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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIII n. 206 (46.450)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
.
Centomila persone in piazza San Pietro insieme a Papa Francesco nella veglia a conclusione della giornata di digiuno e di preghiera
La pace è possibile
E all’Angelus la ferma denuncia della proliferazione e del commercio illegale delle armi che alimentano le guerre
Il silenzio
e i sogni cattivi
Il silenzio della veglia di piazza
San Pietro sta facendo rumore. E
la giornata di preghiera e di digiuno voluta da Papa Francesco
forse può aiutare a superare i progetti di chi, dopo avere di fatto
ignorato per oltre due anni e
mezzo la tragedia in Siria, vorrebbe ora intervenirvi. Ma con il rischio fondato di estendere un
conflitto che già ha causato oltre
centodiecimila morti, feriti senza
numero e più di sei milioni tra
sfollati e profughi.
La guerra in Siria sta provocando disastri, mettendo a rischio soprattutto le minoranze del Paese e
stravolgendo, con l’uso della violenza, la vocazione autentica delle
religioni, che più volte in tempi
recenti hanno ribadito la loro volontà di pace. E che il pericolo
sia reale è dimostrato da quanto è
avvenuto nel villaggio di Maalula,
luogo simbolico caro a cristiani e
musulmani perché ancora vi è in
uso una forma della lingua aramaica che è molto vicina a quella
parlata da Gesù.
Forse nessuna iniziativa della
Santa Sede a favore della pace,
tra quelle degli ultimi decenni, ha
come questa impressionato e toccato il cuore di moltissime persone in tutto il mondo, senza differenze di religione o di ideologie.
Ed è un impegno che continua,
ha assicurato dopo l’Angelus il
Pontefice. Ringraziando tutti e
invitando ancora a pregare «perché cessi subito la violenza e la
devastazione in Siria», ma anche
per il Libano, l’Iraq, l’Egitto e
perché avanzi il processo di pace
tra israeliani e palestinesi.
Sono la preghiera e il digiuno
le armi indicate da Papa Francesco per allontanare la violenza e
la guerra, suscitando un consenso
che sembra crescere tra donne e
uomini di buona volontà. Imparare di nuovo a percorrere le vie
della pace è possibile, ha detto riprendendo uno slogan lanciato da
Paolo VI: «Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più
grande, fino a coloro che sono
chiamati a governare le nazioni,
rispondesse: sì, lo vogliamo».
Nella meditazione tenuta dopo
il rosario davanti all’antichissima
immagine della Salus populi Romani il Pontefice ha citato soltanto alcuni versetti della Genesi,
per mostrare il contrasto tra la
bontà della creazione e il peccato
dell’uomo, e due brani di Paolo
VI, dal messaggio per una giornata della pace e dal discorso tenuto
davanti alle Nazioni unite per ripetere, dopo i due tremendi conflitti mondiali e davanti all’incubo
nucleare, il rifiuto della guerra.
«Lasciate cadere le armi dalle
vostre mani» implorò allora Montini. E continuò: «Le armi, quelle
terribili, specialmente, che la
scienza moderna vi ha date, ancor
prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi». Sogni e sentimenti cattivi che Papa
Francesco di nuovo denuncia e
che è urgente allontanare per il
bene di tutti.
«Chiedo d’intraprendere con coraggio e con
decisione la via dell’incontro e del negoziato».
Papa Francesco torna a proporre, con il tweet
lanciato questa mattina, lunedì 9 settembre, il
cammino da seguire per restituire la pace alle
martoriate popolazioni della Siria e di tutto il
Medio Oriente.
«La pace è possibile»: per ribadire questa
convinzione aveva riunito attorno a sé sabato
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Un uomo come voi
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«A che serve fare guerre, tante guerre, se
non sei capace di fare questa guerra profonda
contro il male?» si è poi chiesto il Papa all’indomani, parlando ai fedeli riuniti per la recita
dell’Angelus. «Sempre rimane il dubbio — ha
aggiunto — se questa guerra di qua o di là è
davvero una guerra per problemi o è una
guerra commerciale per vendere queste armi
nel commercio illegale».
«Questi — ha spiegato — sono nemici da
combattere uniti e con coerenza, non seguendo altri interessi se non quelli della pace e del
bene comune». Infine Papa Francesco ha voluto ringraziare tutti coloro che, in diversi modi, hanno aderito alla veglia di preghiera e digiuno.
PAGINE 7
E
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Kerry chiede alla Siria di consegnare le armi chimiche per evitare l’intervento militare mentre Assad continua a negare ogni responsabilità
Confronto a distanza
DAMASCO, 9. Sulla questione siriana
continua il confronto a distanza tra
gli Stati Uniti e il Governo di Damasco. L’Amministrazione Obama,
attraverso il segretario di Stato John
Kerry, è impegnata in uno sforzo
volto a guadagnare consensi internazionali all’ipotesi di un intervento
militare. Da Londra, il capo della
diplomazia statunitense, ha affermato che Assad potrebbe «evitare un
Le credenziali
del nuovo
ambasciatore
di Polonia
attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità internazionale
entro la settimana prossima» anche
se — ha aggiunto — «non sembra sul
punto di farlo». Il presidente siriano
continua a negare che il suo esercito
abbia mai fatto uso di armi chimiche.
In un’intervista rilasciata a Damasco all'emittente televisiva statunitense Cbs, Assad ha affermato che non
ci sono prove delle accuse mossegli e
ha prospettato, in caso di aggressione alla Siria, ritorsioni da parte di
quanti della Siria sono amici. Il presidente siriano ha aggiunto che un
attacco potrebbe diminuire le capacità delle sue truppe, ma favorire allo stesso tempo i fondamentalisti
islamici.
Kerry ha risposto che Assad mente e che Washington avrebbe le prove di uso di armi chimiche da parte
delle forze siriane «almeno undici
volte», non solo cioè nell’attacco del
21 agosto al quale i ribelli attribuiscono le sconvolgenti immagini diffuse sui social network. Nel frattempo, il presidente Obama intensifica
il confronto con il Congresso, in vista del voto, mercoledì, sulla risoluzione da lui presentata riguardo alla
Siria. Obama darà oggi un’intervista
a sei televisioni statunitensi e domani terrà un discorso alla Nazione,
per spiegare la sua posizione a una
cittadinanza che tutti i sondaggi
danno in maggioranza contraria
all’intervento militare.
Lo stesso Kerry — incontrando ieri
a Parigi i capi delle diplomazie di
vari Paesi arabi e i rappresentanti
della Lega araba — ha comunque dichiarato che Obama non ha ancora
preso alcuna decisione e non ha
escluso che gli Stati Uniti, oltre ad
attendere il rapporto degli ispettori
dell'Onu, possano sottoporre le prove in loro possesso al Consiglio di
sicurezza, come sollecitato anche
dalla Francia, finora unico Paese europeo dichiaratosi disposto a partecipare a un intervento in Siria. In merito, in un’intervista all'emittente britannica Bbc, il presidente del Consiglio italiano, Enrico Letta, ha dichiarato che in assenza di un mandato
Onu l’Italia non concederà l’uso di
basi militari.
Oggi a Mosca, intanto, il ministro
degli Esteri russo, Serghiei Lavrov,
in una conferenza stampa congiunta
con il suo omologo siriano, Walid Al
Muallim, ha prospettato una riunione nella capitale russa di tutti i soggetti decisi a perseguire una soluzione politica alla crisi.
Tra le poche notizie positive giunte dalla Siria, c’è intanto quella della
liberazione, dopo cinque mesi, del
giornalista italiano Domenico Quirico e dello scrittore belga Pierre Piccinin da Prata, già rientrati in patria.
I due erano stati sequestrati da ribelli siriani islamisti. Proprio miliziani
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza il Reverendo Padre Bruno Cadoré, Ministro Generale dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani).
g.m.v.
Il discorso di Paolo VI
alle Nazioni Unite
citato da Papa Francesco
durante la veglia di sabato sera
in piazza San Pietro, all’imbrunire di una giornata interamente dedicata al digiuno e alla
preghiera, oltre centomila persone desiderose
di manifestare un planetario desiderio di pace.
Con loro e per loro aveva ripetuto il grido accorato a porre fine a ogni forma di violenza e
al male che essa genera. «La violenza e la
guerra — era stato il suo messaggio — non sono mai la via della pace».
Nella mattina di lunedì 9 settembre
Papa Francesco ha ricevuto in udienza
Sua Eccellenza il Signor
Piotr Nowina-Konopka, nuovo Ambasciatore
di Polonia, per la presentazione
delle Lettere con cui viene accreditato
presso la Santa Sede
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza Sua Eccellenza il Signor Piotr NowinaKonopka, Ambasciatore di Polonia, per la presentazione delle Lettere Credenziali.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza:
— il Professore Franco Miano, Presidente
dell’Azione Cattolica Italiana;
— il Signor Salvatore Martinez, Presidente Nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo;
— il Signor Matteo Calisi, Presidente della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowship, con la Signora Michelle
Moran, Presidente dell’International Catholic Charismatic Renewal Services.
In data 9 settembre, il Santo Padre ha accettato
la rinuncia di Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Werner Radspieler all’ufficio di Ausiliare dell’Arcidiocesi di Bamberg (Repubblica Federale di Germania), in conformità ai can. 401 §1 e 411
del Codice di Diritto canonico.
islamisti del gruppo Jabhat al Nusra,
in gran parte né siriani né arabi,
hanno occupato la cittadina di Maalula, considerata il simbolo della
presenza cristiana in Siria. È infatti
fallito un tentativo di riassumerne il
controllo da parte dell'esercito, che è
solo riuscito a portare in salvo gran
parte dei cristiani. Sembra però accertato che i ribelli, oltre a danneggiare chiese e monasteri, abbiano ucciso non meno di una decina di uomini della comunità cristiana.
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lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
Campagna delle Nazioni Unite
Nell’Esecutivo del presidente Ibrahim Boubacar Keïta
Istruzione garantita ai bambini
per ricostruire la Somalia
Un ministero
per il nord
nel Governo del Mali
MO GADISCIO, 9. Tra i segnali di impegno della comunità internazionale
per la ricostruzione della devastata
Somalia c’è il varo di una campagna
dell’Unicef per dare a un milione di
bambini l’accesso all’istruzione. Il
lancio della campagna è avvenuto
ieri, in occasione della Giornata
mondiale per l’alfabetizzazione proclamata dall’Onu, contemporaneamente nella capitale Mogadiscio e
nei capoluoghi delle due principali
regioni somale che da tempo si sono
dichiarate autonome, Garowe nel
Puntland e Hargeisa nel Somaliland.
I tassi di iscrizione scolastica in
Somalia sono tra i più bassi del
mondo: solo quattro bambini su dieci frequentano la scuola primaria.
Molti la incominciano in ritardo rispetto all’età scolare regolare di ingresso e molti altri abbandonano gli
studi precocemente. Le iscrizioni alla scuola secondaria sono ancora più
basse. La situazione peggiore è quella delle ragazze: solo un terzo di
quelle nella Somalia centrale e meridionale sono iscritte a scuola e molte abbandonano prima di completare la loro istruzione primaria.
L’iniziativa prevede l’istruzione
di base per bambini tra i 6 e i 13
anni, nonché l’istruzione alternativa
per i bambini che sono fuori dal
circuito normale scolastico, come i
Profughi somali in un campo vicino a Mogadiscio (La Presse/Ap)
pastori, ma soprattutto gli sfollati,
che costituiscono ancora un terzo
della popolazione somala. «È una
iniziativa fondamentale e realizzabile. L’istruzione è la chiave per il futuro della Somalia», ha detrto ieri
Sikander
Khan,
rappresentante
dell’Unicef in Somalia, lanciando la
campagna.
Passi in avanti
del dialogo
tra Belgrado
e Pristina
BELGRAD O, 9. Passi in avanti nel
dialogo sul Kosovo tra il Governo
di Belgrado e le autorità di Pristina,
espressione della maggioranza albanese kosovara, si sono registrati nel
nuovo incontro, il sedicesimo, tra il
primo ministro serbo Ivica Dačić e
il kosovaro Hashim Thaçi, conclusosi nella tarda serata di ieri a Bruxelles con la mediazione di Catherine Ashton, alto rappresentante per
la Politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea.
Secondo quanto riferito dalla
stampa serba, Ashton ha detto che
Dačić e Thaçi hanno raggiunto un
accordo sui temi dell’energia e delle
telecomunicazioni, prendendo al
tempo stesso «decisioni importanti»
per garantire che il voto amministrativo in Kosovo del 3 novembre
sia corretto, con «la più ampia partecipazione possibile». I due interlocutori hanno concordato che il
gruppo di lavoro sulle elezioni, guidato dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
(Osce), si riunirà nei prossimi giorni
per attuare in tempi rapidi le decisioni adottate. Il lavoro dell’Osce è
ora facilitato dall’accordo già raggiunto sul fatto che le schede elettorali non conterranno alcun simbolo
della Stato autoproclamato dai kosovari albanesi e non riconosciuto
da Belgrado, che non rinuncia alla
sovranità sul Kosovo.
Anche Dačić ha confermato i progressi fatti in questa nuova tornata
del negoziato con Thaçi. In particolare, il primo ministro serbo ha definito gli accordi un «grande passo
avanti» sia per l’integrazione europea della Serbia sia nel dialogo con
Pristina. «La Serbia — ha dichiarato
— ha rispettato tutti i suoi impegni
e nulla ci può più impedire di cominciare a gennaio, o perfino prima,
il negoziato di adesione all’Unione
europea». Secondo Dačić, comunque, le intese su energia e telecomunicazioni per ora non avranno alcuna conseguenza sulla popolazione
serba delle zone settentrionali del
Kosovo, che restano anche sotto
questo aspetto legate alla Serbia.
Il negoziato proseguirà ora a livello di gruppi di lavoro. Dačić ha
infatti specificato che il prossimo incontro con Thaçi si terrà solo dopo
le elezioni locali in Kosovo.
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Il programma al quale è stato garantito il sostegno del Governo federale somalo del presidente Hassan
Mohamoud e delle autorità delle regioni autonome, durerà tre anni.
L’obiettivo minimo è dare ad almeno un quarto dei giovani attualmente fuori del sistema scolastico la possibilità di studiare e anche quella di
sottrarsi alle violenze che non smettono di lacerare il Paese. Nel programma , infatti, ci sono anche piani
per la formazione di competenze di
base per mezzo milione di ragazzi
tra i 14 e i 18 anni di età, cioè della
fascia d’età più a rischio di reclutamento in gruppi armati o bande criminali.
BAMAKO, 9. Il banchiere Oumar
Tatam Ly è il primo ministro del
nuovo Governo del Mali costituito
ieri con un decreto del presidente
Ibrahim Boubacar Keïta, eletto lo
scorso 11 agosto. La principale novità è il ministero per la Riconciliazione nazionale e lo Sviluppo delle
regioni settentrionali, teatro dall’inizio del 2012 di una rivolta secessionista dei tuareg. Il controllo del territorio era stato poi preso da gruppi
armati di matrice fondamentalista
islamica. Contro questi ultimi erano
intervenute le truppe francesi, ancora sul territorio, sebbene ne fosse
previsto il ritiro da aprile. Nell’area,
dove pace e sicurezza sono tutt’altro che ripristinate, oltre ai francesi
e all’esercito maliano, c’è una missione africana autorizzata dall’O nu.
Il ministero per il nord è stato affidato a Oumar Diarra.
