fides ex auditu - Parrocchia di Caorso

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fides ex auditu - Parrocchia di Caorso
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oce
Va m i c a
OTTOBRE 2008
APPROVAZIONE DEFINITIVA
DEGLI STATUTI DEL CAMMINO
NEOCATECUMENALE
LA VACANZA ALTERNATIVA
DI UN GIOVANE CAORSANO
GMG 2008
LE FOTO DEL GREST E DELLA
VACANZA ESTIVA
IL REGISTA CLAUDIO MALAPONTI
A CAORSO
FIDES EX AUDITU
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Scatti da Folgarida
Dal 9 al 20 luglio si è tenuta la tradizionale vacanza estiva parrocchiale. 24 il numero dei giovani
partecipanti, accompagnati dagli educatori e dal nostro parroco don Giuseppe, ospiti anche
quest’anno dell’accogliente hotel Kapriol di Folgarida. Come ogni anno si sono succedute giornate
ricche di divertimento, amicizia e condivisione, che hanno entusiasmato i nostri ragazzi.
Il maltempo non ha rovinato il clima sereno che si è respirato in questa esperienza nella quale si
sono come sempre ben amalgamati, momenti di gioco ed escursioni nella natura
con altri di riflessione e preghiera.
VOCE
AMICA
N° 3/ 2008
Periodico della
parrocchia di Caorso
fondato da
mons. Lazzaro Chiappa
l'8 dicembre 1923
Direttore responsabile
Don Giuseppe Tosca
Autorizzazione
Tribunale
di Piacenza
del 26.01.2005
n. 605
Stampa
Tipolitografia
La Grafica
Piacenza
Impianti Fotolito
Officina Foto Grafica
Redazione
Carlo Livera
Davide Livera
don Giuseppe Tosca
Enrico Francia
Marco Molinari
Simona Chiesa
Valentina Rossi
Fotografie
don Giuseppe Tosca
Lino Pavesi
Matteo Visentin
Filippo Mancini
Aldo Donelli
Progetto grafico
Silvia Bodini
Impaginazione
Emanuela Chiesa
Santuario della Parola
La Provvidenza, che ci aiuterà a compiere quest’opera, può volersi
servire di te. Se vuoi aiutarci fai un versamento intestato a «Il
Villaggio Celeste» Organizzazione di volontariato Onlus di diritto
presso la Banca di Piacenza Ag. di Caorso IBAN IT50 Y051 5665
230C C044 0005 716. Il versamento non può essere fatto in
contanti, ma attraverso: banca, ufficio postale, carte di debito,
carte di credito, carte prepagate, assegni bancari, assegni circolari.
Sarà rilasciata regolare ricevuta ai fini della deducibilità fiscale
prevista dall’art. 13 Dlgs 460/97.
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Editoriale
N
ella quiete insuperabile della mia splendida
vacanza in Val di Fassa, ho avuto modo di
notare una ragazzina quasi costantemente
impegnata in conversazioni telefoniche, così
lunghe ed appassionate che per me sarebbero
risultate estenuanti.
Alla mia richiesta di spiegazioni circa i costi
di quelle maratone al cellulare, rispose dicendo
che il suo contratto era "Timtribù" ed i costi
del tutto irrisori.
Il tema della tribù mi ha immediatamente
rimandato ad una delle mie letture estive più
appassionanti: la raccolta di scritti di Marshall
McLuhan (1911-1980), pubblicata da Armando
Editore col titolo «La luce e il mezzo».
L'autore vi afferma che ormai siamo alle prese
con la rilevanza e l'ineluttabilità della cultura
“uditiva” a discapito di quella “visiva”.
Nella prima, i concetti di ordine e di apprendimento sono orali, in essa ogni cosa
accade all’improvviso e compenetra nelle altre,
non c’è sequenzialità nei concetti e nei significati. L’uomo acustico vive nel mondo
dell’immediato e la sua cultura arriva sin dove
è ascoltabile, cioè nell’area cintata del villaggio,
che sia quello rurale primitivo o quello
globale, dove la cultura uditiva si può avvelere
dei mezzi elettronici per aumentare il raggio
della propria potenza vocale. L’ordine visivo,
apparso con l’avvento della parola stampata,
è, invece, detribalizzante, perché la parola
scritta richiede una diversa attenzione e viene
esaminata staticamente, permettendo di
segmentare ed ordinare i movimenti della
mente. Mentre nella società uditiva nessuno
ha dubbi, in quella visiva, che ha caratterizzato
l’uomo occidentale, trova spazio lo scetticismo.
