Lo studioso delia classicita e legittimato a dialogare con ciascuno

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Lo studioso delia classicita e legittimato a dialogare con ciascuno
Lo studioso delia classicita e legittimato a dialogare con ciascuno dei relatori
presenti, evocando - per analogia 0 per contrasto - gli antecedenti remoti delle diverse competenze disciplinari qui rappresentate. Infatti, spigolando fra i testi delIa
medicina antica (anche col supporto del recentissimo 1 mediei di Roma antiea in
eattedra. Salute, bellezza, benessere, a cura di Innocenzo Mazzini, Forli, Yictrix
2007), troviamo riftessioni circa:
I'inveeehiamento. "f: possibile ritardare I'arrivo delIa vecchiaia" (Galeno), con
la dieta, I'alimentazione, il bagno; e in primo luogo contrastando il crescere del
freddo e del secco;
la psiehiatria, antesignana in qualche modo delIa psicoanalisi. A partire dal I
sec. a.c. (Asclepiade, Celso) si elaborano I'eziologia psichica per Ie malattie psichiatriche, la distinzione di alcune sindromi (mania e melanconia: esempi anche in
Plauto, III-II sec. a.c.), la terapia psicologica affiancata a quella fisica;
la ehirurgia estetiea. Essa e ben documentata soprattutto in Celso, il quale
ne attesta sia una pratica alta sia - come si usa dire oggi con una parola urticante - !'utenza di un pubblico colto e ricco. Yeniva praticata in omaggio al deeus:
per I'uomo si provvedeva alIa copertura del glande (con estensione delIa cute);
per la donna ai rimedi contro nei e macchie delIa pelle; per tutti alIa ricostruzione
di orecchie, naso e labbra. A questa proposito andra citato il De eultu feminarum
("Gli omamenti delle donne") di Tertulliano, il quale inveisce contro tutte Ie pratiche estetiche delIa donna definita ianua diaboli ("porta del diavolo") at grido di
"cia che e naturale e opera di Dio" (2, 5,4 quod naseitur opus est Dei), "quello che
e artificiale e affare del diavolo" (quod infingitur diaboli negotium est; cfr. ibid.
quam indigna nomini Christianofaeiemfietam
gestare); e il corrosivo apologista
concludeva che "Ia vecchiaia tanto pili si studiera di occultarla, tanto pili sara scoperta" (2, 6, 3 seneetus eum plus oeeultari studuerit, plus detegetur).
Ma questa impostazione sinottica e comparativistica rappresenterebbe l'aspetto nozionistico e - diciamo la verita - un po' cadaverico dell' Antico; e non sarebbe piu che un 'archeologia del Presente. Garantirebbe la euriositas ma non I' auetoritas dei Classici.
Mia intenzione invece, su questa argomento, e dialogare coi colleghi in modo
appropriato e ravvicinato, mostrando non tanto il carattere anticipatore e fondativo dell'antichita, quanta il suo lato contrastivo e antagonistico. Intendo dire che su
questa tema i classici fauno il controcanto ai moderni.
II tema dell'etema giovinezza, tanto attraente quanta complesso, richiede alcune precisazioni.
Noi affrontiamo alcuni lati del prisma (biomedico, chirurgico, psicoanalitico,
umanistico nella sua versione classica), ma siamo ben consapevoli che altri lati restano in ombra (etico, sociale, economico). InoLtre si rincorrono e si intrecciano
due distinte questioni: quella dell'invecchiamento e quella del superamento del limite biologico. L'invecchiamento richiama specularmente e in positivo il motivo
deLrallentamento del1a senescenza, della qualita della vita in eta avanzata (e qui
Laparola - oltre che aHa medicina - passa alla chirurgia pLastica, aHa biLancia, alla
dieta, alla palestra, alla profumeria, allo specchio: a tutta I'industria dell 'antinvecchiamento). E, 'questo, il tema dell'aHungare la vita, che a sua voLta rinvia al macrotema filosofico del tempo (la rapina temporis), aLcorpo a corpo e al duello uomo/tempo. 11superamento deLlimite massimo biologico - vale a dire I'aspettativa
di vita - invoca l'intervento dei bio-medici, dei bio-ingegneri, dei nanotecnologi;
e - aggiungo - dei filosofi e dei teologi. E, questo, iJ tema del trascendere la vita,
e quindi della morte. Tempo e morte: entrambi stanno sullo sfondo e incombono
sui nostro discorso, che va ben oltre la scienza, e su tutte impone due domande.
