2013-01 I-03 BOTTONI PATTO DI QUOTA LITE E RIFORMA

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2013-01 I-03 BOTTONI PATTO DI QUOTA LITE E RIFORMA
Francesco Bottoni
IL RITORNO DEL MORTO PRESUNTO.
CONSIDERAZIONI SUL DIVIETO DEL PATTO
DI QUOTA LITE ALLA LUCE DELLA NUOVA
DISCIPLINA DELL’ORDINAMENTO
PROFESSIONALE
Sommario: 1. Approdo normativo. - 2. Ratio e opportunità del divieto. – 3.
Le scelte della riforma. Ripristino o conferma di un limite già esistente? - 4.
Considerazioni conclusive.
1. APPRODO NORMATIVO
L’art.
13
l.
n.
247/2012
recante
Nuova
disciplina
dell’ordinamento della professione forense ed in vigore dal 2 febbraio 2013, nel prevedere la libertà di pattuizione dei compensi
1
(comma 3) , ha d’altra parte vietato i patti con i quali l’avvocato
percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene
2
oggetto della prestazione, o della ragione litigiosa (comma 4) . Tra
le varie modalità di determinazione è prevista la possibilità, in capo
alle parti, di pattuire un corrispettivo a percentuale in relazione al
valore dell’affare, o a quanto si prevede possa giovarsene il cliente.
1
Oltre alla pattuizione a percentuale sul valore dell’affare o del verosimile vantaggio in capo al
cliente, su cui infra, è espressamente consentita la determinazione a tempo, in misura forfetaria,
per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività.
2
Il Dossier di documentazione e analisi, a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio nazionale forense,
n. 1/2013, reperibile su http://www.consiglionazionaleforense.it, precisa altresì, oltre all’immediata
operatività del divieto, che questo non opera per i rapporti esauriti, ritenendo d’altra parte opportuna, per i rapporti in corso, una configurazione del patto in conformità alle nuove disposizioni. Si veda in particolare la risposta al quesito n. 16, p. 90 s.
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Il patto di quota lite dopo la riforma forense
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Si tratta, come si vedrà, di un punto di equilibrio ben diverso da
quello espresso dalla normativa del 2006 nota come legge Bersani. Come noto, l’art. 2, comma 1, lett. a) della l. 4 agosto 2006 n.
248, di conversione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, aveva abrogato
le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto
di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi
perseguiti. Il successivo comma 2-bis aveva inoltre modificato
l’art. 2233, comma 3, c.c., introducendo il requisito della forma
scritta a pena di nullità degli accordi tra gli avvocati ed i praticanti
abilitati con i loro clienti in materia di compensi professionali. Eliminando poi ogni riferimento al divieto, in capo ai medesimi soggetti, di stipulare patti relativi ai beni che formano oggetto delle
controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e di risarcimento dei danni.
Oltre a ribadire la liceità di un compenso a percentuale in relazione al valore, la riforma professionale ha espressamente ripristinato (in quali termini si vedrà infra) il divieto del patto di quota lite, come si evince altresì dal dossier esplicativo dell’Ufficio Studi
3
del Consiglio Nazionale Forense , con ciò ponendo fine ad una serie di dubbi che erano emersi all’indomani della conversione del
decreto Bersani in merito all’ambito di operatività della previsione
di cui al cit. art. 2 e, dunque, alla permanente vigenza o meno del
4
divieto, seppur in forma attenuata .
La diffidenza di lungo corso nei confronti del patto di quota lite
ha fino ad ora comportato una scarsa attenzione ad opera della
dottrina italiana, ad onta di una sua notevole diffusione in realtà
giuridiche straniere. La novella del 2006 ha tuttavia costituito
l’occasione per un’analisi più approfondita, che ha favorito riflessioni in merito alla ragionevolezza di una serrata avversione verso
tale tipo di pattuizione alla luce dei possibili effetti positivi che potrebbero ottenersi nella pratica, tenuto naturalmente conto dei risultati raggiunti in altri sistemi giuridici.
L’ulteriore approdo della recente riforma dell’ordinamento professionale, nel modificare nuovamente il raggio di applicazione del
divieto in esame, richiede una nuova valutazione della linearità del
3
In particolare, l’espresso riferimento al ripristino del divieto del patto di quota lite è riportato
nel commento a margine, sub art. 13, p. 14.
4
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Infra, § 3.
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Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
divieto sia in relazione alla sua ratio, sia in una prospettiva di carattere sistematico.
Per cogliere l’esatta portata della riforma, si rende in primo luogo necessario prendere le mosse dall’analisi delle esigenze di tutela alla base del divieto del patto di quota lite, tenuto altresì conto
delle indicazioni provenienti da ordinamenti stranieri e, più in generale, della concezione del ruolo del professionista legale.
2. RATIO E OPPORTUNITÀ DEL DIVIETO
La nozione di patto di quota lite è destinata ad evocare la sintesi di due aspetti distinti, la natura del compenso e l’esito della lite.
Più specificamente, oltre al particolare oggetto dedotto quale corrispettivo, che deve essere rappresentato da beni che formano
oggetto di controversia legale, assume rilievo un interesse economico del professionista al risultato della vicenda litigiosa.
È infatti ritenuta ovvia la presupposizione, all’interno
dell’accordo, dell'esito vittorioso della controversia in quanto, co5
munque, il patto ha ad oggetto un’utilità conseguita dal cliente .
Laddove tale ultimo requisito non sia configurabile, non è ipotizzabile una condivisione, da parte dell’avvocato, degli interessi pratici
6
esterni della prestazione .
Di conseguenza, possono integrare un patto di quota lite quegli
accordi che prevedono che il compenso sia rappresentato da una
7
parte dei beni, o dei crediti litigiosi . Possono rientrarvi i casi in cui
il compenso sia determinato in una somma eccedente quella indicata a titolo previsionale nell’accordo ed ottenuta a titolo di risar8
cimento , o quelli in cui la remunerazione dipenda dal consegui9
mento di un risultato pratico conseguito entro un certo tempo . La
partecipazione al risultato è altresì integrata dalla previsione di
una somma fissa, in caso di risultato favorevole, che si mostri tut5
6
Cass., 18 giugno 1986, n. 4078, in Foro it., 1986, I, 2447.
Cass., 27 febbraio 2004, n. 4021, in Giust. civ. Mass., 2004, in Juris data online, la quale ha
ritenuto ammissibile che il cliente compensi il professionista con la cessione "pro soluto" di parte dei
beni in relazione ai quali era stato affidato un incarico già portato a termine.
7
Cons. Nazionale Forense, 10 dicembre 1998, in Rass. Forense, 1999, 430.
Cass., 21 luglio 1980, n. 4777, in Giust. civ. Mass., Juris data online.
9
Cass., 19 novembre 1997, n. 11485, in Giust. civ., 1998, I, 3207con nota F. GASBARRI, Brevi
considerazioni sui fondamenti del divieto di “patto di quota lite”.