Terminata la mia lettura, mi sono trovato alle
prese con l'allarme lanciato da Nanni Moretti
per cui in Italia non ci sarebbe più non solo
una vera opposizione al governo, ma neppure
un' opinione pubblica. Leggendo poi l'editoriale
di Avvenire (21.08.2008) sono stato informato
dell’intelligente commento di Eugenio Scalfari:
«Tante opinioni private senza più una visione del
bene comune» (Repubblica 17.08.2008).
E di nuovo viene in mente il cattolicissimo
McLuhan con la sua drastica asserzione: «Ho
passato parecchi anni a studiare gli effetti culturali
della stampa e a sostenere che l'alfabeto nella
sua forma stampata è la sola base della civiltà.
Le forme elettroniche non alimentano la civiltà, ma
la cutura tribale».
Probabilmente è questa una delle ragioni più
vere dell'attuale fortuna del federalismo e del
localismo, che comportano una scarsa simpatia
verso il bene comune di uno stato centralizzato
(reso possibile dall'ordine visivo - la parola
stampata) proprio perché rimangono immersi
in un villaggio globale, in cui prevale l'ordine
elettronico (che comporta il ritorno, in nuove
forme, della cultura uditiva). Ed il pensiero
ritorna a Timtribù, perché - secondo il grande
sociologo - tipico della cultura tribale, che è di
tipo uditivo, è essere frammentata, delocalizzata,
variabile, elastica, mutevole.
Forse è il passaggio dalla cultura visiva a quella
elettronica, preconizzata da McLuhan, ciò con
cui siamo alle prese e la politica e, a maggior
ragione, la Chiesa, invece di fare dei moralismi
sul bene comune, rimpiangendo il bel tempo
passato, dovrebbero prenderne atto, perché,
volere o volare, è con questa cultura che
dovremo fare i conti.
La forma elettronica sarà pure favorevole
all'Anticristo, ma non bisogna dimenticare che
mai, prima d'ora, tutti gli abitanti della terra
hanno potuto accedere istantaneamente e
contemporaneamente alla fede cattolica. Parola
di Marshall McLuhan.
DGT
Editoriale
In copertina: Kiko Argüello, iniziatore
del Cammino Neocatecumenale
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Il Papa, il Cammino,
gli Statuti
Approvazione definitiva degli Statuti del Cammino
Neocatecumenale da parte della Santa Sede
L'
approvazione definitiva dello statuto - si
legge in un comunicato diffuso alla vigilia dal
Pontificio consiglio per i Laici - costituisce,
senz'altro, un'importante tappa nella vita
di questa realtà ecclesiale, sorta in Spagna
nel 1964.
Questo atto ha richiesto varie consultazioni a
diversi livelli. Durante il periodo di approvazione ad experimentum dello statuto, il
Pontificio consiglio ha avuto modo di
constatare i numerosi frutti che il cammino
neocatecumenale apporta alla Chiesa in vista
della nuova evangelizzazione, mediante una
prassi catechetico-liturgica accolta e valorizzata
nei suoi ormai quarant'anni di vita. Pertanto
in seguito a un'attenta revisione del testo
statutario e all'inserimento di alcune modifiche
che si sono ritenute necessarie, il Pontificio
Consiglio per
4
i Laici è giunto a
concedere l'approvazione definitiva dello
statuto». In questi quaranta anni, come il
Popolo di Dio nel deserto, il Cammino
Neocatecumenale ha potuto sperimentare, dai
frutti della fede adulta, la presenza di Dio, oggi
suggellata dall’approvazione definitiva degli
Statuti. Essa conduce i genitori ad aprirsi alla
vita, e i figli che popolano le famiglie del
Cammino sono un segno di contraddizione in
una società che ha smarrito la fecondità. Gli
anziani nel Cammino non sono mai soli.
Accolti dai loro figli sono una ricchezza enorme
per tutti i fratelli delle loro comunità. Non
hanno bisogno di ospizi e ogni giorno con le
sue difficoltà, con i dolori e le infermità, è
pieno di senso. I malati sono accompagnati
dai fratelli delle proprie comunità, pregano
insieme, celebrano, camminano uniti verso il
passaggio al Regno. La morte santa di tantissimi
fratelli del Cammino, gli ultimi istanti vissuti
accompagnati e contornati da tutta la comunità
in preghiera, è un segno, un'azione sociale che
non ha prezzo, in questa società che esige morti
rapide, sfuggendo alla verità della vita, cercando
in ogni modo di cancellarne il dolore e la fatica.