La prima: la vecchiaia, iLvecchio, Ja stessa faccia del vecchio e un bene per la comunita - al punto che "bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare
il Lifting un crimine contro I'umanita" (Hillman) - oppure e semplicemente l'anticamera della morte? La vecchiaia, il vecchio, I'invecchiamento e ricchezza ed
eredita da spartire tra tutti oppure e un "fardel1o" insopportabile (turpis senectus,
Cicerone), "una co sa da barbari" (Aubrey de Grey), "un massacro" (Philip Roth)?
Seconda domanda: solo la vecchiaia e un inconveniente e solo la morte e I'inconveniente e 10 scandalo per eccellenza oppure Lastessa non-morte, la stessa eterna
giovinezza, la stessa immortalita avrebbero anch'esse i loro inconvenienti? Per rispondere a queste domande, proporro tre riflessioni: il mito classico, iLpensiero
classico, l'inconveniente dell'immortalita.
1. 1l milo di Tilono e Aurora ovvero l'eterna vecchiaia.
Titono, bellissimo, fu amato e rapito da Aurora, la quale per lui chiese a Zeus
l'immortalita: ma si dimentico di fargli ottenere l'etema giovinezza. Cosi, mentre
lei rimaneva identica, Titono invecchiava e si rattrappiva, al punto da essere contenuto in un cestino di vimini e alla fine trasformato in cicala. Qui siamo in presenza
del1'immortalita negativa e ridicoLizzata.
2. 1l dialogo tra Sarpedone e Glauco ovvero la morte che da senso alia vita.
"Caro mio, se scampati che fossimo a questa guerra / dovessimo vivere sempre, senza vecchiaia / e senza morte (aghero t' athanato te), io stesso non sarei tra
i primi a combattere / ne te spingerei, tanto meno, alla battaglia gloriosa; / ma siccome in realta ci sovrastano casi di morte / innumerevoli, che un uomo non pu6
evitare 0 fuggire, andiamo all'assalto; daremo a qualcuno 0 qualcuno a noi dara
gloria!" (Iliade 12, 322-328).
Qui, oltre all'immortalita acquisita tramite la bella morte, c'e un messaggio
supplementare: l'unica forma di eterna giovinezza e morire giovani: "Muore giovane chi e caro agli dei" aveva gia annunciato Menandro (Sent. 583 Jaekel). Ecco
il paradosso: I'immortalita, la perenne giovinezza si ottengono solo morendo da
giovani. II modo per annullare sia la vecchiaia sia la morte e morire da giovani, e
giovani rimanere nel ricordo perenne.
3. Ulisse e Calipso ovvero il rifiuto del sempre giovane.
"- Qui rimarresti e con me vivresti immortale in questa casa, tu che desideri
tanto rivedere la sposa, e ogni giomo, sempre, la brami. Non credo di essere inferiore a lei nel corpo, nella figura: non possono, Ie donne mortali, competere con Ie
dee per bellezza [... ]";
"- So bene anch'io che la saggia Penelope e ate inferiore nell'aspetto, nella figura: lei e mortale (brotos), tu immortale (athanatos) e giovane sempre (agheros).
E tuttavia io desidero e voglio tomare a casa e vedere il giomo del mio ritomo"
(Odissea 5, 208 sgg.; cfr. 7, 255 sgg. "Calipso mi nutri e diceva che mi avrebbe
reso immortale e giovane sempre. Ma non riusciva a persuadere il mio cuore").