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tavia sproporzionata e idonea ad incidere in maniera ingiustificata
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sul risultato favorevole del giudizio .
L’esito della lite potrebbe condizionare l’obbligo del pagamento
del corrispettivo in maniera radicale e attribuire a tali accordi una
marcata aleatorietà. Il difensore potrebbe, in astratto, accollarsi il
rischio della mancata percezione del compenso nel caso di esito
negativo della controversia e si potrebbe giungere all’estremo di
non ritenere dovuto all’avvocato persino il rimborso per le spese
sostenute. Tale tipologia di accordi è diffusa, in particolare, nel sistema nordamericano e ha rappresentato l’occasione per valutare
- come si vedrà – i riflessi, più o meno positivi, generati sul piano
11
della dinamicità del singolo settore di mercato .
Al divieto del patto di quota lite sono state ricondotte esigenze
del tutto eterogenee tra loro. Così, la regolamentazione in maniera restrittiva del rapporto d’opera intellettuale intercorrente tra le
parti è stata legata, in primo luogo, all’esigenza – di stampo privatistico – di tutela dell’interesse del cliente di fronte a possibili approfittamenti del professionista, posizionato in condizione di superiorità, quanto meno in termini di maggiore conoscenza del settore
professionale in relazione al quale lo specifico rapporto fiduciario è
destinato a trovare attuazione. Sono poi state richiamate la dignità e la moralità della professione forense, messe a repentaglio nel
caso in cui il professionista partecipi a interessi economici finali ed
12
esterni alla sua opera . Talvolta, tuttavia, il decoro della professione è stato ritenuto un effetto solo indiretto del dovere, per
13
l’avvocato, di evitare la partecipazione alla lite .
Non si è mancato, poi, di rilevare la necessaria interdipendenza
tra quantità ed importanza delle prestazioni professionali poste in
10
Cass., 3 maggio 1958, n. 1457, in Giust. civ., 1958, I, 798 che ha ravvisato in ciò la distinzione con il palmario.
11
Si veda la tipologia di accordi illustrata da G. SCASSELLATI-SFORZOLINI – A.E. LUFT-A. SHAJNFELD, I
patti di quota lite negli Stati Uniti, in R. DANOVI, Compenso professionale e patto di quota lite, Milano, 2009, 40.
12
Così espressamente Cass., 15 novembre 1997, n. 11485, cit. In argomento v. altresì V. VIGORITI, Patto di quota lite e libertà di concorrenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 583; P. SANDULLI,
Deontologia forense e recenti riforme del processo civile, in Riv. dir. proc., 2012, 372. Critico L.
DITTRICH, Profili applicativi del patto di quota lite, in Riv. dir. proc., 2007, 1141 in nota, per il quale
si tratterebbe di affermazioni poco più che tautologiche, tenuto conto del fatto che il professionista
non è certo indifferente all’esito della controversia.
13
R. DANOVI, Il patto di quota lite: aspetti deontologici, in R. DANOVI (a cura di), Compenso professionale, cit. 18.
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essere dall’avvocato e l’utilità da questi conseguita , suscettibile
di essere pregiudicata da accordi parametrati sul risultato piutto15
sto che, appunto, sull’intrinseca importanza dell’opera svolta .
Ancora, è stato evidenziato lo scopo di preservare la funzione
16
giurisdizionale . Il dovere di indipendenza dell’avvocato richiede
che il suo compenso non possa essere rappresentato da una parte
dei beni oggetto di controversia, poiché altrimenti si avrebbe una
17
confusione del ruolo del professionista con quello del cliente . In
altre parole - e in maniera più incisiva - il patto di quota lite consentirebbe all’avvocato di dividere con il cliente il risultato della
causa, trasformando così il rapporto da contratto di scambio a
18
contratto associativo .
Sul piano pratico si è rilevato, infine, il potenziale effetto distorsivo che potrebbe derivare dall’incentivazione di controversie giudiziali pretestuose, o infondate, in virtù dell’assenza di costi in ca19
po al cliente in caso di risultato sfavorevole .
Uno degli argomenti a favore del patto di quota lite, in considerazione del quale si è peraltro assistito ad una importante apertu20
ra ad opera dell’ordinamento tedesco , è rappresentato dalla sua
attitudine ad assicurare l’accesso alla giustizia anche a soggetti
meno abbienti. Di conseguenza, nell’ordinamento italiano anche i
cittadini che non beneficiano del patrocinio a spese dello Stato potrebbero giovarsi di un accordo con l’avvocato che potrebbe con-
14
Cass., 18 giugno 1986, n. 4078, cit.
Cass., 3 maggio 1958, n. 1457, in Giust. civ., 1958, I, 798.
16
V. VIGORITI, Patto di quota lite, cit., loco cit.
17
G. SCARSELLI, Il decreto Bersani e le tariffe forensi, in Foro it., 2007, 24.
15
18
G. ALPA, Il ruolo del difensore tra normativa interna e sovranazionale, in Dir. pen. proc.,
2012, 6S, 5; Cass., 18 giugno 1986, n. 4078, cit.
19
In generale, sulle critiche mosse ai patti di quota lite ad opera della dottrina nordamericana,
R. CANGIANO, Il patto di quota lite negli ordinamenti italiano e statunitense, in Mercato, concorrenza,
regole, 2007, 266.
20
A seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto di pattuire onorari forensi di risultato, compreso il divieto del patto di quota lite, ad opera del Tribunale Costituzionale Federale
(Bundesverfassungsgericht, 12 dicembre 2006, in www.bundesverfassungsgericht.it), nel 2008 è
entrata in vigore la legge per la riforma del divieto dei patti di quota lite. È stata inserita
un’eccezione nel caso in cui il cliente, a causa delle sue condizioni patrimoniali, non avrebbe adito
l’Autorità giudiziaria se non avesse stipulato con l’avvocato il patto di quota lite. Sintesi in A. ALBERTS-E. FERRANTE, Novità normative in Germania (anni 2008-2011), in Contr. impr. Eur., 2011, 404.
In argomento M. LUPANO, Compensi “speculativi” e patto di quota lite, in Riv. trim. dir. proc. civ.,
2009, 338 ss.; S. GRIGOLLI, Il compenso professionale in Germania, in R. DANOVI (a cura di), Compenso professionale, cit., 95 ss.
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sentire loro di non essere tenuti alla corresponsione del compenso
in caso di esito negativo della controversia.
Il pericolo dell’incentivazione di controversie palesemente infondate, che potrebbero derivare da un accordo che non preveda
spese per il cliente, è stato ridimensionato sulla scorta di due considerazioni. In primo luogo, l’assunzione del rischio economico della causa in capo al difensore costituirebbe un efficace deterrente
21
all’intenzione di intraprendere liti pretestuose .
Inoltre, l’effetto distorsivo del buon funzionamento della giustizia non deriverebbe, principalmente, dalla specifica modalità di
pattuizione del compenso, bensì dal diverso regime di condanna
alle spese in caso di soccombenza. In particolare, è il sistema nordamericano ad essere esposto ad un simile inconveniente, non as22
sistendosi ad una condanna alle spese della parte soccombente .
