Il “tempo” dell`Edipo? - Scuola Romana di Psicologia Clinica

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Il “tempo” dell`Edipo? - Scuola Romana di Psicologia Clinica
Il “tempo” dell’Edipo? - Scuola Romana di Psicologia Clinica - Imago
di Rossella Salvatori
Giovedì 18 Febbraio 2010 18:13 - Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Febbraio 2010 11:51
Parlare del “tempo dell’Edipo” inevitabilmente ci conduce alla constatazione dell’esistenza di
“una struttura inconscia onnipresente e intramontabile” (Semi, 1989, 45) appartenente alla
storia emotiva di ogni uomo, di un sistema simbolico destinato a trasmettere, nei contesti
socio-culturali, una legge fondamentale nei rapporti sociali: la proibizione dell’incesto.
Una legge che esprime una condizione universale e minima perché una cultura si differenzi
dalla natura, che trascende la storia e le variazioni del vissuto individuale, ed esprime l’esigenza
posta ad ogni essere umano di dominare la scena edipica.
Proprio intorno all’Edipo si ordinano le relazioni che strutturano la famiglia umana nel senso di
società, in quanto, attraverso la proibizione dell’incesto e l’instaurarsi della morale si costituisce
una vittoria della specie sull’individuo.
Frustrazioni e gratificazioni ben dosate devono spingere il bambino a distaccarsi da certi
soddisfacimenti legati all’acquisizione di certe funzioni e a un certo modo d’essere per
acquisirne di nuovi (Chasseguet-Smirgel, 1975, 18).
Con il differimento della maturazione sessuale è stato possibile erigere, accanto ad altre
inibizioni sessuali, la barriera contro l’incesto, accettando pertanto le prescrizioni morali che
escludono nella scelta oggettuale gli oggetti d’amore dell’infanzia.
Freud fa risalire l’origine del tabù dell’incesto e della esogamia alle prime forme di
organizzazione sociale nate in seguito al parricidio e alla disputa della eredità paterna, per cui i
fratelli, persuasi dei pericoli e della infruttuosità delle lotte per il potere, stabilirono una sorta di
contratto sociale, da cui originarono la rinuncia pulsionale, il riconoscimento di obbligazioni
reciproche, la fondazione di determinate istituzioni dichiarate inviolabili, dunque gli inizi della
morale e del diritto. In tal modo “il singolo rinunciò all’ideale di acquisire per sè la posizione del
padre, rinunciò al possesso della madre e delle sorelle” (Freud, 1934-1938, 404).
Il totemismo, che come Freud ricorda è la prima istituzione sociale-religiosa degli uomini, si
basa esattamente su elementi il cui unico significato è la rinuncia pulsionale, senza la quale
l’individuo tornerebbe ad uno stato completamente istintuale, in assenza di alcun imperativo
sociale. I due comandamenti fondamentali del totemismo - non uccidere il totem e non avere
rapporti sessuali con una donna appartenete allo stesso totem - coincidono quanto a contenuto
con i due delitti commessi da Edipo, il quale uccidendo suo padre Laio e sposando sua madre
Giocasta ha messo in luce il fallimento del meccanismo della rimozione dinanzi l’inclinazione
istintuale diretta all’appagamento di desideri infantili. Tale il motivo per cui la tragedia di Sofocle
scuote gli animi degli uomini ancor oggi, i quali sono costretti a riconoscere che nel loro intimo
sopravvivono, seppur repressi, gli stessi impulsi che hanno guidato le vicende mostruose
compiute dal Re Edipo.
In effetti, come rammenta Sassanelli, la vicenda di Edipo è un dramma eminentemente interiore
e personale dove tutto è già accaduto prima che si alzi il sipario; e dove ciò che si svolge sulla
scena è una ricerca solitaria della verità il cui esito è la piena assunzione di responsabilità da
parte del soggetto nei confronti dei propri comportamenti e atti sia pure inconsapevoli
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(Sassanelli, 1997, 53).