Ulisse nell' isola di Calipso - dopo nove anni di dulce otium con cui temperava la
nostalgia per Penelope - e "morto": "la vita etema che Calipso gli offre, se egli rested, e in realti una morte etema per l'uomo che ama fare esperienze e che ama la
propria casa" (Barry P. Powell).
II dialogo - 0 meglio il dissidio - tra Ulisse e Calipso rinvia la memoria a un
altro dialogo emozionante, quello tra la Nube e Issione in Cesare Pavese (Dialoghi
con Leuco, La Nube, Torino, Einaudi 1965, pp. 11-14):
"Nube
C'e una legge, Issione, cui bisogna ubbidire [.. .].
Issione
Quale legge?
Nube
Gii 10 sai. La tua sorte, illimite [... ].
La morte, ch'era il vostro coraggio, pu6 esservi tolta come un bene. Lo
sai questo?
Issione
[... ] Che importa, vivremo di pili.
Nube
Tu giochi e non conosci gli immortali [... ].
Issione, tu credi che sian presenze come noi, come la Notte, la Terra 0 il
vecchio Pan. Tu sei giovane, Issione, ma sei nato sotto il vecchio destino. Per te non esistono mostri ma soltanto compagni. Per te la morte e
una cosa che accade, come il giomo e la notte. Tu sei uno di noi, Issione. Tu sei tutto nel gesto che fai. Ma per loro, gli immortali, i tuoi gesti
hanno un senso che si prolunga. Essi tastano tutto da lontano con gli occhi, Ie narici, Ie labbra. Sono immortali e non san vivere da soli".
Aggiungera che non solo la sapienza greca: anche quella biblica si riconosce
neLprincipio di mortalita: "La sorte degli uomini e quella delle bestie e Lastessa;
come muoiono queste muoiono quelli; c'e un unico soffio vitale per tutti. Non esiste superiorita dell'uomo rispetto aile bestie, perche tutto e vanita. Tutti sono diretti verso Lamedesima dimora: tutto e venuto dalla polvere e tutto ritoma nella
polvere" (Qohelet 3, 19-20).
Non soLo la sapienza greca e Lasapienza biblica, ma anche quella medio-orientale si riconosceva in quel principio. Pensiamo in particolare alia cultura mesopotamica e all'epopea di Gilgamesh (XXVI sec. a.c.): storia delIa ricerca dell'immortalita attraverso un pellegrinaggio all'isola dei beati per attingere all'albero
delia vita. La conclusione e inesorabile: "Gilgamesh, dove vai vagabondando? La
vita che tu cerchi non la potrai trovare! Quando gli dei creavano I'uomo, in sorte
gli dettero la morte, e la vita trattennero per se. Gilgamesh, pensa solo a mangiare,
a stare allegro giomo e notte, a rendere colmi di felicita i tuoi giomi [... ] perche
solo queste cose sono alia portata dell'uomo".
II mondo classico mentre nega I'immortalita, ne affida la spiegazione a una
pluralita di risposte, per altro tutte convergenti:
a. lajinitezza secondo natura. Non-durare, non-essere-etemi, morire: questa e
secondo natura. Cosi per Omero (Iliade 6, 146 gli uomini simili aile foglie), per
Mirnnermo (fr. 2 W. "noi come Ie fogLie"), per iLPresocratico Empedocle (fr. 8,3
sg. D.-K. "solo questa esiste: aggregazione e disaggregazione di cia che fu aggregato"), per iLlirico Pindaro (Pitica 8, 95 sg. "sogno di un'ombra, l'uomo"), per il
tragico Sofocle (Antigone 361-364: "soLo dall' Ade / non ha trovato fuga, / egli che
ha escogitato ogni rimedio / per maLi irrimediabili"). COS!per Lostoico Seneca La
morte sara un processo naturale (secundum naturam) e indifferente (adiaphoron)
come per l'epicureo Lucrezio per il quale la mors immortalis divora la vita mortalis (3, 869). In verita i Greci e i Latini non pensano direttamente la morte ma, affermando che essa e "nulla" (nihil), la rimuovono.