I giovani, strappati dal vuoto assordante delle
discoteche e dell'alcool del sabato sera, riuniti
proprio nella notte tra il sabato e la domenica,
con le proprie comunità a celebrare eucarestie
partecipate, nelle quali la reale vita di ogni
giorno, le ansie, i problemi, i fallimenti, trovano
luce e senso, e redenzione nella comunione al
corpo e al sangue del Signore. E fidanzamenti
cristiani, vissuti sul filo del rasoio di una società
ostile, nel combattimento quotidiano per
difendere la castità ed il mutuo rispetto,
camminando insieme nella fede, la roccia sulla
quale fondare il matrimonio, chiamata e
vocazione ancor prima che scelta passionale.
E le più di seicento famiglie in missione in
ogni fazzoletto, specie se molto sporco, di questo
mondo. Papà, mamme, schiere di figli, ad
annunciare, nella precarietà più totale, che Dio
c’è, e ama ogni uomo, e che il suo Figlio è
risorto e ha vinto al morte. Famiglie come
comunità, per impiantare la Chiesa laddove
non c’è mai stata o non c’è più, ad gentes, ad
ogni uomo.
Così il Cammino Neocatecumenale testimonia
come cristiani ben formati in una fede adulta
siano davvero luce, sale e lievito nella scuola,
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conosciuto" nella grande baia della Chiesa
accanto ai tanti doni con cui lo Spirito Santo
ha impreziosito, arricchito, fortificato,
rinnovato la Sposa di Cristo nel corso della
sua storia. Anche per il Cammino è stata ed
è soprattutto storia di Grazia e di amore.
Oggi, a quarant'anni dall'inizio nelle baracche
di Palomeras Altas, si scorge l'orizzonte verso
il quale lo Spirito sta dirigendo il Cammino:
la missione totale, di ogni comunità, di ogni
fratello. La missione Ad Gentes, ai deserti di
questa generazione, partecipando della santa
inquietudine di Cristo.
Qui sopra:
P. Mario Pezzi,
Kiko Argüello e
Carmen Hernandez
con Mons. Rylko.
Nella pagina accanto:
Gli inizi del Cammino
neocatecumenale a
Palomeras Altas,
Madrid - Spagna: Kiko
Arguello con gli zingari
"quinquilleros" che lo
accolsero nelle baracche
Don Antonello Iapicca
(presbitero itinerante del CNC
in missione in Giappone)
Il Cammino Neocatecumenale arrivò a Caorso nella seconda metà degli anni ‘70 per
iniziativa di Mons. Angelo Chiesa, allora Parroco di Caorso, che accolse la predicazione
di una equipe di catechisti provenienti dalla Parrocchia di Cottolengo (diocesi di BS). Si
formò una prima comunità che successivamente proseguì il cammino aggregandosi alle
Parrocchie di Muradolo e Fossadello.
Nella Quaresima del 1984 Don Riccardo Alessandrini, nel frattempo diventato Parroco
di Caorso, proveniente dalla Parrocchia della SS. Trinità di Piacenza dove aveva conosciuto
il Cammino Neocatecumenale, ripropose le catechesi per aprire nuovamente questa
esperienza nella parrocchia. Le catechesi furono allora tenute da una equipe di catechisti
provenienti proprio dalla Santissima Trinità di Piacenza: Gianni Beoni con la moglie
Licia, Cesare Monici (salito al Padre il 16 settembre del 2007) con la moglie Rosanna.
Da allora, le catechesi sono state proposte praticamente ogni anno, sia da Don Riccardo
Alessandrini sia dal suo successore, l’attuale Parroco Don Giuseppe Tosca. Oltre trecento
fratelli della Parrocchia hanno in questi anni seguito le catechesi, ed oggi sono presenti
in Parrocchia quattro comunità, per un totale di circa centotrenta fratelli in cammino.
Tanti sono i frutti di questa presenza, sia visibili che invisibili. Tra questi ricordiamo
soprattutto la vocazione al presbiterato di Don Franco Cattivelli, oggi Amministratore
della Parrocchia di Metti, che seguì le catechesi nell’Avvento del 1986 e dopo qualche
anno maturò nel Cammino la vocazione che lo portò agli studi presso il Seminario
Redemptoris Mater di Madrid e, dopo un’esperienza di itineranza nel nord della Spagna,
a terminare la preparazione presso il Collegio Alberoni di Piacenza; fu quindi ordinato
sacerdote il 13 giugno 1998 nella Cattedrale di Piacenza.
