P.
Tariffe stampe Periodiche Articolo10 DL n.159/2007 conv. L. n. 222/2007 - DC/DCI/125/ SP del 06/02/2002 AREZZO
CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Valdarno Superiore—Via Cennano, 105 – 52025 MONTEVARCHI (AR)
Tel./Fax 055900682 – Mobile 3425316802 - [email protected] – ww.caivaldarnosuperiore.it
IN QUESTO NUMERO:
In copertina La croce sulla sommità del Monte Cetona
Gli Aminoacidi Essenziali
di Elio Barbuti
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pag. 3
Aspetti geomorfologici del Monte Cetona
di Mario Morellini, Augusto De Bellis e Federico Formiani 
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Indice di Calore e Temperatura Apparente in una calda giornata di luglio
Di Vannetto Vannini 
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pag. 8
Le Rose Di Sandra
Di Pina Daniele Di Costanzo  
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pag. 11
I Narcisi
Di Vannetto Vannini 
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pag. 13
Parole difficili in Meteorologia
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pag. 15
Alpinità: Una nuova parola di montagna nel nostro linguaggio?
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pag. 16
Escursione ad anello su Monte Cocollo
Testo e foto di Vannetto Vannini
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pag. 18
Le ricette di Daniela
Di Daniela Venturi
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pag. 22
Il Regno dei Fanes
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pag. 23
(Ri) Conoscere i Funghi
Di Vincenzo Monda
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pag. 24
Il Direttore Responsabile di qualsiasi rivista, anche di poco conto come quelle ufficiali delle sezioni CAI deve fare di
tutto per creare una squadra i cui componenti, fuori o dentro la redazione, sappiano trattare con competenza argomenti e tematiche importanti per la realizzazione, in questo caso, del nostro “Quel
mazzolin di fiori”. L’acquisizione, dopo quella del naturalista Mario Morellini, di una
firma importante come il prof. Elio Barbuti, nostro socio e uno dei componenti affezionati del gruppo “Quelli del martedì”, va in questo senso. Elio, laureato in Scienze Naturali e a suo tempo insegnante al Liceo Scientifico di Montevarchi, è un socio molto conosciuto nel nostro CAI e apprezzato per le sue qualità di studioso e di uomo, la cui collaborazione con la nostra rivista sezionale di certo ne alzerà il livello di qualità.
Il Direttore Responsabile
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GLI AMINOACIDI ESSENZIALI
Le proteine sono grandi biomolecole o macromolecole, costituite da una o più lunghe catene
amminoacidiche, gli aminoacidi presenti nelle proteine dell’organismo, codificati nel DNA, sono 20 e si dividono in
due grandi categorie:

Gli aminoacidi essenziali, che non vengono sintetizzati dall’organismo umano ma sono assimilabili esclusivamente grazie all’alimentazione sono: lisina, tripofano, leucina, isoleucina, fenilalanina, treonina, metionina,
istidina e valina.

Gli aminoacidi non essenziali, quelli che l’organismo produce in base al proprio bisogno sono: cisteina, alanina, arginina, acido aspartico, glutammato, tirosina, glicina, prolina, istidina, serina, asparagina.
La maggior parte dei microorganismi e delle piante possono sintetizzare tutti e 20 gli amminoacidi standard, mentre
gli animali devono ottenere alcuni di essi con la dieta (anche nell’uomo). Gli amminoacidi che l'organismo non può
sintetizzare sono detti amminoacidi essenziali. Ogni giorno rinnoviamo circa il 2,5% della nostra riserva di proteine.
Ecco perché, dato che il corpo non fa scorte di proteine, l'alimentazione quotidiana deve fornire una quantità di
proteine almeno equivalente a quella che bruciamo. Altrimenti c’è il rischio di alterazioni ai muscoli e agli organi.
Come detto gli aminoacidi non essenziali vengono sintetizzati direttamente dall’organismo, mentre quelli essenziali
devono essere introdotti con l’alimentazione. Essi sono indispensabili all’uomo per cui è necessario che una dieta
corretta preveda il giusto apporto di proteine. Le proteine più complete o nobili, che contengono tutti gli aminoacidi essenziali in quantità e in rapporti equilibrati si trovano in alimenti di origine animale quali carne, pesce, uova,
formaggi, mentre gli alimenti di origine vegetale contengono proteine incomplete in quanto carenti di alcuni aminoacidi essenziali. Queste proteine incomplete devono quindi essere necessariamente combinate con altri alimenti
per fornire tutti i nutrienti essenziali per l’organismo. La carenza di proteine può provocare un indebolimento delle
difese immunitarie e alterazioni di molte reazioni biologiche che avvengono nel nostro organismo.
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Dieta vegetariana: le
persone che seguono
diete vegetariane con
abolizione completa di
carne, pesce, uova e
latte devono assumere
integratori contenenti
vitamina B12 o alimenti addizionati (cereali
arricchiti con vitamina
B12) per evitare di sviluppare una ipovitaminosi. I bambini allattati
da donne che seguono
una dieta vegetariana
stretta
(es.
dieta
“vegana“) sono particolarmente a rischio di
andare incontro a carenza di vitamina B12
entro pochi mesi dalla
nascita con conseguenze severe sullo sviluppo fisico e neurologico.
Dieta mediterranea: Le caratteristiche della dieta mediterranea sono: abbondanti alimenti di origine vegetale
(frutta, verdura, ortaggi, pane e cereali (soprattutto integrali), patate, fagioli e altri legumi, noci, semi), freschi, al
naturale, di stagione, di origine locale; frutta fresca come dessert giornaliero, dolci contenenti zuccheri raffinati o
miele poche volte la settimana; olio di oliva come principale fonte di grassi; latticini (principalmente formaggi e yogurt) consumati giornalmente in modesta-moderata quantità; pesce e pollame consumato in quantità modestamoderata; da zero a quattro uova la settimana; carni rosse in modesta quantità; vino consumato in quantità modesta-moderata, generalmente durante il pasto.
Elio Barbuti
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ASPETTI GEOMORFOLOGICI DEL MONTE
CETONA
La storia geologica del Monte
Cetona è la stessa dell’Appennino Settentrionale. Fra l’Oligocene superiore e il Tortoniano
superiore (da 27 a 8 milioni di
anni fa), a causa di processi
connessi con la collisione fra la
pacca europea e quella africana, iniziò l’orogenesi della catena appenninica. Questa provocò il sovrapporsi delle liguridi
(complesso di unità tettoniche
alloctone originatesi sulla crosta oceanica) sulla successione
toscana. Le prove di questa sovrapposizione sono molto evidenti nell’area del Monte Cetona, visto che le si possono ritrovare sovrapposte. Dal Tortoniano una nuova fase tettonica iniziò ad interessare la
Toscana Meridionale. Il Monte Cetona è il rilievo più elevato e meridionale di una dorsale che si allunga in direzione
N/NW-S/SE da Rapolano fino al Monte Cetona stesso. Questa è caratterizzata da una piega anticlinale rovesciata,
vergente ad Est, con al nucleo le rocce più antiche che risalgono al Trias superiore (225-205 milioni di anni fa). La
dorsale mesozoico - terziaria di successione toscana del Monte Cetona è costituita da rocce calcaree di origine marina circondate da sedimenti del Pliocene (2-5 milioni di anni fa), costituiti da sabbie, ghiaie ed argille con abbondante documentazione fossilifera di molluschi marini terziari. Circa tre milioni di anni fa, il Monte Cetona era un’isola separata dall’Appennino dalla depressione dell’odierna Valdichiana. In letteratura sono noti anche resti di vertebrati fossili marini, come testimoniano le recenti scoperte di cetacei fossili nell’area di Allerona (la prima nel 2003 e
la seconda nel giugno 2007). Dato che la successione degli strati rocciosi è rovesciata, le rocce più antiche si trovano
sulla cima del M. Cetona (Formazione delle Anidriti di Burano e Formazione del Monte Cetona) Le Anidriti di Burano
sono presenti in tutto l’appennino settentrionale, e si trovano in affioramento fino all’Umbria e in sondaggio nelle
Marche. Questa formazione è definita nel sondaggio AGIP di Burano (Pozzo BURANO 1), nell’Appennino umbromarchigiano (Martinis & Pieri, 1964) e ridefinita per età e caratteri
litostratigrafici in tutto l’Appennino settentrionale (Ciarapica e al.