Alla Giustizia va Mohamed Aly
Bathily, un ex sindaco della capitale
Bamaco, così come il ministro
dell’Urbanistica, Moussa Mara. Alla Difesa torna Soumaïlou Boubèye
Maiga, che aveva ricoperto l’incarico negli anni 90 con il presidente
Alpha Oumar Konaré. All’Economia va Bouaré Fily Sissoko e agli
Esteri Zahaby Ould Sidy Mohamed, un arabo di Timbuctu, in passato capo di un movimento ribelle.
Ministro degli Interni resta il generale Moussa Sinko Coulibaly, uno
dei sei confermati della transizione
seguita al colpo di Stato che nel
marzo 2012 rovesciò il presidente
Amadou Toumani Touré.
Lo sfidante Alexiei Navalny denuncia brogli nelle elezioni invitando i suoi sostenitori a scendere in piazza
Serghiei Sobianin
confermato sindaco di Mosca
Manifestazione a Mosca dei sostenitori di Sobianin (Reuters)
Si discute in Senato
sulla decadenza
di Silvio Berlusconi
ROMA, 9. Si riunisce oggi, lunedì, a
partire dalle 15, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari
del Senato, chiamata a decidere sulla
decadenza dalla carica di senatore di
Silvio Berlusconi, condannato in via
definitiva dalla giustizia italiana per
frode fiscale. I lavori cominciano
con l’intervento del relatore Andrea
Augello. Ciascun membro della
giunta ha poi diritto a un’ora di intervento personale. Seguirà quindi la
discussione, per la quale non si prevedono tempi brevi.
Il Governo italiano vara il decreto sulla scuola
ROMA, 9. Il consiglio dei Ministri
italiano ha approvato lunedì il decreto legge contenente misure urgenti per la scuola, l’università e la
ricerca. Il contenuto del decreto è
stato illustrato nel corso di una
conferenza stampa dal presidente
del Consiglio dei ministri, Enrico
Letta e dal ministro dell’Istruzione,
dell’università e della ricerca, Maria
Chiara Carrozza. Fra le norme più
significative, quelle che introducono misure di contenimento del costo dei libri di testo, attraverso la
possibilità del comodato d’uso. Il
ministero assegnerà direttamente
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
un’altra. Ma se qualcuno ne ha voglia — ha ammonito — bisogna che
accetti l’opinione della maggioranza
e lavori per il bene di Mosca».
Il partito putiniano Russia Unita
ha vinto nel test elettorale di ieri in
Russia, dove oltre 40 milioni di elettori erano chiamati a partecipare a
circa 7.000 elezioni amministrative in
80 delle 83 entità territoriali federali,
per eleggere sindaci, governatori (in
8 regioni) e assemblee locali (comprese quelle di 16 regioni). Secondo
i risultati preliminari, Russia Unita
ha vinto non solo a Mosca ma quasi
ovunque. A parte due clamorose eccezioni: a Yekaterinburg, sugli Urali,
dove Ievgheni Roizman, noto per i
suoi controversi metodi di lotta alla
droga e sostenuto dall’oligarca Mikhail Prokhorov, ha battuto con il
30,11 per cento il vice governatore regionale il putiniano Yakov Silin, fermatosi al 26,48 per cento; e a
Petrozavodsk, capitale della Carelia
(a nord della Russia europea), dove
una candidata indipendente, Galina
Shirshina, appoggiata anche da
Iabloko, si è imposta con il 41,9 per
cento, superando del 13 per cento il
sindaco uscente Nikolai Levin. A
Yaroslavl, infine, il partito liberale di
opposizione Parnas — lo stesso con
cui ha corso Navalny a Mosca — ha
superato la soglia del 5 per cento,
entrando nella Duma regionale.
Libri meno cari per le famiglie e assunzione di ventiseimila docenti di sostegno
GIOVANNI MARIA VIAN
Piero Di Domenicantonio
MOSCA, 9. Con tutte le schede scrutinate, il primo cittadino uscente
Serghiei Sobianin ha vinto le elezioni per il sindaco di Mosca con il
51,37 per cento, evitando il ballottaggio con lo sfidante il blogger Alexiei
Navalny, attestatosi sul 27,24 per
cento. Lo ha riferito questa mattina
la commissione elettorale.
In termini di voti, Sobianin ha ottenuto 1.193.178 preferenze, Navalny
632.697. Al terzo posto si è piazzato
il numero due del partito comunista,
Ivan Melnikov (10,69 per cento), seguito dal leader del partito liberale
Iabloko, Serghiei Mitrokin (3,51 per
cento) e dal candidato del partito liberaldemocratico Mikhail Degtiarev
(2,86 per cento). Ultimo il presidente del partito Russia Giusta, Nikolai
Levichev (2,79 per cento). L’affluenza è stata del 32,07 per cento (contro
il 57,5 per cento delle precedenti elezioni per il sindaco di Mosca).
Ma è già guerra di cifre sui dati,
con corredo di denunce di brogli da
parte di Navalny che ha fatto sapere
che non accetterà i risultati e ha invitato la gente a scendere in piazza.
Dal canto suo il vincitore ha invitato
i cittadini alla calma e i suoi rivali a
riconoscere i risultati. «Penso che i
moscoviti conoscano bene le epoche
di cambiamento — ha detto Sobianin, citato da Interfax — hanno vissuto più di una rivoluzione e nessuno, di sua volontà, ne desidera
direttore generale
alle scuole la somma di 2,7 milioni
di euro nel 2013 e di 5,3 milioni nel
2014 per l’acquisto, anche tra reti
di scuole, di libri adottati dal collegio dei docenti, ovvero dispositivi
per la lettura di contenuti digitali,
da concedere in comodato d’uso ad
alunni individuati sulla base
dell’indicatore economico Isee. È
stato poi reso noto che si potranno
usare anche le vecchie edizioni di
liberi scolastici. Fra gli altri provvedimenti più attesi figura poi il via
libera all’assunzione a tempo indeterminato di 26.000 docenti di sostegno e la possibilità da parte del-
Servizio vaticano: [email protected]
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le Regioni di stipulare mutui trentennali con la Bei, la banca di sviluppo del Consiglio d’Europa e la
Cassa Depositi e prestiti al fine di
finanziare interventi straordinari di
ristrutturazione e messa in sicurezza di istituti scolastici, nonché per
favorire la costruzione di nuove
scuole. A questo fine sono stati
stanziati contributi pluriennali per
40 milioni di euro annui per la durata dell’ammortamento del mutuo,
a partire dal 2014. Infine, è stato
anche esteso il termine di scadenza
del permesso di soggiorno per motivi di studio.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Il nuovo
Ambasciatore
di Polonia
Sua Eccellenza il signor Piotr
Nowina-Konopka, nuovo Ambasciatore di Polonia preso la Santa Sede, è nato a Chorzów il 27
maggio 1949. è sposato ed ha
due figlie. Oltre al polacco, parla l’inglese, il francese, il tedesco,
il russo e l’italiano.
Laureato in Economia (Università di Danzica, 1972), ha successivamente conseguito un Dottorato di ricerca nella medesima
materia (Università di Danzica,
1978).
Ha ricoperto i seguenti incarichi: assistente al Politecnico di
Danzica (1972-1974); vice dirigente centrale nella sezione di appello del tribunale marittimo di
Danzica (1976-1978); docente associato presso l’università di
Danzica (1978-1989); docente
presso l’Istituto di Teologia di
Danzica (1988-1989); vice direttore del College of Europe Brugia-Natolin (1999-2004); presidente del Consiglio della fondazione polacca "Robert Schuman"
(2004-2006); esperto senior internazionale del programma di
aiuto dell’Ue per il Parlamento
di Georgia (2005-2006); responsabile del Parlamento europeo
per le Relazioni con i Parlamenti
nazionali dell’Ue, Bruxelles-Strasburgo (2006-2009); direttore
dell’European Parliament Liaison Office with Us Congress,
Washington Dc (2009-2012).
Il signor Nowina-Konopka ha
svolto anche un’intensa attività
politica, ricoprendo i seguenti
ruoli: co-fondatore e segretario
generale del Club degli intellettuali cattolici di Danzica (19801983); collaboratore e portavoce
del presidente di Solidarność,
Lech Wałęsa (1982-1989); portavoce di Solidarność durante i lavori della Tavola Rotonda
(1989); ministro nel Gabinetto
del presidente della Repubblica
di Polonia (1989-1990); co-fondatore e segretario generale del
partito Unione Democratica
(1990-1993); membro del consiglio nazionale del partito Unione della Libertà (1994-1999); deputato della I, II e III legislatura
(1991-2001); segretario di Stato
nell’ufficio del comitato dell’Integrazione europea (1998); segretario di Stato nel Gabinetto del
presidente del Consiglio dei ministri (1998-1999); vice incaricato
del Governo per le trattative
sull’entrata
della
Polonia
nell’Unione europea (1998-1999).
Al signor Piotr Nowina-Konopka, nuovo Ambasciatore di
Polonia preso la Santa Sede,
giungano nel momento in cui si
accinge a ricoprire il suo alto incarico, le felicitazioni del nostro
giornale.
Concessionaria di pubblicità
Il Sole 24 Ore S.p.A
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«L’Osservatore Romano»
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Alfonso Dell’Erario, direttore generale
Romano Ruosi, vicedirettore generale
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
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telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
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Credito Valtellinese
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pagina 3
Afghanistan senza pace
Amr Mussa eletto alla presidenza del Comitato mentre il leader dei Fratelli musulmani è stato rinviato a giudizio per omicidio
Nuova strage
di civili
nella provincia
di Kunar
Al via la Costituente egiziana
KABUL, 9. Un errore di valutazione nel raid di un drone Nato contro militanti armati nella provincia
orientale afghana di Kunar ha
causato la morte di dieci civili, sedici secondo alcune fonti indipendenti. È questa l’accusa che hanno
rivolto ieri alla Forza internazionale di assistenza alla sicurezza
(Isaf, sotto comando Nato), le autorità della provincia confinante
con il Pakistan. Un’accusa fatta
sua anche dal presidente afghano,
Hamid Karzai, che — in una nota
ufficiale — denuncia «gli attacchi
contro donne e bambini» come
«contrari alle norme internazionali» e «condanna fermamente»
l’accaduto.
La notizia del massacro è venuta nel giorno in cui un comando
di talebani, guidato da un attentatore suicida, ha attaccato la sede
dei servizi segreti afghani (Nds)
nella provincia centrale di Maidan
Wardak, provocando la morte di
quattro agenti e il ferimento di
ben 153 persone, quasi tutti civili.
In un comunicato diffuso alla
stampa, l’Isaf a Kabul ha detto di
non essere al corrente delle notizie
riguardanti l’uccisione di civili,
confermando però che «forze della coalizione internazionale hanno
messo a segno una operazione accurata» nel distretto di Watahpur,
in cui sono morti «dieci membri
delle forze nemiche». «Allo stato
attuale non abbiamo informazioni
riguardanti vittime civili in questo
incidente. Ma l’inchiesta è ancora
in corso», si legge nella nota, che
sottolinea come «l’Isaf prenda sul
serio ogni asserzione dell’esistenza
di perdite civili».
Ma ieri è stato il governatore
della provincia di Kunar in persona, Shujaul Mulk Jalala, a riferire
quanto accaduto e cosa può avere
indotto in errore la Nato. «Un
gruppo di quattro insorti — ha
spiegato — sentendosi in difficoltà
è salito a bordo di un pulmino insieme a ignari passeggeri. E proprio questo automezzo è stato
centrato dai missili del drone Nato». Da parte sua il governatore
del distretto di Watahpur, Yousuf
Zalmai, ha detto che i militanti
sono saliti sull’automezzo in una
zona montagnosa vicino al villaggio di Qoro. Fra le vittime, ha
precisato, «quattro sono donne e
altre quattro, bambini».
Un portavoce dei talebani ha
invece rivendicato il cruento attentato di Maidan Wardak. In questo
attacco, ha sostenuto, «un gran
numero di militari afghani e stranieri sono stati uccisi o feriti», con
danni anche alla sede del vicino
Gruppo di ricostruzione provinciale (Prt), legato alla Nato. Particolari che peraltro non hanno trovato conferma nei resoconti ufficiali. Secondo il portavoce del
Governo provinciale, Attaullah
Khogyani, un attentatore suicida
ha fatto esplodere l’auto su cui
viaggiava di fronte all’ingresso
della sede della Nds a Maidan
Shahr, aprendo la strada ai tre uomini armati che lo accompagnavano per tentare di entrare nell’edificio. Operazione che tuttavia non
è riuscita, ha assicurato il portavoce, per la pronta risposta dei servizi di sicurezza afghani.
La prima riunione del Comitato costituente (Afp)
IL CAIRO, 9. Si stringe la morsa della giustizia
nei confronti dei leader della Fratellanza musulmana egiziana, mentre si avviano i lavori della
Costituente con l’elezione alla sua presidenza di
Amr Mussa, politico di lungo corso, ex segretario
generale della Lega araba ed ex candidato alle
presidenziali del 2012. Al comitato di cinquanta
membri, malgrado le forti perplessità della vigilia,
ha deciso di partecipare il secondo partito islamico del Paese, quello dei salafiti di Al Nour, la Luce, mentre restano fuori i Fratelli musulmani.
Quindici alti esponenti della Fratellanza, fra
cui la guida suprema Mohamed Badie, sono stati
intanto rinviati a giudizio per omicidio volontario
e terrorismo per le violenze di metà luglio nei
pressi dell’università del Cairo durante il sit-in organizzato dai sostenitori del deposto presidente
Mohammed Mursi. Badie è già inquisito per gli
scontri avvenuti al quartier generale della Fratellanza al Cairo a fine giugno, ed è fra le decine di
dirigenti della Confraternita arrestati dopo il sanguinoso sgombero delle due piazze Rabaa Al
Adaweya e Al Nahda da parte di polizia e militari. Insieme a Badie, rinchiuso da quasi tre setti-
mane nel carcere di Tora al Cairo, sono stati incriminati tutti i massimi esponenti della Fratellanza e del suo braccio politico, Giustizia e Libertà,
Mohamed El Beltagy, Essam El Eryan, Safwat
Hegazi, Assem Abdel Magued, oltre a Bassem
Ouda, ex ministro con il deposto presidente.
Mursi è nel mirino anche della giustizia contabile che, scrive il quotidiano online «Al Ahram»,
ha aperto un’inchiesta sui suoi beni e quelli della
sua famiglia in base a una denuncia di una associazione anticorruzione secondo la quale il primo
presidente eletto dei Fratelli musulmani avrebbe
abusato della sua posizione per vantaggi personali e sperperato quasi 285 milioni di dollari nella
campagna elettorale.
Dal fronte islamico — nel giorno in cui un
gruppo fondamentalista del Sinai, Ansar Beit Al
Maqdis, ha rivendicato l’attentato di giovedì scorso contro il ministro dell’Interno — è venuto però
ieri un segnale di disponibilità al confronto. Così
gli analisti interpretano infatti la decisione del
partito Al Nour, già dissociatosi da Mursi prima
della sua rimozione dal potere, di partecipare alla
Costituente, che avrà due mesi di tempo per in-
Sequestro di massa
da parte di ribelli filippini
trodurre modifiche alla Costituzione scritta da
una Assemblea dominata dai partiti islamici. Al
Nour aveva minacciato di boicottare il Comitato
dei cinquanta per protestare contro il lavoro preparatorio durante il quale era stato eliminato l’articolo che definiva le fonti giuridiche e interpretative della Sharia base della giurisprudenza egiziana. Ma ieri è giunto il ripensamento e sarà il vice
presidente del partito, Bassam El Zurqa, a rappresentare i salafiti.