Giorgio Pavesi
Il Fatto
negli uffici, al mercato, in vacanza, negli
ospedali, nei cimiteri. Ovunque. Le stesse
vocazioni sono curate, aiutate ad essere
scoperte, gestate e poi vissute con gioia e fedeltà.
L'opera svolta dai seminari Redemptoris Mater,
la seria formazione impartita che vede le
comunità intere con i loro catechisti contribuire
alla crescita integrale dei seminaristi in modo
decisivo e in collaborazione e comunione con
i formatori del seminario.
Il seminario, da solo, non è il luogo dove
formare alla fede. Non si può dare per scontata
la fede nei seminaristi. Per questo, accanto al
seminario, dove certo la fede si approfondisce
e dove si riceve una formazione specifica per
il presbiterato, è necessario e fondamentale il
cammino in una comunità concreta dove essere
gestati alla fede.
La comunità è determinante per i seminaristi,
li aiuta nel rapporto con le persone, con le
famiglie, con i giovani, con le ragazze, con i
bambini. E' dentro la comunione concreta
della Chiesa, attraverso la sua cura amorevole
manifestata dai fratelli della comunità, che i
seminaristi possono ricevere davvero una
formazione integrale. Attraverso la mutua
testimonianza tra famiglie e presbiteri anche
i rischi di clericalismo diminuiscono.
Il Cammino Neocatecumenale è ora "ri-
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O protagonisti
o nessuno
Riflessioni attorno al Meeting di Rimini
I
l Meeting per l’amicizia tra i popoli, che
dal 1980 si svolge ogni anno a Rimini nella
seconda metà di Agosto, è attualmente la
manifestazione estiva di incontri, mostre,
musica e spettacolo più frequentata del mondo.
Esso, tuttavia, non è il frutto di una qualche
genialità organizzativa, ma di una posizione
umana e culturale che ha origine nell’appartenenza all’esperienza cristiana.
Come può accadere questo? La risposta più
convincente io l’ho fisicamente incontrata
partecipando al Meeting. Ma trovo che sia ben
riassunta da queste parole tratte dal sito
www.meetingrimini.org:
“Al di sopra di ogni diversità, l’esperienza elementare
dell’uomo si rivela come il terreno comune per
l’incontro e il dialogo.
Non il dubbio sull’identità, ma la certezza spalanca
la persona alla scoperta e al riconoscimento di tutto
ciò che è bello e buono, e così il Meeting è diventato
un luogo dove l'altro non è innanzitutto qualcuno
Giovannino Guareschi
immortalato in riva al
Po. Foto tratta dal
catalogo della mostra
“Non muoio neanche
se mi ammazzano”,
presentata quest’anno
al Meeting di Rimini
in occasione del
centenario della nascita
del grande scrittore e
umorista.
6
da combattere, ma un aiuto a scoprire la verità che
corrisponde alle esigenze più profonde dell'uomo.”
Forse proprio per questa sua origine, il Meeting
è un evento strano, che sfugge alle definizioni
abituali, quelle con cui si catalogano spesso
aspetti della realtà, avvenimenti e manifestazioni
umane per avere l’impressione di capirli e di
controllarne la portata. Accade quindi che la
“stranezza” del Meeting irriti non poco molti
giornalisti e intellettuali, che non riescono ad
applicargli le categorie abituali: Festival della
cultura? Manifestazione religiosa? Vetrina di
politici o altra gente che conta? E’ interessante,
a questo proposito, quello che ha scritto su
“L’Espresso” uno stupito Gianpaolo Pansa
subito dopo il Meeting di quest’anno: “Che
scoperte ho fatto quella sera e il giorno successivo,
nel vagare per il Meeting? La prima che lì c’era un
popolo, ossia una folla sterminata di gente comune,
però non qualunque. Spesso di condizioni modeste
e a famiglie intere. E tutti avevano nel cuore il
desiderio di stare insieme,
ma anche di incontrare
persone diverse da loro. La
seconda scoperta è stata che
questa gente non ti chiedeva
da dove venivi, ma voleva
soltanto comprendere dove
stavi andando. (…) Era il
mio percorso umano che
volevano scrutare, con lo
sguardo attento dell’amicizia: il mio viaggio alla
ricerca della verità e di me
stesso. E ogni volta mi sono
sentito ascoltato e mai
giudicato. Non mi era mai
successo.”