Più in generale, l’interesse, anche economico, al buon esito della causa non sarebbe da considerare con disfavore, potendosi tra23
durre in un incentivo per l’avvocato . A titolo esemplificativo,
quest’ultimo tenderebbe ad evitare un accordo transattivo sfavo-
21
L. DITTRICH, Profili applicativi, cit., 1152; R. CANGIANO, Il patto di quota lite negli ordinamenti
italiano e statunitense, cit., 267.
22
Bundesverfassungsgericht, 12 dicembre 2006, cit. Una sintesi è in Foro it., 2007, IV, con nota adesiva di R. CAPONI, Parziale incostituzionalità del divieto del patto di quota lite nell’ordinamento
tedesco. Al riguardo la sintesi di L. DITTRICH, Profili applicativi, cit., 1146 ss.; S. GRIGOLLI, Il compenso professionale in Germania: l’onorario di risultato e il patto di quota lite, in R. DANOVI (a cura di),
Compenso professionale e patto di quota lite, Milano, 2009, 95 ss.
23
G. SCASSELLATI-SFORZOLINI – A.E. LUFT-A. SHAJNFELD, op. cit., 67. V. altresì C. CONSOLO, Pubblicità, tariffa, quota lite: chi ha più ragioni?, in Corr. giur., 2006, 1339, il quale considera insoddisfacente limitare l’interesse economico del professionista, ritenendo più efficace sanzionare sul piano
deontologico condotte scorrette del difensore.
Ciò non esime tuttavia dall’assolvere talune esigenze di regolamentazione, sia a livello normativo sia convenzionale. In primo luogo, l’opportunità di limitare gli accordi al solo settore dei diritti disponibili ed escludere settori quali la materia penale, il diritto di famiglia e dei minori. Conformemente, del resto, alla tradizione dell’istituto in parola, avente ad oggetto crediti o somme dovute a
titolo di risarcimento danni. (Su tale esigenza U. CARNEVALI, Compenso professionale e autonomia
privata. Il patto di quota lite: profili civilistici, in R. DANOVI (a cura di), Compenso professionale e
patto di quota lite, cit., 7 ss.; L. DITTRICH, Profili applicativi del patto di quota lite, cit., 1148; V. VIGORITI, Patto di quota lite, cit., 592).
Sul piano negoziale, è poi necessario prevedere un’apposita disciplina per quanto concerne la
sorte dell’eventuale rimborso delle spese di lite ad opera della parte avversaria, trattandosi di spese
riconosciute alla parte e non al difensore, aventi oggetto diverso rispetto a quello dedotto in lite.
Analogamente, il patto dovrebbe regolamentare le conseguenze di una transazione o di una rinunzia all’azione, di revoca del mandato o l’evenienza della prosecuzione del processo nei gradi successivi. Inoltre, un accordo di quota lite rende ancora più necessario gestire la marcata asimmetria informativa che di norma caratterizza il rapporto fiduciario tra le parti, mediante l’analitica previsione
di un obbligo di informazione. In argomento si vedano diffusamente L. DITTRICH, op. cit., 1148; G.
SCASSELLATI-SFORZOLINI – A.E. LUFT-A. SHAJNFELD, op. cit., 80 ss.; M. LUPANO, op. cit., 346.
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revole per il cliente in quanto vincolato ad un determinato risultato
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utile .
D’altra parte, la stortura di un simile meccanismo è stata percepita rilevandosi che, nella pratica, tali patti sono spesso voluti
dagli stessi avvocati in virtù della conoscenza dello specifico settore, e, di conseguenza, delle possibilità di successo della singola
pretesa. È pertanto sin troppo agevole, per i professionisti, concludere un accordo che li porti ad ottenere un utile senz’altro
sproporzionato sia alla natura della prestazione, sia del risultato
25
ottenuto dal cliente .
Se, dunque, l’accesso alla giustizia di soggetti che altrimenti
non ne avrebbero i mezzi non eviterebbe approfittamenti da parte
del professionista, vi è un ulteriore aspetto da considerare. Si è
già rilevato, in favore del patto di quota lite, che il pregiudizio che
potrebbe derivare dall’incentivazione di liti pretestuose potrebbe
essere opportunamente bilanciato dall’assunzione del rischio
“d’impresa” in capo al professionista, che pertanto non accetterebbe di intervenire in controversie pretestuose o infondate. Tuttavia, proprio tale assunzione di rischio potrebbe attenuare in maniera importante l’effetto utile dell’accesso alla giustizia. È sufficiente considerare che, in tal modo, l’avvocato sarebbe propenso
ad accettare incarichi di probabile o sicuro successo, risultando incentivato a rifiutare il patrocinio non solamente per situazioni palesemente pretestuose, ma altresì per quelle caratterizzate da un
26
certo margine di aleatorietà .
L’argomento, sopra rilevato, relativo alla possibilità che il professionista economicamente incentivato ad un certo risultato possa essere portato ad evitare soluzioni transattive sfavorevoli per il
cliente non si mostra decisivo, potendosi prospettare l’opposta eventualità del professionista il quale eviti di suggerire una transa24
M. LUPANO, op. cit., 337.
V. VIGORITI, Patto di quota lite, cit., 590; U. CARNEVALI, op cit., 6.
26
S. CHIARLONI, Relazioni tra le parti i giudici e i difensori, in Riv. dir. proc., 2004, 18, per il quale tali accordi porterebbero gli avvocati a fare da filtro tra il cittadino e l’amministrazione della giustizia. V. tuttavia E. BETTO, Il patto di quota lite in Inghilterra, in R. DANOVI (a cura di), Compenso
professionale e patto di quota lite, cit., 124, le cui osservazioni non sembrano tuttavia decisive. In
particolare, tale ultimo A. ritiene che il problema sia superabile tenuto conto della pluralità dei difensori. Infatti, per quanto il numero degli avvocati permetta una maggiore probabilità di rinvenire
professionisti disposti ad accettare l’incarico, non sembra discutibile che una controversia caratterizzata da un cospicuo margine di aleatorietà incontrerà maggiori difficoltà di accettazione del patrocinio.
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zione favorevole per il cliente sol perché la sua remunerazione potrebbe risultare maggiore nel caso di continuazione della lite; ovvero, ancora, del cliente indotto a definire subito, in virtù dell’utile
acquisito in rapporto al tempo e alle risorse impiegate dal professionista in una controversia che avrebbe potuto condurre a un esi27
to più remunerativo . Al più, dunque, tale ultimo rilievo potrebbe
suggerire una tendenziale neutralità delle scelte di determinazione
del corrispettivo in relazione al carattere vantaggioso, o meno,
delle scelte processuali successivamente poste in essere.