Nel frattempo, sono almeno venti i miliziani rimasti uccisi o feriti nel corso dell’operazione lanciata all’alba di ieri dall’esercito egiziano contro i
covi dei fondamentalisti nel nord del Sinai, al
confine con Israele. Lo rende noto una fonte della sicurezza all’agenzia di stampa turca Anadolu.
All’operazione hanno partecipato sei elicotteri militari, veicoli corazzati e forze speciali. Una decina di case e di auto appartenenti ai militanti sono
state date alle fiamme. Per ritorsione i miliziani
hanno poi compiuto un attentato contro un blindato dell’esercito, uccidendo due ufficiali nei
pressi di Sheikh Zouwayed.
Riunito a Vienna
il Consiglio dell’Aiea
VIENNA, 9. Il dossier nucleare iraniano sarà da oggi al centro del dibattito dell’Agenzia internazionale
per l’energia atomica (Aiea) sullo
sfondo dei segnali di apertura provenienti dalle nuove autorità di
Teheran. Riuniti per una settimana
nella capitale austriaca, i 35 membri
del Consiglio dei governatori intendono dare l’occasione al nuovo presidente iraniano, Hassan Rohani, di
concretizzare le dichiarazioni concilianti di queste ultime settimane.
È stato intanto reso noto che il
ministro degli Esteri iraniano,
Mohammad Javad Zarif, nominato
la scorsa settimana dal presidente
Si insedia
il presidente
pakistano
Tokyo sede
delle olimpiadi
del 2020
ISLAMABAD, 9. Passaggio di consegne in Pakistan tra l’ex presidente
Asif Ali Zardari e il suo successore
Manmoon Hussain che si è insediato oggi. Il mandato quinquennale del vedovo di Benazir Bhutto
è ufficialmente scaduto ieri e la
sua partenza è stata salutata con
una solenne cerimonia a Islamabad con una guardia d’onore. Zardari, che è stato il primo presidente democraticamente eletto a concludere il suo mandato, è poi partito per Lahore, ma è tornato oggi
nella capitale pakistana per assistere alla cerimonia di giuramento
di Hussain. Secondo il portavoce
del Partito popolare pakistano, lo
storico partito della famiglia
Bhutto, l’ex presidente si occuperà alla riorganizzazione del gruppo politico insieme al figlio.
BUENOS AIRES, 9. Il Comitato
olimpico internazionale ha designato Tokyo come sede delle
Olimpiadi del 2020. La capitale
nipponica ha vinto il ballottaggio
con Istanbul per 60 voti a 36, e
ospiterà così la sua seconda Olimpiade dopo quella del 1964. A sorpresa, esclusa alla prima votazione
Madrid. La scelta di Tokyo premia una candidatura coraggiosa,
capace di superare il grande scoglio legato alla tragedia nucleare
di Fukushima. «Tokyo è una delle
città più sicure del mondo, lo è
adesso, lo sarà anche nel 2020. A
chi si preoccupa per Fukushima,
posso dire che la situazione è sotto controllo» aveva affermato il
premier, Shinzo Abe, dopo la presentazione della candidatura.
Soldati filippini in operazione a Zamboanga (La Presse/Ap)
MANILA, 9. Circa trecento ribelli
islamici separatisti hanno attaccato
oggi la città filippina di Zamboanga, nel sud del Paese asiatico, prendendo in ostaggio decine di civili. I
ribelli — hanno indicato le autorità
locali — fanno parte del Fronte nazionale di liberazione Moro (Mnlf),
un gruppo estremista islamico che
combatte per ottenere l’indipendenza da Manila. Nonostante un accordo per una maggiore autonomia
firmato nel 1996, l’Mnlf non ha mai
disarmato del tutto i suoi effettivi.
Secondo
il
vicesindaco
di
Zamboanga, il gruppo armato ha
occupato prima dell’alba sei quartieri della città portuale (circa
800.000
abitanti
sull’isola
di
Mindanao), chiedendo di issare la
propria bandiera sul municipio. Le
forze speciali della marina militare
filippina hanno cercato di contrastare l’assalto. Negli scontri, un soldato e quattro civili sono morti.
Duecento persone, che inizialmente
sembrava fossero state rapite, sono
invece intrappolate tra i due fronti
armati. Molti residenti si sono dati
alla fuga, mentre è stata ordinata la
chiusura di scuole e uffici.
Rohani responsabile dei negoziati
sul nucleare con i Paesi del gruppo
cinque più uno (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la
Germania) incontrerà a fine mese, a
New York, l’alto rappresentante per
la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Catherine Ashton, a
margine dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite. La prossima
sessione di colloqui sul nucleare tra
il gruppo cinque più uno e Teheran
è stata fissata per venerdì 27 settembre a Vienna.
Le opposizioni
tunisine
unite contro
l’Esecutivo
TUNISI, 9. Più unite di prima, più
convinte di prima che non ci possa essere alcuna forma di dialogo
con un Governo cui resta soltanto
una opzione, dimettersi per salvare la Tunisia dal baratro. Le opposizioni tunisine sono uscite rafforzate dalla cerimonia con cui, sabato sera a Tunisi, in piazza del Bardo, davanti al palazzo dell’Assemblea costituente, è stato ricordato
Mohamed Brahmi a quaranta
giorni dal suo omicidio.
Una manifestazione organizzata
in ogni suo particolare e con cui
le opposizioni hanno voluto rispondere alla campagna portata
avanti con determinazione mediatica dalle forze filoislamiche, dalla
maggioranza che esprime il Governo di coalizione (Ennahdha,
Congresso per la Repubblica ed
Ettakatol) e che mira a dare degli
avversari una immagine sbiadita,
conflittuale al limite dell’implosione. Cosa che, a guardare la manifestazione di sabato sera, non è
sembrata affatto. Anzi le opposizioni hanno ribadito, con gli interventi dei vari leader (a cominciare da Beji Caïd Essebsi, leader
di Nidaa Tounes, oggi forse il partito più forte in Tunisia) di essere
decise ad andare fino in fondo e
di non accettare le concessioni fatte dal partito islamico Ennahdha e
dai suoi alleati.
Già l’esordio della manifestazione è stato caricato d’enormi significati patriottici, con l’inno nazionale cantato a squarciagola da una
folla stimata in circa centomila
persone, in un tripudio di bandiere tunisine. A significare ulteriormente la distanza con il Governo,
ma soprattutto con Ennahdha, c’è
stata la presenza, in prima fila,
delle vedove e dei figli di Chokri
Belaid e Mohamed Brahmi, che
alzavano i ritratti dei loro congiunti uccisi per mano di salafiti,
secondo quanto dicono le indagini. E il risuonare ritmato di slogan
contro Ennahdha e il suo leader
Gannouchi ha punteggiato lunghe
fasi della serata.
Le opposizioni sono arrivate alla manifestazione partendo da posizioni politico-ideologiche distanti, ma accomunate dall’unico traguardo che si sono poste: abbattere l’Esecutivo e il sistema di potere dal quale, dicono, si alimenta
quotidianamente. D’altra parte,
dalla maggioranza non si intravvedono spiragli al dialogo e questo
ormai si traduce in un logorante
muro contro muro nei confronti di
una opposizione anch’essa ancorata alle sue richieste e assolutamente non disponibile a trattare.
Le opposizioni hanno annunciato la prossima mossa che sarà
l’organizzazione di sit-in in tutto
il Paese, quasi a rimarcare che
quella contro il Governo non è
una protesta che riguarda solo i
grossi centri. E poi, ha anticipato
Hamma Hammami, portavoce e
leader del Fronte popolare, alcuni
dei deputati che da settimane disertano i lavori della Costituente
cominceranno uno sciopero della
fame. Insomma, tra maggioranza
e opposizioni non c’è tregua dopo
il fallimento del dialogo nazionale
che puntava a evitare alla Tunisia
di oggi di affondare sotto il peso
della crisi economica e politica.
Il partito di Governo vince
le legislative in Cambogia
PHNOM PENH, 9. Tensione alle stelle in Cambogia dopo che ieri la
commissione elettorale ha confermato la vittoria alle elezioni legislative del 28 luglio scorso del Partito
del popolo (Cpp), del primo ministro, Hun Sen, accusato di brogli
da parte dell’opposizione.
Il Cpp conserva così la maggioranza in Parlamento con sessantotto
seggi (3 milioni e 200.000 voti),
contro i cinquantacinque del Partito
della salvezza nazionale (2 milioni e
900), di Sam Rainsy, che da tre anni si era autoesiliato in Francia per
evitare una condanna a undici anni
di carcere. Rainsy è rientrato in patria dopo essere stato graziato dal
re, Norodom Sihamoni, su proposta di Hun Sen. Il leader dell’opposizione non ha però potuto né candidarsi né votare, dato che le liste
elettorali sono state chiuse prima
della firma del perdono del re, lo
scorso 12 luglio.
Con la vittoria alle elezioni legislative, Hun Sen si conferma il politico più longevo alla guida di un
Governo in Asia, essendo stato eletto per la prima volta nel 1993.
Subito dopo l’annuncio ufficiale,
oltre 20.000 oppositori hanno manifestato per le vie della capitale.
I dirigenti del Partito della salvezza nazionale hanno segnalato
brogli, mentre la richiesta di un’indagine indipendente sul risultato
elettorale finale sarebbe stata respinta dalle autorità. Altre manifestazioni sono previste nei prossimi
giorni. Sam Rainsy, che ha denunciato alla stampa come «una intimidazione» la presenza di mezzi blindati e di uomini della sicurezza nelle strade della capitale dal 28 luglio, ha chiesto ai suoi sostenitori
di astenersi da ogni azione violenta.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
Ricordo di Pietro Barcellona
Manoscritto ritrovato nell’emeroteca della Biblioteca Nazionale a Buenos Aires
Il comunista che ha incontrato
Gesù
Borges inedito
di FRANCESCO VENTORINO
o scorso 7 settembre finiva la sua avventura umana Pietro Barcellona, nella consegna serena e totale della sua anima a Dio
con lo sguardo rivolto a quel suo
Gesù che era tornato ad amare con
la tenerezza e l’ardore di un bambino.
Intellettuale, docente illustre, militante del Partito comunista italiano, alla fine era ritornato alla fede
cristiana nella quale era stato educato da ragazzo. Del suo itinerario
spirituale sono stato testimone in
questi ultimi anni nei quali egli mi
ha fatto dono della sua insperata e
grande amicizia. Pietro ha fatto irruzione, infatti, in modo imprevisto
nella mia vita di vecchio prete, pur
piena di tante sorprese, ma che non
si è mai abituata al riaccadere del
miracolo dell’incontro cristiano.
In uno dei suoi ultimi libri egli
scriveva: «Sin da ragazzo il mio demone mi ha spinto a una lotta incessante contro l’insignificanza degli
esseri umani e del mondo circostante, contro l’indifferenza dell’universo
che appare nelle notti stellate come
un cielo lontano e inattingibile. Ho
forse precocemente avvertito che mi
era affettivamente impossibile rassegnarmi alla contingenza assoluta
delle cose che mi circondavano, non
perché non sentissi legami affettivi
fortissimi con parenti e compagni di
scuola, ma perché mi sembrava di
vederli contemporaneamente presenti e in fuga verso un nulla che ne
cancellava persino le ombre» (Incontro con Gesù, Milano, Marietti, 2010,
pagine 152, euro 14).
In questa confidenza è sinteticamente espressa la molla segreta che
ha spinto Pietro Barcellona a compiere il suo lungo percorso che si
configura come un ritorno a casa.
Tutto comincia con un’opzione
per il valore dell’essere e per il senso dell’esistenza, in un rifiuto
dell’assurdo, e quindi del caso o del
niente come inizio e destino delle
cose più belle e dei rapporti più cari. Questa posizione umana, la più
ragionevole che si possa avere, dopo
averlo indotto a cercare nelle forme
ingenue della sua infanzia le prime
fantastiche espressioni, lo ha portato
in seguito a investire tutte le sue
energie in quella sorta di «assoluto
terrestre» che fu la rivoluzione bolscevica. Infatti è stato «il tema della
solitudine cosmica e il bisogno disperato di trovare un riferimento solido al nostro pellegrinaggio vivente» (ibidem) che lo spinsero verso
l’attivismo politico nel partito comunista.
Nel 1989 il crollo del muro di
Berlino, che coincise con il crollo
della comunità di affetti che egli si
era costruito e «anche delle idealizzazioni effimere» in cui si alienavano la sua libertà e la sua creatività,
lo ha esposto alla cultura del pessimismo facendogli incontrare di nuovo “il mostro” contro il quale aveva
sempre combattuto. Il nichilismo si
presentava adesso sotto la forma dei
«nuovi saperi emergenti, che attraversano lo studio della mente» e
che «ripropongono l’evoluzionismo
come unica spiegazione delle metamorfosi della vita». Ci sono infatti
— scriveva — «molte cose convincenti
nell’evoluzionismo,
ma
c’è
un’obiezione dell’esistenza che si ribella alla doppia contingenza del
nascere per caso e del vivere per
funzionare come parti di un processo che, però, può fare anche a meno
di te» (ibidem). Da qui la sua lotta
accorata contro questa imperante e
totalizzante visione del mondo e
dell’uomo.
La stessa idea di Dio, alla quale
nel frattempo si era riaccostato, come condizione insopprimibile della
dignità e della libertà della persona,
nonché della possibilità stessa del
pensiero umano (tema questo di un
nostro assiduo conversare, rifluito
poi in una pubblicazione dal titolo
L’ineludibile questione di Dio, Milano,
Marietti, 2009, pagine 120, euro 18),
a poco a poco gli si era rivelata insufficiente a fondare la sua esigenza
di fondo, che poi è propria del cuore di ogni uomo: un’esperienza che
già nel presente mostri la possibilità
di un riscatto dell’esistere dall’insignificanza.
Si chiama Dio ciò che il cuore
dell’uomo brama; anche se il possesso di Dio può realizzarsi solo per
dono, per “grazia”. È per questo
che una visione in cui «l’umano e il
divino rimangono due poli troppo
distanti» non consente a ciascuno di
L
noi di accettare il dolore e la sofferenza, le malattie e le morti premature o, peggio, le stragi e i genocidi.
La storia umana non può essere
compresa «senza che il divino innervi intimamente le vicende terrene
degli uomini e delle donne in carne
e ossa».
Ecco perché Pietro è stato affettivamente colpito dalla figura di Ge-
Come diventò
cristiano
Pietro Barcellona era nato a
Catania il 12 marzo 1936. Di
estrazione marxista, membro
laico del Consiglio superiore
della magistratura dal 1976 al
1979, ha diretto il Centro per
la Riforma dello Stato,
fondato con Pietro Ingrao.
Nel 1979 è stato eletto
deputato nelle file del partito
comunista italiano ed è stato
membro della commissione
giustizia della Camera fino al
1983. Nel tempo il suo
pensiero aveva subito
un’evoluzione che nel 2012 lo
aveva portato a firmare un
articolo su «l’Unità» dal titolo
Come sono diventato cristiano.