1986). In affioramento, è costituita da alternanze di banchi metrici di
dolomie scure a cellette (Calcare Cavernoso), la cui origine è molto
discussa). Le strutture sedimentarie originarie sono state distrutte
durante la diagenesi, a causa delle continue trasformazioni dei solfati
(gesso-anidrite). Ciò che si può adesso osservare è rappresentato da
strutture legate a processi di diagenesi tardiva e tettonica (Ciarapica
e al. 1986). La genesi delle Anidriti di Burano è stata riferita ad un
ambiente di piattaforma carbonatico-evaporitica tipo sabkha (Passeri
1974) con piane tidali e bacini costieri. La formazione del M. Cetona,
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che in passato era denominata “Calcari a Rhaetavicula
contorta”, attualmente è
stata definita sulla cresta del
Monte Cetona, dove affiora
la serie-tipo. Nella parte inferiore è costituita da un’alternanza di calcari e marne
in strati decimetrici, nella
parte superiore prevalgono,
invece, i calcari. I banchi calcarei sono oolitici, cioè costituiti da ooidi, granuli carbonatici sferici di taglia arenitica, formati da lamine concentriche. I livelli fossiliferi
sono caratterizzati da lumachelle di lamellibranchi e
sono diffusi in tutta la formazione (nella parte alta sono
presenti anche bivalvi megalodonti). Il passaggio alle Anidriti di Burano è marcato da banchi di brecce sindeposizionali, mentre il passaggio al sovrastante Calcare Massiccio è contrassegnato da banchi oolitici. Il paleo ambiente della
formazione, interpretato in base agli studi condotti su strutture sedimentarie ed associazioni fossilifere, è un bacino
di debole profondità con sporadiche emersioni e condizioni generalmente di cattiva ossigenazione dei fondali in clima caldo umido (Ciarapica et al. 1986). Scendendo di quota sul lato orientale della montagna si incontrano rocce
sempre più recenti. La formazione più giovane, il Macigno del Chianti (formazione turbiditica, cioè formatasi dalla
sedimentazione del materiale trasportato da acqua torbida), che nell’area più a nord è presente al tetto della successione con alcune migliaia di metri di spessore (Costantini et al. 1993). Il Monte Cetona è noto ai paleontologici
già da due secoli, infatti i suoi ammonniti sono stati figurati da De Stefani nel 1886, Canavari nel 1888 e Bonarelli nel
1899. Un sito fossilifero molto interessante è situato presso una cava abbandonata in località Cancelli. La quale è
stata rilevata da Venturi e Nannarone nel 2002. La successione stratigrafica della cava, siccome è rovesciata, è rappresentata in basso da Calcare Massiccio (Hettangiano), Calcari con selce (Hettangiano superiore), Calcari encrinitici,
Rosso Ammonitico toscano (Sinemuriano Carixiano), Calacri selciferi (Domeriano), Marne a Posidonia (Toarciano).
Lo spessore dei calcari encrinitici è di circa 12 m. e al loro interno sono stati trovati numerosi resti fossili di animali
marini. Le Encriniti sono rocce costituite per lo più da resti di crinoidi, animali marini a forma di giglio appartenenti
al gruppo degli echinodermi che possiedono un peduncolo con cui si attaccano al substrato, una teca e delle braccia.
Gli organi sono protetti da uno scheletro esterno calcareo costituito da placche, le quali generalmente sono articolate tranne che quelle della teca. I fossili più importanti sono gli ammoniti, che documentano il Sinemuriano inferiore
(circa 195 milioni di anni fa). Fra questi Venturi e Nannarone hanno identificato ammoniti che si possono proporre
come appartenti a due nuovi gruppi con ben 13 specie nuove. (Venturi e Nannarone, 2002). Per alcune di queste,
dato che sono satte descritte per la prima volta sul Monte Cetona, l’etmologia del genere viene da località dell’area
( Cancelliceras tenuicostatum; Oxidiscus; Saccaiceras ecc..) Gli ammoniti sono molluschi cefalopodi appartenenti alla
sottoclasse Ammonoidea che si sono estinti 65 milioni di anni fa. Il nome ammonite deriva da una antica leggenda
mitologica narrata da Plinio il Vecchio, la quale racconta che il Dio Bacco, mentre si dirigeva a combattere in India
attraverso il deserto libico fu colpito da una grande sete. Allora invocò l’aiuto del Dio Giove che gli si presentò sotto
forma di ariete (Giove ammone) per indicargli una fonte. In seguito fu eretta una statua in onore a Giove, la quale
aveva le corna d’Ariete. Quindi il nome Ammonite significa letteralmente corno di Ammone, per il fatto che possiedono forma plano-spiralata. Sul Monte Cetona si trovano modelli interni di ammoniti, cioè il risultato del riempimento del guscio della conchiglia di questi animali marini. Secondo studi recenti, gli ammoniti potevano avere abituQMDF n° 2 – Giugno 2016—CLUB ALPINO ITALIANO – Sez. VALDARNO SUPERIORE Montevarchi (Ar)- Pag. 6
dini simili a quelle delle attuali seppie e calamari ed essere in grado di effettuare rapidi scatti all’indietro mediante
la rapida espulsione di un getto d’acqua (Venturi e Ferri 2001). La conchiglia è, quindi, un cono allungato (e variamente arrotolato) divisibile in due parti (Venturi e Ferri 2001): una porzione settata chiamata fragmocono che inizia
con la protoconca o camera iniziale; e la camera di abitazione nella quale vive l’animale. La camera di abitazione è
chiusa, almeno per molti generi, da un opercolo, semplice o composto, detto aptico. Gli affioramenti argillosi
(chiamati localmente “crete”) e sabbiosi (noti erroneamente come “tufi” così diffusi nella nostra provincia tanto da
definire talvolta in modo repentino il paesaggio, hanno nel corso del tempo, restituito importanti vestigia di vertebrati marini.(risale al 2007 il rinvenimento di uno scheletro di cetaceo fossile nel territorio di Montalcino e a qualche anno fa la scoperta di un altro cetaceo nei dintorni di Allerona, vicinissimo al Cetona ) la cui qualità risulta assolutamente predominante rispetto al totale registrato in tutte le zone d’Italia (dato riportato nella pubblicazione
“L’Accademia dei Fisiocritici di Siena – Guida ai musei” - a cura di Giovanni Guasparri- Editoriale Don Chisciotte
1992). Parlando di vertebrati marini ci riferiamo in questo caso ai Pesci Selacei (squali e affini) ed ai Mammiferi Cetacei (balene e delfini) e Sirenidi (Dugonghi e Lamantini) Alcuni di questi resti sono conservati presso il museo di
storia naturale di Siena (Accademia dei Fisiocritici) nella Collezione Paleontologica, altri dispersi in vari musei e collezioni pubbliche e private. Per esempio, una specie di orca rinvenuta vicino a Cetona è conservata nel Museo Cappellini a Bologna. Invece un avanzo di rostro appartenente ad un cetaceo odontoceto- il gruppo a cui appartengono
delfini e capodogli – il “Mesoplodom longirostris”, descritto dal prof. Cappellini nel 1885 si trova presso il museo
senese. Sempre da San Casciano proviene una cassa timpanica ed un frammento mandibolare di un’altra specie di
cetaceo, la “Balaenula praediolemnsis”. Tutti e due i resti sono esposti nelle vetrine della collezione paleontologica
dei Fisiocritici. Più noti e diffusi sono però i fossili invertebrati, di cui i territori limitrofi alla zona di Belvedere sono
ricchi. Facciamo riferimento soprattutto all’area del Conicchio e Val d’Oro, ricche di argille e argille sabbiose, fossilifere risalenti al Pliocene Superiore. La zona piuttosto suggestiva, è interessata tutt’ora da frane e fenomeni erosivi
di vario genere che mettono talvolta allo scoperto magnifici esemplari fossili appartenenti soprattutto ai molluschi.