Sulla base di ciò che ho
sperimentato partecipandovi, credo che la
“stranezza” del Meeting
sia dovuta a questo: che
lì, innanzitutto, non
si fanno discorsi,
ma accadono fatti
che eccedono ogni
programmazione.
Quest’anno, ad
esempio, è accaduto
che secondini e carcerati del carcere di
Padova si ritrovassero
insieme sommersi da
migliaia di visitatori
di una mostra che
parlava proprio di
loro, dell’opera della
Cooperativa Sociale
Giotto, di come anche nella situazione
limite del carcere
possa rifiorire,
attraverso il lavoro,
l’umanità e la speranza di persone che, pur
nella piena consapevolezza del male fatto, si
sentono guardate per quello che sono: uomini
in costante confronto con i propri limiti e il
proprio insopprimibile desiderio di vita e
di verità.
E’ stato impressionante l’abbraccio (in foto) fra
uno dei carcerati di Padova, un ergastolano di
nome Franco, e Vicky Aryenyo, una donna
malata di AIDS la cui storia di morte è
diventata una storia travolgente di speranza
da quando un’infermiera di nome Rose
Busingye, fondatrice di un’opera di accoglienza
per donne sieropositive in Uganda, l’ha
guardata come nessuno mai aveva fatto prima
e le ha detto “Tu hai un valore. E questo valore
è più grande della tua malattia e della morte”.
“O protagonisti o nessuno” era il titolo del
Meeting. Ed è emerso in modo potente che il
vero protagonista non è chi ha successo, ma
“l’uomo stupito che fa la scoperta commovente - che
scaturisce sempre da un preciso incontro con la
realtà - di avere un volto unico e irripetibile.
Un uomo libero: libero perché, quasi per una sorta
di paradosso, è consapevole di essere legato all’origine
della vita stessa, a quel disegno misterioso da cui
intuisce che ogni cosa dipende. (...)
Un uomo che conosce perché ama: abbracciando le
persone e le circostanze della vita, quelle felici e
quelle dolorose, vuole giudicare tutto nella continua
ricerca del significato ultimo per cui la realtà è
fatta.”
“E’ un dato di fatto ed è accessibile alla ragione”
ha detto l’astrofisico Marco Bersanelli alle
14.000 persone che lo ascoltavano. “Io, in questo
istante, non mi sto facendo da me. Il mio io è fatto
da un Altro. Chi può negarlo?”. Nel momento
in cui prendiamo coscienza che tutto ci viene
dato “da una Presenza misteriosa e reale” nasce
un’affezione nuova a tutto quello che c’è. Ed
è proprio questo rapporto personale con il
Mistero che lo crea che rende l’uomo
irriducibile, pur nella sua debolezza e nello
scandalo continuo dei suoi limiti.
Tale irriducibilità è espressa in modo
limpido dal nostro grande scrittore Giovannino Guareschi, che è riuscito, a cento anni
dalla nascita e a quaranta dalla morte, ad
essere uno dei più vivi protagonisti del Meeting.
“...L’uomo è fatto così, signora Germania: di fuori
è una faccenda molto facile da comandare, ma
dentro ce n’è un altro e lo comanda soltanto il
Padre Eterno. E questa è una fregatura per te,
signora Germania.”
La conclusione sorprendente è che il vero
protagonista è un mendicante, uno che nel
momento in cui riconosce di dipendere, di
aver bisogno, di non costituirsi, si trasforma,
perché spacca la prigione del proprio calcolo.
E allora può dire come Don Aldo Trento,
missionario in Paraguay il cui racconto di
sofferenza e grazia ha commosso il Meeting:
“Il mio unico progetto è fare quello che Dio mi
mostra ogni giorno”.
Giorgio Dieci
La Riflessione
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Il racconto di un mese nella favela brasiliana
Il viaggio di Filippo
La vacanza "alternativa" di un giovane caorsano
S
crivere per me è molto semplice, ma per
una volta lo trovo davvero complicato.
Raccontare analiticamente il mio viaggio non
ha senso, perché non è solo una stupida vacanza
come tante altre, ma è un viaggio alla scoperta
non solo di terre diverse ma anche di realtà di
vita che l’Italia, sempre più senza stimoli, non
conosce.
La mia esperienza è stata a Fortaleza, quinto
centro del Brasile, sulla costa nord orientale
del paese, capitale dello stato del Cearà, a circa
quattro gradi sotto l’equatore. Ho vissuto per
un mese in una comunità per soli bambini a
Pacotì, località a circa mezz’ora di macchina
dalla grande città.