Concezione naturalistica, dunque, nella quale il panteismo stoico si imparentava col materialismo epicureo.
C'era una Legge delIa immortal ita (propria degli dei) e una legge delIa mortalita (propria degli uomini), conseguenza delia separazione antropoLogica, nel mondo greco, tra 1'uomo e dio: "Legge che vigeva a Delo, 1'isola consacrata ad Apollo,
il dio delIa bellezza, delIa giovinezza etema. Per mantenere incontaminato quello
spazio era vietato infatti, entro i suoi confini, nascere e morire. Tanto Ie partorienti
quanta gli agonizzanti venivano caricati su una barca e portati in fretta e furia sui
continente affinche a DeLo regnasse sol tanto il tempo perenne delle divinita im-
mortali" (Silvia Vegetti Finzi, Nascere, morire, in AA. VV., Morte. Fine 0 passaggio?, a cura di Ivano Dionigi, Milano, Bur 2007, p. 51).
b. la mortalita iscritta nella stessa lingua. L'uomo mortalis (da mors) 10 definirono i Latini, thnetos (da thanatos) i Greci;
c. l'imperjezione dell'uomo. Alia domanda "perche gli uomini muiono?", I'antichita classica con Alcmeone (medico greco del VI 0 V sec. a.C.), rispondeva:
"perche non possono ricongiungere il principio (arche) con la fine (telos)"; perche
la vita dell'uomo non si chiude nella figura del cerchio: in lui principio e fine non
si toccano. L'uomo e un cerchio mancato, incompiuto, un arco, il quale compie,
appunto, I'arco delia vita (vd. Ivano Dionigi, II medico:filosojo 0 ingegnere del
corpo?, "Bullettino delle Scienze Mediche. Organo delia Societa e Scuola medica Chirurgica di Bologna (Giornate di cultura sanitaria 2006)", CLXXVIII, fasc.
2, p. 24);
d. la concezione qualitativa del tempo. Per la sapienza classica "solo it presente esiste" [... ] e "I'istante contiene I'etemita". Si ricordi Marco Aurelio (Pensieri
2, 14): "Quand'anche tu vivessi tremila anni, e altrettante decine di migliaia d'anni, tieni comunque a mente che nessuno perde altra vita se non quella che sta vivenda, ne vive altra vita se non quella che sta perdendo. Giungono quindi alia stesso punto sia la vita pili lunga sia la pili breve, giacche il presente e uguale per tutti,
quindi anche cio che di continuo perisce e uguale, e cio che si perde non e che un
istante. Nessuno infatti perdera mai ne il passato ne il futuro, perche cio che non si
ha, chi mai potrebbe togliercelo? [... ] Si perde 10 stesso a morire sia vecchissimi
sia giovanissimi, perche il presente e I'unica cosa di cui si puo essere privati, dato
che e l'unica che possediamo, e nessuno puo perdere cio che non possiede".
Questa era anche la lezione, magistrale, di Seneca: non enim vivere bonum est,
sed bene vivere (Lettere a Lucilio 70, 4); 0 ancora non We diu vixit, sed diujitit (La
brevita della vita 7, 10: "quello non e vissuto a lungo, ma e stato al mondo a lungo"). Noi diciamo: non tanto aggiungere anni alia vita, quanta vita agli anni;
e. la negativita del concetto di in-finito. II "limite" (finis) era un valore per i
Greci e i Latini; tutto il loro sforzo era limitare l'uomo e il mondo, per cui l'aggettivo in-finitus era carico di negativita. Di qui la spedizione degli Argonuati alIa ricerca del vello d'oro intesa come vulnus aile leggi naturali (joedera mundi) e
sacrilegio (nefas); allo stesso modo del folie volo dell'Ulisse dantesco che ha varcato Ie Colonne d'Ercole. Tutta la tragedia greca vive e sussiste sulla violazione
dell'aurea legge naturale del modus; basti pensare aJle tre figure femminili archetipiche Antigone-Fedra-Medea.
