L`architettura del chiostro e la diffusione del modello agostiniano
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L`architettura del chiostro e la diffusione del modello agostiniano
IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO 132 Francesco Menchetti L’architettura del chiostro e la diffusione del modello agostiniano Il chiostro di Sant’Agostino a Fano è uno dei più grandi e belli della città e, in particolare, sorprende il visitatore per la sintassi architettonica degli spazi e la sua geometria regolare: quadrato perfetto di quasi 30 metri di lato con 28 lunette affrescate (7 per lato). Il chiostro agostiniano inoltre, innalzato su sedici colonne e quattro pilastri angolari, presenta analogie e continuità con alcuni conventi monumentali agostiniani presenti dentro e fuori della regione Marche.1 L’impostazione medievale del quadriportico è stata rivista tra XVI e XVII secolo e le colonne del peristilio di tipo toscano, ad un solo ordine con i fusti in arenaria, parzialmente deteriorati, presentano i capitelli in pietra istriana, di cui quattro sul lato nord-ovest decorati con gli stemmi dell’ordine agostiniano. La scansione cronologica delle vicende progettuali e dei cantieri risulta un po’ frammentaria ma può essere bene integrata, come anticipato, grazie al confronto con i cantieri coevi sorti sul territorio nel Cinquecento e organizzati da maestranze lombarde (San Michele, San Paterniano, Santa Maria Nuova), residenti nella Marca ed eredi dei magistri comacini. La soluzione angolare con pilastro a L in mattoni, capitello e base in pietra è un inserimento architettonico molto originale nel contesto fanese e che trova il suo modello paradigmatico nel chiostro martiniano del Palazzo Ducale di Urbino. Durante il tardo Rinascimento il problema dell’angolo di un portico, in cui viene scaricato il maggiore peso strutturale, aveva suggerito agli architetti la stessa soluzione che ritroviamo a Fano: due lesene (o due semicolonne come nell’esempio citato in seguito di Senigallia) addossate ad un pilastro con pianta a L. In questo modo gli archi del portico trovavano nel pilastro una rigida base su cui appoggiarsi evitando l’utilizzo medievale della colonna in angolo. Guarda caso a Fano le basi e i capitelli del pilastro, in pietra bianca d’Istria, pietra con durata e resistenza maggiore dell’arenaria, si sono conservati perfettamente rispetto ad alcune colonne del chiostro in arenaria che sono invece fortemente deteriorate perché intaccate maggiormente dagli agenti atmosferi- Qui e nella pagina a fronte Vedute del chiostro 133 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare dei capitelli del porticato Sotto Capitello di stile toscano con arma gentilizia (tre gigli e banda diagonale) 134 ci. Il capitello del pilastro con cimasa, echino, quadretto, fregio e astragalo risulta più raffinato rispetto alla lavorazione dei capitelli su colonna, caratterizzati da un fregio molto più alto e nel complesso un po’ sproporzionato. Nel Cinquecento, secolo in cui iniziarono questi lavori, la trattatistica architettonica divulgava i precetti per l’esecuzione dei manufatti desumendo le misure e gli stili dagli esempi antichi. Cito come esempio solamente il IV Libro de I Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio (1475-1554), architetto e trattatista bolognese, presente anche a Pesaro negli anni giovanili della formazione. Egli scrisse questo libro dedicato alla grammatica compositiva, le Regole generali sopra le cinque maniere de li edifici (Venezia 1537), il quale divenne un vero e proprio best-seller. Per trovare qualcosa di simile al chiostro fanese dobbiamo fare riferimento alla chiesa di Santa Maria del Soccorso, detta di Sant’Agostino, a Mondolfo e a quella di Santa Maria delle Grazie di Senigallia iniziata alla fine del Quattrocento da Baccio Pontelli. Oltre alla soluzione angolare a L, i due esempi di chiostro citati hanno una struttura modulare perfettamente quadrata che ripete quella fanese, ambedue scanditi da 25 arcate, coperti da volte