Se è vero, dunque, che sul piano delle scelte strategiche di
conduzione della lite la particolare forma di remunerazione appare
neutra, resta il fatto che, in ogni caso, ad essere in qualche modo
compromessa è l’indipendenza di giudizio del professionista quando partecipi dell’interesse economico della controversia; anche se
questo aspetto è in qualche modo relativizzato da chi sostiene che
l’idea del difensore paladino della giustizia, piuttosto che tutore di
28
interessi di parte, sia poco aderente al dato reale .
L’idea, poi, che i patti di quota lite risultino idonei a favorire la
concorrenza, con innegabili benefici per l’utente finale, non è allo
stato univoca e numerosi sono i pareri negativi e le storture del sistema evidenziate con riguardo a tale prospettiva. E il fatto che in
alcuni Stati USA siano stati predisposti correttivi al sistema degli
accordi legati al risultato rende evidente che non è opportuno lasciare al libero mercato la regolamentazione del compenso profes29
sionale . Tra i vari rimedi utilizzati sono state stabilite percentuali
30
che si presumono ragionevoli , mentre meno impiegata è la facoltà, in capo al giudice, di stabilire la ragionevolezza del compenso
31
concordato con il legale . Infine, il tentativo di riscossione di un
27
Tale ultima critica è emersa nella dottrina nordamericana. In argomento R. CANGIANO, Il patto
di quota lite negli ordinamenti italiano e statunitense, cit., 265.
28
R. CANGIANO, op. cit., 272; C. CONSOLO, Pubblicità, tariffa, quota lite: chi ha più ragioni?, cit.,
1339, per il quale tale concezione, propria di altri ordinamenti, non aderisce pienamente alla situazione italiana.
29
Sulle varie opinioni in argomento R. CANGIANO, op. cit., 269 s.
In generale, l’opportunità di fissare una soglia massima alle percentuali è discussa. Il rischio
è quello di favorire atteggiamenti collusivi tra gli avvocati, con ciò portando ad un cartello di prezzo.
In argomento R. CANGIANO, op. cit., 275.
30
31
G. SCASSELLATI-SFORZOLINI – A.E. LUFT-A. SHAJNFELD, op. cit., 71. Analogamente, del resto, a
quanto avviene ora nell’ordinamento tedesco che attribuisce al giudice, su istanza del cliente, il potere di ridurre l’entità del compenso. Su tale ultimo aspetto U. CARNEVALI, Compenso professionale e
autonomia privata, cit., 7.
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onorario irragionevole, o vessatorio ,da parte dell’avvocato è con32
siderato violazione dell’obbligo fiduciario .
In sintesi, anche l’apertura verso una regolamentazione meno
rigida del settore non ha impedito di rilevare come il patto di quota lite realizzi una significativa ingerenza del professionista nella
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posizione processuale dell’assistito . Troppo severo appare, tuttavia, il rilievo in merito alla mancata utilità degli stessi patti dal
2006 ad oggi, posto che l’apertura verso tali tipi di pattuizioni è
stata solo parziale e, in ogni caso, lo spazio di tempo a disposizione per lo sviluppo di compensi “alternativi” è stato senz’altro esiguo. Ciò, oltre che per la tradizionale diffidenza nei confronti di tale pattuizione nel nostro sistema giuridico, in considerazione altre34
sì delle limitazioni operanti sul piano deontologico .
Un'ulteriore considerazione si impone sul piano sistematico. La
presenza di previsioni, all'interno del sistema giuridico, che danno
rilievo all’esito della lite ha condotto taluno ad individuare un ragionevole punto di equilibrio nel limitare la sanzione della nullità ai
soli patti che abbiano ad oggetto una percentuale dei beni controversi, escludendo quelli che prevedano un corrispettivo ancorato al
risultato della lite. A titolo esemplificativo sono stati richiamati
l’art. 5 l. n. 794/42 in tema di prestazioni giudiziali in materia civile, l’art. 5 della tariffa che prevedeva la possibilità di tener conto
dei risultati, anche non patrimoniali, conseguiti, oltre all’art. 93
35
c.p.c. in tema di distrazione delle spese . In analoga direzione si è
mosso anche il recente d.m. n. 140/2012 in tema di liquidazione
giudiziale dei compensi, che prescrive di tenere conto, tra l’altro,
36
dei vantaggi conseguiti dal cliente .
L'argomento, tuttavia, è da considerarsi del tutto neutro rispetto alla questione in esame. Non sembra, infatti, che dagli indici
normativi richiamati sia possibile desumere una generale opportu32
G. SCASSELLATI-SFORZOLINI – A.E. LUFT-A. SHAJNFELD, op. cit., 71.
A. BERLINGUER, Sulla vexata quaestio delle tariffe professionali forensi, in Mercato, concorrenza, regole, 2011, 92.
33
34
In argomento U. PERFETTI, Patti e modalità di determinazione del compenso nella novella di
cui alla l. 248 del 2006. La morte apparente del divieto del patto di quota lite, in Contr. Impr.,
2007, 71 ss.
35
R. DANOVI, Il patto di quota lite: aspetti deontologici, cit., 20 s.
Segnatamente, gli artt. 3 e 4 prescrivono rispettivamente, per prestazioni stragiudiziali, di
tenere conto tra l’altro dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente,
mentre per attività giudiziali di considerare i risultati del giudizio e i vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti dal cliente.
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nità di accordi legati al risultato, posto che questi appaiono inidonei a consentire un’ingerenza dell’avvocato negli interessi della
controversia. Infatti, le norme richiamate fanno riferimento ad una
determinazione del compenso eteronoma, prevista in capo al giudice ed estranea alla sfera di disponibilità dell’avvocato e, inoltre,
contengono indici di apprezzamento diversi ed ulteriori rispetto
all'esito della lite.
3. LE SCELTE DELLA RIFORMA. RIPRISTINO O CONFERMA DI UN LIMITE
GIÀ ESISTENTE?
Prima del 2006, l’unica eccezione al divieto dei patti di quota lite, immanente nel sistema e in epoca anteriore sanzionati altresì
37
sul piano penale oltre che civile e deontologico , era rappresentata dalla possibilità di pattuire il pagamento di una somma aggiuntiva in caso di esito positivo. Il vecchio testo dell’art. 45 del codice
deontologico forense consentiva tale pattuizione nei limiti in cui
fosse contenuta in limiti ragionevoli ovvero proporzionati
all’importanza del risultato conseguito. La distinzione tra tale convenzione e il patto di quota lite era operata in relazione al caso
concreto, potendo la prima dissimulare un accordo vietato sia ai
38
sensi dell’art. 2233 c.c. sia della norma deontologica .
37
Il divieto del patto di quota lite affonda le sue radici nel diritto romano, espressione della
ratio di ostacolare il trasferimento della res litigiosa. Era infatti vietato al difensore acquisire ciò che
era stato oggetto della lite, a fronte della possibilità di ripetere dal cliente le spese anticipate.