Figura di spicco dell’università
di Catania, dove ha insegnato
Diritto privato e Filosofia del
diritto, ha ricevuto nel
gennaio 2012 la Candelora
d’oro da parte della sua città,
ed è autore di più di ottanta
pubblicazioni: da I soggetti e le
norme (Milano, Giuffrè, 1984)
a Parolepotere. Il nuovo
linguaggio del conflitto sociale
(Roma, Castelvecchi, 2013,
pagine 184, euro 22).
sù Cristo, dal suo avvenimento: «Il
Verbo incarnato, l’essere figlio
dell’uomo e figlio di Dio, che assume i connotati di una persona fisica,
in un tempo determinato, in un luogo preciso è assolutamente fuori anche dalla stessa attesa messianica
delle scritture bibliche, è una rottura
totale della continuità del tempo
storico» (Incontro con Gesù). Uno
stupore divenuto ammirazione e
gratitudine, apertura alla possibilità
di una conoscenza nuova del Mistero.
Le conseguenze che Barcellona
ha intravisto di questo impensabile
e gratuito avvenimento di Dio nel
tempo sono di enorme portata e soprattutto si rivelano corrispondenti
alle attese del suo cuore e alla sua
ricerca appassionata di un fondamento adeguato, di una pienezza
già da ora possibile, in grado di
giustificare la vita presente con le
sue gioie, i suoi dolori e le sue fatiche. Il tempo umano, infatti, nel
cristianesimo è il tempo dell’incontro con il Figlio dell’Uomo, in forza
del quale «l’a-temporalità dell’amore penetra nelle pieghe della temporalità mondana. L’incontro con Gesù fa esplodere anche il tempo messianico e il “qui e ora” si insinua
dentro la temporalità umana». Nella
prospettiva del “qui ed ora” l’amore
di Gesù coincide con l’amore per
qualunque altro essere umano che
ne incarna il “volto crocifisso” (ibidem).
Il regno di Dio che Gesù inaugura non è la fuga nell’utopia, non è il
rinvio sine die di una palingenesi di
cui non si conoscono i contenuti,
ma «l’iniziazione affettiva a una
pratica e a un sapere trasformativi
che rendono possibile il ritorno della Persona nell’orizzonte di una
nuova alba». Esso è frutto dell’azione di una presenza unica, quella di
Cristo, di cui non abbiamo un’esperienza diretta, ma una certezza ragionevole, fondata proprio sugli effetti che essa produce e che pertanto lo rende contemporaneo a ogni
uomo in ogni epoca della storia. Per
cui Pietro Barcellona poté affermare: «La contemporaneità della Persona di Gesù Cristo è dunque per
me l’inizio di una vera e propria rivoluzione nei rapporti tra gli esseri
umani. Come scrive Fulvio Papi, chi
afferma che Gesù è il Figlio di Dio,
un attimo dopo deve cambiare la
propria vita» (ibidem).
Il percorso spirituale di Barcellona non è stato appena un itinerario
intellettuale, ma un processo di trasformazione della sua esistenza nel
quale alla verità, man mano riconosciuta, egli offriva l’adesione profonda e leale della sua libertà.
Un finale alternativo al racconto «Tema del traidor y del héroe»
di VIOLETA GORODISCHER
«Mancano dettagli, rettifiche, precisazioni; ci sono zone della storia
che non mi sono ancora state rivelate?», dice Borges nel suo racconto Tema del traidor y del héroe,
pubblicato nel libro Ficciones del
1944. Alla luce dei fatti recenti, le
ipotesi di (ri)lettura sono all’ordine del giorno. Nei depositi
dell’emeroteca della Biblioteca
Nazionale è stato da poco ritrovato un manoscritto che presenta un
La Nación
Pubblichiamo, in una nostra
traduzione, un articolo apparso
su «La Nación»
del 5 settembre scorso.
finale alternativo alla storia. Il foglio si trovava all’interno del numero 112 della rivista «Sur», ma il
ritrovamento non è stato un mero
frutto del caso (oppure sì, a seconda del punto di vista), bensì
dell’attività
svolta
dal
programma
d’indagine e di ricerca di fondi borgesiani della Biblioteca
Nazionale.
S’inserisce nel lavoro che ha dato come risultato la Collezione Jorge Luis
Borges e il catalogo
che
la
descrive,
pubblicato con il titolo Borges, libros y
lecturas (2010), anche se l’aspetto più
significativo
della
scoperta,
afferma
Ezequiel Grimson,
direttore
culturale
della Biblioteca, è
che «si tratta del
primo manoscritto
importante di Borges di cui è custode
lo Stato argentino,
visto che tutti gli altri sono stati venduti all’estero o sono finiti in mani
private».
Germán Álvarez e Laura Rosato, bibliotecari che da tempo se-
Il manoscritto così come è stato pubblicato da «La Nación»
Quel debito verso Chesterton
Tema del traidor y del héroe è stato scritto nel 1944 «sotto la nota influenza di Chesterton», come si legge nell’incipit. Il testo si presenta
come il soggetto di un racconto ancora da scrivere, un “tema” appunto. «L’azione si svolge — scrive Borges — in un Paese oppresso e
tenace», che «per comodità narrativa» identifica nell’Irlanda del
1824. Il testo di Chesterton di cui Borges riconosce l’influenza è The
Sign of the Broken Sword, della serie di padre Brown, pubblicato nel
1911, in cui si svela il retroscena della leggenda eroica del generale inglese Arthur St. Clare, impiccato dal generale brasiliano Olivier. La
soluzione dell’enigma che infine padre Brown rivela a Flambeau ribalta, con un raffinato gioco di simmetrie, i ruoli di “buono” e “cattivo”: St. Clare era in realtà un traditore, e Olivier è stato ingiustamente accusato per la sua morte.
Lo ha annunciato il direttore del museo di Amsterdam intitolato all’artista
Un nuovo Van Gogh
Vincent Van Gogh, «Tramonto presso Montmajour» (1888)
Il Van Gogh Museum ha portato
alla luce una nuova opera di Vincent van Gogh: Tramonto presso
Montmajour del 1888. Lo ha annunciato il direttore Axel Rüger,
sottolineando che «una scoperta
di tale portata non si era mai verificata prima d’ora in tutta la storia
del museo». L’opera sarà esposta
a partire dal 24 settembre nell’ambito della mostra «Van Gogh at
work». Il fatto ancora più straordinario, ha sottolineato Rüger, è
che si tratta «di un lavoro chiave
della sua opera, oltre che di un
grande dipinto appartenente a
quello che molti considerano il
culmine della sua carriera artistica,
ovvero
il
periodo
trascorso
dall’autore ad Arles, nel sud della
Francia». L’attribuzione si fonda
su una ricerca condotta da Louis
van Tilborgh e Teio Meedendorp,
due ricercatori del Van Gogh Museum. «Abbiamo svolto un’indagine storico-artistica sullo stile, la
rappresentazione, l’impiego dei
materiali e il contesto, e tutto
quello che abbiamo scoperto indica che si tratta di un lavoro di
Van Gogh. Dal punto di vista stilistico e tecnico vi sono molteplici
parallelismi con altri dipinti di
Van Gogh realizzati nell’estate del
1888», hanno dichiarato gli studiosi. Nel 1890, hanno aggiunto,
«il dipinto faceva parte della collezione di Theo van Gogh e fu
venduto nel 1901».
guono le tracce che Borges ha lasciato nei libri sparsi per la biblioteca, hanno formulato l’ipotesi che
l’autore utilizzasse i suoi scritti,
originariamente apparsi su riviste
come supporto per nuove correzioni: la riscrittura come base della trama, il testo circolare, infinito.
Così, questa copia di «Sur» farebbe parte di un corpus più grande
che per ora include sei numeri annotati dall’autore.
La trama di Tema del traidor y
del héroe è nota: Ryan è un investigatore che scopre la coincidenza
tra alcuni paragrafi del Giulio Cesare di Shakespeare e la cronaca
che segue i passi dell’eroe Kilpatrick, prima di essere colpito da
una pallottola in un teatro dublinese. Ryan, discendente di Kilpatrick, introduce, a sua volta, un altro personaggio, Nolan, il quale
scopre che il traditore è Kilpatrick, capo del movimento ribelle.
Dato che per il popolo irlandese è
un eroe, la sua condanna a morte
— firmata da lui stesso — stabilisce
che morirà per il suo tradimento
senza che venga compromessa la
sua fama di eroe. Viene allora preparato per lui un copione teatrale
nel quale, prima dell’esecuzione,
deve pronunciare frasi di esortazione alla lotta, ed è proprio questa la scoperta di Ryan.
Fin qui la versione che conosciamo. Quali cambiamenti propone quella inedita? Sostanzialmente modifica di poco quanto
detto sopra. Dato che i brani di
Shakespeare sono “i meno drammatici”, Ryan sospetta che siano
stati interpolati per far sì che un
lettore futuro possa scoprire la verità. E per tener nascosta questa
scoperta decide di pubblicare un
libro che divulghi in modo ancora
più ampio la fama dell’eroe. Metafora intertestuale raramente usata, l’atto di “lasciare segnali al futuro” raddoppia ancora, varcando
quei confini tra realtà e finzione
che a Borges piaceva indebolire in
ogni senso. «È un gioco al quale
lo stesso Borges ci ha invitato»,
riassume Grimson.
In un certo senso, sembra che
l’autore abbia sparso tracce che
confermano l’idea espressa da
Beatriz Sarlo riguardo a Historia
universal de la infamia: l’uso della
ripetizione con variazioni di storie
che non le appartengono. Forse
tutta la sua opera è una sorta di
ars
combinatoria
dominata
dall’idea che la letteratura sia un
testo infinitamente variabile e nessuno dei suoi frammenti possa
aspirare al titolo di testo originale.
Horacio González, direttore
della Biblioteca Nazionale, conclude dicendo: «Non sappiamo
perché Kilpatrick ha fatto quello
che ha fatto, la sua coscienza è incomprensibile dal punto di vista
psicologico, ma non a partire da
una tesi dell’illusoria continuità
del lettore. Il ritrovamento dice allo stesso tempo che il traditore e
l’eroe volevano essere un “io vitale”, uscendo dal testo shakespeariano. E tale anelito è solo un debole segnale nel tempo, che in
quel momento è tornato nuovamente in circolazione, come se
fosse stato in attesa in quei fogli,
indicatori del destino, che Borges
lasciava sparsi nel rifugio impenetrabile di libri e riviste».
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
Il discorso di Paolo
VI
pagina 5
alle Nazioni Unite citato da Papa Francesco durante la veglia di sabato sera
Un uomo come voi
secoli. Sì, voi ricordate: è da molto
tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi
celebriamo qui l’epilogo d’un faticoso pellegrinaggio in cerca d’un colloquio con il mondo intero, da
quando Ci è stato comandato: «Andate e portate la buona novella a
tutte le genti». Ora siete voi, che
rappresentate tutte le genti. Noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì,
un messaggio felice, da consegnare a
ciascuno di voi.
1. Il Nostro messaggio vuol essere,
in primo luogo, una ratifica morale e
solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla
Nostra esperienza storica; Noi, quali
«esperti in umanità», rechiamo a
questa Organizzazione il suffragio
dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto
l’Episcopato cattolico, e
Nostro, convinti come
siamo che essa rappresenta la via obbligata
Il 4 ottobre 1965 Paolo VI visita a New York
della civiltà moderna e
l’assemblea generale dell’O rganizzazione
della pace mondiale.
delle Nazioni Unite e a nome del concilio,
Dicendo questo, Noi
che ha appena iniziato l’ultimo periodo
sentiamo di fare Nostra
di lavori, parla ai rappresentanti del mondo.
la voce dei morti e dei
Pubblichiamo integralmente il suo discorso,
vivi; dei morti, caduti
citato da Papa Francesco nel corso della
nelle tremende guerre
veglia che il 7 settembre ha concluso la
passate sognando la congiornata di preghiera e digiuno per la pace
cordia e la pace del
in Siria e nel mondo. «Risuonino ancora
mondo; dei vivi, che a
una volta — ha detto il Pontefice — le parole
quelle hanno sopravvisdi Paolo VI: “Non più gli uni contro gli altri,
suto portando nei cuori
non più, mai!... non più la guerra, non più
la condanna per coloro
la guerra!”». Oltre ad alcuni versetti
che tentassero rinnovardella Genesi, questo brano di Montini
le; e di altri vivi ancora,
è stato con un altro
che avanzano nuovi e fil’unico testo citato dal suo successore.
denti, i giovani delle
presenti generazioni, che
sognano a buon diritto
vostra buona accoglienza. A ciascu- una migliore umanità. E facciamo
no di voi il Nostro riverente e cor- Nostra la voce dei poveri, dei diserediale saluto. La vostra amicizia Ci dati, dei sofferenti, degli anelanti alha invitati e Ci ammette ora a que- la giustizia, alla dignità della vita, alsta riunione: e come amici Noi qui a la libertà, al benessere e al progresvoi Ci presentiamo.
so. I popoli considerano le Nazioni
Vi esprimiamo il Nostro cordiale Unite come il palladio della concoromaggio personale e vi offriamo dia e della pace; Noi osiamo, col
quello dell’intero Concilio Ecumeni- Nostro, portare qua il loro tributo di
co Vaticano II, riunito in Roma, e onore e di speranza. Ecco perchè
qui rappresentato dai Signori Cardi- questo momento è grande anche per
nali che a questo scopo Ci accompa- voi.
gnano.
2. Noi sappiamo che ne avete pieA loro nome, come da parte No- na coscienza. Ascoltate allora la constra, rendiamo a voi tutti onore e vi tinuazione del Nostro messaggio.
salutiamo!
Esso è rivolto completamente verso
Questo incontro, voi tutti lo com- l’avvenire: l’edificio, che avete coprendete, segna un momento sempli- struito, non deve mai più decadere,
ce e grande. Semplice, perchè voi ma deve essere perfezionato e adeavete davanti un uomo come voi; guato alle esigenze che la storia del
egli è vostro fratello, e fra voi, rap- mondo presenterà. Voi segnate una
presentanti di Stati sovrani, uno dei tappa nello sviluppo della umanità,
più piccoli, rivestito lui pure, se così dalla quale non si dovrà più retrocevi piace considerarCi, d’una minu- dere, ma avanzare.
scola, quasi simbolica sovranità temAl pluralismo degli Stati, che non
porale, quanta gli basta per essere li- possono più ignorarsi, voi offrite
bero di esercitare la sua missione una formola di convivenza estremaspirituale, e per assicurare chiunque mente semplice e feconda. Ecco: voi
tratta con lui, che egli è indipenden- dapprima vi riconoscete e distinguete da ogni sovranità di questo mon- te gli uni dagli altri. Voi non conferido. Egli non ha alcuna potenza tem- te certamente l’esistenza agli Stati;
porale, nè alcuna ambizione di com- ma qualificate come idonea a sedere
petere con voi; non abbiamo infatti nel consesso ordinato dei Popoli
alcuna cosa da chiedere, nessuna ogni singola Nazione; date cioè un
questione da sollevare; se mai un de- riconoscimento di altissimo valore
siderio da esprimere e un permesso etico e giuridico ad ogni singola coda chiedere, quello di potervi servire munità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. È
Facciamo nostra la voce dei poveri
già un grande servizio
alla causa dell’umanità
dei diseredati, dei sofferenti
quello di ben definire e
degli anelanti alla giustizia
di onorare i soggetti nazionali della comunità
alla dignità della vita, alla libertà
mondiale, e di classifial benessere e al progresso
carli in una condizione
di diritto, meritevole
in ciò che a Noi è dato di fare, con d’essere da tutti riconosciuta e rispettata, dalla quale può derivare un
disinteresse, con umiltà e amore.