a crociera e impreziositi dalle lunette affrescate. Le pitture fanesi rappresentano le storie di Sant’Agostino e in ugual maniera avviene a Mondolfo dove un tempo le pitture si trovavano su tutti e quattro i lati del portico, e oggi solo sul lato est. A Senigallia invece le lunette sono affrescate con le storie del Santo di Assisi. Il chiostro di Fano è incernierato in basso da una base o zoccolo che corre al di sotto del plinto delle colonne e che limita l’accesso all’area claustrale, ora adibita a giardino e senza cisterna centrale; in alto invece un fascione marcapiano, collocato al di sopra degli archi a tutto sesto divide il portico dai dormitori. Gli altri due esempi citati, Mondolfo e Senigallia, conservano anch’essi un muretto o zoccolo perimetrale e il fascione marcapiano, ma diversamente da Fano vi ritroviamo L’ARCHITETTURA DEL CHIOSTRO E LA DIFFUSIONE DEL MODELLO AGOSTINIANO ancora la cisterna con vera da pozzo. Probabilmente una delle vere da pozzo agostiniane più belle che si possa ammirare e che rappresenta un modello paradigmatico è quella conservata al Museo Civico di Viterbo nell’alto Lazio, una vera da pozzo in pieno stile rinascimentale proveniente dal vicino chiostro di Sant’Agostino. Una costruzione che esprime con la sua grazia il decoro e la proporzione tipica dell’architettura agostiniana, in un’area geografica in cui la Regola e la divulgazione dello spirito di Sant’Agostino aveva mosso i primi passi. Tornando alle ascendenze lombarde del chiostro cinquecentesco di Fano si deve sottolineare oltre a una nutrita schiera di magistri comacini presenti in città (primo fra tutti Giovanni Bosso, scultore ticinese residente a Ravenna ma molto attivo nella nostra città)2, una certa somiglianza stilistica tra Sant’Agostino e il chiostro del convento di Santa Maria Incoronata di Milano. Il convento meneghino, con grande chiostro quadrato a otto campate per lato, fu costruito nel ‘400 e restò in mano agli Agostiniani della Congregazione di Lombardia fino al secolo scorso. Bianca Maria Visconti, moglie di Francesco Maria Sforza, duca di Milano a seguito dei benefici ricevuti da San Nicola da Tolentino mentre si trovava nelle Marche (a Jesi) fece costruire annessa alla chiesa milanese dell’Incoronata, un’altra chiesa dedicata a San Nicola.3 Il modello paradigmatico di chiostro per gli agostiniani marchigiani e in generale dell’area centro-italiana resta comunque quello tolentinate come ricordato da Fabio Mariano: I chiostri, coi loro deambulatori ritmati dalle trasannae lignee delle prime coperture a spiovente degli edifici originariamente a un solo piano (poi modificati a volte reali nelle sopraelevazioni successive), potevano essere singoli, doppi o tripli (specie nelle fondazioni lombarde), dove il grado della restrizione a clausura era progressivamente determinata nella sequenza, solitamente: accesso libero ai fedeli, noviziato, comunità dei frati.4 Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare del pilastro angolare Quello agostiniano è un modello di portico che si rifà alla tradizione cistercense (Abbazia di Cluny, Francia, X secolo), benedettina (Abbazia di San Gallo, Svizzera, del IX secolo con chiostro quadrato centrale) e prima ancora del peristilio romano.5 Eschapasse, storico francese, nei suoi studi sull’architettura monastica individuò gli elementi comuni tra il peristilio della villa romana e il chiostro conventuale. Il chiostro e il peristilio, oltre che a livello formale con portici e impluvium sistemati attorno ad un perimetro regolare in cui poter deambulare al coperto ma a contatto con la natura, sono associabili anche a livello funzionale, in quanto entrambi raggruppano tutte le parti riservate di un organismo e le mettono in comunicazione tra loro, mantenendole comunque separate dall’esterno.6 Tullio Zazzeri, emerito studioso dell’architettura agostiniana delle Marche e di Tolentino in particolare, ha indagato le planimetrie di diverse chiese e la collocazione urbana dei conventi 135 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare della base delle colonne 136 all’interno del recinto urbano rispetto ai punti cardinali. Egli sottolinea che sul chiostro “vi si aprono le porte e le scale per tutti gli ambienti conventuali esclusi refettorio e cucina […] e, come frutto ed occasione di elevazione spirituale, è quasi sempre una bellissima opera di architettura”.7 Refettorio e cucina erano lontani dal chiostro onde ottenere un maggiore isolamento acustico perché come stabilito dalla Regola mentre si mangiava venivano letti a voce alta le Sacre Scritture: “Quando sedete a mensa e finchè non vi alziate, ascoltate senza rumori e discussioni ciò che secondo l’uso viene letto; sicchè non solo il corpo abbia il nutrimento ma anche le orecchie gustino la parola di Dio”. A Fano l’impluvium del chiostro non è lastricato e secondo quello che scrive l’Amiani, il motivo potrebbe essere che nel corso dei secoli vi vennero aperti degli scavi archeologici, quelli che lo storico fanese definisce genericamente caverne. In effetti i resti archeologici portati alla luce e resi visitabili negli ultimi anni potrebbero corrispondere alla descrizione delle antiche stanze larga et longa che Amiani mette in relazione con i resti del “Tempio della Fortuna”. Già nel 1491 in Consiglio cittadino venne definito di stanziare una voce di spesa per selicare, matonare seu sternere et facere pavimentum, quindi fare dei pavimenti che possiamo ricondurre alla zona del chiostro.8 Almeno fino alla prima metà del Seicento il chiostro e gli ambienti corrispondenti non erano completamente terminati, infatti solamente nel 1640 Giulio Cesare Begni eseguirà gli affreschi nelle lunette. Un documento del 1624 delinea i lavori da eseguire e le stime dei muratori quali Michelangelo Honofri, la descrizione sottolinea lo stato di una fabbrica indigente 9 che vide un lungo periodo di gestazione. Quando venne costruito il chiostro? La domanda che anche Piercarlo Borgogelli si pose quando nel 1926 scriveva in occasione del XXV anniversario di sacerdozio del Padre Nicola Albanesi, non può ricevere una risposta definitiva. In assenza di ricerche archivistiche chiarificatrici la cronologia del chiostro non potrà che essere la riconsiderazione delle date esposte dal Borgogelli ed accettate dalla critica contemporanea. L’ARCHITETTURA DEL CHIOSTRO E LA DIFFUSIONE DEL MODELLO AGOSTINIANO Gli agostiniani entrarono in città nel 1265 e occuparono gli spazi già esistenti della chiesa e del convento medievale di Santa Lucia, situato non lontano dalle mura urbiche e vicino al centro urbano.10 In questo primo insediamento sarebbe stato, o almeno sarebbe passato da Fano, anche San Nicola da Tolentino (1245-1305) come ricorda l’iscrizione sistemata sotto il portico del chiostro: HOSPES QUICUMQUE SI FAUCIBUS ARDOREM EXTINGUERE CUPIS SISTE HIC DIVUS NICOLAUS TOLENTINAS TEMPLO MENDACIAE FORTUNAE DIRUTO PUTEUM QUEM VIDES FUNDITUS EREXIT UT AQUIS AFFLUENTIBUS AD CORPORIS MEDELAM PERENNE BENEFICIUM APTARET HUC ACCEDAT QUI SITIT ET LABIIS AC CORDE HUIUS MEDICAE VIRTUTIS AUCTOREM VENERETUR INTERRIS DUM NICOLAUS GLORIFICATUR IN COELIS Gli agostiniani una volta preso possesso del convento duecentesco nel secolo successivo lo ricostruirono secondo le nuove esigenze, con la chiesa a navata unica orientata con la facciata a ponente. In centro Italia i primi insediamenti agostiniani non prevedevano un chiostro quadrangolare ma in base all’esperienza maturata nei numerosi romitoria e in dialogo con l’edilizia francescana, gli insediamenti urbani dell’ordine prediligono l’impianto a L costituito da un unico braccio conventuale che si affianca ortogonalmente all’asse della chiesa.11 Successivamente nel Trecento l’edificazione dell’intero quadrato claustrale sarà dettata dalla crescita numerica dei religiosi. Al Quattrocento appartengono le due bifore con modanatura in terracotta che si affacciano sotto al portico e facenti parte dell’antica sala capitolare. Con il Cinquecento invece il chiostro prese corpo con l’impostazione che ancora oggi vediamo e i suoi lavori