A cura di: Mario Morellini – Augusto de Bellis – Federico Formiani
...Quel Mazzolin di Fiori
Il nostro Web Magazine è aperto al contributo degli amici, dei soci, dei simpatizzanti e degli amanti della montagna
e delle escursioni. Se intendi partecipare condividendo con noi un tuo articolo, una foto, un racconto o comunque
un’emozione, saremo lieti di pubblicare il Tuo lavoro. Contattaci ad uno degli indirizzi seguenti:
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INDICE DI CALORE E TEMPERATURA APPARENTE IN
UNA CALDA GIORNATA DI LUGLIO
Praticare l’ambiente montano o di alta collina è uno degli svaghi più belli e gratificanti.
Fra l’altro l’escursionismo è una pratica non
competitiva e adatta a tutte le età, a meno
di essere afflitti da gravi malattie cardiache,
polmonari, motorie o essere fumatori incalliti. Camminare in montagna è poi un ottimo rimedio ai “malanni della civiltà” come
obesità, ipertensione, diabete, stress e una
sicura medicina per la mente e per lo spirito. Andando in escursione, soprattutto da
soli, siamo tutti consapevoli che possiamo
andare incontro a certi inconvenienti derivanti dai pericoli oggettivi, l’origine dei quali risiede esclusivamente nei fenomeni naturali legati alla montagna e quindi da ricondursi alle pure leggi della fisica e della
natura. In questo senso fattori decisivi sono
le condizioni ambientali della montagna
(roccia, neve, ghiaccio, condizioni meteo e
loro mutamenti come nebbia, bufera, temporale, fulmini) o brutti incontri con cinghiali, calabroni, vipere… e le uniche difese
contro questi inconvenienti sono l’addestramento alla osservazione e alla identificazione preventiva dei fenomeni naturali
per evitare situazioni potenzialmente molto pericolose. Teniamo sempre presente che, incontrata una vipera, è meglio
“renderla innocua” subito senza tanti scrupoli o problemi di coscienza, perché se lasciata andare, la stessa può morsicare dopo
un bambino con effetti letali, in quanto la pericolosità del veleno iniettato agisce in base al peso corporeo. L’osservazione e un
minimo di cultura meteo è importante; nel Giugno 1991,quando internet non esisteva e le previsioni atmosferiche erano solo
quelle del colonnello Bernacca, trovandoci due giorni a Riva del Garda, evitammo la Domenica un pauroso temporale di due ore
di fulmini osservando il sabato in un negozio di ottica un grafico riportante la pressione giornaliera settimanale del luogo, in base al quale decidemmo di fare il giorno dopo una variazione sostanziale dell’orario di inizio sulla Via ferrata del Centenario o
dell’Amicizia a Cima Sat e un cambiamento sul percorso del gruppo escursionistico. Pericoli soggettivi sono invece quei pericoli
la cui origine è insita nell’uomo, soprattutto nella sua debolezza psicofisica e quindi non adatto a frequentare certi ambienti o
condurre gruppi in certi luoghi e in certe condizioni, ma anche nella sopravvalutazione delle proprie capacità di orientamento e
osservazione e ignoranza delle regole fondamentali dell’escursionismo e della natura. Se nel nostro Giornalino, nel numero passato abbiamo messo a fuoco un pericolo oggettivo come il fenomeno dell’Windchill (raffreddamento da vento), in questo numero approssimandosi l’estate, verrà trattato” l’Indice di Calore insieme alla temperatura reale e apparente”, un pericolo oggettivo
meno pericoloso del precedente, ma pur sempre importante per chi vuol praticare un buon escursionismo consapevole. È diventato uso comune nei bollettini meteorologici dare accanto alla temperatura reale il valore della radiazione UV e il valore della temperatura apparente, provocata dall’umidità che aumenta nella persona la sensazione di calore. Qui entra in gioco “l’Indice
di calore” chiamato anche “Indice Humidex”, un parametro che forse ha bisogno di spiegazione più approfondita. In cosa consiste l’Indice di Calore? Il corpo umano gira bene solo quanto la temperatura interna è 36,5°/37° C e tale limite viene sempre rispettato anche in condizioni climatiche estreme sia di caldo che di freddo. Se una persona si trova in un ambiente con temperature torride o polari, il bilancio fra calore prodotto e calore disperso non si chiuderebbe alla pari, pertanto la temperatura corporea si allontana dai valori ottimali. Questo non avviene perché in queste situazioni entra prontamente in azione il “sistema di
regolazione corporeo” che adotta alcune contromisure allo scopo di mantenere la temperatura interna corporea in quella
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stretta fascia ottimale. In pratica il nostro corpo attiva in pochi secondi un complesso sistema di termoregolazione, così come
avviene nel termostato di casa quando la temperatura interna della nostra abitazione si discosta da quella impostata. Se così
non fosse, l’esposizione appena per qualche ora a temperature dell’aria superiori a 42°C o inferiori a 32°C ci esporrebbe al rischio di danni irreparabili e interverrebbe addirittura la morte a temperature al di sopra dei 43-44°C o al di sotto di 24/25°C. Il
prezioso e vigile termostato del corpo umano è nascosto in una zona profonda del cervello chiamata “Ipotalamo”. L’Ipotalamo
funziona proprio come un vero centro di controllo, difesa e coordinamento della temperatura corporea ed è qui che vengono
raccolte tutte le segnalazioni on line che giungono dalle varie parti del corpo. Poiché siamo in periodo estivo e si prevede una
gran calura, prendiamo in considerazione l’alta temperatura di una giornata di luglio. Quando il clima si fa insopportabilmente
afoso, i vasi sanguigni della pelle hanno l’ordine dall’ipotalamo di dilatarsi, perché la dilatazione è un accorgimento per aumentare la dispersione di calore corporeo nell’ambiente circostante. In queste condizioni la pelle diventa più ricca di sangue arterioso e quindi più calda. Per quella legge fisica la quale dice che il calore passa sempre dai corpi più caldi a quelli più freddi,
abbiamo che la quantità di calore disperso dall’epidermide nell’ aria è tanto maggiore quanto la temperatura cutanea supera
quella dell’ambiente. Quando questo processo di vasodilatazione diventa insufficiente, l’Ipotalamo richiede l’intervento delle
ghiandole sudorifere della pelle e inizia la fase di sudorazione, però l’abbassamento della temperatura corporea avviene solo
se il sudore evapora a spese del calore fornito dalla pelle (avvertimento brividi di freddo). Senza dubbio è questo un sistema
efficace, ma se questo estremo tentativo di difesa dalla calura dovesse fallire perché l’aria è tanto umida da non consentire
l’evaporazione del sudore o perché l’organismo ha finito le scorte d’acqua non adeguatamente reintegrate bevendo (ecco perché d’estate nelle nostre escursioni si deve portare molta acqua nello zaino!!!) allora la temperatura corporea tende ad aumentare rapidamente fino a raggiungere la fatidica, critica soglia di 42°C. Oltre questo limite il nostro cuore si arrende: sopraggiunge il collasso e in casi estremi il colpo di calore. Spero di aver fatto comprendere che la stabilità della temperatura corporea
è il risultato di un delicato, funambolico e acrobatico equilibrio tra calore disperso nell’ambiente circostante, calore interno
prodotto dalla nostra “centrale termica”, calore solare e, per temperature esterne superiori a 36°C calore ricevuto dall’aria.
Come in un sano bilancio termico industriale, anche in un corpo umano le entrate di calore devono essere in ogni momento
Temp.°C
20%
30%
Umidità relativa in % indicata nell’igrometro.
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50%
55%
60%
65%
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pari all’uscite termiche perché se così non fosse la nostra temperatura corporea si discosterebbe da quella tenue linea di demarcazione di 36,5 / 37°C necessaria al buon funzionamento del nostro corpo. Condizione essenziale per il raffreddamento della temperatura corporea è quindi l’evaporazione del sudore, perché in questa fase, per legge fisica una parte del calore corporeo è ceduto e serve per l’eliminazione del sudore sotto forma aeriforme attraverso l’epidermide. Eliminazione cutanea che
permette, attraverso un basso tasso di umidità atmosferica, un maggiore raffreddamento per evaporazione del sudore prodotto, operazione invece che è fortemente ostacolata da un forte tasso di umidità dell’aria, che non permettendo allora un
raffreddamento adeguato, in effetti è come se la temperatura esterna fosse superiore a quella che il termometro segna.