Sulle origini e sull’evoluzione storica del divieto A. MUSATTI, voce Patto di quota lite, in Nov. Dig.
it., XII, Torino, 1965, 727 ss.; D.L. GARDANI, voce Patto di quota lite, cit., 324; P. CARBONE, Brevi riflessioni in tema di patto di quota lite, nota a Trib. Palermo, 29 luglio 1981, in Giur. it., 1983, I, 142
ss.; R. DANOVI, Il patto di quota lite: aspetti deontologici, cit., 12 ss.
38
Cass., sez. un., 19 ottobre 2011, n. 21585, in Dir. e Giust., 2011, 440 con nota di E. Bruno,
Patto di quota lite, illegittimo il supplemento sproporzionato rispetto al risultato conseguito, per la
quale, espressamente, il compenso aggiuntivo per l’esito favorevole della causa di risarcimento
danni non deve rappresentare un’ingiustificata falcidia dei vantaggi economici derivanti dalla vittoria
della lite, configurandosi altrimenti un patto di quota lite che non può essere dissimulato dalla previsione pattizia di un palmario. Sulla necessaria valutazione caso per caso Trib. Napoli, 26 settembre 1988, in Dir. e giur., 1988, 718 con nota di D. Vittoria, Il premio per la vittoria e i patti “mascherati” di quota lite.
D’altronde, la giurisprudenza di legittimità aveva già rinvenuto un apprezzabile punto di equilibrio nell’escludere la configurabilità di un patto di quota lite, sia nel caso di accordo che prevedesse
il pagamento al difensore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, di una somma
di denaro, anche se in percentuale all’importo riconosciuto in giudizio ma in aggiunta piuttosto che
in sostituzione, sia nel caso in cui la convenzione del compenso fosse collegata all’importanza
dell’opera svolta od al valore della controversia e non in modo totale o prevalente all'esito della lite.
Così Cass., 18 giugno 1986, n. 4078, in Foro it., 1986, I, 2447; Cass., 26 aprile 2012, n. 6519, in
Dir. e Giust., 2012, 376 con nota di E. BRUNO, L’avvocato ottiene ottimi risultati: sì al palmario.
(segue)
36
Rassegna Forense – 1/2013
Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
In pratica, la giurisprudenza che si è trovata a dover decidere in
merito alla liceità della pretesa di somme dovute a titolo di patto
di quota lite (illecito), ovvero di palmario (lecito), non ha fatto altro che adottare un criterio di proporzionalità. Laddove, infatti, il
corrispettivo assumesse proporzioni elevate ed incidesse indebitamente sul risultato favorevole del giudizio e sul patrimonio, avrebbe finito per implicare la partecipazione del difensore agli interessi dei quali aveva assunto il patrocinio col risultato che la re39
lativa pretesa era da considerare non tutelabile .
La modifica intervenuta per effetto della legge di conversione
del decreto Bersani ha causato una significativa alterazione
dell'impianto normativo, introducendo la possibilità di pattuire
compensi parametrati al risultato e, soprattutto, sostituendo il divieto contenuto nel terzo comma dell’art. 2233 con un più generico requisito formale.
Tale soluzione non ha impedito, tuttavia, alla dottrina più attenta di rilevare, in ogni caso un’importante limitazione per le forme
più estreme di accordo rapportato all’esito. In particolare, il menzionato art. 2 l. n. 248/2006 non poteva essere inteso nel senso di
rendere ammissibile un’intesa idonea a rendere aleatorio il rapporto professionale, non prevedendo in caso di insuccesso alcuna re40
munerazione o copertura delle spese .
La scelta operata dal legislatore del 2006 non può dirsi
senz’altro lineare, tenuto conto della persistente vigenza dell’art.
41
1261 in tema di cessione di crediti e dovendosi escludere una
42
sua tacita abrogazione . È fuori discussione che tale ultima disposizione non sia perfettamente sovrapponibile al divieto del patto di
quota lite previsto nella disposizione abrogata, sia con riferimento
all’oggetto della cessione sia al momento temporale in cui
l’accordo è stato perfezionato. È sufficiente ricordare che l’art.
1261 ha un oggetto più ristretto, rappresentato da una parte della
Sulla distinzione tra palmario e patto di quota lite Cons. Naz. Forense, 28 dicembre 2005, n.
310, in Rass. Forense, 2004, 999.
39
Così Cass., 3 maggio 1958, n. 1457, cit.
P. SCHLESINGER, La nuova disciplina dei compensi professionali per gli avvocati, in Corr. giur.,
2007, 453.
40
41
È persino superfluo rilevare l’identità di ratio delle due norme, posto che entrambi i divieti erano contenuti nell’art. 1458 c.c., dettato per la vendita. In argomento A. MUSATTI, voce cit., 727 ss.
42
Così invece M. LUPANO, Compensi “speculativi” e patto di quota lite, cit., 326. Sul punto v. le
considerazioni di U. PERFETTI, Patti e modalità di determinazione del compenso, cit., 68 s.
Rassegna Forense – 1/2013
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Il patto di quota lite dopo la riforma forense
Francesco Bottoni
res litigiosa di proprietà del soggetto cedente e deve avvenire in
un momento successivo all’inizio della controversia giudiziaria, ri43
manendone pertanto esclusa altresì l’attività stragiudiziale .
In sintesi, dunque, la l. n. 248/2006 consentiva unicamente un
sistema di determinazione del patto di quota lite lasciando integro
il divieto in relazione ad altra modalità, limitandosi unicamente ad
attenuare il divieto in materia al punto da far parlare di morte ap44
parente . La modifica legislativa autorizzava il coinvolgimento anche economico dell’avvocato unicamente attraverso la modalità
della determinazione a percentuale, o correlata al risultato, vietando che la stessa partecipazione agli interessi del cliente potesse
essere raggiunta con il metodo “classico”, ovvero con la cessione
del bene o del credito oggetto di lite.
Occorre ora verificare l’assetto normativo adottato dalla riforma
del 2012. Il comma 4 dell’art. 13 toglie ogni dubbio in merito alla
persistenza del divieto del patto di quota lite vietando, come detto, i patti con i quali l’avvocato percepisca come compenso, in tutto o in parte, una quota del bene oggetto della prestazione o della
ragione litigiosa. La previsione, che si pone come speciale rispetto
al generale divieto di cessione dei crediti litigiosi di cui all’art.
1261 c.c., rende pertanto l’avvocato estraneo al risultato della lite
45
mediante il trasferimento della res litigiosa .
Con riguardo, invece, alla diversa modalità relativa alla percezione di un compenso correlato al risultato pratico dell’attività
svolta, questa è stata da taluno ritenuta consentita per effetto del46
la formulazione del comma 3 dell’art. 13 . Si osserva, tuttavia,
che la disposizione in tema di determinazione del compenso sembra suggerire una diversa soluzione, posto che è ammesso il compenso a percentuale sul valore dell’affare, o su quanto si prevede
possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale,
il destinatario della prestazione.