sono documentati insieme a quelli dell’allungamento della chiesa. Le spese infatti furono approvate in Consiglio comunale e sovvenzionate con 25 salme di grano per quat- Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare della base delle colonne 137 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare della base del pilastro angolare 138 tro anni.12 Nel Seicento i lavori alla loggia nuova, documentati da una causa civile del 1636, aprono una spaccato sulle vicende del cantiere con i mastri muratori, Francesco Marmarelli e Giovan Battista Gaggia da una parte e Antonio Bambini, sindaco e procuratore del convento dall’altra. Si contestava il fatto che due muraglie, di cui una vicina alla porta d’ingresso verso il cortile e di circa 20 metri (62 piedi) minacciava rovina specie alla base e nella parte alta, nel tetto. I muratori accusavano i padri agostiniani di aver voluto variare il disegno e di aver acquistato dei materiali di scarsa qualità, specie coloro che sovrintendevano i lavori: i soprastanti. Il padre baccelliere Brenzi, soprastante, aveva anche redatto un progetto segnato direttamente sul muro del claustro, all’entrata del convento. Gli agostiniani contrattaccavano riferendo che le colpe erano tutte degli esecutori e della loro negligenza. Il 20 dicembre 1636 il pretore fece un sopralluogo con i periti di ambedue le parti in causa, ma non sappiamo quale fu la decisione presa dal giudice. Resta di difficile comprensione la localizzazione dei lavori in questione: si parla di una parete con 18 logge a rischio di crollo, quando invece il chiostro al piano terra presenta 20 logge complessive su tutti e quattro i lati. Nel manoscritto si parla di loggia nuova di sopra e di portelli o finestre che si affacciavano sul cortile, quindi si potrebbe anche ipotizzare che si trattasse dei dormitori del primo piano.13 Tornando al chiostro, all’impreziosimento del Begni seguirono i restauri settecenteschi delle lunette, curati da Giuseppe Ceccarini nel 1775 e ricordati dall’iscrizione posta sopra la porticina d’entrata in chiesa. In seguito il chiostro scampò ai bombardamenti del 1944, i quali invece distrussero i rifacimenti barocchi della chiesa. Dal 1997 l’Archeoclub sede di Fano ha gestito il progetto di restauro delle 28 lunette di proprietà del Seminario Vescovile di Fano, grazie al finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano. L’ARCHITETTURA DEL CHIOSTRO E LA DIFFUSIONE DEL MODELLO AGOSTINIANO Note 1. Ringrazio Padre Marziano Rondina, Priore della chiesa di San Giacomo di Bologna, per l’interessamento mostrato nel corso di questa ricerca. Romano Cicconi ha svolto un’analisi tassonomica dei conventi marchigiani evidenziando che la provincia di Pesaro-Urbino è quella più ricca di cenobi agostiniani: 34 rispetto ai 18 di Ancona, ai 28 di Macerata e ai 27 di Ascoli Piceno. Nella nostra provincia i conventi risultano così raccolti: 5 nella fascia costiera, 14 nell’area collinare e 15 nella zona montana. R. Cicconi, Gli insediamenti agostiniani nelle Marche e le Relazioni del 1650, in Arte e spiritualità nell’ordine agostiniano e il Convento San Nicola a Tolentino, a cura del Centro Studi “Agostino Trapè”, Atti del convegno (Tolentino, 1-4 settembre 1992), Roma 1994, p. 141. In generale sul chiostro di Sant’Agostino a Fano si rimanda, P. Borgogelli, Il convento, la chiesa di Sant’Agostino e gli affrechi trecenteschi, in “Studia Picena”, X (1934), pp. 204-212; Ibid., Gli Agostiniani a Fano (1163-1925), in Spunti antichi e recenti di storia agostiniana, Fano 1926, pp. 38-71 e pp. 103-110; C. Giardini, Gli affreschi del chiostro dell’ex-convento di Sant’Agostino in Fano, in “Nuovi studi fanesi”, 11, (1997); E. De Blasi, La chiesa di Sant’Agostino e il suo complesso scultoreo: proposte per una nuova ricerca, in “Nuovi studi fanesi”, 3, (1988), pp. 137-163; F. Mariano (a cura di), Gli Agostiniani nelle Marche. Architettura, arte, spiritualità, Milano 2004. 