Grosso modo l’umidità dell’aria funziona come il coperchio in una pentola d’acqua messa a bollire. Esistono molti indici utilizzati
per stimare il disagio prodotto sul corpo umano dalle condizioni atmosferiche caldo umide e fra questi è stato scelto l’indice
Humidex sviluppato in Canada nel 1965 e successivamente perfezionato nel 1979. Tale indice cerca di rappresentare la temperatura effettivamente percepita dal corpo umano combinando temperatura e umidità dell’aria. Benché non ci sia una vera e
propria base fisica per appoggiare questa affermazione e vi siano al riguardo ancora alcuni dubbi, essa consente un approccio,
sia pur abbastanza semplicistico al problema della valutazione soggettiva della sensazione di caldo afoso. L’Indice Humidex è
molto complicato a calcolarsi, a suo tempo la Società Meteorologica Subalpina, ha pubblicato una tabella che riporto parzialmente, in cui è possibile ottenere rapidamente, dai dati misurati di temperatura e umidità relativa, il valore di temperatura
(temperatura apparente) che il corpo umano percepisce.Se in una giornata afosa di luglio, il nostro termometro segna 28 °C e
l’igrometro segna una umidità relativa pari all’80 %, la temperatura percepita dal nostro corpo non è 28°C come segna il termometro, ma 39 °C. per cui in questo caso si avverte un piccolo disagio. La cosa comincia a farsi pericolosa da 30°C a 34°C con umidità relativa alta, per cui si comincia ad avvertire una sensazione di malessere generalizzato. Da 46 °C di temperatura apparente
(ricavata da una temp. termometrica di 34°C con umidità relativa del 60%) fino a 53°C di temp. apparente (ricavata dalla temp.
termometrica di 36°C con umidità relativa al 70 %) esiste un grave pericolo e devono essere sospese tutte le attività fisiche. Al di
sopra di 54°C di temperatura apparente, in ogni momento può avvenire il colpo di calore con pericolo di morte. Questi indici
sono utili per farsi una idea della severità di una condizione meteo, ma vanno usati con attenzione perché la temperatura apparente è una temperatura calcolata non dal termometro ma da un grafico. Va però tenuto presente che in giornate estive particolarmente umide e afose l’Indice Humidex gioca un ruolo importante per il benessere del nostro corpo, in quanto ci avverte
che per diverse persone, soprattutto ragazzi e anziani, determinati sforzi devono essere evitati, come devono essere evitati in
certe ore luoghi aperti e soleggiati. Soprattutto durante le escursioni in alta montagna d’estate, noi alpini partivamo molto presto, tornando poi alle tende del nostro accampamento (tutte funzionanti come gabbie di Faraday) alle 13 max alle 14, anche per
evitare eventuali temporali. L’escursionista dormiglione, spesso se la dovrà vedere poi con le ferree leggi fisico-chimiche della
Natura, con le quali non si scherza!
Nel prossimo numero del Giornalino metteremo a fuoco il significato di “Umidità Relativa “:
Vannetto Vannini
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LE ROSE DI SANDRA
Tra il bianco smorto delle pareti e la luce asettica della stanza, spicca, sul lungo asse di legno
chiaro che fa da tavolo sotto alle finestre, un grazioso bouquet di roselline bianche e rosa. È una tenera macchia di
colore, un piccolo sprazzo di primavera in questo mondo che non ha stagioni, il cui tempo è scandito dal lento, monotono, uguale gocciolare delle flebo, come clessidre di ghiaccio.
“…Che belle quelle roselline, Sandra!”
“…Visto che belle? Me le hanno regalate.”
Sentire la voce di Sandra dopo tanto tempo è un’emozione che per un attimo mi stringe la gola. Biascica ancora un
po’ le parole ma parla e respira senza nessun macchinario. Sul comodino una piccola lavagnetta metallica sulla quale c’è scritto qualcosa ma sono senza occhiali e vedo solo il dipanarsi di un filo d’inchiostro blu.
Deanna mi aveva detto che Sandra la usava quando ancora non aveva ripreso a parlare. Mi ritorna in mente la
“Marianna Ucrìa” di Dacia Maraini e ne provo una grande tenerezza.
Guarda le roselline, Sandra.
“…Quest’anno non potrò vedere sbocciare le mie, almeno guarderò queste!”
Non c’è amarezza nella sua voce ma una consapevole rassegnazione che non è resa ma attesa paziente che la porta
a dosare le forze delle quali si va riappropriando piano, con misurata tenacia.
È un limbo di esistenze sospese l’ospedale, e la tua vita una macchina ferma ai box mentre tutt’intorno continuano
a sfrecciare quelle degli altri. Invischiata nella pania delle lenzuola, i muri bianchi che avvolgono come un sudario i
tuoi pensieri, guardi dai vetri delle finestre quel mondo lillipuziano che continua a scorrere nella più grande indifferenza e ti domandi dove andrà mai tutta quella gente.
A casa, ti rispondi. E ti ritrovi a pensare a quel puzzle fatto di tante cose che è la tua. A quell’enclave fatto di ricordi
e di affetti, a quello scrigno di segreti e piccole manie, a quel crogiuolo di abitudini e modi di fare. Rifugio, talvolta
prigione, dove ogni cosa parla con la tua voce e vive della luce riflessa della tua vita.
“…Quand’è che hai visto Deanna?”
“È stata qui anche ieri sera.”
“Deanna ti vuole un gran bene e quando ci vediamo non fa che parlarmi di te.”
Sandra sorride, lo sa, la loro è un’amicizia di vecchia data.
Emergere da questo limbo di esistenze sospese è come scalare una parete di roccia a strapiombo sul nulla. L’amore, l’affetto, l’amicizia, diventano appigli ai quali aggrapparsi per arrivare su in cima.
La prima cosa che ti insegnano, quando si inizia a fare volontariato ospedaliero, è riconoscere la solitudine dei malati guardando il loro comodino. Per una questione di igiene di solito è ricoperto da un tovagliolo di stoffa, c’è un
bicchiere, una tazza col suo piattino e spesso un grazioso sotto tazza ricamato, come pure il porta posate. Talvolta
c’è un santino, un fiore, una piantina, talvolta riviste, l’immancabile cellulare e piccole ghiottonerie. Tutto questo è
indice di una persona amata e curata. Ma talvolta quei comodini sono vuoti, così come può esserlo la vita. Appena
una bottiglia d’acqua, bicchieri e posate di plastica rinvoltate nelle salviette di carta del bagno. Il proprietario di tanta desolazione allunga la mano cercando la tua e la stringe forte raccontandoti la sua storia, gli aneddoti della sua
vita, l’anamnesi della sua malattia. Svuotano l’otre gonfio della loro solitudine senza mai lasciarti la mano e talvolta
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qualcuno, in un moto di riconoscenza, quella mano te la bacia, con tuo grande imbarazzo, perché senti in fondo di
fare così poco per meritarti così tanto.
Emergere dal limbo di queste esistenze sospese è come scalare una parete di roccia a strapiombo sul nulla.
In tutto questo tempo Deanna si è fatta appiglio e roccia per Sandra, che piano piano, faticosamente, sta riguadagnando la cima.
“Io e te abbiamo le vesciche sincronizzate…, ricordi?” Le dico a battuta, alludendo a quando si andava a camminare,
che ci scappava di fare pipì nello stesso momento e ci si aspettava a vicenda.
“…Non so se potrò più venirci!”
Le parole di Sandra sono l’asciutta constatazione di una donna abituata a guardare le cose in faccia e a chiamarle
per nome. È questo, quello che ho sempre ammirato in lei.
“…Tornerai, ci vorrà ancora del tempo ma tornerai!”