Qui grazie all’opera dei missionari Piamartini
e ad una missionaria laica Lieta Vallotti, c’è
una scuola per i bambini dai 5 a 12 anni, 450
in tutto, provenienti dalle favelas ammassate
attorno ai grattacieli all’americana dei ricchi
di Fortaleza.
Nella regione esistono anche altre tre realtà dei
Piamartini: una scuola agricola per gli studenti
8
della profonda e sterminata campagna
brasiliana, una scuola femminile e un centro
professionale sempre a Fortaleza. A Pacotì la
realtà è ben visibile, nonostante la zona sia una
specie di oasi protetta, a cinque chilometri dalla
prima strada asfaltata; i suoi abitanti più giovani
portano i segni della dura vita di città, fatta di
privazioni, delinquenza, violenza e ambiguità.
I bambini sembrano un mosaico multirazziale:
ci sono dai più caratteristici Indios ai brasiliani
del sud con i capelli ricci, ai biondi, ai più
europei, con tanto di occhi azzurri, segno
evidente del lavoro della madre…
La vita nella comunità è abbastanza ripetitiva,
i 450 ospiti frequentano la scuola di mattina
e di pomeriggio e alla sera sono accuditi dai
“monitori” (i nostri educatori), fino alle otto
e mezza, quando si spengono le luci e tutti
vanno a letto. A Fortaleza il sole sorge alle sei
del mattino e cala alle sei di sera, il caldo è
meno umido di quello italiano, ma, credetemi,
quando hai cinque o sei bambini intorno che
ti chiamano, ti strapazzano, ti si appiccicano
addosso, il caldo aumenta e di molto anche!
Il lavoro che ho svolto nella comunità ha
riguardato le cose più disparate, dal muratore,
passando per l’imbianco fino ad arrivare al
magazziniere.
La comunità ha bisogno di tante cose e di tanti
lavori differenti e con una dose di buona
volontà bisogna fare tutto e in poco tempo. Le
attività più urgenti da svolgere sono sempre
due. Una è il servizio al refettorio, dove i 450
bimbi mangiano sempre le solite tre cose: riso
e fagioli e pollo, con alcune varianti ma con
sempre la stessa base.
I bambini sono molto esuberanti e rendono
sempre i pavimenti e i tavoli un campo di
battaglia, tanto che è più duro ripulire i tavoli
e il pavimento che lavare la moltitudine piatti
che usano.
L’altro servizio fondamentale è quello in
lavanderia: i bambini si sporcano costantemente
e hanno tutti un sacco di vestiti che usano
quasi come fazzoletti; inoltre la natura del luogo
e i costumi locali li portano a farsi almeno tre
docce al giorno. Queste sono le attività di tutti
i giorni, poi ci sono le manutenzioni che ho
già esposto. Mi piacerebbe raccontare qualcosa
di qualsiasi persona che ho conosciuto, ma è
impossibile, sono così tante le esperienze e gli
insegnamenti che mi porterò dietro da questo
viaggio, non solo i bambini, ma anche i miei
compagni di campo e soprattutto i 4 italiani
che vivono tutto l’anno a Pacotì, Lieta e suo
marito Angelo oltre che a Pinuccia e Piero,
tutte persone che con veramente tanta
dedizione e altruismo reggono questa realtà,
che altrimenti non sarebbe la stessa.
Nel mio mese di permanenza in questo angolo
del Brasile ho anche visitato le favelas della
città, dove con una piccola squadra e due
incaricati dei missionari siamo stati a distribuire
i pasti per i bambini. Questi quartieri hanno
case d’accoglienza rette da donne che si
occupano di tenere assieme i piccoli del
quartieri che ricevono il cibo una volta al
giorno. Raccontare quello che ho visto non è
semplice. Li vedi questi bambini preadolescenti
accompagnati da madri che avranno se va bene
la mia età, madri che portano un bimbo per
mano, l’altro in braccio e ne intravedi un altro
pronto alla vita in grembo.
I bambini li vedi tutti in fila, arrivi, ti fanno
le feste e corrono con i loro piattini di plastica
e i loro cucchiaini verso il riso, quel riso che
i brasiliani tanto amano, e li vedi mangiare e
ti sembra di non aver mai visto nessuno
mangiare prima d’ora; tutti seduti per terra, i
più grandi aiutano i più piccoli che ti guardano
con gli occhi innocenti pieni di speranza e
voglia di una vita migliore.