Qui, naturale e immediato, scatta il quesito: ci rende pili felice la consapevolezza del limite 0 del non-limite? Ancora: c'e un limite allo sviluppo, al progresso
delia conoscenza? E poi: il limite, il modus, la stessa parolafinis (nella sua duplicita semantica di "limite" e "scopo" e di "Ia fine" e "il fine") sradica oppure fonda la vita? L'uomo - con la conoscenza, con Ie conoscenze, con la scienza e con
la tecnica - pUGevolversi fino a trascendersi illimitatamente oppure soggiace alla
curva generale dell'entropia? Le Colonne d'Ercole sono una protezione 0 un ostacolo? Riflessione, questa, non solo professionale e diurna dei filosofi, ma personaIe e notturna di ognuno di noi;
f. I 'assenza delia speranza. L'imperativo categorico classico e nec spe nec metu ("ne con la speranza ne con la paura" si deve vivere). La speranza positiva sara
valore cristiano e poi illuministico, proprio delle utopie moderne e coerente con la
concezione lineare del tempo-freccia;
g. l'educazione alia morte. Questo tema sara particolarmente caro ai classici.
"La cura della morte" (melete thanatou) di Platone - prefigurazione dell 'heidegerriano "vivere per la morte" - sara da Seneca trasferita interamente sui piano etico
e identificata con la meditatio mortis, con quella che Maria Zambrano ha definito
I' ars moriendi di Seneca. Nelle sue Epistole c'e, forte e centrale, I'idea della compagnia, della compresenza, dell a «coabitazione» - come dira Jean Cocteau - con
la morte: delia sua azione lenta, continua, inesorabile: cotidie morimur (<<simuore
ogni giorno, ogni ora, ogni istante»); mors carpit nos non corripit: la morte non
ci porta via con un gesto rapido e violento, non ci rapisce; piuttosto ci porta via al
rallentatore, a poco a poco; ci sfoglia, ci diminuisce, ci assottiglia (carpit).
Ma la morte e davvero if male e la non-morte il bene? Se siamo convinti che
la morte e un inconveniente, con sicurezza possiamo affermare che la im-mortalita non sia essa stessa un inconveniente? Per assolvere e anche sdrammatizzare il
quesito affiderei la risposta a una pagina agrodolce di Umberto Eco (Sugli inconvenienti e i vantaggi delia morte, in A passo di gambero, Milano, Bompiani 2006,
pp. 348 sg.): "e proprio pensandomi centenario che inizio a scoprire gli inconvenienti dell'immortalita. II primo quesito e certamente se a tardissima eta arriverei
da solo (unico privilegiato), 0 se questa possibilita fosse offerta a tutti. Se fosse
concessa a me solo mi vedrei scomparire d'intorno, a poco a poco, Ie persone care, i miei stessi figli e i miei stessi nipoti. Se questi nipoti i trasmettessero dei lara
figli e dei loro nipoti, potrei attaccarmi a loro, e consolarmi con loro della scomparsa dei lara padri. Ma 10 strascico del dolore e nostalgia che mi accompagnerebbe per questa lunga vecchiaia sarebbe insostenibile, per non dire del rimorso
di essere sopravvissuto [... J. Ma pessimo sarebbe se I'immortalita e la lunghissima vita fossero concesse a tutti. Anzitutto vivrei in un mondo sovrappopolato di
ultracentenari (0 di millenari) che sottraggono spazio vitale aile nuove generazioni, e mi troverei piombato in un atroce struggle for life, dove i miei discendenti
mi vorrebbero final mente morto. Si, ci sarebbe la possibilita delia colonizzazione
dei pianeti, ma a quel punta 0 dovrei emigrare io, coi miei coetanei, pioniere della
Galassia, oppresso da una insanabile nostalgia della Terra, 0 emigrerebbero i pili
giovani, lasciando la Terra a noi immortali, e mi ritroverei prigioniero su un pianeta invecchiato, a biascicare ricordi con altri vegliardi ormai divenuti insopportabili nella loro ripetizione costante e inarrestabile del gia detto. Chi mi dice che
non mi verrebbero anoia tutte quelle cose che nei miei primi cento anni erano state motivo di stupore, meraviglia, gioia della scoperta [... ]. Comincio a sospettare
che la tristezza che mi coglie al pensiero che, morendo, perderei tutto il mio tesoro di esperienza sia affine a quella che mi prende al pensiero che, sopravvivendo,
di questa esperienza oppressiva,janee e forse ammuffita, inizierei a provare fastidio. Forse e meglio continuare, per gli anni che ancora mi saranno dati, a lasciare
messaggi in una bottiglia per quelli che verranno, e attendere quella che Francesco
chiamava Sorella Morte".