Sorride senza fingere nemmeno di crederci, ma se conosco Sandra come credo, so che ce la metterà tutta.
“Ora devo andare, tornerò ancora a trovarti!”
“…Grazie!”
Le lascio scivolare una carezza sul viso ed esco dalla stanza, girandomi un’altra volta per salutarla ancora ma lei già
non mi guarda più.
Guarda quella piccola primavera sul tavolo sotto alle finestre e forse pensa al suo giardino e a quanto saranno belle
quelle rose che quest’anno non vedrà sbocciare.
Un abbraccio, Sandra, da tutti Noi.
Pina Daniele Di Costanzo
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I NARCISI
I narcisi sono fiori primaverili tra i più popolari e noti già dai tempi antichi. Molte specie spontanee della
flora italiana sono state oggetto di coltivazione intensiva e occupano a tutt’oggi una grande parte del mercato del fiore reciso. Anche la Giunchiglia, che è considerata la specie non selvatica dei narcisi, è largamente coltivata in molte zone d’Italia e si è naturalizzata con
tante specie ibride. Quando si parla di questi fiori, ci viene subito da pensare alla leggenda di quel giovanotto che si chiamava
Narciso, il quale spasimava per la sua stessa immagine riflessa
nell’acqua, leggenda da cui è nato il termine “narcisismo”. In
questo articolo si parla invece del fiore che sboccia, dopo i crochi, nelle praterie alpine annunciando la fine dell’inverno, un
fiore dal profumo penetrante tanto che nell’antichità era giudicato addirittura un narcotico, infatti il nome deriva dalla parola
greca narkao “sonno”. Un fiore che pur essendo considerato
ancora oggi il simbolo di una illusoria e egoistica vanità, è invece una pianta estremamente forte e rustica che si propaga facilmente tappezzando in primavera i prati di fiori. La diffusione
a tappeto che i narcisi hanno in primavera nelle praterie montane è principalmente dovuta all’estrema facilità con cui si propagano in modo spontaneo, perché in conseguenza della loro
ruvidezza selvatica, superano molto bene condizioni climatiche
avverse ed esposizioni in terreni non favorevoli sia dal punto di
vista climatico che geologico, anche se prediligono un ambiente sufficientemente fresco ma non umido. I narcisi appartengono alla famiglia botanica delle Amarillidacee che sono delle bulbose perenni, che però comprendono anche molte conosciute piante da giardino. Da sempre il Narciso, di
cui se ne conoscono alcune migliaia di varietà raggruppate in una sessantina di specie botaniche, popola il
bacino del Mediterraneo crescendo spontaneo dalla pianura alla montagna. Nella nostra montagna troviamo soprattutto il Narciso Poetico (Narcisus Poeticus) con fiore bianco e disco centrale bordato di rosso
che nasce fino quasi a 2000 m. di quota, mentre è molto raro il Narciso Trombone (Narcisus pseudonarcisus), il quale originario della Gran Bretagna è una pianta a forma di tromboncino che può crescere fino a
2200m di quota. Questa ultima varietà nella nostra zona è soprattutto coltivata nei giardini. Esistono poi
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altre varietà che hanno trovato in montagna l’abitat naturale, ma crescono soprattutto nelle Alpi, nei Pirenei e anche nella dorsale appenninica. Occorre però fare una distinzione netta fra il fiore selvatico che nasce spontaneo in montagna come il Narciso Poetico e le varie specie (domestiche) coltivate nei giardini
come le giunchiglie (Narcisus Jonquilla), in quanto vi sono alcune contraddizioni, soprattutto nel linguaggio dei fiori per quello che queste piantine hanno rappresentato da sempre nell’immaginario collettivo. Il
Narcisus jonquilla (giunchiglia) che si differenzia dai narcisi montani per il colore giallo del perigonio e
bianco della corona, ha il nome che deriva dal diminutivo di “giunco”, che con questo termine si indica
una pianta lunga e flessibile che cresce nei luoghi acquitrinosi che nulla ha da vedere con la piantina alta
max 30 cm. che cresce all’inizio di primavera. Inoltre nel linguaggio dei fiori, il narciso è considerato il simbolo dell’autostima, della vanità e non per ultimo di una propria incapacità ad amare, mentre la giunchiglia esprime amore e desiderio carnale e considerata una sorta di portafortuna e simbolo di felicità. Questo fiore è talmente radicato nella tradizione dei popoli sia di montagna che di collina, che nel paese di
Magliano Sabina (RI) tutti gli anni a inizio primavera, viene fatta una mostra aprendo al pubblico un giardino privato dove fioriscono ottocento varietà di narcisi, mostra che entusiasma botanici e appassionati. In
Austria, nei dintorni di Salisburgo, nell’Ausser Land si svolge dal 1960 una tradizionale e straordinaria sfilata in onore del bel Narciso, mitologico figlio di Cefisio. La leggenda racconta che la ninfa Eco, figlia di Giove e innamorata del bel Narciso “senza cuore perché innamorato di sé stesso”, ma ormai tramutato in fiore, quasi perde la voce invocandolo di continuo in quelle vallate alpine. Un fiore quindi da profumo sottile
e inebriante che nelle praterie di montagna e nei pendii concede sempre un grande spettacolo di sé e che
si può coltivare anche nei giardini.
Vannetto Vannini
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PAROLE DIFFICILI IN METEOROLOGIA
Nei nostri articoli, certe volte vengono usati alcuni termini scientifici, relativi a svariate discipline, come la geologia,
la botanica o l’architettura. Questi termini pur consentendo una precisa indicazione di concetti, possono comunque
risultare di difficile comprensione per i non addetti ai lavori. Ne abbiamo fatto una ricerca parziale che integreremo
ed amplieremo nei prossimi numeri della nostra rivista. Volentieri la pubblichiamo per facilitare la comprensione a
tutti i nostri soci-lettori, certi che ciò contribuirà ad aumentare tramite la conoscenza l’amore per la montagna e
tutto ciò che la riguarda. Questa volta è il turno della Meteorologia.
Bar: In meteorologia unità di pressione atmosferica pari a 750,06 millilitri di mercurio e a 10 5 Pascal nel Sistema
Internazionale.
Aerologia: Campo della meteorologia avente per oggetto lo studio dell’atmosfera libera, cioè nei suoi strati lontani dal suolo (fino a circa una quota di 30 Km).
Aeronomia: Complesso delle discipline che riguardano la fisica dell’atmosfera terrestre e si riferiscono in particolare, all’aerofisica dell’alta atmosfera.
Biometeorologia (meteorologia medica): Studia gli effetti del tempo atmosferico e del clima su individui sani e
malati.
Biotropìa: Effetto degli agenti atmosferici sulla salute dell’uomo (esempio: fhon, afa, tasso di umidità).
Carta sinottica (elaborazione): Analisi di dati presunti da osservazioni meteorologiche eseguite contemporaneamente in numerosi punti su una vasta regione geografica.
Firn: Neve allo stato granulare, tipica dell’alta montagna alle quote più elevate, dovuta a ripetuti scioglimenti e
congelamenti (firnificazione, cioè agglutinazione progressiva degli elementi cristallini). Il firn, trasformandosi a sua
volta, sviluppa il ghiaccio bolloso e biancastro (contenente molta aria) e infine ghiaccio di ghiacciaio, trasparente e
macrogranulare.
Fuochi di Sant’Elmo: Scariche del campo elettrico atmosferico durante un temporale. Si presenta sotto forma di
un velo incandescente a esempio sulle cime delle torri, sui parafulmini o sulla sommità degli alberi delle navi. Il fenomeno è accompagnato da crepitii e scintille.
Depressione di Genova: Talora è così chiamata in meteorologia l’area di bassa pressione incentrata sul Mar Ligure.
Masse di aria a temperatura polare convogliate dalle Alpi verso gli strati superiori esercitano una azione di risucchio
con la conseguente formazione di un’area depressionaria. A questo fenomeno è spesso collegato il maltempo in
Liguria e lungo la riviera francese.