Questa è la Nostra prima dichia- sistema ordinato e stabile di vita inrazione; e, come voi vedete, essa è ternazionale. Voi sancite il grande
così semplice, che sembra irrilevante principio che i rapporti fra i popoli
per questa Assemblea, che tratta devono essere regolati dalla ragione,
sempre cose importantissime e diffi- dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla
cilissime.
Ma Noi dicevamo, e tutti lo av- violenza, non dalla guerra, e nemvertite, che questo momento è anche meno dalla paura, nè dall’inganno.
Così ha da essere. Lasciate che
grande. Grande per Noi, grande per
Noi Ci congratuliamo con voi, che
voi.
Per Noi, anzitutto. Oh! voi sapete avete avuto la saggezza di aprire
chi siamo; e, qualunque sia l’opinio- l’accesso a questa aula ai Popoli gione che voi avete sul Pontefice di Ro- vani, agli Stati giunti da poco alla
ma, voi conoscete la Nostra missio- indipendenza e alla libertà nazionane; siamo portatori d’un messaggio le; la loro presenza è la prova
per tutta l’umanità; e lo siamo non dell’universalità e della magnanimità
solo a Nostro nome personale e che ispirano i principii di questa
dell’intera famiglia cattolica, ma lo Istituzione.
Così ha da essere; questo è il Nosiamo pure di quei Fratelli cristiani,
che condividono i sentimenti da Noi stro elogio e il Nostro augurio, e,
qui espressi, e specialmente di quelli come vedete, Noi non li attribuiamo
da cui abbiamo avuto esplicito inca- dal di fuori; ma li caviamo dal di
rico d’essere anche loro interpreti. dentro, dal genio stesso del vostro
Noi siamo come il messaggero che, Statuto.
3. Il vostro Statuto va oltre; e con
dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affida- esso procede il Nostro augurio. Voi
ta; così Noi avvertiamo la fortuna di esistete ed operate per unire le Naquesto, sia pur breve, momento, in zioni, per collegare gli Stati; diciamo
cui si adempie un voto, che Noi questa seconda formola: per mettere
portiamo nel cuore da quasi venti insieme gli uni con gli altri. Siete una
el momento in cui
prendiamo la parola
davanti a questo consesso unico al mondo,
sentiamo il bisogno
anzitutto di esprimere la Nostra profonda gratitudine al Signor Thant,
vostro Segretario Generale, per l’invito ch’egli Ci ha rivolto di visitare
le Nazioni Unite, in occasione del
ventesimo anniversario della fondazione di questa Istituzione mondiale
per la pace e per la collaborazione
fra i popoli di tutta la terra.
Noi ringraziamo altresì il Signor
Presidente
dell’Assemblea,
On.
Amintore Fanfani, il quale, dal giorno del suo insediamento, ha avuto
per Noi parole tanto cortesi. Grazie
anche a voi tutti, qui presenti, per la
N
Era il 4 ottobre 1965
Associazione. Siete un ponte fra i
Popoli. Siete una rete di rapporti fra
gli Stati. Staremmo per dire che la
vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò
che la Nostra Chiesa cattolica vuol
essere nel campo spirituale: unica ed
universale. Non v’è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell’umanità. La vostra
vocazione è quella di affratellare non
solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma
questa è l’impresa; questa la vostra
nobilissima impresa. Chi non vede il
bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un’autorità
mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?
Anche a questo riguardo ripetiamo il Nostro voto: perseverate. Diremo di più: procurate di richiamare
fra voi chi da voi si fosse staccato, e
studiate il modo per chiamare, con
onore e con lealtà, al vostro patto di
fratellanza chi ancora non lo condivide. Fate che chi ancora è rimasto
fuori desideri e meriti la comune fiducia; e poi siate generosi nell’accordarla. E voi, che avete la fortuna e
Lello Scorzelli,
l’onore di sedere in questo consesso
della pacifica convivenza, ascoltateCi: fate che non mai la reciproca fiducia, che qui vi unisce e vi consente di operare cose buone e grandi,
sia insidiata o tradita.
4. La logica di questo voto, che si
può dire costituzionale per la vostra
Organizzazione, Ci porta a integrarlo con altre formole. Ecco: che nessuno, in quanto membro della vostra
unione, sia superiore agli altri. Non
l’uno sopra l’altro. È la formola della
eguaglianza. Sappiamo di certo come essa debba essere integrata dalla
valutazione di altri fattori, che non
sia la semplice appartenenza a questa Istituzione; ma anch’essa è costituzionale. Voi non siete eguali, ma
qui vi fate eguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtù;
consentite che ve lo dica Colui che
vi parla, il Rappresentante d’una Religione, la quale opera la salvezza
mediante l’umiltà del suo Fondatore
Divino. Non si può essere fratelli, se
non si è umili. Ed è l’orgoglio per
inevitabile che possa sembrare che
provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo, dell’egoismo; rompe cioè la fratellanza.
5. E allora il Nostro messaggio
raggiunge il suo vertice; il vertice
negativo. Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di
gravità e di solennità: non gli uni
contro gli altri, non più, non mai! A
questo scopo principalmente è sorta
l’Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace!
Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che
quattro anni or sono proclamava:
«L’umanità deve porre fine alla
guerra, o la guerra porrà fine
all’umanità». Non occorrono molte
parole per proclamare questo sommo
fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di
uomini e innumerevoli e inaudite
sofferenze, inutili stragi e formidabili
rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve
cambiare la storia futura del mondo:
non più la guerra, non più la guerra!
La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!
Grazie a voi, gloria a voi, che da
vent’anni per la pace lavorate, e che
avete perfino dato illustri vittime a
questa santa causa. Grazie a voi, e
gloria a voi, per i conflitti che avete
prevenuti e composti. I risultati dei
vostri sforzi, conseguiti in questi ultimi giorni in favore della pace, benchè non siano ancora definitivi, meritano che Noi, osando farCi inter-
Non si può amare con armi offensi- può osare di offenderla. Il rispetto
ve in pugno. Le armi, quelle terribi- alla vita, anche per ciò che riguarda
li, specialmente, che la scienza mo- il grande problema della natalità,
derna vi ha date, ancor prima che deve avere qui la sua più alta profesprodurre vittime e rovine, generano sione e la sua più ragionevole difesa:
cattivi sogni, alimentano sentimenti voi dovete procurare di far abbondacattivi, creano incubi,
diffidenze e propositi triInutili stragi e formidabili rovine
sti, esigono enormi spese, arrestano progetti di
sanciscono il patto che vi unisce
solidarietà e di utile lacon un giuramento che deve cambiare
voro, falsano la psicologia dei popoli. Finchè
la storia futura del mondo
l’uomo rimane l’essere
Non più la guerra, non più la guerra!
debole e volubile e anche cattivo, quale spesso
La pace, la pace deve guidare le sorti
si dimostra, le armi della
dei popoli e dell’intera umanità!
difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi,
coraggiosi e valenti quali siete, state re quanto basti il pane per la mensa
studiando come garantire la sicurez- dell’umanità; non già favorire un arza della vita internazionale senza ri- tificiale controllo delle nascite, che
corso alle armi: questo è nobilissimo sarebbe irrazionale, per diminuire il
scopo, questo i Popoli attendono da numero dei commensali al banchetto
voi, questo si deve ottenere! Cresca della vita.
la fiducia unanime in questa IstituMa non si tratta soltanto di nutrizione, cresca la sua autorità; e lo re gli affamati: bisogna inoltre assiscopo, è sperabile, sarà raggiunto. curare a ciascun uomo una vita conVe ne saranno riconoscenti le popo- forme alla sua dignità. Ed è questo
lazioni, sollevate dalle pesanti spese che voi vi sforzate di fare. E non si
degli armamenti, e li- adempie del resto sotto i Nostri ocberate dall’incubo della chi e anche per opera vostra l’anguerra sempre immi- nuncio profetico che ben si addice a
nente, il quale deforma questa Istituzione: «Fonderanno le
la loro psicologia.
spade in vomeri; le lance in falci»?
Noi godiamo di sa- (Isaia 2, 4). Non state voi impieganpere che molti di voi do le prodigiose energie della terra e
hanno considerato con le invenzioni magnifiche della scienfavore il Nostro invito, za, non più in strumenti di morte,
lanciato a tutti gli Stati ma in strumenti di vita per la nuova
per la causa della pace, era dell’umanità?
a Bombay, nello scorso
Noi sappiamo con quale crescente
dicembre, di devolvere intensità ed efficacia l’O rganizzazioa beneficio dei Paesi in ne delle Nazioni Unite, e gli organivia di sviluppo una smi mondiali che ne dipendono, laparte almeno delle eco- vorino per fornire aiuto ai Governi,
nomie, che si possono che ne abbiano bisogno, al fine di
realizzare con la ridu- accelerare il loro progresso economizione degli armamenti. co e sociale.
Noi rinnoviamo qui taNoi sappiamo con quale ardore
le invito, fidando nel voi vi impegniate a vincere l’analfavostro sentimento di betismo e a diffondere la cultura nel
umanità e di genero- mondo; a dare agli uomini una adesità.
guata e moderna assistenza sanitaria,
6. Dicendo queste a mettere a servizio dell’uomo le meparole Ci accorgiamo ravigliose risorse della scienza, della
di far eco ad un altro tecnica, dell’organizzazione: tutto
principio costitutivo di questo è magnifico, e merita l’encoquesto Organismo, cioè mio e l’appoggio di tutti, anche il
il suo vertice positivo: Nostro.
non solo qui si lavora
Vorremmo anche Noi dare l’esemper scongiurare i con- pio, sebbene l’esiguità dei Nostri
flitti fra gli Stati, ma si mezzi ci impedisca di farne apprezlavora altresì con fratel- zare la rilevanza pratica e quantitatilanza per renderli capa- va: Noi vogliamo dare alle Nostre
ci di lavorare gli uni istituzioni caritative un nuovo sviper gli altri. Voi non vi luppo in favore della fame e dei bicontentate di facilitare sogni del mondo: è in questo modo,
la coesistenza e la con- e non altrimenti, che si costruisce la
vivenza fra le varie Na- pace.
zioni; ma fate un passo
7. Una parola ancora, Signori,
molto più avanti, al un’ultima parola: questo edificio,
quale Noi diamo la che state costruendo, si regge non
Nostra lode e il Nostro già solo su basi materiali e terrene:
appoggio: voi promo- sarebbe un edificio costruito sulla
vete la collaborazione sabbia; ma esso si regge, innanzitutfraterna dei Popoli. to, sopra le nostre coscienze. È veQui si instaura un si- nuto il momento della “metanoia”,
stema di solidarietà, della trasformazione personale, del
per cui finalità civili al- rinnovamento interiore. Dobbiamo
tissime ottengono l’ap- abituarci a pensare in maniera nuova
poggio concorde e or- l’uomo; in maniera nuova la convidinato di tutta la famivenza dell’umanità, in maniera nuoglia dei Popoli per il
«Paolo VI alle Nazioni Unite»
va le vie della storia e i destini del
bene comune, e per il
mondo, secondo le parole di S. Paobene dei singoli. Quelo: «Rivestire l’uomo nuovo, creato a
preti del mondo intero, vi esprimia- sto aspetto dell’Organizzazione delle
immagine di Dio nella giustizia e
Nazioni Unite è il più bello: è il suo
mo plauso e gratitudine.
santità della verità» (Eph. 4, 23). È
Signori, voi avete compiuto e state volto umano più autentico; è l’ideale
l’ora in cui si impone una sosta, un
compiendo un’opera grande: l’edu- dell’umanità pellegrina nel tempo; è
momento di raccoglimento, di ripencazione dell’umanità alla pace. la speranza migliore del mondo; è il
samento, quasi di preghiera: ripensaL’Onu è la grande scuola per questa riflesso, osiamo dire, del disegno trare, cioè, alla nostra comune origine,
educazione. Siamo nell’aula magna scendente e amoroso di Dio circa il
di tale scuola; chi siede in questa au- progresso del consorzio umano sulla alla nostra storia, al nostro destino
la diventa alunno e diventa maestro terra; un riflesso, dove scorgiamo il comune. Mai come oggi, in un’eponell’arte di costruire la pace. Quan- messaggio evangelico da celeste farsi ca di tanto progresso umano, si è redo voi uscite da questa aula il mon- terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo so necessario l’appello alla coscienza
morale dell’uomo!
do guarda a voi come
Il pericolo non viene nè dal proagli architetti, ai costrutLasciate cadere le armi dalle vostre mani gresso nè dalla scienza: questi, se betori della pace.
ne usati, potranno anzi risolvere
E voi sapete che la
Le armi, ancor prima che produrre
molti dei gravi problemi che assillapace non si costruisce
no l’umanità. Il pericolo vero sta
vittime e rovine, generano cattivi sogni
soltanto con la politica e
nell’uomo, padrone di sempre più
con l’equilibrio delle
alimentano sentimenti cattivi
potenti strumenti, atti alla rovina ed
forze e degli interessi,
alle più alte conquiste!
creano incubi, diffidenze e propositi tristi
ma con lo spirito, con le
In una parola, l’edificio della moidee, con le opere della
Falsano la psicologia dei popoli
derna civiltà deve reggersi su principace. Voi già lavorate in
pii spirituali, capaci non solo di soquesto senso.
Ma voi siete ancora in principio: un’eco della voce dei Nostri Prede- stenerlo, ma altresì di illuminarlo e
arriverà mai il mondo a cambiare la cessori, di quella specialmente di Pa- di animarlo. E perchè tali siano quementalità particolaristica e bellicosa, pa Giovanni XXIII, il cui messaggio sti indispensabili principii di supeche finora ha tessuto tanta parte del- della Pacem in terris ha avuto anche riore sapienza, essi non possono non
la sua storia? È difficile prevedere; nelle vostre sfere una risonanza tan- fondarsi sulla fede in Dio. Il Dio
ignoto, di cui discorreva nell’areopama è facile affermare che alla nuova to onorifica e significativa.
Perchè voi qui proclamate i diritti go S. Paolo agli Ateniesi? Ignoto a
storia, quella pacifica, quella veramente e pienamente umana, quella e i doveri fondamentali dell’uomo, la loro, che pur senza avvedersene lo
che Dio ha promesso agli uomini di sua dignità, la sua libertà e, per pri- cercavano e lo avevano vicino, come
buona volontà, bisogna risolutamen- ma, la libertà religiosa. Ancora, Noi capita a tanti uomini del nostro sete incamminarsi; e le vie sono già se- sentiamo interpretata la sfera supe- colo?... Per noi, in ogni caso, e per
gnate davanti a voi; e la prima è riore della sapienza umana, e ag- quanti accolgono la Rivelazione
quella del disarmo.
giungiamo: la sua sacralità. Perchè si ineffabile che Cristo di Lui ci ha fatSe volete essere fratelli, lasciate tratta anzitutto della vita dell’uomo: ta, è il Dio vivente, il Padre di tutti
cadere le armi dalle vostre mani. e la vita dell’uomo è sacra: nessuno gli uomini.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
In una lettera dei superiori maggiori degli Stati Uniti al presidente Obama e al Congresso
In molte città si è pregato per la Siria aderendo all’appello del Pontefice
Invito a riflettere
e usare la diplomazia
Un vento
che attraversa il mondo
WASHINGTON, 9. Un invito a riflettere in maniera ponderata sull’eventualità di un attacco militare in Siria
e a cogliere l’occasione invece di un
intervento che segua i canali diplomatici è stato rivolto al Congresso
degli Stati Uniti e al presidente Barack Obama dalla Conferenza dei
superiori maggiori degli Stati Uniti
(Conference of Major Superiors of
Men, Cmsm).
