27 maggio 2008

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27 maggio 2008
Eco di Wall Street
N. 18
26 maggio 2008
e delle principali borse
del mondo a cura
della Cornèr Banca
La folle corsa del petrolio
incita gli USA a cambiare strategia
Le quotazioni del greggio sembrano
ormai fuori controllo. In pochissimi
giorni il prezzo del barile è volato attorno ai 130 dollari e, secondo alcuni
pronostici, potrebbe facilmente veleggiare a quota 150 entro la fine dell’anno. Picchi di domanda negli Stati
Uniti e in Cina sono stati la causa numero uno di tale impennata che, ora,
comincia a destare serie preoccupazioni. Si teme, a ragione, che l’impatto sul tasso inflazionistico debba
rivelarsi molto più violento del previsto, andando conseguentemente a
peggiorare un quadro economico già
vacillante negli USA e finora più
equilibrato nell’UE. Il sorprendente
rincaro del greggio, però, ha radici
più profonde e non a caso il governo
americano ha deciso di cambiare le
proprie strategie già da alcuni mesi.
Washington è fondamentalmente intenzionata a ridurre la dipendenza
dal petrolio importato dall’estero.
Consapevole della propria “addiction” (dipendenza), come la definì lo
stesso presidente Bush nel 2006, il governo USA ha già iniziato a lavorare
in questa direzione e i primi frutti sono ora visibili. Le importazioni di petrolio - spesso provenienti da nazioni
con situazioni politiche o congiunturali assai precarie - sono in progressiva diminuzione: nel primo trimestre
del 2008, la percentuale di greggio
importato nel mercato americano è
passata dal 58.2% del 2007 al 57.9%.
Gli analisti del comparto energetico
sostengono che questa tendenza è destinata a proseguire, in primo luogo a
causa del rialzo dei prezzi, che dovrebbe rallentare i consumi. Il mercato USA, inoltre, dovrebbe iniziare a
sentire i benefici dell’Energy Independence and Security Act, la legge siglata lo scorso mese di dicembre dal
presidente Bush. Si tratta di un documento che sancisce la ferma intenzione degli USA di uscire gradualmente
dalla dipendenza del petrolio estero,
per sostituirlo con ingenti volumi di
risorse agricole (mais, soia, oli minori) o ad alto contenuto in cellulosa. In
pratica, l’adozione dei cosiddetti
“bio-carburanti”.
Diminuire la dipendenza dal petrolio
estero sostenendo fonti alternative di
carburante e introducendo uno standard per i combustibili alternativi,
vorrebbe dire almeno quintuplicare
l’odierna produzione di bio-carburanti
degli Stati Uniti. Un obiettivo sicuramente ambizioso, anche perché non è
ancora chiaro con quale tipo di colture si dovrebbe raggiungere questa elevata quantità. Le risorse agricole,
come detto, esistono, ma si tratta di
stabilire quali possano essere i reali volumi da sfruttare per riuscire a compensare i consumi. Su questo punto
non vi è ancora chiarezza, anche se gli
studi proseguono senza interruzione.
Vi è dunque, indubbiamente, una ferma volontà di modificare una strategia divenuta insostenibile di fronte alla
corsa delle quotazioni del barile. Il
Congresso di Washington è dell’opinione che non si possa abbandonare
questa strada, sottolineando che l’ultima volta in cui gli USA hanno visto
scendere la dipendenza dalle importazioni petrolifere era durante la crisi
degli anni Settanta.
Naturalmente, questo nuovo corso
potrebbe avere implicazioni politiche
sia a livello nazionale che internazionale, rendendo in seguito più difficile
sostenere cause importanti, come la
perforazione e la ricerca di nuovi
giacimenti in Alaska. Persino un incremento della produzione di bio-car-
Washington è fondamentalmente
intenzionata a ridurre
la dipendenza
WALL
dal petrolio importato
buranti andrebbe a ripercuotersi sui
prezzi dei prodotti agricoli, già piuttosto tesi in questo momento, suscitando inevitabili polemiche.
Ciononostante,
l’EIA
(Energy
Information Administration) prevede
che la legge varata a dicembre dovrebbe contribuire a far aumentare la
produzione di bio-combustibili dagli
attuali 8 miliardi di galloni ad almeno
32 miliardi entro il 2030; contemporaneamente, si dovrebbero raggiungere risultati incoraggianti anche per
quanto concerne l’efficienza dei motori nelle auto di nuova generazione,
con un abbassamento dei consumi
stimato attorno al 40%.
Mentre le istituzioni politiche, con la
collaborazione dei settori industriali,
stanno lottando per potenziare le capacità di autonomia dal petrolio immettendo sul mercato motori
alimentati da energie alternative, il
mercato del greggio, invece, seguita
ad essere oggetto di acquisti di massa. I timori di una carenza di petrolio
entro il prossimo quinquennio hanno
spinto le quotazioni sul mercato a
termine oltremisura. Gli investitori,
infatti, hanno acquistato senza sosta
contratti future con scadenze fino a
dicembre 2016, provocando un’accelerazione improvvisa in un mercato
già visibilmente orientato al rialzo.
L’incessante richiesta proveniente
dalla Cina sta sollevando forti malumori e, al momento, non si riesce a
vedere un termine.
Le quotazioni del barile proseguono
quindi la loro scalata, alimentata anche da malcelati timori circa la futura
produzione. Non sono chiari, anzitutto, i progetti al riguardo dell’Arabia Saudita, il principale esportatore
di petrolio al mondo. In secondo luogo, anche se le nuove politiche introdotte dal governo americano per lo
sfruttamento dei bio-carburanti dovessero rivelarsi efficaci, il mondo
continuerebbe ad essere dipendente
dal greggio dell’Opec ancora per diversi anni.