Gradiente termico verticale adiabatico: Indica l’entità della diminuzione della temperatura in funzione dell’altezza
dell’aria secca costretta a salire verso regioni a minore pressione atmosferica: 1°C ogni cento metri di salita. L’aria
secca discendente si riscalda della stessa entità
Pioggia di sangue: Termine generico per indicare pioggia contenente particelle di sabbia rossastra del deserto.
Satellite gestazionale: Satellite che orbita stabilmente al di sopra di un dato punto dell’equatore terrestre esattamente a 35800 Km di quota.
Satellite in orbita polare: Satellite che orbita intorno alla terra ad angolo retto rispetto all’equatore.
Smog di avvezione: Interessa ampi territori per effetto di sconfinamento e consiste nel trasporto a grandi distanze di sostanze inquinanti, in particolare anidride solforosa (SO2) a una quota superiore a 100 m. e a una distanza di
1000 km o anche maggiore.
Sopraffusione: Raffreddamento di un liquido sotto il suo punto di raffreddamento senza che il liquido diventi solido.
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ALPINITÀ:
UNA NUOVA PAROLA DI MONTAGNA NEL NOSTRO
LINGUAGGIO?
Alcuni mesi fa, l’Accademia della Crusca ha inserito ufficialmente nel linguaggio italiano la parola “petaloso” che un
bambino di Ferrara aveva scritto su un tema per indicare un fiore con molti petali. Sempre all’Accademia della Crusca si è rivolto un alpino in congedo per fare inserire con pieno diritto nel nostro linguaggio la parola “Alpinità”, un
termine che per chi ha indossato la divisa e il cappello con la penna nera ha un significato ben preciso ma che non è
riportata in alcun vocabolario della lingua italiana. L’alpino che si è fatto avanti è il Maresciallo Giorgio Cecere, in
forza fino al momento della pensione all’8° Reggimento della Julia, partecipando con quel reparto a 13 missioni
all’estero, dal Mozambico alla Macedonia, dall’Albania all’Afghanistan. Il Maresciallo Cecere ha scritto all’Accademia della Crusca la seguente lettera. “Mi sono accorto che era usata da tutti noi, ma che non esisteva per la lingua
italiana. Questa breve, ma grande parola per noi soldati alpini e per le popolazioni di montagna è nata spontaneamente e, anche se non riportata dai dizionari, si trova scolpita nel cuore della gente, di tutte quelle persone che poQMDF n° 2 – Giugno 2016—CLUB ALPINO ITALIANO – Sez. VALDARNO SUPERIORE Montevarchi (Ar)- Pag. 16
polano le valli dell’arco alpino e le montagne di tutta Italia. Si tratta di un modo di vivere, un sentimento, un’eredità,
che riassume nel suo significato umanità, solidarietà, semplicità, fatica, sofferenza e migliaia di altri concetti, che
rafforzano e onorano la gente e le truppe da montagna.” “La parola “Alpinità” - si legge nella lettera inviata nei
giorni scorsi alla Crusca - fa rima con solidarietà che è una qualità intrinseca delle popolazioni alpine. È un termine
chiaro, che lascia la mente libera di collegarsi ai colori della neve, del cielo e dei boschi. Si tratta di un valore legato
al mondo arcaico delle montagne, alla sopravvivenza, all’emigrazione e al ritorno, al freddo, alla fame, alle guerre
combattute e alle migliaia di uomini caduti a difesa dei confini”. La richiesta che il Maresciallo ha inviato all’Accademia della Crusca è un compendio di orgoglio, fierezza, amore per i valori che lui stesso, e tanti come lui, hanno vissuto con la testimonianza di una vita intera. “Alpinità” deriva da valori antichi – aggiunge – che ancora resistono e
dai più autentici pilastri della fede in questo nostro contesto intensamente vissuti, come raramente altrove. Noi siamo gente semplice, di montagna, e ci viene naturale riassumere tutto ciò che siamo, che sentiamo e che viviamo in
questa parola. Spero che l’Accademia consideri e giudichi l’importanza di questo piccolo termine e che possa decidere di concederle un po’ di spazio sui nostri dizionari, accanto a tutte quelle più importanti e blasonate che già ci sono. In ogni caso, anche se alla fine non sarà riconosciuto, resterà per sempre scolpito dove è già da tempo: nei nostri
cuori e in tutti quelli delle persone che condividono i valori, il modo di vivere e le emozioni… dell’alpinità”. La lettera
è stata ripresa dal quotidiano “Il Messaggero Veneto” del giorno 28 aprile 2016.
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ESCURSIONE AD ANELLO SU MONTE COCOLLO
(OLIVETO-CIMA DEL COCOLLO - ODINA- QUERCETO- OLIVETO)
Il Monte Cocollo è costituito da una dorsale che staccandosi dal crinale principale Montrago- Poggio del Lupo, si
inoltra in direzione della nostra vallata facendo per un lungo tratto da confine fra il territorio comunale di Loro
Ciuffenna e quello di Castelfranco-Pian di Scò. La vetta più conosciuta è Cima Cocollo dove fra la vegetazione invadente si possono scorgere ancora i ruderi di una fortificazione che fu abitata fino al 1600 e fu sede a lungo di un
comunello di montagna il cui territorio fu accorpato a quello di Loro Ciuffenna nel 1784. Forse la storia del Cocollo
inizia in epoca etrusca in quanto, poco sotto nei pressi della storica fonte medievale che fu distrutta dal passaggio
della strada di servizio nel 1982 per i lavori del metanodotto algerino, è stato rinvenuto un idoletto di terracotta di
fattura etrusca, indicante un probabile culto delle acque presso la fonte. La vista dalla cima è veramente eccezionale e spazia da Ovest a Nord con il Monte Serra, Apuane, Abetone, Montagna modenese e bolognese; da Est a Sud
con la catena del Pratomagno, la piana e i monti di Arezzo che separano la Valdichiana dalla Valtiberina, la Valdichiana, il lago Trasimeno, il Monte Cetona, Radicofani e l’Amiata. Proprio davanti in direzione Sud la conca del Valdarno con ai piedi del monte la provinciale dei Setteponti e le Balze, il fondovalle con l’Arno e oltre i colli del Chianti. Vi sono due grosse sorgenti poco sotto la vetta come la sorgente sopradescritta e quella storica dei Macchioni
vicino a casa I Pianacci, la cui acqua è captata da anni dal comune di Loro Ciuffenna e in considerazione della posizione panoramica dominante molte ben difendibile, la cima del monte Cocollo è la conformazione perfetta di un
sito abitativo etrusco e poi anche romano, in quanto la toponomastica è indicativa in alcuni toponimi come “Massa
di Giano”. Il nome Cocollo deriva dalla parola latina “cocullus” - cappuccio, per la forma morfologica della montagna. L’escursione parte dalla borgata di Oliveto m. 560 avendo come punto di riferimento un bellissimo cipresso
lungo la strada nei pressi del bivio che sale alla chiesetta. Qui termina il tratto asfaltato proveniente da Loro
Ciuffenna. Oliveto è raggiungibile dopo alcuni km da Loro Ciuffenna prendendo la strada a fianco fra il cimitero e il
distributore di benzina IP che è segnalata anche come sentiero CAI 33, inoltre ci sono cartelli stradali per Odina e
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Querceto. È possibile arrivare ad Oliveto anche dalla
Setteponti prendendo una stradella laterale asfaltata
fra Malva e il bivio di Piantravigne con cartelli indicatori per Odina e passando poi dalla località Valcello
(Millepini) immettendosi nella strada bianca proveniente da Loro C. Oltrepassato le case di Vignale e
Querceto si arriva ad Oliveto dalla parte opposta di
chi proviene da Loro C. Questo percorso non è consigliabile perche è molto più lungo e soprattutto percorre un lungo tratto di strada bianca che fa parte del
percorso escursionistico che faremo nella parte finale. Di Oliveto, chiamato anticamente anche San Sebastiano, non possediamo nessuna notizia storica, però
antichi muri di abitazioni anneriti dal fumo e dal tempo ci fanno supporre l’esistenza di qualche fortificazione. La borgata faceva parte del territorio del castello del Cocollo e quando la popolazione di quel
castello si trasferì, Oliveto divenne sede della potente famiglia Bindi che aveva in zona e a Loro stesso
grosse proprietà. In questo periodo, cessata la parrocchia di San Niccolò del Cocollo, Oliveto fu incorporato dalla
parrocchia di Querceto, costituita in quel tempo. Vi esiste da data immemorabile una piccola cappella dedicata a
San Sebastiano e affrescata alcuni anni fa dal pittore lorese Pietro Cioni. Gli affreschi rappresentano San Sebastiano,
la Madonna della Misericordia e un pavone. Questo animale sembra sia stato scelto volutamente come segno di
unità nella varietà di religioni a cui appartengono attualmente gli abitanti di Oliveto. Prima dell’ultima guerra, nella
borgata tutti gli anni vi veniva celebrata una festa il 20 gennaio (San Sebastiano) o la domenica successiva ed era
detta “festa del tordo”. Si lascia la macchina in un posto idoneo che non dia fastidio in quanto non c’è molto parcheggio, (se non si trova al cipresso andare un po’ avanti nella strada già bianca che vi sono alcune piazzole) e si
prende la stradella senza segnaletica Cai che in salita e girando intorno all’abitato arriva alla chiesetta che è sempre
visitabile in quanto la porta di accesso non è mai chiusa a chiave. Visitato l’interno ricordarsi di richiudere la porta
proseguendo sulla stradella in leggera salita e ogni tanto voltandosi addietro nel vedere che il panorama sulla vallata sta sempre diventando più ampio. Continuando il percorso, in breve arriviamo nel punto in cui la stradella si immette esattamente in una strada bianca molto larga e abbastanza sconnessa a quota m. 593. Fare attenzione e non
andare a destra perché questa strada porta a Case San Leo. Attraversare la strada e andare in una stradella più
sconnessa di fronte che porta la segnaletica CAI 33 che va seguita fino quota 820, dove una segnalazione indica l’intersezione fra il sentiero CAI 33 che
stiamo percorrendo con il sentiero
CAI 35 proveniente da Poggitazzi e
diretto sotto Montrago. Per arrivare
sul pianoro sommitale della montagna, si supera una breve salita molto
ripida che è il tracciato del metanodotto arrivando a quota 860 sotto
quelle che erano le mura del castello.