Ma su questa punto, davvero dirimente, forse altre riflessioni occorrerebbero, a
cominciare da quella religiosa, in particolare cristiana, che pone un limite alla vita. Ne vorrei ricordare la versione veterotestamentaria, in particolare it passo delia
Genesi, la dove si dice che, per non sfidare Dio, non bisogna attingere all'albero
della vita (vale a dire dell'immortalita) e all'albero della conoscenza; la versione
neotestamentaria: la dove si dice: "chi di voi, per quanta si dia da fare, puo aggiungere un'ora sola alla sua vita?" (Matteo 6, 27); teologica, secondo Ie recenti
affermazioni di Papa Benedetto XVI, per il quale, se anche la medicina trovasse
la pillola della immortalita, il prolungamento infinito della vita biologica sarebbe
incompatibile con I'aspirazione cristiana all'etemita, concessa solo dalla ResurrezlOne.
Senza dover ritomare all'Ottocento, quando il medico doveva aver seguito anche due corsi di filosofia per cap ire integralmente chi e I'uomo, viene da chiedersi:
c'e in questa materia un ruolo specifico della riflessione umanistica?
A proposito della questione qui affrontata, e mia opinione che ci sia una responsabilita propria e primaria delle Humanae Litterae, secondo quanta recita e
reclama anche illogo delia Societa Medica Chirurgica: Scientia et Humanitas. Dal
momenta che in gioco non e solo la Zoe (la vital ita naturalistica, la vita qua vivimus), ma anche il Bios (la vita quam vivimus), non solo l'esse ("stare al mondo")
ma anche il vivere ("starci bene"), non solo la biologia ma anche la biografia, allora Ie Humanities possono stringere un' utile alleanza, anzi debbono string ere una
doverosa alleanza con la scienza e con la tecnica.
I classici, superati nelle loro risposte specifiche e tecniche riguardo ai quesiti
scientifici delia scienza medica, restano necessari per "aggiungere vita agli anni",
e soprattutto per formulare Ie nuove domande imposte dalle nuove scoperte. In
una parola per guard are in faccia if problema, al di la dei problemi specifici. Si: gli
umanisti - nella loro visione altra e unitaria - possono soccorrere gli scienziati per
formulare Ie domande giuste e coniugare l'hic et nunc con I'ubique et semper.
Un comune pensare e un'alleanza non pili rinviabili in un paese come il nostro,
che sconta un duplice deficit che e anche una duplice colpa: la denutrizione scientifica e la rimozione del pensiero classico.
Come ammoniva il Petrarca, ci si dovra collocare "sui confine, fra due terre,
con 10 sguardo contemporaneamente rivolto sia avanti che indietro" (simul ante
retroque prospiciens).
Con I'umilta di salire sulle spalle dei Giganti, per vedere pili lontano. II problema e scegliere i Giganti e non i nani. Altrimenti - noi, nani sulle spalle di altri
nani - non vedremo mai nulla.