In un documento, reso pubblico,
i religiosi riconoscono «l’incredibile
sfida dell’attuale momento in Siria
nel mezzo di questa tragedia. Eppure, noi vediamo per gli Stati Uniti
una grande opportunità: quella di
porre fine alle ostilità prendendo
l’iniziativa e riconoscendo che la vera responsabilità è soprattutto quella
di aumentare la comprensione, di risolvere i danni che sono sorti nelle
relazioni, di incoraggiare più empatia verso coloro che hanno sofferto
prendendo ciascuno le proprie responsabilità. Non si tratta — spiegano i superiori maggiori — di una
scelta tra l’azione militare e l’inerzia», un dualismo «che viene utilizzato per giustificare la violenza».
Secondo la Cmsm, invece di scoraggiare la violenza, che ha portato
a più di centomila morti e a danni
incalcolabili, l’intervento militare
«minaccia di estendere la già feroce
guerra civile in Siria, di minare le
prospettive di una riduzione della
violenza, di una soluzione giusta e
negoziata, di una responsabilità autentica. Assad, o chi ha utilizzato
armi chimiche — prosegue il messaggio — non impareranno certamente la lezione in questo modo».
Chi ha usato la violenza «non farà
altro che inasprire e aumentare le
ostilità». I ribelli, secondo i religiosi, potrebbero considerare qualsiasi
intervento militare da parte degli
Stati Uniti «come un segnale per
aumentare maggiormente le ostilità.
Inoltre, Iran, Israele e persino la
Russia potrebbero probabilmente
essere coinvolti ancor di più nel
conflitto». I religiosi citano anche
recenti studi che dimostrano come
gli interventi militari stranieri spesso
portino a un aumento del quaranta
per cento di vittime civili.
Per tutti questi motivi, i superiori
maggiori esortano dunque il Congresso e il presidente a prendere in
considerazione altre opzioni, come
quella diplomatica, e quanto prevede il diritto internazionale. «Adesso
più che mai è giunto il momento di
rinvigorire i piani per i negoziati di
pace, poiché le red lines sono state
superate». Per i religiosi la credibilità degli Stati Uniti come Paese impegnato a tutelare la pace «dovrebbe essere mantenuta mostrando al
mondo intero la disponibilità a guidare gli sforzi per una conferenza di
pace».
Per i religiosi, insomma, è giunto
il momento di intervenire facendo
leva sulla chiamata alla responsabilità di ogni nazione. «Occorre avviare
negoziati che coinvolgano anche i
principali attori della società civile e
non violenta e includere la previsione di meccanismi di responsabilità
più ampi. Bisogna resistere alla tentazione di alimentare il fuoco con
altra violenza. Nello spirito di Martin Luther King, di cui abbiamo ricordato il cinquantesimo anniversario del celebre discorso di Washington, dobbiamo interrompere le azioni di ostilità», esercitando pressioni
sui Paesi che si ritiene vendano armi
alla Siria, sia di quelli che le forni-
scono al Governo, sia di quelli che
le vendono ai ribelli, perché la rivoluzione violenta, secondo i religiosi,
«non solo alimenta altra violenza ed
è meno efficace per la realizzazione
di obiettivi politici a breve termine,
ma raramente porta a una democrazia vera e duratura».
Pertanto, secondo la Conferenza
dei superiori maggiori è falso quando si afferma che azioni punitive
possano riequilibrare le forze in
campo. «Soltanto i negoziati possono portare a una democrazia duratura e a una pace giusta. Il modo
migliore per inviare un messaggio a
chi si rende responsabile di comportamenti orribili — suggeriscono i religiosi — è quello di creare processi
di autentica responsabilità che propendano verso la comprensione reciproca, l’empatia verso coloro che
Gli ortodossi
d’America
contrari
alla guerra
NEW YORK, 9. Profonda
preoccupazione riguardo al
coinvolgimento militare degli
Stati Uniti in Siria è stata
espressa anche dall’arcivescovo
ortodosso di New York e metropolita di Tutto il Nord
America, Filippo. In una lettera pubblica, il metropolita sottolinea che «l’intervento militare provocherebbe destabilizzazione nel Paese mediorientale e causerebbe un ulteriore
spargimento di sangue e devastazioni ancora più grandi,
con il conseguente totale sterminio dei cristiani nella
zona».
Basandosi sulla propria conoscenza di quella parte del
mondo, Filippo ha affermato
che «bombardare il Paese non
serve agli Stati Uniti, non serve al popolo siriano e nemmeno alla gente del Medio
Oriente». Secondo l’arcivescovo ortodosso di New York, «i
gruppi estremisti, come Al
Qaeda, sono in attesa, dietro
le quinte, per approfittare di
qualsiasi debolezza del Governo siriano. I risultati di un
bombardamento sarebbero un
ulteriore passo verso lo sterminio della nostra presenza cristiana, una presenza che risale
agli albori del cristianesimo.
La nostra Chiesa ha già sofferto molto e ha nuovi martiri in
attesa di essere glorificati, non
ce ne servono altri!».
Pertanto, il metropolita Filippo ha esortato i fedeli ortodossi a contattare, nei prossimi
giorni, i senatori e i membri
del Congresso per esortarli a
votare “no” a qualsiasi azione
militare unilaterale da parte
degli Stati Uniti. «Il tempo
stringe. Vi prego — ha concluso — di diffondere questo messaggio a tutti quelli che conoscete il più rapidamente possibile e di condividere questo
messaggio su Facebook e su
gli altri social network».
soffrono», lo sviluppo di piani che
possano lenire le ferite della guerra.
Nel loro messaggio, i religiosi degli Stati Uniti propongono di avviare un dialogo iniziale con operatori
selezionati secondo criteri precisi:
«Potrebbero essere familiari di persone uccise, membri del Governo di
Assad, della resistenza armata, organizzatori di comunità locali». Potrebbero poi essere sviluppati piani
più ampi, che potrebbero gradualmente espandersi per includere sempre di più altre persone: «L’impatto
di interventi sulla realtà sociale faciliterebbe i negoziati per un cessateil-fuoco. Questi sforzi su piccola
scala potrebbero costituire le basi
per sforzi ancora più ampi quando
si porrà fine alla violenza».
La Cmsm cita enti caritativi come
Catholic Relief Service e Cure Violence, che sono già impegnati in iniziative di pace con i siriani. «Anche
i tribunali di giustizia internazionali
potrebbero essere una risorsa utile».
Secondo i religiosi, sarebbe opportuno supportare l’opera di forze
di pace civili nelle aree dove già ci
sono siriani impegnati a favore della
pace. «Queste forze potrebbero essere le Nazioni Unite, le ong, come
la Nonviolent Peaceforce, o altre associazioni in grado di aiutare a modificare le dinamiche locali in modo
concreto ed efficace».
Infine, nel messaggio, i superiori
maggiori sostengono che per raggiungere al più presto un obiettivo
sarebbe opportuno che «gruppi di
eminenti leader religiosi delle principali confessioni si recassero in Siria come forza di pace, per coinvolgere gli attori ora armati e disinnescare le ostilità». Il religiosi citano
l’esempio della beata Madre Teresa
di Calcutta quando nel 1982 si recò
in Libano, durante le ostilità, per
prestare soccorso ai bambini disabili
musulmani. Il chiaro messaggio di
Papa Francesco contro la violenza e
l’appello a osservare una giornata di
preghiera e digiuno per la Siria,
spiegano ancora i religiosi, «ci induce a riflettere e ad agire. La tragedia
in corso ci offre un’altra opportunità di diventare persone che trasformano il conflitto con coraggio e
amore. Cerchiamo di impegnarci».
Il Patriarca Cirillo
in visita
in Moldova
CHIŞINĂU, 9. Si è svolta dal 7 al 9
settembre la visita primaziale del
Patriarca di Mosca e di Tutta la
Russia, Cirillo, alla Chiesa ortodossa di Moldova, dedicata al secondo
centenario della fondazione della
metropolia di Chişinău e Moldova.
Durante la visita Cirillo ha visitato la cattedrale della Natività di Cristo a Chişinău, il monastero femminile di San Pacomio, la cattedrale
della natività a Tiraspol, al confine
con l’Ucraina, e il monastero maschile dell’Ascensione di NovoNeamt, nel villaggio di Kitskany.
Il Patriarca Cirillo ha incontrato,
tra gli altri, anche il presidente della
Repubblica di Moldova, Nicolae Timofti, e il primo ministro Yuri
Leanca.
ROMA, 9. Da Gerusalemme ad Assisi, dall’Avana a Taizé, alla stessa
Damasco: sono stati numerosi i fedeli che in ogni parte del mondo si
sono riuniti in preghiera sabato sera
per alzare il loro «grido di pace»,
aderendo alla richiesta di Papa
Francesco. Una grande «mobilitazione delle coscienze», a favore di
una soluzione pacifica della crisi siriana, la cui importanza è stata sottolineata alla Radio Vaticana dall’arcivescovo Mario Zenari, nunzio
apostolico in Siria: «In unità spirituale con piazza San Pietro, numerose veglie di preghiera si sono svolte anche in diverse comunità religiose siriane. Nella cattedrale grecocattolica melkita di Damasco si sono
riuniti vescovi cattolici e ortodossi,
assieme a rappresentanti del Governo, del Parlamento e della comunità
musulmana. Tante persone sono venute a incaricarmi di ringraziare vivamente il Santo Padre per questa
iniziativa».
Secondo monsignor Zenari, «la
ferma fiducia del Santo Padre è una
boccata d’ossigeno non solo qui in
Siria e in Medio Oriente, ma in tutto il mondo. C’era bisogno di sentire questo vento forte di speranza».
A Gerusalemme è stata la basilica
delle Nazioni, sul monte degli Ulivi, ad accogliere i fedeli, abitanti
della città santa ai quali si sono uniti religiosi e religiose in missione e
pellegrini: cristiani — si legge in un
comunicato sul sito on line della
Custodia di Terra Santa — di tutte
le confessioni, riti, lingue e nazioni.
Erano presenti il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal,
l’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto,
nunzio apostolico in Israele e in Ci-
pro nonché delegato apostolico in
Gerusalemme e Palestina, rappresentanti delle diverse Chiese, in primo luogo siriaci e copti, e il parroco
di San Salvatore, fra Feras Hejazin,
che ha presieduto la veglia di preghiera.
In un clima di grande raccoglimento, i fedeli hanno ascoltato e
fatto proprie le parole pronunciate
dal Papa all’Angelus del 1° settembre. Si è pregato in arabo, ebraico,
aramaico, copto e in altre lingue,
per implorare il dono della pace
nella regione. Durante l’intera giornata di sabato, analoghe celebrazioni hanno avuto luogo in molte altre
chiese e cappelle. «I legami che uniscono tutti i cristiani di Terra Santa
— informa la Custodia — sono particolarmente stretti non solo perché
possiedono una cultura araba comune, ma anche perché numerose famiglie hanno parenti e amici
nell’uno o nell’altro Paese del Vicino Oriente».
I francescani della Custodia hanno rivolto un pensiero particolare
per i frati che, in Siria, continuano
il loro servizio alla popolazione, sostenendola affinché possa affrontare
in una prospettiva di fede la tragedia che il Paese sta attraversando.
La veglia si è conclusa con una processione con le fiaccole accese nel
giardino degli Ulivi e la recita del
Padre nostro. «La nostra preghiera
non finisce stasera — ha detto padre
Feras Hejazin — ma continua e noi
proseguiremo dicendo “no” alla
guerra e “sì” alla pace. Sì, noi vogliamo la pace in Terra Santa, in Libano, in Egitto, in Siria, in Iraq».
La Custodia e Ats, la sua ong,
hanno proposto di fare un altro ge-
sto concreto per aiutare la Siria: rispondendo all’appello di solidarietà,
si possono inviare sul posto, tramite
le comunità cristiane, prodotti di
prima necessità di cui la popolazione ha urgentemente bisogno.
In un’altra città di pace, Assisi, il
vescovo Domenico Sorrentino ha
sollecitato un “bombardamento della preghiera”: «Non siamo qui per
fare analisi e per dare soluzioni. Siamo qui come fratelli e vogliamo dire
che siamo vicini al dramma del popolo siriano». Alla veglia, svoltasi
nella basilica di Santa Maria degli
Angeli, sono intervenuti — riferisce
l’Ansa — il pastore della comunità
anglicana di Assisi, il rappresentante
della comunità copto-ortodossa di
Gualdo Tadino e il coordinatore
della Tavola della pace, Flavio Lotti. La veglia si è conclusa all’esterno
della basilica con una processione.
A Taizé, in Francia, sabato sera i
fratelli della comunità ecumenica e i
tanti giovani presenti si sono radunati nella chiesa: «Tu non lasci che
noi ci abbandoniamo allo sconforto
— hanno detto rivolti al Signore — e
ci fai capire che la nostra preghiera
e compassione contano. Sii a fianco
di coloro che soffrono e manda lo
Spirito Santo, affinché ispiri a tutti
gli esseri umani gesti di pace».
E ieri a L’Avana, a migliaia di
chilometri di distanza, in occasione
delle celebrazioni per la festa della
Vergine della Carità, patrona di Cuba, il presidente della Conferenza
episcopale, arcivescovo Dionisio
Guillermo García Ibáñez, ha ricordato l’appello del Papa per la Siria
invitando i fedeli a pregare per la
pace.
Il Papa ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Per i diritti dei lavoratori minerari
«Un serio esame di coscienza affinché l’industria mineraria possa offrire un positivo e costante contributo
allo sviluppo umano integrale». Lo
auspica Papa Francesco nel messaggio — a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone — ai
partecipanti alla giornata di riflessione sulle questioni ambientali e
sociali legate al settore estrattivo
mondiale, svoltasi sabato 7 settembre su iniziativa del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Nella sede del dicastero vaticano,
sotto la presidenza del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, si sono
ritrovati per la prima volta insieme
dirigenti di compagnie minerarie e
rappresentanti della Chiesa cattolica
esperti della materia, per un totale
di circa quaranta persone, chiamate
ad analizzare i principali problemi
etici del settore, particolarmente in
Africa e in altri Paesi in via di sviluppo. «Non sempre senza motivo
— si legge nel messaggio — l’attività
delle industrie estrattive è vista come uno sfruttamento ingiusto delle
risorse naturali e delle popolazioni
locali, ridotte, a volte, addirittura in
schiavitù e costrette a spostarsi, abbandonando le loro terre d’origine».
Il testo cita l’antico proverbio israelita «I padri hanno mangiato l’uva
acerba e i denti dei figli si sono allegati» (Geremia 31, 29) sottolineando
che si tratta di un «ammonimento
sempre valido: non allude solo alla
complessità delle questioni etiche,
difficili da risolvere con una risposta
unica, ma rievoca anche la serietà
con la quale ogni azione umana deve essere intrapresa. L’attività estrattiva, come anche altre attività industriali, ha conseguenze ecologiche e
sociali che vengono trasmesse da
una generazione all’altra».