Il sentiero CAI 35 prosegue seguendo il metanodotto mentre per arrivare alla vetta si prende a sinistra un
sentierino appena visibile e mancante di segnaletica, stretto e incassato
fra la folta vegetazione spinosa e suQMDF n° 2 – Giugno 2016—CLUB ALPINO ITALIANO – Sez. VALDARNO SUPERIORE Montevarchi (Ar)- Pag. 19
perando quello che era il cerchio delle mura si può arrivare nella cima che comprende una zona pianeggiante con i
resti di una torre caduta . La folta vegetazione, anche spinosa, nasconde i ruderi di quella che fu una grossa fortezza. Attraversando con cautela il pianoro si ritrova su un muro, che era quello della chiesetta, il segnale rosso bianco
del sentiero Cai 33 e si segue una traccia in discesa stretta fra i pruni. Fatti pochi metri dalla vetta avendo tutto il
Valdarno davanti, fare attenzione sulla destra perché scendendo si trova al livello della terra la cavità di un pozzo
molto interessante che era una due pozzi del castello. Poco dopo si arriva ai ruderi della Casa Cocollo, la casa di un
podere che è stata abitata fino al 1954. Seguendo la segnaletica ci immettiamo nella larga strada di servizio del metanodotto nei pressi di una curva dove il panorama è ancora ampio e molto bello. Seguendo la strada bianca in discesa, passando sopra alla Casa Sucine si arriva alla sbarra dove su un grosso masso è scolpito e verniciato di rosso il
nome” Venturi Ivo” con una freccia che indica la direzione dell’abitazione (Sucine). A questo punto la segnaletica
del sentiero CAI 33, come riportato nella carta CAI del Pratomagno non prosegue sulla larga strada asfaltata, ma
imbocca proprio sotto la sbarra uno stretto sentierino appena visibile sulla destra. Questo sentierino sembra abbandonato ed è mancante della segnaletica che prima c’era, seguendolo e superata una pineta distrutta completamente dal vento la notte del 5 marzo 2015 sbocca sulla stradella bianca che dalle case di Odina porta alla sovrastante
Casa Malavigione. In alternativa si può prendere dalla sbarra in prossimità del masso con su scritto Venturi Ivo, la
strada asfaltata che termina poco dopo al bivio della strada bianca proveniente da Loro C. con la strada che scende
al Valcello (Millepini), ma per una serie di ragioni è meglio evitarla, anche se il percorso diventa più breve e diretto
perché evita Odina. Odina è una borgata del comune di Loro Ciuffenna e fino a metà del secolo scorso era abitata
da diversi contadini, l’abbandono della agricoltura portò a metà del secolo scorso anche all’abbandono totale delle
case che crollarono tutte. La piccola ma antica chiesetta, una delle poche della zona dedicata a San Donato era
sotto la parrocchia di Querceto. Nonostante che negli anni ’70 del secolo scorso qualche casa fu restaurata e usata
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come seconda casa, ad Odina la corrente elettrica arrivo solo nei primi anni
del 1980. Oggi vi ha sede un agriturismo molto bello e la chiesetta, sconsacrata è diventata la reception dell’azienda agraria. Il panorama da Odina
sul Valdarno e oltre è sempre bellissimo, magnifica è la vista sulle Apuane e
montagna pistoiese, modenese e emiliana. Il nome Odina è un nome di derivazione etrusca, indicante il nome del
proprietario del fondo agricolo, forse
Audina o Odana. Da Odina si segue
tutta la strada bianca comunale che
passando da Case Vignale, dove si incontra la segnaletica del sentiero 35 che sale al Cocollo, oltrepassa poi Querceto con la chiesa, una volta parrocchiale, e dopo poco ritorna a Oliveto dove viene chiuso l’anello escursionistico. Il percorso risulta lungo poco meno di
10 Km e io l’ho fatto comodamente in 3 ore e un quarto, però mi sono fermato quasi un’ora per ammirare il panorama e fare foto. Il percorso può essere fatto anche tutto in mountain bike eliminando la visita al castello della Cima
Cocollo e proseguendo sul sentiero CAI 35 fino al Varco d’Odina dove c’è l’intersezione con la strada di servizio del
metanodotto e tornando indietro percorrendo quella strada. Notizie storiche sul Cocollo, Casa Sucine (Ivo Venturi),
Leconia, Querceto sono sulla sezione Terre Alte, ma per un problema nel programma da vari mesi Casa Sucine, Leconia, Querceto sono in pagine che non si aprono.
Testo e foto di Vannetto Vannini
QMDF n° 2 – Giugno 2016—CLUB ALPINO ITALIANO – Sez. VALDARNO SUPERIORE Montevarchi (Ar)- Pag. 21
LE RICETTE DI ...DANIELA
Spaghetti al Sole d’Agosto
Mentre camminavo in una escursione primaverile, parlavo con una nostra socia di fiori e lei essendo vegetariana,
mi ha consigliato alcune ricette a base di infiorescenze. Gentilmente mi ha procurato un piccolo ricettario di Leo
Codacci “Mangiar coi fiori” dal quale ho estrapolato questa ricetta che vi propongo:
SPAGHETTI AL SOLE DI AGOSTO.
Ingredienti per 6 persone:
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spaghetti 1\2 kg,
6 pomodori,
2 spicchi di aglio,
un girasole,
una rosa,
un garofano,
un pizzico di ginestra,
parmigiano,
sale.
Tagliate a pezzetti i pomodori maturi e fateli cuocere in un tegame con due spicchi di aglio pestato. Aggiungete
qualche foglia di basilico tritata insieme ai petali spezzettati di un girasole, di una rosa, di un garofano e un pizzico
di fiori di ginestra. Fate cuocere il tutto per circa un quarto d'ora a fuoco lento (bisogna essere delicati con i fiori)
spruzzando con mezzo bicchiere di vino di tanto in tanto, per non far asciugare troppo. aggiustate di sale e poi con
questo sughetto condite gli spaghetti cotti al dente. Portate subito in tavola e condite con parmigiano grattugiato.