43
P. SCHLESINGER, op cit., 452.
U. PERFETTI, Patti e modalità di determinazione del compenso, cit., 47 ss.; ID., Ordinamento e
deontologia forensi, Padova, 2011, 234 ss. Per F. MANNA, Gli onorari di avvocato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di giustizia della Comunità europea, in Giur. merito, 2012,
279, il divieto del patto di quota lite doveva considerarsi, se non eliminato alla luce della persistenza dell’art. 1261 c.c., quanto meno fortemente attenuato.
45
Come precisato dal dossier dell’Ufficio studi C.N.F., nota esplicativa, punto 11, p. 81 s.
46
D. CONDELLO-M. CONDELLO, Avvocati: sì al patto di quota lite, no alla cessione del bene, su
www.diritto24.ilsole24ore.com.
44
38
Rassegna Forense – 1/2013
Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
La previsione in percentuale al risultato conseguito dal destinatario della prestazione non suscita particolari interrogativi. Si tratta, con evidenza, di una valutazione ex ante che in ogni caso non
subisce deterioramenti, o incrementi, per effetto di una pronunzia
più favorevole, o meno vantaggiosa, rispetto alla valutazione sulla
quale è stato rapportato il corrispettivo.
Si potrebbe, invece, azzardare che la previsione della percentuale sul valore del bene potrebbe, in astratto, risultare compatibile
con un criterio ancorato al risultato, in quanto non si chiarisce se
tale valore possa risentire, o meno, dell’esito della pronuncia. Sarebbe tuttavia illogico che la disposizione si preoccupasse, da un
lato, di prevedere un compenso correlato ad una valutazione dei
prevedibili vantaggi al momento della fissazione del compenso e
dunque, di regola, al conferimento dell’incarico (comma 2) e, per
altro verso, consentisse una maggiore aleatorietà in relazione al
valore del bene.
Ciò che in realtà tale inciso autorizza è la fissazione del compenso in una percentuale del valore che non risente, comunque,
delle sorti del giudizio. In sintesi, gli artt. 3 e 4 evitano in ogni caso che il compenso sia parametrato all’esito della lite ed escludono
che l’indipendenza dell’avvocato sia pregiudicata per effetto di un
suo coinvolgimento nelle vicende processuali.
Di conseguenza, nell’area del divieto di cui al comma 4 deve
essere ricondotto non solo il patto, espresso, relativo alla quota
del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa ma, in
accordo con l’interpretazione estensiva che caratterizzava la precedente formulazione dell’art. 2233 c.c., altresì quello che preveda
un compenso correlato al risultato pratico, o in percentuale sul valore dei beni o degli interessi litigiosi.
Se la riforma ha conformato le fattispecie di previsione del
compenso quanto alla partecipazione dell’avvocato all’esito del
giudizio, non allineato si trova ora l’art. 45 del codice deontologico
forense, del quale era stata necessaria una modifica a seguito
dell’entrata in vigore della riforma del 2006.
La norma deontologica in esame consente di pattuire con
l’avvocato compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi
perseguiti, fermo il divieto dell’art. 1261 e sempre che i compensi
siano proporzionati all’attività svolta. Non essendo, allo stato, più
pertinente la correlazione con gli obiettivi effettivamente raggiunti,
imposta come detto dalla precedente modifica legislativa ed ora
non più attuale, è la proporzionalità rispetto all’attività svolta che
Rassegna Forense – 1/2013
39
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
Francesco Bottoni
continua a costituire criterio orientativo in ordine alla pattuizione
del compenso, con tutte le conseguenze che ne derivano, sul piano deontologico, in caso di corrispettivi non adeguati all’opera materialmente posta in essere dal difensore.
La riforma non ha precisato in maniera espressa se la nullità
derivante dal divieto in esame sia connotata da carattere assoluto
o relativo, aspetto in relazione al quale non vi è stata unanimità di
47
vedute . L’idea di nullità relativa era stata in passato suggerita
muovendo dalla valorizzazione dell'interesse del cliente quale oggetto principale di tutela, risultando il decoro della professione
salvaguardato unicamente in via indiretta. È intuitivo che
l’opinione contraria al carattere relativo muova invece dal rilievo
che le finalità di protezione della norma siano eterogenee e non
limitate al solo interesse individuale.
Laddove si ritenesse che l'avvocato agisca quale mero prestatore di servizi a carattere imprenditoriale, l’assetto di interessi alla
base del divieto del patto di quota lite evocherebbe un paradigma,
quello della tutela del contraente debole, alla base degli ormai
numerosi impianti normativi che hanno fatto perdere alla nullità
relativa carattere di eccezionalità e che risulterebbe pienamente
aderente alla fattispecie in esame. Tuttavia, l’avvertita esigenza di
indipendenza dell’avvocato rende evidente che la riforma si muove
in una prospettiva più ampia di quella imprenditoriale, della quale
la salvaguardia di valori superiori quali l'amministrazione della
giustizia e la tutela dei diritti della persona non rappresentano me48
re esternalità positive .
47
Il carattere assoluto è rilevato, ad esempio, da Cass., 4 dicembre 1985, n. 6073, in Giust.
civ. Mass., 1985, 1838 ss., per la quale la nullità può essere fatta valere da ciascuna parte, senza
che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno specifico interesse a rimuovere gli effetti dell'accordo vietato. Diversamente, Trib. Palermo, 29 luglio 1981, in Giur. it., 1982, I, 2, 140 con nota critica di P. CARBONE, Brevi considerazioni in tema di patto di quota lite, contraddetta tuttavia sul punto
dalla sentenza di secondo grado: App. Palermo, 12 ottobre 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 829 con
nota di P. CARBONE, Nota minima in tema di patto di quota lite.
In dottrina il carattere assoluto è rilevato, tra gli altri, da P. CARBONE, Brevi considerazioni, cit.,
144 s., ove ulteriori riferimenti. Analogamente S. DE STEFANO, voce Patto di quota lite, in Enc. Dir.,
XXXII, Milano, 1982, 525; R. DANOVI, Commentario del codice deontologico forense, Milano, 2004,
684. Per il carattere relativo v. A. MUSATTI, voce cit., 729.
48
L’irragionevolezza di una legittimazione attiva in capo al professionista, verosimile artefice
dalla convenzione, sarebbe superabile ritenendosi che quest’ultimo non avrebbe, il più delle volte,
l’interesse all'azione richiesto dall'art. 1421 in quanto il pregiudizio sarebbe ravvisabile in capo al
solo cliente. Così P. CARBONE, op. loc. ult. cit.
40
Rassegna Forense – 1/2013
Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La breve disamina delle novità introdotte dalla riforma dell'ordinamento professionale in relazione alle modalità di determinazione
del compenso ha consentito di mettere a fuoco il punto di equilibrio che il legislatore ha ritenuto di poter individuare tra autonomia privata e funzione difensiva, vietando ogni tipologia di accordi
parametrati al risultato a fronte di una libertà di previsione che
può estrinsecarsi attraverso molteplici criteri.