È difficile correggere la tendenza di
un mercato che, per decenni, ha conosciuto una struttura interamente
basata sull’utilizzo del petrolio. La
velocità di adattamento alle nuove
leggi e la capacità del mercato di aggiustarsi in tale direzione sono dunque le variabili su cui potrebbe
basarsi il futuro fabbisogno energetico del mercato statunitense e, in ultima analisi, di quello mondiale.
Anna Russo
Comunicazione,
Immagine e PR
© Cornèr Banca SA
STREET
Cronache
dai mercati finanziari
Il Punto
Nella settimana appena trascorsa, si è
avuto un andamento negativo per
quello che concerne i principali mercati finanziari internazionali.
Sul fronte valutario, si è assistito ad
un indebolimento del dollaro americano. Sulle prime, il biglietto verde era
stato sostenuto da una lusinghiera
pubblicazione inerente al superindice
congiunturale statunitense; successivamente, tuttavia, una forte impennata dei prezzi del greggio e l’idea
prevalente di un più remoto assottigliamento dello “spread” dei tassi fra
euro e dollaro hanno determinato una
chiara flessione della divisa a stelle e
strisce.
Fra i metalli preziosi, l’oro ha messo a
segno una plusvalenza, malgrado sia
stato reso noto che la domanda di fisico sia diventata in generale molto
cauta in ragione delle elevate quotazioni del greggio. Da considerare anche l’apprezzamento del platino, cui
hanno giovato le stime di un rinnovato deficit da offerta, favorito in ampia misura dall’attuale crisi energetica
in Sudafrica.
Preoccupazioni di vasta portata sono
derivate dall’ulteriore ascesa delle
quotazioni petrolifere, che hanno
raggiunto nel periodo il livello di 135
dollari al barile. Malgrado l’impegno
di una maggiore produzione, in seno
all’Opec, da parte dell’Arabia Saudita, la pressione al rialzo è proseguita a
causa di fattori come speculazione,
dollaro debole e tensioni geopolitiche.
Da negativo sfondo hanno comunque fatto le previsioni di un noto
broker, che ravvisa per l’oro nero l’eventualità di pervenire a 150 dollari al
barile. Gli Stati Uniti hanno intanto
iniziato a ridurre la loro dipendenza
dal petrolio d’importazione: grazie ad
automobili più efficienti e ad un maggiore uso di bioetanolo, per la prima
volta dal 1977 la quota di greggio importato è risultata in flessione.
Dalle minute dell’ultima riunione del
Comitato monetario della Fed, è trapelato che potrebbe aversi un’interruzione nella tendenza ribassista dei
saggi ufficiali statunitensi. Dovrebbe
infatti ora essere messo l’accento sulle
previsioni inflazionistiche, a meno di
un significativo deterioramento della
situazione congiunturale.
A conferma di questa opinione, è intervenuto un negativo dato relativo
all’indice dei prezzi alla produzione
Usa per il mese di aprile. Le attese di
nuove svalutazioni nel settore bancario per almeno 170 miliardi di dollari
entro la fine del 2009 hanno poi riportato l’attenzione sulla recente crisi
finanziaria.
In Germania, dalla pubblicazione di
due indici sulla fiducia sono emersi risultati sorprendentemente discordanti. Infatti, sul futuro dell’economia
tedesca, gli imprenditori appaiono ottimisti e gli investitori pessimisti. Le
cifre riferite al clima aziendale mettono almeno parzialmente in dubbio la
tesi di un prossimo netto rallentamento economico tedesco, complice la
frenata americana.
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Variazioni dei principali indici e cambi
16.5.2008
23.5.2008
min/max 2007/2008
2008*
12986.80
12479.63
-3.91%
11634.82/14198.10
-5.92%
NY - NASDAQ
2528.85
2444.67
-3.33%
2155.42/2861.51
-7.83%
NY - S&P 500
1425.35
1375.93
-3.47%
1257.30/1576.06
-6.29%
UE- DJ STOXX 50
3280.49
3169.43
-3.39%
2871.80/3691.59
-13.96%
FR - DAX
7156.55
6944.05
-2.97%
6167.82/8100.64
-13.92%
ZH - SMI
7653.71
7459.94
-2.53%
6769.80/8421.00
-12.08%
LO - FTSE100
6304.30
6087.30
-3.44%
5338.70/6534.70
-5.72%
PA - CAC40
5078.04
4933.77
-2.84%
4416.71/5665.94
-12.12%
26276
25374
-3.43%
22918/29404
-13.70%
TK - NIKKEI
14219.48
14012.20
-1.46%
11691.00/15156.66
-8.46%
HK - HANG SENG
25618.86
24714.07
-3.53%
20572.92/27853.60
-11.14%
USD/CHF
1.0474
1.0236
-2.27%
0.9674/1.3238
-9.70%
USD/JPY
104.03
103.30
-0.70%
95.71/124.16
-7.21%
USD/CAD
0.9990
0.9894
-0.96%
0.9056/1.1870
-0.70%
EUR/USD
1.5575
1.5764
1.21%
1.2915/1.6018
8.05%
EUR/CHF
1.6320
1.6140
-1.10%
1.5349/1.6828
-2.41%
EUR/GBP
0.7961
0.7961
0.00%
0.6567/0.8098
8.33%
GBP/USD
1.9563
1.9795
1.19%
1.9299/2.1161
-0.26%
GBP/CHF
2.0495
2.0272
-1.09%
1.9376/2.4966
-9.93%
NY - DJII
MI - MIBTEL
*variazione da fine 2007
Fonte: Reuters
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