Per tale motivo — prosegue il documento — e «per non ripetere i
gravi errori del passato, oggi le decisioni non vanno prese solo in base a
prospettive geologiche o in vista dei
profitti economici degli investitori e
degli Stati in cui sono insediate le
aziende: è indispensabile, e inevita-
bile, un processo decisionale nuovo
e più consapevole, che prenda in
considerazione la complessità dei
problemi, in un contesto di solidarietà». Esso «richiede, innanzitutto,
che siano garantiti ai lavoratori i diritti economici e sociali, nel pieno
rispetto delle norme e delle direttive
dell’Organizzazione internazionale
del lavoro» e degli «standard internazionali sulla protezione dell’ambiente». Del resto «la grande sfida
per i dirigenti d’azienda è quella di
creare un’armonia tra gli interessi,
che tenga conto delle esigenze degli
investitori, dei manager, dei lavoratori, delle loro famiglie, del futuro
dei
figli,
della
preservazione
dell’ambiente a livello regionale e
internazionale e che costituisca, al
contempo, un contributo alla pace
mondiale».
Infine nell’assicurare la sua vicinanza nella preghiera a quanti sono
coinvolti nella attività minerarie, il
vescovo di Roma chiede ai leader
delle imprese del settore di affrontare le difficoltà che si presentano con
un’attenzione speciale nei confronti
dei minatori e delle loro famiglie,
delle popolazioni locali e dell’ambiente, della solidarietà internazionale e intergenerazionale.
†
L’Accademia dei Virtuosi al Pantheon
partecipa profondamente commossa alla scomparsa dell’Accademica Scultrice
MARISAMARINI
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
pagina 7
La testimonianza dei musulmani presenti alla veglia in piazza San Pietro
Papa Francesco
esempio da seguire
Si sono uniti anche i musulmani al
popolo della pace convocato da Papa Francesco e hanno risposto numerosi al suo invito alla veglia in
piazza San Pietro. Sabato sera cristiani e musulmani hanno sfoderato
insieme le “armi” della preghiera
per la pace. A spiegare le ragioni
che hanno mosso il mondo islamico
sono Amman e Ismael, due giovani
avvolti in una bandiera siriana:
«Siamo qui per ringraziare Papa
Francesco che ha dimostrato compassione per il nostro popolo e perché oggi cristiani e musulmani sono
uniti nella preghiera per la pace.
Anche noi abbiamo digiunato e resteremo qui fino alle fine».
Con loro c’è anche Minas, una
giovane siriana che indossa il chador ed è in luna di miele a Roma. È
venuta a San Pietro con il marito
proprio per non mancare all’appuntamento per la pace. «Spero — confida — che quando torneremo a Damasco non troveremo case distrutte
dalle bombe». Sono giovani che
non mostrano segni di appartenenza
politica. Qualcuno indossa una tshirt bianca e con scritte contrarie
all’intervento in Siria.
A esprimere l’adesione dei musulmani è Foad Aodi, il medico di origine palestinese a capo del Co-mai,
l’associazione che riunisce le comunità del mondo arabo in Italia. Racconta «i sentimenti di entusiasmo e
gratitudine per tutto quello che il
Papa sta facendo in favore della pace». Tra i primi ad arrivare in piazza San Pietro, Foad Aodi auspica
anche per il mondo islamico «una
guida come Papa Francesco». Non
può quantificare il numero di musulmani presenti alla veglia, «ma
certamente non sono pochi» assicura. E racconta di aver «ricevuto migliaia di messaggi di gioia di arabi e
musulmani. Con le sue parole contro la guerra il Papa ha fatto cadere
un muro di ipocrisia nella politica.
La sua iniziativa è davvero forte e
segnerà sicuramente una svolta storica nel linguaggio, che anche in
politica e in diplomazia deve essere
coerente, diretto e trasparente».
Inoltre i continui interventi del Papa, per il presidente del Co-mai,
«avranno anche come indiretta conseguenza quella di migliorare l’immagine dei cristiani presso alcuni
settori musulmani; contribuiranno a
un maggiore dialogo e comprensione e soprattutto a un rispetto delle
persone e dei luoghi sacri dove si
riuniscono in preghiera. Ora, infatti,
tocca al mondo arabo fare suo l’appello alla pace e alla fraternità lanciato dal Papa». E conclude: «Papa
Francesco per noi è un esempio da
seguire».
La presenza dei musulmani alla
veglia è avvenuta, comunque, nel
segno del rispetto reciproco e della
preghiera. Così una decina di musulmani, tra cui siriani con le bandiere della propria nazione, hanno
recitato il Corano restando però ai
margini di piazza San Pietro,
all’esterno delle transenne, per non
disturbare la preghiera dei cristiani.
Ma unendosi, in qualche modo,
all’iniziativa per la pace indetta da
Papa Francesco. Stando a quanto
hanno poi dichiarato, hanno recitato «il capitolo delle stanze» del Corano. «In quel verso si parla di Allah che ha fatto istituire un popolo
e una comunità affinché possiamo
conoscerci. Il più nobile che più
ama e teme Dio si trattiene da qualunque violenza» spiega Salameh
Ashour, presidente della comunità
palestinese romana, che ha recitato
in italiano i versi del Corano assieme ad altri musulmani, con il palmo
delle mani rivolto al cielo. Ma in
piedi e senza nessun tappeto, «proprio per non disturbare nessuno».
Tanti musulmani — egiziani, libici,
siriani, palestinesi, iracheni e di altre
nazionalità — hanno scelto invece di
partecipare alla veglia in piazza, in
mezzo alla folla, fianco a fianco dei
cristiani.
E comunque niente bandiere, striscioni, slogan in piazza San Pietro.
Nessun gruppo numeroso a riempire i settori. C’erano soprattutto famiglie, gruppi di amici, parrocchie.
Nessun pellegrinaggio imponente.
Molte persone erano alla loro prima
partecipazione a un incontro di preghiera in piazza San Pietro e, forse,
in assoluto. Un dato significativo
secondo i leader della Comunità di
Sant’Egidio. Per il fondatore Andrea Riccardi e il presidente Marco
Impagliazzo «il Papa ha smosso
l’impasse in cui è caduta la comunità internazionale, ha spezzato il silenzio dei potenti, scuotendo i cuori
delle singole persone che si sono
sentite protagoniste, interpellate direttamente». Ecco, dunque, che «la
piazza appartiene proprio a tutti»
conferma Franco Miano, presidente
dell’Azione
Cattolica
Italiana.
«Questa è la preghiera della gente
semplice — dice — perché la pace si
costruisce testimoniando la fede nella quotidianità». E «le persone di
buona volontà — aggiunge Miano —
stanno rispondendo all’appello del
Papa e mostrano come i problemi di
ogni giorno non distraggano la loro
attenzione dalle grandi questioni internazionali».
A dar voce a questa realtà c’è, in
piazza San Pietro, proprio un gruppo di ragazzi dell’Azione Cattolica.
«È bello pregare con i miei amici
nella casa del Papa» dice Samuel,
bolognese di nove anni, mentre per
Elisa, dodicenne torinese, «è molto
divertente essere qui, conoscere persone nuove e, anche se stanca, sono
felice perché ho potuto dire la mia
fede». E se Michela, nove anni, di
Ozieri, esprime con schiettezza la
propria speranza «che vinca la pace», per Maria, tredici anni, di Bari,
«è bello l’incontro di tanti volti,
tanti ragazzi, tante persone diverse
ma con unico sentire: il nostro sì a
Gesù». Infine Giovanni, dodici anni, di Caltagirone, confida di sentirsi «piccolo ma anche grande
nell’appartenere alla grande famiglia
della Chiesa. Come un piccolo pezzo di un grande puzzle dove unendo l’uno all’altro viene fuori lo
splendore del creato».
A un loro coetaneo del Paraguay,
Roque, spetta un piccolo primato: il
primo a essere entrato in piazza San
Pietro alle ore 16 in punto, quando
sono stati aperti i varchi d’ingresso.
Ha undici anni ed è a Roma in vacanza con la famiglia. «Non potevamo mancare» dice per esprimere le
ragioni della partecipazione alla veglia. E aggiunge con un pizzico di
stupore indicando la marea di passeggini: «Ma qui ci sono tanti bambini, tante famiglie!». Soprattutto
famiglie romane: evidente che ha
ben funzionato la mobilitazione spirituale delle parrocchie della diocesi
del Papa.
L’elenco dei presenti in piazza —
difficile riconoscere tutte le appartenenze e le provenienze perché, con
un’opportuna scelta, non ci sono né
bandiere né cartelli — è «impressionante», conferma Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. Ci
sono anche i poveri assistiti dalle
suore di Madre Teresa nella casa
Dono di Maria in Vaticano: «non
sono voluti mancare» spiegano le
religiose «e hanno accolto l’invito
del Papa alla preghiera e al digiuno».
Ci sono, poi, tantissimi giovani
con le magliette verdi della giornata
mondiale di Rio de Janeiro. «Sono
sicura che tutti coloro che erano in
Brasile oggi pregano con il Papa:
qui, nelle loro case o nelle loro comunità» dice Alessia, trentenne fiorentina. E soprattutto ci sono i malati e i disabili. In prima fila. È Valentina, tredicenne romana con la
sindrome di Down, a esprimere con
semplicità il pensiero di tutti: «Come sarebbe bello il mondo se fosse
come piazza San Pietro stasera. Ma
perché a qualcuno viene in mente di
sparare?».
Quando il silenzio
è il linguaggio della pace
Tante volte piazza san Pietro è
scomparsa, nascosta da una folla debordante anche oltre il colonnato
berniniano; migliaia di persone accorse per un incontro col Papa. Ma
sabato sera anche visivamente è stato qualcosa di diverso. Nessuno striscione, nessuna bandiera, solo l’alternarsi di preghiere, canti, invocazioni, e un silenzio più eloquente
delle parole. Un silenzio che ha unito le oltre centomila persone di razze, lingue e fedi diverse, che hanno
risposto, anche fisicamente, all’invito di Papa Francesco per una giornata di digiuno e una veglia di preghiera per impetrare la pace in Siria, in Medio Oriente e ovunque nel
mondo si combatte una guerra.
Si sono ritrovati, l’uno accanto
all’altro, per esprimere solidarietà
con le vittime dei conflitti e per manifestare la loro avversità alla guerra: cattolici, ortodossi, musulmani,
indù, buddisti e persino non credenti. Famiglie intere, pellegrini, turisti, religiosi, religiose, malati. Tutti
hanno voluto testimoniare che la
pace è ancora possibile grazie
all’aiuto di Dio.
La veglia è iniziata verso le 19
con l’arrivo del Papa. Un clima di
intensa preghiera ha caratterizzato
tutta la serata. Dopo il saluto liturgico, il Pontefice ha intonato il Veni
Creator Spiritus. Nel frattempo,
dall’obelisco al centro della piazza
quattro alabardieri della Guardia
Svizzera Pontificia hanno portato
processionalmente verso il sagrato
l’icona della Salus populi Romani. Li
seguivano due gendarmi in alta uniforme e due ragazze che portavano
due fasci di fiori. L’immagine è stata intronizzata davanti a Papa Francesco, il quale le ha reso un devoto
omaggio.
È iniziata quindi la recita del rosario. Per aiutare a riflettere sui misteri gaudiosi, sono stati scelti dei
brani di santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Alla fine di
ogni mistero è stata aggiunta l’invocazione «Regina della pace, prega
per noi».
Dopo il canto delle litanie lauretane, il Papa ha tenuto la sua meditazione, al termine della quale, dopo un minuto di silenzio, due suore
africane hanno portato mazzi di fiori all’altare, dove è stato esposto il
Messa del Papa a Santa Marta
Gesù è la speranza
Fanno tristezza quei sacerdoti che hanno perso
la speranza. Per questo Papa Francesco nella
messa celebrata questa mattina, lunedì 9 settembre, a Santa Marta, ha rivolto ai sacerdoti presenti l’invito a coltivare questa virtù «che per i
cristiani ha il nome di Gesù». «Vedo tanti preti
oggi qui — ha detto — e mi viene di dirvi una
cosa: è un po’ triste quando uno trova un prete
senza speranza, senza quella passione che dà la
speranza; ed è tanto bello quando uno trova un
prete che arriva alla fine della sua vita sempre
con quella speranza, non con l’ottimismo, ma
con la speranza, seminando speranza». Perché
vuol dire, ha aggiunto, che «questo prete è attaccato a Gesù Cristo. E il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questa speranza in
Gesù, che rifà tutto, è capace di rifare tutto e sta
rifacendo tutto: in ogni eucaristia lui rifà la creazione, in ogni atto di carità lui rifà il suo amore
in noi».
Il Pontefice ha parlato della speranza ricollegando la riflessione odierna a quelle dei giorni
precedenti, durante le quali aveva proposto Gesù come la totalità, il centro della vita del cristiano, l’unico sposo della Chiesa. Così oggi si è
soffermato sul concetto espresso nella Lettera di
san Paolo ai Colossesi (1, 24-2, 3): Gesù «mistero, mistero nascosto, Dio». Un mistero, quello
di Dio, che «è apparso in Gesù» che è «la nostra speranza: è il tutto, è il centro ed è anche la
nostra speranza».
Purtroppo però, ha osservato il vescovo di
Roma, la «speranza è una virtù» considerata
«abitualmente di seconda classe. Non crediamo
tanto — ha spiegato — nella speranza: parliamo
della fede e della carità, ma la speranza è un
po’, come diceva uno scrittore francese, la virtù
umile, la serva delle virtù; e non la capiamo
bene».
L’ottimismo, ha spiegato, è un atteggiamento
umano che dipende da tante cose; ma la speranza è un’altra cosa: «È un dono, è un regalo dello
Spirito Santo e per questo Paolo dirà che non
delude mai». E ha anche un nome. E «questo
nome è Gesù»: non si può dire di sperare nella
vita se non si spera in Gesù. «Non si tratterebbe
di speranza — ha precisato — ma sarebbe buonumore, ottimismo, come nel caso di quelle persone solari, positive, che vedono sempre la metà
piena del bicchiere e non quella vuota».
Una conferma di questo concetto il Papa l’ha
indicata nel brano del Vangelo di Luca (6, 6-11),
nel riferimento al tema della libertà. Il racconto
di Luca mette davanti agli occhi una duplice
schiavitù: quella dell’uomo «con la mano paralizzata, schiavo della sua malattia», e quella «dei
farisei, degli scribi, schiavi dei loro atteggiamenti
rigidi, legalistici». Gesù «libera entrambi: fa vedere ai rigidi che quella non è la strada della libertà; e l’uomo dalla mano paralizzata lo libera
dalla malattia». Cosa vuole dimostrare? Che «libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è
speranza, non può esserci libertà».
Tuttavia il vero insegnamento da trarre dalla
liturgia odierna è che Gesù «non è un guaritore,
è un uomo che ricrea l’esistenza. E questo — ha
sottolineato il vescovo di Roma — ci dà speranza, perché Gesù è venuto proprio per questo
grande miracolo, per ricreare tutto». Tanto che
la Chiesa in una bellissima preghiera dice: «Tu,
Signore, che sei stato tanto grande, tanto meraviglioso nella creazione, ma più meraviglioso
nella redenzione...». Dunque, ha aggiunto il Papa, «la grande meraviglia è la grande riforma di
Gesù. E questo ci dà speranza: Gesù che ricrea
tutto». E quando «ci uniamo a Gesù nella sua
passione — ha concluso il Papa — con lui rifacciamo il mondo, lo facciamo nuovo».