2. M. Pfister, Repertorium der Tessiner Künstler, 1994; Bollettino storico della Svizzera, 1915; F. Battistelli, Note su Mo Giovanni Bosso da Milano scalpellino a Fano nel secolo XVI, in “Fano, Supplemento al Notiziario di informazione sui problemi cittadini”, 4 (1977), pp. 75-85. 3. Cfr. C. Alonso, L’influsso di S. Nicola nell’ordine agostiniano fino al secolo XVI, in San Nicola, Tolentino, le Marche, (Tolentino, 4-7 settembre 1985), Macerata 1987, pp. 212-213. 4. F. Mariano, op. cit., p. 63. 5. Mentre i monasteri benedettini, cistercensi e certosini avevano spesso costruito i loro monasteri in luoghi isolati dove vivevano di agricoltura, gli ordini mendicanti come anche gli agostiniani di Fano, andarono a risiedere in città. Molti lavori che gli antichi ordini svolgevano nel chiostro gli agostiniani potevano farli fuori del monastero, in città, cfr. H. Dellwing, Evoluzione del chiostro di San Nicola a Tolentino, in Arte e spiritualità, cit., p. 279. 6. M. Eschapasse, L’architecture bénédictine en Europe, Parigi 1963. 7. T. Zazzeri, La “forma monasterii” agostiniana e il convento di Sant’Agostino in Tolentino, in S. Nicola, cit., p. 386. 8. SASF, AAC, II, Consigli, vol. 25, c. 173 r., alla data 15 maggio 1491. 9. SASF, AAC, Atti Civili, b. 147. s.n. 10. Questa scelta rientra in una tipologia insediativa duecentesca presa in considerazione da Marcelli, il quale approfondisce anche le ragioni sociali degli spostamenti dai romitoria ai conventi. Nelle province del centro-nord, Pesaro-Urbino e Ancona, i nuovi insediamenti eremitici agostiniani nascono in particolare per esigenze di sicurezza diversamente da una normale politica di saturazione del territorio propria del secolo. Tre conventi su sei: Miratoio, Poggiolo (poi riunitisi a Talamello), Roccacontrada, Mondolfo, San Vito sul Cesano e Sassoferrato. “Le fondazioni trecentesche si stabiliscono in un territorio prossimo alla saturazione e portano a termine la politica insediativa agostiniana iniziata nel Duecento dall’orientamento per la cura animorum e il conseguente spostamento dagli eremi alle aree urbane”, F. Marcelli, Organizzazioni e relazioni insediative dei complessi agostiniani nei centri minori della Marca d’Ancona nel Trecento, in Santità e società civile nel Medioevo: esperienze storiche nella santità agostiniana, a cura della Biblioteca Egidiana, Tolentino 2005, pp. 129-139. 11. Scrive a tal proposito Giuliano Romalli citando la diffusione della tipologia del chiostro a L: “La citata tipologia insediativa duecentesca, con gli ambienti destinati alla vita comunitaria organizzati in un’unica ala applica in forma ridotta il modello cistercense, derivato dall’Abbazia di Cluny, dell’ala dei monaci, un genere che era stato ampiamente sperimentato in ambito mendicante sin dagli anni trenta del Duecento, quando fece la sua comparsa a Milano nel San Francesco Grande. L’unica ala conventuale era sviluppata su due livelli: al pianterreno sono il refettorio, la sagrestia e la sala capitolare, il dormitorio invece occupa il livello soprastante. Alla sala capitolare è attribuito un risalto particolare in quanto ambiente di rappresentanza: finestre con arcature simmetriche disposte ai lati del portico”. G. Romalli, Eremitari in città: strutture conventuali e contesti urbani. Indagini sull’area senese. in Santità, cit., p. 84. 12. “Et posito partito a chi pare et piace et a lode del onnipotente Iddio, honore et grandezza di questa città et salute delle anime tutte, si abbian a dar, amore Dei, per quattro anni salme 25 di grano l’anno cominciando al novo riscosso da spendersi il denaro di esse nella fabbrica cominciata della Chiesa di Sant’Agustino”, SASF, AAC, II, Consigli, 21 marzo 1562, c. 182. Il documento è riportato anche in P. Borgogelli, Gli Agostiniani a Fano, cit., p. 61. 13. SASF, ASC, Cause Civili, b. 183, c. 83r. e v.; SASF, ASC, Atti Civili-Iura dicersa, b. 147 Fano, chiostro di Sant’Agostino, particolare del pilastro angolare 139 IL COMPLESSO MONUMENTALE DI SANT’AGOSTINO A FANO Fano, chiostro di Sant’Agostino, veduta generale 140 L’ARCHITETTURA DEL CHIOSTRO E LA DIFFUSIONE DEL MODELLO AGOSTINIANO 141