Si tratta di una scelta che, allo stato, è senz’altro in linea con il
codice deontologico predisposto in sede europea dal CCBE, il cui
articolo 3.3.2 vieta il patto consistente nella previsione del compenso in ragione di una parte di ciò che il cliente consegue, a prescindere dalla natura della prestazione. Il successivo articolo
3.3.3. consente il rinvio alla regolamentazione nazionale con riguardo alla determinazione dell’onorario in proporzione al risultato
o al valore del bene, ritenendolo ammissibile laddove sia conforme
ad una tariffa ufficiale o sia ammesso dall’autorità competente da
cui dipende l'avvocato. È evidente che solo la seconda accezione
dell’accordo risulta ora consentita, dovendo le parti valutare ex
ante il verosimile vantaggio che potrebbero trarre dalla specifica
49
controversia .
Il punto di arrivo della disciplina legislativa in tema di divieto
del patto di quota lite suggerisce alcune considerazioni, sia con riguardo alla finalità perseguita dal legislatore, sia in relazione alla
compatibilità della modifica legislativa con i principi espressi dal
diritto comunitario.
In relazione al primo aspetto, la riforma professionale ha adottato un orientamento di chiusura, non solo nei confronti del patto
avente ad oggetto parte dei beni litigiosi, ma altresì con riguardo a
qualsiasi tipo di compenso legato al risultato, con ciò adottando
una prospettiva incline ad evitare un coinvolgimento anche economico del difensore all’esito della controversia.
Il disfavore con il quale è stata considerata la partecipazione
dell’avvocato all’esito della lite consente di ritenere che la soluzio49
Dunque non si pone più il problema, segnalato dalla dottrina all'indomani della modifica del
2006, relativo alla discutibile distinzione di rilevanza deontologica della condotta a seconda che
questa venga osservata in una prospettiva nazionale o europea. In argomento U. PERFETTI, Ordinamento professionale, cit., 240.
Rassegna Forense – 1/2013
41
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
Francesco Bottoni
ne adottata, seppur rigida, è da ritenersi del tutto coerente anche
con riguardo alla mancata apertura verso soluzioni “bilanciate” di
accordo legato al risultato. In particolare, non sembra che un utile
punto di compromesso possa essere rinvenuto nell’ancorare una
somma aggiuntiva calcolata sugli onorari piuttosto che sui beni
dedotti in lite, analogamente a quanto avviene in Inghilterra a se50
guito dell’introduzione dei conditional fees . Infatti, l’introduzione
di un corrispettivo parametrato all’esito della lite rappresenterebbe
unicamente un’attenuazione degli effetti della “complicità” tra professionista e cliente che la normativa ha inteso evitare.
Una simile rigidità della previsione in materia di corrispettivo si
espone, naturalmente, all’obiezione per cui essa produce una restrizione artificiale dell’accesso alla tutela legale in danno di chi risulti sprovvisto di adeguati mezzi economici e contemporaneamente non possa accedere al patrocinio a spese dello Stato, soggetti per i quali il patto di quota lite potrebbe facilitare (o addirittura condizionare) la tutela litigiosa dei diritti.
L’unica apertura che avrebbe forse potuto contemperare gli effetti positivi di tali accordi con i rischi derivanti dal coinvolgimento
dell’avvocato negli interessi del cliente si sarebbe potuta sviluppare lungo una direzione analoga alla soluzione adottata
nell’ordinamento tedesco. Qui, la previsione di un onorario sul risultato è del tutto eccezionale e consentita nel caso in cui, in assenza di tale modalità di determinazione, il cliente sarebbe indotto
51
a rinunziare alla tutela legale .
Tale opzione non risulterebbe esente dai rischi di scelte “interessate” ad opera del difensore, il quale potrebbe essere indotto
ad accettare incarichi professionali anche laddove riscontrasse
l’erronea rappresentazione, ad opera del cliente, del carattere di
eccezionalità. Per contenere tale rischio, in luogo della predisposizione di requisiti formali e di una valutazione ex post dei presupposti di fatto alla base dell’accordo si potrebbe, forse, pensare ad
50
M. LUPANO, op. cit., 327 ss.; E. BETTO, Il patto di quota lite in Inghilterra, cit., 106 ss., il quale
ulteriormente riporta che tale ultima soluzione è stata considerata un compromesso molto inglese,
in quanto consentire agli avvocati di richiedere un success fee oltre al normale compenso, condannando controparte al pagamento delle spese di lite grazie al già presente principio della soccombenza, conduce allo stesso risultato del patto di quota lite, senza che tuttavia questo sia formalmente
introdotto.
51
Si tratta, precisamente, di una valutazione che il cliente deve compiere con riferimento alla
propria situazione economico-patrimoniale. Sui requisiti dell’accordo si veda S. GRIGOLLI, Il compenso professionale in Germania, cit., 97 ss.
42
Rassegna Forense – 1/2013
Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
un organo esterno chiamato a valutare le obiettive condizioni economiche del cliente in relazione alla specifica controversia, analogamente a quanto attualmente previsto con riguardo alla disciplina in tema di patrocinio a spese dello Stato.
Con riguardo al secondo aspetto, la scelta compiuta in sede di riforma dell’ordinamento professionale non sarà esente da discussioni in relazione alla sua compatibilità con i principi dell’Unione europea. In tale direzione, la considerazione del ruolo dell’avvocato quale professionista che offre servizi a scapito della funzione pubblica
di contribuzione all’attuazione della legge e all’amministrazione della giustizia renderebbe il divieto di patti che fanno dipendere il cor52
rispettivo dall’esito del processo privo di adeguata giustificazione .
Non a caso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha
anche di recente rilevato l’inopportunità di divieti di pattuire corrispettivi sulla base del raggiungimento degli obiettivi perseguiti, sulla base del consolidato principio concorrenziale della libera pattui53
zione del compenso professionale .
La funzione pubblica e la natura sociale che la professione forense svolge nella tutela dei diritti ne rende evidente la peculiarità rispetto alle altre professioni intellettuali e tale specificità è stata in
54
diverse occasioni riconosciuta dalle istituzioni comunitarie . Ciò no52
V. VIGORITI, op. cit., 585. Lo stesso A. ritiene, p. 589, che quella a favore del divieto del patto
di quota lite sia una battaglia destinata ad essere perduta, in quanto sia la finalità di preservare il
processo da apporti inquinanti, sia il ruolo dell’avvocato quale portatore di valori immateriali superiori stiano cedendo di fronte alla pressione delle esigenze imprenditoriali della professione. Sul
punto si vedano altresì le indicazioni di B. NASCIMBENE, Il patto di quota lite nel diritto comunitario,
in R. DANOVI (a cura di), Compenso professionale, cit., 29 ss.