L'uso dei fiori in cucina può sembrare una raffinatezza moderna ma ricordiamoci che anche il cavolfiore, il carciofo
o le cime di rapa sono fiori, anche se noi usiamo solo i fiori di zucca. Una raccomandazione: per questa preparazione usate solo fiori non inquinati da anticrittogamici, vanno bene quelli del vostro giardino o del vostro balcone. Provate questa ricetta e poi fatemi sapere se vi è piaciuta. Nel frattempo vi auguro una buona estate e se andate per
sentieri di montagna… occhio ai fiori!
Daniela VENTURI
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IL REGNO DEI FANES
“Il Regno dei Fanes” rappresenta di certo una del-
le leggende più ricche e complesse della tradizione ladina dolomitica. Si tratta dell’unica saga nata
sul territorio italiano che sia vagamente paragonabile ai grandi cicli leggendari europei, come
quello arturiano o quello nibelungico. Fu raccolta
e trascritta verso la fine dell’800 da Karl Felix
Wolff. La conservazione del materiale riguardante
le leggende intorno ai Fanes si deve principalmente all'opera di Karl Felix Wolff, giornalista ed
antropologo austriaco. La passione per i racconti
popolari e le tradizioni orali degli abitanti delle Dolomiti nacque grazie alla badante originaria della Val di Fiemme,
che usava cantargliene spezzoni. Dedicò gran parte della sua vita ad esplorare le valli dolomitiche, raccogliendo racconti, fiabe, leggende e testimonianze, con l'intento di trascriverle e pubblicarle. Si imbatté nel nucleo dei Fanes per
la prima volta in Val di Fassa, ma lo incontrò anche successivamente in forme diverse nelle altre valli ladine. Wolff
era convinto di avere di fronte a sé un materiale che si discostava dalle altre leggende e fiabe, spesso riconducibili
alla tradizione fiabesca germanica. Scorse infatti motivi più vicini al mito e probabilmente riconducibili ad epoche
più antiche, come la presenza di animali totemici o personificazioni di sole, luna e morte. La ricostruzione del materiale, estremamente frammentato e a tratti confuso lo impegnò per un lungo periodo della sua carriera. I primi accenni appaiono sotto forma di appunti nel 1907, la prima versione ufficiale è del 1932, mentre è del 1941 l'edizione
definitiva. La leggenda narra dell'espansione e del declino del Regno dei Fanes, in origine un popolo mite, caratterizzato dall'alleanza con le marmotte dell'omonimo altipiano: quando però la Regina sposò un Re straniero avido e
bellicoso che arrivò a sostituire con un'aquila lo stemma dei Fanes, raffigurante da sempre una marmotta, il clima
cambiò. Ben presto fece della figlia Dolasilla un'amazzone imbattibile, aiutata dalle frecce infallibili e dalla corazza
impenetrabile donatele dai nani. Con Dolasilla al suo comando il Regno si espanse fino al fatale incontro della principessa col guerriero nemico Ey de Net. I due, in realtà già incontratisi anni prima, si innamorarono e decisero di
sposarsi. Il Re si oppose duramente fino alla fine, in quanto i nani gli avevano predetto che l'invincibilità di Dolasilla
sarebbe durata solo fino a quando non si sarebbe sposata. Prevedendo la fine del suo regno, il Re vendette Dolasilla
e il suo popolo, mandandoli allo sbaraglio nell'ultima battaglia, nella quale Dolasilla morì, uccisa dalle sue stesse
frecce, rubatele con l'inganno dallo stregone Spina de Mul. Il Re traditore venne tramutato in pietra e i pochi superstiti del Regno dei Fanes si
recarono con le marmotte in
un antro sotto le rocce del
loro regno, dal quale
aspettano che suonino le
trombe argentate che ne
segnaleranno la rinascita.
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(RI) CONOSCERE I FUNGHI di Vincenzo Monda
Suillus Granulatus
Si tratta del comunissimo e conosciutissimo Pinarolo, un boleto tipico dei boschi di conifere,ove
cresce abbondante, ma lo troviamo anche nei giardini pubblici e privati associato sempre ad aghifoglie. Per consumarlo è necessario liberarlo della cuticola, viscida ed indigesta, bisogna raccogliere solo gli esemplari giovani, perché gli adulti si impregnano d ’acqua come spugne e sono mollicci,
poco gradevoli e difficilmente digeribili. La carne è giallastra, immutabile, sapore ed odore gradevoli anche se un po' resinosi. Tubuli color giallo chiaro, tipica la trasudazione di goccioline di latice
color pallido e colloso. Periodo di crescita estate e autunno. Adatto per le zuppe, i sughi ed anche
fritto come il porcino se giovane e sodo.
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Suillus Luteus
Il tipico anello lo differenzia dal
Suillus granulatus (pinarolo), carne bianca, soda e compatta negli
esemplari giovani. Presenta tubuli
giallo chiaro, giallo-cromo. Pori
piccoli, rotondi, concolori ai tubuli, dapprima ricoperti da un velo
parziale robusto e consistente, di
colore biancastro. Il gamboarriva
fino a 7-8 cm., cilindraceo, pieno,
con un ampio anello membranoso
di colore biancastro, grigio con
sfumature violacee. Sopra l'anello
è presente un fine reticolo giallastro. La carne è dapprima soda,
poi molle ed acquosa nel cappello, fibrosa nel gambo; di colore bianco, immutabile al taglio, odore e sapore gradevole. Solitamente cresce a gruppi di diversi individui in boschi di pino, dall'estate all'autunno. E’
consigliabile consumare solo gli esemplari giovani, asportando la cuticola del cappello.
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Attività Sezionale LUGLIO – SETTEMBRE 2016
Ogni martedì si svolgono escursioni infrasettimanali, solitamente di tipo “E” e sempre con mezzi propri, sul territorio regionale; il programma delle escursioni è visibile, aggiornato mese per mese, nella sezione PROGRAMMA del sito, in sede e
presso le varie Pro Loco. Si raccomanda a tutti gli interessati (soci e non soci) di contattare il referente della singola es cursione (nome e recapito telefonico nella circolare) il pomeriggio del lunedì per avere conferma.
Domenica 10 Luglio
Sabato 3 Settembre
TOSCANA: Reggello
CRETE SENESI: Val d’Orcia
Foresta di S. Antonio — Il Faggione
Notturna S. Quirico — Montalcino
Mezi Propri
Pullman
DIFFICOLTA’: percorso di tipo E
DIFFICOLTA’: percorso di tipo T/E
Accompagnatori sez.: Marcello MANCINI—Gabriele PICCARDI Accompagnatori sez.: Attilio CANESTRI—Anna Lia SANDRONI
***
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Sabato 16 e Domenica 17 Luglio
Sabato 17 e Domenica 18 Settembre
PIEMONTE: Cuneo
TRENTINO: Riva del Garda
Val Varaita—Val Maira (con Ferrata)
-Ledro-Cima Nodice-Cima Rocca (con ferrata)
Pullman
Pullman
DIFFICOLTA’: percorsi di tipo E/EEA
DIFFICOLTA’: percorsi di tipo E/EEA
Accompagnatori : Emilio PALAZZESCHI — Alessandro ROMEI
Accompagnatori : Stefano DEL CUCINA — Alessandro ROMEI
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Da Venerdì 29 a Domenica 31 Luglio
Domenica 25 Settembre
TOSCANA: Pratomagno
TOSCANA: Valdarno
3 giorni da M. Lori a Vallombrosa
Anello di Bandella
Mezzi propri
Mezzi Propri
DIFFICOLTA’: percorsi di tipo EE
Accompagnatore : Stefano COLASURDO
DIFFICOLTA’: percorsi di tipo E
EDITORE
DIRETTORE RESP.
REDAZIONE
COLLABORATORI
Mario Bindi
Vannetto Vannini
Lorenzo Bigi
Daniele Menabeni
Ermanno Carnieri
Vincenzo Monda
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