Gli uomini stanno fuori, uomini duri segnati
dal tempo e dall’alcool, sfregiati dai coltelli e
senza speranze di un futuro migliore, vedono
i loro figli lì a mangiare l’unico pasto
giornaliero. Le strade non esistono, sono solo
cumuli di sabbia con nel mezzo o su un fianco
la fogna a cielo aperto, dove si prende l’acqua
per fare da mangiare, l’acqua per pulire i vestisti
e l’acqua per lavarsi, senza problema.
Quando vedi una cosa del genere ti segna per
tutta la vita; è diverso leggere, magari a molti
non diranno nulla le mie parole, ma è così.
Quando sei li, respiri quell’aria, ti siedi in
quelle fatiscenti case, saluti tutte le persone
che ti capitano a tiro, stringi mani e abbracci
bimbi mai visti che ti sono grati magari anche
solo perché gli sorridi e gli porti una caramella:
allora capisci dove sta la vera vita. Allora chiedi
scusa per tutte le volte che ti sei dimostrato
intollerante o insensibile, allora cadi in
ginocchio e ti senti disarmato.
Certo la mia vita non per questo sarà diversa
in Italia e i soldi li spenderò ancora e tante
cose saranno le stesse, ma con una consapevolezza diversa, perché negli occhi ho quei
bambini, le loro speranze e le loro gioie.
I bambini di Pacotì sono gli stessi che vedi
nelle favelas, solo un po’ più fortunati, perché
possono studiare in pace ed essere protetti, e
tu stesso sei felice per la fortuna che si ritrovano.
Sono straordinari perché anche nella loro
innocenza perduta, nelle loro false lusinghe
per avere un regalo, nel loro continuo bisogno
d’affetto capisci molto di più di quanto impari
stando tra i tuoi quattro confini mentali. Avrei
tante altre cose da raccontare, ma basta questo:
io volevo lanciare ora un segnale, un segnale
forte di quanto sia importante trovare la vera
vita, cosa che io qui ho trovato.
All’inizio ho detto a tutti che mi sentivo in
debito con il Brasile, ma sono stato frainteso,
perché il mio debito riguarda il fatto di avere
avuto la giusta chanche di andare a stare bene
e vivere in Europa in mezzo all’agiatezza. Per
questo mi sento in dovere di saldare il conto
ed aiutare chi non ha mai avuto la mia stessa
fortuna, chi non sa neanche leggere né scrivere,
ma per sopravvivere ruba magari 5 reais (2
euro circa) con i quali vive una settimana.
Questo voglio fare, pur nel mio piccolo; voglio
aiutare quelli ai quali la vita hai riservato
sorprese poco piacevoli.
Filippo Mancini
L'esperienza
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Avrete forza nello Spirito Santo
e mi sarete testimoni
Anche un po' di Caorso alla
Giornata Mondiale della Gioventù a Sidney
D
ella forza dello Spirito Santo
se ne è davvero sentito il bisogno
dato che non sono state poche
le difficoltà incontrate in questo
pellegrinaggio. Il mini-gruppo
dei ragazzi di Caorso che vi
hanno partecipato era composto
da Aldo, Raffaello e Simone
aggregatisi al pellegrinaggio delle
Comunità Neocatecumenali di
Piacenza.
Siamo partiti con tre giorni di
ritardo a causa di un disguido
e il viaggio, scali compresi
(Milano, Roma, Bangkok,
Sidney, Brisbane), è durato
almeno una trentina di ore.
Dopo aver passato la notte in
albergo abbiamo iniziato il
facevamo le lodi e poi iniziavamo a cantare e
ballare e chi voleva si staccava dal gruppo e
andava in giro per la città fermando le persone
che incontrava per annunciargli la Resurrezione
e l’amore di Gesù Cristo.
La cosa che mi ha più stupito è stata la
disponibilità degli Australiani; quasi tutti si
fermavano ad ascoltare, anche se molti dei
nostri facevano fatica a parlare in inglese e
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nostro itinerario: quasi tutti i giorni
cambiavamo albergo alternando mezza giornata
di viaggio in pullman a mezza giornata di
“missione”. In tutte le città che abbiamo visitato
andavamo in mezzo alle piazze o nei parchi,
rimanevano colpiti dalle poche parole che
riuscivamo a dire. In una delle città ci hanno
addirittura invitati in uno ospizio per fare
visita agli anziani. Man mano che ci
avvicinavamo a Sidney la temperatura si
abbassava di qualche grado, e siamo passati
da pantaloncini corti e maglietta a pantaloni
lunghi e felpa.