53
AGCM, Segnalazione AS974 del 9 agosto 2012, in Boll., n. 30/2012, in linea con la precedente segnalazione AS602 del 18 settembre 2009, in Boll., n. 35/2009, reperibili su www.agcm.it. Sono
state peraltro censurate in più occasioni altresì le disposizioni che richiamano a vario titolo
l’adeguatezza del compenso, l’importanza dell’opera e il decoro della professione. Ciò in quanto
«possono condurre di fatto ad una reintroduzione surrettizia delle tariffe di riferimento per le prestazioni professionali, vanificando la portata liberalizzatrice delle succitate misure normative. Inoltre, il riferimento all’“adeguatezza” della tariffa, oltre che estremamente generico, non è affatto necessario per garantire la qualità delle prestazioni, a fronte, peraltro, del potere in capo agli ordini
professionali di indagare sulla corretta esecuzione della prestazione professionale nel suo complesso, secondo parametri qualitativi». Così la segnalazione AS988 del 2 ottobre 2012, in Boll., n.
38/2012, ivi.
54
Si ricorda in particolare la Risoluzione del Parlamento europeo sulle professioni legali e l'interesse generale nel funzionamento dei sistemi giuridici del 23 marzo 2006, in
http://www.europarl.europa.eu. In tale occasione il Parlamento ha riconosciuto, tra l’altro, «la funzione cruciale esercitata dalle professioni legali in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell'applicazione della legge», ha ricordato alla Commissione che «le finalità della regolamentazione dei servizi legali sono la protezione dell'interesse pubblico, la garanzia del diritto di difesa e l'accesso alla giustizia, e la sicurezza
nell'applicazione della legge e che per queste ragioni non può essere conforme ai desideri del clien(segue)
Rassegna Forense – 1/2013
43
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
Francesco Bottoni
nostante, non sono mancate occasioni, specie in atti della Commissione europea, dove l’avvocatura è stata considerata espressiva
della conservazione di privilegi e di barriere alla libera circolazione
55
dei servizi e alla formazione di un mercato concorrenziale .
In argomento, sono autorevoli le voci che considerano del tutto
ingiustificata una connotazione esclusivamente mercantile della
professione, tenuto conto della rilevanza sociale e della funzione
56
pubblica esercitata . Anche a voler considerare l’avvocato quale
57
prestatore di servizi , non mancano gli antidoti idonei a limitare
gli effetti derivanti da una concorrenza dei prezzi non regolamentata tra gli avvocati, suscettibile di condurre a una riduzione della
qualità del servizio a scapito degli utenti. La giurisprudenza della
Corte di Giustizia ha infatti rinvenuto talune giustificazioni alle restrizioni della concorrenza e della circolazione dei servizi, quali la
garanzia di integrità e di esperienza ai consumatori finali dei servizi legali e la buona amministrazione della giustizia. Con esplicito
riguardo all’avvocatura, una normativa idonea a limitare la concorrenza non viola per ciò solo l’art. 85, n. 1, del Trattato (ora 101
Trattato FUE) laddove sia ragionevole ritenere che questa si renda
necessaria al buon esercizio della professione di avvocato così cote», invitandola «a tenere conto del ruolo specifico delle professioni legali in una società governata
dallo Stato di diritto e ad effettuare un'analisi esaustiva del modo in cui operano i mercati di servizi
legali nel momento in cui la Commissione propone il principio “minore regolamentazione, regolamentazione migliore”». Da ultimo, ha invitato la Commissione a non applicare le norme sulla concorrenza dell’Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale dell'UE, sono lasciate alla
competenza degli Stati membri, quali l'accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle
degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati.
55
Problema evidenziato da G. ALPA, L’avvocato. I nuovi volti della professione forense nell’età
della globalizzazione, Bologna, 2005, 51 ss.; V. VIGORITI, Recenti sviluppi in tema di avvocatura e
concorrenza, in Rass. Forense, 2005, 350 ss.; ID., Wouters, Arduino, Nova II, Tesco: professione
legale e concorrenza, ivi, 2002, 775 ss.
56
G. ALPA, L’avvocato. I nuovi volti della professione forense nell’età della globalizzazione, cit.,
loco cit.; ID., Il ruolo del difensore, cit., loco cit.
57
Oltre alla limitazione del regime concorrenziale nello specifico settore in esame, il divieto di
un accordo legato al risultato precluderebbe agli avvocati stabiliti in uno Stato membro diverso
dall’Italia della possibilità di fornire una concorrenza più efficace rispetto agli avvocati stabiliti permanentemente nello Stato italiano, che ovviamente partono da una posizione di vantaggio trovandosi già ad operare in detto sistema. Inoltre, gli stessi destinatari del servizio non potrebbero scegliere di avvalersi dell’opera di avvocati stabiliti in altri Stati membri. In argomento Corte Giust., 5
dicembre 2006, proc. C-94/04 e C-202/04, Cipolla, in Giust. civ., 2006, I, 2621, in Giur. it., 2007,
639 con nota di A. BERTOLOTTI, Le libere professioni tra Corte di giustizia e Decreto Bersani: luci ed
ombre (o, meglio, piú ombre che luci) ed in Foro amm. CDS, 2007, 20 con nota di M. BARBERO, Per
la Corte di Giustizia CE le tariffe professionali sono un affare (quasi) di Stato. Per una panoramica
delle decisioni della Corte in tema di minimi tariffari v. B. NASCIMBENE, Tariffe degli avvocati e Corte
di Giustizia: un conflitto risolto?, in Corr. giur., 2011, 1040 ss., anche alla luce della recente Corte
Giust., 29 marzo 2011, n. C-565/08, Commissione c. Repubblica italiana, la quale ha concluso per
la compatibilità dei massimi tariffari.
44
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Parte Prima - Dottrina
Il patto di quota lite dopo la riforma forense
me organizzata nello Stato membro interessato. Occorre poi verificare che gli effetti restrittivi della concorrenza che ne derivano
58
ineriscano al perseguimento di tali obiettivi .
Analogamente, la restrizione della libera prestazione dei servizi
può essere giustificata laddove risponda a ragioni imperative di interesse pubblico e tra esse possono essere ricomprese la tutela
dei destinatari della prestazione professionale del settore di cui si
59
discute e la buona amministrazione della giustizia .
58
Corte Giust., 19 febbraio 2002, C-309/99, Wouters, in Foro it., 2002, IV, 186 con nota di S.
BASTIANON, Due pronunce, tanti problemi, nessuna soluzione: ovvero gli avvocati e l'antitrust secondo la Corte di giustizia.
59
Corte Giust., 5 dicembre 2006, proc. C-94/04 e C-202/04, Cipolla, cit., secondo la quale le
misure restrittive devono rispondere a due condizioni: devono essere idonee a garantire il conseguimento dell’obiettivo prefissato e non devono eccedere quanto necessario per il suo raggiungimento. Al di là del bilanciamento di valori, l’ulteriore indicazione proveniente dalla Corte è di verificare se gli interessi superiori alla base della restrizione delle libertà indicate dai Trattati siano ugualmente perseguibili da norme settoriali, in particolare norme di organizzazione, di qualificazione,
di deontologia, di controllo e di responsabilità.
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