Santissimo Sacramento per l’adorazione eucaristica. Questa parte della
liturgia è stata divisa in cinque tempi: prima una lettura biblica sul tema della pace, poi una preghiera
composta dagli ultimi Pontefici —
Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI,
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
— sullo stesso tema. Quindi a seguire un’invocazione in forma responsoriale per implorare da Dio il dono
della pace, un canto, e l’offerta
dell’incenso da ardere nel bracere.
Significativamente, i primi due a offrire l’incenso sono stati George Jamal e Al Bdeiwi Raji, provenienti
dalla Siria. È stata poi la volta di
due frati minori della Custodia di
Terra Santa, Jad Sara e Antonio
D’Aniello, degli statunitensi John e
Ashley Noronha, di due russe, Natalia Entaltseva e Olga Tkachenko
e, infine, di due egiziani, Maikel W.
Hanna e Gozif A. Hanna.
Terminata l’adorazione eucaristica, dopo circa tre minuti di silenzio,
è iniziato l’Ufficio delle letture. Significativamente la prima lettura è
stata tratta dal libro di Geremia: in
essa il profeta, in carcere, esorta il re
Sedecia alla pace. La seconda lettura era invece un passo del Discorso
sulle beatitudini di san Leone Magno. Il brano evangelico scelto è
stato quello di Giovanni 20, 19-29,
nel quale si narra che Gesù dopo la
risurrezione si manifesta ai suoi discepoli e dice loro: «Pace a voi!».
Dopo il canto del Te Deum in italiano è seguito un periodo di silenzio
prolungato, interrotto solo dall’esecuzione di alcuni brani musicali. Il
Papa ha quindi intonato il Tantum
Ergo e ha impartito la benedizione
eucaristica.
Al termine, poco dopo le 23, il
Pontefice ha rivolto un breve saluto
ai presenti e ha concluso la veglia.
«Carissimi fratelli e sorelle, vi ringrazio — ha detto — di questa veglia
di preghiera. Abbiamo pregato tutti
insieme. Grazie tante per la compagnia. Continuiamo a pregare per la
pace in tutti questi giorni. Buona
notte e buon riposo, e buona domenica domani».
I canti sono stati eseguiti dalla
Cappella Sistina diretta dal maestro
Massimo Palombella e dal coro guida Mater Ecclesiae, guidato dal maestro Marcos Pavan. I ministranti che
hanno prestato servizio liturgico sono stati dieci studenti del Pontificio
Collegio Americano del Nord. Una
cinquantina di sacerdoti erano a disposizione per le confessioni all’interno del braccio di Costantino e
sotto i colonnati di destra e di sinistra della piazza.
Tra i numerosi presenti, 33 cardinali, tra i quali Tarcisio Bertone, segretario di Stato; gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, Dominique Mamberti,
segretario per i Rapporti con gli
Stati, con i monsignori Peter Bryan
Wells, assessore della Segreteria di
Stato, e Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.
Numerosi i presuli e i prelati della
Curia romana, fra i quali l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della
Casa Pontificia, e i monsignori Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura, Alfred Xuereb e Fabián Pedacchio Leaniz.
Tra le personalità presenti, il presidente della Camera dei deputati
della Repubblica italiana, Laura
Boldrini, il sindaco di Roma, Ignazio Marino, e il direttore del nostro
giornale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 9-10 settembre 2013
All’Angelus nuovo appello all’impegno
No alla proliferazione
e al commercio illegale
delle armi
Il Papa ha ribadito il suo no
alla violenza «in tutte le sue forme»,
condannando con forza
la proliferazione delle armi
e il loro commercio illegale.
Lo ha fatto all’Angelus recitato
in piazza San Pietro domenica
mattina, 8 settembre, all’indomani
della veglia di preghiera per la pace.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Papa Francesco presiede la veglia in piazza San Pietro a conclusione della giornata di digiuno e di preghiera
La guerra
non è mai la via della pace
La violenza e la guerra
non sono «mai la via della pace».
Lo ha riaffermato Papa Francesco
nella meditazione pronunciata
durante la veglia di preghiera
di sabato sera, 7 settembre,
in piazza San Pietro, a conclusione
della giornata di digiuno
e di preghiera per la pace in Siria
e nel mondo.
«Dio vide che era cosa buona» (Gen
1, 12.18.21.25). Il racconto biblico
dell’inizio della storia del mondo e
dell’umanità ci parla di Dio che
guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa
entrare nel cuore di Dio e, proprio
dall’intimo di Dio, riceviamo il suo
messaggio.
Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa
dice questo messaggio a me, a te, a
tutti noi?
Ci dice semplicemente che questo
nostro mondo nel cuore e nella
mente di Dio è la “casa dell’armonia
e della pace” ed è il luogo in cui
tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa
buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e
somiglianza di Dio, sono un’unica
famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da
amare, e la relazione con Dio, che è
amore, fedeltà, bontà, si riflette su
tutte le relazioni tra gli esseri umani
e porta armonia all’intera creazione.
Il mondo di Dio è un mondo in cui
ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera,
nella riflessione, nel digiuno, nella
preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi:
non è forse questo il mondo che io
desidero? Non è forse questo il
mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è
forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli
altri, nelle famiglie, nelle città, nelle
e tra le nazioni? E la vera libertà
nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo
quella orientata al bene di tutti e
guidata dall’amore?
Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci
riempie di stupore, rimane un’opera
buona. Ma ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Questo avviene quando l’uomo,
vertice della creazione, lascia di
guardare l’orizzonte della bellezza e
della bontà e si chiude nel proprio
egoismo.
Quando l’uomo pensa solo a sé
stesso, ai propri interessi e si pone al
centro, quando si lascia affascinare
dagli idoli del dominio e del potere,
quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina
tutto; e apre la porta alla violenza,
all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci
capire il brano della Genesi in cui si
narra il peccato dell’essere umano:
l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si na-
sconde perché ha paura (Gen 3, 10),
ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (v. 12); rompe l’armonia
con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo.
Possiamo dire che dall’armonia si
passa alla “disarmonia”? Possiamo
dire questo: che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? No, non esiste
la “disarmonia”: o c’è armonia o si
cade nel caos, dove è violenza, contesa, scontro, paura...
Proprio in questo caos è quando
Dio chiede alla coscienza dell’uomo:
«D ov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse
io il custode di mio fratello?» (Gen
4, 9). Anche a noi è rivolta questa
domanda e anche a noi farà bene
chiederci: Sono forse io il custode di
mio fratello? Sì, tu sei custode di
tuo fratello! Essere persona umana
significa essere custodi gli uni degli
altri! E invece, quando si rompe
l’armonia, succede una metamorfosi:
il fratello da custodire e da amare
diventa l’avversario da combattere,
da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la
nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non
si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo
rinascere Caino. Noi tutti! E anche
oggi continuiamo questa storia di
scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro
fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai
nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo
reso più sottili le nostre ragioni per
giustificarci. Come se fosse una cosa
normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte,
parlano di morte! La violenza e la
guerra hanno il linguaggio della
morte!
Dopo il caos del Diluvio, ha
smesso di piovere, si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di
ulivo. Penso anche oggi a quell’ulivo
che i rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos
Aires, in Plaza de Mayo, nel 2000,
chiedendo che non ci sia più il caos,
chiedendo che non ci sia più guerra,
chiedendo pace.
E a questo punto mi domando: È
possibile percorrere la strada della
pace? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo
imparare di nuovo a camminare e
percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno
di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati
a governare le Nazioni, rispondesse:
Sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana mi spinge a guardare alla Croce.
Come vorrei che per un momento
tutti gli uomini e le donne di buona
volontà guardassero alla Croce! Lì si
può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto
con il linguaggio della morte. Nel
silenzio della Croce tace il fragore
delle armi e parla il linguaggio della
riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al
Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni,
lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra
segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per
l’umanità. Risuonino ancora una
volta le parole di Paolo VI: «Non
più gli uni contro gli altri, non più,
mai!... non più la guerra, non più la
guerra!» (Discorso alle Nazioni Unite,
4 ottobre 1965: AAS 57 [1965], 881).
ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e
la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel
profondo della propria coscienza e
ascolti quella parola che dice: esci
dai tuoi interessi che atrofizzano il
cuore, supera l’indifferenza verso
l’altro che rende insensibile il cuore,
vinci le tue ragioni di morte e apriti
al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello — penso
ai bambini: soltanto a quelli... —
guarda al dolore del tuo fratello, e
non aggiungere altro dolore, ferma
la tua mano, ricostruisci l’armonia
che si è spezzata; e questo non con
«La pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri
della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità» (Messaggio per Giornata Mondiale della
pace 1976: AAS 67 [1975], 671). Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace:
nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per
la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente,
uomini e donne di riconciliazione e
di pace. Così sia.
Nel Vangelo di oggi Gesù insiste
sulle condizioni per essere suoi discepoli:
non
anteporre
nulla
all’amore per Lui, portare la propria croce e seguirlo. Molta gente
infatti si avvicinava a Gesù, voleva
entrare tra i suoi seguaci; e questo
accadeva specialmente dopo qualche segno prodigioso, che lo accreditava come il Messia, il Re d’Israele. Ma Gesù non vuole illudere nessuno. Lui sa bene che cosa lo attende a Gerusalemme, qual è la via
che il Padre gli chiede di percorrere: è la via della croce, del sacrificio
di se stesso per il perdono dei nostri peccati. Seguire Gesù non significa partecipare a un corteo
trionfale! Significa condividere il
suo amore misericordioso, entrare
nella sua grande opera di misericordia per ogni uomo e per tutti gli
uomini. L’opera di Gesù è proprio
un’opera di misericordia, di perdono, di amore! È tanto misericordioso Gesù! E questo perdono universale, questa misericordia, passa attraverso la croce. Ma Gesù non
vuole compiere questa opera da solo: vuole coinvolgere anche noi nella missione che il Padre gli ha affidato. Dopo la risurrezione dirà ai
suoi discepoli: «Come il Padre ha
mandato me, anche io mando voi...
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,
21.22). Il discepolo di Gesù rinuncia a tutti i beni perché ha trovato
in Lui il Bene più grande, nel quale
ogni altro bene riceve il suo pieno
valore e significato: i legami familiari, le altre relazioni, il lavoro, i
beni culturali ed economici e così
via... Il cristiano si distacca da tutto
e ritrova tutto nella logica del Vangelo, la logica dell’amore e del servizio.
Per spiegare questa esigenza, Gesù usa due parabole: quella della
torre da costruire e quella del re
che va alla guerra. Questa seconda
parabola dice così: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re,
non siede prima a esaminare se può
affrontare con diecimila uomini chi
gli viene incontro con ventimila? Se
no, mentre l’altro è ancora lontano,
gli manda dei messaggeri per chiedere la pace» (Lc 14, 31-32). Qui
Gesù non vuole affrontare il tema
della guerra, è solo una parabola.
Però, in questo momento in cui
stiamo fortemente pregando per la
pace, questa Parola del Signore ci
tocca sul vivo, e in sostanza ci dice:
c’è una guerra più profonda che
dobbiamo combattere, tutti! È la
decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a
pagare di persona: ecco il seguire
Cristo, ecco il prendere la propria
croce! Questa guerra profonda contro il male! A che serve fare guerre,
tante guerre, se tu non sei capace di
fare questa guerra profonda contro
il male? Non serve a niente! Non
va... Questo comporta, tra l’altro,
questa guerra contro il male com-
porta dire no all’odio fratricida e
alle menzogne di cui si serve; dire
no alla violenza in tutte le sue forme; dire no alla proliferazione delle
armi e al loro commercio illegale.
Ce n’è tanto! Ce n’è tanto! E sempre rimane il dubbio: questa guerra
di là, quest’altra di là — perché
dappertutto ci sono guerre — è davvero una guerra per problemi o è
una guerra commerciale per vendere queste armi nel commercio illegale? Questi sono i nemici da combattere, uniti e con coerenza, non
seguendo altri interessi se non quelli della pace e del bene comune.
Cari fratelli, oggi ricordiamo anche la Natività della Vergine Maria,
festa particolarmente cara alle Chiese Orientali. E tutti noi, adesso,
possiamo inviare un bel saluto a
tutti i fratelli, sorelle, vescovi, monaci, monache delle Chiese Orientali, Ortodosse e Cattoliche: un bel
saluto! Gesù è il sole, Maria è l’aurora che preannuncia il suo sorgere.
Ieri sera abbiamo vegliato affidando alla sua intercessione la nostra
preghiera per la pace nel mondo,
specialmente in Siria e in tutto il
Medio Oriente. La invochiamo ora
come Regina della Pace. Regina
della Pace prega per noi! Regina
della Pace prega per noi!
Al termine della preghiera mariana,
prima dei saluti rivolti ai gruppi
presenti, il Papa ha ringraziato tutti
coloro che si sono uniti a lui in
occasione della giornata di digiuno e
di preghiera, e ha chiesto di proseguire
nell’impegno per invocare da Dio il
dono della pace.
Vorrei ringraziare tutti coloro che,
in diversi modi, hanno aderito alla
veglia di preghiera e digiuno di ieri
sera. Ringrazio tante persone che
hanno unito l’offerta delle loro sofferenze. Ringrazio le autorità civili,
come pure i membri di altre comunità cristiane o di altre religioni, e
uomini e donne di buona volontà
che hanno vissuto, in questa circostanza, momenti di preghiera, di digiuno, di riflessione.
Ma l’impegno continua: andiamo
avanti con la preghiera e con opere
di pace! Vi invito a continuare a
pregare perché cessi subito la violenza e la devastazione in Siria e si
lavori con rinnovato impegno per
una giusta soluzione al conflitto
fratricida. Preghiamo anche per gli
altri Paesi del Medio Oriente, particolarmente per il Libano, perché
trovi la desiderata stabilità e continui ad essere modello di convivenza; per l’Iraq, perché la violenza
settaria lasci il passo alla riconciliazione; e per il processo di pace tra
Israeliani e Palestinesi, perché progredisca con decisione e coraggio.
E preghiamo per l’Egitto, affinché
tutti gli Egiziani, musulmani e cristiani, si impegnino a costruire insieme la società per il bene dell’intera popolazione. La ricerca della
pace è lunga, e richiede pazienza e
perseveranza! Andiamo avanti con
la preghiera!
Con gioia ricordo che ieri, a Rovigo, è stata proclamata Beata Maria Bolognesi, fedele laica di quella
terra, nata nel 1924 e morta nel
1980. Spese tutta la sua vita al servizio degli altri, specialmente poveri e malati, sopportando grandi sofferenze in profonda unione con la
passione di Cristo. Rendiamo grazie a Dio per questa testimone del
Vangelo!
Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti, tutti! In particolare i fedeli del Patriarcato di Venezia, guidati dal Patriarca; gli Ex-allievi e le
Ex-allieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice; e i partecipanti alla “Campagna della Madonna Pellegrina di
Schoenstatt”.
Saluto i fedeli di Carcare, Bitonto, Sciacca, Nocera Superiore, e
della diocesi di Acerra; la Compagnia delle Sorelle del Santo Rosario
di Villa Pitignano; i giovani di Torano Nuovo, Martignano, Tencarola
e Carmignano, e quelli venuti con
le Sorelle della Misericordia di Verona.
Saluto il Coro di San Giovanni
Ilarione, le associazioni “Pace e
Gioia” di Santa Vittoria d’Alba e
“Calima” di Orzinuovi, e i donatori
di sangue di Cimolais.
A tutti auguro una buona domenica. Buon pranzo e arrivederci.