Il 19 luglio, arrivati finalmente alla meta, si è
svolta verso sera (il sole tramontava verso le
5/6 di pomeriggio) la veglia col Papa e il
mattino seguente la messa. Finita questa,
abbiamo vagato tre ore per Sidney alla ricerca
del nostro pullman perché nessuno sapeva
dove era il punto di ritrovo per poi tornare al
nostro albergo, che distava 200 km. Il mattino
seguente ci siamo alzati ancora una volta di
buon ora per tornare a nella Capitale dove
per noi ragazzi del Cammino Neocatecumenale
era previsto l’ incontro con Kiko Argüello. Il
22 ci siamo dovuti dividere perché, a causa di
alcuni problemi, alcuni sono dovuti partire
subito (tra cui noi tre) mentre gli altri sono
tornati nei giorni seguenti.
La cosa che mi ha colpito più di tutte è che,
nonostante che non avessimo visto
praticamente nulla dell’Australia e che non ci
fossimo affatto riposati in questi giorni, siamo
tornati a casa con una gioia immensa ed una
pace incredibile donataci dallo Spirito.
Aldo Donelli
La GMG
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Con la fine della scuola ha preso il
via anche quest’anno il Grest parrocchiale, guidato dai volontari del
circolo A.N.S.P.I. "Casa dell’Amicizia"
e realizzato con la collaborazione del
Comune.
Il tema di questa stagione è stato il
‘Baule parlante’, pieno di oggetti,
segreti e storie da raccontare…
Fra laboratori,
escur sioni ed
immersioni nella natura, il
Grest 2008 ha
concluso in bellezza il 20 Giugno con l’esposizione delle opere realizzate dai
bimbi.
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Il Grest
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7 km da
Garusalemme
L'incontro tra i nostri ragazzi
ed il regista Claudio Malaponti
D
omenica 25 Maggio 2008 al Circolo Anspi
Casa dell’Amicizia è stato proiettato il film “7
Km da Gerusalemme”.
La particolarità di questo film è stata quella di
porre delle domande sul senso della vita; su
chi è l’uomo e cosa c’entrano Gesù e Dio nella
In alto a destra:
il regista Claudio
Malaponti
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nostra vita: insomma un film diverso.
Alla proiezione, è seguito il dialogo con il
regista del film Claudio Malaponti. Nelle
risposte del regista alle nostre domande è
emerso clamorosamente come un film che
“aiuta” l’uomo a
porsi delle domande, sia stato
osteggiato, e boicottato dalla distribuzione cinematografica.
Forse (parere personale di chi scrive)
perchè questo film
mostra anche delle
risposte agli interrogativi citati
prima; risposte che
il mondo di oggi
non accetta e vuole
nascondere. Nel film, il protagonista compie
un viaggio in Terra Santa per trovare risposte
alla propria fede; e qui incontra Gesù che tra
una prova e l’altra lo porta ad avere una fede
“adulta” cioè incondizionata.
Il regista, al termine della proiezione, ha posto
delle domande ai ragazzi per capire cosa
pensassero del suo film e se il messaggio che
voleva trasmettere fosse “passato”.
Lo stesso ha sottolineato che la figura del
protagonista del film (Alessandro Forte
interpretato da Luca Ward) viaggia in parallelo
con la propria vita; che c’è stato un intreccio
tra la crisi di fede del protagonista e la sua
personale; però ha voluto lasciare la libertà allo
spettatore di credere che i fatti che Gesù
compie siano veri o delle invenzioni.
E’ seguita poi la cena in cui si è presa più
confidenza e si è parlato di tutto, dai problemi
posti dal girare un film in una terra non
Cristiana (Siria) alle difficoltà incontrate nelle
sale cinematografiche.
Andrea Chiesa
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Caorso. La sala dell
Cinema Fox gremita dii
spettatori in occazione di
una Caorsanissima negli
anni 50.
Il Il Cinema Fox, la cui
costruzione iniziò nel
1947 ad opera della
Ditta Podestà di
Muradolo-Caorso su
progetto dell'Arch.
Pietro Berzolla di
Piacenza, fu
inaugurato nel
ua. L'ideatore di
1949, il giorno di Pasqua.
questa impresa fu il sig. Ettore Fochi, che diresse il cinema fino al 1966,
quando passò in mano al sig. Leonardi di Piacenza e successivamente fu ceduto ai caorsani Braghè,
Consolini e soci.
La prima proiezione fu "Il richiamo del Nord"; chiuse definitivamente i battenti alla fine degli anni settanta.