Alla luce di Freud, l’importanza del Complesso edipico non è legata ad una serie di circostanze
di cui sia possibile farsi una ragione, ma proprio il rapporto dei figli con i genitori mette in luce il
dato di fatto biologico della lunga dipendenza e della lenta maturazione dell’essere umano, ed
anche il complicato evolversi della sua capacità di amare. Quindi, il superamento del
Complesso edipico coincide con la modalità più efficiente di vincere l’eredità arcaica dell’uomo,
la quale non è utilizzabile ai fini della convivenza sociale e civile nella stessa forma in cui è
connaturato al singolo essere umano.
Il Complesso edipico ha una sua peculiare storia evolutiva che lo studio della preistoria
evidenzia, ossia “un tempo il dio-padre visse in carne e ossa su questa terra ed esercitò il suo
dominio come capo supremo dell’orda umana primordiale fintantoché i suoi figli, alleatisi
insieme, non lo abbatterono” (Freud, 1919, 126). E proprio in virtù di tale misfatto originarono i
primi vincoli sociali, le prime restrizioni morali e la più antica forma di totemismo, ed anche le
successive religioni non hanno potuto evitare di ripetere in forme nuove l’eliminazione del
padre.
In questo modo è stato possibile cogliere, anche nel mito, l’eco di quell’evento formidabile che
incombe sull’intero sviluppo del genere umano (Ibid.).
Il parricidio rappresenta il delitto principale e primordiale sia dell’umanità sia dell’individuo,
appare come un’azione fatale, definitiva, un punto di non ritorno oltre il quale l’assassino si
trova proiettato in un gorgo dal quale non riuscirà più a salire: con l’aggressione al padre il
flusso regolare delle generazioni si interrompe. Infatti, il parricida, come Edipo, dà un taglio
definitivo al passato: chi compie quest’atto non potrà ripercorrere all’indietro la sua storia e
quella della sua famiglia senza provare smarrimento e rimorso.
Come afferma L. Ancona nell’Introduzione all’opera di Zipparri, la dialettica padre-figlio “implica
nelle sue pieghe una quantità straordinaria di verità drammatiche relative al pensiero e alla
storia, e ad esse perentoriamente rinvia (Ancona, L., Introduzione in Zipparri, 2000).
Il senso di colpa dell’umanità prende origine dal Complesso edipico con l’uccisione del padre da
parte dei fratelli alleatisi insieme, e “in quell’occasione un’aggressione non fu repressa ma
effettuata, ed è la medesima aggressione che, repressa nel bambino, dovrebbe essere la fonte
del suo senso di colpa” (Freud, 1929, 617); pertanto, il senso di colpa affonda le radici
nell’ambivalenza emotiva del figlio verso il padre, è espressione del conflitto dell’eterna lotta tra
l’Eros e la pulsione di morte, e proprio dal soddisfacimento dei sentimenti di odio e di
aggressività prevale nell’individuo il senso di colpa ed il rimorso.
Anche se l’uomo ha rimosso nell’inconscio i suoi impulsi malvagi e vorrebbe dirsi che non è
responsabile di essi, qualcosa lo costringe ad avvertire questa responsabilità come un senso di
colpa il cui motivo gli è sconosciuto. E’ del tutto indubbio che nel complesso edipico si può
vedere una delle più importanti fonti del senso di colpa da cui i nevrotici sono tanto spesso
afflitti (Freud, 1915-1917, 488-489).
La coscienza tabù è la prima forma di coscienza morale ed è caratterizzata dalla percezione
della riprovazione che ci suscitano determinati impulsi di desiderio. Il tabù, anche se violato
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inconsapevolmente, fa sorgere il senso di colpa in quanto la spiegazione della colpa è
all’interno della coscienza morale: Edipo è inconsapevole ma una volta scoperto il delitto
commesso e l’incesto consumato con la madre si acceca, si punisce con una rinuncia per non
aver rispettato la rinuncia prescritta dal tabù.
Edipo ricostruisce la sua storia e prende contatto con differenti livelli della verità psichica, e nel
momento in cui acquista consapevolezza di essere il colpevole parricida e incestuoso si accieca
come forma estrema e crudele di autopunizione. E’, naturalmente, una punizione con un
preciso valore simbolico, ossia Edipo si strappa gli occhi che non hanno saputo vedere la verità.
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